Ivan Arlotta Marisabel Catalano Le lingue in movimento Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2510–9 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: maggio 2009 Indice Premessa ....................................................................................... 9 Capitolo I: La lingua italiana ed i LG La lingua italiana e le varietà giovanili ........................................ L’italiano standard ....................................................................... Le varietà della lingua standard ................................................... Breve storia dei gerghi ................................................................. La complessità del mondo giovanile ............................................ La mutevolezza ............................................................................ Le componenti del linguaggio giovanile ...................................... Il lessico dei giovani .................................................................... Funzioni e finalità del linguaggio giovanile ................................ I paninari e il loro gergo................................................................ Il nuovo gergo giovanile del t9 .................................................... 11 13 14 16 21 23 25 27 32 35 38 Capitolo II: La lingua francese ed i LG Le ricerche sui LG francesi .......................................................... Il francese sub–standard................................................................ L’argot: un langage en marge ...................................................... Breve storia dell’argot .................................................................. La situazione socio–linguistica delle banlieues ........................... Breve storia del verlan ................................................................. Verlan, le roi de la rue .................................................................. Regole di formazione del verlan .................................................. Verlan: un laboratoire des mots ................................................... 7 41 42 46 47 50 55 56 58 61 8 Indice « Komansa C Cri? » ..................................................................... Il prestito nel LG in Italia e in Francia ......................................... 61 64 Conclusioni ................................................................................... 69 Appendice Petit dictionnaire en verlan ........................................................... Dizionario delle espressioni giovanili italiane ............................. 67 69 Bibliografia ................................................................................... 85 Sitografia ...................................................................................... 95 La lingua italiana e i LG Capitolo I La lingua italiana e le varietà giovanili Se l’italiano è la lingua nazionale del nostro paese1, fa però grave torto alla realtà dei fatti sostenere che tutti gli italiani parlino solo italiano2. È vero che di norma vengono ritenuti parlanti nativi dell’italiano tutti coloro che hanno come lingua della socializzazione primaria (appresa in famiglia) l’italiano o un dialetto del gruppo italoromanzo. Data la loro distanza strutturale reciproca, in genere non di molto inferiore a quella che intercorre fra le varie lingue romanze maggiori o minori, i dialetti3 vanno però considerati varietà linguistiche a sé stanti e non semplici varietà dell’italiano a coloritura locale. Negli ultimi anni si parla di un sorgente linguaggio giovanile o di una lingua dei giovani all’interno della lingua italiana. La descrizione dell’italiano contemporaneo deve, necessariamente, comprendere il linguaggio giovanile una varietà emersa negli ultimi trent’anni. Mentre le altre lingue nazionali, come il tedesco ad esempio, rivendicano di per sé una tradizione storica del linguaggio giovanile in quanto gergo studentesco almeno dal Settecento in poi, per l’italiano non esiste una simile documentazione diacronica. 1 L’affermazione che l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica compare solo in apertura della legge n. 482 del 15 dicembre 1999 (sulle minoranze linguistiche), ma non vi è alcun accenno nella Costituzione. 2 Cfr. A. A. Sobrero, Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Bari, Laterza, 1993. 3 G. Patota, Lineamenti di grammatica storica dell’italiano, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 38: Voce dotta, ripresa dal lat. tardo dĭălectŏs, s. f.,‘dialetto’, prestito dal greco διάλεκτος, letteralmente: “colloquio, parlare ordinario, lingua, pronuncia particolare” è una varietà linguistica (o idioma) usata da abitanti originari di una particolare area geografica. Un dialetto, se si estende in un’area piuttosto ampia, può contenere molte varianti, che a loro volta possono distinguersi in sottovarianti per aree minori. Secondo le caratteristiche linguistiche interne pertinenti alla struttura del sistema, non esiste alcuna differenza fra lingua e dialetto. La sola differenza rimarcabile fra le due nozioni si fonda su criteri sociali. La lingua possiede maggior peso sociale in quanto assolve tutte le funzioni comunicative della società e si estende su un territorio assai più vasto di un dialetto, qualificandosi come veicolo di comunicazione intergruppo e sovraregionale; mentre un dialetto copre generalmente i domini dell’informalità, si usa nell’ambito di gruppi sociali omogenei, quasi esclusivamente nella sfera locale, familiare, quotidiana e possiede un lessico limitato e un basso grado di elaborazione grafica. 11 Capitolo I 12 Il sorgere di varietà giovanili sembra rintracciabile solo dopo la seconda guerra mondiale, se è vero che alla fine degli anni Quaranta Menarini, noto studioso di forme sub-standard, non riscontrava tracce di un linguaggio giovanile.4 Gli addetti ai lavori collocano il linguaggio giovanile tra le varietà dell’italiano parlato5. Una sua varietà diafasica6, un registro utilizzato dai ragazzi in situazioni comunicative informali e prevalentemente orali. Ma in realtà anche nello scritto si possono rintracciare usi propri dei giovani, non di rado con una funzione ludica, cioè connessa alla voglia dei giovani di usare la lingua giocosamente e scherzosamente. I linguisti hanno dedicato la loro attenzione al linguaggio giovanile soprattutto alla fine degli anni Ottanta e all’inizio dei Novanta; ma un uso linguistico proprio delle generazioni più giovani si può individuare già negli anni Sessanta, soprattutto nel Sessantotto, anche in conseguenza del progressivo abbandono del dialetto. Ogni generazione tende a differenziarsi da quella precedente e quindi molte innovazioni cadono ben presto in disuso, non solo sul piano lessicale, dove il ricambio è particolarmente accentuato: si pensi all’uso di cioè come segnale di apertura, molto in uso nella generazione post-sessantottesca, che ha poi ceduto il posto a niente. Il parlato giovanile è stato studiato prevalentemente dal punto di vista del lessico e della formazione delle parole: è del resto questo livello di analisi offre maggiormente elementi caratteristici e significativi, sebbene non manchino fenomeni interessanti anche su altri piani, da quello fonetico a quello testuale. I fenomeni più caratteristici sono gli accorciamenti e le retroformazioni (si pensi al recente arterio da arteriosclerotico per indicare i genitori, l’uso di sigle e acronimi, l’iperbole, anche antifrastica (mitico, pazzesco, sei uno schianto!), il gioco di parole. Quando se ne parla, in genere, si intende per lingua degli adolescenti il loro gergo, quel bagaglio di neologismi, deformazioni, iperboli di cui nessuno, a parte loro, deve possedere le chiavi. 4 Cfr. A. Menarini, Ai margini della Lingua, Firenze, Sansoni, 1947. Cfr. P. D’Achille, L’italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino, 2002. 6 G. Patota, op. cit., p. 21: « Si dice diafasica (dal dià ‘attraverso’e – fasìa ‘parola’, ‘linguaggio’) la variabile legata al livello stilistico (o registro) di una riproduzione linguistica. Una lingua può cambiare il tono o di livello a seconda della situazione in cui si usa». 5 La lingua italiana e le varietà giovanili 13 Di fatto, anno dopo anno, quel linguaggio che era stato una carta d’identità e un simbolo di appartenenza a un gruppo, a un’età, a un mondo, ci sfugge. Si inizia a usarne uno più neutro, con confini meno marcati: il linguaggio degli adulti. Una lingua che serve a comprendersi, non a distinguersi; dove i gerghi sono simbolo di appartenenza, al limite, a un gruppo professionale. Addentrandosi nello sfumato mondo adulto, districandosi nel suo groviglio di convenienze e rispetto delle forme, si perdono i contatti con i giovani e con la loro lingua. Perché quella che usavamo noi alla loro età non esiste più. Ovviamente queste considerazioni di carattere generale valgono per tutte le latitudini. Quello che cambia è il contesto e le modalità di attuazione. L’italiano standard L’esigenza di creare una nuova varietà diagenerazionale nell’insieme dell’italiano contemporaneo va intesa come un impulso collettivo ad arricchire la lingua nazionale di un ulteriore insieme del sub-standard linguistico. Si tratta di una manifestazione che reagisce ai risultati ottenuti dalla politica linguistica normativa quale è stata la questione della lingua. Tutti i tentativi di imporre alla lingua italiana parametri irrevocabili e norme definitive tramite istituzioni come l’Accademia della Crusca7, l’autorità della grande letteratura o le scuole, non hanno impedito che il parlante italiano si orientasse nella comunicazione sempre secondo il criterio che ci sono tante norme quante sono le varietà. L’importanza delle varietà giovanili dipende dal loro rapporto con l’italiano comune, anche se gli elementi specifici appaiono, a qualche studioso, trascurabili. 7 L’Accademia della Crusca costituisce uno dei principali punti di riferimento per la ricerca sulla lingua italiana non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Sorta a Firenze tra il 1582-83, per iniziativa di cinque letterati fiorentini, ai quali se ne aggiunse un sesto, l’Accademia deve il suo nome alle animate riunioni di questi studiosi chiamate “cruscate”, termine che significa, appunto, lavoro di ripulitura della lingua. Essa si è sempre distinta per il suo strenuo impegno a mantenere “pura” la lingua italiana originale, pubblicando già nel 1612 la prima edizione del Vocabolario della lingua italiana, ampliato più volte fino al 1923, che servì da esempio lessicografico anche per le lingue francese, spagnola, tedesca ed inglese. Capitolo I 14 Le varietà giovanili rappresentano un sottoinsieme dell’italiano non-standardizzato che insieme con altri processi linguistici in corso dimostra una dinamica all’interno dell’italiano contemporaneo, spiegabile solo con una marcata fase di costituzione di nuove varietà che soddisfino il bisogno di comunicare con gli adeguati mezzi linguistici di un italiano informale. In particolare ci riferiamo a quelle varietà contestuali che dipendono dal mutamento del contesto in cui si usa la lingua, il cui impiego è legato alla situazione comunicativa e alla funzione che essa assolve.8 È la dimensione diafasica che riguarda i singoli parlanti, i diversi momenti di produzione di atti linguistici, la modalità espressiva e il grado di formalità, ed è strettamente connessa con la soggettività e il livello di competenza linguistica. Le varietà della lingua standard Ogni lingua, quanto più è diffusa nello spazio e nel tempo, tanto più presenta, nelle sue manifestazioni concrete, una serie di differenze, dovute a variabili, dette assi di variazione, legate al canale di trasmissione del messaggio, al suo contenuto, ai rapporti tra gli interlocutori, alla situazione. Dunque, è importante descrivere le fondamentali classi di varietà esistenti all’interno di una lingua. Secondo Berruto9 tali classi si individuano riconducendole a cinque fondamentali fattori che influenzano gli usi diversi della lingua, vale a dire il tempo, lo spazio, le classi sociali, le situazioni comunicative ed il canale utilizzato nella comunicazione. Possiamo distinguerle in: Varietà diacroniche: Si tratta dello sviluppo storico di una lingua, della sua evoluzione nel tempo. Il passare del tempo determina inevitabilmente un mutamento nell’uso linguistico, che di solito avviene nel parlato e che può essere lento o rapido a seconda delle circostanze. Il mutamento linguistico può avvenire per fattori interni al sistema della lingua, che determinano l’abbandono di certe forme a vantaggio di altre, a causa dello sviluppo di processi di grammaticalizzazione, 8 9 Jakobson R., Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966. Cfr. G. Berruto, La sociolinguistica, Bologna, Zanichelli, 1974. La lingua italiana e le varietà giovanili 15 per i quali alcune parole acquistano funzioni grammaticali o ad opera della lessicalizzazione, in cui elementi grammaticali danno origine a nuove parole. Tra le forme in declino dell’italiano contemporaneo possiamo ricordare i pronomi egli, esso, essa, essi, esse, che cedono sempre più il campo a lui, lei, loro. Come esempi di grammaticalizzazione si possono citare: il verbo venire che, perdendo il significato proprio, sostituisce in molti casi essere come ausiliare del passivo: “L’alunno viene rimproverato dall’insegnante”. Ma possono determinare cambiamenti nell’uso, anche fattori esterni, come il contatto con altre lingue, che provoca interferenza tra sistemi distinti, fenomeni culturali e trasformazioni sociali. Gli effetti del contatto con altre lingue possono essere esemplificati dall’influsso dell’inglese sull’italiano contemporaneo, documentato non solo dalla massiccia introduzione di anglicismi non adattati (computer, discjockey, mouse, single, ticket, target, trend), ma anche dalla diffusione di certe peculiarità sul piano sintattico (per esempio l’interrogativa multipla, del tipo Chi ha visto chi, in passato era sconosciuta all’italiano). Tra le trasformazioni sociali che hanno determinato mutamenti nell’uso linguistico si segnala invece la crescente diffusione del ‘tu’ allocutivo a spese del ‘lei’ di cortesia, sia sul posto di lavoro tra colleghi, sia tra sconosciuti; si tratta di un’innovazione dovuta a un profondo cambiamento nei rapporti interpersonali. Varietà diatopiche: Riguardano le diversificazioni a cui una lingua è soggetta in base all’origine e alla distribuzione geografica dei parlanti. Nonostante la superficie dell’Italia non sia vastissima, la variabile diatopica è da noi particolarmente importante, la ricchezza dei dialetti ha avuto e continua ad avere riflessi importanti sull’italiano che a quei dialetti si è sovrapposto, soprattutto sul piano fonetico e su quello lessicale, determinando la nascita degli italiani regionali. Varietà diastratiche: Queste varietà riguardano i diversi aspetti d’uso che una lingua assume a seconda della provenienza e collocazione sociale e culturale dei parlanti e delle diverse caratteristiche che questi presentano rispetto a parametri socialmente pertinenti. Varietà diafasiche: Si tratta delle diverse modalità di utilizzo della lingua, che si realizzano a seconda delle situazioni in cui i parlanti si trovano a usarla, in questo caso si parla anche di varietà situazionali o 16 Capitolo I varietà contestuali. Le varietà contestuali dipendono dal mutamento del contesto in cui si usa la lingua, il loro impiego è legato alla situazione in cui avviene la comunicazione e alla funzione che essa assolve. La dimensione diafasica riguarda i singoli parlanti, i diversi momenti di produzione di atti linguistici, la modalità espressiva e il grado di formalità, è strettamente connessa con la soggettività e il livello di competenza linguistica. Varietà diamesiche: Riguardano il canale attraverso il quale avviene la comunicazione, che distingue la lingua dei testi parlati, prevalentemente dialogici e generalmente indirizzati a persone conosciute e presenti, legati dunque al contesto situazionale, da quella dei testi scritti, sempre fonologici, spesso rivolti anche a sconosciuti e comunque destinati a durare nel tempo. Alla tradizionali categorie dello scritto e del parlato è stata giustamente aggiunta quella del trasmesso, con riferimento prima al parlato a distanza o parlato trasmesso (telefono, radio, televisione, cinema), poi anche allo scritto (internet, posta elettronica, messaggi telefonici, forme definite come scritto trasmesso). Breve storia dei gerghi La storia di una lingua è anche storia dei gerghi che, adoperati nella quotidianità, possono passare nella scrittura fino a caratterizzare alcuni generi letterari. La parola gergo viene dal francese antico ‘jergon’ nella varietà ‘gargun’. Nel francese standard oltre al termine jargon, si parla di argot; in inglese è molto usata la parola slang; i tedeschi hanno la Gaunersprache (letteralmente: lingua dei ladri) chiamata a volte slang. I belgi dispongono del brusseleer (un vigoroso dialetto di Bruxelles). Nei Paesi Bassi si parla il diaventaal, a volte chiamato anche slang; gli italiani hanno il gergo. In spagnolo si ha il jerga, appellativo piuttosto riservato ai gerghi relativi ad alcuni mestieri e il calo (si tratta di un gergo di origine gitana); in Portogallo si ha il calao. Il gergo è una varietà di lingua adottata da un gruppo di persone per comunicare all’interno, di un mondo segreto, escludendo gli altri dalla comunicazione. È la lingua di un determinato gruppo sociale, isolato e con regole di vita particolari, che si costruisce un codice di comunica- La lingua italiana e le varietà giovanili 17 zione diverso dagli altri. Si tratta di una vera arma di difesa contro il controllo altrui, e può essere utilizzato dai malviventi, dai giovani, dai militari, dagli studenti. Generalmente i gerghi servono all’arricchimento dell’immagine fonica che la lingua di cultura non sempre può soddisfare ed anche per esprimere, in un codice a volte effimero, le trasformazioni e le contaminazioni che la lingua predominante subisce nel tempo. La lingua parlata, così come quella scritta, è soggetta a trasformazioni continue, prodotte dal modificarsi dei termini che si fondono, cadono in disuso e vengono coniati al passo con il mutamento degli scenari storici. Accanto a questo fenomeno di trasformazione storica, la lingua subisce l’influenza delle generazioni giovanili che la contaminano e la adattano alle loro esigenze di gruppo. La storia dei linguaggi giovanili esprime, quindi, in un codice privato, le stesse alterazioni subite dalla lingua predominante. I gerghi sono sempre linguaggi speciali particolarmente marcati, che hanno due principali ragioni d’esistere: − Dare un segnale della propria appartenenza solidale a un gruppo. − Non farsi capire facilmente da chi è estraneo al gruppo. Queste due dimensioni rendono il gergo un linguaggio particolarmente marcato, composto di piccole quotidianità e condivisioni e dalla nascita e sviluppo di un sentimento del ‘noi’. Le caratteristiche fondamentali di un gergo, secondo Berruto sono: L’uso di una lingua base come può essere il dialetto del posto o la lingua ufficiale: il gergo non ha infatti una sua base indipendente (base che invece è presente in un dialetto o nell’idioma di una minoranza linguistica). Senza l’appoggio di questa lingua, il gergo non può svilupparsi. La mancanza di autonomia completa di un gergo si rispecchia nel fatto che si continuerà a fare ricorso sistematico all’idioma base (lessico, strutture grammaticali ecc.). Una notevole differenza rispetto alla lingua originale. La segretezza: il gergo ha come scopo quello di impedire la comprensione da parte di parlanti estranei al gruppo sociale. Una caratteristica del gergo è proprio la funzione criptica, anche se l’uso di alcune parole speciali da parte di un gruppo di studenti, ad esempio, non ha necessariamente lo scopo di rendere segreto un lin- Capitolo I 18 guaggio e quindi non costituisce un fenomeno di gergo in senso stretto. Nello specifico, i gerghi più noti sono quello dei giovani, dei politici, dei militari e soprattutto quello della malavita10, che nasce, appunto, col preciso scopo di garantire la segretezza delle comunicazioni (di qui il forte impiego delle espressioni metaforiche: per esempio palo ‘complice’, cantare ‘confessare’, dritta ‘informazione’), motivo per cui è il più ermetico, compatto e stabile. La mafia siciliana per la sola parola ‘uccidere’ utilizza un’impressionante varietà di espressioni: àstutari ‘spegnere’; attumullàri ‘seppellire’; ncasciàri ‘chiudere nella cassa da morto’; addummìsciri ‘addormentare’; aggiuccàri ‘piegare’; asciucàri ‘asciugare’. Al gergo della malavita sono poi attribuibili talune parole di varia estrazione regionale: caramba ‘carabiniere’; pula ‘polizia’; buiosa ‘cella’; scapuzzador ‘assassino’; ruffante ‘borsaiolo’; casché ‘borseggio’; cravattaro ‘usuraio’; berta ‘pistola’; ecc. In Italia un primo linguaggio tipico dei giovani può essere fatto risalire alla vita di caserma, allorché l’esperienza della coscrizione obbligatoria portava a socializzare molti giovani provenienti da tutte le regioni. I termini ‘imbranato’ e ‘pezzo grosso’ derivano proprio da quell’ambiente. Normalmente, i termini gergali che escono dall’ambito in cui sono stati coniati, finiscono con il divenire abusati e di conseguenza dimenticati e rimpiazzati da nuovi vocaboli: ciò rende lo slang un linguaggio in continua evoluzione. Per loro stessa natura di linguaggi tipici di gruppi in continua evoluzione, questi gerghi sono per così dire generazionali e hanno una diffusione per lo più circoscritta a un territorio abbastanza limitato. Tuttavia è possibile che molti termini o espressioni gergali siano diffusi a livello nazionale dal cinema, dalle canzoni, dalle cronache gior10 A. Dino, Mutazioni. Etnografia del mondo di Cosa Nostra, Palermo, La Zisa, 2002, pp. 131-133: “Cosa Nostra ha posto ai propri associati il problema di individuare e sperimentare forme di comunicazione e modalità di interazione differenti da quelle ordinarie, che potessero coniugare le esigenze della segretezza con la necessità del controllo e dello scambio comunicativo. Il linguaggio degli uomini di onore è molto limitato, si parla a brevi sillabe, per pochi momenti”. La lingua italiana e le varietà giovanili 19 nalistiche, finendo così per entrare stabilmente nel lessico dell'italiano comune. Per esempio: pivello ‘giovane alle prime armi’; strizza ‘paura’; grana ‘denaro o seccatura’; frana ‘imbranato’. La tecnica con cui si raccolgono i vocaboli è multiforme: essi provengono direttamente dalla strada, dai luoghi di aggregazione giovanile, dalla scuola e sono rimescolati secondo le moderne tecniche di comunicazione, usate per gli spot pubblicitari, per ottenere una lingua propria. Nasce così una nuova lingua, quella tipica dei giovani. A differenza della lingua ufficiale, i cui i termini, dopo un uso continuativo, sono inseriti nel dizionario che in qualche modo li legittima, i neologismi gergali sono coniati continuamente e diffusi con molta velocità proprio perché “creare” vuol dire permettersi il lusso di essere sé stessi, ma anche definirsi senza lasciare che gli altri lo facciano per te. Ogni creazione è una ridefinizione di sé stessi e del proprio gruppo, in una continua spirale. Michele Cortelazzo sostiene che fino agli anni Cinquanta si usava l’italiano per le situazioni formali e il dialetto per quelle colloquiali e familiari. Da quando nel nord-ovest e nel centro Italia il dialetto è sempre meno utilizzato, il bisogno di comunicare con emotività ha contribuito a creare il linguaggio giovanile. Questo linguaggio si autoalimenta attraverso processi di formazione interna; il più vistoso è lo scorciamento: dove mate, ad esempio, significa ‘matematica’.11 Esistono comunque alcune categorie che utilizzano un linguaggio tipicamente settoriale, incomprensibile agli altri, pur non parlando in gergo. Alcuni esempi: a) Linguaggio sindacale: con le gabbie salariali, per indicare una ‘situazione di precarietà economica’, etc. b) Linguaggio giornalistico: con pastone ‘articoli che riuniscono cronache e commenti’; cavallo di ritorno ‘notizie già pubblicate, che dopo qualche tempo, per equivoci o cause di diverso tipo, vengono date come nuove’ etc. c) Linguaggio burocratico: con le formule ‘ai sensi dell’articolo…’ per dire ‘come è previsto nell’articolo…’; ‘S.V.’ per ‘Lei’, ormai incomprensibili ai più. 11 http://espresso.repubblica.it/dettaglio-archivio/869219: M. Simonetti, Parliamoci in under-1, L’Espresso, 1998. 20 Capitolo I La conoscenza del gergo si base in piccola parte sugli studi effettuati dai linguisti, ma non esistendo raccolte sistematiche né per il passato né per il presente non si è in grado di offrire dati, che non siano parziali, su consistenza e distribuzione dei gerghi. Inoltre, lo studio sul terreno presenta particolari difficoltà, per le caratteristiche sociologiche dei gerganti che temono in maniera istintiva ogni domanda e tendono a dare informazioni false o reticenti. D’altra parte, i linguisti raccolgono solo il lessico gergale; materiale per lo studio della sintassi, della testualità e della pragmatica gergale si deve cercare in fonti letterarie. Dal punto di vista letterario, il gergo ha goduto di una grande fortuna tra il XV e il XVII secolo, prima presso i poeti burleschi, poi nella commedia (Ariosto) sino ad arrivare ai romanzi di Pasolini. Il periodo di maggior diffusione del gergo sembra essere stato il periodo a cavallo tra il Cinquecento ed il Seicento, a giudicare dalle condizioni socio-economiche di quell’età, dalle testimonianze storiche e dalla letteratura, che elaborò una vera maniera picaresca (picaro ‘vagabondo’ è un termine gergale). Una mappa degli attuali gerganti è assai difficile da stabilire. La società contemporanea attraverso l’estensione e il perfezionamento del controllo sugli individui, riduce gli spazi della marginalità, dell’illegalità e del vagabondaggio (si pensi alle crescenti difficoltà che incontra il nomadismo degli zingari), anche se crea forme di emarginazione, che assumono, in parte almeno, i caratteri culturali della marginalità storica. Sarebbe imprudente pensare che i gerganti e il gergo siano in pericolo d’estinzione, poiché se è vero che sono drasticamente diminuiti i gerganti legati all’ambulantato e alla piazza, quelli più legali quindi più visibili, sono invece aumentati i gerganti legati alle attività illecite. La lingua italiana e le varietà giovanili 21 La complessità del mondo giovanile Nel 1988 Coveri12 definiva il linguaggio giovanile come la varietà di lingua utilizzata, quasi esclusivamente nelle relazioni di peergroup, da adolescenti e post-adolescenti (teenagers). La fascia d’età interessata (11-19 anni circa) è quella caratterizzata, dal punto di vista linguistico, dal passaggio dal linguaggio infantile alla competenza linguistica adulta e, dal punto di vista psicologico, dalla costruzione dell’identità di sé, con lo spostarsi dei modelli di riferimento e di comportamento dalla famiglia al gruppo13 di coetanei. Una tale definizione accomuna ragazzi appartenenti ad una fascia d’età in realtà troppo estesa, vista in rapporto alla varietà giovanile di lingua, anche se non esiste un’etichetta soddisfacente che possa comprendere, in modo univoco, la categoria giovani. I giovani, intesi come categoria generale, non esistono. Esistono i pre-adolescenti, gli adolescenti, i post-adolescenti, i giovani adulti.14 In altre parole, parlando di giovani vengono intese realtà molto diverse tra loro: un ragazzo di quattordici anni è sicuramente molto diverso da un ragazzo di diciotto o ventiquattro anni. Il linguaggio giovanile di un pre-adolescente non è quello di un trentenne, ma anche quello di un quattordicenne non è quello di un ventenne. Radtke afferma che bisogna considerare separatamente i giovani dai cosiddetti post-adolescenti, cioè i ragazzi tra i venti ed i ventiquattro anni. 12 L. Coveri, Sprache und Generationem - Lingua ed età, in G. Holtus, M. Metzeltin, C. Schmitt (a cura di), Lexikon der romanistischen Linguistik, Tübingen, Niemeyer, 1988. 13 G. Lavanco, C. Novara, Elementi di Psicologia di Comunità. Dalla teoria all’intervento (seconda edizione), Milano, McGraw-Hill, 2006: Il termine gruppo si fa derivare dal germanico occidentale “kruppa” tradotto con “matassa arrotolata”, mentre il significato italiano più vicino è quello di groppo di origine toscana, ossia nodo. L’etimologia rimanda subito ad alcuni elementi che contraddistinguono il gruppo come realtà dinamica: esso è il risultato di un fitto intreccio di legami che ne testimoniano la dimensione multipersonale (matassa arrotolata) e fa esplicito riferimento alla coesione che stringe insieme i membri che ne prendono parte (nodo). 14 E. Radtke, La dimensione internazionale del linguaggio giovanile, in Il linguaggio giovanile degli anni Novanta. Regole, invenzioni, gioco, a cura di E. Banfi e A. A. Sobrero, Bari, Laterza, 1992. 22 Capitolo I Tale bipartizione, basata su criteri sociali ed extralinguistici, dovrebbe influire sull’analisi linguistica: i giovani in età scolare hanno come riferimento fondamentale l’ambiente scolastico e un particolare gruppo di amici. Essi sono più portati a coniare un linguaggio originale, termini strani, spiritosi, capaci di fare effetto e che restino in mente. Invece, i ventenni hanno altri contesti di riferimento, più ampi e vicini al mondo degli adulti, siano essi legati alla realtà dello studio o del lavoro, usano meno il gergo rispetto ai giovani e risultano meno orientati verso l’identificazione di un peer-group. Inoltre, occorre distinguere l’uso del linguaggio secondo la condizione sociale. Giovani di umili condizioni e/o istruzione elementare utilizzano settori del linguaggio giovanile definibili come in via di obsolescenza, mentre quelli di condizione sociale intermedia utilizzano più facilmente in maniera ludica vocaboli che si impongono come moda. Negli anni Ottanta, e ancor più negli anni Novanta, le varietà giovanili della lingua hanno assunto proporzioni ragguardevoli caratterizzando in modo del tutto evidente il costume linguistico connesso alla fascia d’età. I recenti studi su questo tema hanno consentito di delineare i tratti peculiari delle varietà giovanili, nonché le funzioni e la posizione nel repertorio linguistico. Infatti, per quanto articolate al loro interno in relazione ai gruppi giovanili, nelle diverse situazioni urbane e metropolitane e meno frequentemente in ambiente rurale, tali varietà presentano le medesime caratteristiche socio-linguistiche ed analoghi processi di formazione del lessico mediante la selezione dal repertorio linguistico, di elementi che concorrono alla costituzione di un amalgama, ma che sono diversamente presenti secondo le situazioni e gli ambienti. Un piccolo paese di provincia e una metropoli sono contesti tra loro molto differenti per lo sviluppo e l’uso del linguaggio dei giovani: nonostante sia effettiva una tendenza all’omologazione, i due ambienti restano culle di linguaggi differenti. Insomma, il linguaggio giovanile riflette la complessità del mondo dei giovani. Come non si può parlare, se non in termini troppo generali, di cultura giovanile, così non si può parlare di linguaggio giovanile semplicemente al singolare. La lingua italiana e le varietà giovanili 23 Il linguaggio è un modo particolare di esprimersi in relazione innanzitutto al lessico e alla fraseologia. Opportunamente si deve parlare di linguaggi giovanili, e non di linguaggio. Il primo motivo, già illustrato, per cui è necessario parlare al plurale è di carattere storico: spesso parole ed espressioni di un periodo si sovrappongono a quelle di un altro, dando vita a una sorta di ‘giovanilese’ storico, caratterizzato da elementi linguistici a lunga durata. A volte alcune espressioni, sopravvivono nella comprensione, non nell’uso, ad esempio pisquano ‘ragazzo sciocco’; sbarbina ‘ragazza giovane e carina’; nisba ‘niente’; matusa ‘anziano’. Ciò vale soprattutto per i termini legati a forme di subcultura giovanile, che cadono in disuso e vengono considerati out, come quelli utilizzati dei paninari, negli anni Ottanta: sfitinzia ‘ragazza carina’; giusto ‘come aggettivo per qualificare in modo positivo qualcosa o qualcuno’; tamarro ‘per indicare una persona volgare’. Se ci si domanda che cos’è giovane e, dunque, lingua dei giovani, una risposta adeguata non va cercata tanto nella definizione di fasce d’età, piuttosto nell’insieme dei fenomeni di carattere collettivo in cui i giovani si riconoscono. Sono questi ultimi che li rendono giovani, ne consegue che non esiste un linguaggio giovanile a tutto tondo come non esistono giovani tout court, tali categorie formali sono solcate con ogni evidenza da variabili e da tratti particolari che ne fanno porzioni di un continuum sia linguistico sia sociologico. La mutevolezza «Scrostati, gaggio! » significa, in italiano standard, ‘Vattene, idiota!’ ed è il titolo di un dizionario dei linguaggi giovanili, pubblicato da Renzo Ambrogio e Giovanni Casalegno.15 In effetti, sfogliandolo ci si sente un poco idioti, nel senso proprio del termine ‘ignorante’: dal momento che molte parole sono, letteralmente, da tradurre in italiano, ci si sente ignoranti, esclusi, fuori dal gruppo e stranieri.16 15 16 Cfr. R. Ambrogio e G. Casalegno, Scrostati, gaggio, Torino, Utet, 2004. http://www.ibs.it/code/9788877509208/ambrogio-renzo/scrostati-gaggio-dizionario. 24 Capitolo I Gli autori lo definiscono un dizionario storico, perché intende valorizzare un aspetto fondamentale dei linguaggi giovanili: il loro essere in continuo divenire, la loro mutevolezza geografica e cronologica. È possibile distinguere alcune tappe, individuando alcuni momenti salienti di questa storia. La prima tappa si può far risalire agli anni Cinquanta e Sessanta. Allora il linguaggio giovanile coincideva sostanzialmente con il gergo studentesco ed era abbastanza statico, limitato e circoscritto. Il periodo dal Sessantotto al Settantasette è stato caratterizzato dall’uso del linguaggio a scopo politico e di contestazione, di derivazione colta, segnato soprattutto dalla terminologia politicosindacale e da espressioni quali, ad esempio, prendere coscienza, nella misura in cui, a livello di, cioè. Negli anni Ottanta, come si è verificato nella società un generico riflusso nel privato e un emergere di gruppi con spiccata identità, così anche a livello linguistico sono emersi linguaggi di gruppo, capaci di rafforzare, grazie al lessico, la riconoscibilità di dark, punk, new romantic, paninari ecc. Il quarto momento è quello che va dagli anni Novanta fino ai nostri giorni, caratterizzato da una molteplicità di modelli, gusti e tendenze difficilmente riassumibili. È da notare un fenomeno specifico: la nascita di un lessico di carattere sociopolitico, legato ai girotondi, ai movimenti pacifisti e no-global. Ogni periodizzazione, però, resta sempre parziale. Se, ad esempio, nel Sessantotto molti giovani, specie i più colti, erano politicizzati, molti altri non lo erano affatto e vivevano realtà diverse da quelle universitarie e contestatarie. Al di là di ogni suddivisione temporale, comunque è da riconoscere che il linguaggio giovanile si evolve a un ritmo decisamente più sostenuto rispetto la lingua standard, e parole o espressioni comprese e usate in un periodo anche dopo una stagione possono già risultare non più adatte, pur rimanendo ancora comprensibili. Ciò accade perché le mutazioni della cultura giovanile e dei suoi riferimenti fa sì che le parole si usurino velocemente e siano soppiantate da altre nuove e aggiornate, nonostante le prime non scompaiano del tutto dall’uso.