QUADERN / GIOVEDÌ, 26 NOVEMBRE 2015 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO Reverse charge dovuto anche se la fattura presenta l’IVA “estera” Voluntary disclosure al fotofinish / Giorgio CONFENTE e Nadia GENTINA / Salvatore SANNA Nel caso di acquisti di servizi resi da fornitori non residenti, occorre porre particolare attenzione alle ipotesi in cui il committente riceva un addebito con esposizione dell’IVA estera, a causa di un errore del fornitore non residente o di un “disallineamento” fra la normativa nazionale e quella estera. L’applicazione dell’IVA da parte del prestatore non residente può derivare, in primo luogo, dalla difficoltà dello stesso nel qualificare il committente come soggetto passivo d’imposta: ad esempio, nel caso di acquisti di servizi tramite internet, anche se il committente nazionale ha inserito nel portale web del fornitore la propria partita IVA. In altri casi, l’assoggettamento ad IVA estera può essere “legittimo”, a causa del diverso trattamento riservato all’operazione dalla normativa vigente nel paese [...] Scade il 30 novembre il termine per l’adesione alla procedura di collaborazione volontaria introdotta dalla L. 186/2014. Infatti, a seguito della proroga dei termini operata dal DL 153/2015, la data ultima per l’invio telematico del modello è stata spostata dal 30 settembre al 30 novembre 2015. Si ricorda che in base a quanto previsto dalla norma citata: - l’invio della relazione di accompagnamento all’istanza e della relativa documentazione può essere effettuato entro il 30 dicembre 2015; - entro la medesima data sarà possibile integrare il modello presentato. Resta ferma, tuttavia, l’irrevocabilità dell’adesione alla procedura. Con riferimento alla possibilità di integrare il modello di adesione alla procedura di collaborazione volontaria, si osserva che le istruzioni non prevedono che nella dichiarazione integrativa vengano indicati solo i dati “aggiuntivi” rispetto all’istanza originaria. Sarà, quindi, necessario compilare integralmente l’istanza indicando, oltre ai nuovi elementi emersi, anche sia gli investimenti che i redditi già contenuti nel modello precedentemente inviato. In sede di integrazione del modello, poi, dovreb- Entro fine mese si dovrà presentare la prima istanza di adesione. Tuttavia, sarà possibile integrare il modello fino al 30 dicembre A PAGINA 2 A PAGINA 3 INEVIDENZA FISCO 730 precompilato, troppe complicazioni per l’invio delle spese sanitarie Gli esborsi forfetari ai volontari non sono rimborsi spese Per la Cassazione abuso del diritto a portata limitata Base imponibile del registro sulla cessione d’azienda al lordo degli accolli La particolare tenuità non può travolgere il giudicato ALTRENOTIZIE be essere possibile anche modificare il regime di calcolo dei redditi di natura finanziaria che derivano dalle attività emerse. Al riguardo, si segnala che l’art. 5-quinquies comma 8 del DL 167/90 conferisce al contribuente la possibilità di optare per la determinazione forfetaria dei redditi. In merito, la circ. Agenzia delle Entrate 13 marzo 2015 n. 10 ha chiarito che: - l’applicazione del regime forfetario in luogo del regime ordinario di determinazione dei rendimenti deve essere specificatamente richiesta dal contribuente; - l’opzione, che si esercita barrando l’apposita casella nella richiesta di adesione alla procedura, è vincolante per tutti i periodi d’imposta oggetto di collaborazione volontaria. Di conseguenza, è il contribuente che decide su quali attività finanziarie applicare il regime forfetario e non l’Ufficio. Se in sede di integrazione dell’istanza dovessero emergere nuovi investimenti esteri (oppure anche solo modificarsi) e il contribuente dovesse decidere di applicare il criterio analitico di determinazione dei redditi in luogo di quello forfetario indicato nella [...] / A PAGINA 10 Medici “di famiglia” esonerati da fatturazione elettronica / Emanuele GRECO I medici generici, che esercitano in regime di convenzione con il Sistema sanitario nazionale, non sono tenuti ad emettere fattura elettronica nei confronti della ASL, dalla quale ricevono i compensi. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con risoluzione n. 98, pubblicata ieri, 25 novembre 2015. Come già indicato nella precedente risoluzione n. 88 del 19 ottobre 2015, difatti, le disposizioni in materia di fatturazione non sono mutate a seguito dell’ [...] A PAGINA 5 ancora IL CASO DEL GIORNO Reverse charge dovuto anche se la fattura presenta l’IVA “estera” In presenza di imposta erroneamente applicata dal prestatore comunitario, il cliente non è esonerato dall’integrazione della fattura / Giorgio CONFENTE e Nadia GENTINA Nel caso di acquisti di servizi resi da fornitori non residenti, occorre porre particolare attenzione alle ipotesi in cui il committente riceva un addebito con esposizione dell’IVA estera, a causa di un errore del fornitore non residente o di un “disallineamento” fra la normativa nazionale e quella estera. L’applicazione dell’IVA da parte del prestatore non residente può derivare, in primo luogo, dalla difficoltà dello stesso nel qualificare il committente come soggetto passivo d’imposta: ad esempio, nel caso di acquisti di servizi tramite internet, anche se il committente nazionale ha inserito nel portale web del fornitore la propria partita IVA. In altri casi, l’assoggettamento ad IVA estera può essere “legittimo”, a causa del diverso trattamento riservato all’operazione dalla normativa vigente nel paese del fornitore. Come si deve comportare il committente soggetto passivo nazionale nel caso in cui riceva un documento che espone una imposta non dovuta, nei due casi prospettati? In presenza di imposta erroneamente applicata dal prestatore comunitario, il cliente non è esonerato dall’integrazione della fattura che deve comunque essere operata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 17 del DPR 633/72 e 46-47 del DL 331/93. Con la circolare n. 28 del 21 giugno 2011, § 1.4, l’Agenzia delle Entrate ha affrontato nello specifico il comportamento che deve essere tenuto dal committente residente nel particolare caso in cui il fornitore estero applichi indebitamente l’IVA, su una prestazione qualificata come “servizio generico”, chiarendo che il soggetto residente deve procedere alla applicazione del “reverse charge” secondo le norme e la prassi nazionali, a prescindere dal trattamento applicato all’estero. Ciò chiarito, nel caso in cui non si riesca ad ottenere la nota di credito dal prestatore estero, si tratta di capire se l’integrazione debba essere effettuata sul corrispettivo imponibile, al netto dell’IVA estera o sull’importo totale addebitato, comprensivo dell’IVA. Posto che ai sensi dell’art. 168 della dir. 2006/112/CE, l’imposta è detraibile solo se “dovuta”, la quota di imposta inserita in fattura dal prestatore estero diventa un costo per l’azienda committente, in quanto costituisce un onere aggiuntivo che va a sommarsi al corrispettivo contrattuale. La deducibilità del costo discende dalla duplice considerazione che il committente residente resta definitivamente inciso dell’onere che è certo nel suo / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 26 NOVEMBRE 2015 ammontare e inerente, in quanto tale “maggior prezzo” non determina né influenza la natura del costo. Più delicato è il caso in cui l’applicazione dell’IVA da parte del prestatore non residente sia conseguente ad un addebito “corretto” in base alla normativa vigente nello stato estero, così come interpretata dalla locale autorità fiscale. Ciò accade frequentemente nell’ambito dell’acquisto di servizi che, nonostante l’emanazione del Regolamento UE 1042/2013, in taluni paesi sono ancora considerati relativi a beni immobili anziché qualificati come servizi “generici”: ad esempio la fornitura di spazi espositivi, presso le fiere, o i servizi di “logistica”. Nel caso di IVA correttamente esposta, secondo le norme vigenti nel paese del fornitore comunitario, l’ammontare di riferimento per l’inversione contabile (al netto o al lordo dell’IVA applicata in fattura) dipende dalla scelta di chiedere il rimborso dell’IVA estera. Se l’operatore nazionale opta per la richiesta di rimborso è implicito che l’integrazione debba essere effettuata sull’imponibile esposto in fattura, al netto dell’IVA estera, non potendo rappresentare l’imposta una componente di costo. Diversamente se l’operatore rinuncia all’istanza di rimborso IVA, la quota corrispondente all’imposta estera non dovrebbe teoricamente essere dedotta. In tal senso l’Agenzia delle Entrate che nella circolare n. 25 del 19 maggio 2010 afferma che “ai fini reddituali l’IVA rappresenta un costo deducibile solo nel caso in cui vi sia una limitazione oggettiva alla detraibilità”. Si ritiene, però, che tale regola possa essere derogata (integrando il corrispettivo al lordo dell’imposta) qualora per valutazioni di convenienza economico-gestionale l’operatore non proceda alla richiesta di rimborso. L’Agenzia delle Entrate, infatti nella medesima circolare n. 25/2010, ha riconosciuto all’IVA non detratta sui servizi di ristorazione la natura di costo inerente deducibile nel caso in cui l’azienda non proceda per i motivi suddetti alla richiesta della fattura. Analoghe considerazioni a quelle sin qui svolte possono essere estese nel caso di prestatori extracomunitari tenendo in dovuta considerazione le diverse regole vigenti e di non facile individuazione ai fini dell’eventuale possibilità di rimborso dell’IVA (o analoga imposta) esistente nel Paese del prestatore. / 02 ancora FISCO Voluntary disclosure al fotofinish Entro fine mese si dovrà presentare la prima istanza di adesione. Tuttavia, sarà possibile integrare il modello fino al 30 dicembre / Salvatore SANNA Scade il 30 novembre il termine per l’adesione alla procedura di collaborazione volontaria introdotta dalla L. 186/2014. Infatti, a seguito della proroga dei termini operata dal DL 153/2015, la data ultima per l’invio telematico del modello è stata spostata dal 30 settembre al 30 novembre 2015. Si ricorda che in base a quanto previsto dalla norma citata: - l’invio della relazione di accompagnamento all’istanza e della relativa documentazione può essere effettuato entro il 30 dicembre 2015; - entro la medesima data sarà possibile integrare il modello presentato. Resta ferma, tuttavia, l’irrevocabilità dell’adesione alla procedura. Con riferimento alla possibilità di integrare il modello di adesione alla procedura di collaborazione volontaria, si osserva che le istruzioni non prevedono che nella dichiarazione integrativa vengano indicati solo i dati “aggiuntivi” rispetto all’istanza originaria. Sarà, quindi, necessario compilare integralmente l’istanza indicando, oltre ai nuovi elementi emersi, anche sia gli investimenti che i redditi già contenuti nel modello precedentemente inviato. In sede di integrazione del modello, poi, dovrebbe essere possibile anche modificare il regime di calcolo dei redditi di natura finanziaria che derivano dalle attività emerse. Al riguardo, si segnala che l’art. 5-quinquies comma 8 del DL 167/90 conferisce al contribuente la possibilità di optare per la determinazione forfetaria dei redditi. In merito, la circ. Agenzia delle Entrate 13 marzo 2015 n. 10 ha chiarito che: - l’applicazione del regime forfetario in luogo del regime ordinario di determinazione dei rendimenti deve essere specificatamente richiesta dal contribuente; - l’opzione, che si esercita barrando l’apposita casella nella richiesta di adesione alla procedura, è vincolante per tutti i periodi d’imposta oggetto di collaborazione volontaria. Di conseguenza, è il contribuente che decide su quali attività finanziarie applicare il regime forfetario e non l’Ufficio. Se in sede di integrazione dell’istanza dovessero emergere / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 26 NOVEMBRE 2015 nuovi investimenti esteri (oppure anche solo modificarsi) e il contribuente dovesse decidere di applicare il criterio analitico di determinazione dei redditi in luogo di quello forfetario indicato nella prima istanza, l’Ufficio non potrebbe far valere la prima opzione esercitata di applicazione del metodo forfetario, in quanto non avrebbe il potere di applicarlo su questi investimenti, perché il contribuente non ha espresso questa volontà. E nemmeno l’Ufficio potrebbe applicare il metodo forfetario solo sugli investimenti indicati nella prima istanza, in quanto l’utilizzo di tale criterio deve necessariamente riguardare tutte le attività finanziarie e tutti i periodi di imposta oggetto di regolarizzazione. Del resto, sul rapporto tra la prima presentazione del modello e le successive istanze integrative, dovrebbe valere quanto chiarito dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 10 del 13 marzo 2015 (§ 4.1), ossia che nel caso di una molteplicità di istanze pervenute rileva l’ultima richiesta inviata. Passando al tema della presentazione delle dichiarazioni dei redditi “post disclosure”, si ricorda che non è previsto alcun tipo di esonero dalla compilazione del quadro RW immediatamente successivo all’adesione alla procedura. Seppure le attività da indicarsi nel quadro RW del modello UNICO 2015 troveranno evidenza anche nella relazione di accompagnamento alla richiesta di accesso alla procedura di collaborazione volontaria, la circ. Agenzia delle Entrate 28 agosto 2015 n. 31 (§ 2.1) ha chiarito che lo specifico adempimento dichiarativo annuale non può considerarsi assolto con la presentazione della richiesta di accesso alla procedura e della relativa relazione, in quanto i due adempimenti in esame rispondono a diverse e specifiche previsioni normative. Pertanto, il contribuente che decide di aderire alla voluntary disclosure c.d. “internazionale” dovrà procedere alla presentazione tardiva o integrativa del modello UNICO 2015, laddove non vi abbia provveduto correttamente entro lo scorso 30 settembre. / 03 ancora PROFESSIONI 730 precompilato, troppe complicazioni per l’invio delle spese sanitarie Nel corso di un’audizione parlamentare, i commercialisti chiedono maggiori tutele per medici e intermediari abilitati / Savino GALLO Circa tre settimane dopo l’ultima audizione, i rappresentanti dei commercialisti tornano dinanzi alla Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria. Tema centrale dell’audizione tenutasi ieri mattina ancora una volta il 730 precompilato, con particolare riferimento alle modalità di invio, da parte di medici, odontoiatri e strutture sanitarie, delle spese mediche detraibili o deducibili che, dal prossimo anno, dovranno essere integrate in dichiarazione. Un’operazione che, inevitabilmente, produrrà “costi e complicazioni” che, ad oggi, sembrerebbero essere per lo più “scaricati sui cittadini-contribuenti e, indirettamente, sui professionisti che li assistono”. Questa la denuncia del presidente del CNDCEC, Gerardo Longobardi, il cui riferimento è, innanzitutto, al rispetto degli obblighi imposti dal garante della privacy in materia di trattamento dei dati da trasmettere al Sistema Tessera Sanitaria. A questo proposito, infatti, è previsto che, una volta inviato il “contenitore” dei dati, quest’ultimo debba essere distrutto. Ad oggi, però, ha ricordato Longobardi (accompagnato nell’occasione da Roberto Cunsolo e Luigi Mandolesi, rispettivamente Tesoriere e Consigliere con delega alla fiscalità del CNDCEC), “la ricevuta di invio non specifica i codici fiscali dei contribuenti per i quali si è provveduto alla trasmissione telematica dei dati”. Di conseguenza, il medico (o il professionista che lo assiste) “non ha la possibilità di verificare la correttezza del proprio operato”. Per questo, i commercialisti chiedono di poter “conservare il contenitore” almeno fino a quando l’Agenzia avrà la possibilità di controllare quei dati o, in alternativa, di ottenere una sorta di “scontrino”, una certificazione che possa “dimostrare di aver effettuato l’invio nel modo giusto”. Quella che partirà dal prossimo anno, infatti, è un’operazione del tutto nuova ed è lecito pensare che possa produrre più di una difficoltà. Pensiamo, ad esempio, a tutte quelle strutture che hanno registrato in contabilità l’importo totale della prestazione offerta al cliente e che ora, dovendo distinguere le spese sanitarie da quelle non sanitarie, saranno costrette a “ricontrollare ed, eventualmente, reimmettere tutti i dati relativi a ricevute di pagamento, scontrini fiscali e fatture emesse”. Poi ci sono i medici che si sono avvalsi della contabilità semplificata, che saranno tenuti a “rielaborare / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 26 NOVEMBRE 2015 con i nuovi criteri tutte le fatture emesse dal 1° gennaio 2015”, inserendo quei dati indispensabili ai fini della detraibilità della spesa. Ecco perché, come fatto nel corso dell’audizione di inizio novembre (si veda “Da spostare il termine per l’invio della Certificazione Unica” del 5 novembre), i commercialisti tornano a chiedere, per il primo anno di applicazione della disciplina, una sospensione, o quanto meno una mitigazione, del regime sanzionatorio, che prevede l’irrogazione di una sanzione di 100 euro per ogni omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati. In più, bisognerebbe semplificare le modalità di accreditamento dei professionisti incaricati di effettuare l’adempimento per conto di medici e strutture sanitarie. Ad oggi, il meccanismo prevede che sia il medico (o la struttura sanitaria) a comunicare al sistema il conferimento della delega. “A tale meccanismo – ha sottolineato Longobardi – dovrebbe aggiungersi quello attualmente previsto per operare sul Cassetto fiscale implementato sul sistema ENTRATEL”. In questo modo, si permetterebbe al professionista delegato di “effettuare egli stesso l’accreditamento per il delegante” che, a quel punto, dovrebbe solo comunicare al primo i codici di autorizzazione ricevuti tramite lettera. Insomma, l’esigenza di fondo rimane quella di “semplificare per davvero” e tutelare tutti quei professionisti che si troveranno alle prese con i dati che dovranno confluire nel 730 precompilato. In questo senso, i commercialisti chiedono la repentina elaborazione di un software gratuito che agevoli la trasmissione dei suddetti dati e garantisca “l’omogeneità e l’interoperabilità con gli altri applicativi utilizzati per le comunicazioni alle Entrate”. Senza dimenticare il regime di responsabilità che, soprattutto per gli intermediari abilitati, rimane un nervo scoperto. Sotto questo aspetto, conclude Longobardi, “ci siamo impegnati nei confronti dei nostri colleghi a sollevare l’eccezione di costituzionalità della norma”. È vero, ci sono stati dei “vantaggi, su tutti quello dell’assicurabilità, ancorché a fronte di un costo più alto, ma su questo aspetto non possiamo arretrare. La traslazione dell’onere tributario in capo all’intermediario abilitato rimane un unicum, un mostro giuridico, che non può funzionare”. / 04 ancora FISCO Medici “di famiglia” esonerati da fatturazione elettronica Le Entrate confermano che per certificare il compenso è sufficiente il cedolino emesso dalla ASL / Emanuele GRECO I medici generici, che esercitano in regime di convenzione con il Sistema sanitario nazionale, non sono tenuti ad emettere fattura elettronica nei confronti della ASL, dalla quale ricevono i compensi. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con risoluzione n. 98, pubblicata ieri, 25 novembre 2015. Come già indicato nella precedente risoluzione n. 88 del 19 ottobre 2015, difatti, le disposizioni in materia di fatturazione non sono mutate a seguito dell’introduzione degli obblighi di emissione della fattura in formato elettronico nei confronti della P.A., ai sensi dell’art. 1, comma 209 e seguenti della L. 24 dicembre 2007 n. 244. In sostanza, come già indicato su Eutekne.info (si veda “Esonerati da fattura elettronica alla P.A. i soggetti senza partita IVA” del 10 ottobre 2015), per valutare l’obbligo di emissione della fattura in forma elettronica, non vengono meno gli ordinari criteri impositivi dell’IVA. Come indicato dall’Agenzia delle Entrate, il legislatore italiano nell’adeguarsi alla normativa comunitaria (direttiva 2010/45/Ue del 13 luglio 2010) “non ha creato una categoria sostanziale nuova o diversa dalla fattura ordinaria”, avendo quale obiettivo “la piena equiparazione delle fatture elettroniche a quelle analogiche e dunque, in prospettiva, la rimozione di ogni vincolo che a ciò possa frapporsi”. La già illustrata conseguenza è che “continuano a trovare applicazione tutti i chiarimenti già in precedenza emanati con riferimento generale alla fatturazione, nonché le deroghe previste da specifiche disposizioni normative di settore”. Traslando i concetti sopra esposti nel caso oggetto della risoluzione n. 98, si deve rilevare che i medici sono esonerati / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 26 NOVEMBRE 2015 dagli obblighi di fatturazione a norma dell’art. 2 del DM 31 ottobre 1974. Tale disposizione prescrive che “nei rapporti tra gli esercenti la professione sanitaria e gli enti mutualistici per prestazioni medico-sanitarie generiche e specialistiche, il foglio di liquidazione dei corrispettivi compilato dai detti enti tiene luogo della fattura di cui all’art. 21 del DPR 633/72”. Naturalmente, il cedolino emesso dalle ASL in favore dei medici di medicina generale che operano in convenzione con il Sistema sanitario nazionale deve contenere gli elementi e i dati previsti dall’art. 21 comma 2 del DPR 633/72, oltre che l’emissione in triplice esemplare richiesta dal menzionato art. 2 del DM 31 ottobre 1974, di modo che: - il primo sia consegnato o spedito al professionista unitamente ai corrispettivi liquidati; - il secondo consegnato o spedito all’ufficio IVA competente su base provinciale; - il terzo conservato presso la ASL. Soluzione in linea con le indicazioni già rese dall’INPS La soluzione adottata dall’Agenzia, oltre che con le disposizioni in materia di IVA, è coerente con le indicazioni già rese dall’INPS (messaggio n. 7842 del 20 ottobre 2014), alla luce delle quali – pur a seguito delle novità in materia di fatturazione elettronica – “l’Istituto continuerà ad emettere, per i compensi dovuti ai medici che effettuano visite di accertamento medico legale domiciliare, con le consuete modalità, i fogli di liquidazione dei corrispettivi senza utilizzo del Sistema di interscambio valido per le fatture elettroniche”. / 05 ancora FISCO Gli esborsi forfetari ai volontari non sono rimborsi spese Per la Cassazione le somme agli associati, per non essere considerate compensi, devono essere collegate a spese singolarmente individuate / Giovambattista PALUMBO La Cassazione, con l’ordinanza n. 24090 depositata ieri – come già prima con la recente pronuncia n. 23890 del 23 novembre – ha svolto interessanti considerazioni in tema di natura dei rimborsi a favore dei membri di associazioni di volontariato. La C.T. Reg. della Lombardia aveva nel caso di specie annullato gli avvisi di accertamento con il quale l’Ufficio, previa riqualificazione delle somme erogate agli associati come compensi invece che come rimborsi spese, recuperava a tassazione la ritenuta alla fonte. Secondo la C.T. Reg. le somme dovevano considerarsi rimborsi di spese effettivamente sostenute dai volontari “sia per l’esiguità della somma annua corrisposta sia per le modalità di pagamento”. L’Agenzia ricorreva allora in Cassazione, contestando il fatto che l’effettivo sostenimento delle spese non era stato analiticamente documentato e che tali somme erano comunque di importo superiore alla previsione contenuta nel bilancio preventivo. L’esiguità delle somme corrisposte ai volontari e le modalità di tale corresponsione non dimostravano, del resto, che le stesse fossero correlate a spese effettivamente sostenute ed anzi proprio la misura forfetaria di dette somme faceva deporre per la loro natura di compensi. Infine l’Agenzia richiamava la violazione dell’art. 2 della L. 266/91, non essendo stato verificato che si trattasse di spese contenute entro i limiti preventivamente determinati dall’associazione di volontariato. I giudici di legittimità ritenevano quindi opportuno chiarire l’esatta portata della disposizione di cui all’art. 2, comma 2 della L. n. 266/91, secondo la quale “al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse”. I giudici evidenziavano che la prima parte di tale disposizione significa che non possono essere considerati rimborsi di spese – e vanno quindi qualificati come compensi soggetti a tassazione – gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato ai propri associati a titolo di rimborso forfetario, ossia senza specifico collegamento con spese, singolarmente individuate, effettivamente sostenute dai percettori. Ciò implica dunque che grava sulla parte contribuente, che contesti la pretesa erariale, l’onere di documentare il sostenimento delle spese, di cui le somme erogate costituiscono specifico rimborso. / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 26 NOVEMBRE 2015 La seconda parte di tale disposizione significa invece, secondo la Corte, che non possono essere considerati rimborsi di spese gli esborsi erogati ai propri associati, qualora gli stessi eccedano “i limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse”, laddove però tali limiti non vanno individuati nell’importo iscritto nel bilancio preventivo dell’associazione come contributi agli associati. La ratio legis, orientata a garantire la genuinità della natura volontaristica dell’attività degli associati e non a disciplinare le modalità di tenuta della contabilità delle associazioni, induce infatti, secondo la Suprema Corte, a ritenere che detti limiti siano riferibili a previsioni relative a massimali di rimborso per singolo associato (complessivi o frazionati in tipologie di spese, come, ad esempio, trasporti o indumenti o telefonia) e non all’entità della posta iscritta nel bilancio preventivo dell’associazione per i rimborsi spese agli associati. Tale conclusione risulta avvalorata, tra le altre, anche dalla considerazione che lo scostamento tra bilancio preventivo e bilancio consuntivo può fisiologicamente derivare da eventi gestionali non previsti all’inizio dell’esercizio. In sostanza, la disposizione in commento tende a garantire che i rimborsi spese non mascherino l’erogazione di compensi, ossia, in definitiva, che il rapporto associativo non mascheri un rapporto di lavoro e a tal fine prescrive che i rimborsi a ciascun singolo volontario, per un verso, siano connessi a “spese effettivamente sostenute” – il che risulta incompatibile con la determinazione dell’entità del rimborso con criteri forfettari – e, per altro verso, rientrino in “limiti preventivamente stabiliti”, da intendersi nel senso che, fermo il limite della documentabilità delle spese, al singolo volontario non possono erogarsi rimborsi illimitati, ma solo rimborsi contenuti in limiti individuali quantitativi e/o qualitativi (per tipologia di spesa) preventivamente individuati da parte degli organi deliberativi. Associazioni soggette ad accertamento del rispetto dell’atto costituivo La giurisprudenza della Cassazione ha del resto costantemente affermato che gli enti di tipo associativo sono comunque soggetti all’accertamento che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole degli atti costitutivi, occorrendo sempre tenere conto della natura delle attività svolte in concreto. / 06 ancora FISCO Per la Cassazione abuso del diritto a portata limitata Secondo i giudici, nell’ambito delle imposte sui redditi, l’elusione è limitata alle sole operazioni indicate dall’art. 37-bis / Alfio CISSELLO e Alessandro COTTO La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24024 depositata ieri, afferma un principio che, in assenza della riforma sull’abuso del diritto operata dal DLgs. 128/2015, avrebbe avuto portata quasi dirompente. Secondo i giudici di legittimità, infatti, “la fattispecie dell’abuso dei diritto nel nostro ordinamento non opera tout court nel caso di accertamento” che concerna la materia delle imposte sui redditi. Riprendendo quanto affermato nella sentenza n. 405/2015, la Cassazione sostiene che nell’ambito delle imposte dirette occorre tenere conto che il legislatore, con l’art. 37-bis del DPR 600/73 (ora abrogato), ha scelto di tipizzare la figura dell’abuso del diritto, convogliandola su specifici elementi caratterizzanti e determinate operazioni negoziali, in assenza delle quali non sono configurabili altre ipotesi di pratiche abusive. Secondo la Corte: “l’intento legislativo è stato, infatti, quello di ridurre quanto più possibile, in una materia – quella dei tributi diretti – di particolare rilevanza fiscale e nella quale non operano vincoli comunitari, il margine di errore valutativo nell’attività di accertamento degli Uffici finanziari, avuto riguardo della notevole elasticità dei margini interpretativi del fenomeno negoziale”. In altri termini, l’indagine per la fattispecie dell’abuso del diritto non può fermarsi all’affermazione del principio astratto, cui si riferiva il primo comma dell’art. 37-bis del DPR 600/73, ma occorre che venga identificata la specifica ipotesi di “pratica abusiva” tra quelle indicate dal comma 3 della stessa disposizione. È il secondo pronunciamento della Cassazione in questi termini e, se venisse confermata tale impostazione, gran parte del dibattito che si è generato in questi anni intorno all’abuso del diritto non avrebbe avuto ragione di esistere e, forse, non si sarebbe arrivati neppure alla riforma del DLgs. 128/2015. Ricordiamo che quest’ultimo intervento normativo nasce soprattutto dalla posizione della giurisprudenza di legittimità in base alla quale è “insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’uti- / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 26 NOVEMBRE 2015 lizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale” (SS.UU. n. 30055/2008). L’interpretazione delle Sezioni Unite ha superato la disciplina dell’art. 37-bis, generando – così si esprime la relazione al decreto sull’abuso – “forti incertezze negli operatori economici, minando spesso il rapporto di fiducia e di collaborazione tra imprese e amministrazione fiscale”. Ora la giurisprudenza di legittimità torna sui propri passi e sostiene che, nelle imposte dirette, l’abuso del diritto poteva essere invocato solo in presenza delle operazioni indicate dall’art. 37-bis comma 3 del DPR 600/73. Nel frattempo, però, l’art. 37-bis è stato abrogato e il legislatore ha trasformato la clausola antielusiva da semi-generale a generale, rendendola applicabile ad ogni prestazione avente natura tributaria, come a suo tempo suggerito dall’IRDCEC con la circolare CNDCEC n. 13/2010. Resta da valutare quale rilevanza possa avere la sentenza in commento. Ai sensi dell’art. 1 comma 5 del DLgs. 128/2015, la nuova disciplina sull’abuso opera a decorrere dal 1° ottobre 2015 e si applica anche alle operazioni poste in essere in data anteriore alla sua efficacia per le quali, alla stessa data, non sia stato notificato il relativo atto impositivo. In pratica, per gli accertamenti notificati entro il 30 settembre 2015 si applicano le regole previgenti, mentre a partire dal 1° ottobre operano le nuove regole anche con riferimento a comportamenti passati. Da più parti si è osservato che il legislatore ha voluto fare salvi gli accertamenti definitivi, temendo ricadute negative in termini di gettito. Se l’orientamento della Cassazione venisse ribadito, non è detto che tale cautela del legislatore possa effettivamente andare a buon fine. Per il pregresso, infatti, gli accertamenti antielusivi ai fini delle imposte dirette potrebbero essere legittimi solo se riguardanti le operazioni contenute nel terzo comma dell’art. 37-bis. / 07 ancora FISCO Base imponibile del registro sulla cessione d’azienda al lordo degli accolli La Cassazione afferma che solo in sede di accertamento si dovrebbero considerare le passività accollate al cedente / Anita MAURO In caso di cessione di azienda o di ramo di azienda, la base imponibile dell’imposta di registro deve essere definita secondo il principio del “valore dell’azienda dichiarato dalle parti”, come previsto dall’art. 51 comma 1 del DPR 131/86, senza scomputare dal corrispettivo previsto il valore delle passività aziendali eventualmente accollate al cessionario. Questo è il principio sancito dalla Cassazione, con l’ordinanza 24081, depositata ieri. Quanto sopra trova riscontro in altri precedenti della giurisprudenza di legittimità (Cass. nn. 12215/2008, 22223/2011 e 8912/2014) nei quali era già stato affermato che: - da un lato, ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta di registro (in generale) non rilevano le modalità di pagamento del prezzo, sicché le somme accollate al cedente non “diminuiscono” il valore della base imponibile dell’imposta di registro; - d’altro canto, il criterio previsto dal comma 4 dell’art. 51 del DPR 131/86, consentirebbe solo all’Agenzia delle Entrate (ma non ai contribuenti), in sede di verifica del valore dell’azienda dichiarato dai contribuenti, di determinare il valore dell’azienda come valore complessivo dei beni che la compongono al netto delle passività. Tali postulati vengono ribaditi nell’ordinanza n. 24081/2015 che, di conseguenza, nega la possibilità di determinare il valore dell’azienda (su cui applicare l’imposta di registro) detraendo dal valore dichiarato le passività aziendali accollate al cessionario. La pronuncia merita qualche notazione. Il primo dei due principi su enunciati trova il proprio fondamento nel combinato disposto dell’art. 21 comma 3 e dell’art. 43 comma 2 del DPR 131/86, in base al quale gli accolli collegati e contestuali ad altre disposizioni debbono confluire nella base imponibile dell’atto soggetto ad imposta di registro, ma non devono essere assoggettati autonomamente ad imposta (diversamente, infatti, si verificherebbe una duplicazione di imposta). Per esempio, se viene alienato un immobile del valore di 100, con accollo del mutuo per 80, la base imponibile dell’imposta di registro non è 20 (100-80, ovvero il corrispettivo pagato), bensì 100, comprensivo dell’accollo, ma l’accollo, poi, non va autonomamente tassato. L’applicazione di tali principi alla cessione di azienda, però, implica alcune particolari cautele, atteso che, come rilevato dalla dottrina, il valore venale dall’azienda, per sua natura, è / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 26 NOVEMBRE 2015 costituito dalla somma algebrica di attività e passività. Si ricorda, in proposito, che la base imponibile della cessione di azienda va determinata a norma dell’art. 51 commi 1, 2 e 4 del DPR 131/86: - il comma 1 afferma il principio generale secondo cui, ai fini dell’imposta di registro, “si assume come valore dei beni” quello “dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito”; - il comma 2, poi, dispone, specificatamente per gli atti che hanno per oggetto beni immobili e aziende, che per valore si intende il “valore venale in comune commercio”; - infine, il comma 4 fornisce agli uffici dell’Agenzia delle Entrate le indicazioni da seguire nella verifica del valore dell’azienda indicato in atto dalle parti: l’ufficio deve determinare il valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento, esclusi alcuni beni espressamente indicati “al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile, tranne quelle che l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere”. Secondo quanto affermato dalla Cassazione nella pronuncia in commento, il coordinamento di tutte queste disposizioni imporrebbe di ritenere che la determinazione della base imponibile secondo il criterio del “valore dichiarato dalle parti” di cui all’art. 51 comma 1 del DPR 131/86, non consenta di detrarre dal prezzo indicato nel contratto le eventuali passività trasferite unitamente al cespite, mentre tale operazione sarebbe prevista solo dall’art. 51 comma 4 del DPR 131/86, per la specifica ipotesi in cui l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate disattenda detto valore e proceda ad autonoma valutazione, “nel qual caso soltanto esso dovrà sottrarre le passività al prezzo di mercato del bene”. Tuttavia, ciò sembra comportare che il “valore venale dell’azienda” (che a norma dell’art. 51 comma 2 configura la base imponibile dell’imposta di registro in relazione alla cessione di azienda) non abbia lo stesso “valore” per il contribuente e per l’Agenzia delle Entrate. Solo questa ultima, infatti, avrebbe la possibilità di considerare anche le passività accollate, mentre il contribuente non potrebbe tenerne conto. Il sistema così delineatosi, tuttavia, perde coerenza ove attribuisce al medesimo bene due “valori” diversi a seconda di chi lo consideri (con rilevanti effetti nella concreta determinazione dell’imposta concretamente applicabile). / 08 ancora FISCO La particolare tenuità non può travolgere il giudicato Per il Tribunale di Milano l’introduzione dell’art. 131-bis c.p. mantiene intatta l’illiceità del fatto / Maria Francesca ARTUSI In materia di particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), è ancora aperto il dibattito sulla possibilità di far valere la non punibilità in alcuni stati e gradi del procedimento penale. Tale causa di non punibilità è, infatti, stata introdotta nel marzo di quest’anno (DLgs. 28/2015) e – in quanto norma favorevole al reo – ha da subito posto questioni di diritto intertemporale e di possibile applicazione retroattiva. Il Tribunale di Milano – con sentenza del 3 novembre scorso – ha escluso che sia ammissibile l’istanza presentata dall’interessato avanti al giudice dell’esecuzione (ai sensi degli artt. 2 comma 2 c.p. e 673 c.p.p.), al fine di ottenere la revoca della sentenza definitiva di condanna per l’esistenza dei requisiti richiesti per l’affermazione della particolare tenuità. In altre parole, il Tribunale meneghino ha escluso che la nuova causa di esclusione della punibilità, di cui all’art. 131-bis c.p., possa travolgere il giudicato di condanna per fatti commessi prima dell’entrata in vigore del DLgs. 28/2015. Tale esclusione deriva dalla riconduzione della disciplina “intertemporale” applicabile al comma 4 dell’art. 2 c.p., che prevede la retroattività della legge più favorevole al reo salvo il limite del giudicato. Tale disposizione (nota ai giuristi come “abrogatio sine abolitione”) si differenzia da quanto previsto dal comma 2 del medesimo articolo – invocato dal difensore del condannato –, che sancisce la retroattività nei casi in cui, in forza di una legge posteriore alla commissione del fatto, questo non possa più costituire reato (c.d. “abolitio criminis”). La sentenza in commento appare molto netta nelle distinzioni. Affinché vi sia “abolitio criminis”, che può essere dedotta anche in sede di esecuzione ai sensi dell’art. 673 c.p.p., “è necessario che il fatto, già previsto dalla legge come reato, non rivesta più, per effetto di una nuova legge, alcun carattere di illiceità penale, non essendo più astrattamente sussumibile né in nuove fattispecie incriminatrici, né in altre preesistenti”. Diversamente – secondo il giudice milanese – l’istituto previsto dall’art. 131-bis c.p. non incide sul carattere di illiceità, bensì, per la sua applicazione, presuppone l’esistenza di un fatto di reato. Sono, in verità, ragioni di opportunità e di politica criminale quelle per cui il legislatore ha ritenuto di non perseguire taluni fatti connotati da una particolare tenuità, lasciando intatta l’illiceità intrinseca della condotta. Quindi, se da un lato, per l’operatività dell’art. 131-bis c.p. il / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 26 NOVEMBRE 2015 fatto concreto deve – sia pure marginalmente – ledere o porre in pericolo il bene protetto dalla singola norma incriminatrice, dall’altro, il travolgimento del giudicato, in forza dell’art. 2 comma 2 c.p., sarebbe consentito solo allorquando il fatto (astratto) non rivesta più carattere di illecito penale. Ciò comporta che la più favorevole disciplina introdotta dall’art. 131-bis c.p. soggiaccia al disposto dell’art. 2 comma 4 c.p. e, quindi, non trovi applicazione per i fatti giudicati con sentenza irrevocabile. Anche le prime pronunce di Cassazione su tale materia hanno, senza esitazione, fatto riferimento al citato comma 4 (cfr. Cass. n. 15449/2015), sebbene si debba dare atto di un’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite in cui ci si è posti il problema di una possibile rilevanza del comma 2 dell’art. 2 c.p. (Cass. n. 21015/2015). Vero è che la soluzione per cui si continua a punire un fatto di particolare tenuità commesso prima dell’introduzione dell’art. 131-bis c.p. potrebbe apparire lesiva del principio di uguaglianza. Ma tale principio va correlato con quello di ragionevolezza, per cui è spesso indispensabile individuare un limite temporale che funga da spartiacque; d’altra parte, è lo stesso legislatore ad aver differenziato la disciplina della retroattività della legge penale più favorevole, facendo salva l’irrevocabilità delle sentenze definitive. A proposito di diritto intertemporale e di applicabilità dell’art. 131-bis c.p., va ricordato che la particolare tenuità si pone in stretta connessione con la tematica legata alle soglie di punibilità (con particolare riguardo alle recenti modifiche apportate con riferimento ai reati tributari dal DLgs. 158/2015). Ci si domanda, infatti, se, in presenza di un’espressa soglia di punibilità inserita dal legislatore, permanga la discrezionalità degli organi giudicanti nell’affermare una possibile tenuità del fatto (per la soluzione affermativa si veda Cass. n. 44132/2015). Ci si potrebbe domandare, inoltre, se sia possibile “leggere” le modiche apportate alle soglie di punibilità di alcuni reati allo stesso modo dell’introduzione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, stante la medesima ratio che informa tali interventi legislativi. In tal senso, aggirando le difficoltose disquisizioni sulla natura delle soglie di rilevanza penale, si potrebbe immaginare anche per queste ultime l’applicabilità della legge più favorevole in concreto, salvo il limite del giudicato (art. 2 comma 4 c.p.). / 09 ancora FISCO Possibile fruire del credito d’imposta per ricerca e sviluppo dal 1° gennaio Con la risoluzione n. 97, l’Agenzia ha istituito il codice tributo per l’utilizzo in compensazione mediante F24 / REDAZIONE Con la risoluzione n. 97 di ieri, l’Agenzia delle Entrate ha istituito il codice tributo “6857”, per l’utilizzo in compensazione, tramite modello F24, del credito d’imposta a favore delle imprese che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, ai sensi dell’art. 3 del DL 145/2013, come sostituito dall’art. 1, comma 35 della L. 190/2014. Si ricorda che tale norma prevede – per tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato, che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019 – il riconoscimento di un credito d’imposta, fino a un importo massimo annuale di cinque milioni di euro per ciascun beneficiario, nella misura del 25% (50% per le spese relative al personale altamente qualificato impiegato in attività di ricerca e sviluppo e per i contratti di ricerca con università ed enti di ricerca e altre imprese) degli incrementi di spesa nelle attività di ricerca e sviluppo rispetto alla media delle stesse sostenute nei tre periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015. Come spiegato anche nella risoluzione, poi, con il decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze 27 maggio 2015, di concerto con il Ministro dello Sviluppo economico, sono state adottate le disposizioni applicative del credito d’imposta. In particolare, l’art. 6 del DM disciplina le modalità di fruizione, prevedendo, tra l’altro, l’indicazione dell’importo del beneficio concesso all’impresa nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale i costi sono / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 26 NOVEMBRE 2015 stati sostenuti e l’utilizzo del credito “esclusivamente in compensazione ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997 n. 241, e successive modificazioni”, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi sono stati sostenuti. Di fatto, quindi, il credito d’imposta è utilizzabile (art. 6 comma 3 del DM 27 maggio 2015): - esclusivamente in compensazione mediante il modello F24, ai sensi dell’art. 17 del DLgs. 241/97 (c.d. “compensazione esterna”); - a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi sono stati sostenuti. Pertanto, in caso di costi sostenuti nel periodo d’imposta 2015, il credito d’imposta potrà essere utilizzato in compensazione tramite il modello F24 dal 1° gennaio 2016. Quindi, come anticipato, per consentire l’utilizzo in compensazione, tramite il modello F24, del credito d’imposta in argomento, la ris. n. 97 ha istituito il codice tributo “6857”, denominato “Credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo - art. 3, D.L. 23 dicembre 2013, n. 145”. In sede di compilazione del modello di versamento F24, il suddetto codice tributo va esposto nella sezione “Erario” in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati” ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento dell’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Il campo “anno di riferimento” è valorizzato con l’anno di sostenimento della spesa, nel formato “AAAA”. La risoluzione precisa che il codice tributo sarà operativo a decorrere dal 1° gennaio 2016. / 10 ancora FISCO Domande dal 21 dicembre 2015 per il bonus dedicato alla ZFU Emilia Le microimprese potranno presentare le istanze dalle 12:00 di tale data sino alla stessa ora del 31 marzo 2016; non rileva l’ordine temporale / REDAZIONE Con la circolare n. 90178 di ieri, il Ministero dello Sviluppo economico ha dettato le modalità e i termini di presentazione delle istanze di accesso alle agevolazioni per le microimprese della zona franca urbana (ZFU) dell’Emilia istituita dal DL 78/2015. Il documento stabilisce che le istanze per l’accesso alle agevolazioni possono essere presentate con modalità telematiche dalle ore 12:00 del 21 dicembre 2015 e sino alle ore 12:00 del 31 marzo 2016. Viene inoltre precisato che l’ordine temporale di presentazione non determina alcun vantaggio. La circolare fornisce inoltre chiarimenti su tipologia, condizioni, limiti, durata e modalità di fruizione delle agevolazioni fiscali. In allegato contiene, infine, il fac simile del modello di istanza e dell’attestazione sulla localizzazione dell’impresa nella zona franca. Si ricorda, infatti, che l’art. 12 del DL 78/2015 ha istituito una ZFU che comprende i territori dell’Emilia colpiti dall’alluvione del 17 gennaio 2014 e i Comuni colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012. La perimetrazione della ZFU include i centri storici o i centri abitati dei Comuni di Bastiglia, Bomporto, Camposanto, Carpi, Cavezzo, Cento, Concordia sulla Secchia, Crevalcore, Finale Emilia, Medolla, Mirabello, Mirandola, Modena – limitatamente ai centri abitati delle frazioni di la Rocca, San Matteo, Navicello e Albareto – Novi di Modena, Poggio Renatico, Reggiolo, S. Possidonio, San Felice sul Panaro, San Prospero, Sant’Agostino. La localizzazione della sede principale, o dell’unità locale, all’interno della zona franca deve essere attestata dal Comune in cui è ubicata la medesima sede principale o unità locale. L’attestazione deve essere redatta in conformità al modello riportato in allegato alla circolare e correlato al modulo dell’istanza. Le domande prive di tale attestazione sono irricevibili. Alle microimprese che svolgono la propria attività in tali zone sono riconosciute alcune agevolazioni fiscali individuate dallo stesso art. 12, nei limiti delle risorse disponibili e cioè l’esenzione dalle imposte sui redditi, dall’imposta regionale sulle attività produttive e dall’imposta municipale propria. Esse sono riconosciute esclusivamente per i periodi di imposta 2015 e 2016. Per quanto riguarda l’esenzione dalle imposte sui redditi, la circolare ricorda che è esente il solo reddito prodotto dall’impresa, alle condizioni ed entro i limiti illustrati dalla stessa circolare, nei periodi di imposta 2015 e 2016. Ne consegue che l’esenzione non può essere utilizzata dalle imprese per il pagamento di imposte su redditi riferiti a periodi d’imposta diversi da quelli richiamati. Inoltre, nel caso in cui l’impresa richiedente svolga la propria attività anche in altre sedi ubicate al di fuori del territorio della zona franca, ai fini della determinazione del reddito prodotto all’interno del predetto territorio, sussiste l’obbligo in capo all’impresa di tenere un’apposita contabilità separata. I requisiti che l’impresa deve avere per beneficiare dell’agevolazione riguardano la micro dimensione, la costituzione e l’iscrizione al Registro delle imprese, l’attività svolta all’interno della zona franca urbana, l’assenza di procedure concorsuali, le attività ammesse. Per quanto riguarda il primo punto, la circolare evidenzia che, relativamente al solo esercizio 2014, per l’accesso alle agevolazioni, l’impresa deve rispettare requisiti di fatturato e di occupati più stringenti di quelli previsti dalla normativa comunitaria che definisce le microimprese. Il DL 78/2015, infatti, stabilisce che, relativamente all’esercizio 2014, esse devono avere un reddito lordo inferiore a 80.000 euro e un numero di addetti non superiore a 5. Procedura informatica accessibile dalla sezione “ZFU Emilia” del MISE Infine, per quanto riguarda le modalità e i termini di presentazione delle istanze, esse possono essere firmate digitalmente e presentate in via esclusivamente telematica mediante la procedura informatica accessibile dalla sezione “ZFU Emilia” del sito internet del MISE nell’arco di tempo indicato dalla circolare, mentre le istanze pervenute fuori dai termini, iniziale e finale, o quelle redatte o inviate con modalità difformi da quelle indicate non saranno prese in considerazione. Le agevolazioni sono fruite mediante riduzione dei versamenti da effettuarsi con modello F24. Per la fruizione dell’esenzione delle imposte sui redditi anche ai soci delle società “trasparenti”, nonché ai collaboratori/coadiuvanti di imprese familiari, le imprese possono indicare i dati identificativi di ciascun socio o collaboratore/coadiuvante, compreso il relativo codice fiscale, nel modulo di istanza (circ. Agenzia Entrate n. 39/2013). Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2015 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO