www.dellastoriadempoli.it Brevi note sull’attività empolese di Francesco di Jacopo Ligozzi di Walfredo Siemoni Da: “Paragone” Anno XLV – Nuova Serie – Arte N. 43 Sansoni Editore Gennaio 1994 Le fruttuose ricerche d’archivio condotte da Lucilla Conigliello su questa personalità minore del Seicento fiorentino hanno permesso di definire con maggior chiarezza i contorni, per altro ancora incerti e sfuggenti, dell’unico figlio di Jacopo Ligozzi che, almeno alle nostre attuali conoscenze, proseguì l’attività paterna. Se le fonti lo indicano come “pittore” già nel 1610, pare più che plausibile come una sua carriera, iniziata nella vasta bottega di Jacopo come la Conigliello giustamente intuisce, possa essere avvenuta solo successivamente, forse a non molta distanza dal 1° dicembre 1618 quando fu nominato membro dell’Accademia del Disegno1. Acquista pertanto significato particolare l’esame di quella che sinora si riteneva essere la sua unica opera certa, la ‘Crocefissione con santi’ (tavola 29) posta sull’altare principale della chiesa cappuccina di San Giovanni Battista in Pantaneto, ai margini meridionali dell’abitato empolese. L’insediamento era sorto da pochi anni grazie all’iniziativa e alla munificenza di un gruppo di facoltosi cittadini: il ramo empolese degli Alessandri donò il terreno, Tommaso Del Greco edificò a proprie spese il muro di cinta dell’area conventuale, Giovanni di Benedetto Giomi, insieme ad altri cittadini, contribuì a erigere la chiesa. Quest’ultimo personaggio risulta anche il patrono dell’altar maggiore, intitolato ai Santi Battista e Francesco; la presenza sui plinti dell’austero manufatto ligneo con la sua arme pone pertanto dei comprensibili interrogativi sulla sua posizione in merito alla commissione del dipinto che vi è collocato. L’opera, firmata “Francesco Ligozzi” e datata 1619 nella parte inferiore, presenta “sulla parte posteriore del telaio” una seconda data, 1617, interpretata dal canonico Pogni che dovette vederla agli inizi del secolo come “senza dubbio l’anno in cui fu principiato”2. Il Giomi morì appunto quell’anno e il figlio Alessandro, cavaliere di Santo Stefano, l’anno seguente, non prima però di aver ceduto una parte dei propri diritti di patronato sulla chiesa cappuccina a Cosimo II, il cui stemma è tuttora visibile nella facciata dell’edificio inquartato con quello dei Giorni, rendendo ipotizzabile un intervento della casa regnante anche nei confronti del dipinto3. La tela, recuperata dopo un lungo restauro allorché Antonio Paolucci nel 1974 ne segnalò l’allarmante stato di degrado4, può a ragione essere considerata il capolavoro del nostro autore, 1 imperniata sul nobile ed elegante corpo del Cristo quasi esemplificato su quelle tipologie giambolognesche tanto apprezzate da Jacopo e illuminato dalla livida luce lunare così che la figura, dalle allungate proporzioni, si staglia in maniera netta e luminosa contro la tenebrosa e mortifera oscurità del cielo, debolmente rischiarato dalla falce di luna — quasi una citazione elsheimeriana —, contrapponendosi cromaticamente con la sua tonalità argentea ai paffuti e rosati angioletti — di sicura matrice veneziana — sull’altro lato del dipinto. Queste qualità non trovano eco nelle figure che attorniano, in maniera alquanto incongrua, il Calvario. Oltre ai tradizionali dolenti, gessosi nella loro staticità e dalle fisionomie tutt’altro che caratterizzate, compaiono un Battista dalla posa alquanto convenzionale, e San Leonardo (e non Santa Apollonia, come si afferma nella relativa scheda ministeriale), il quale sembra emergere dal fondo con una certa fatica. Proprio in merito a tale figura, forse in qualche rapporto con la vicina chiesa di Cerbaiola, dedicata appunto al diacono, un esame ravvicinato permette d’accertarne la diversa consistenza della materia pittorica, estranea per tecnica e stile a quella riscontrabile nelle altre figure, insinuando il dubbio — fugabile solo grazie a un’auspicabile indagine radiografica — se non possa trattarsi di un’aggiunta posteriore, forse ottocentesca. Di grande interesse è il volto dell’anziano Sant’Andrea, patrono cittadino, vecchio e calvo, quasi schiacciato sotto il peso della croce che reca faticosamente sulle spalle rivelando sostanziali affinità col coevo percorso di Jacopo il quale, nei medesimi anni, licenzia tele quali il ‘Trasporto della croce’ o l’ ‘Ecce Homo’ dove è possibile “documentare una precoce conoscenza delle opere del Manfredi”5. Ma è indubbiamente la spiritualissima figura di San Francesco in cui il contorto stilema manierista si carica di una nuova suggestione religiosa, in linea con i principi tridentini, avvinghiato com’è alla croce, accentuando l’effetto della stessa figura lasciata da Jacopo nel 1591 per la ‘Deposizione’ dei cappuccini (una semplice coincidenza oppure una precisa intenzione da parte dei confratelli empolesi?) a catalizzare l’attenzione dell’osservatore. La tela di Empoli si propone pertanto come il risultato di una personalità già definita, che ai ricordi della formazione in ambito paterno aggiunge nuove e stimolanti esperienze. E interessante notare come per l’esecuzione del dipinto, da collocare sull’altare maggiore di un edificio in cui compare tra i patroni la stessa casa regnante, la scelta cada su un personaggio che, almeno ai nostri occhi, appare di livello minore rispetto a quanti avevano operato e operavano nel medesimo territorio. In tal senso credo non siano da sottovalutare gli stretti contatti che Jacopo intratteneva con l’ordine francescano e in particolare con i cappuccini, come sottolinea la ricca aneddotica delle ‘Storie’ cappuccine per cui non parrebbe improbabile che il prestigioso incarico arrivi al nostro anche in virtù di ciò6. Oltre a questa, sino a pochi anni or sono unica opera autografa di Francesco, il restauro di Anna Del Vivo dell’ ‘Assunta tra i Santi Sebastiano e Lucia’ (tavola 34) proveniente dalla prioria di Santa Maria a Cortenuova, sempre in territorio empolese, ha nuovamente reso leggibile la firma del pittore, confermando una paternità ligozziana precedentemente da me avanzata in altra sede, oltre all’anno di esecuzione, purtroppo mutilo delle ultime due cifre. L’inventario degli arredi di 2 www.dellastoriadempoli.it chiesa, compilato nel novembre 1589, in preparazione alla visita pastorale effettuata l’anno seguente, ricorda presso l’altare, consacrato ai due santi sotto il patronato del popolo — “una tavola di S. Lucia e di S. Bastiano e nel mezzo l’Assunta” — eseguita in epoca imprecisata7. L’allora priore pro tempore, l’empolese Andrea di Domenico Cittadelli, nominato dai capitani di Orsammichele — patroni della chiesa — solo tre anni prima (1586) del citato inventario, in carica fino al 1630, risulta aver svolto un ruolo primario per la nostra indagine. Fu dietro sua premura che l’attigua compagnia dell’Annunziata venne nel 1588 rinnovata al pari dello stesso edificio religioso in occasione della sua solenne consacrazione, avvenuta il 25 aprile 1598 dall’allora vescovo fiesolano, Alessandro Marzi Medici, come una targa marmorea tuttora ricorda8. Fu probabilmente in seguito alla visita pastorale del giugno 1618 che i due altari posti lungo i lati dell’unica navata, dedicati a San Nicola da Bari l’uno e ai due santi l’altro, furono rinnovati; se per il primo il compito spettò ai Bollini, legittimi patroni, i quali sostituirono la vecchia pittura con una “tabula cum imaginibus Beatae Mariae Virginis puero Jesu, S. Nicolaio et S. Marci in ligno, ornamento ligneo”, per l’altra intervenne direttamente il priore9. Questo risulta da varie fonti, in prima il secentesco Campione dei benefici della collegiata in cui si legge che l’altare fu “rifatto per divozione da messer Andrea di Domenico Cittadelli Priore nel 1620, anzi, restaurato et abbellito” in lieve contrasto con quanto lo stesso religioso afferma in calce all’inventario redatto per la visita pastorale del 1616, “rinnovato l’anno 1619 e tutto a mie spese”10. Appare evidente come sia stato l’ottimo risultato della pittura cappuccina, terminata lo stesso anno dell’incarico a Cortenuova, a procacciare a Francesco il suo secondo incarico empolese, anche se non vanno sottaciuti i rapporti tra i Cittadelli e il convento minorità di Santa Maria a Ripa presso Empoli, ma risulta in tal senso decisivo venire a conoscenza che il nipote del priore, Giuseppe, aveva sposato una sorella del nostro pittore11. La memoria redatta dall’anziano religioso si rivela ancor più decisiva in merito a una coppia di tele, ‘San Marco Evangelista’ e ‘San Francesco d’Assisi’ (tavole 32, 33), in origine — come vedremo — facenti parte di un tabernacolo eucaristico collocato sull’altar maggiore della stessa chiesa. Sulla scorta di una citazione di Vincenzo Borghini erano stati riferiti dalla critica recente, compreso il sottoscritto, alla tarda attività di Girolamo Macchietti, il quale aveva lasciato nella vicina Pontorme un arredo analogo. Dall’inventario già citato appare che nel 1589 su tale altare si trovava “una tavola messa a oro e dipinta a man ritta un’Assunta e a man manca S. Marco, con un ciborio in mezzo, indorato e dipinto”. L’arredo venne pertanto sostituito dal Cittadelli, come lui stesso afferma, poiché “non molto decente sì per i colori, quasi estinti, come per altro” lasciandoci intendere uno stile ormai superato come ci segnala anche la presenza del fondo oro. La medesima fonte ci ricorda come l’intero insieme fosse rinnovato nel 1620 “a spese di Bartolomeo e Ubaldo, fratello e figlio di Domenico di 3 Giovanni Mainardi”, committenti del rinnovato dipinto raffigurante l’Evangelista, e dal fratello Giuseppe, il quale nella stessa circostanza allogò al pittore il ‘San Francesco’ 12. In più, e questo costituisce un fattore inedito, il Cittadelli ricorda come “sopra la tribuna dell’altare sta un ottangolo con (l’Assunta) che è il titolo della Chiesa, e tutte tre queste (pitture sono) di Francesco Ligozzi”; di quest’ultima, ancora in loco durante la visita pastorale del 1655, si perde, dopo tale anno, ogni traccia13. Salgono pertanto a quattro le opere eseguite da Francesco, in un arco cronologico alquanto ristretto, per la chiesa di Cortenuova. L’esame delle tre superstiti, dopo il recente restauro che ne ha permesso una più corretta lettura, tra innegabili affinità evidenzia anche sostanziali differenze rispetto alla tela cappuccina, al punto che parrebbe lecito chiedersi se, stante un certo arcaismo, l’autore non ebbe a tenere conto, forse per motivi devozionali, di quelle pitture che andava a sostituire. Nell’Assunta rappresentata nel quadro dell’altare l’impianto compositivo non pare discostarsi troppo dalla fortunata formula, creata da Jacopo già da alcuni decenni, con i due intercessori in adorazione della Madonna apparsa miracolosamente tra le nubi. La Santa Lucia nella sua inespressività evidenzia punti di contatto con gli astanti della ‘Crocefissione’ di Pantaneto — specie la Madonna —, mentre il San Sebastiano rivela un nuovo interesse nell’accuratezza anatomica e nel tentativo di addolcire l’avvitato contrapposto di origine manierista; impacciata negli abbondanti panneggi, quasi posticcia, appare invece l’Assunta, anch’essa derivata senza particolari apporti dalla produzione paterna. Le migliori qualità sono da ricercarsi nel colore che assume di volta in volta tonalità fredde o cangianti, ad esempio nella serica veste della santa in cui il ricco orlo gallonato ricorda le origini della famiglia, contrastando con l’impossibile positura del pugnale del quale l’autore si ostina a descrivere l’elaborata impugnatura. Di altro livello è l’albero frondoso caratterizzato dalla variata gamma di verdi, atto a far risaltare il limpido e luminoso nudo del martire. Parimente notevole appare il brano paesaggistico che, secondo uno schema consueto, s’incunea tra le figure facendosi notare per la monumentalità dell’imponente ed enigmatico edificio a metà tra la rovina classica e la fortezza medioevale, immerso in una luce argentina, mentre sull’intera pittura pare dominare il cielo azzurro di lapislazzuli smaltato, interrotto qua e là da rosei putti e dalla delicata aura che circonda il volto di Maria. La coppia di santi delle tele laterali ha in comune con l’Assunta lo sfondo azzurro contro il quale si stagliano nettamente, come pure i verdi smaglianti del prato indagato con la meticolosità botanica che contraddistinse tanta parte della produzione di Jacopo; sono i soli a non essere stati firmati dal pittore, forse a causa di una probabile rifilatura alla quale dovettero essere sottoposti nel tardo Settecento, allorché furono inseriti nelle cornici lapidee tuttora visibili nel presbiterio della chiesa. Nonostante una certa piacevolezza cromatica, le due figure paiono colpite da una vistosa sproporzione anatomica, come pure dall’incongrua posizione, in entrambe, del ginocchio flesso e appesantite dai grevi panneggi. Si nota maggior cura nei volti in cui si ricerca una qualche espressione nei tratti grossolani, tutt’altro che ideali, e nella barba mal rasata e nell’incipiente calvizie del San Marco o nel misticismo che emana il santo assisiate in tranquilla contemplazione del piccolo crocifisso che sorregge delicatamente, ponendo la figura in un armonico dialogo col retrostante paesaggio. È inoltre possibile arricchire questo catalogo aggiungendovi la menzione di un’altra tela, sciaguratamente distrutta. Sull’altare dedicato a San Giovanni Evangelista, nella collegiata di Sant’Andrea a Empoli, fino agli inizi del secolo, quando fu trasferita nel contiguo museo, si conservava una pittura esprimente la visione che l’Evangelista ebbe nell’isola di Patmos. Resta la preziosa descrizione fattane a suo tempo dal regio ispettore Guido Carocci poiché non esiste alcuna riproduzione fotografica: “Rappresenta la Visione di San Giovanni Evangelista, il quale 4 www.dellastoriadempoli.it trovasi a sinistra del dipinto in atto di strana meraviglia per la vista improvvisa della Vergine che, circondata dagli angeli, appare in mezzo a vivida luce e in atto di schiacciare sotto i piedi il drago”. Lo storico ricorda di avervi visto, oltre alla data “1622”, la firma di Jacopo, contraddicendo in tal modo il Pini (1863), come pure il più antico Inventario Comunitario (1819) in cui, pur riportando lo stesso anno di esecuzione, si dice opera di Francesco; anche il proposto Gennaro Bucchi nel redigere il primo catalogo a stampa della pinacoteca (1916) ne attribuisce la paternità al Nostro, respingendo il riferimento a Jacopo formulato dal Giglioli un decennio prima14. E ancora una volta il Campione Beneficiale a trarci d’impaccio: in esso si afferma, senza possibilità di equivoci, che la tela “è di mano di Francesco di Jacopo Ligozzi pittore fiorentino”; la fonte secentesca menziona anche il committente del dipinto: non i Ferrini da Palaia, patroni dell’altare dedicato all’Evangelista, ma il rettore prò tempore, incaricato di uffiziare la cappellania, e qui non possiamo non stupirci incontrando nuovamente Andrea di Domenico Cittadelli, il priore di Cortenuova15. Se la somma di vari benefici ecclesiastici, anche presso enti diversi, non desta meraviglia poiché prassi consueta, è da notare il rapporto, per così dire, a doppio filo col pittore, forse dovuto non soltanto agli stretti vincoli di parentela sopra enunciati, considerando come questa, se si eccettua la cigolesca ‘Ultima cena’ — eseguita però per una confraternita di laici — sia la prima opera dal tono riformato a salire, sia pure tardivamente, sugli altari della prima chiesa empolese16. La preziosa indicazione del Carocci è in ogni caso troppo poco per poter avanzare una qualsiasi valutazione stilistica in merito a una possibile evoluzione nel gusto di Francesco, indispensabile per comprendere se l’episodio di Cortenuova fosse un caso isolato dovuto a situazioni esterne, o si trattasse invece di una vera e propria involuzione nello stile del pittore. Lo schema di quest’ultimo dipinto pare Francesco ad ogni modo dipendere fortemente dalla coeva produzione di Jacopo, particolarmente dall’ ‘Apparizione della Madonna a San Giacinto’ (Lucca, Museo di villa Guinigi) che opportunamente la Conigliello ha restituito al 1619 e in cui la disposizione delle figure collima in maniera precisa. La circostanza che dietro la tela vi fosse “un antico ma assai malandato affresco con lo stesso soggetto”17, anch’esso perito nella catastrofe bellica, non può che farci rimpiangere tali perdite, lasciandoci con la curiosità insoddisfatta nel registrare, ancora una volta, come Francesco si sia dovuto confrontare con un testo preesistente. Quali possano essere state le sue risposte non sappiamo, al pari di che cosa sia avvenuto della sua attività per quel ventennio che separa l’ultima delle opere empolesi dalla morte del loro autore. Walfredo Siemoni 5 NOTE 1) Si rimanda alle pp. 41-52 in questo stesso numero della rivista; sulla figura di Francesco di Jacopo Ligozzi si veda il recentissimo contributo di Rosanna Proto Pisani, Appunti su alcuni pittori poco conosciuti del Seicento: Francesco Ligozzi, Giovan Battista Ghidoni e altri, in ‘Arte cristiana’, LXXXI, 759, pp. 423-438. 2) Nel Campione Beneficiale siglato A della collegiata di Sant’Andrea di Empoli (1663) si ricorda che “sotto dì 15 aprile di detto anno (1608) fu fatta solenne processione del Clero, fraterie e Confraternite” e il preposto Cosimo Bartoli benedisse le fondamenta del nuovo convento il 4 d’ottobre dello stesso anno (cfr. O. Pogni, Le iscrizioni di Empoli, Firenze, 1900, n. 501). 3) Sulla famiglia dei Giomi si veda quanto riportato nello Zibaldone del canonico Figlinesi trascritto a suo tempo da Mario Bini in Vecchie famiglie empolesi nell’inedito zibaldone di un capitolare, in ‘Bullettino Storico Empolese’, III, 1964, n. 1057; n. 1060; vedasi anche: O. Pogni op. cit., n. 501. 4) Il materiale relativo al lungo e delicato intervento di restauro è conservato presso l’archivio dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. 5) L. Conigliello, Jacopo Ligozzi: le vedute del Sacro Monte della Verna, i dipinti di Poppi e Bibbiena, catalogo della mostra, Poppi, Firenze, 1992, p. 39. 6) Su tali aneddoti, più o meno curiosi, vedasi: fra Sisto da Pisa, Storia dei Cappuccini toscani, Firenze, s.d., I, pp. 264 nota 3, 202, 701. 7) Archivio Arcivescovile di Firenze (A.A.F.), Visite pastorali. Inventari Medici III, n. 509: Inventario della Chiesa di Santa Maria a Corte Nuova et della Cappella di San Giovanni Evangelista in Pieve d’Empoli. 8) Andrea di Domenico Cittadelli fu battezzato in Empoli il 31 agosto 1561 come appare dal libro dei Battezzati della Prepositura empolesi (c. 60v.). Rettore della cappellania di San Giovanni Evangelista dal 1578, otto anni più tardi ottenne la prioria di Cortenuova da lui retta fino alla morte, avvenuta il 29 ottobre 1630 “di anni 71, e si seppellì nella sua Chiesa di Corte Nova con de’ nostri preti” (Ibidem, Libro dei morti, c. 198v.). 9) A.A.F., Visita Marzi Medici (1618), c. 295; visita Nerli senior (1655) c. 46v. 10) Archivio della Prepositura di Empoli, Campione Beneficiale A, c. 17lv.; Archivio Parrocchiale di Cortenuova: Inventario de’ beni immobili della Chiesa di Santa Maria a Corte Nuova fatto del mese di Giugno l’anno 1626 per me, Priore Andrea Cittadelli, moderno Priore di detta a perpetua memoria, fascicolo di cc. nn. in cui compare un’interessante rappresentazione grafica del prospetto della chiesa corredata di pianta, forse opera del priore tavole (30-31). 11) L. Conigliello, in questo stesso numero della rivista a p. 45. 6 www.dellastoriadempoli.it 12) Su tale attribuzione, confer-mata dal Venturi e da Valentino Pace, si rimanda a W. Siemoni, Restaurati tre dipinti a Cortenuova, in ‘Il Segno di Empoli’, 1991, 14, pp. 8-9, con bibliografia. A.A.F., Visite pastorali, Inventari Medici III, cit., Archivio Parrocchiale di Cortenuova, fase, cit.; appare che gli eredi di uno dei due donatori, Giuseppe di Domenico Mainardi, in ottemperanza alle sue estreme volontà rogate nel 1630, si obbligavano a far celebrare un offizio per la festa di San Francesco (A.A.F., Visite pastorali, Inventari, 1626-1644, n. 325). 13) Ibidem, Visita Nerli senior (1655) c. 46v; Archivio Parrocchiale di Cortenuova, fase. cit. 14) Inventario degli oggetti d’arte compilato dal Cancelliere Comunitario, c. 4 (1819); C. Pini, Inventario degli oggetti d’arte della Collegiata di Empoli (1863); G. Carocci, Schedatura ministeriale Empoli - Chiesa Collegiata di Sant’Andrea (1894), tutti conservati presso l’archivio dell’ufficio catalogo della Soprintendenza ai Beni Storici e Artistici di Firenze e Pistoia. Cfr. inoltre: G. Bucchi, Guidad’Empoli, Firenze, 1916, p. 24; O. H. Giglioli, Firenze, 1906, p. 41. 15) Archivio della Prepositura di Empoli, Campione Beneficiale A, c. 103v.; è significativo apprendere come il Cittadelli subentri nella cura della cappellania per rinunzia di uno dei patroni, Agnolo Ferrini, mentre un altro membro, Bartolomeo d’Alessandro, ne rilevò la carica nel 1630. In base alle proprie volontà, il priore impose agli eredi, figli dei fratelli Giuseppe e Giovan Battista, di istituire la cappella di San Giovanni ante porta Latina presso l’altar maggiore dell’allora erigendo monastero domenicano della Santissima Annunziata (ibidem, c. 137v.). 16) E’ da sottolineare come, se si eccettua alcune pitture del primo Cinquecento, sugli altari di Sant’Andrea a metà del XVII secolo facevano ancora bella mostra di sè molti polittici tardogotici; sole eccezioni i dipinti di due compagnie religiose con opere del manierista Girolamo Macchietti e del più aggiornato Ottavio Vannini. 17) L. Conigliello, op. cit., p. 38; la notizia è riportata dal Pogni, ‘Il cardinal Francesco de’ Nerli arcivescovo di Firenze e le Chiese di Empoli e Castelfiorentino, in ‘Miscellanea Storica della Valdelsa’, 102, p. 36. 7