Borriello_imp:Borriello_imp 15-12-2010 10:31 Pagina 273 G. Borriello et al. Large Animal Review 2010; 16: 273-283 273 La febbre Q negli animali domestici G. BORRIELLO, G. IOVANE, G. GALIERO Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Via Salute 2, 80055 Portici (NA) RIASSUNTO La febbre Q è una zoonosi ampiamente diffusa causata da C. burnetii. Questo patogeno Gram-negativo intracellulare obbligato può infettare un ampio numero di specie animali, e i ruminanti domestici sono considerati la più importante fonte di infezione per l’uomo. La principale modalità di trasmissione è rappresentata dall’inalazione di aerosol infetto. La malattia in forma acuta nell’uomo presenta un quadro clinico complesso, variabile da sieroconversione asintomatica, episodi febbrili auto-limitanti fino a epatite e polmonite. La febbre Q può assumere anche una forma cronica, caratterizzata principalmente da endocardite, e talvolta avere esito letale. Negli animali, invece, l’infezione da C. burnetii è generalmente asintomatica, anche se gli animali infetti possono eliminare questo patogeno in modo intermittente attraverso feci, urine, latte e lochiazioni. I principali sintomi clinici eventualmente riscontrabili negli allevamenti sono rappresentati da disordini riproduttivi, quali aborti, parti prematuri e ipofertilità. Al momento negli stati europei non è ancora chiara l’esatta diffusione della febbre Q nell’uomo e nei ruminanti domestici, anche in virtù dell’assenza di regole o raccomandazioni armonizzate per il monitoraggio e la segnalazione della malattia negli animali. Nella pratica veterinaria, ai fini diagnostici, si ricorre ai test sierologici per la ricerca di anticorpi specifici e alla PCR per la ricerca di Coxiella in feti, tamponi e latte. La vaccinazione appare l’unica strategia efficace per il controllo e la prevenzione della febbre Q nei ruminanti domestici. PAROLE CHIAVE Coxiella burnetii, febbre Q, diagnosi, epidemiologia. INTRODUZIONE AGENTE EZIOLOGICO La febbre Q è una zoonosi causata da Coxiella burnetii, un piccolo batterio intracellulare obbligato Gram-negativo diffuso in tutto il mondo, eccetto in Nuova Zelanda1. I ruminanti e gli animali domestici rappresentano le più importanti riserve di infezione, e la trasmissione all’uomo avviene principalmente attraverso l’inalazione di aerosol contaminati. La malattia è caratterizzata da quadri clinici molto diversi, variabili da una sieroconversione asintomatica o lievemente sintomatica, fino ad epatite o severa polmonite. La febbre Q è stata descritta per la prima volta nel 1935 come un episodio infettivo di malattia febbrile in lavoratori di un macello a Brisbane in Australia2. Derrik non riuscì ad identificare l’agente eziologico e pertanto definì la malattia “febbre indeterminata” (in inglese Query fever) da cui nacque il termine febbre Q. Successivamente, nel 1937, Burnet e Freeman3 isolarono un fastidioso germe intracellulare da cavie inoculate con sangue o feci appartenenti ai pazienti di Derrik, e lo classificarono come Rickettsia burnetii. Solo nel 1948 Philip4, sulla base delle caratteristiche colturali e biochimiche, riclassificò R. burnetii in un nuovo genere, Coxiella, così chiamato in onore di Herald R. Cox, che per primo isolò questo microrganismo negli USA. Studi filogenetici e molecolari basati sulla sequenza dell’rRNA 16S collocano C. burnetii nell’ordine delle Legionellales, nel gruppo gamma dei Proteobatteri, accanto a batteri come Legionella spp., Francisella tularensis e Rickettsiella spp.5 Coxiella si replica in cellule eucariotiche all’interno di vacuoli, nei mammiferi predilige monociti e macrofagi. Questo batterio mostra un complesso ciclo intracellulare, che porta alla formazione di forme simili a spore. Nelle cellule infette può essere ritrovato in due differenti forme, una metabolicamente inattiva, denominata SCV (dall’inglese “small-cell variant”) e una metabolicamente attiva, LCV (dall’inglese “large-cell variant”). La forma SCV appare come un bastoncello piccolo e compatto ed è molto resistente ad agenti fisico-chimici, inclusi disseccamento e i comuni disinfettanti, per cui è estremamente persistente nell’ambiente. La forma LCV è invece più grande e meno densa, è metabolicamente attiva e può differenziarsi attraverso un processo simile a quello della sporulazione nella forma SCV, che in seguito alla rottura della cellula ospite viene quindi rilasciata nell’ambiente esterno, dove può sopravvivere per lunghi periodi. Quando viene coltivata su uova embrionate o colture cellulari, C. burnetii esibisce una variazione antigenica associata alla perdita di virulenza. Questo microrganismo mostra infatti una forma patogena denominata fase I, isolata da cellule infette animali o umane, ed una forma avirulenta, denominata fase II, isolata dopo numerosi passaggi seriali su uova embrionate o colture cellulari. La fase II attenuata è caratterizzata da una grande delezione cromosomale che determina la perdita di alcuni determinanti cellulari di superficie1. Autore per la corrispondenza: Giorgia Borriello ([email protected]). Borriello_imp:Borriello_imp 274 15-12-2010 10:31 Pagina 274 La febbre Q negli animali domestici L’associazione tra specifiche caratteristiche di C. burnetii e il grado di virulenza del ceppo è una questione controversa ancora aperta, e sono state proposte varie teorie per spiegare la capacità dei diversi isolati di indurre infezioni acute o croniche. Numerosi studiosi hanno cercato di correlare la virulenza a specifici profili fenotipici e genetici del microrganismo. In particolare, l’analisi mediante SDS-PAGE dell’LPS isolato dalla fase I ha consentito di individuare tre gruppi fenotipici antigenicamente distinti, associati, il primo, ad episodi acuti dell’infezione riscontrati in diverse fonti (zecche, latte bovino e uomo), il secondo e il terzo ad episodi cronici in esseri umani6. Studi in letteratura mostrano che Coxiella possiede quattro diversi plasmidi, QpH1, QpRS, QpDV e QpDG7,8, in funzione dei quali, in associazione anche a profili di restrizione del DNA, C. burnetii può essere suddivisa in sei gruppi genetici, variamente correlati a specifici patotipi9. In particolare, i gruppi da I a III, che possiedono il plasmide QpH1, sono stati isolati da zecche, casi umani di febbre Q acuta, latte vaccino e prodotti di aborti di ruminanti domestici; i gruppi IV e V, che possiedono rispettivamente il plasmide QpRS o nessun plasmide (ma, in quest’ultimo caso, possiedono sequenze plasmidiche integrate nel DNA cromosomico), sono stati associati ad aborti di animali di interesse zootecnico e casi umani cronici di endocardite o epatite; il gruppo VI, che possiede il plasmide QpDG, isolato da roditori, è risultato avirulento in modelli murini sperimentali della malattia10,11. Studi successivi hanno classificato 80 ceppi di C. burnetii in 20 diversi profili genetici mediante analisi RFLP (analisi dei Polimorfismi della Lunghezza dei Frammenti di Restrizione). Nell’ambito di questa caratterizzazione, 4 profili corrispondono rispettivamente ai precedenti gruppi genetici I, IV, V e VI. Più in generale, i profili RFLP sono risultati associabili alla provenienza geografica dei ceppi analizzati12. Studi più recenti hanno variamente confermato l’esistenza dei suddetti gruppi genetici, identificando mediante tecnica MST (Multispacer Sequence Typing) tre grandi gruppi monofiletici, contenenti, rispettivamente, i gruppi I, II e III, il gruppo IV, e il gruppo V. Questi studi sembrano inoltre confermare le associazioni tra il plasmide QpDV e le infezioni acute, tra il plasmide QpRS e le infezioni croniche, e tra alcuni specifici genotipi e il particolare decorso della malattia13. Studi successivi14 condotti mediante tecnica microarray, confermano ulteriormente i gruppi genetici RFLP, ed aggiungono ai precedenti gruppi da I a VI, altri due grandi gruppi (VII e VIII). Questi stessi studi, inoltre, sottolineano l’importanza dei polimorfismi dei geni coinvolti nella biosintesi dell’LPS ai fini della virulenza di C. burnetii. Una linea opposta di pensiero vede invece esclusivamente nelle caratteristiche dell’ospite la causa principale del decorso dell’infezione, con conseguente sviluppo di uno stato acuto o cronico della malattia. Queste teorie nascono in primo luogo dal fatto che ceppi in possesso del plasmide QpH1 sono stati isolati in Francia da episodi sia acuti sia cronici di febbre Q umana, mentre ceppi privi del plasmide QpH1 hanno dimostrato di essere comunque capaci di indurre una sindrome acuta15. Sono stati perciò proposti dei modelli della malattia in cui uno stesso ceppo è in grado di causare sia il decorso cronico che quello acuto della febbre Q, unicamente in funzione della risposta immunitaria dell’ospite. In particolare, l’instaurarsi della sindrome cronica è stata associata ad una compromissione dello stato immunitario dell’ospite, come ad esempio in caso di infezione da virus dell’HIV, non- ché ad una aumentata produzione di IL-10, responsabile di una diminuzione della capacità dei macrofagi di eliminare C. burnetii a causa di un effetto inibitorio sulla maturazione del fagosoma5. Dati recenti16 sul comportamento di ceppi di C. burnetii appartenenti ai gruppi genetici I, IV, V e VI in modelli murini della febbre Q sembrano però confermare la teoria dell’associazione genotipo-patotipo. In questo studio, infatti, si è visto che ceppi associati ad episodi acuti (gruppo I) nel topo causano una progressione della malattia più rapida, inducono cambiamenti patologici maggiori e mostrano una velocità di proliferazione in vivo più alta rispetto ai ceppi associati ad episodi cronici (gruppi IV e V). Inoltre, i ceppi del gruppo I, rispetto agli altri, inducono nel topo una risposta immunitaria più forte, caratterizzata da una maggiore produzione di citochine infiammatorie per un periodo di tempo più lungo. VIE DI TRASMISSIONE Le modalità di infezione da C. burnetii sono svariate, e quella principale per l’uomo è costituita dall’inalazione di particelle infette (vedi Fig. 1). La trasmissione del batterio attraverso aerosol contaminati può avvenire mediante contatto diretto con animali infetti, o, in modo particolare, con i prodotti del parto, quali liquido amniotico e placenta, che possono a loro volta contaminare i nuovi nati o il mantello di altri animali. L’estrema resistenza di questo patogeno agli agenti esterni lo rende persistente nell’ambiente, soprattutto nelle zone dove sono presenti allevamenti di ruminanti domestici. C. burnetii può essere infatti facilmente trasmissibile attraverso fieno contaminato, e diffusa nell’ambiente circostante dal vento. Per questo motivo casi di febbre Q possono essere rinvenuti anche in pazienti che non hanno avuto evidenti contatti con animali. La trasmissione uomo-uomo risulta estremamente rara, sebbene si siano verificati casi di trasmissione di febbre Q attraverso contatto con partorienti, attraverso la via transplacentare (infezione congenita), attraverso rapporti sessuali (dimostrata in modelli murini dell’infezione17), trasfusioni di sangue18 e inoculazione intradermica. Le zecche non sono in grado di trasmettere l’infezione all’uomo, ma possono trasmetterla agli animali domestici, contribuendo così al mantenimento dell’agente infettivo nell’ambiente19. C. burnetii viene secreta nel latte, pertanto l’ingestione di cibi infetti quali latte crudo e prodotti lattiero-caseari a base di latte crudo rappresenta una possibile via di infezione1, anche se la somministrazione di latte contaminato a volontari ha fornito risultati contrastanti a riguardo20. La notevole trasmissibilità di C. burnetii rende il microrganismo molto pericoloso, in particolar modo per gli operatori del settore zootecnico e per il personale di laboratorio a contatto con materiale biologico potenzialmente infetto. Quest’ultimo deve pertanto essere manipolato da personale esperto in idoneo laboratorio di classe III20. C. burnetii è classificata come potenziale arma biologica di classe B21. La sua elevata infettività, la sua estrema capacità di persistenza nell’ambiente e la modalità di trasmissione aerea la rendono un agente batterico idoneo ad atti di bioterrorismo. È stato valutato infatti che l’inalazione di un’unica cellula batterica sarebbe sufficiente per indurre la malattia nell’uomo; inoltre l’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha stimato che se 50 kg di C. burnetii fossero aerosolizzati in Borriello_imp:Borriello_imp 15-12-2010 10:31 Pagina 275 G. Borriello et al. Large Animal Review 2010; 16: 273-283 275 Figura 1 - Modalità di trasmissione di Coxiella burnetii. un’area urbana di 500.000 abitanti, si registrerebbero 125.000 casi di malattia acuta, 9.000 casi di febbre Q cronica e 150 morti22. La modalità di trasmissione aerea della febbre Q rappresenta la principale via di infezione anche per gli animali, per i quali però, a differenza che per l’uomo, un ruolo importante nel contagio è svolto anche dalle punture di zecca. A queste vie di infezione si aggiungono il contatto diretto in allevamento con animali infetti, l’ingestione di placente o latte contaminati, nonché l’eventuale ingestione di roditori selvatici infetti20. PATOGENESI C. burnetii è un batterio strettamente intracellulare capace di infettare diversi tipi cellulari, principalmente monociti e macrofagi. Il suo ingresso nella cellula ospite è legato ad un meccanismo di fagocitosi, molto più efficiente nei confronti della fase II, avirulenta, rispetto alla fase I, virulenta. Questa differenza è dovuta al fatto che l’attacco dei batteri in fase I è mediato esclusivamente dall’integrina ανβ3, mentre quello dei batteri in fase II è mediato sia dall’integrina ανβ3 che dal recettore del complemento CR3. L’internalizzazione più effi- ciente determina una migliore replicazione intracellulare e spiega perché i batteri in fase II crescono più velocemente rispetto a quelli in fase I, giustificando quindi la trasformazione che si verifica dalla fase I alla fase II in seguito a crescita in colture cellulari. Entrambi i tipi possono essere rinvenuti nei fagosomi, ma solo la fase I riesce a sopravvivere nei macrofagi, mentre la fase II viene rapidamente eliminata. La capacità di C. burnetii di crescere all’interno delle cellule eucariotiche è legata all’adattamento al pH acido intracellulare. Un pH di 4.5, infatti, consente l’ingresso di nutrienti necessari per le funzioni metaboliche del batterio, e, al tempo stesso, conferisce protezione dall’azione di numerosi antibiotici, alterandone l’attività battericida. Nei macrofagi questo batterio si localizza in vacuoli dove sopravvive e prolifera grazie alla capacità di inibire la fusione del fagosoma col lisosoma5,20. La maturazione incompleta del fagosoma è dovuta sia alla mancata espressione del marker cellulare catepsina D, sia alla produzione esogena di IL-10 che pure interferisce con l’attività microbicida dei macrofagi. L’interferone-γ ripristina la fusione tra fagosoma e lisosoma consentendo pertanto l’eliminazione di C. burnetii. Esso inoltre induce l’alcalinizzazione dei vacuoli e controlla il metabolismo degli ioni nei macrofagi, inibendo pertanto la replicazione batterica intracellulare. L’interferone-γ, infine, contribuisce all’eliminazione Borriello_imp:Borriello_imp 276 15-12-2010 10:31 Pagina 276 La febbre Q negli animali domestici dei macrofagi infetti attraverso l’apoptosi, inducendo l’espressione di TNF sulla membrana cellulare. In seguito all’infezione, si osserva la produzione di specifiche immunoglobuline; in particolare, mentre la fase I stimola soltanto la produzione di IgM, la fase II stimola la produzione di IgM e IgG1. La sindrome acuta da febbre Q determina una risposta immune cellulo-mediata e la formazione di caratteristiche lesioni granulomatose che presentano uno spazio vuoto centrale (granulomi “a ciambella”). Il controllo della forma acuta prevede l’azione delle cellule T, che però risulta generalmente insufficiente per l’eliminazione completa del batterio23. Quando l’infezione assume una forma cronica, il livello di infiammazione diventa elevato, mentre l’immunità cellulo-mediata diventa difettiva. Infatti, è stato osservato che in pazienti affetti da endocardite cronica, aumenta la produzione delle citochine infiammatorie TNF e IL-6, mentre diminuisce la capacità dei linfociti di proliferare in risposta alla stimolazione con l’antigene di C. burnetii24. EPIDEMIOLOGIA La febbre Q è una zoonosi diffusa in tutto il mondo, ad eccezione della Nuova Zelanda. I serbatoi sono diversi ed includono molti mammiferi domestici e selvatici, uccelli ed artropodi come le zecche. Le principali fonti di infezione per l’uomo sono rappresentate dai ruminanti domestici, quali bovini, ovini e caprini. Gli animali sono spesso cronicamente infetti, ma quasi sempre asintomatici. Nelle femmine Coxiella si localizza nell’utero e nelle ghiandole mammarie e viene diffusa nell’ambiente attraverso i prodotti del parto, le feci, le urine e il latte25,26. Anche gli animali da affezione, inclusi cani, gatti e conigli, possono trasmettere l’infezione all’uomo27,28. Essi possono essere infettati da punture di zecca, ingestione di placente o latte provenienti da animali infetti, e attraverso l’inalazione di particelle contaminate. Nelle zecche, così come nei mammiferi, C. burnetii è in fase I, e quindi altamente contagiosa. Le zecche, però, non sono considerate essenziali nella diffusione del patogeno tra i ruminanti domestici, ma svolgono un ruolo importante nella trasmissione di Coxiella alla fauna selvatica, inclusi vertebrati, lagomorfi e uccelli. Esse inoltre possono diffondere notevoli quantità del microrganismo attraverso le feci, che possono a loro volta essere inalate sia dall’uomo che dagli animali. L’età e il sesso sembrano avere un ruolo nella patogenesi della febbre Q; in particolare, studi nell’uomo dimostrano che i soggetti di età inferiore a 15 anni sono meno sensibili rispetto ai soggetti più adulti20. Inoltre, il numero dei casi negli uomini è 2.5 volte maggiore rispetto a quello registrato nelle donne29. Negli animali in stato gravidico, la febbre Q diventa cronica e C. burnetii rimane nell’utero e nelle ghiandole mammarie, con la possibilità di essere riattivata da successive gravidanze30. FEBBRE Q IN EUROPA La febbre Q è endemica nei ruminanti domestici nella maggior parte, se non tutti, i paesi europei31. Sebbene l’infezione sia comune, la malattia è rara, ed ha un impatto limitato sulla salute degli animali. Anche nell’uomo l’infezione è presente in tutti gli stati membri dell’UE e, in alcune circostanze epidemiologiche, gli effetti sulla salute pubblica possono essere significativi. La malattia, molto spesso asintomatica, non viene sempre diagnosticata, di conseguenza i dati disponibili spesso sottostimano le dimensioni del fenomeno. Al momento negli stati europei non è ancora chiara l’esatta entità della febbre Q nell’uomo e nei ruminanti domestici. Non esistono regole o raccomandazioni armonizzate per il monitoraggio e la denuncia della malattia negli animali, dal momento che la febbre Q non è esplicitamente elencata nell’allegato I della Direttiva CE 99/2003 per il monitoraggio delle zoonosi e degli agenti zoonotici31. La febbre Q umana rientra invece tra le malattie con obbligo di notifica per quasi tutti gli stati membri, eccetto Belgio, Francia, Spagna e Regno Unito. Dati preliminari indicano che nel corso del 2007 sono stati notificati nel territorio europeo 585 casi umani, mentre nel 2008 ne sono stati segnalati 1594, con un incremento rispetto all’anno precedente del 172%. I dati europei in merito alla febbre Q negli animali indicano che la prevalenza generale della malattia nei ruminanti domestici è aumentata dal 7,4% al 10,0% nell’arco del periodo 2007-2008. In particolare, il maggiore incremento è stato registrato per le capre, con valori del 9,7% e 15,7% nel 2007 e nel 2008, rispettivamente. Gli Stati Membri maggiormente colpiti sono la Bulgaria, la Francia, la Germania e, in particolar modo, l’Olanda31. Dal 2007, infatti, questo stato sta affrontando un serio problema di febbre Q, ancora oggi in crescendo nonostante l’applicazione di una rigorosa strategia per il controllo della malattia. Tutti gli episodi epidemici osservati sono accomunati da identici fattori di rischio. In particolare, la maggior parte dei casi appare riconducibile ad uno stretto contatto della popolazione con allevamenti di ruminanti domestici, soprattutto ovi-caprini, sia in relazione all’ubicazione degli allevamenti che alla consistenza e ai percorsi seguiti dalle greggi. Un maggior numero di casi è stato spesso registrato durante o subito dopo il periodo dei parti. Ancora, le condizioni climatiche caratterizzate da clima secco e ventoso delle aree colpite sembrano giocare un ruolo importante nella trasmissione della malattia. Inoltre, un altro fattore di rischio è rappresentato dalla vita e/o dallo svolgimento di attività lavorative, sportive o sociali nei pressi di zone agricole concimate con letame. Infine, anche la presenza di ulteriori reservoir naturali di infezione (come animali selvatici o zecche) nei pressi di zone abitate o adibite ad allevamenti contribuisce notevolmente al mantenimento dell’agente infettivo nell’ambiente. Questi fattori indicano che la qualità della gestione dell’allevamento è un punto critico per il controllo della febbre Q, non solo negli animali, ma anche nell’uomo31. FEBBRE Q IN ITALIA In Italia la febbre Q nell’uomo è stata osservata per la prima volta nel 1944-45 fra le truppe alleate in forma epidemica. Successivamente la malattia ha assunto un carattere endemico con focolai sporadici, di origine zoonotica. Il più recente focolaio epidemico di febbre Q risale all’estate-autunno del 1993 nella provincia di Vicenza, con 58 casi diagnosticati mediante fissazione del complemento in un periodo di cinque mesi1. La causa della diffusione dell’infezione fu associata alla presenza di greggi infette pascolanti nelle zone limitrofe. Borriello_imp:Borriello_imp 15-12-2010 10:31 Pagina 279 G. Borriello et al. Large Animal Review 2010; 16: 273-283 Nei ruminanti domestici C. burnetii è ampiamente diffusa in tutta la penisola, incluse le isole. In aziende bovine lombarde, l’analisi del latte mediante PCR ha mostrato una positività del 40%32, ed è stata riscontrata un’associazione significativa tra la positività sierologica e l’aborto33. In Italia meridionale la presenza di C. burnetii in allevamenti bovini e ovicaprini è risultata essere dell’11,6% e 21,5%, rispettivamente34. Nella specie bufalina sono stati riscontrati valori di prevalenza interaziendale variabili dal 17 al 23%35,36. DESCRIZIONE DELLA MALATTIA La febbre Q si contraddistingue per il suo polimorfismo clinico, che rende pertanto possibile la diagnosi della malattia solo se vengono effettuati specifici test di laboratorio. È probabile che svariati fattori influiscano sulle manifestazioni cliniche dell’infezione da C. burnetii. Tra questi sicuramente rientrano la via di infezione e la dose di cellule infettanti, così come il sesso e l’età20. Nell’uomo la manifestazione clinica della malattia può consistere in una sieroconversione asintomatica, in una forma acuta della malattia, variabile da episodi febbrili autolimitanti, fino a epatite granulomatosa o severa polmonite, o in una forma cronica, con insorgenza di endocardite. Nelle forme acute il periodo di incubazione è in media di 20 giorni. Gli episodi febbrili sono spesso associati a forti mal di testa e sono caratterizzati da una temperatura intorno ai 39-40°C, che di solito resta elevata durante tutta la giornata per poi tornare alla normalità dopo circa 5-14 giorni. La polmonite atipica è tra le più comuni manifestazioni acute dell’infezione da C. burnetii. La maggior parte dei casi presenta sintomi nulli o lievi, caratterizzati da tosse non produttiva, febbre e lievi anormalità all’auscultazione; in alcuni pazienti invece si possono presentare gravi stress respiratori e diffusione del batterio nella pleura. La durata dei sintomi varia da 10 a 90 giorni, con una mortalità di circa 0,5-1,5%. L’epatite è la manifestazione clinica più comune della febbre Q, e può essere asintomatica, accompagnata da epatomegalia o da caratteristici granulomi e febbre prolungata20. Raramente (2% dei casi) possono verificarsi pericarditi, miocarditi, sintomi neurologici (variabili dai più comuni mal di testa a meningiti, meningoencefaliti o neuropatie periferiche). Le lesioni dermatologiche sono più comuni di quanto si pensi e includono rash cutanei puntiformi transitori, eruzioni maculopapulose e, più raramente, eritema nodoso5. La febbre Q può anche comportare senso cronico di stanchezza e, nelle donne in gravidanza, può causare aborto. Le forme croniche colpiscono quasi esclusivamente individui con condizioni predisponenti, quali lesioni delle valvole cardiache, problemi vascolari o immunodeficienza, e i sintomi possono manifestarsi anche dopo mesi o anni dall’infezione. Le endocarditi e le infezioni vascolari da febbre Q cronica hanno generalmente un esito letale se non vengono trattate con idonei antibiotici per un periodo minimo di 18 mesi fino a un trattamento a vita1. Nei ruminanti domestici, contrariamente a quanto accade per l’uomo, l’infezione da C. burnetii è quasi sempre asintomatica. Durante la fase acuta C. burnetii può essere ritrovata nel sangue, nei polmoni, nella milza e nel fegato. Nei bovini le principali manifestazioni patologiche di febbre Q associate ad infezioni croniche sono costituite da ipoferti- 279 lità, metriti e minor peso dei vitelli alla nascita, più raramente da aborti e nascita di soggetti prematuri. In allevamenti asintomatici ma sieropositivi, Coxiella può essere eliminata attraverso il latte. L’escrezione può durare parecchi mesi (fino a 32) ed essere continua o intermittente e, in alcuni casi, essere associata a mastiti subcliniche croniche37. In allevamenti bovini con problemi riproduttivi, le femmine infette eliminano Coxiella prevalentemente attraverso le lochiazioni, ma anche mediante feci, urine e latte38. L’eliminazione del microrganismo attraverso queste vie può persistere per parecchi mesi, anche per i soggetti che non hanno presentato problemi al momento del parto39. Nessuna di queste vie di escrezione appare però avere un ruolo predominante rispetto alle altre nei soggetti eliminatori, che spesso ne utilizzano una sola. Gli ovi-caprini, così come i bovini, sono considerati i principali serbatoi di infezione per l’uomo. Anch’essi risultano quasi sempre asintomatici, e le più comuni manifestazioni patologiche di febbre Q cronica sono costituite da aborti e nascita di soggetti prematuri. In allevamenti ovi-caprini con problemi riproduttivi, gli animali eliminano il batterio contemporaneamente attraverso muco vaginale, feci e latte. In particolare, però, le capre eliminano C. burnetii in misura maggiore attraverso il latte, le pecore principalmente attraverso muco vaginale o feci. Invece, allevamenti ovini asintomatici ma sieropositivi sono risultati sempre negativi alla ricerca di C. burnetii nel latte mediante analisi PCR40. Le differenze nei profili di eliminazione del batterio tra bovini e ovi-caprini possono spiegare perché questi ultimi sono identificati più frequentemente rispetto ai primi come causa di contagio dell’uomo40. Recentemente la presenza di C. burnetii è stata accertata anche nella bufala mediterranea (Bubalus bubalis) nella quale determina disordini riproduttivi e aborto35. TECNICHE DIAGNOSTICHE L’estrema virulenza di C. burnetii rende necessario che la manipolazione del materiale infetto venga effettuata soltanto da personale esperto ed in idonei laboratori di classe III. I metodi indiretti includono l’immunofluorescenza indiretta (IFA), test ELISA e la fissazione del complemento (FDC) da effettuare su campioni di siero, o, nel caso dell’ELISA, anche su campioni di latte. Tali metodi risultano utili per lo screening di un numero elevato di campioni, come nel caso di allevamenti interi, ma presentano lo svantaggio di avere un’interpretazione a livello del singolo animale non sempre chiara. Infatti alcuni animali possono rimanere sieropositivi per parecchi anni in seguito all’infezione acuta, altri animali ancor prima della sieroconversione possono già eliminare C. burnetii nell’ambiente e rappresentare pertanto un fattore di rischio di infezione, mentre altri animali non sieroconvertono1. Attualmente non esistono test diagnostici in grado di differenziare gli animali naturalmente infetti da quelli vaccinati. I metodi diretti mirano invece all’isolamento e all’identificazione dell’agente infettivo. I campioni adatti allo scopo sono principalmente rappresentati da placenta, muchi vaginali, latte, colostro, feci e tessuti dei feti abortiti quali fegato, polmone e contenuto dello stomaco, raccolti subito dopo l’aborto. Le tecniche di colorazione più idonee sono Stamp, Gimenez, Macchiavello, Giemsa e Koster modificata41, ma han- Borriello_imp:Borriello_imp 280 15-12-2010 10:31 Pagina 280 La febbre Q negli animali domestici no il limite di essere poco specifiche. Un’altra tecnica diagnostica di rilevamento è quella che si avvale dell’immunoistochimica, la quale, però, viene limitata dalla non disponibilità in commercio di anticorpi specifici. La ricerca di C. burnetii si effettua oggi principalmente mediante PCR. Questo metodo presenta innumerevoli vantaggi perché è altamente specifico e sensibile, consente di inattivare il microrganismo mediante riscaldamento a 90°C per 30-60 min, consente di lavorare sulle diverse tipologie di campioni senza necessitare del batterio isolato. Per contro ha lo svantaggio di non consentire l’isolamento del batterio. Le sequenze target per la PCR sono numerose, e la più utilizzata è una sequenza ampiamente ripetuta nel genoma di Coxiella, la IS1111 (accession number M80806), che proprio per questo motivo rende la tecnica ancora più sensibile. La PCR è dunque un metodo efficace per l’individuazione degli animali eliminatori. Recentemente sono stati messi a punto dei protocolli di PCR Real-Time per l’identificazione e la quantificazione del numero di batteri presenti in una matrice biologica. La quantificazione di C. burnetii nei prodotti dell’aborto è un’informazione di notevole importanza perché è alla base della corretta diagnosi di questo microrganismo quale agente abortigeno42. Quando necessario, l’isolamento diretto di C. burnetii può essere effettuato mediante inoculo in uova embrionate di pollo, in animali da laboratorio o in colture cellulari. Sebbene questo microrganismo sia stato isolato con successo da cavie e topi, queste metodiche sono state abbandonate a causa del loro elevato livello di rischio, anche se possono essere necessarie in caso di isolamento di Coxiella a partire da campioni contaminati da elevate cariche di più specie batteriche41. Per l’isolamento diretto Raoult e colleghi43 hanno messo a punto un sistema di micro-colture cellulari (shell-vial cell culture) adatto a tutti i patogeni strettamente intracellulari, inclusa C. burnetii. Questo metodo è stato sviluppato per la diagnostica umana, ma ha dato buoni risultati anche nell’applicazione veterinaria, ponendosi come valida alternativa all’utilizzo di uova embrionate e animali da laboratorio. La ricerca, l’isolamento e la successiva identificazione di C. burnetii si completano con la caratterizzazione molecolare, utile per studi epidemiologici. Tra i metodi molecolari sviluppati per la caratterizzazione dei ceppi batterici, l’analisi MLVA (Multiple Loci Variable Number of Tandem Repeats Analysis) sta oggi guadagnando sempre maggiore importanza per diverse ragioni, tra cui il suo elevato potere discriminante, la disponibilità online di intere sequenze genomiche, e il suo basso costo. Questa tecnica è attualmente quella di riferimento per la caratterizzazione genetica di importanti patogeni quali M. tuberculosis, B. antracis, e Y. pestis. Studi recenti hanno mostrato che l’applicazione di questa tecnica ad isolati di C. burnetii sia di origine animale che umana ha consentito di individuare 36 diversi profili genetici su un totale di 42 ceppi44. In linea di massima, nella pratica veterinaria, un allevamento o un gregge si può considerare clinicamente affetto da febbre Q se si verificano tre circostanze: aborti o nascite premature, presenza di C. burnetii in campioni provenienti da animali affetti (valutata mediante analisi PCR) e presenza di animali sieropositivi. Le linee guida proposte all’EFSA42 per la corretta diagnosi di C. burnetii quale agente abortigeno in allevamenti bovini/bufalini o ovi-caprini sono schematizzate nelle Figure 2 e 3, rispettivamente. TRATTAMENTO TERAPEUTICO Negli animali il trattamento antibiotico, costituito da due iniezioni di tetraciclina (20 mg/kg) durante l’ultimo mese di gestazione, è spesso usato per ridurre il numero di aborti e il livello di eliminazione di C. burnetii durante il parto. L’efficacia di questo trattamento però non è mai stata valutata in modo accurato. È stato infatti dimostrato che questo trattamento non previene del tutto né l’aborto45, né l’eliminazione di Coxiella durante il parto46. La profilassi basata su trattamento antibiotico presenta quindi il vantaggio di ridurre il rischio di aborto, ma non comporta l’eradicazione della malattia. Infatti, in seguito al trattamento antibiotico, gli animali possono continuare ad eliminare Coxiella anche quando risultano clinicamente guariti. PROFILASSI Durante episodi infettivi di febbre Q la diffusione di Coxiella nell’allevamento può essere prevenuta o quanto meno ridotta applicando misure di controllo che includano stringenti protocolli di igiene, allo scopo di prevenire la contaminazione ambientale (compostaggio del letame, lotta contro reservoir naturali, separazione delle aree adibite al parto e ai nuovi nati, pronta eliminazione delle lochiazioni e dei prodotti dell’aborto) ed eventuale abbattimento di animali sieropositivi e/o eliminatori del batterio. La vaccinazione sembra essere l’unica strategia per il controllo della malattia. Attualmente esistono due tipologie di vaccini, uno rivolto contro la fase I (virulenta), e l’altro rivolto contro la fase II (avirulenta). In Italia al momento non esiste alcun vaccino registrato. I prodotti commerciali disponibili all’estero sono il Q-vax® (per uso umano), il Coxevac® (per uso veterinario), e il Chlamivax FQ® (per uso veterinario, rivolto anche contro la Chlamydophila abortus). Con l’impiego del vaccino non si elimina il rischio di escrezione del microrganismo da parte di animali infetti. La vaccinazione è pertanto consigliabile solo su allevamenti sieronegativi. L’impiego del vaccino anti-fase I nella pratica veterinaria risulta quindi non solo utile per il controllo della malattia all’interno dell’allevamento, ma anche efficace contro la diffusione della malattia negli allevamenti limitrofi nonché nell’uomo. CONCLUSIONI I numerosi casi di febbre Q negli animali e nell’uomo recentemente verificatisi in Olanda hanno riacceso l’attenzione delle autorità sanitarie e della comunità scientifica su una malattia per troppo tempo trascurata. La segnalazione della presenza di tale patologia anche in Italia, per quanto episodica e frutto di indagini epidemiologiche estemporanee, necessita di specifici approfondimenti diagnostici ad iniziare da tutti i casi di aborto e di ipofertilità che si registrano nelle aziende bovine, bufaline e ovi-caprine. A questi si potrebbero affiancare opportuni piani di monitoraggio per l’attenta valutazione della prevalenza della patologia, che ad oggi appare ampiamente sottostimata. I dati così ottenuti potrebbero costituire la base per la pianificazione di attività di controllo e profilassi mirate a contenere l’impatto economico e Borriello_imp:Borriello_imp 15-12-2010 10:31 Pagina 281 G. Borriello et al. Large Animal Review 2010; 16: 273-283 281 Figura 2 - Linee guida per la diagnosi di febbre Q in allevamenti bovini/bufalini. sanitario che la malattia determinerebbe se dovesse diffondersi in maniera incontrollata sul territorio. ❚ Q fever in domestic ruminants SUMMARY Q fever is a worldwide zoonosis caused by C. burnetii. This obligate intracellular Gram-negative pathogen can infect a wide range of animal species, with domestic ruminants as the main reservoirs of infection and source of contamination for humans. The primary route of transmission consists of inhalation of contaminated aerosols. The acute syndrome in man is associated with a wide clinical spectrum, varying from asymptomatic seroconversion, self-limiting febrile episodes to hepatitis and pneumonia. This illness can also occur in a chronic form, mainly characterized by endocarditis, and sometimes can have a lethal outcome. In contrast in animals Borriello_imp:Borriello_imp 282 15-12-2010 10:31 Pagina 282 La febbre Q negli animali domestici Figura 3 - Linee guida per la diagnosi di febbre Q in allevamenti ovi-caprini. C. burnetii infection is generally asymptomatic, even if infected animals can shed intermittently this pathogen in faeces, urine, milk and birth products. Clinical symptoms eventually occurring in ruminant herds are mainly represented by reproductive disorders, such as premature birth, dead or weak offspring and infertility. At present in European countries it is not yet clear the exact spreading of Q fever in animals and humans, mainly because of the absence of harmonized rules or recommendations for the monitoring and reporting of this disease in animals. In animals Q fever diagnosis is accomplished by specific antibodies detection by serological methods, and PCR detection of C. burnetii in different biological samples, including milk, faeces and abortion material. Vaccination represents the only effective strategy to control and prevent abortions and shedding of the bacteria in domestic ruminants. KEY WORDS Coxiella burnetii, Q fever, diagnosis, epidemiology. Bibliografia 1. Maurin M., Raoult D. (1999) Q fever. Clin Microbiol Rev, 12: 518-553. 2. Derrick E.H. (1937) Q fever, a new fever entity clinical features, diagnosis and laboratory investigation. Med J Aust, 2: 281-299. 3. Burnet F.M., Freeman M. (1937) Experimental studies on the virus of “Q” fever. Med J Aust, 2: 299-305. 4. Philip C.B. (1948) Comments on the name of the Q fever organism. Public Health Rep, 63: 58-59. 5. Raoult D., Marrie T., Mege J. (2005) Natural history and pathophysiology of Q fever. Lancet Infect Dis, 5: 219-226. 6. Hackstadt T. (1986) Antigenic variation in the phase I lipopolysaccharide of Coxiella burnetii isolates. Infect Immun, 52: 337-340. 7. Samuel J.E., Frazier M.E., Mallavia L.P. (1985) Correlation of plasmid type and disease caused by Coxiella burnetii. 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Da quest’anno questo servizio straordinario è offerto gratuitamente ai soci delle Società SCIVAC, SIVAR, SIVE, SIVAE, SIVAL, AIVEMP ed ai soci delle Società Specialistiche SCIVAC e SIVE in regola con il pagamento della quota associativa per l’anno in corso. Per accedere al servizio è necessario entrare nella propria pagina di Ego al sito http://ego.evsrl.it tramite le user name e password stampate su tutte le ricevute di iscrizioni associative o versamento di caparre rilasciate da EV. Se hai smarrito o non hai mai ricevuto il nome utente e la password per accedere a Ego, puoi riceverla compilando il box on line apposito nel sito http://ego.evsrl.it o scrivendo a [email protected] o telefonando alla Segreteria EV allo 0372 46040. IMPORTANTE: il servizio funziona solo se il browser consente l’apertura delle finestre a comparsa (popup). 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