L’appello alla libertà
esulto ascoltando papa Francesco
“
io non
mi vergogno
del vangelo
“
Q
uesta volta inneggio
alla libertà del cristiano com’è onorata da Francesco.
Trattavo il mese scorso di quanto trovo d’inaspettato nel papa nuovo e davo come primo elemento la sua allergia alle ideologie, comprese quelle
cristiane. Annunciavo come secondo
elemento il suo continuo appello alla
libertà, che rivendica per sé e rispetta negli altri, fino a qualificare come
inaccettabile «l’ingerenza spirituale
nella vita personale», che in altra occasione ha indicato come «molestia
spirituale». Credo che siano queste a
oggi le sue parole più audaci, senza
precedenti nella lingua dei papi.
Avevo già abbozzato la mia divagazione, quand’è arrivata l’Evangelii
gaudium (cf. Regno-doc. 21,2013,641s)
che nei suoi 288 paragrafi – è il documento papale più lungo ch’io conosca: 49.095 parole contro le 18.283
della Lumen fidei – ha 15 volte il sostantivo libertà. Eccolo nel passo più
impegnativo: «La centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche
dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore
salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla
libertà, che possieda qualche nota di
gioia, stimolo, vitalità, e un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più
filosofiche che evangeliche» (n. 165).
Un annuncio che fa appello alla libertà e dunque accoglie e non condanna
(cf. ivi).
libero verso il papa eMerito
e verso tUtti i papi
In un altro passo Francesco riconduce la libertà dei discepoli a
quella della Parola che li suscita: «La
Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le
nostre previsioni e rompere i nostri
schemi» (n. 22). Poco prima richiama anche alla libertà del seme che
cresce da sé, all’insaputa del seminatore.
Libertà della Parola, d’accordo:
ma un papa non deve richiamare
alla disciplina delle parole? Francesco afferma che la libertà è più importante di ogni disciplina: «In seno alla Chiesa vi sono innumerevoli questioni intorno alle quali si ricerca e si riflette con grande libertà»,
una libertà che «meglio» manifesta
la «inesauribile ricchezza del Vangelo», anche se va di traverso a «quanti
sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature» (n. 40).
Non solo è libera la Parola che ci
genera alla fede ma libero è anche
lo Spirito che ci conduce: «Non c’è
maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto,
e permettere che egli ci illumini, ci
guidi, ci orienti, ci spinga dove lui
desidera» (n. 280).
Per cogliere l’intera innovazione
bergogliana sulla frontiera della libertà dovremmo richiamare le libertà che si prende nelle sue attività: co-
me appaia libero da rubriche e protocolli, verso il papa emerito, verso
tutti i papi. Una libertà che gli viene dalla lunga esercitazione all’indifferenza ignaziana: cioè a considerare indifferente ogni circostanza che
non riguardi Dio. Una libertà che è
un’alleata del suo programma innovatore. Ma qui mi tengo ai testi.
l’ingerenZa spiritUale
non È possibile
Ecco l’affermazione principe del
criterio di non ingerenza spirituale,
che è nell’intervista alle riviste dei gesuiti (La Civiltà cattolica 19.9.2013):
«Durante il volo di ritorno da Rio de
Janeiro ho detto che, se una persona
omosessuale è di buona volontà ed è
in cerca di Dio, io non sono nessuno
per giudicarla (…). La religione ha il
diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale
non è possibile».
A pagina 107 de Il cielo e la terra (volume del cardinale Bergoglio in
dialogo con il rabbino Abrahan Skorka, Mondadori, Milano 2013) c’è un
passo parallelo più ampio, che aiuta
a intendere questo concetto dell’ingerenza spirituale: «La religione ha il
diritto di esprimere la propria opinione, poiché è al servizio della gente. E
se qualcuno mi chiede un consiglio,
ho il diritto di darglielo. Non ho il diritto di intromettermi nella vita privata di nessuno, certo. Se nella creazione Dio ha corso il rischio di renderci liberi, chi sono io per intromettermi? (…) Dio ci ha lasciato addirittura la libertà di peccare. Occorre
parlare con chiarezza dei valori, dei
limiti, dei comandamenti, certo, ma
l’ingerenza spirituale, pastorale, non
è consentita».
Sempre in quel volume c’è una
pagina (23s) sul rapporto del creden-
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Un lavaggio di cervello
di tipo teologale
Il no alla «molestia spirituale»
Francesco l’ha affermato il 21 ottobre 2013 parlando alla plenaria del
Consiglio delle comunicazioni sociali: «In questo tempo noi abbiamo
una grande tentazione nella Chiesa,
che è l’acoso [parola spagnola che significa molestia] spirituale: manipolare le coscienze; un lavaggio di cervello teologale, che alla fine ti porta
a un incontro con Cristo puramente
nominalistico, non con la persona di
Cristo vivo».
La prima avvertenza nel leggere
questi testi di Jorge-Francesco credo
debba andare alla parola libertà e ai
suoi derivati: Dio ci ha resi liberi, libertà di peccare. Libertà è parola poco amata nella Chiesa. Sovrabbonda
nelle Lettere di Paolo e Gesù aveva
già detto tutto con il motto: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Ambrogio
non aveva timore di andare avanti su
quella linea: «Ubi fides ibi libertas».
Ma poi Lutero scrisse il libello Della
libertà del cristiano (1520) e quella parola fu posta a domicilio coatto nella Chiesa di Roma: non doveva lasciare le pagine della Scrittura senza
una specifica autorizzazione e senza
essere accompagnata da una numerosa scorta di glosse latine e volgari.
La revisione del processo che aveva
portato a quel provvedimento – avviata dal Vaticano II – non è ancora terminata. Il Concilio ha fatto sua
l’espressione «libertà religiosa» che
già era stata condannata, ma a mezzo secolo di distanza non si finisce di
discutere su quel provvidenziale recupero. Forse Francesco sta avvian-
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do una nuova tappa di riconciliazione della Chiesa con la libertà, dopo
quella conciliare.
È tanto bella
questa libertà dei figli
Egli pronuncia spesso la parola libertà nelle omelie del mattino e una
volta – il 4 luglio 2013 – ne ha tenuta una che è stata tutta una celebrazione della libertà come «tratto
caratteristico» dell’identità cristiana: «È tanto bella questa libertà dei figli, perché il figlio è a casa». L’espressione che gli è più cara è quella della «libertà dei figli» e la passione con
cui la evoca mi ricorda la cara figura di Giovanni XXIII che l’8 dicembre 1962 – avevo 19 anni – mi capitò di vedere in una diretta televisiva in bianco e nero nella quale batteva quattro volte il piede, calzato con
scarpette di raso, quando pronunciava le parole: «Sancta libertas filiorum
Dei», chiudendo la prima sessione
del Concilio e rivendicandone l’attestazione di libero dibattito che ne era
venuta.
Sull’accettazione di chi la pensa
diversamente c’è un passo utile nel
volume intervista El Jesuita (tradotto
in Italia da Salani-Corriere della Sera, Milano 2013, con il titolo Il nuovo Papa si racconta: la citazione è a
p. 76): «Se non si ammette che nella
società ci siano persone con opinioni
diverse dalle nostre, se non addirittura contrarie, e non le rispettiamo,
non preghiamo per loro, non le salveremo mai nel nostro cuore».
L’accettazione dell’altro persino
nei suoi peccati è affermata anche in
un altro testo, riportato ora nel volu-
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mi vergogno
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te con l’ateo che prefigura l’intervista
a Scalfari (La Repubblica 1.10.2013):
«Quando mi trovo con degli atei,
condivido le problematiche umane, ma non propongo subito il problema di Dio, a meno che non siano loro a chiedermelo (…). Non affronto il rapporto con un ateo per fare proselitismo, lo rispetto e mi mostro per quello che sono. Non gli direi mai che la sua vita è condannata,
perché sono convinto di non avere il
diritto di giudicare l’onestà di quella
persona».
me È l’amore che apre gli occhi (Rizzoli, Milano 2013, 56): «Di fronte
all’emergere, con sempre maggiore
frequenza, di ogni tipo di intolleranze e divisioni nei rapporti tra gli individui e tra i popoli, siamo chiamati
a vivere e a insegnare il valore del rispetto, l’amore che va oltre ogni differenza, il significato della condizione di figlio di Dio propria di ogni essere umano, l’accettazione delle sue
idee, dei suoi sentimenti, comportamenti e persino peccati, quali che siano».
Cristiani insicuri
della propria fede
Spesso Francesco deplora il mancato rispetto delle opinioni altrui, da
parte di credenti rigidi, che a suo parere allontana invece di convertire.
Ecco come l’ha fatto l’8 maggio 2013
nell’omelia al Santa Marta: «Un cristiano deve annunziare Gesù Cristo
in una maniera che Gesù Cristo venga accettato, ricevuto, non rifiutato (…). Ma adesso è un buon tempo
nella vita della Chiesa: questi ultimi
50 anni, 60 anni sono un bel tempo,
perché io ricordo quando bambino si
sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: “No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa”. Era come un’esclusione. O perché sono socialisti o atei,
non possiamo andare. C’era come
una difesa della fede, ma con i muri:
il Signore ha fatto dei ponti. I cristiani che hanno paura di fare ponti e
preferiscono costruire muri sono cristiani non sicuri della propria fede».
Con papa Francesco uno come
me respira. Respirava già – o quantomeno riteneva di respirare – nella libertà della Parola e dello Spirito, ma ora respira anche nell’accompagnamento del suo vescovo: io vivo a Roma. Ed è confortante vedere
che quelle sue parole dei primi mesi, che onorano come dono di Dio
la sua e l’altrui libertà, sono coerenti
con quanto diceva da arcivescovo di
Buenos Aires e sono ora confermate in un testo magisteriale qual è l’Evangelii gaudium.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
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