N. 6502/12 R.G. notizie di reato N. 3068/2013 R. GIP N. 72/2014 R. Sent. data deposito ____________ data irrevocabilità ____________ TRIBUNALE DI AVELLINO UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice dell’udienza preliminare dott. Giuseppe Riccardi all’udienza preliminare del 26 marzo 2014, nel procedimento n. 3068/2013 R.GIP ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE (art. 425 c.p.p.) nei confronti di: 1) P. P., nato a [OMISSIS], residente e con domicilio eletto a [OMISSIS]. contumace Assistito e difeso di fiducia dall’avv. Giovanni Adamo, presente. 2) C. T., nato a [OMISSIS], residente e con domicilio eletto a [OMISSIS]. contumace Assistito e difeso di fiducia dall’avv. Francesco Ceglia, presente. 3) D. A., nato a [OMISSIS], residente a [OMISSIS] e con domicilio eletto a [OMISSIS]. contumace 1 Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | [email protected] Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò | 2010-2014 Diritto Penale Contemporaneo Assistito e difeso di fiducia dall’avv. Alberico Villani, presente. IMPUTATI In ordine al reato di cui agli artt. 110 c.p. – 26 e 73 DPR 309/90 perché, in concorso fra loro, coltivavano all’interno di un fondo terriero sito alla località [OMISSIS] una pianta di cannabis indica ricavandone una quantità di sostanza stupefacente sufficiente per il loro uso personale. Infatti i CC. sorprendevano il P. in possesso di gr. 0,1 di marijuana. In San Martino V.C. il 18/9/2012. Conclusioni Il P.M. ha chiesto il rinvio a giudizio degli imputati. I difensori degli imputati hanno chiesto emettersi sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste. MOTIVAZIONE Con richiesta di rinvio a giudizio del 9.5.2013 P. P., C. T. e D. A. venivano tratti a giudizio per il reato di coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti. Dall’esame degli atti emerge che il 18 settembre 2012 i tre giovani imputati venivano notati all’interno di un fondo terriero defilato, ubicato in località [OMISSIS], intenti ad una imprecisata attività; non appena si allontanavano dal fondo venivano sottoposti a controllo, e, all’esito della perquisizione, veniva rinvenuta, indosso a P. P. – che si era appena disfatto di una bilancia elettronica0,1 grammi di sostanza stupefacente del genere marijuana, contenuta in due fazzolettini monouso, e un paio di forbici di piccole dimensioni, nonché, indosso a C. T., un contenitore di ‘cartine’; gli stessi giovani conducevano i militari sul fondo, mostrando la piantina di cannabis dagli stessi coltivata dal mese di marzo, allorquando avevano acquistato i semi a [OMISSIS], al fine di ricavarne qualche ‘spinello’ da destinare all’esclusivo consumo personale. Dagli accertamenti tecnici si evinceva, infine, che la pianta era di piccole dimensioni, con un fusto di circa 15 cm., ed era priva di principio attivo; la modesta quantità di sostanza stupefacente rinvenuta indosso al P., invece, veniva identificata come cannabis sativa (marijuana), contenente 0,22 gr. di principio attivo, inferiore alla soglia massima (0,44). Alla stregua delle suddette risultanze processuali, va pronunciata sentenza di non luogo a procedere per il contestato reato di coltivazione illecita di sostanze stupefacenti. Al riguardo, giova osservare che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che la coltivazione c.d. domestica di sostanze stupefacenti, anche allorquando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale, costituisce condotta penalmente rilevante (Cass., Sezioni Unite, 24 aprile/10 luglio 2008 n. 28605, Di Salvia); in tal senso, peraltro, hanno ribadito, 2 sulla scorta anche della giurisprudenza costituzionale sviluppatasi al riguardo (Corte Cost. n. 360/1995), che, in ogni caso, è necessaria “la verifica - demandata al giudice di merito- dell’offensività concreta specifica della singola condotta in concreto accertata”, e che “la “offensività” non ricorre soltanto sicchè, se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile” (S.U. 2008, cit.). Il principio di diritto autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite, peraltro, è stato specificato da successivi arrêts di legittimità, allorquando è stato ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti, occorre accertare la concreta offensività della condotta, ovvero l’effettiva capacità della stessa di offendere i beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice; offensività esclusa allorquando le piante non abbiano ancora completato il ciclo di maturazione e non abbiano ancora prodotto sostanza idonea a costituire oggetto del concreto accertamento della presenza del principio attivo della sostanza stupefacente (Cass.pen., sez. IV, 28.10.2008/14.1.2009 n. 1222, Nicoletti) ovvero, allorquando siano prive di (o, in altre pronunce, dotate di modesta) efficacia drogante (di recente, Cass.pen., sez. VI, 2.5.2013 n. 22110, Capuano, che ha escluso l’offensività della coltivazione di tre piantine di marijuana; Cass.pen., sez. IV, 20.9.2013 n. 43184, Carioti; Cass.pen., sez. IV, 17.2.2011 n. 351, Marino, che ha escluso l’offensività della coltivazione di una sola pianta di cannabis contenente un principio attivo di 16 mg.). Un orientamento maggiormente rigoroso, affermatosi nella giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, affermato la rilevanza penale della coltivazione di sostanze stupefacenti, a prescindere dalla destinazione all’uso personale, stante la potenziale diffusività della droga (Cass.pen., sez. VI, 9.12.2009 n. 49523, Cammarota, relativa alla coltivazione di quindici piante di marijuana; Cass.pen., sez. VI, 13.10.2009 n. 49528, Lanzo, relativa alla coltivazione di venticinque piante di cannabis). Sulla base di tale quadro interpretativo va considerata la recente sentenza 25 febbraio 2014 n. 32 della Corte Costituzionale, che, dichiarando l’incostituzionalità delle norme che avevano novellato l’art. 73 DPR 309/90, ha determinato la reviviscenza delle disposizioni precedenti alle modifiche introdotte dalla L. 49/2006. Invero, sulla base delle formulazione introdotta dalla L. 49/2006, l’inserimento della “coltivazione” nell’ambito del comma 1 dell’art. 73 DPR 309/90, tra le condotte ‘intrinsecamente’ destinate al mercato illecito degli stupefacenti, e non già tra le condotte di cui al comma 1 bis che necessita(va)no di un connotato ulteriore di illiceità costituito dai parametri indicativi della destinazione allo spaccio, approfondiva i limiti della valutazione di offensività, delimitando il perimetro dell’inoffensività ‘in concreto’ della condotta alla stregua della 3 giurisprudenza costituzionale che, anche in tema di coltivazione di droga, ha riconosciuto la dimensione ermeneutica del principio di necessaria lesività del fatto (Corte Cost. n. 360/1995). Del resto, la riferibilità della sanzione amministrativa sancita per l’uso personale (art. 75) alle sole ipotesi previste dall’art. 73 comma 1 bis rendeva impervia la valorizzazione, a livello di tipicità, della destinazione ad uso esclusivamente personale delle sostanze coltivate. La reviviscenza della versione originaria dell’art. 73 ha ripristinato una valutazione normativa omogenea per le diverse condotte illecite legate al traffico di stupefacenti, ed in particolare per la coltivazione e la detenzione illecita, tutte descritte nel precetto di cui al comma 1. Al riguardo, pur non rilevando in concreto nella presente fattispecie, va rimarcato che la caducazione del comma 1 bis dell’art. 73, al quale fa espresso riferimento l’art. 75, sembrerebbe aver determinato una caducazione ‘a cascata’ di quest’ultima norma; invero, nel solco del compito affidato dalla Corte Costituzionale al giudice comune (“rientra nei compiti del giudice comune individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili perché divenute prive del loro oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli artt. 4-bis e 4-vicies, oggetto della presente decisione”), va evidenziato che l’art. 75, nella formulazione introdotta dalla L. 49/2006, non fa riferimento alla destinazione ad uso personale –alla quale, invece, faceva riferimento il caducato comma 1 bis dell’art 73-, limitandosi a sanzionare amministrativamente le condotte poste in essere “fuori delle ipotesi di cui all’art. 73, comma 1 bis”. Ebbene, la caducazione ‘a cascata’ dell’art. 75 comma 1 deriverebbe dalla sopravvenuta mancanza di oggetto, contenendo la norma un rinvio a disposizione caducata; tuttavia, l’effetto indiretto di una tale caducazione ‘a cascata’ sarebbe quello di determinare l’estensione delle incriminazioni previste dall’art. 73 comma 1 -venute meno le limitazioni di cui al comma 1 bis (che nella formulazione post L. 49/2006 delimitava la destinazione al consumo personale), e non essendo vigente l’art. 75 nella versione precedente alla L. 49/2006 (che delimitava, nel precedente sistema, la fattispecie dell’uso personale)-, che attrarrebbero nel perimetro di tipicità anche le condotte finalizzate ad uso meramente personale delle sostanze. Pur prescindendo dalla tesi proposta in dottrina, che pure solleva inediti profili problematici da un punto di vista costituzionale, secondo la quale, per impedire una criminalizzazione delle condotte finalizzate ad uso personale, dovrebbe ritenersi mai abrogata la versione previgente dell’art. 75, nel caso di specie va comunque osservato che, trattandosi della coltivazione di una sola piantina di 4 cannabis, la soluzione va ricercata più che sul piano della astratta tipicità, sul piano della concreta offensività. Al riguardo, infatti, va rammentato che già prima delle modifiche del 2006, nonostante un orientamento giurisprudenziale avesse delimitato la tipicità della condotta di coltivazione alla sola ‘coltivazione in senso tecnico-agrario’, escludendo dal perimetro penale la mera ‘coltivazione domestica’, ovvero avesse attratto la nozione di ‘coltivazione destinata ad uso esclusivamente personale’ nell’ambito della condotta di detenzione di cui al successivo art. 75 (in tal senso, Cass.pen., sez. VI, 18.1.2007 n. 17983, Notaro; Cass.pen., 21.9.2007, Nicoletti; Cass.pen., 20.9.2007, Piersanti), con un’interpretazione costituzionalmente orientata che valorizzava le attitudini ermeneutiche del principio di uguaglianza e di ragionevolezza (che impediscono il trattamento difforme di situazioni simili, e dunque la punibilità della condotta di coltivazione e la non punibilità della logicamente, quando non anche cronologicamente- detenzione, allorquando entrambe finalizzate ad un uso esclusivamente personale), la giurisprudenza di legittimità prevalente (affermatasi anche sotto la vigenza delle norme precedenti a quelle, oggi caducate, introdotte dalla L. 49/2006), sulla scorta anche della giurisprudenza costituzionale (sentenza 360/1995), aveva ritenuto arbitraria la distinzione tra coltivazione ‘domestica’ e ‘imprenditoriale’, e non irragionevole il differente trattamento normativo. In altri termini, la verifica giudiziale di legalità era circoscritta alla concreta offensività della condotta di coltivazione, non già alla astratta tipicità della fattispecie: in tal senso, invero, la Corte Costituzionale, nel ribadire che la coltivazione “costituisce reato anche quando sia realizzata per (…) uso personale”, giungeva a valorizzare, in una dimensione eminentemente ermeneutica, il principio di offensività, escludendo dal perimetro di tipicità della fattispecie le condotte “assolutamente inidonee a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato” (Corte cost., n. 360 del 1995). Nel solco di tali coordinate ermeneutiche, peraltro, la carenza di offensività della condotta di coltivazione è stata affermata non soltanto nei casi di assenza di principio attivo e di efficacia drogante delle sostanze coltivate (Cass.pen., sez. IV, 28.10.2008/14.1.2009 n. 1222, Nicoletti; Cass.pen., sez. IV, 20.9.2013 n. 43184, Carioti), ma, secondo un orientamento maggiormente elastico, anche nei casi di ‘minima efficacia drogante’ (Cass.pen., sez. VI, 2.5.2013 n. 22110, Capuano, che ha escluso l’offensività della coltivazione di tre piantine di marijuana; Cass.pen., sez. IV, 17.2.2011 n. 351, Marino, che ha escluso l’offensività della coltivazione di una sola pianta di cannabis contenente un principio attivo di 16 mg.). Alla luce delle considerazioni che precedono, non può essere dunque affermata la tipicità del reato di cui all’art. 73 DPR 309/1990, sotto il profilo della carenza di offensività. 5 Invero, la coltivazione posta in essere dagli odierni imputati aveva ad oggetto una sola piantina di cannabis, che, tra l’altro, è stato accertato essere priva di principio attivo all’esito delle indagini tecniche. Dunque, la condotta appare concretamente inidonea a porre in pericolo i beni giuridici tutelati, pur in maniera dilatata, dalla fattispecie incriminatrice. Giova, peraltro, osservare che non risulta contestata autonomamente la condotta di detenzione della piccola quantità di marijuana rinvenuta indosso a Pi dalla valutazione degli elementi emersi –la sostanza, contenente un principio attivo modesto, e comunque inferiore ai limiti, era stata appena ricavata dalla pianta, con l’uso di forbici in possesso dei giovani, e destinata all’uso personale dei tre, come desumibile anche dal sequestro delle ‘cartine’ indosso a C - si desume, peraltro, una evidente irrilevanza penale del fatto, trattandosi di detenzione destinata ad un uso esclusivamente personale. Va, al riguardo, rilevato che la concreta fattispecie sembra evidenziare la potenziale irragionevolezza del differente trattamento della coltivazione e della detenzione (entrambe) “ad uso esclusivamente personale”, potendo la contestazione della fattispecie dipendere dal casuale momento della ‘scoperta’ del fatto; considerazione che, una volta risolto (ermeneuticamente o, potissimum, legislativamente) il problema della attuale vigenza della norma che esclude la destinazione ad uso personale dall’ambito del penalmente rilevante, potrebbe riproporre la problematicità di una criminalizzazione indistinta delle condotte di coltivazione. Trattandosi di “cose…la detenzione e l’alienazione delle quali costituisce reato” (art. 240, comma 2, n. 2, c.p.), va disposta la confisca e la distruzione (ai sensi dell’art. 87, comma 4, T.U. 309/90) della sostanza stupefacente in sequestro. P.Q.M. Letto l’art. 425 c.p.p., dichiara non luogo a procedere nei confronti di P. P., C. T. e D. A. in ordine al reato loro ascritto perché il fatto non sussiste. Letto l’art. 87 D.P.R. 309/90, ordina la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro. Avellino, 26.3.2014 Il Giudice dell’udienza preliminare Dott. Giuseppe Riccardi 6