architettura
Il Brasile non è Occidente, è Africa!
“Per un architetto, la cosa più importante non è costruire bene,
ma sapere come vive la maggior parte della gente. L’architetto
è un maestro di vita, nel senso modesto di impadronirsi del modo
di cucinare i fagioli, di come fare il fornello, di essere obbligato
a vedere come funziona il gabinetto, come fare il bagno.”
Lina Bo Bardi
Dall’arte popolare al design: .
la ricerca brasiliana di Lina Bo Bardi, .
una delle figure più significative .
dell’architettura contemporanea .
di Carlo Pozzi
n architetto arrivato in Brasile
nella seconda metà del
Novecento non poteva fare a
meno di scoprire la ricchezza della
produzione materiale di oggetti, la
tradizione di un artigianato che ha fatto
fronte per secoli alle necessità più
comuni del vivere quotidiano, elevandosi
spesso a vera e propria arte popolare.
U
Lina Bo Bardi, che vi arriva nel 1946,
dopo l’ esperienza di Domus e la
collaborazione con Giò Ponti, ha antenne
sensibili e nessuna spocchia intellettuale
eurocentrica: il suo è un percorso di
ricerche fondamentali per l’architettura
brasiliana del dopoguerra, con opere
come la Casa de Vidrio, il MASP, la
ristrutturazione (con addizione di nuovi
volumi) della fabbrica Pompeia e con la
partecipazione intensa al dibattito sulla
“prosecuzione tropicale” dell’esperienza
del Movimento Moderno.
Non da meno è il filone di ricerca che la
porta a tessere un fil rouge tra tradizione
artigianale-arte popolare-design di nuovi
oggetti.
Lina contribuisce allo sviluppo della
cultura brasiliana partendo dallo studio e
valorizzazione delle sue radici senza mai
pensare di metterle “sotto vetro”, ma
tendendo, da progettista, a
reinterpretarle all’interno del disegno
per il vivere contemporaneo, ideando
oggetti d’uso e manufatti artistici sempre
fondati in maniera progressiva sulla
tradizione. I suoi disegni vanno dai
gioielli ai vestiti, dalle stoviglie alle
sedie, fino alle scenografie teatrali.
Viene sedotta dalla bellezza semplice e
dalla purezza delle pietre brasiliane, in
particolare delle acquamarine, della
malachite, del topazio blu, del quarzo
rosa, che fa montare in collane che
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gettano un ponte tra tribalità e
modernità; soprattutto capisce che
possono costituire una via per un design
brasiliano di gioielli che contrapponga
eticamente la sua specificità di pietre
comunemente intese come
“semipreziose” allo sperpero per gioielli
d’oro e diamanti. Il valore aggiunto lo dà
il progetto.
Analogo il metodo di lavoro applicato al
disegno di vestiti e scenografie. Le sta
stretto rimanere confinata nella moda
del momento, meglio disegnarne per un
“ballo del cattivo gusto” (1949) e poi
lavorare con Glauber Rocha e gli altri
cineasti dell’emergente Cinema Novo,
disegnando scenari e manifesti (1960);
con artisti del teatro di ricerca per
L’opera da tre soldi (1960) per cui disegna
la locandina, gli attrezzi teatrali, la
scenografia; con letterati come Camus
per i costumi del Caligola (1961), con il
Teatro Oficina per Nella selva delle città
(1969) disegnando il manifesto, la
scenografia, i costumi, fino a
rappresentare, dandone un’immagine tra
l’onirico e l’allucinato, le Pholias
physicas, pataphisicas e musicaes
dell’Ubu di Jarry (1985): un ambiguo
maiale a due teste, di pezza, che ora
campeggia tra i reperti nella sua Casa de
Vidrio, una scultura dodecaedra, i
costumi da ornitorinco.
La sua creatività si alimenta, oltre che
attraverso la conoscenza degli artisti e
degli intellettuali europei e brasiliani,
della straordinaria cultura materiale
nordestina: viaggia spesso nelle aride
aree del Sertão, nel cosiddetto triangulo
de la seca, per trovare oggetti
dell’artigianato locale. Lina si convince
che l’antica manualità e le lavorazioni
tradizionali, se abbinate alla formazione
scolastica, all’innovazione tecnologica e
all’estetica contemporanea, possano
esaltare la straordinaria tensione
Mostre di Lina Bo Bardi
all’ex fabbrica Pompéia
Fabrica
Pompéia: sopra
si intravede la
torre-fumaiolo,
a destra le
passerelle di
cemento
Sopra, il Museo di
arte moderna di
San Paolo (Masp)
A destra e sotto,
foyer del Teatro
Fabrica Pompéia
Fabrica
Pompéia: il
deck-solarium
visto dal blocco
sportivo
1982. Design in Brasile: storia e realtà,
costruita sul modello popolare e
confusionario delle fiere nordestine.
Mille giocattoli per i bambini brasiliani, di
cui Lina disegna anche il manifesto dove
campeggia l’immagine di un cavallo a
dondolo.
1984. Capiras, Capiaus: Pau-a-Pique,
nella quale i locali dell’ex-fabbrica paulista
vengono invasi da “alberi maestri”
totemicamente coloratissimi, da “uominispaventapasseri”, da case di terra cruda dei
villaggi e da animali che arrivano per
l’inaugurazione.
1985. Intermezzo per bambini, dove di
nuovo gli animali sono protagonisti,
impagliati o reinventati da Lina sotto forma
di maiale-giocattolo, mucca di cemento,
grande anaconda in legno, scimmia gigante
del sambodromo. Prelude a uno dei suoi
ultimi progetti tra realtà e fantasia,
tradizione e design, infanzia e vecchiaia
che è la Grande mucca meccanica (1988)
per il “suo” Masp sull’Avenida Paulista di
San Paolo: come nelle folies di Ubu, un
oggetto teatrale che è architettura,
giocattolo, sogno realizzato.
Costumi per Ubu Folias Physicas,
Pataphysicas e Musicaes, 1985
© Istituto Lina Bo e P.M. Bardi
Fabrica
Pompéia:
passerelle di
collegamento
del blocco
sportivo
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“Credo che il Brasile non faccia parte
dell’Occidente. È Africa! Grazie a Dio il Brasile è
fuori dall’Occidente, che in fin dei conti è povero.”
architettura
Lina Bo Bardi, Camurupim, Istituto Lina Bo e P.M. Bardi
Edizioni Charta, Milano 1994
creativa originale di quelle comunità e
favorire la nascita di un design
brasiliano. A tal fine progetta il CETA Centro de Trabalho e Estudo Artesanal,
laboratorio in cui artigiani autoctoni e
designer formati all’università possono
confrontare le loro esperienze e
sperimentare forme, linee, colori e
materiali. Il CETA dovrebbe essere anche
la sede permanente della sua personale
collezione di oggetti provenienti dal
Sertão, archivio delle memorie locali da
cui trarre spunto per creare nuovi
modelli.
Ma arrivano gli anni della dittatura
militare e il progetto non potrà
svilupparsi compiutamente; solo pochi
anni fa, dimenticata in un deposito
governativo, è stata ritrovata la raccolta
di arte popolare del Sertão, curata da
Lina qualche decennio prima.
Il suo lavoro procede progressivamente
partendo dall’eredità del design
moderno contaminandola con le
scoperte etnografiche brasiliane;
l’irruzione dell’arte popolare prende
sempre più spazio e due occasioni
progettuali le consentono le più
interessanti sperimentazioni: le mostre
nella fabbrica Pompéia, da lei appena
ristrutturata, e il coinvolgimento sul
campo con le mostre a Bahia.
Già nel 1948 lavora alla “prima seggiola
moderna in Brasile” pieghevole in cuoio
e legno compensato tagliato in piedi (a
differenza di quello piegato di Alvar
Aalto); dai vaporetti dell’Amazzonia
recepisce l’uso tradizionale dell’amaca,
applicando una tela, dalla perfetta
aderenza al corpo che vi si poggia, alla
sedia a tre piedi, in ferro o legno, una
sorta di Tripolina legata ad altre
tradizioni.
Torna a quel design moderno che ricerca
la forma “pura” con la Bardi’s Bowl
(1951), in pelle o tessuto e struttura di
ferro. Ancora partecipa a concorsi di
mobili per Cantù (1957) con un’idea di
industrializzazione della produzione
artigianale basata sull’osservazione di
come i caboclos dell’interno sanno stare
per ore accucciati al bordo di una strada,
senza stancarsi: a questa posizione
elementare corrisponde un panchetto
basso la cui gamba angolata, ritagliata
modularmente da un foglio di
compensato, diventa l’elemento
ripetibile di sostegno per mobili, sedie,
letti, tavoli, portacappelli. Ma quel
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fermarsi popolare sul bordo di una strada
viene cristallizzato dieci anni più tardi in
un disegno che salda la distanza tra
design e tradizione: tre rami e un pezzo
di tronco legati tra loro con una corda,
come fanno ancora oggi i popoli indigeni
e gli scout, compongono quella sedia da
bordo di strada su cui Lina si fa ritrarre
come protagonista della
sperimentazione.
Imbrocca anzitempo anche il tema del
riciclaggio, facendo di una vecchia
lampadina una piccola lucerna a
cherosene denominata Fifò.
La reinterpretazione di temi popolari con
una riscrittura sintetica e naïf entra
prepotentemente nel progetto di
architettura, come proposto nelle
ringhiere floreali poste nei piccoli vani
liberi agli attacchi tra il nuovo corpo di
fabbrica della Pompéia che alloggia gli
impianti di risalita e le passerelle che
vanno al volume dei campi da gioco e
delle piscine; normative più recenti
hanno richiesto la sovrapposizione di
griglie sgraziate ai poetici “fiori di
Mandacaru” in tondino di ferro.
Il tavolino di cemento prefabbricato con
il foro centrale per l’ombrellone,
prodotto in serie (1986) per il Belvedere
da Sé a Salvador, con vista sulla Bahia di
Tutti i Santi, deve la sua forma alla
reinterpretazione del caxixi, ceramica
popolare bahiana.
Bahia è il suo grande amore degli ultimi
anni e per la casa del Benin progetta la
ristrutturazione dell’edificio che la
ospiterà. Con interessanti connessioni e
distacchi tra murature originali e nuove
strutture, fodera pilastri con trame di
paglia dei cestini tradizionali, appende
tessuti che piovono dal soffitto, disegna
il ristorante come una grande capanna
indigena oblunga in terra cruda e tetti di
legno e paglia che ospita una tavola
unica, in forma di settore circolare
ellissoidale, per quaranta posti: ci si
potrà sedere intorno e all’interno sulla
seggiola girafinha, una sedia “povera”
adeguata a un museo di meravigliosi
oggetti prodotti artigianalmente dai
poveri.
Parallelamente alla sua
reinterpretazione degli oggetti della
tradizione e dell’arte popolare
brasiliana, negli stessi anni allestisce
mostre che li presentano in una sequenza
Il suo lavoro procede
progressivamente
partendo dall’eredità del
design moderno
contaminandola con le
scoperte brasiliane;
l’irruzione dell’arte popolare
prende sempre più spazio
Sopra, a sinistra,
Casa de Vidro, San Paolo, sede
dell’Istituto Lina Bo e P.M. Bardi
Sotto,interni della Fabrica Pompéia,
fontana e sala lettura
Sotto e a destra
courtesy Istituto Lina
Bo e P.M. Bardi
L’attrice Odete
Lara su una
versione in
tessuto di
Bardi’s Bowl per
una pubblicità
chi è |
Lina Bo
Bardi
Nata a Roma nel 1914, dopo la laurea in
architettura (1939), si trasferisce a
Milano, dove collabora con lo studio di
Giò Ponti e con diverse testate editoriali,
tra cui Domus, di cui diventa vicedirettrice
insieme a Carlo Pagani (1944). Partecipa
alla Resistenza e nel 1946 si trasferisce in
Brasile con il marito Pietro Maria Bardi; lì
vivrà fino alla morte (1992), tra San Paolo
e Salvador de Bahia, come cittadina
brasiliana. Del 1950 è il suo primo
progetto, la Casa de Vidro, che oggi ospita
la fondazione a lei dedicata. Tra i diversi
musei di cui è fondatrice e progettista: il
Masp, Museo d’Arte di San Paolo (195768); il museo di Arte Popolare di Bahia
(1959-63), la Casa del Benin a Bahia
(1987). Si dedica anche a numerose opere
pubbliche, come il recupero della fabbrica
della Pompéia a San Paolo (1977-86),
trasformata in centro di attività socioculturali; il recupero del centro storico di
Bahia (1986-89) e la sede del Municipio di
San Paolo (1990-92).
roboante di colori e di disegni: da quella
del Nordest a Bahia (1963), che Lina
vuole sia definita Civiltà del Nordest e che
presenta oggetti legati all’uso comune,
esposti come nelle fiere popolari, alla
sequenza di quelle che presenta nella sua
Pompéia.
Non si realizza, almeno davanti ai suoi
occhi che vanno chiudendosi, il sogno di
un design brasiliano fondato su una
ricerca che muova dalla cultura materiale
originale tecnico-primitiva, in bilico tra
radici africane e derivazioni orientali. Al
bivio degli anni Ottanta, il Brasile,
trainato dal consumismo nord-americano
dilagante, sceglierà la luccicante
raffinatezza del prodotto industriale di
massa, aprendo una fase che Lina
aa
definirà come “tempi cafoni”. ●
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