Doctis Ardua D OSSIER S IRIA Tra il rischio di un intervento armato incerto e i nuovi spazi di manovra per una diplomazia in affanno. Tutto quello che è accaduto e che potrebbe ancora accadere in Siria. Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 SOMMARIO SOMMARIO 1 L’ALLEANZA ATLANTICA TRA TRA DUE FUOCHI: DIPLOMAZIA E IMPIEGO DELLE ARMI di Ilaria De Napoli 5 L’EUROPA NON VUOLE I MILITARI di Ilaria De Napoli 7 LA LEGA EGA ARABA CHIAMA LE NAZIONI UNITE di Gerardo Fortuna 8 IL LIBANO NUOVAMENTE DIVISO di Gerardo Fortuna 9 LA POSIZIONE CAUTA DI BAGHDAD di Marcella Centaro 12 GLI SCHIERAMENTI INTERNAZIONALI INTERNAZIONALI DI FRONTE ALLA CRISI di Paolo Balmas 14 CHI SONO GLI ALAWITI? di Federica De Paola 15 LA PROTEZIONE REPUBBLICANA REPUBBLICANA E LE FORZE SPECIALI SPECIALI di Roberto Angiuoni 18 1 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 I GRUPPI D’OPPOSIZIONE di Federica De Paola 20 LE ARMI CHIMICHE E I GAS NERVINI di Elisa del Greco 22 IL PROBLEMA DEI RIFUGIATI RIFUGIATI di Marzia Nobile 26 GLI ARMAMENTI CONTRAPPOSTI CONTRAPPOSTI di Paolo Balmas 27 MEDITERRANEO ORIENTALE LA PRESENZA NAVALE ITALIANA NEL MEDITERRANEO di Ilaria De Napoli 30 I GRANDI DIVISI A SANPIETROBURGO di Marcella Centaro 32 LA SOLUZIONE LAVROV: UNA TERZA VIA di Ilaria De Napoli 34 GLI AUTORI 37 2 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 Doctis Ardua Periodico di approfondimento geopolitico dell’Associazione Istrid Analysis Dossier Siria Anno I, n. 1 – Settembre 2013 Comitato di redazione: Daniele Cellamare, Paolo Balmas, Gerardo Fortuna Coordinamento redazionale: Paolo Balmas Layout: Gerardo Fortuna Istrid Analysis [email protected] www.doctisardua.com 3 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 Area: 185,180 km2 Popolazione: 21,906,000 (World Health Organisation, 2009) – 2,000,000 di profughi Lingue: Arabo (ufficiale), Curdo, Armeno, Aramaico, Circasso, Turco, Inglese, Francese Religioni: Islam sunnita, Sciita, Drusa; Cristiana (Greca ortodossa, Siriana ortodossa, Greca cattolica, Assira, Armena ortodossa, Protestante); Ebraica; Yazidismo Stati confinanti: Libano, Israele, Giordania, Iraq, Turchia Capitale: Damasco Porto principale: principale: Latakia (Al-Ladhiqiyah) Aeroporto principale: Damascus International Moneta: Sterlina siriana (1€ = 172,47 SYP) * 4 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 L’ALLEANZA ATLANTICA TRA DUE FUOCHI: DIPLOMAZIA E IMPIEGO DELLE ARMI La posizione dell’Alleanza Atlantica sulla questione siriana non è di facile valutazione. Non è possibile confinarla nella linea dell’interventismo, così come non si possono definire all'opposto i tentativi di perseguire una soluzione diplomatica. L’organizzazione politica – con il suo forte braccio militare – ha monitorato la crisi siriana sin dall'inizio, auspicando che le tensioni potessero conoscere una graduale recessione, fino a ripiegare su una soluzione politica interna senza necessità di alcuna intromissione dall’esterno. Nell'estate del 2012, Rasmussen commentava l’intensificarsi delle violenze a Damasco dichiarando pubblicamente che la NATO non aveva alcuna intenzione di condurre un’operazione militare in Siria e, a chi domandava come avrebbe replicato in La NATO risulta spaccata a metà tra due caso di utilizzo di armi chimiche, il posizioni inconciliabili che al momento non fanno altro che paralizzarne l’azione. Segretario generale ribadiva che non c’era alcuna base per credere che il governo potesse impiegare questo tipo di armi. L’Alleanza doveva quindi inviare un messaggio univoco al governo di Damasco, unendosi all’orientamento comune internazionale di supporto al dialogo politico, con l'appello al regime affinché si aprisse alla discussione con tutto il popolo siriano e i rappresentanti delle diverse fazioni politiche. Un anno dopo è stata superata la cosiddetta linea rossa delle armi chimiche e il mondo si è interrogato sui possibili scenari e le opzioni da perseguire. Già prima dell’attacco del 21 agosto 2013, la NATO aveva messo in guardia il regime: qualsiasi violenza estesa all’interno di uno Stato membro sarebbe stata considerata danno nei confronti dell’intera organizzazione e violazione del diritto internazionale. Uno Stato membro come la Turchia, infatti, è sottoposto a continui rischi di spillover e il 2 settembre 2013 Rasmussen forza la mano: un eventuale contagio del conflitto in direzione Ankara costituirà un’automatica estensione del conflitto a tutti gli Stati dell’Alleanza Atlantica, come previsto dal principio della difesa collettiva sancito nell’articolo 4 e 5 del Trattato di Washington. Considerando che la Turchia è uno degli Stati che ha maggiori interessi a diventare protagonista di un eventuale intervento internazionale (e che la Francia, tra i paesi fondatori, ha già espresso il proprio favore in questo senso), la NATO risulta spaccata a metà tra due posizioni inconciliabili che al momento non fanno altro che paralizzarne l’azione. 5 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 Quasi tutti gli Stati europei sono anche membri dell’Alleanza Atlantica e i leader occidentali non possono prescindere dalle prese di posizione dell’Europa e del Servizio di Azione Esterna. E così, dopo il G20, si è complicato lo scacchiere delle decisioni, in attesa di una presa di posizione definitiva di Washington e soprattutto in attesa di una nuova discussione in seno al Consiglio di Sicurezza, sotto scacco della Russia e della Cina, e con la bilancia della comunità internazionale che pende per il non intervento. In un’area atlantica a maggioranza non interventista rimangono un Obama guardingo e un Hollande recalcitrante, uniti ad Ankara che non è affatto ritrosa a intervenire in Siria anche senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Ilaria De Napoli L’EUROPA NON VUOLE I MILITARI L’esplosione della crisi siriana e la dura repressione delle proteste da parte del governo di Damasco hanno portato l’Unione ad arretrare rispetto al processo di avvicinamento politico che aveva intrapreso con il paese. La Siria rappresenta un’area importante per l’Europa, soprattutto nei settori commerciali e di investimento finanziario. Tuttavia, a partire dalla metà del marzo del 2011, sono state condotte una serie di misure restrittive rispetto al precedente impulso, orientato allo sviluppo di una cooperazione economica e sociale con il governo di Damasco. Applicando le misure restrittive previste dal Trattato UE all’art. 215, l’Unione ha congelato i beni e bandito ogni traffico commerciale proveniente dal paese, imponendo inoltre l’embargo di armi e di qualsiasi altro tipo di equipaggiamento che potesse essere utilizzato dal regime per la repressione interna. Dichiarando inaccettabili i livelli di violenza raggiunti sul territorio e manifestando preoccupazione per il deterioramento delle condizioni dello Stato, il Consiglio degli Affari Esteri dell’Unione Europea ha provveduto a sospendere tutti i programmi di cooperazione bilaterale intrapresi nell’ambito delle politiche di Vicinato e dell’Unione del Mediterraneo, di cui la Siria è membro. In seguito alle preoccupazione dell’Occidente circa un inasprimento della crisi siriana, che potrebbe ripercuotersi nei territori vicini, l’Unione ha sospeso ogni politica di supporto alle riforme domestiche interne della Siria, precedentemente sostenute. Dal maggio del 2013 le istituzioni europee hanno promosso l’apertura al dialogo, sollecitando la via della soluzione politica per un conflitto che colpisce in particolare la popolazione civile, senza alcun riguardo per il rispetto dei diritti umani. 6 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 L’Unione ha investito più di 800 milioni di euro per garantire assistenza alla popolazione, e ha accettato come rappresentante legittimo del popolo siriano la Coalizione Nazionale delle Forze di Opposizione e Rivoluzionarie della Siria (Soc) nella speranza che costituisca nel nuovo paese libero un ordinamento democratico, secondo i principi di inclusione e di pluralismo, che rispetti i diritti umani e delle minoranze etniche e religiose. Nell’ultimo position paper dell’Unione, il Consiglio ha dichiarato che l’Europa continuerà a collaborare con tutte le parti politiche coinvolte in questo processo di risoluzione diplomatica della crisi, specialmente con le Nazioni Unite e con la Lega Araba, per sostenere le vittime siriane e condannare l’uso della violenza incondizionata portata avanti tanto dalle forze ribelli quanto dall’esercito governativo. Tuttavia, mentre la posizione istituzionale europea condanna la violenza promuovendo una soluzione politica, tra gli Stati membri spicca la posizione interventista della Francia che, ancor prima di qualunque decisione delle Nazioni Unite, già sostiene la linea dell’azione militare presentandosi come l’unico partner occidentale pronto a intervenire militarmente in Siria al fianco di Washington. Solo nell’incontro informale del 6 settembre 2013 a Vilnius, che ha Riemerge una delle principale linee guida visto riuniti i ministri degli Esteri dei dell’Unione, ovvero la predilezione per la 28 paesi, Bruxelles è riuscita a diplomazia. Una diplomazia che, allo stesso esprimere finalmente una voce tempo, fatica però ad essere espressa in un univoca, dopo i tentativi falliti di solo coro. rispondere congiuntamente ai punti delicati della crisi toccati durante il G20 di San Pietroburgo. I ministri hanno convenuto che le basi militari di Londra e di Nicosia non saranno messe a disposizione per alcuna azione militare e tutti i paesi membri, tranne la Francia, hanno ritenuto che nessuna decisione in merito debba essere presa senza un mandato internazionale dell’ONU. Per l’Europa rimane prioritaria un’azione di tipo politico: le linee guida del Consiglio dei Diritti Umani (con i lavori dal 9 al 27 settembre 2013) saranno proprio l’interesse alla promozione della pace e alla protezione dei diritti umani. Ovviamente, anche la Siria sarà tra i temi principali in agenda, e qualsiasi risoluzione al riguardo non mancherà di richiamare l’attenzione del mondo sulla precaria situazione umanitaria e sulla necessità di sostenere con ogni sforzo possibile le indagini della Commissione internazionale di inchiesta. Così, mentre l’Europa studia i nuovi orizzonti della difesa comunitaria, riemerge una delle principale linee guida dell’Unione, ovvero la predilezione per la diplomazia. Una diplomazia che, allo stesso tempo, fatica però ad essere espressa in un solo coro. Ilaria De Napoli 7 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 LA LEGA ARABA CHIAMA LE NAZIONI UNITE I ministri degli affari Esteri della Lega Araba si sono riuniti il 1° settembre 2013 in un vertice straordinario d’emergenza, tenuto al Cairo, per cercare una posizione comune alla luce dei frenetici sviluppi della questione siriana. Tutti gli Stati della Lega hanno firmato il comunicato finale in cui si afferma la responsabilità del presidente siriano Bashar alAssad per i fatti di Ghouta del 21 agosto in cui, secondo fonti vicine ai ribelli, gli attacchi chimici del regime avrebbero provocato circa 1.400 morti. Come ha avuto modo di precisare successivamente il segretario Nabil El-Arabi, la Lega Araba non è ancora certa del fatto che le forze alawite abbiano usato il gas sarin, ma ad ogni modo la responsabilità per l’incolumità dei propri cittadini ricade sempre sul governo in carica, che ha comunque l’obbligo di proteggere i civili in questo tipo di situazioni. Sulla necessità di un intervento militare, l’organizzazione dei paesi arabi si è spaccata del tutto. Da una parte vi sono i paesi del Golfo, con l’Arabia Saudita in testa, disposti a sostenere un’azione decisa e immediata contro Assad; dall’altra i paesi che si oppongono a un attacco al di fuori del capitolo VII della Carta di San Francisco, come Libano, Egitto e Algeria, mentre una esigua minoranza rimane contraria a qualsiasi forma di intervento, sia esso militare che politico. L’attuale orientamento ufficiale della Lega Araba a riguardo resta quello di un’insolita neutralità d’attesa, confermata dal segretario El-Arabi, che vede come unico attore capace di un attacco I paesi arabi si sono svincolati da qualsiasi deterrente e punitivo contro il responsabilità sulla Siria e hanno chiamato governo siriano solo le Nazioni ai propri obblighi le litigiose potenze Unite. Un passo di lato, che svincola incapaci di trovare un fronte comune per i paesi arabi da qualsiasi una soluzione che eviti l’implosione del Medio Oriente. responsabilità e chiama ai propri obblighi le litigiose potenze incapaci di trovare un fronte comune per una soluzione che eviti l’implosione del Medio Oriente. Non a caso, lo stesso El-Arabi ha parlato dei rischi di una riproposizione della guerra fredda. Proprio su pressione di Lega Araba e Unione Europea, l’Onu aveva provveduto a rendere operativa la propria missione ispettiva a Damasco in seguito all’accordo raggiunto il 25 agosto dall’alto rappresentante per il disarmo, Angela Kane, e le autorità siriane. Il mandato del team di esperti, guidato dallo svedese Aake Sellström, si limitava però a un mero controllo sull’effettivo impiego di armi non convenzionali, senza approfondire l’eventuale responsabilità di una o dell’altra fazione in lotta, se confermati gli attacchi chimici. La comunità internazionale attende il rapporto degli 8 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 ispettori che, dopo aver raccolto campioni, informazioni e altri reperti nella periferia di Damasco, hanno annunciato che sarebbero tornati sui siti incriminati, pur non precisando alcuna data. Dal mese di agosto, Lakhdar Brahimi ha sostituito Kofi Annan nel ruolo di inviato delle Nazioni Unite e della Lega Araba per la Siria, e ha lasciato trapelare che negli ambienti Onu sono ormai abbastanza certi circa l’utilizzo di sostanze chimiche nell’attacco del 21 agosto; il dubbio è più che altro relativo a chi le abbia effettivamente utilizzate. Brahimi era presente anche al G20 di San Pietroburgo, dove ha continuato a lavorare per una soluzione politica della crisi auspicando una Ginevra 2, questa volta risolutiva. Anche il segretario Ban Ki-moon e gli alti rappresentanti delle Nazioni Unite persistono nei loro sforzi diplomatici, continuando a rimarcare l’illegalità di un intervento militare senza il necessario consenso del Consiglio di Sicurezza. Ma sembra essere proprio l’insuperabile situazione di stallo in seno al Consiglio di Sicurezza ad aver causato il deteriorarsi della situazione in Siria. Il silenzio di chi mantiene il monopolio dell’uso legittimo della forza porta inevitabilmente i 15 membri a disattendere le proprie responsabilità nel mantenimento della pace e della stabilità internazionale. Che la paralisi del Consiglio rappresenti il più preoccupante pericolo per la sicurezza dell’area, è dimostrato dal fatto che la stessa indagine del team di esperti era partita su iniziativa personale di Ban Ki-moon, mentre il coordinamento era stato affidato successivamente all’Ufficio per il Disarmo delle Nazioni Unite, dipartimento sempre interno al Segretariato. L’ultima riunione straordinaria del Consiglio, convocata proprio la notte seguente l’ormai certo attacco chimico, si era conclusa invece con l’ennesima dichiarazione di allerta precauzionale, al solito attenuata dalle obiezioni di Russia e Cina, senza che effettivamente venisse stabilita un’indagine e limitandosi a un generico proposito di fare chiarezza. Ci si può aspettare una reazione più ferma da parte dell’Onu nei confronti di Assad, una volta pubblicate le conclusioni a cui perverranno Sellström e la sua équipe. Ma i requisiti legali formali per un intervento in Siria approvato dal Consiglio, sembrano ancora lontani. Gerardo Fortuna IL LIBANO NUOVAMENTE DIVISO Il 6 settembre 2013, nel corso dell’incontro con il Consiglio supremo della Difesa a Beirut, il presidente libanese Michel Suleiman ha ribadito ufficialmente la propria contrarietà a un intervento militare in Siria a guida statunitense, pur condannando l’utilizzo di armi chimiche nel vicino paese. Qualche giorno prima, in un discorso televisivo, aveva espresso la necessità di trovare una soluzione politica alla crisi siriana senza alcuna 9 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 interferenza di carattere militare, prendendo poi le distanze da un’implicazione del paese dei cedri in qualsiasi sviluppo futuro in Siria. Anche in sede multilaterale, durante la riunione a porte chiuse dei ministri degli esteri della Lega araba del 1° settembre al Cairo, il Libano si è fermamente schierato tra i paesi contrari all’intervento militare insieme a Egitto, Iraq, Tunisia e Algeria. Una posizione ufficiale governativa tenuta inoltre dal primo ministro provvisorio Najib Mikati, dimissionario a fine marzo ma ancora in carica per la gestione degli affari correnti, che nel recente incontro con l’ambasciatrice francese in Libano, Patrice Paoli, ha rinnovato la neutralità di Beirut rispetto ai conflitti della regione. Ma ciò che preme principalmente risolvere, tra le complicazioni sociali che il conflitto siriano sta generando, è la questione dei rifugiati: in Libano sono più di 700.000, ovvero circa il 18% della popolazione totale. Grazie ai buoni uffici dell’UNHCR, il 4 settembre si sono riuniti a Ginevra per fronteggiare la crisi alcuni ministri di Iraq, Giordania, Libano e Turchia, rivolgendo un drammatico La questione siriana ha esacerbato le già appello alla comunità internazionale. pressanti tensioni interne, spaccando di In occasione dell’apertura dei giochi fatto il campo politico libanese in due della francofonia a Nizza, il fazioni, una a favore, l’altra contro Assad. presidente Suleiman ha incontrato il presidente francese François Hollande per discutere sulla proposta di creare un fondo a sostegno dei rifugiati siriani in Libano. Precedentemente, Suleiman si era pure espresso a favore della realizzazione di campi profughi in Siria vicino ai confini con il Libano, presidiati dai caschi blu delle Nazioni Unite. Se ferme appaiono l’opposizione a un’azione militare e l’interesse a una soluzione del problema rifugiati, non traspare invece un vero orientamento governativo di merito su Bashar al-Assad, né per quanto riguarda la sua responsabilità negli attacchi chimici, né sulla possibilità che possa continuare a guidare il paese. Al contrario, i gruppi politici libanesi restano apertamente e diversamente schierati, alimentando i propri storici contrasti con gli echi di guerra provenienti da Damasco. Proprio la questione siriana ha esacerbato le già pressanti tensioni interne, spaccando di fatto il campo politico libanese in due fazioni, una a favore, l’altra contro Assad. Una contrapposizione anzitutto sul campo principale di scontro: le milizie sciite di Hezbollah sono impegnate nel conflitto siriano accanto alle forze alawite, per la prima volta in lotta contro altri arabi e non contro Israele. I sunniti, invece, appoggiano apertamente i ribelli anti-regime. Ma il contrasto si sta estendendo anche oltre i confini siriani, fino a ricadere in quelli interni libanesi. L’ex premier Mikati è stato costretto a rassegnare le dimissioni proprio per non essere riuscito a ricomporre la pericolosa frattura che sta riportando il Libano sull’orlo di una nuova guerra civile. Da mesi intercorrono a nord di Beirut, a Tripoli e a Sidone, violenti scontri tra gruppi armati sunniti e alawiti, mentre il 23 agosto 2013 due attentati dinamitardi a Tripoli, davanti a due moschee sunnite, 10 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 hanno provocato oltre 50 morti e 500 feriti, segnando la giornata più sanguinosa dalla fine della guerra civile del 1990. Nonostante il rischio di un pericoloso vuoto politico a seguito delle dimissioni di Mikati, le consultazioni del presidente Suleiman hanno avuto dopo due settimane un esito positivo, quando le preferenze dei gruppi parlamentari sono confluite sul moderato Tammam Salam, a cui è stato affidato l’incarico di formare un esecutivo di interesse nazionale. Esponente sunnita, certamente vicino all’Arabia Saudita, quella di Salam è una figura gradita anche al “Fronte 8 Marzo” guidato da Hezbollah, perché appartenente alla corrente di notabili sunniti rimasti nell’ombra dopo l’ascesa politica della famiglia Hariri a partire dal 1992, quindi non apertamente contro la Siria e meno favorevole all’ingerenza americana nel paese rispetto ai principali esponenti del “Fronte 14 Marzo” guidato dall’ex premier Saad Hariri. Il primo ministro designato vorrebbe guidare il governo perseguendo la strada della neutralità circa gli affari interni siriani, in continuità con la sessione del dialogo nazionale del giugno 2012, la cui dichiarazione finale aveva decretato la distanza e l’estraneità del Libano da tutti i conflitti regionali e internazionali, con un chiaro riferimento implicito a quello siriano in corso. Tuttavia, il Parlamento non ha ancora approvato la lista dei membri del governo per l’ostruzionismo di Hezbollah e dei suoi alleati nella coalizione “Fronte 8 Marzo”. L’ultima proposta, che prevedeva l’equa ripartizione dei ministri tra “Fronte 8 Marzo” e “Fronte 14 Marzo” è stata rigettata il 5 settembre 2013, con la complicità del leader druso Walid Jumblatt, da tempo ondivago ago della bilancia nel confronto politico libanese. Il fronte cristiano è ugualmente disunito, sostanzialmente perché i cristiani fanno riferimento a più partiti, collocati diversamente nell’agone politico. La “Libera Corrente Patriottica” di Michel Aoun e il “Movimento Marada” di Suleiman Frangieh – entrambi nella coalizione “Fronte 8 Marzo” – seguono il proprio alleato politico del “Partito di Dio” nell’appoggiare Bashar. L’altra metà dei cristiani, rappresentati dalle “Forze Libanesi” di Samir Geagea e dal “Partito Kataeb” di Amin Gemayel, non nascondono le proprie simpatie per i ribelli e allo stesso tempo spingono per un intervento contro Damasco. Al contrario, i cristiani maroniti hanno manifestato, sin dall’inizio della guerra civile, preoccupazione sulla possibilità che i “terroristi sunniti” possano salire al potere in Siria. Recentemente, il cardinale Beshara Boutros al-Rai, patriarca e guida spirituale dei maroniti, ha espresso la sua contrarietà a un’azione militare, cercando un dialogo con le altre alte sfere confessionali della regione. Gerardo Fortuna 11 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 LA POSIZIONE CAUTA DI BAGHDAD Se durante la crisi irachena la Siria era stata accusata di proteggere il regime di Saddam Hussen per essersi opposta all’intervento americano, oggi la situazione sembra essersi invertita. Al centro delle polemiche questa volta c’è il premier sciita iracheno Nuri al-Maliki, il cui rapporto con il regime siriano di Assad viene guardato con sospetto dalla Casa Bianca. Già nell’ottobre del 2012, a crisi già scoppiata, il Financial Times annoverava l’Iraq tra i paesi che fornivano carburante al governo di Damasco. Né è passato inosservato l’intrecciarsi di nuovi legami ecomici sempre più stretti tra i due paesi a partire dal 2008, quando è stato riaperto l’oleodotto che congiunge Kirkuk alla città costiera siriana di Baniyas. A questo evento significativo, che si aggiunge alla via di collegamento preferenziale dei giacimenti di gas di ‘Akkaz alle raffinerie siriane, sono seguite la creazione di aree di libero scambio lungo le frontiere e una maggiore integrazione delle reti ferroviarie nazionali. A dispetto delle accuse il governo di Baghdad ha mostrato, fin dal primo manifestarsi della crisi siriana, un atteggiamento cauto e neutrale. Già nel discorso tenuto a Teheran il 13 novembre 2012, durante la riunione ministeriale del Movimento dei Paesi Non Allineati, il ministro degli affari esteri iracheno Hoshyar Il premier al-Maliki ha dichiarato la Zebari ha ricordato l’impegno propria vicinanza al popolo siriano, per via dimostrato dal suo paese nella del rischio che possa subire l’ingerenza di ricerca di una soluzione pacifica per altri paesi nelle proprie questioni interne, la questione siriana, collaborando come ha dovuto patire l’Iraq solo pochi con l’inviato speciale delle Nazioni anni prima. Unite e delle Lega Araba Kofi Annan e partecipando alla riunione internazionale di Ginevra del 30 giugno 2012. Pur escludendo un intervento militare straniero in favore dei ribelli anti-Assad, il ministro non ha trascurato in questa occasione di manifestare la sua vicinanza al popolo della Siria, riconoscendo le sue legittime aspirazioni alla libertà, alla democrazia e all’autodeterminazione. Sulla stessa linea le parole pronunciate, sempre a fine 2012, dal premier al-Maliki che ha dichiarato la propria vicinanza al popolo siriano, per via del rischio che possa subire l’ingerenza di altri paesi nelle proprie questioni interne, come ha dovuto patire l’Iraq solo pochi anni prima. Per al-Maliki il popolo siriano è pienamente in grado di autodeterminarsi, mentre le pressioni esterne devono essere finalizzate esclusivamente a evitare altre stragi, presentando ai gruppi in lotta una via d’uscita diplomatica e pacifica al conflitto. Ad oggi la posizione ufficiale irachena non è mutata. In occasione dell’incontro del 15 agosto scorso con il segretario di Stato statunitense John Kerry, il ministro degli esteri iracheno ha ribadito l’orientamento non interventista del proprio governo, invocando un nuovo tavolo internazionale 12 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 di trattative con la partecipazione di entrambe le fazioni in lotta, in grado di dare finalmente attuazione agli accordi precedentemente raggiunti a Ginevra. Baghdad ha conservato tale indirizzo governativo anche in seguito al presunto utilizzo di armi chimiche contro civili da parte del regime di Damasco. Nel corso dell’incontro dell’8 settembre con l’omologo iraniano Mohammad Jawad Tharif, il ministro Zebari ha analizzato la prospettiva di un intervento armato degli Stati Uniti, sottolineandone le possibili ripercussioni negative non solo per l’area siriana, ma anche per tutta la regione mediorientale. Ciononostante, è arrivata la condanna ufficiale dell’uso delle armi chimiche, definito crimine efferato in grave violazione delle norme internazionali. Durante il Consiglio Ministeriale della Lega Araba di pochi giorni fa, però, il ministro degli esteri iracheno ha manifestato le sue riserve nell’attribuire delle precise responsabilità prima di un’accurata indagine internazionale a opera degli ispettori Onu, pur evidenziando la particolare sensibilità a questo tema del popolo iracheno, vittima dell’uso indiscriminato di questi strumenti di sterminio durante il regime di Saddam, come ad esempio nella città di Halabja nel 1988. Non di secondaria importanza è stata poi considerata la questione dei rifugiati. Dallo scoppio della guerra civile, milioni di cittadini siriani in fuga si sono riversati nei paesi limitrofi. Secondo le stime nazionali, i rifugiati in territorio iracheno avrebbero superato a fine agosto le 200.000 unità. Alla conferenza tenutasi il 4 settembre 2013 presso la sede dell’High Commissioner of Refugees (UNHCR) a Ginevra, la delegazione irachena guidata dal ministro Hoshyar Zebari ha messo in luce il notevole incremento subito dai flussi di profughi siriani nel corso degli ultimi due mesi e l’incredibile impegno profuso dall’Iraq nell’affrontare una simile emergenza umanitaria. A tal proposito, ha ricordato l’allestimento di numerosi campi profughi, tra cui quello di Qaiem e quello di Dumez nel Kurdistan iracheno, nonché gli enormi sforzi economici sostenuti dal governo per garantire agli sfollati servizi di prima necessità come acqua potabile, elettricità, servizi igienico-sanitari ma anche cibo istruzione e sicurezza. La conferenza si è conclusa con l’appello ai paesi donatori e alle agenzie internazionali specializzate affinché accrescano il loro supporto finanziario e umanitario. Marcella Centaro 13 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 GLI SCHIERAMENTI INTERNAZIONALI DI FRONTE ALLA CRISI Alla conclusione del vertice di San Pietroburgo, tenutosi tra il 5 e il 6 settembre LA DICHIARAZIONE 2013, lo schieramento dei G20, in relazione alla DEL G20 questione siriana, si è delineato con maggiore chiarezza. Superpotenze, potenze emergenti e ••• nazioni europee si sono trovate divise tra chi Undici paesi hanno sottoscritto un accetta la tesi secondo cui il governo di Bashar documento che chiede espressamente di superare al-Assad sia responsabile degli attacchi con le l’immobilità del Consiglio di armi chimiche dello scorso 21 agosto, e chi non Sicurezza delle Nazioni Unite: ritiene le prove fornite dall’intelligence di vari Stati Uniti d’America, Canada, Australia, Inghilterra, Francia, paesi, sufficienti per approvare una “risposta Italia, Spagna, Turchia, Arabia forte” da dare alla Siria. Saudita, Giappone e Corea del Sud. Tra gli attori più che determinati verso Tra questi, la Francia, l’Inghilterra e la Turchia costituiscono l’asse più l’intervento ci sono Israele, che in realtà è già deciso verso una risoluzione intervenuto militarmente con raid aerei volti militare per mettere fine al alla distruzione di armamenti ritenuti governo di al-Assad. minacciosi, e Qatar e Arabia Saudita, che finanziano vari gruppi di ribelli presenti sul territorio siriano. Le nazioni che si sono opposte alla Tra i paesi che si sono schierati a favore firma sono: Federazione Russa, Germania, Cina, Brasile, dell’intervento, l’Italia ricopre una posizione Argentina, Messico, Sudafrica, particolare. La marina militare ha inviato il India e Indonesia. Come si è detto, cacciatorpediniere Andrea Doria, ma solo come queste non ritengono certe le prove supporto alla missione UNIFIL, ovvero a difesa che vedono il governo siriano come dei 1.200 soldati italiani presenti sul territorio responsabile degli attacchi del 21 libanese e non per partecipare a un eventuale agosto. Anzi, la Germania, nei giorni successivi al summit, ha attacco contro Damasco. proposto un nuovo possibile I rappresentanti della Lega Araba, che si scenario: l’attacco chimico, secondo sono riuniti il 1° settembre 2013, hanno siglato il Bnd – il servizio segreto tedesco un documento che attribuisce ad al-Assad la – sarebbe stato ordinato da alti responsabilità degli attacchi chimici. I paesi ufficiali dell’esercito siriano senza della Lega hanno però assunto posizioni diverse il consenso di al-Assad. Le prove sono custodite in una rispetto all’intervento armato. Mentre alcuni, conversazione registrata da una Arabia Saudita e Qatar in testa, si sono nave da ricognizione tedesca al espressi a favore, altri, come ad esempio Libano largo delle coste siriane. ed Egitto, si sono opposti. L’Iran, storico alleato della Siria, ha P. B. assunto una posizione ambigua, dimostrandosi non eccessivamente preoccupato per un possibile intervento contro Damasco, in una delicata fase di politica interna dove sembra più disponibile ad un nuovo dialogo con l’Occidente. Hamas e Fatah, le due fazioni palestinesi, sostengono invece che di un attacco contro 14 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 Damasco beneficerebbe soltanto il governo di Tel Aviv. Infine, la proposta della Federazione Russa di mettere gli arsenali chimici siriani sotto controllo internazionale, ha aperto una finestra sulla possibilità di una soluzione pacifica ed è stata subito ben accolta da Bashar al-Assad. Catherine Ashton, alto rappresentante per gli affari esteri dell’Unione Europea, che aveva già affermato che gli attacchi con le armi chimiche non potevano rimanere impuniti, ha rilasciato un documento in cui manifesta l’approvazione di tale risoluzione. Molti paesi hanno seguito questa indicazione e uno dei primi a esprimersi favorevolmente è stata l’India. Paolo Balmas CHI SONO GLI ALAWITI? L’alawismo è una corrente religiosa diffusa prevalentemente in Siria, Turchia e Libano. Deve il suo nome ad Alì Ibn Abi Talid, genero e cugino di Maometto, comunemente considerato il primo imam sciita e uno dei quattro califfi ben guidati. L’origine è discussa e si perde nel folklore locale, secondo cui gli alawiti sarebbero i discendenti dell’undicesimo imam o del suo discepolo Ibn Nusayr, ragion per cui nei secoli hanno preso anche il nome di Nusayri. Altrettanto problematico è il loro inserimento nel filone dell’islam tradizionale: benché ad oggi si autodefiniscano sciiti duodecimani, tradizionalmente sono stati considerati dagli altri mussulmani come eretici, estranei sia all’islam sciita che a quello sunnita. In una fatwa del teologo hanbalita Ibn Taymiyya del secolo XIII, furono definiti “non credenti, più infedeli di ebrei e cristiani”. In effetti, il loro credo, di cui peraltro non si conosce molto, racchiude elementi pagani, derivanti da antichi culti mesopotamici e, secondo alcuni, addirittura fenici, ma questa fede ha anche molto in comune con l’ismaelismo e con un’accezione eterodossa del cristianesimo. Al pari dei cristiani, riconoscono il Natale e il giorno delle Palme, ricorrono al vino come forma di comunione e credono in una Trinità, in cui “Alì è il Significato; Maometto, che Alì creò con la sua luce, è il Nome; Salman il persiano è il Cancello”. Come gli ismaeliti, credono a una lettura esoterica del Corano e a una qualche forma di reincarnazione. In particolare, sembra che secondo la loro fede in origine ogni uomo fosse una stella del firmamento, finché non caddero tutti nel mondo come punizione per la loro disobbedienza (ogni alawita deve rinascere sette volte prima di ritornarvi). I peccatori rinascono come giudei o cristiani, mentre gli infedeli tornano nel mondo come animali. 15 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 Ogni fedele alawita ha in sé una parte della luce del Creatore, che lo guida nel mondo terreno fino al ritorno nel firmamento, dove Alì è il principe. Della teologia alawita si conosce poco Benché ad oggi si autodefiniscano sciiti altro, la loro è una fede segreta di cui duodecimani, tradizionalmente sono stati neanche la maggior parte dei seguaci considerati dagli altri mussulmani come ha una conoscenza completa. Non eretici, estranei sia all’islam sciita che a accettano convertiti e né che vengano quello sunnita pubblicati i loro testi sacri, e tramandano i segreti della teologia soltanto a una ristretta cerchia di iniziati, tutti rigorosamente maschi. Numericamente non sono una comunità molto diffusa; anche dove la loro concentrazione è massima, vale a dire in Siria, rappresentano soltanto il 12% circa della popolazione. Eppure governano questo paese da circa quarant’anni, ovvero hanno costituito un regime che, se oggi sembra quanto mai precario, in passato ha rappresentato per molti un faro di stabilità, stretto tra le guerre civili del Libano, l’occupazione americana dell’Iraq e l’eterno conflitto israelo-palestinese. Storicamente sfruttati e talvolta perseguitati, prima dagli emiri e poi dall’impero ottomano, gli alawiti acquisirono una certa autonomia dopo la Prima guerra mondiale, quando la Siria fu affidata alla Francia sotto forma di mandato. A seguito dell'indipendenza, mentre la Siria affrontava un periodo di forte instabilità con un susseguirsi di governi deboli e colpi di stato, molti alawiti vennero reclutati dal partito nazionalista arabo Bath. Cominciarono ad avvicinarsi all’islam tradizionale edificando moschee e fondando istituzioni religiose, con il conseguente sostegno degli sciiti duodecimani iracheni. Il partito Bath, al potere dal 1963, venne riformato nel 1966 e ricostituito su basi meno nazionaliste e più filo-sovietiche. Nel 1970, con un nuovo colpo di stato, Hafiz al-Assad, all’epoca colonnello dell’aeronautica, divenne presidente della Siria. Gli alawiti restavano una minoranza, ma adesso erano al comando. Tre anni dopo, l’ayatollah libanese Musa al-Sadr, autorità dello sciismo duodecimano, pronunciò una fatwa con cui riconduceva gli alawiti nell’alveo dell’islam tradizionale. Benché potesse sembrare puramente teologica, la fatwa ebbe uno scopo eminentemente politico: legittimare Hafiz al-Assad nel ruolo di vertice che aveva occupato, poiché la carta costituzionale siriana prevedeva espressamente che il presidente fosse di fede musulmana. Tuttavia, gli Assad, padre e figlio, non hanno mai dimenticato che per molti restano ancora mussulmani di seconda classe. Per mantenere il potere acquisito hanno seguito due strade: da un lato hanno cercato di garantire alle altre minoranze del paese un minimo di inclusione nell’apparato governativo, dall’altro hanno corretto il culto alawita fino a farlo rientrare nei classici canoni islamici. Sono dunque state costruite moschee e limitate le tradizioni di matrice pagana, i fedeli sono stati incoraggiati a pregare con costanza e a seguire i precetti dell’islam (in particolare i cinque pilastri che 16 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 precedentemente, seppur riconosciuti, venivano considerati più come doveri simbolici che come veri e propri obblighi). Federica De De Paola L’OFTALMOLOGO CHE DIVENNE DI VENNE PRESIDENTE: PRESIDENTE : BASHAR ALAL - ASSAD ••• Bashar al-Assad è nato a Damasco l’11 settembre 1965. La famiglia appartiene alla potente, sebbene poco numerosa, corrente sciita degli alawiti. Il padre, Hafiz al-Assad, un generale dell’aviazione siriana, prese il potere con un colpo di stato e fu prima ministro della Difesa e poi presidente della Siria dal 1971. Bashar al-Assad subentrò al padre alla sua morte, nel 2000. Tuttavia, non era lui il successore designato da Hafiz. Aveva infatti intrapreso la carriera di medico, specializzandosi in oftalmologia presso l’università di Damasco nel 1988. Ha servito nell’esercito come medico e nei primi anni Novanta si è trasferito a Londra per continuare gli studi. Qui conobbe Asma (alias Emma, alias Rosa del Deserto, classe 1975), che in seguito diverrà sua moglie. Nel 1994, però, la morte inaspettata (e misteriosa) del fratello maggiore Basil in un incidente d'auto, che era cresciuto nell’esercito ed educato per prendere la guida del paese, lo riportò precipitosamente in patria, al preciso scopo di essere inserito nel sistema di potere ed addestrato a diventare in tempi rapidi il futuro presidente. Frequentò l’accademia militare e raggiunse il grado di colonnello (dopo sei mesi) nella Guardia Nazionale. Tutti i suoi parenti sono ben radicati nella struttura del potere siriano: il fratello minore, Maher, comanda la temuta IV Divisione Corazzata dell’esercito (dove l’80% degli ufficiali sono alawiti) e la Guardia Repubblicana, l’unica unità delle forze armate autorizzata a operare nella capitale Damasco; il cognato (marito della sorella Bushra) era vice ministro della Difesa prima di essere ucciso in un attentato nel luglio del 2012; i cugini di parte materna, Rami Makhlouf e Hafez Makhlouf, sono rispettivamente un noto finanziere (che il Financial Times ha stimato come possessore del 60% delle ricchezze dell’intero paese), e il capo dei servizi civili d’intelligence della regione della capitale. Tutti sono membri del partito politico Bath, il movimento presente in vari paesi del Medio Oriente (in Iraq fino al 2003), che mira alla creazione di un’unica grande nazione islamica nella regione. P. B. 17 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 LA PROTEZIONE REPUBBLICANA E LE FORZE SPECIALI All’età di 39 anni, il ministro della Difesa, generale Hafez al-Hassad, soprannominato successivamente il “Grande Leone”, prese il potere in Siria con un colpo di stato nel 1970 e rimase presidente sino alla sua morte, avvenuta nel 2000, per lasciare la carica al figlio Bashar al-Hassad dopo 30 anni di incontrastato dominio sulla vita militare e civile del paese. In qualità di comandante delle Forze Armate, si deve al “Grande Leone” la prima importante configurazione dell’esercito siriano, sostanzialmente invariata sino ai nostri giorni (anche se la specifica dei dati raccolti riguarda il periodo del “passaggio di consegne” al figlio Bashar). Oltre alla principale divisione in tre Corpi d’Armata, le Forze Armate siriane possono contare su una divisione di “Forze Speciali”, sulla più famosa “Protezione Repubblicana” (tre brigate corazzate ed un reggimento di artiglieria), su una brigata di “Fanteria della Montagna” (un corpo d'élite, la 120°) e sull’unità della “Protezione del Deserto”, una forza di 1.800 uomini responsabile della perlustrazione delle ampie zone di frontiera della Siria. In ogni caso, tutti uomini altamente addestrati. Secondo il “Middle East Intelligence Bulletin” del giugno del 2000, al secondo “Corpo d’Armata”– di stanza a Zabadan, a nord di Damasco e con copertura sino ad Homs – appartengono anche 5 reggimenti delle Forze Speciali, tra cui il più famoso “5° Special Force”, schierato contro le posizioni israeliane sulle alture del Golan e provvisto di alcune “unità segrete” addestrate per penetrare in profondità con attacchi eli-trasportati ed in grado di infliggere gravi danni ai collegamenti israeliani tra le basi avanzate sul monte Hermon e le posizioni logistiche arretrate. Oltre alle armi individuali in dotazione – che sarebbe troppo lungo analizzare in questa sede – è interessante notare che in questo reparto sono state segnalate armi occidentali provenienti dal “mercato parallelo”, ovvero il fucile automatico americano M16A1 da 5,56mm, l’israeliano UZI da 9 mm, l’italiana Beretta BM12 da 9 mm, ed il tedesco MP5K con silenziatore per operazioni clandestine. Decisamente particolare la storia della “Protezione Repubblicana”, fondata direttamente dal presidente Hassad nel 1976 dopo una serie di violenti attacchi portati dalle milizie armate palestinesi nel cuore di Damasco contro la partecipazione siriana in Libano, ed affidata ad Adnam Makhlouf, cugino della moglie del presidente, sino al cambio di guardia avvenuto nel 1995, per presunti disaccordi proprio con il giovane figlio Bashar, a favore del generale Ali Mahmud Hasan. Denominata a volte anche “Protezione Presidenziale” e composta da 10.000 soldati scelti di sicura lealtà politica, è la forza responsabile della sicurezza del regime siriano, ovvero del presidente, del palazzo presidenziale e del quartiere residenziale del Malki, dove vive la maggior parte della “nomenklatura” di Damasco. Da informazioni raccolte dalle maggiori agenzie di intelligence 18 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 occidentali, sembra che per assicurarne una fedeltà incondizionata a questa divisione venga devoluta una parte significativa del reddito ricavato dai campi petroliferi della regione di Al-Zur di Dayr. In ogni caso, i gradi più alti e le cariche direttive di questa particolare divisione vengono sempre affidati a parenti della famiglia presidenziale o ad elementi di sicura lealtà. Destinata ad essere sempre equipaggiata con gli armamenti migliori, alla data del 2000 risultava in grado di schierare veicoli corazzati da combattimento Bmp-2/3, 350 carri armati T-62/72, veicoli corazzati per trasporto truppe Btr-60/70, veicoli corazzati da ricognizione Brdm-2, cannoni 2S1 (122 mm) e 2S3 (155 mm), difesa antiaerea Zsu-23/4 (23 mm) e lanciagranate multipli Bm-21 da 122 mm. Anche se in misura minore, la stessa attenzione viene riservata alle “Forze Speciali” – circa 15.000 uomini addestrati come commandos d’elite ed organizzati in 10 reggimenti indipendenti e nella XIV divisione aerea, di stanza a Al-Qutayfeh, vicino a Damasco. Il primo comando (1968-1994) venne affidato al generale Alì Haydar, ma successivamente sostituito, dopo sospetti su presunti appoggi per un colpo di stato, dal generale Alì Habib, già comandante della VII Si deve al “Grande Leone” Hafez Assad la divisione meccanizzata e delle Forze prima importante configurazione Armate siriane nella coalizione della dell’esercito siriano, sostanzialmente Guerra del Golfo del 1991. Anche se rimasta invariata sino ai nostri giorni in generale il corpo ufficiali non è tenuto ad aderire al partito Baath, questa viene considerata comunque una condizione essenziale per accedere alla “Protezione Repubblicana” ed alle “Forze Speciali”, così come per i livelli più alti di comando, ed in ogni caso per continuare la carriera nello Stato Maggiore dell’esercito. Per gli ufficiali, l’addestramento iniziale avviene presso l’Accademia Militare di Homs, (oltre cento chilometri a nord di Damasco) considerata la più antica e qualificata del paese, fondata dai francesi nel 1933 e regolamentata ufficialmente dalla Siria solo nel 1987. E’ possibile accedere in un’età compresa tra i 18 ed i 23 anni ed oltre al superamento delle normali prove di selezione, è necessario dimostrare una particolare lealtà politica per intraprendere il primo biennio di studi comune a tutte e tre le scuole, quindi anche l’Accademia Navale nella città di Latakia, e l’Accademia Aeronautica, nella base aerea di Nayrab, vicino Aleppo. Alla severità dell’addestramento specifico di altri tre anni, bisogna aggiungere che gli ufficiali incaricati di ricoprire posizioni di comando nella “Protezione Repubblicana” e nelle “Forze Speciali” vengono inviati in Russia per frequentare corsi professionali presso la prestigiosa Accademia Militare “Voroshilov” di Mosca. E’ interessante notare che, sin dal 1946, il governo siriano ha sempre riconosciuto la necessità di offrire ai propri militari condizioni particolarmente favorevoli per assicurarsi la necessaria lealtà. Agli ufficiali dei Corpi Speciali viene permesso, per esempio, di acquistare l’automobile personale senza pagare le tasse aggiuntive, così come la concessione di 19 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 prestiti finanziari senza interessi, erogati direttamente dal governo, ed un’assicurazione sanitaria gratuita, oltre ad un trattamento pensionistico migliore rispetto alle altre classi lavoratrici. Anche se in maniera ridotta, analoghi benefits sono riservati ai soldati di truppa, sempre con l’intento di rendere allettante una scelta militare qualificata, e nel 1987 le paghe riuscirono a garantire – sulla base di semplici indicazioni raccolte in quel periodo e non certo sulla verifica delle buste-paga – un tenore di vita superiore a quello dei civili, lì dove risultarono anche essere competitive rispetto agli standards dei militari degli altri paesi arabi. La crisi dell’Unione Sovietica nel 1990, con le sue ripercussioni anche sull’economia della Siria, ha oggi ridotto notevolmente tali agevolazioni. Secondo Richard Bennet – analista di sicurezza militare dello “Istituto Britannico di Servizi e Studi della Difesa” ed autore di volumi sulla preparazione degli eserciti e dei servizi di intelligence nel contesto internazionale – le Forze Armate siriane sono state (1967-1991) tra le più importanti ed addestrate di tutto il mondo arabo, grazie ad uno spiccato senso della disciplina ed una forte motivazione, tanto da guadagnarsi anche il rispetto di Tzahal, i pur temuti soldati dell’esercito israeliano. Roberto Angiuoni I GRUPPI DI OPPOSIZIONE Fin dall’inizio, l’opposizione siriana è stata caratterizzata da una patologica carenza di omogeneità. A quasi due anni e mezzo dallo scoppio delle rivolte, la frammentazione continua ad essere il tallone d’Achille del fronte anti-Assad, che si sgretola in una sequenza senza fine di nomi, sigle e ideologie. In principio si è costituito il Consiglio Nazionale Siriano, riunitosi per la prima volta a Istanbul il 23 agosto del 2011, e nato ufficialmente il 15 del mese successivo come espressione di un gruppo di attivisti in esilio. Pur avendo il merito di essere stato il primo gruppo a tentare di creare un fronte unitario, il Consiglio perse molto presto quella coesione a cui aspirava e apparve sempre più diviso e distante dai ribelli attivi in Siria, dai quali fu criticato sia per lo scarso approvvigionamento di armi che per l’eccessiva dipendenza dai Fratelli Musulmani. A esperimento ormai fallito, il Consiglio è confluito in una nuova organizzazione ombrello, la Coalizione Nazionale Siriana (Cns), nata a Doha nel novembre del 2012 e supportata da attori esterni, in particolare da Stati Uniti e Qatar. Riconosciuta dagli Stati che sostengono i ribelli come unico e solo rappresentante legittimo del popolo siriano, la Coalizione rappresenta oggi il principale raggruppamento dell’opposizione, tanto che nel marzo del 2013 ha occupato il seggio della Siria in seno alla Lega Araba. Ne fanno parte non solo i gruppi dell’opposizione in esilio, ma anche 20 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 le formazioni (combattenti e non) attive nel paese: dai Comitati di Coordinamento Locale (Lcc) fino all’Esercito Siriano Libero, del quale sono stati ammessi 15 rappresentanti nel maggio del 2013, suggellando così, per la prima volta, la partecipazione diretta dei ribelli a un gruppo politico. Nonostante tutto, la Coalizione sembra soffrire degli antichi mali che affliggevano il suo predecessore: da un lato le divisioni interne ai Fratelli Riconosciuta dagli Stati che sostengono i Musulmani, dall’altro la pesante ribelli come unico e solo rappresentante assenza di partiti come il Comitato legittimo del popolo siriano, la Coalizione Nazionale di Coordinamento per il Nazionale Siriana rappresenta oggi il Cambiamento Democratico (Cnc), principale raggruppamento gruppo di matrice laica e pacifista – dell’opposizione, tanto che nel marzo del 2013 ha occupato il seggio della Siria in contrario alla militarizzazione della seno alla Lega Araba. rivolta – o la Commissione Generale della Rivoluzione Siriana (Cgrs), uscita dalla Coalizione a giugno del 2013 lamentando lo strapotere dei Fratelli Musulmani sponsorizzati da Turchia e Qatar, e delle altre forze di matrice islamista finanziate dal governo saudita. Fuori anche uno dei maggiori partiti curdi, il Partito di Unione Democratica (Pyd). Il Consiglio Nazionale Curdo (Knc), invece, ha recentemente firmato un accordo che sancisce l’unione con il Cns, sul quale però pesa la spada di Damocle dell’approvazione da parte del Consiglio Supremo Curdo. Infine, mentre si svolgeva la riunione a San Pietroburgo, è nata una nuova Coalizione che unisce ben 33 gruppi d’opposizione: la Comunità Nazional Democratica Siriana, i cui esponenti si sono incontrati con i vertici dell’Esercito Siriano Libero (Esl), il 5 settembre 2013 a Gaziantep, nella Turchia meridionale. Ancora più confusa si presenta la situazione dei gruppi combattenti. Il principale, per anzianità e numero di militanti, è l’Esl, che è stato fondato dall’ex colonnello Riad al-Asaad, già nell’estate del 2011, e che comprende un gran numero di disertori dell’esercito regolare. L’anno successivo, il grande incremento degli effettivi, sia disertori che civili, ha portato a una riorganizzazione dell’Esl, incoraggiata e in parte finanziata dai paesi occidentali e dalle monarchie del Golfo. Ad oggi questa organizzazione conta circa 40.000 uomini, anche se talvolta i vertici ne hanno dichiarati il doppio, e i suoi battaglioni sono presenti su tutto il territorio siriano. La leadership appartiene al generale Salim Idriss, che però da molti viene percepito più come una guida politica che come l'effettiva e suprema autorità militare (non sono pochi i comandanti locali che controllano direttamente le proprie milizie, spesso con una matrice diversa da quella laica e nazionalista delle truppe sotto il diretto controllo di Idriss). Sul versante dell’opposizione religiosa, nel settembre del 2012 si è formato il Fronte Islamico Siriano di Liberazione (Fisl), che comprende all’incirca una ventina di gruppi di matrice islamista. Può contare su un potenziale di 35.000 combattenti ed è particolarmente radicato nelle 21 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 province di Homs e Hama. Notevole importanza riveste anche il Fronte Islamico Siriano (Fis), nato nel dicembre del 2012 grazie ai finanziamenti delle monarchie del Golfo. È un’alleanza radicale, in cui confluiscono vari gruppi combattenti, tra cui Harakat al-Fajr al-Islamiyya e Liwa al-Haq, per un totale di circa 25.000 uomini. Tutti i gruppi membri del Fis sono uniti dalla comune ideologia salafita e puntano ad instaurare la sharia sull'intero territorio siriano. Attorno alle formazioni principali ruotano una serie di gruppi che si affiliano, di volta in volta, all’una o all’altra. Tra questi, i più numerosi sono le Brigate Farouq, il Movimento Islamico Ahrar al Sham, le Brigate dei Martiri della Siria, la Brigata dell’Islam, la Brigata Tawhid e le Brigate Suqour al Sham. Infine, vi sono due formazioni meno numerose del Fis, del Fisl o dell’Esl, ma da queste del tutto indipendenti: la prima è l’Unità di Protezione Popolare (Ypg), il principale gruppo combattente curdo, legato a doppio filo al Pkk e diffidente nei confronti della corrente islamica dell’opposizione; la seconda è il gruppo Jabaht al-Nusraa, finanziato da alQaeda e attivo segretamente già dalla seconda metà del 2011. Di Jabaht al-Nusraa si è parlato molto, soprattutto negli ultimi mesi, tanto da dare l’impressione che la maggior parte delle operazioni militari dell’opposizione siano ormai in mano alla componente qaedista. Ma sembra che i miliziani di al-Nusraa abbiano più interesse ad acquisire il controllo delle aree liberate che ad entrare nel vivo delle operazioni militari (in effetti, sono stati i grandi assenti della famosa battaglia di Qusayr). Il peso specifico delle diverse anime dell’opposizione siriana non è facilmente individuabile, cosi come non sono ancora chiari i rapporti tra le diverse correnti. Di certo, non lasciano ben sperare le dichiarazioni di Muhammed Shalabi, più conosciuto come Aby Sayyif, esponente del salafismo giordano. Sayyif ha sostenuto che lo scontro tra i miliziani salafiti e quelli laici, così come con gli esponenti di un islam moderato, è certamente inevitabile per via degli obiettivi così distanti: da una parte si mira all’instaurazione della sharia, dall’altra a un sistema democratico laico e filo occidentale. “Se dovesse cadere Assad, e L’Esl ci intimasse di abbandonare le armi, ci sarà uno scontro con perdite enormi”. Federica De De Paola LE ARMI CHIMICHE E I GAS NERVINI Le armi chimiche vengono classificate dalle Nazioni Unite come Armi di Distruzione di Massa (WMD, Weapons of Mass Destruction) e sia la loro realizzazione che lo stoccaggio sono proibiti dalla Convenzione sulle armi chimiche del 1993 (Chemical Weapons Convention). Già nel 1925 la Convenzione di Ginevra ne vietava espressamente l’uso militare. 22 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 Queste armi vengono usate in combattimento sfruttando le proprietà tossiche di alcune sostanze chimiche, principalmente sotto forma di gas, per uccidere o invalidare pesantemente le forze avversarie. Il loro più massiccio impiego avvenne sul fronte occidentale durante la Prima guerra mondiale (battaglia di Ypres) ma, pur avendo suscitato universale esecrazione e numerose messe al bando, negli anni successivi molte nazioni hanno perfezionato nuovi aggressivi chimici. La Germania nazista, ad esempio, rivoluzionò la guerra chimica con la scoperta degli agenti nervini Tabun, Sarin e Soman, che non vennero comunque mai utilizzati dai tedeschi per timore di rappresaglie. Successivamente, sia l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti continuarono gli studi sui gas letali realizzandone ampi stock. I più recenti e tragici esempi di attacchi con aggressivi chimici contemplano non solo gli usi per scopi bellici, ma anche per la soppressione degli oppositori interni sino all'impiego per atti terroristici. Nel primo caso, nella guerra Iran-Iraq (1980-1988), Saddam Hussein utilizzò a più riprese contro l’Iran, sia Yprite che Tabun, con bombe sganciate da vettori aerei (la stima è di circa 100.000 vittime). Sempre Saddam Hussein, con identiche modalità, il 16 marzo 1988 compì il massacro di Halabja contro la popolazione curda di quella città: un mix letale di diversi gas venefici tra cui Yprite, Sarin, Tabun e VX, che non diedero scampo e procurarono la morte di 5.000 persone, in maggioranza civili. L’unico esempio sinora conosciuto in ambito terroristico risale invece al 20 marzo 1995, quando adepti della setta religiosa apocalittica Aum Shinrikyo rilasciarono del Sarin nella metropolitana di Tokyo, uccidendo 12 persone e procurando serie lesioni ad altre 5.000. La classificazione delle armi chimiche si basa sulle tipologie degli effetti e sulle distinzioni degli agenti chimici impiegati. Si possono riassumere in agenti nervini (con azione sul sistema nervoso), agenti vescicanti (con azione attraverso l’epidermide) e agenti asfissianti (azione soffocante). 23 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 Il gruppo che però desta maggiori preoccupazioni è quello degli agenti nervini: da un lato per la facilità di assorbimento di questi ultimi, non solo tramite inalazione diretta ma anche per contatto cutaneo, e dall’altro per l’estrema letalità anche a minimi dosaggi. I sintomi si manifestano subito con l’assorbimento di quantità infinitesime: contrazione delle pupille, profusa salivazione, convulsioni, perdita di controllo muscolare e infine arresto cardiaco e/o asfissia. La morte sopraggiunge in pochi secondi, o in alcuni minuti in caso di inalazione, da due a diciotto ore per contatto cutaneo. I gas nervini, o neurotossici, appartengono alla categoria degli "anticolinesterasici”: inibiscono l’enzima acetilcolinesterasi bloccando l’azione dell’acetilcolina, un neurotrasmettitore deputato al controllo della contrazione muscolare. I gas nervini di tipo “G” tendono ad essere altamente volatili e non persistenti. Tuttavia, alcuni di essi possono essere addizionati con altre sostanze per renderli più persistenti; mentre i gas della serie “V”, viceversa, tendono ad essere persistenti. Di solito, si scelgono in base a determinate caratteristiche. Per un uso tattico, ovvero quando si intenda poi intervenire sul territorio per occupare le posizioni colpite, si usano quelli di tipo G (Tabun, Sarin e Soman), mentre per impieghi più strategici e di maggiore interdizione di area, si usano i gas della serie V, che impregnano più a lungo il suolo. Gli agenti nervini per uso bellico si distinguono in agenti singoli (formati da un unico composto) o agenti binari, questi ultimi più comuni per motivi sia logistici che di sicurezza di maneggio (sono il risultato di una miscela di due o più gas, singolarmente inerti, ma che una volta miscelati danno vita al composto letale). I gas nervini possono essere inseriti in diversi contenitori e utilizzati con svariati vettori: bombe d’aereo, testate di missili, razzi e granate d’artiglieria, ma anche diffusi attraverso sistemi di irrorazione tramite elicotteri od altri mezzi idonei. Gli aggressivi chimici sono anche stati definiti come “l’atomica dei poveri”, per via dei grossi arsenali di alcuni paesi non particolarmente sviluppati sotto il profilo dell'armamento convenzionale, che tendono a dotarsi di queste armi per una deterrenza a basso costo, nonostante i numerosi trattati che li vietano e la forte censura internazionale. Molti di questi vettori (missili, razzi e proiettili di artiglieria dell’ex Unione Sovietica, così come quelli degli Stati Uniti), erano dotati della capacità di trasporto di gas nervini grazie alla rapida intercambiabilità delle testate e alla facilità di adattamento di queste ultime ai gas letali. Tutti questi sistemi sono in pratica dotati di involucri esterni non dissimili da quelli utilizzanti nelle comuni testate ad alto esplosivo: il volume interno è occupato dall’aggressivo chimico contenuto da pareti di minor spessore rispetto a una granata, atti soltanto al contenimento dell’agente e facilmente disintegrabili da una ridotta carica di esplosivo (quest’ultimo ha solo la funzione di rompere il contenitore agevolandone la dispersione aerea). 24 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 Le spolette possono essere ad impatto, o più convenientemente di prossimità, in modo da far detonare la munizione chimica ad una certa altezza da terra, creando la miglior dispersione possibile della nube tossica. Il missile balistico tattico Scud-B, molto diffuso e dalla gittata massima di 300 km, era provvisto di una testata chimica, designata 8F 44G Tuman-B, in grado di trasportare un carico di 555 kg di VX e dotata di una spoletta di prossimità. Tale ordigno era congegnato per rilasciare una nube in grado di coprire una striscia rettangolare di terreno lunga quattro chilometri e larga seicento metri. Anche il diffusissimo razzo M-21, del calibro di 122 mm, del sistema Grad e con gittata di 20 km, era dotato di una testata chimica. Ragionevolmente, a seconda del diametro e della capienza interna dei munizionamenti chimici (siano essi razzi o proiettili di artiglieria, da 122 a 155 mm), per saturare convenientemente una vasta area sono necessarie più salve di razzi o di proiettili. Con riferimento alla Siria, l’intelligence occidentale ritiene plausibile la disponibilità di una certa quantità di missili balistici Scud-B (e il derivato nordcoreano Hwasong-6) e Scarab-B, modificati con testate chimiche prodotte localmente e poi adattate. Tuttavia, la reale efficacia di queste testate, come le quantità degli agenti chimici effettivamente trasportati, vengono da più parti messe in discussione. Oltre alle differenti gittate massime di questi due sistemi, rispettivamente di 120 e 300 km, sono altrettanto significativi i cosiddetti CEP (Circular Error Probability) individuali, ossia, la probabile massima distanza cui il missile potrebbe mancare il bersaglio designato. Per lo ScudB, circa 900 metri, e inferiore ai 100 metri per lo Scarab-B (lo Scarab-B sarebbe già stato lanciato in 14 esemplari durante un attacco nel distretto di Barzeh, a nord est di Damasco e nel mese di aprile del 2013). Entrambi i modelli sono dotati di lanciatori mobili (TEL), una condizione che agevola gli spostamenti così come l’occultamento. Di contro, i tempi di allestimento al lancio non risultano veloci. Riguardo al munizionamento aereo, apparentemente più semplice, si ipotizzano delle soluzioni locali con interventi su ordigni originariamente destinati ad altri scopi, come le bombe cluster sovietiche Ptab-500 e incendiarie Zab, adattate per l’impiego di aggressivi chimici. Anche il possibile uso di razzi artigianali, sullo stile dei Qassam, sembra rientrare nelle normali capacità produttive della Siria. Elisa del Greco 25 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 IL PROBLEMA DEI RIFUGIATI Quando nel marzo 2011 hanno avuto inizio le manifestazioni pubbliche contro il governo di Bashar al-Assad, la Siria rappresentava uno dei paesi con il maggior numero al mondo di rifugiati e richiedenti asilo. Si trattava di persone provenienti dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Somalia, dalla Palestina e da altri paesi ancora, insediate nelle aree Secondo le stime dell’UNHCR, i siriani in urbane della Repubblica Araba fuga sono nel mese di settembre 2 milioni, Siriana. Con la drammatica ed il numero di coloro che cercano riparo evoluzione dei disordini in guerra nella regione mediorientale aumenta di 5.000/6.000 unità al giorno. civile, è stata la popolazione siriana ad essere costretta alla mobilitazione. L’inasprimento del conflitto ha determinato una crisi umanitaria senza precedenti, che ha causato il ritorno nei paesi di origine di coloro che avevano trovato rifugio in Siria, oltre allo spostamento degli stessi siriani sia all’interno che lungo i confini dello Stato. Il numero dei rifugiati ha superato quota un milione già nella prima settimana di marzo del 2013. Secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR, i siriani in fuga sono nel mese di settembre 2 milioni, ed il numero di coloro che cercano riparo nella regione mediorientale aumenta di 5.000/6.000 unità al giorno. Nel 2012, i rifugiati registrati o in attesa di registrazione erano circa 230.000, mentre in dodici mesi la Siria ha visto fuggire quasi due milioni di persone. Il 97% dei rifugiati siriani è ospitato dai paesi confinanti, come il Libano, la Giordania, la Turchia e l’Iraq. Più di 4 milioni di persone, invece, sono sfollate all’interno del territorio siriano, secondo i dati raccolti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari. Per quanto riguarda il Libano, in questo paese sono presenti, sempre secondo le stime dell’ONU, 720.000 rifugiati siriani. Per il governo di Beirut le cifre oscillano intorno al milione, in uno Stato con una popolazione di circa 4 milioni. Per far fronte a questa emergenza le autorità libanesi e le Nazioni Unite stanno allestendo un centro di accoglienza profughi nei pressi del valico di frontiera di Masnaa, lungo il confine orientale con la Siria. Il numero di siriani registrati in Libano con lo status di rifugiato è pari, se non superiore, al 18% del totale della popolazione, con gruppi di persone distribuite in più di 1.400 diverse località. Decine di migliaia di civili provenienti dalla regione di Damasco sono invece presenti nella valle dello Yarmuk, il fiume che segna il confine tra Giordania, Siria e Israele. Il governo di Amman, che ha finora accolto 520.000 rifugiati siriani, ha ormai chiuso le frontiere e concede l’ingresso soltanto a 200 persone al giorno. I siriani che si trovano nel campo di Zaatari, aperto nel luglio del 2012 nel deserto a nord della Giordania, sono 26 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 circa 100.000. Il flusso di siriani che fuggono dalla guerra ha determinato un incremento dell’11% della popolazione di questo paese. Oltre ai rifugiati che vivono nei campi, migliaia di persone si trovano nelle città e nei villaggi della Giordania, il cui governo ha fatto fronte all’emergenza con uno stanziamento, nel 2013, di circa due miliardi di dollari. L’Iraq ha accolto, fino al mese di settembre del 2013, circa 200.000 rifugiati siriani e la regione che ha registrato il maggior numero di arrivi è quella del Kurdistan iracheno. Per quanto riguarda la Turchia, questo è il primo paese dell’area ad aver offerto ospitalità ai siriani in fuga, ma da alcuni mesi Ankara ha ristretto l’accesso frontaliero e posto sotto accurata sorveglianza i campi profughi. Per i 464.000 rifugiati siriani presenti nel paese il governo ha stanziato 2 miliardi di dollari. Altri 100.000 siriani hanno cercato rifugio in Egitto, mentre i paesi del Nord Africa ne hanno accolti circa 24.000. Alcuni, invece, hanno cercato di raggiungere l’Europa, dove circa 15.000 persone sono state accolte dalla Svezia, il paese che ha garantito il permesso di residenza a tutti i richiedenti asilo. Secondo l’UNHCR, il numero dei siriani che decidono di abbandonare il paese e di rifugiarsi in quelli confinanti è molto più elevato, a causa della mancata registrazione presso l’Agenzia dell’ONU. Secondo i dati dell’UNHCR e dell’UNICEF, i bambini (con età compresa da 0 a 18 anni) costituiscono oggi la metà di tutti i rifugiati che hanno abbandonato la Siria. Inoltre, gli ultimi dati raccolti indicano che tra i due milioni di rifugiati siriani, 740.000 hanno meno di 11 anni, mentre altri due milioni di bambini sono sfollati all’interno della stessa Siria. Per quel che riguarda l’Italia, sulle coste sono sbarcati, a partire dal 2011, circa 3.700 siriani, anche se la meta finale sembra piuttosto essere l’Europa del nord. Marzia Nobile GLI ARMAMENTI CONTRAPPOSTI L’inasprirsi della situazione in Siria ha provocato la mobilitazione di alcune nazioni che hanno inviato parte delle proprie forze navali nel Mediterraneo orientale e nel Mar Rosso. Gli Stati Uniti hanno spostato il gruppo navale della portaerei Nimitz, dal Mare Arabico al Mar Rosso. La portaerei ha la capacità di ospitare novanta velivoli, compresi gli elicotteri, è scortata da un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, oltre a uno o più sottomarini. Il numero complessivo di questi ultimi non è chiaro, anche se alcune fonti segnalano la presenza di due sottomarini della US Navy al largo di Creta. La portaerei Harry S. Truman, invece, si trova più a 27 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 sud, nel Mare Arabico, con il suo gruppo navale: la Princeton, la William P. Lawrence, la Stockdale e la Shoup. Di recente, la marina americana ha dislocato nel Mediterraneo orientale: • la portaelicotteri San Antonio, una nave che trasporta anche mezzi anfibi; • cinque cacciatorpediniere della classe Arleigh Burke: la Barry (salpata per il Mediterraneo orientale da Norfolk già il 18 agosto 2013), la Gravely, la Stout, la Ramage e la Mahan. Queste cinque navi dispongono, complessivamente, di 225 Tomahawk, i missili guidati con sistema Gps che possono raggiungere obiettivi a 2.500 km di distanza, con testate da 450 kg ognuna. In caso di attacco, saranno l’armamento principale della marina. Le basi aeree di Creta, Turchia, Giordania e Qatar ospitano gli aerei dell’aviazione americana, All’ imponente dispiegamento di forze da oltre a quelli stanziati sulle parte americana si aggiungono Israele e Turchia, concentrate sulla difesa portaerei. Tra i velivoli, oltre ai missilistica dei propri territori e caccia F16 e F18 e ai bombardieri Bsull’eventuale offensiva che potrebbe 1 e B-52, spiccano il bombardiere coinvolgere anche le forze di terra. “invisibile” B-2 e l’Uav (aereo privo di pilota) Global Hawk che, oltre a svolgere compiti di intelligence, può montare armamenti. L’Italia ha inviato due navi al largo delle coste del Libano in difesa della missione Unifil, che conta 1.200 soldati italiani. Si tratta del cacciatorpediniere Andrea Doria, dotato di missili Aster 15 e Aster 30, e della fregata Maestrale, un’antisommergibile, con il suo cannone Oto Melara da 127 mm. Anche la Francia, a difesa del proprio contingente in Libano che conta 900 soldati, ha posto il cacciatorpediniere Chevalier Paul, stessa classe dell’Andrea Doria, al largo delle coste libanesi. A supportare l’azione francese, vi sarà anche la portaerei Charles De Gaulle con i suoi caccia multiruolo Mirage e Rafale, sebbene si trovi ancora in acque francesi. A Cipro sono dislocati sei Eurofighter Typhoon e vari bombardieri Tornado inglesi e, nelle acque dell'isola, la Royal Navy dispone anche di un sottomarino classe Trafalgar. A questo imponente dispiegamento di forze si aggiungono Israele e Turchia, concentrate sulla difesa missilistica dei propri territori e sull’eventuale offensiva che potrebbe coinvolgere anche le forze di terra. Le forze armate di Damasco dispongono di un ampio numero di aerei ed elicotteri di origine sovietica ancora in servizio, tra cui sessanta caccia multiruolo Mig-29 Fulcrum e venti bombardieri Sukhoi 24. Sebbene datati, molti velivoli sono stati aggiornati con strumentazioni più recenti e sofisticate. La marina siriana assicura il controllo della costa attraverso moderni pattugliatori, ma le unità d’attacco consistono in una fregata (risalente agli anni Settanta) e a imbarcazioni leggere d’attacco rapido, classe Osa, dotate di sistemi missilistici. 28 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 La difesa aerea è affidata ai più precisi S-300, missili di fabbricazione russa, oltre che ai Buk M2 Telar e ai Pechora 2A, missili a medio raggio. Gli armamenti siriani più temibili sono invece i missili antinave: Damasco possiede i C-802 cinesi ed è in attesa della consegna dei russi Yakhont (l’intelligence israeliana ha affermato che i primi 72 sono stati già consegnati). L’attacco del mese di luglio del 2013 da parte delle forze aeree di Tel Aviv in territorio siriano è stato effettuato per colpire alcune postazioni in cui erano dislocati proprio questi missili. Si tratta di un’arma particolarmente efficace che potrebbe mettere in difficoltà le navi avversarie nel Mediterraneo orientale. Allo scopo di contrastarli, la marina di Tel Aviv, negli ultimi mesi, ha cominciato a dotare alcune navi dei missili Barak 8, capaci di intercettare i Yakhont. Per la difesa del territorio israeliano, invece, è stato recentemente testato, in una prova congiunta con la US Navy, il sistema di difesa Arrow. Damasco potrà contare sull’appoggio effettivo della marina russa, che si è offerta di proteggere il territorio siriano dagli attacchi missilistici. La Federazione Russa possiede a Tartus, sulle coste siriane, l’unica base navale al di fuori dei propri confini. Inoltre, Mosca ha fatto convergere nel Mediterraneo un numero elevato di navi, un'operazione che non veniva effettuata dai giorni del crollo dell’Unione Sovietica. Fra queste vi sono: i cacciatorpediniere Admiral Panteleyev e Nastoichivy; varie navi d’assalto anfibie, l’Alexander Shabalin, l’Admiral Nevelsky, la Peresvet, la Novocherkassk, la Minsk, la Nikolai Filchenkov e la Azov; le fregate Neustrashimy e Yaroslav Mudry; l’incrociatore Moskva – proveniente dalla Flotta del Mar Nero e che prenderà il comando delle operazioni – e varie navi antisommergibili, tra cui la Severomorsk. Rilevante la presenza della nave da ricognizione Ssv-201 Priazovye, una vera e propria centrale d’ascolto progettata per l’elaborazione di dati Sigint e Comint. Infine, come già programmato da tempo, si attende per la fine del 2013 l’arrivo nel Mediterraneo dell’unica portaerei della Federazione Russa, l’Admiral Kuznecov. La marina russa ha effettuato importanti spostamenti anche in altre aree. L’incrociatore nucleare Pyotr Veliky (Pietro il Grande), due navi antisommergibili e due navi d’assalto anfibie, la Olenegorsky Gornyak e la Kondopoga, tutte appartenenti alla Flotta del Nord, si sono portate a largo delle isole della Nuova Siberia, nel Circolo Polare Artico, più vicine allo Stretto di Bering che divide la Federazione Russa dagli Stati Uniti. Paolo Balmas 29 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 LA PRESENZA NAVALE ITALIANA NEL MEDITERRANEO ORIENTALE Mentre la diplomazia internazionale ricerca affannosamente una soluzione alternativa all’intervento militare per fermare le atrocità e le violenze commesse senza soste nel territorio di Damasco, il Mediterraneo orientale, silenziosamente e non, viene inevitabilmente occupato da unità militari. Come al principio di una partita di Risiko, quando i dadi ancora non sono stati tratti, ogni attore provvede a posizionare le proprie forze nelle aree di interesse per tenersi pronto e contare sul doppio effetto di una presenza militare preventiva: deterrenza e difesa. E come si colloca l’Italia in questa fase di incertezza internazionale di fronte alla crisi siriana? Il 4 settembre 2013 le agenzie hanno dato notizia dell’invio di due navi militari italiane in direzione delle coste libanesi allo scopo di tutelare le truppe italiane – presenti in teatro per adempire la missione UNIFIL – nel caso in cui il conflitto siriano si La nave inviata in Libano ha elevate acuisca. capacità di difesa aerea e di comando e Le navi di cui parla la stampa controllo e sarà presente nel Mediterraneo nazionale sono il cacciatorpediniere per garantire supporto dal mare al Andrea Doria e la fregata Maestrale, personale italiano impegnato rispettivamente lanciamissili e antisommergibile. E mentre i primi nell’operazione UNIFIL. articoli anticipano previsioni circa l’invio e l’impiego di questi mezzi della marina militare, il Ministero della Difesa rettifica. In un comunicato stampa del 5 settembre, lo Stato Maggiore precisa che l’unico mezzo attualmente presente al largo delle coste libanesi è il lanciamissili Andrea Doria, mentre nave Maestrale rimane in territorio italiano, probabilmente in approntamento, ma ad oggi ancorato nel porto di La Spezia. Perché una lanciamissili nel Mediterraneo orientale? Perché una classe Orizzonte? Varata nell’ottobre del 2005, nave Andrea Doria, insieme alla gemella Caio Duilio, spicca per la capacità multiruolo che garantisce ampia copertura nelle azioni militari. Si tratta di un caccia antiaereo capace di difendersi dalle tre tipologie di minaccia – aerea, di superficie, subacquea. Può concorrere ad operazioni anfibie, contrastare efficacemente unità di minaccia e può svolgere compiti di controllo del traffico mercantile. Dal 2010 al 2011 il cacciatorpediniere è stato impiegato in diverse operazioni di cooperazione o pattugliamento, dalle coste del Brasile e dell'Africa nord-occidentale durante l’operazione Tucano, al largo delle coste libiche durante l’emergenza del 2011 con compiti di sorveglianza aerea a bassa quota, fino al comando dell’Operazione Ocean Shield nel 30 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 contrasto alla pirateria marittima nell’Oceano Indiano dal giugno al dicembre del 2011. Le esperienze passate, tra attività di cooperazione, sorveglianza e supporto operativo, rendono questa unità la migliore per l’invio in un’area critica come quella siriana. Come è noto, da due anni questo paese vive contando le vittime di uno scontro che anziché svigorirsi ha assunto forme sempre più crudeli, culminando con l’utilizzo delle armi chimiche il 21 agosto 2013. Data la posizione strategica della Siria, le possibili conseguenze, intenzionali e non, dell'allargamento del conflitto potrebbero essere devastanti. L’unità navale Doria è dotata di un apparato lanciamissili verticale che, a differenza dei comuni razzi, è guidato a distanza. Utilizzando missili Aster 15 e Aster 30, il cacciatorpediniere Doria offre un’ampia copertura contro attacchi missilistici aerei ai danni del contingente. La nave inviata in Libano ha elevate capacità di difesa aerea e di comando e controllo e – con un equipaggio di 195 membri, tra uomini e donne, al comando del Capitano di Vascello Stefano Turchetto – sarà presente nel Mediterraneo per garantire supporto dal mare al personale italiano impegnato nell’operazione UNIFIL. La zona dove è dislocata la forza di interposizione ONU è compresa in un’area delimitata a nord dal fiume Litani, a est dall’altipiano del Golan (congiungendosi con il contingente UNDOF che presidia il confine siro-israeliano), a sud dalla zona che dista solo 10 km dal confine israeliano e a ovest dal Mar Mediterraneo. L’area rivolta in direzione Damasco è considerata la più rischiosa. Il 9 giugno 2013 il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato di essere preoccupato per lo sgretolamento delle forze dell’UNDOF, sulle alture del Golan, dopo l’escalation degli scontri tra l’esercito di Bashar alAssad e le forze ribelli. I flussi di rifugiati che continuano a raggiungere il territorio libanese, uniti all’instabilità contagiata ormai su tutto il perimetro, rendono la situazione quantomeno allarmante. La seconda unità navale presa in considerazione è la fregata Maestrale, antisommergibile. La nave ha ripreso i fondamentali addestrativi nel maggio del 2012, a conclusione di una lunga fase di ricondizionamento delle capacità operative, iniziata nel novembre del 2010 dopo venti anni di attività nazionale ed internazionale: dal supporto ai cacciamine italiani nel Golfo Persico nel 1991, fino alle operazioni di controllo del traffico marittimo e lotta al terrorismo internazionale dopo l’attentato alle Torri Gemelle del 2001. Attualmente al comando del Capitano di Fregata Pier Paolo Daniele, l’unità è in grado di condurre guerra antisommergibile, dotata di un apparecchio sonar capace di raggiungere i 300 m di immersione, ma può condurre anche attività di ricerca mine grazie alle ultime modifiche realizzate. La fregata può garantire supporto alle operazioni di sbarco anfibio, assicurando protezione da eventuali sommergibili ostili, e possiede un’ampia capacità antinave grazie alla dotazione dei missili Teseo. Si 31 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 tratta di missili a traiettoria programmabile costruiti per impiego antinave e, nelle ultime versioni, anche per obiettivi vicini alla costa. Come risulta dall’ultimo comunicato dello Stato Maggiore, questa unità non è ancora presente in acque libanesi, tuttavia un eventuale impiego futuro trova giustificazione nelle alte capacità combat ready che garantiscono prontezza ed efficienza. Il dispiegamento di navi italiane al largo delle coste mediorientali non rappresenta comunque un'eccezione nel vasto panorama delle attività internazionali. Ogni attore statale che abbia interessi strategici nell’area ha provveduto ad inviare navi nel Mediterraneo, dispiegando la forza come unità di controllo, senza alcuna minaccia per gli Stati rivieraschi. La Russia ha dispiegato sedici navi da guerra e tre elicotteri a base navale nel Mediterraneo, primo dispiegamento russo permanente dai tempi dell’Unione Sovietica. Ilaria De Napoli I GRANDI DIVISI A SAN PIETROBURGO Nato come forum di discussione e cooperazione internazionale sui più importanti temi economici e finanziari globali, il G20 ha visto spesso la sua agenda estendersi a tematiche che hanno fatto passare in secondo piano problemi come globalizzazione, disoccupazione e stabilità dei mercati. È quanto accaduto nel settembre del 2013 nel corso del summit di San Pietroburgo. L’argomento ascritto all’ordine del giorno, crescita economica e creazione dei posti di lavoro, è stato messo in ombra dalla tragedia siriana e dal clima di conflitto latente da essa generato nel panorama internazionale. Il premier italiano Enrico Letta, subito dopo la cena ufficiale al Peterhof di San Pietroburgo, si è pronunciato su Twitter con un commento: “È terminata ora la sessione serale dove si è certificata la divisione sulla Siria”. Opposte, infatti, sono apparse le posizioni risultanti dal summit, con Stati Uniti e Russia ai due poli. A seguito del presunto utilizzo di armi chimiche contro civili da parte del regime di Damasco, nel mese di agosto del 2013, il presidente Obama si è a più riprese dichiarato pronto all’azione militare, incontrando l’opposizione di Putin, che durante la conferenza stampa finale ha dichiarato: “Aiuteremo Damasco con armi e soldi, intensificando la cooperazione umanitaria in caso di azione militare contro la Siria. L’applicazione della forza nei confronti di uno stato sovrano è possibile solo per autodifesa e con il mandato dell’ONU e non è questo il caso. Come già detto, chi agisce in modo unilaterale, viola la legge internazionale”. E il presidente russo si è spinto oltre, definendo lo stesso utilizzo di armi chimiche come una messa in scena organizzata dai ribelli 32 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 anti-Assad al fine di sollecitare l’intervento straniero nella regione e rovesciare il regime. In questo clima da guerra fredda, gli altri paesi hanno mantenuto un atteggiamento più cauto; guadagnatosi l’appoggio di Turchia, Canada e Arabia Saudita, il presidente Obama sembra non aver convinto totalmente Germania, Gran Bretagna, Italia e la stessa Francia che, in un primo momento, era orientata verso l’azione militare. Il presidente Hollande, infatti, ha comunicato di voler attendere il rapporto degli ispettori Onu sulla questione delle armi chimiche prima di decidere in merito Il presidente russo ha definito l’utilizzo di armi chimiche come una messa in scena a un eventuale attacco alla Siria. organizzata dai ribelli anti-Assad al fine di Ancor più misurata la presa di sollecitare l’intervento straniero nella posizione del premier Letta, che ha in regione e rovesciare il regime. più occasioni spiegato che la Carta costituzionale italiana vieta la partecipazione a interventi armati che non dispongano dell’autorizzazione delle Nazioni Unite, ricordando però l’impegno italiano in altre missioni militari internazionali, che spaziano dal Kosovo al Libano, passando per l’Afghanistan. Favorevoli a una soluzione politica e pacifica, lontana dall’uso delle armi, si sono mostrati Repubblica Popolare di Cina, India, Indonesia, Argentina, Brasile, Sudafrica e lo stesso Pontefice, che da Roma ha inviato il suo appello alla pace e al dialogo, lanciando su Twitter l’hashtag #prayforpeace per le cinque ore di preghiera e di digiuno del 7 settembre 2013. La divergenza di opinioni in merito alla crisi siriana si è rivelata, insomma, così profonda che qualsiasi riferimento all’argomento è stato escluso dal comunicato finale del G20, in cui gli addetti ai lavori si sono limitati a trattare le questioni all’ordine del giorno di natura prettamente economica. Sul problema siriano l’unico risultato materialmente raggiunto è stata una dichiarazione congiunta a firma di dieci paesi (Australia, Canada, Francia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Arabia Saudita, Spagna, Turchia e Stati Uniti), in cui si condanna con la massima fermezza l’attacco con armi chimiche avvenuto a Damasco il 21 agosto 2013 (il regime di Assad viene ritenuto responsabile), ma al tempo stesso si esclude ogni soluzione di tipo militare, auspicando invece una pacifica attuativa di quanto stabilito a Ginevra nel 2012. A G20 concluso, le più recenti notizie parlano di una possibile ricomposizione del conflitto che segua la via delle trattative diplomatiche; sembra, infatti, che il governo di Assad abbia accolto favorevolmente la proposta russa, annunciata dal ministro degli Esteri, Serghiei Lavrov, di consegnare il proprio arsenale chimico alla comunità internazionale, decisione che Barack Obama ha definito “uno sviluppo potenzialmente positivo” e che Mosca e Damasco sperano possa bloccare l’intervento militare statunitense. Marcella Centaro 33 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 LA SOLUZIONE LAVROV: UNA TERZA VIA “Se la sottoposizione dell’arsenale chimico al controllo internazionale permetterà di evitare altre violenze e scontri, inizieremo immediatamente a lavorare con Damasco”. Queste sono le parole con le quali Lavrov – ministro degli esteri russo – ha La “soluzione Lavrov” sembra aver messo manifestato l’intenzione di aprire tutti d’accordo, Damasco compresa. E la comunità internazionale, riflessa nelle una terza via nella crisi siriana, a considerazioni del Segretario generale delle pochi giorni dalla chiusura di un G20 Nazioni Unite, ha seguito la scia. apparentemente impotente. La proposta di Mosca arriva il giorno dopo la fine dei round negoziali di San Pietroburgo, quando il segretario di Stato americano, John Kerry, ha lanciato un velato ultimatum ad Assad. In uno dei suoi ultimi interventi, il rappresentante della Casa Bianca ha in effetti aperto uno spiraglio: l’unica e l'ultima possibilità di evitare un'operazione militare si sarebbe concretizzata solo qualora Assad avesse consegnato tutte le armi chimiche entro un tempo limite di una settimana. La chance della strada diplomatica è stata colta al balzo dalla controparte russa e riformulata ufficialmente da Mosca. È quindi Lavrov a proporre la nuova soluzione pacifica il 10 settembre 2013. Il giorno dopo l’intervento di Kerry, Lavrov continua: “Quello che chiediamo alla Siria non è solo di accettare di porre il proprio arsenale chimico sotto controllo internazionale, ma anche di acconsentire alla successiva distruzione dell’armamento e sottoscrivere la Convenzione di Parigi sulla proibizione delle armi chimiche del 1993”. La risonanza della proposta russa, l’extrema ratio per evitare un intervento militare, sin dal suo apparire sulla scena internazionale non conosce opposizioni, presentandosi agli occhi di una diplomazia in affanno come l’unica vera alternativa capace di raccogliere consensi da ambo le parti. Così, dopo aver dichiarato che la Siria è pronta ad ogni forma di cooperazione al fine di evitare qualunque pretesto di aggressione, il ministro degli esteri di Damasco – Walid al Moallem – ha confermato la possibilità di esplorare con attenzione una via laterale nel percorso intricato della crisi. La Siria apre per la seconda volta le porte agli ispettori internazionali, ma questa volta per permettere che il proprio arsenale sia sottoposto al controllo esterno. Le reazioni del resto del mondo non tardano ad arrivare. L’Europa accoglie la proposta come un’alternativa seria all’intervento militare e un valido sostegno alle politiche diplomatiche perseguite. L’Unione tutta, comprese Parigi e Londra, accoglie all’unanimità questa ipotesi di disarmo. 34 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 E anche Obama – che nel suo discorso alla nazione del 10 settembre 2013 si era dimostrato determinato a proporre al Congresso un intervento militare a tempo determinato per evitare che il regime potesse compiere altre violenze – ascolta con interesse la voce russa di Lavrov e si dimostra disponibile a dare la precedenza alla diplomazia. Laddove la via diplomatica riesca davvero ad imporre un nuovo ordine al contesto siriano, o almeno a mitigarne l'esasperata conflittualità, nessun paese potrà più richiedere l’opzione interventista. La “soluzione Lavrov” sembra aver messo tutti d’accordo, Damasco compresa. E la comunità internazionale, riflessa nelle considerazioni del Segretario generale delle Nazioni Unite, ha seguito la scia. Ban Ki-moon ha proposto la creazione di aree supervisionate dall’ONU all’interno del territorio siriano, nelle quali convergere i carichi delle armi a disposizione del regime per la successiva distruzione. Le nazioni, tutte o quasi, direttamente o indirettamente interessate alla crisi siriana, non hanno manifestato alcuna opposizione ad una simile eventualità, anche se rimane da valutare la fattibilità (e la road map) del piano russo. Ma se per il mondo politico e diplomatico occidentale il mese di settembre del 2013 può rappresentare una possibile svolta nella gestione della crisi siriana, per altri attori quest’ultima soluzione sembra invece apparire come un compromesso inaccettabile. In prima linea a sostenere l’opposizione ad una tale soluzione compare l’Esercito Libero Siriano. Il portavoce del Free Syrian Army, in un’intervista a France 24 rilasciata il 12 settembre 2013, dichiara le ragioni per le quali in realtà non ci sarebbe nessuna svolta. Nessuno può assicurare alla comunità internazionale che il regime consegnerà tutto il suo arsenale, nessuno garantisce che pur consegnando l’attuale armamento il Presidente non provvederà ad avviare una nuova produzione o ad aprire nuove attività di procurement. “Bashar al-Assad conosce un solo linguaggio, la forza”, con queste parole Louay Al-Mokdad sembra fendere il velo di ottimismo che si è appena creato nella comunità internazionale, da New York a Bruxelles, da Mosca a Pechino. Nella fila degli scettici, per ragioni diverse, appare Tel Aviv: Netanyahu teme che l’accettazione della proposta di un controllo internazionale possa essere strumentalizzata da Assad solo per guadagnare tempo e perseguire i propri intenti di politica interna senza il disturbo di eserciti internazionali. La comunità mondiale, tra diffidenza e ottimismo, attende la prossima mossa di Damasco sperando che il percorso si concluda con la sottoscrizione della Convenzione sulle armi chimiche che riflette il quadro di supervisione internazionale proposto da Mosca il 9 settembre scorso. Il sistema di controllo internazionale previsto dal Trattato in questione è stato creato nel 1993 con la sottoscrizione della Convenzione di Parigi e si basa principalmente su due pilastri: le dichiarazioni e le ispezioni. Le dichiarazioni devono pervenire periodicamente da parte degli Stati alla Commissione Internazionale dell’Aja (OPAC). Gli Stati membri sottopongono al vaglio un elenco di quelle attività nazionali, di carattere 35 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 militare o civile, che -come disposto dalla Convenzione- devono essere tenute sotto controllo, rientrando, pertanto, tra gli obblighi di notifica. Le ispezioni, d’altra parte, possono perseguire due diverse vie. Il programma prevede visite ispettive ordinarie, effettuate con brevissimo preavviso da parte dei membri dell’OPAC per verificare la reale corrispondenza tra le dichiarazioni e la situazione reale. In casi sospetti e su specifica richiesta di uno Stato parte della Convenzione la Commissione Internazionale può svolgere, inoltre, delle ispezioni straordinarie, mirate a riscontrare la veridicità di accuse di terzi o sospetti di violazioni degli obblighi internazionali. Ammettendo il controllo della comunità internazionale e sottoscrivendo il Trattato di Parigi la Siria sarebbe il sedicesimo Stato del Medio Oriente a prendere parte alla Convenzione per la messa al bando delle armi chimiche, della quale sono già parte Afghanistan, Arabia Saudita, Bahrein, Cipro, Emirati Arabi Uniti, Giordani, Iran, Iraq, Kuwait, Libano, Omano, Pakistan, Qatar, Turchia e Yemen. Ilaria De Napoli 36 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 GLI AUTORI Roberto Angiuoni, Angiuoni laureato con lode in Relazioni Internazionali, dal novembre 2012 è Direttore dell’Associazione Istrid Analysis. È coautore del volume L’Islam Radicale in Africa (Apes, Roma 2012) e del libro Le Primavere Islamiche (La Scuola, 2013), a cura di R. Tottoli. Paolo Balmas, Balmas laureato in Lingue e Civilità Orientali presso l’Università Sapienza di Roma, si è occupato di religioni e culture dell’Estremo Oriente. Svolge l’attività professionale di traduttore. Marcella Centaro, Centaro studia Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’Università Sapienza di Roma. Si interessa di politica internazionale con particolare riguardo all’area mediorientale. Elisa del Greco, Greco laureata in psicologia clinica, specializzanda in psicoterapia, psicodiagnosi clinica e forense. Svolge attività professionale d’istruttore di tiro, studio delle armi e tecnica dell’uso delle armi. Ilaria De Napoli, Napoli laureata con lode in Relazioni Internazionali presso l'Università di Roma LUISS Guido Carli. Nel 2013 ha conseguito il titolo di master post lauream in Studi Internazionali Strategico-Militari presso il Centro Alti Studi per la Difesa. Federica De De Paola, laureata in Relazioni internazionali presso l'università La Sapienza di Roma. Attualmente frequenta un master in Studi diplomatici presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale. Gerardo Fortuna, Fortuna laureato con lode in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all’Università Sapienza di Roma. Si occupa di diritto internazionale e storia diplomatica. Marzia Nobile, Nobile laureata con lode in Relazioni Internazionali presso l’Università Sapienza di Roma. Ha frequentato la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio e Lisli Basso. Si interessa di diritti dei migranti e dei richiedenti asilo. 37 Doctis Ardua n.1 – Dossier Siria / settembre 2013 38