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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale
Centro competenze tributarie
Novità fiscali
L’attualità del diritto tributario svizzero
e internazionale
N° 7–8
Luglio–Agosto 2015
Politica fiscale
Il segreto bancario nei confronti del fisco svizzero
3
Diritto tributario italiano
Fruibilità del credito d’imposta e voluntary disclosure
5
Voluntary disclosure: limiti e conseguenze tributarie
8
Voluntary disclosure e stabile organizzazione in Italia
19
Diritto tributario internazionale e dell’UE
Un primo commento alla LASSI
22
Diritto finanziario
Legittimità delle restrizioni bancarie nell’esecuzione
delle istruzioni dei clienti
32
IVA e imposte indirette
Il rimborso dell’IVA italiana per i soggetti passivi
non appartenenti all’UE
40
Offerta formativa
Seminari e corsi di diritto tributario
45
Introduzione
Novità fiscali
07–08/2015
Redazione
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tributarie
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Redattore responsabile
Samuele Vorpe
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Sacha Cattelan
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Marco Greggi
Giordano Macchi
Giovanni Molo
Andrea Pedroli
Sabina Rigozzi
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Samuele Vorpe
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Laboratorio cultura visiva
Qual è la hit dell’estate 2015? Negli studi dei professionisti del Canton Ticino il tormentone della
stagione si intitola sicuramente voluntary disclosure! La
legge, adottata nel 2014 dal Parlamento italiano per
favorire l’emersione ed il rientro dei capitali detenuti
all’estero, ha comprensibilmente creato fermento e
preoccupazioni, non solo negli ambienti bancari ma
anche in fiduciarie e studi legali che trattano con
clientela italiana. All’entrata in vigore della normativa sulla regolarizzazione è del resto strettamente
legata la firma, avvenuta il 23 febbraio scorso, del
Protocollo che modifica la Convenzione per evitare
le doppie imposizioni fra Svizzera e Italia. Non può
pertanto sorprendere il fatto che questo numero
estivo di Novità fiscali proponga ben tre contributi, rispettivamente di Giovanna Costa, di Roberto
Bianchi e Giovanni Parisi, che trattano proprio il tema
della voluntary disclosure. Per la Svizzera, la questione
è ancora quella del rapporto fra tutela del segreto
bancario e scambio di informazioni fiscali. Se ne
occupano, l’uno dal punto di vista del fisco svizzero e
l’altro da quello delle autorità fiscali estere, Samuele
Vorpe e Curzio Toffoli. Quest’ultimo propone in particolare un’ampia panoramica sulla Legge federale
concernente l’applicazione unilaterale dello standard
OCSE sullo scambio di informazioni (LASSI), recentemente posta in consultazione. I nuovi obblighi
internazionali, assunti dalla Svizzera, all’insegna della
trasparenza, hanno avuto anche ripercussioni nello
svolgimento dei rapporti contrattuali fra banche e
clienti. Sulla controversa legittimità delle restrizioni
bancarie nell’esecuzione delle istruzioni dei clienti
si esprime Giovanni Molo. Infine, Sara Montalbetti
affronta il tema del rimborso IVA ai soggetti passivi
non appartenenti all'UE, tra i quali vi rientra anche la
Svizzera.
Andrea Pedroli
Politica fiscale
Il segreto bancario nei confronti
del fisco svizzero
Samuele Vorpe
Responsabile del Centro di competenze
tributarie della SUPSI
Sulla base della continua erosione del segreto bancario,
anche nell’ambito penale e civile, non è da escludere che
anche il Tribunale federale possa presto cambiare la sua
giurisprudenza relativa all’articolo 127 capoverso 2 LIFD
Il segreto bancario nel diritto svizzero protegge in particolare
la sfera privata del cliente e il segreto professionale del personale della banca ai sensi dell’articolo 47 della Legge federale
sulle banche e sulle casse di risparmio (LBCR). La violazione del
segreto bancario da parte di un funzionario di banca costituisce
un delitto per il quale è comminata una pena detentiva sino a
tre anni o una pena pecuniaria.
Dal profilo fiscale, il contribuente è obbligato a compilare la
dichiarazione d’imposta in modo completo e veritiero, e inviarla
con gli allegati, anche bancari, all’autorità fiscale. Su richiesta
di quest’ultima il contribuente deve segnatamente fornire
anche documenti concernenti le relazioni d’affari con un istituto finanziario (articolo 126 capoverso 2 della Legge federale
sull’imposta federale diretta [di seguito LIFD]). Se, nonostante diffida, il contribuente non produce l’attestazione, l’autorità
fiscale può richiederla dal terzo. È salvo il segreto professionale tutelato dalla legge (articolo 127 capoverso 2 LIFD)! Ed
è proprio in questa disposizione che viene tutelato il segreto
bancario. Infatti l’autorità fiscale non può direttamente andare
dalla banca, ma deve chiedere al contribuente la documentazione, perché è l’unico che può rinunciare al segreto bancario.
La disposizione di cui all’articolo 127 capoverso 2 LIFD tutela,
oltre al segreto professionale indicato all’articolo 321 capoverso
1 del Codice penale (di seguito CP), che riguarda ecclesiastici, avvocati, notai, medici, psicologi, eccetera, anche il segreto
bancario (non indicato all’articolo 321 capoverso 1 CP), come
confermato anche dal Tribunale federale (cfr. sentenza TF n.
2A.208/2005) e dalla dottrina.
Nell’ambito di una procedura penale (per esempio in un caso
di frode fiscale, ma non di contravvenzione fiscale), la banca è obbligata a collaborare e a fornire tutte le informazioni
all’autorità penale. A sua volta, l’autorità fiscale può ricorrere
all’assistenza di altre autorità (articolo 122 LIFD) e richiedere
ogni documento necessario al fine di tassare il contribuente.
Articolo pubblicato l’08.07.2015
sul Giornale del Popolo
Per quanto attiene la procedura civile, un terzo può rifiutarsi di
cooperare per i casi coperti dal segreto professionale (articolo
321 capoverso 1 CP), per contro le banche possono rifiutarsi
di cooperare soltanto se rendono verosimile che l’interesse al
mantenimento del segreto prevale su quello all’accertamento
della verità (articolo 166 capoverso 2 del Codice di procedura
civile).
Tornando all’ambito fiscale, con la decisione del Consiglio
federale del 13 marzo 2009 di levare il segreto bancario nei
confronti delle autorità fiscali estere, le autorità fiscali cantonali
hanno più volte richiesto al Parlamento la parità di trattamento: “Perché loro sì e noi no?”. Questa questione si è nuovamente
posta con l’adozione da parte svizzera dello scambio automatico di informazioni con l’estero. Infatti il 5 giugno scorso sono
stati licenziati i messaggi del Consiglio federale affinché la Svizzera recepisca lo scambio automatico di informazioni.
Ad oggi, le autorità fiscali svizzere soffrono del “principio di
autolimitazione”, nel senso che possono richiedere informazioni bancarie all’estero soltanto se queste potrebbero essere
ottenute secondo il diritto svizzero. Di conseguenza le richieste verso l’estero oggi sono pari a zero. Con il messaggio del
5 giugno questa autolimitazione sarà parzialmente abrogata
con gli Stati con i quali è previsto lo scambio automatico (cfr.
articolo 22 capoversi 6 e 7 del Progetto di Legge sull’assistenza
amministrativa in materia fiscale).
Le recenti politiche perseguite dal Consiglio federale su pressione della Comunità internazionale hanno senza ombra di
3
4
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
dubbio indebolito il segreto bancario nei confronti del fisco.
Sulla base della continua erosione del segreto bancario, anche
nell’ambito penale e civile, non è da escludere che anche il Tribunale federale possa cambiare la sua giurisprudenza relativa
all’articolo 127 capoverso 2 LIFD, permettendo alle autorità
fiscali di richiedere direttamente le informazioni alle banche
in caso di sospetti fondati. Se così fosse, probabilmente non
sarebbe nemmeno necessario dover procedere ad una revisione del diritto penale fiscale, il cui messaggio del Consiglio
federale è previsto per questo autunno.
Per maggiori informazioni:
Conferenza dei direttori cantonali delle finanze, Approbation, d’une part,
de l’accord multilatéral entre autorités compétentes concernant l’échange
automatique de renseignements relatifs aux comptes financiers, de l’autre
d’une loi fédérale sur l’échange international automatique de renseignements en matière fiscale (MCAA et LEAR) (Prise de position par rapport au
projet de consultation), Berna, 27 marzo 2015, in: http://www.fdk-cdf.ch/
fr-ch/150327_mcaa-aiag_vl-stn_fdkv_uz_f.pdf [03.08.2015]
Conferenza dei direttori cantonali delle finanze, Approbation et mise en
œuvre de la Convention du Conseil de l’Europe et de l’OCDE concernant l’assistance administrative mutuelle en matière fiscale (MAC et LAAF) (Prise de
position par rapport au projet de consultation), Berna, 27 marzo 2015, in:
http://www.fdk-cdf.ch/fr-ch/150327_mac-stahig_vl-stn_fdkv_uz_f.pdf
[03.08.2015]
Consiglio federale, Il Consiglio federale adotta i messaggi concernenti le
basi legali per lo scambio automatico di informazioni, Comunicato stampa,
Berna, 5 giugno 2015, in: https://www.news.admin.ch/message/index.
html?lang=it&msg-id=57554 [03.08.2015]
Locher Peter, Sottrazione d’imposta e frode fiscale, segreto bancario (del
cliente della banca) e nuova politica di assistenza amministrativa della
Svizzera, in: Vorpe Samuele (a cura di), Il segreto bancario nello scambio di
informazioni fiscali, Manno 2011, pagina 159 e seguenti
Elenco delle fonti fotografiche:
h t t p : // w w w. 2 0 m i n . c h /d y i m /4 d 2 9 47/M 6 0 0 , 1 0 0 0/ i m a g e s /c o n tent/1/5/5/15544482/6/topelement.JPG [03.08.2015]
Diritto tributario italiano
Fruibilità del credito d’imposta
e voluntary disclosure
Giovanna Costa
Dottore Commercialista
Studio Marino e Associati, Milano
Il punto sulla posizione ministeriale con riguardo
all’eliminazione della possibile doppia imposizione internazionale sui redditi da attività oggetto di rimpatrio
assolte all’estero in relazione ai redditi derivanti dalle attività
rientranti nella procedura in questione, su cui ci si soffermerà
nel prosieguo.
1.
Voluntary disclosure e aspetti irrisolti
Con la Legge n. 186/2014, intitolata “Disposizioni in materia
di emersione e rientro dei capitali detenuti all’estero nonché per il
potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia
di autoriciclaggio”, è stata introdotta anche in Italia una procedura di collaborazione volontaria tra fisco e contribuente.
La voluntary disclosure (nella sua dimensione internazionale),
come noto, consente ai contribuenti, interessati dall’ambito di
applicazione, di sanare le violazioni relative alla detenzione di
attività all’estero non dichiarate.
La procedura non può esser disgiunta dal contesto internazionale in cui si inserisce. Uno scenario nel quale si può
individuare una strategia globale volta ad isolare quei Paesi
che ancora non hanno aderito alle procedure di emersione
dei capitali nascosti: si pensi alla disciplina sullo scambio automatico di informazioni tra le Amministrazioni finanziarie, agli
accordi bilaterali Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA),
alla Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in
campo fiscale, si tratta di provvedimenti finalizzati a favorire
un regime di trasparenza tra le diverse Amministrazioni
finanziarie, a incrementare lo scambio di informazioni e
contrastare i fenomeni di evasione e elusione su scala internazionale. Guardando l’attuale panorama internazionale è di
immediata apprensione che la voluntary disclosure costituisce,
almeno secondo le intenzioni del nostro legislatore, “l’ultimo
treno per la regolarizzazione”, in quanto strumento utilizzabile
dai contribuenti per sanare la propria posizione fiscale in relazione alle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero
in violazione degli obblighi previsti per il monitoraggio fiscale.
Nonostante l’Amministrazione finanziaria si sia premurata
di chiarire alcuni aspetti operativi della neo introdotta disciplina[1] , vi sono ancora diversi punti oscuri. Molteplici sono i
nodi che non sono ancora stati sciolti tra cui il problema del
riconoscimento o meno di un eventuale credito per le imposte
2.
Credito di imposta e recente posizione
dell'Amministrazione finanziaria
Sia consentito ricordare, innanzitutto, che il credito per le
imposte assolte all’estero finalizzato all’eliminazione della
doppia imposizione a livello internazionale, è disciplinato
dall’articolo 165 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (di
seguito TUIR). Il meccanismo del credito di imposta trova
fondamento nell’esigenza di evitare l’emergere di fenomeni di
doppia imposizione internazionale sui redditi prodotti oltralpe
e imponibili in Italia. Potrebbe accadere infatti che sia lo Stato
della residenza del contribuente sia lo Stato della fonte, i.e.
quello in cui il reddito è prodotto, esercitino la potestà impositiva sullo stesso identico reddito sulla base di differenti criteri
di imposizione, i.e. principio di tassazione su base mondiale e
principio di territorialità, dando origine ad una doppia imposizione.
Secondo quanto disposto dal primo comma dell’articolo 165
TUIR, il credito d’imposta è riconosciuto, in estrema sintesi,
qualora ricorrano congiuntamente le tre seguenti condizioni:
la produzione di un reddito all’estero, il concorso del reddito
prodotto all’estero alla formazione del reddito complessivo
in Italia e, infine, il pagamento di imposte estere a titolo
definitivo. Infine solo i tributi stranieri che si sostanziano in
un’imposta sul reddito o in tributi di natura similare possono
beneficiare del credito d’imposta.
5
6
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Tra le condizioni cui è subordinata la fruizione della detrazione,
rileva – soprattutto ai nostri fini – quella prevista dal comma
8 dell’articolo 165 TUIR, il quale dispone che “La detrazione
non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di
omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione
presentata”. Si rileva come tale disposizione si ponga in un
rapporto di continuità con lo scopo ultimo sotteso al metodo
per evitare la doppia imposizione giuridica internazionale di
cui al citato articolo 165 TUIR. Vale a dire che l’ordinamento
riconosce il beneficio del credito d’imposta lì solo dove si è
effettivamente verificata una doppia imposizione giuridica
internazionale. Ed è proprio per assicurare la sussistenza di
tale circostanza che il comma 8 si preoccupa di riconoscere
tale beneficio solo quando sia stata presentata la dichiarazione dei redditi in Italia ovvero sia stato indicato il reddito
prodotto all’estero per il quale si chiede la fruizione del foreign
tax credit. E così, la ratio del suddetto comma 8 va ravvisata nel
fatto che il reddito estero abbia concorso effettivamente alla
formazione del reddito imponibile nel territorio dello Stato e,
in quanto tale, abbia subìto una doppia tassazione, circostanza
che non ricorrerebbe nel caso di omessa presentazione della
dichiarazione dei redditi in Italia, ovvero di omessa indicazione
dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata.
merita segnalare – sempre nel senso della previa rettifica in
sede di ravvedimento – la posizione del Gruppo di studio attivato in seno all’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano
che ha rilevato la possibilità per i contribuenti, che avessero
subìto un prelievo all’estero, di sanare le proprie violazioni
reddituali attraverso il ravvedimento operoso avvalendosi in
tale sede della possibilità di far valere il credito di imposta per
le imposte pagate all’estero. Conseguentemente, ritengono
i Commercialisti di Milano, a fronte dell’avvenuta sanatoria
reddituale, la procedura di voluntary disclosure potrà essere
attivata al fine di sanare eventuali violazioni commesse in
relazione alle norme sul monitoraggio fiscale o comunque in
relazione ad altre violazioni non sanate attraverso la procedura di ravvedimento operoso.
In conclusione, non sembrano esserci, a legger l’Amministrazione finanziaria, margini per superare l’ostacolo “formale”
dell’esposizione in dichiarazione se non ricorrendo all’istituto
del ravvedimento operoso.
Tuttavia tale prospettiva non convince. Invero l’articolo
165, comma 8 TUIR non può travalicare le disposizioni delle
Convenzioni contro le doppie imposizioni, laddove queste
ultime fossero applicabili.
Recentemente l’Amministrazione finanziaria[2] ha chiarito
taluni aspetti operativi del foreign tax credit particolarmente
rilevanti. Fermo restando che dall’omessa dichiarazione (ossia
la dichiarazione presentata con un ritardo superiore a novanta
giorni) discende l’irrimediabile perdita del credito d’imposta, la
mancata o parziale indicazione dei redditi prodotti all’estero
lascia ancora aperto lo spiraglio della detrazione con una
dichiarazione integrativa nei termini di legge. Su tale possibilità si è soffermata la Circolare, in particolare, sull’istituto del
ravvedimento operoso, così come novellato dall’ultima Legge
di stabilità, la quale – come noto – ne ha esteso significativamente gli effetti premiali.
3.
Credito di imposta e voluntary disclosure
In questo modo l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto
l’applicabilità della disciplina del credito d’imposta di cui all’articolo 165 TUIR nel caso di ravvedimento operoso in quanto
“tale possibilità consente al contribuente di dichiarare un reddito
estero non indicato nella dichiarazione originaria e di sanare la violazione commessa” [3]. La stessa Amministrazione non ha, però,
preso formale posizione sulla possibilità di fruire del credito di
imposta nell’ambito della collaborazione volontaria. I segnali,
anzi, sono di segno contrario. In occasione di incontri con i
professionisti, l’Agenzia delle Entrate ha negato l’applicabilità
dell’istituto, da un lato ricordando, condivisibilmente, (è il caso
della Direzione Regionale del Piemonte nell’incontro con i
Commercialisti di Torino) che il credito di imposta “non è comunque applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo
d’imposta, a imposta sostitutiva o a imposizione sostitutiva operata
dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione
dei redditi ai sensi dell’articolo 18 del TUIR”; dall’altro (è il caso
della Direzione Lombardia in risposta ad un quesito dell’Ordine di Monza) mettendo sullo stesso piano imposte prelevate
all’estero ed euroritenuta, e negando il credito in quanto in
ogni caso subordinato all’esposizione in dichiarazione. Infine
A tal fine, sia consentito diffondersi sulla portata della citata
norma in rapporto alle previsioni contenute nei Trattati
fiscali, potendo ritenersi detta disposizione in contrasto con
gli obblighi pattizi la cui applicazione (e prevalenza) trova
fondamento, nell’Ordinamento italiano, nel parametro costituzionale dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione,
il quale conferisce alle norme convenzionali una forza resistente maggiore rispetto alle leggi interne successive, senza
peraltro attribuire loro il rango primario. Difatti, la suddetta
disposizione, prevedendo che “la potestà legislativa è esercitata
dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto […] dei vincoli derivanti […]
dagli obblighi internazionali”, realizza “un rinvio mobile alla norma
convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e,
con essi al parametro, tanto da essere comunemente qualificata
norma interposta” [4]; di conseguenza, gli eventuali contrasti fra
norma convenzionale e una legge interna (anche) successiva
“non generano problemi di successione nel tempo o valutazioni
sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto,
ma questioni di legittimità costituzionale” aventi ad oggetto la
legge interna e, come parametro interposto, la stessa norma
convenzionale[5].
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Orbene, a seguito della modifica dell’articolo 117 della
Costituzione e dell’interpretazione fornita dal Giudice
delle leggi, la prevalenza della normativa internazionale
discende proprio da quel rango sovraordinato della norma
convenzionale rispetto alla legge ordinaria, ossia un rango
sub-costituzionale, intermedio fra la Carta fondamentale e la
legge ordinaria.
A ciò si aggiunga che l’articolo 169 TUIR dispone che “Le
disposizioni del presente testo unico si applicano, se più favorevoli
al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la
doppia imposizione”. Stante quanto detto, e giacché uno stesso
reddito non può essere assoggettato più volte all’imposta
reddituale senza che vi sia alcuna misura volta ad annullare gli
effetti negativi scaturenti da una duplice imposizione, qualora
si dovesse configurare un’ipotesi di tal genere per fattispecie
transfrontaliere, questa dovrà essere regolata, necessariamente, dal Trattato contro le doppie imposizioni rilevante ai
fini che ne occupano, in luogo dell’articolo 165 TUIR (ed a fortiori non trovando applicazione quanto espresso nel comma
8) che, come noto, individua lo strumento giuridico domestico
unilaterale atto ad evitare i fenomeni di doppia imposizione
giuridica internazionale[6].
Sul punto si segnala il principio espresso dalla Commissione
Tributaria Provinciale di Milano che, nella sentenza n. 2944/17/15
del 27 marzo 2015, ha affermato che la detrazione delle imposte
assolte all’estero deve essere sempre riconosciuta anche nel caso
in cui queste non siano indicate in dichiarazione, come previsto
dall’articolo 165, comma 8 TUIR. Diversamente, se dovesse
prevalere il formalismo dell’indicazione in dichiarazione rispetto
alla “sostanza” della spettanza del credito, l’articolo 165 TUIR si
porrebbe in aperto contrasto con la Convenzione internazionale
contro le doppie imposizioni nonché con i principi costituzionali
di uguaglianza (articolo 3) e di capacità contributiva (articolo 53).
[1] Cfr. Circolare n. 10/E del 13 marzo 2015 e Circolare n. 27/E del 16 luglio 2015.
[2] Circolare n. 9/E del 5 marzo 2015.
[3] Cfr. Circolare n. 9/E del 5 marzo 2015, pagina 32.
[4] Corte Costituzionale, sentenza n. 349 del 2007.
[5] Corte Costituzionale, sentenza n. 348 del 2007.
[6] In tal senso cfr. Nota n. 51217/97 del 1. ottobre
1997, emanata dal Ministero delle Finanze – Di. Ent.
Dir. Reg. Entrate.
Tale recente sentenza rappresenta la sponda giurisprudenziale della prassi operativa che si registra nell’ambito delle
procedure compositive con l’Agenzia delle Entrate, ove gli
Uffici tendono spesso a riconoscere il credito per le imposte
estere in applicazione delle disposizioni pattizie.
È, quindi, probabile che l’evoluzione interpretativa ci riserverà
importanti sorprese, anche – chissà – su impulso dei casi di
voluntary disclosure.
4.
Conclusioni
Concludendo, appare evidente che l’ostacolo al riconoscimento del credito di imposta nell’ambito della cosiddetta
voluntary disclosure non discenda (quanto meno, unicamente)
dal tenore dell’articolo 165, comma 8 TUIR – il quale, si ritiene,
non può comunque contrastare con le disposizioni convenzionali per tutto quel che si è rilevato in precedenza – rilevando,
invece, l’ostacolo insito nella tipologia, prevalente, dei redditi
derivanti dalle attività estere oggetto di emersione, assoggettati – generalmente – a ritenuta a titolo d’imposta o imposta
sostitutiva, inibendo, per ciò stesso, il diritto al foreign tax credit.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.boltoncab.co.uk/Global/News%20Pictures/tax%20credits.
jpg [03.08.2015]
http://economictimes.indiatimes.com/thumb/msid-5912454,width640,resizemode-4/2-tighten-foreign-tax-credit-rules.jpg [03.08.2015]
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Diritto tributario italiano
Voluntary disclosure:
limiti e conseguenze tributarie
Roberto Bianchi
Dottore commercialista,
Revisore legale in Bologna e Ravenna,
Professore a contratto di diritto tributario Università degli studi di Firenze, Dipartimento Scienze Giuridiche
Docente Didacom Guida al fisco e master norme e tributi de Il Sole 24 Ore
Editorialista e pubblicista tributario IPSOA Wolters Kluwer, Giuffrè, Maggioli, Studio Cioni & Partners, Bologna
Ci siamo posti il problema di cosa potrebbe accadere
qualora un’istanza di collaborazione volontaria dovesse
arenarsi. Cosa si verificherebbe se si appalesasse una
crisi di collaborazione discendente dal fatto che un
contribuente, che ha presentato la propria domanda
di affioramento e che ha pertanto reso edotta
l’Amministrazione finanziaria in merito a tutte le
contingenze oggetto di emersione, non riuscisse per
qualsivoglia motivo a perfezionare la procedura di
“voluntary disclosure”? Il contribuente si troverebbe calato
in una situazione di grande difficoltà, avendo esposto
integralmente tutti gli elementi rilevanti ai fini
dell’accertamento, senza poter beneficiare degli effetti
premiali previsti dall’istituto della collaborazione
volontaria. Proviamo a capirne qualcosa di più
1.
I postulati dell’istituto
Il novellato accordo tra Agenzia delle Entrate e partecipanti
alle spese dello Stato, identifica un procedimento che permette ai contribuenti, in passato “infedeli”, di “bonificare” il
patrimonio frutto dell’evasione, inviando all’Agenzia delle
Entrate un’autodenuncia esaustiva e corrispondendo integralmente le imposte e i relativi interessi dovuti per tutte le
annualità ancora accertabili, alla data di presentazione della
dichiarazione di emersione.
La “voluntary disclosure” rappresenta un coacervo di norme di
legge in forza delle quali si è tentato di individuare un sofisticato compromesso tra le necessità di accertamento e di gettito
dell’Amministrazione finanziaria, da una parte, e il bisogno di
tutele per quei contribuenti che, in passato, hanno presentato
dichiarazioni dei redditi infedeli, violando coscientemente una
serie di prescrizioni normative, dall’altra. Il risultato generato
da questo esperimento, mosso dall’ambizione non celata di
contemperare due esigenze completamente divergenti, lo si
può rappresentare come una sorta di “giano bifronte” [1] che da
una parte si pone l’obiettivo di incoraggiare i contribuenti non
collaborativi a trasformarsi in soggetti adempienti in modo
permanente, concedendo loro un’ultima occasione[2] per
garantirsi una sostanziale riduzione delle sanzioni comminabili agli inadempimenti del passato, ma che dall’altra desidera
garantire anche la “compliance” dei contribuenti che si sono
dimostrati onesti, imponendo a chi volesse regolarizzare le
proprie precedenti infrazioni, di corrispondere integralmente
le imposte evase e i relativi interessi senza ottenere il benché
minimo sconto, assicurandosi esclusivamente la riduzione
delle pene pecuniarie e la depenalizzazione di gran parte dei
reati connessi a questo tipo di trasgressioni, compiute negli
anni oggetto di emersione.
Per i partecipanti alle spese dello Stato, che in passato hanno
evaso i tributi, la “collaborazione volontaria” rappresenta l’occasione conclusiva per fare emergere e rientrare i patrimoni
sottratti artificiosamente alla tassazione nel nostro Paese,
beneficiando di un rilevante ridimensionamento delle pene
pecuniarie. Tutto ciò raffigura certamente un’opportunità
poiché consente di beneficiare di sanzioni ridotte, ma contestualmente rappresenta altresì un pericolo, in quanto la
disciplina di emersione volontaria cela per il momento delle
ombre, dal punto di vista normativo, che lasciano presagire
prospettive preoccupanti per i contribuenti e per i professionisti che li assistono e che si trovano a essere implicati nella
menzionata procedura di emersione dei patrimoni, detenuti al
di fuori dei confini nazionali.
Un postulato deve tuttavia essere scolpito nella pietra:
chi decide di non salire sul bus della “voluntary disclosure”
e, di conseguenza, di vanificare la possibilità di accedere
volontariamente a questo procedimento di composizione
agevolata, deve essere ben conscio del fatto che, qualsivoglia
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
atto aggiuntivo scaturente dagli introiti criminosi, avrebbe
tutte le potenzialità per perfezionare la fattispecie del reato
di autoriciclaggio[3] , punito con la reclusione a partire da
due e fino a otto anni e che prevede la confisca dei patrimoni
oggetto di evasione tributaria. La sanzione comminabile
risulta essere molto severa e, come sostenuto[4] da Stefano
Cavallini e Luca Troyer, la “voluntary disclosure” e il nuovo reato
di autoriciclaggio rappresentano la carota e il bastone che
l’ordinamento penale e tributario intende brandire per fare
riemergere i patrimoni detenuti sia in Italia che all’estero.
È opportuno ricordare che, in un primo momento, l’ottica
era quella di far rientrare, nel procedimento di emersione,
esclusivamente i capitali illecitamente detenuti al di là dei
confini nazionali, mentre in seguito il legislatore ha optato
per un ampliamento soggettivo e oggettivo dell’ambito di
applicazione.
2.
Gli oneri e le motivazioni
A questo punto ci siamo chiesti: ma quali sono gli oneri del procedimento di emersione e, prima di ogni altra cosa, per quale
motivo un contribuente che possiede delle somme ingenti
fuori dai confini nazionali e sulle quali non ha corrisposto i tributi dovuti e non ha ottemperato agli obblighi di monitoraggio
tributario dovrebbe, in questo momento, autodenunciarsi
corrispondendo le imposte evase senza sconti e gli interessi in
misura piena? Che utilità ne trae? E di quali rischi si fa carico se
decide di non aderire al procedimento di emersione volontaria?
La “voluntary disclosure” non va confusa né con un condono, né
tantomeno con uno scudo fiscale; non vengono contemplate
diminuzioni sulle imposte e l’empio partecipante alle spese
dello Stato che accetta di acconsentire al procedimento di
emersione e, di conseguenza, di autodichiararsi evasore fiscale,
sarà tenuto a corrispondere integralmente i tributi evasi per le
annualità di imposta per le quali il termine per l’accertamento
non risulta essere decaduto, oltre agli interessi corrispondenti.
Ma allora in che cosa è possibile individuare la convenienza
ad aderire alla collaborazione volontaria da parte del contribuente infedele? In prima battuta si garantisce uno sconto
importante sulle sanzioni amministrative connesse all’omessa
o incompleta compilazione del quadro RW, oltre che sulle sanzioni relative all’omessa e/o infedele dichiarazione ai fini delle
imposte sui redditi e delle relative addizionali, delle imposte
sostitutive, dell’Imposta regionale sulle attività produttive
(IRAP), dell’Imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA) e
degli obblighi dei sostituti di imposta; ma il vantaggio più rilevante, che si accaparra il partecipante alle spese dello Stato,
è rappresentato dalla non punibilità dei reati dichiarativi[5] e,
di conseguenza, non esclusivamente l’omessa (articolo 5) o
l’infedele dichiarazione (articolo 4), ma bensì anche la dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false (articolo
2) o altri artifici (articolo 3), oltre all’impunità per i reati di
omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis) e
di omesso versamento IVA (articolo 10-ter), che si ricollegano
agli inadempimenti posti in essere dal contribuente[6] , oltre
alla piena valenza agli accordi con Liechtenstein, Svizzera e
Monte Carlo, rilevanti al fine del loro riconoscimento quali
“Paesi black list con accordo” [7] esclusivamente in caso di adesione alla collaborazione volontaria.
La “voluntary disclosure” rappresenta un procedimento del
quale è possibile beneficiare esclusivamente nella circostanza
in cui non siano già stati avviati, nei confronti del contribuente,
né controlli né tantomeno verifiche[8]; ed è proprio questo il
contesto per il quale la procedura di “collaborazione volontaria”
viene considerata un atto spontaneo del soggetto partecipante alle spese dello Stato; pertanto, per poter aderire alla
“disclosure”, non devono essere stati notificati “avvertimenti”
nei confronti dei contribuenti interessati, ed è al tempo
stesso necessario comprendere che si tratta di una procedura
diversa da tutte quelle in cui ci siamo imbattuti nel recente
passato in quanto, come già più volte ricordato, le imposte
e gli interessi devono essere corrisposti in maniera globale;
inoltre non è tollerato in alcuna accezione l’anonimato del
soggetto emergente, peculiarità che ha invece caratterizzato
gli scudi fiscali del 2001[9] , del 2003[10] e del 2009[11] , così
come non è ammessa l’autodenuncia parziale da parte del
contribuente e, di conseguenza, vige l’obbligo codificato di
far emergere integralmente il patrimonio che si detiene al di
fuori dei confini italici, in quanto è necessario dichiarare con
precisione “certosina” in quale maniera e con l’assistenza e la
collaborazione di chi, le attività detenute oltre frontiera siano
state occultate per consentire all’Amministrazione finanziaria
di mantenere la facoltà di utilizzare i dati e le informazioni
raccolti per effettuare accessi e verifiche nei confronti dei
soggetti coobbligati e/o collusi.
Di conseguenza questo procedimento di “emersione volontaria”
appare, in prima battuta, di gran lunga meno favorevole degli
scudi fiscali nei quali ci siamo imbattuti nel primo decennio del
XXI. secolo, ed è proprio per questo motivo che ci troviamo
a interrogarci sul motivo per il quale, chi non ha aderito agli
scudi fiscali del 2001, del 2003, del 2009 dovrebbe aderire alla
“collaborazione volontaria” introdotta dalla L. n. 186/2014.
Ma fornire una risposta a questa domanda risulta essere
molto agevole: è cambiato il contesto internazionale[12]
e nazionale nel quale gli operatori economici si trovano a
operare; intorno agli evasori si sono serrate sempre di più le
maglie, il segreto bancario sta per cadere definitivamente e,
di conseguenza, tutte le istituzioni – internazionali e nazionali
– si sono impegnate negli ultimi anni per isolare gli Stati[13]
che rappresentavano l’ultima roccaforte europea del segreto
9
10
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
bancario. Ciò premesso appare ancor più evidente come la
“voluntary disclosure” raffiguri l’ultimo bus per gli evasori italiani
che vogliono regolarizzare la propria posizione e definire un
accordo onorevole con il fisco nazionale.
3.
La relazione intercorrente tra le imposte IVIE e IVAFE e
l’emersione volontaria
Con la Circolare n. 27/E/2015, l’Agenzia delle Entrate, relativamente all’Imposta sul valore degli immobili situati all’estero
(di seguito IVIE) e l’Imposta sul valore delle attività finanziarie
detenute all’estero (di seguito IVAFE) ha stabilito di fare
propria una linea di condotta solo in parte congruente con
il contenuto testuale della disposizione, ampliando l’ambito
di applicazione della collaborazione volontaria anche all’IVIE
e all’IVAFE. Tali imposte non risultano in nessuna circostanza
citate dalla disciplina e la menzionata Circolare ammette
che in alcun passaggio vengano richiamate palesemente. Il
documento di prassi comunque afferma che una “lettura logico
sistematica delle disposizioni in materia di procedura di collaborazione
volontaria porta a ritenere che i benefici previsti dalla stessa possano
essere riconosciuti anche con riguardo a tali imposte, per le quali, con
riferimento al versamento, alla liquidazione, all’accertamento, alla
riscossione, alle sanzioni e ai rimborsi nonché al contenzioso trovano
applicazione le disposizioni previste per l’imposta sul reddito delle
persone fisiche”.
L’Ufficio tenta di far risaltare che, nella filosofia che guida il
procedimento di emersione, la completezza delle informazioni
e la collaborazione del contribuente qualificano il processo;
per garantirne il perfezionamento i partecipanti alle spese
dello Stato sono pertanto chiamati a mettere a disposizione
dell’Ufficio tutti i documenti e le informazioni necessari per
addivenire alla quantificazione degli eventuali maggiori imponibili, con riferimento anche ai contributi previdenziali e alle
patrimoniali IVAFE e IVIE.
Sulla scorta di queste pur imperfette motivazioni, le due imposte sul patrimonio all’estero sono ritenute anch’esse rientranti
nella procedura di collaborazione volontaria internazionale,
sebbene in carenza di violazioni in tema di monitoraggio
fiscale e pertanto assoggettate alle pene pecuniarie, definite
al minimo edittale e ridotte nella misura di un quarto. Non
viene in alcun modo preclusa al partecipante alle spese dello
Stato la possibilità di regolarizzare la propria posizione ai fini
dell’IVIE e dell’IVAFE accedendo all’istituto del ravvedimento
operoso. Sebbene sia stato fatto emergere dalla dottrina
che l’IVIE e l’IVAFE non avrebbero potuto essere ricomprese
all’interno del procedimento di emersione, l’interpretazione
estensiva della disciplina caldeggiata dall’Amministrazione
finanziaria si concretizza in un vantaggio per il contribuente e
per il professionista che lo consiglia.
Tanto è vero che il partecipante alle spese dello Stato potrà
scegliere se optare per il ravvedimento operoso, anticipando
la notifica di un avviso di accertamento per le menzionate
patrimoniali, oppure se approfittare della riduzione sulle
sanzioni nella misura disposta dalla collaborazione volontaria.
In merito all’attività del dottore commercialista che assiste il
contribuente nella procedura di emersione, non viene previsto
che tali tributi vengano determinati all’interno della relazione
esplicativa, né che il loro valore sia indicato nell’istanza di collaborazione volontaria. La Circolare n. 27/E/2015 ha precisato
che devono essere prodotti “i documenti e le informazioni per la
determinazione degli eventuali maggiori imponibili agli effetti anche
dei contributi previdenziali e delle imposte IVAFE e IVIE”: in teoria
tale documentazione dovrebbe essere già stata recuperata
dai professionisti beneficiando del lavoro svolto dagli intermediari esteri per consentire la regolarizzazione delle violazioni in
tema di monitoraggio fiscale e di imposte sui redditi. Tuttavia,
il procedimento non potrebbe mai essere ritenuto invalido per
l’insufficienza degli elementi necessari a liquidare l’IVIE e l’IVAFE, in quanto la Circolare ministeriale è stata resa pubblica
nel tardo pomeriggio di giovedì 16 luglio 2015, e pertanto
in prossimità delle vacanze estive, circostanza che complica
notevolmente il reperimento dagli istituti di credito stranieri
di eventuale documentazione integrativa entro la scadenza,
prevista a tutt’oggi al 30 settembre 2015.
4.
I prelievi consistenti non giustificati e il denaro detenuto
in cassette di sicurezza
Il chiarimento rappresentato dalla Circolare n. 27/E/2015 in
merito ai prelievi non ha convinto gli operatori del settore
interessati alla procedura di emersione volontaria. A parere
dell’Agenzia delle Entrate, gli insufficienti chiarimenti relativi ai
prelevamenti di valore significativo che depauperano il patrimonio illecitamente posseduto al di fuori dei confini nazionali,
potrebbe costare il respingimento della domanda di emersione
per lacune della medesima. Questo perché, la carente o infedele dimostrazione del rimpatrio, nel territorio nazionale delle
disponibilità, o del loro impiego, potrebbe essere rappresentativa della circostanza che detti denari siano stati utilizzati
per creare o acquisire un’analoga attività, al di fuori dei confini
nazionali, volontariamente esclusa dal procedimento di emersione. Tuttavia, pur in vigenza della facoltà di effettuare tutte
le verifiche ritenute necessarie, l’Amministrazione finanziaria
in tale circostanza non possiede l’autorità per precludere la
possibilità di depositare l’istanza di collaborazione volontaria
a un contribuente nei confronti del quale ha un indimostrato
“sospetto” circa la detenzione di attività finanziarie possedute
all’estero e non riemerse, in considerazione del fatto che
quanto viene dichiarato dal contribuente fa fede sino a prova
contraria[14]. Il documento di prassi, infine, chiarisce che la
soglia dei prelievi “per uso personale” considerata “ragionevole”
dovrebbe essere individuata, in buona sostanza, nel rendimento degli investimenti illegalmente posseduti al di fuori dei
confini nazionali[15].
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Relativamente ai contanti conservati all’interno di cassette
di sicurezza e che si ha la volontà di fare emergere, la linea
sposata dall’Ufficio non ci convince sino in fondo in quanto,
se da un verso ammette l’utilizzabilità delle “prove indirette”
per supportare un prelievo effettuato dal conto estero e poi
destinato alla cassetta di sicurezza, dall’altro richiede, come
esempio, che, in tale circostanza, sia comprovato un accesso
in una cassetta di sicurezza locata presso un istituto di credito
italiano[16] in un periodo prossimo rispetto a quello nel quale
si è dato corso ai prelievi. Ma la questione si complica notevolmente qualora il partecipante alle spese dello Stato avesse
ingenuamente trasferito quel denaro contante all’interno della
cassaforte della propria abitazione, anche nel caso in cui fosse
in grado di documentare, grazie all’intervento di un notaio,
l’esistenza di quelle somme[17] all’interno della cassetta di
sicurezza domestica.
obbliga a far salvi gli effetti degli atti impositivi, cronologicamente successivi a quelli di controllo).
5.
Il decreto sulla certezza del diritto e le questioni ancora
da definire
Il Consiglio dei ministri del 31 luglio 2015[18] ha approvato,
in via definitiva, il nuovo decreto sulla “certezza del diritto”,
specificando l’ambito applicativo del raddoppio dei termini
per violazioni penali tributarie, nonché la fase transitoria.
Per prima cosa, si conferma, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 8 comma 2 L. n. 23/2014, che il raddoppio
opera a condizione che la denuncia penale, per reati ricadenti
nel D.Lgs. n. 74/2000, sia presentata o trasmessa entro
la scadenza ordinaria del termine. Ciò si è reso necessario
per evitare che l’Amministrazione finanziaria, in forza del
differente orientamento espresso dalla Corte Costituzionale
con la sentenza n. 247/2011, abbia a disposizione un tempo
eccessivamente lungo per notificare gli atti impositivi, e che,
di conseguenza, tale possibilità si concretizzi in una maniera
per eludere il termine ordinario di decadenza.
Inoltre, vengono fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire
e dei processi verbali di constatazione (articoli 5 D.Lgs. n.
218/1997 e 24 L. n. 4/1929) notificati o dei quali il contribuente
abbia avuto conoscenza entro la data in cui entra in vigore
il decreto, “sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva
o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015”. Non
sono fatti salvi, ai fini del raddoppio con denuncia presentata,
elementi rinvenuti oltre il termine ordinario di decadenza, i
questionari, gli inviti a comparire ex articolo 32 del Decreto
del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1973,
le richieste di informazioni su indagini bancarie, i processi di
verifica giornalieri e quelli di accesso. La norma è molto chiara
nel fare riferimento esclusivamente alle due tipologie di atti
indicate. Occorre inoltre una vincolante coincidenza tra il
contenuto del verbale e quello dell’atto impositivo. Nell’ipotesi
in cui un verbale, già consegnato prima dell’entrata in vigore
del decreto e inerente a un’annualità ormai decaduta, contenga rilievi penalmente rilevanti solo ai fini IVA, durante la
fase dell’accertamento, l’Amministrazione finanziaria potrà
contestare, entro il termine raddoppiato, solo una maggiore
IVA, e non certamente le altre imposte come l’IRPEF o l’IRES.
Si precisa, però, che il raddoppio opera per le denunce presentate dall’Amministrazione finanziaria all’interno della
quale viene ricompresa anche la Guardia di Finanza. Da ciò si
dovrebbe dedurre che, se, ora come allora, è certa l’applicabilità
del raddoppio quando la denuncia è inviata ai sensi dell’articolo
331 del Codice di procedura penale (di seguito CPP) (ad esempio
al termine della verifica, dopo la redazione del processo verbale
di constatazione), non è, e non sarà, così per le denunce inviate
ai sensi dell’articolo 330 CPP. Si tratta delle denunce notificate
non in occasione del controllo fiscale, ma in seguito a indagini
eseguite dalla polizia giudiziaria e, sebbene la notifica avvenga
a mezzo della Guardia di Finanza, non si rientra all’interno
dell’ambito applicativo dell’articolo 331 CPP.
Il secondo elemento concerne la decorrenza della nuova
norma, in ragione del fatto che la legge delega impone di fare
salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di
entrata in vigore del decreto. Il Governo pare aver trovato
una soluzione “intermedia”, che possa bilanciare equamente le
esigenze dei contribuenti e quelle dell’Erario. Infatti, per prima
cosa si ribadisce, come da testo precedente, che rimangono
salvi gli effetti degli atti impositivi già notificati alla data di
entrata in vigore del decreto (cosa che appare dovuta, visto che
la legge delega, parlando di atti di controllo, implicitamente
Il D.Lgs. sulla certezza del diritto ha introdotto delle migliorie
anche sul fronte della salvaguardia dai reati penalmente rilevanti. Anche le attività e le imposte riferite ad anni per i quali
siano decaduti i termini per l’accertamento fiscale (quattro per
la dichiarazione infedele e cinque per l’omessa dichiarazione)
hanno la facoltà di accedere alla collaborazione volontaria
beneficiando della riduzione delle sanzioni amministrative tributarie e della non punibilità penale. La formulazione vigente
della “voluntary disclosure” non permette l’estensione dei benefici della procedura di emersione spontanea anche ai reati
antecedenti all’arco temporale dei cinque anni[19]. Pertanto
in precedenza si correva il rischio di regolarizzare dal punto
di vista amministrativo senza riuscire a fare altrettanto dal
punto di vista penale, nel caso di possesso all’estero di capitali
anche precedentemente agli anni 2009 e 2010.
Oltre a ciò, e pertanto prescindendo da questa vicenda per la
quale molti studi professionali hanno già predisposto un buon
numero di istanze di “voluntary disclosure” che vengono tenute in
“stand by” in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del
decreto sulla certezza del diritto che ha consentito di conoscere
11
12
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
gli anni ancora accertabili e pertanto da definire, esistono altre
criticità che si riferiscono ai rapporti fra Amministrazione
finanziaria e contribuenti, in tutti i casi nei quali questa procedura, che trova il suo avvio nell’istanza presentata all’Agenzia
delle Entrate, durante il suo percorso, per una ragione o per
un’altra, si imbatta in un intoppo, si interrompa e non riesca a
giungere a quella che è la sua naturale e sperata conclusione.
In tutti i casi in cui si manifesta una crisi di collaborazione tra
partecipante alle spese dello Stato e Amministrazione finanziaria, la “voluntary disclosure” rischia di insabbiarsi con una serie
di conseguenze molto pericolose sia per il contribuente, sia
per i suoi consulenti. Tentiamo in concreto di comprendere in
quali problematiche ci si può imbattere una volta presentata
l’istanza e quest’ultima, per un motivo o per un altro, sebbene
sia stato correttamente completato il lavoro di raccolta dei
dati, delle informazioni e dei documenti richiesti dai funzionari
dell’Amministrazione finanziaria e dell’Ufficio centrale per
il contrasto agli illeciti fiscali internazionali (UCIFI), dovesse
incappare, suo malgrado, in un intoppo.
Quali sono le tutele del contribuente nel caso in cui la procedura di emersione volontaria non si definisca? L’interrogativo
ce lo si pone poiché, qualora una “voluntary disclosure” non si
chiuda con l’adesione in quanto l’Amministrazione finanziaria
e il contribuente non riescono a trovare un accordo sull’oggetto dell’emersione, si verifica la peculiare circostanza che il
contribuente, dopo essersi autodenunciato e, di conseguenza,
dopo aver fornito all’Agenzia delle Entrate tutti i documenti e
le informazioni relative alle proprie attività estere e dopo aver
ricostruito tutte le evoluzioni che il patrimonio in emersione
ha sviluppato nel corso degli anni e i correlati redditi che nel
frattempo ha generato, e dopo avere infine calcolato le imposte e gli interessi dovuti, si viene a trovare nella particolare
situazione in conseguenza della quale, se l’Amministrazione
finanziaria decide di non portare a conclusione la procedura di
adesione, non ha vie di scampo.
Ma quale tipo di tutela possiamo ipotizzare a salvaguardia
del contribuente in tutti quei casi in cui la “voluntary disclosure”
non si riesca a perfezionare? Un preliminare problema viene
generato dalla stessa norma che disciplina la “collaborazione
volontaria” e che in realtà non fa alcuna chiarezza in merito al
contraddittorio endoprocedimentale, che dovrebbe instaurarsi
tra Amministrazione finanziaria e contribuente nel momento
in cui viene depositata l’istanza, seppur prima di giungere al
provvedimento conclusivo della “emersione volontaria”. Nel nuovo
comma 5-quater D.L. n. 167/1990[20] si fa menzione all’“invito
al contraddittorio”[21]; tuttavia proseguendo nella lettura della
disciplina, nei commi successivi, troviamo menzionato l’“invito
a comparire”[22], facendo risaltare la peculiare correlazione tra
queste due differenti tipologie di convocazione.
L’invito a comparire ci fa tornare in mente in maniera un poco
vessatoria l’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973 e pertanto la contingenza nella quale il contribuente viene chiamato in causa
non per instaurare un contraddittorio con l’Ufficio, ma bensì
per fornire informazioni e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento ed è pertanto la disciplina stessa che ci porta sulla
difensiva in quanto risulta strutturata in maniera tale da non
consentire di comprendere, anche a un lettore attento, se il
menzionato contraddittorio endoprocedimentale[23] debba
effettivamente essere istituito in quanto tale, oppure si pone
il problema di dover comparire di fronte all’Amministrazione
finanziaria, esclusivamente per fornire dati e notizie rilevanti ai
fini dell’accertamento; ciò rappresenta una peculiare sovrapposizione della disciplina che si aggroviglia involontariamente
tra l’invito al contraddittorio e quello a comparire. Il problema
si accentua ulteriormente considerando che, quando la disciplina statuente la “voluntary disclosure” regolamenta la data
fissata per la comparizione, la stessa collega questo momento
non all’instaurazione del contraddittorio ma all’adesione ai
contenuti dell’invito, come se l’approvazione potesse avvenire
senza che il contribuente abbia avuto modo, in precedenza,
di confrontarsi con l’Amministrazione finanziaria per determinare i contenuti dell’accertamento al quale aderire. Si tratta
di problematiche di natura tecnica che molto probabilmente
scaturiscono esclusivamente da un’imperfetta formulazione
della norma e che possono essere superate attraverso una
interpretazione sistematica; tuttavia qualche dubbio su questa carenza, che sgorga specificamente dalla norma, non ci
abbandona definitivamente; non è possibile non riconoscere
ai dirigenti centrali dell’Agenzia delle Entrate di essersi costantemente espressi in modo molto favorevole al contribuente e,
in considerazione di ciò, il contraddittorio tra le parti si ritiene
che verrà sicuramente instaurato[24]; tuttavia non siamo
ancora riusciti a comprendere se il contraddittorio debba
considerarsi preventivo oppure se il contribuente sia chiamato
a comparire esclusivamente per sottoscrivere l’adesione, così
come predisposta anticipatamente dall’Ufficio.
A nostro parere esistono ragioni sistematiche per ritenere
che il contraddittorio endoprocedimentale debba sempre
essere instaurato in quanto, la necessità di esperire il contraddittorio prima di giungere alla stesura del provvedimento
finale, rappresenta una necessità da tempo affermata dalla
giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia dell’Unione europea (di seguito CGUE)[25] , che considera necessaria
la partecipazione attiva del contribuente già nella fase di
formazione del provvedimento amministrativo, indipendentemente dalla possibilità concessa al partecipante alle spese
dello Stato, di proporre ricorso successivamente alla notifica di
tale provvedimento; di conseguenza il contraddittorio dovrà
necessariamente avvenire prima che il provvedimento venga
notificato al contribuente.
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Tuttavia la questione appare ancora controversa; non
possiamo infatti non considerare che è pendente di fronte
alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione un’ordinanza attraverso la quale la Sezione Tributaria della Corte
di Cassazione ha richiesto esplicitamente alle Sezioni Unite
di fornire un chiarimento sulle eventuali conseguenze della
violazione del diritto al contraddittorio e, di conseguenza, su
quelle che saranno le ripercussioni qualora il diritto al contraddittorio endoprocedimentale non venisse rispettato. Restiamo
pertanto in attesa di una sentenza delle Sezioni Unite, che
auspicabilmente si adeguerà a quella della giurisprudenza
della CGUE; tra l’altro non possiamo dimenticare che una
soluzione normativa espressa, può giungere anche attraverso
l’attuazione della delega fiscale in quanto è previsto al suo
interno un passaggio nel quale si disquisisce effettivamente
di contraddittorio e pertanto anche in quel punto potrebbe
essere introdotta una norma che dovrebbe fare chiarezza, una
volta per tutte, in merito all’obbligatorietà del contraddittorio
endoprocedimentale.
Tuttavia, nonostante questa ricostruzione sistematica, la
giurisprudenza della CGUE e le buone intenzioni espresse
dall’Amministrazione finanziaria, se il menzionato contraddittorio non venisse attivato in seguito a un procedimento
di “voluntary disclosure”, quali sono le tutele che competono al
contribuente? Sicuramente spetta la salvaguardia differita[26]
rappresentata dalla possibilità di ricorrere contro l’atto finale;
tuttavia in questa prospettiva il contribuente perderebbe
immediatamente il beneficio delle sanzioni ridotte nella
misura di un sesto e, di conseguenza, subirebbe un pregiudizio
imputabile esclusivamente alla possibilità di reagire solo differitamente.
Le istanze recanti l'indicazione dei maggiori imponibili esteri
da assoggettare a tassazione dovranno essere presentate
telematicamente. Sarà l'Ufficio a liquidare imposte e sanzioni
dovute, previo invio di una relazione accompagnatoria che
fornisca una ricostruzione fattuale e giuridica delle violazioni
da regolarizzare.
6.
Le problematiche connesse alla presentazione dell’istanza
di “voluntary disclosure”
Ma quali ulteriori disfunzioni, in aggiunta a quella che grava
persistentemente sul contraddittorio endoprocedimentale,
sono in grado di rappresentarsi[27] e affliggere la procedura
di emersione? All’interno della procedura di “collaborazione
volontaria” è possibile focalizzare ulteriori alterazioni. Qualora
un contribuente invii un’istanza di “voluntary disclosure”, ricostruendo per filo e per segno ogni passaggio della propria
posizione e, di conseguenza, il proprio patrimonio accumulato
all’estero e i proventi generati da quest’ultimo, ma la sua
istanza non ricevesse alcuna risposta da parte dell’Agenzia
delle Entrate, circostanza che non ci sentiamo di escludere,
su quali garanzie procedimentali potrà contare il partecipante
alle spese dello Stato nell’ipotesi di silenzio da parte dell’Amministrazione finanziaria? L’Ufficio potrebbe decidere di non
rispondere a una istanza di “voluntary disclosure” in quanto
potrebbe ritenerla inammissibile ovvero non sufficientemente
avvalorata dalla documentazione prodotta, perfino dopo
l’eventuale integrazione richiesta al contribuente anche se
puntualmente fornita da quest’ultimo. In questa malaugurata
circostanza il contribuente dovrà attendersi un avviso di
accertamento, notificato nelle modalità e nei termini ordinari
e tutto ciò anche qualora le obiezioni effettuate dall’Agenzia
delle Entrate non risultassero corrette. L’unica tutela per il
contribuente, che possiamo individuare, consiste nell’interpretare la mancata emissione dell’invito a comparire quale
silenzio rifiuto a dar seguito all’istanza e, di conseguenza,
essere considerato atto impugnabile nel rispetto di quanto
disposto dall’articolo 19 D.Lgs. n. 546/1992.
Proseguendo la nostra riflessione sui potenziali ostacoli al
perfezionamento dell’istanza di emersione volontaria, ci corre
l’obbligo di esaminare la circostanza nella quale il contribuente
riceva l’invito a comparire dall’Amministrazione finanziaria, ma
non condivida la quantificazione delle imposte e degli interessi
effettuata dall’Ufficio nonché delle relative sanzioni. In questa
peculiare contingenza, qualora il partecipante alle spese dello
Stato non provvedesse a corrispondere, entro quindici giorni
dalla notifica, le somme riportate nell’invito a comparire, la
procedura di emersione non si potrebbe perfezionare.
Il contribuente conserverà certamente la facoltà di avviare la
procedura di accertamento con adesione ma, anche in questa
circostanza, vanificherà il beneficio della riduzione delle sanzioni nella misura di un sesto del dovuto non avendo aderito
alla quantificazione effettuata dall’Ufficio. Il contribuente
pertanto, non sottoscrivendo l’atto di adesione predisposto
dall’Amministrazione finanziaria quale conclusione della fase
di contraddittorio, non perfezionerà la procedura di emersione
e, di conseguenza, il partecipante alle spese dello Stato subirà
un accertamento in base alle regole ordinarie.
Tuttavia il mancato accordo comporterà ulteriori pericoli per il
contribuente quali il raddoppio dei termini di accertamento e
delle sanzioni[28] , la contestazione dei reati tributari ed eventualmente penali che il contribuente stesso ha provveduto a
confessare all’Amministrazione finanziaria e la conseguente
decadenza della prevista tutela penale[29]. Pertanto il rifiutare ciò che l’Ufficio propone in fase di adesione, conduce il
contribuente in un vicolo cieco, con la pericolosa conseguenza
che Paesi come il Liechtenstein, la Svizzera e il Principato
di Monaco vengano considerati come non collaborativi, in
quanto la qualificazione di Paese black list con accordo viene
riconosciuta per queste nazioni esclusivamente in presenza
13
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Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
di una “voluntary disclosure”, con il conseguente raddoppio dei
termini di accertamento, delle sanzioni e la contestazione
degli eventuali reati penali/tributari.
7.
L’impugnabilità dei verbali relativi all’accertamento con
adesione
Sulla base delle considerazioni effettuate ci siamo chiesti se
il contribuente avesse la facoltà di impugnare i verbali interni
relativi all’accertamento con adesione o il verbale negativo che
chiude il procedimento di accertamento. Una parte autorevole
della dottrina[30] ritiene che sia possibile ricorrere contro tutti
gli atti che manifestino una pretesa tributaria individuata,
senza la necessità di attendere che la stessa arrivi alla forma
autoritativa di uno degli atti impugnabili previsti dall’articolo
19 D.Lgs. n. 546/1992.
Tuttavia, qualora decidessimo di utilizzare questa più ampia
visione, argomentando che si tratta di un atto che determina
una pretesa tributaria individuata e pertanto impugnabile,
come potremmo ricorrere avverso a un atto, nel caso di specie
un verbale negativo che dovrebbe chiudere il procedimento, il
cui contenuto difficilmente si presta a formare oggetto di un
processo di “impugnazione-merito” [31] come quello tributario,
o meglio come potremmo utilizzare un verbale che chiude
negativamente la procedura di adesione, considerandolo un
atto che consente di entrare nel merito e di conseguenza di
instaurare un giudizio dinnanzi a una Commissione Tributaria?
Nel caso in cui non riuscissimo a trovare una risposta
convincente alle nostre domande potremmo sempre fare affidamento alla tutela estrema, rappresentata dalla cosiddetta
“tutela differita”; il contribuente potrà ricorrere contro l’avviso
di accertamento che gli sarà notificato all’indomani del mancato perfezionamento della procedura di emersione e in quella
sede potrà far valere, in ogni caso, il suo diritto a beneficiare
della procedura di emersione in ragione di quanto indicato
nell’istanza e con l’obiettivo di ottenere, in sede contenziosa,
la dichiarazione di “illegittimità derivata” [32] dell’atto impugnato
da parte della Commissione Tributaria adita. Di conseguenza,
il contribuente avrà la facoltà di far valere il proprio diritto a
beneficiare della procedura di emersione in forza di quanto
indicato nell’istanza e non sulla rideterminazione effettuata
dall’Ufficio. La Suprema Corte di Cassazione ha affermato
esplicitamente che, impugnando l’iscrizione a ruolo generata
dall’Amministrazione finanziaria che non ha ritenuto accoglibile l’istanza di condono, il contribuente avrebbe potuto
sempre far valere, tra le proprie difese, anche quella relativa
al diritto di beneficiare del condono negato dall’Amministrazione finanziaria. Pertanto risulta essere possibile, in fase di
tutela differita, ricorrendo contro l’avviso di accertamento
notificato secondo le modalità ordinarie dell’Amministrazione
finanziaria, far valere il diritto di beneficiare della procedura
di “voluntary disclosure”, con tutto quello che ne consegue in
termini di sanzioni ridotte, depenalizzazione e così via.
8.
Le problematiche connesse alla riscossione
L’ultima disfunzione che possiamo prevedere in fase di perfezionamento del procedimento di emersione è quella circoscritta
alla fase della riscossione, nel caso in cui il contribuente non
ottemperi agli obblighi di versamento scaturenti dall’avviso
di accertamento con adesione o dall’avviso di irrogazione
delle sanzioni. Anche in questa circostanza la procedura va
in crisi, ma la contingenza ci preoccupa solo parzialmente in
quanto anche la peggior conseguenza, seppur gravosa per il
contribuente, risulterebbe plausibile in quanto, il partecipante
alle spese dello Stato ha comunque accettato e sottoscritto
le determinazioni del “quantum debeatur”[33] effettuata in
contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, sebbene
non abbia adempiuto alle obbligazioni tributarie direttamente
scaturenti dal perfezionamento della “collaborazione volontaria”.
Anche in questa circostanza, saltata la “voluntary disclosure”, si
applicheranno le norme generali e di conseguenza le imposte,
gli interessi e le sanzioni piene e scatteranno i reati penali/
tributari; ma la questione, tutto considerato, non ci preoccupa
oltre misura in quanto la scelta di non pagare tempestivamente
quanto accettato e sottoscritto in fase di contraddittorio, rappresenta una circostanza difficilmente difendibile.
Altro fronte critico della procedura di “voluntary disclosure”
afferisce al diritto del contribuente di avvalersi della facoltà
di non rispondere. La procedura di emersione implica che il
contribuente debba rendere edotta l’Agenzia delle Entrate
circa le violazioni commesse in merito alla normativa sul
monitoraggio fiscale e, nel dettaglio, sia le violazioni dichiarative in connessione con gli archivi esteri oggetto di emersione,
sia quelle non in connessione con gli archivi esteri. Nel
rilasciare le menzionate dichiarazioni a fronte delle richieste
da parte dell’autorità fiscale, come per esempio la richiesta
di consegnare materiale probatorio suscettibile di causare
autoincriminazioni penalmente rilevanti, ci siamo chiesti se il
contribuente possa avvalersi della facoltà di non rispondere o
fosse tenuto a rispondere esaustivamente.
L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (di
seguito CEDU) ci fornisce qualche informazione aggiuntiva in
quanto in essa si afferma che il diritto al silenzio oltrepassa i
confini del processo penale e risulta essere opponibile anche
all’interno dei processi amministrativi. In materia sanzionatoria la Corte europea dei diritti dell’uomo (di seguito Corte EDU),
alla quale si è conformata la Corte di Cassazione, ha stabilito
che in presenza di determinati requisiti, la lite sulla sanzione
penale e la lite sulla sanzione amministrativa rientrano nel
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
campo di applicazione dell’articolo 6 CEDU, in quanto le controversie assumono carattere penale considerata la gravità
delle loro conseguenze e ciò garantirebbe la possibilità di far
valere il diritto al silenzio.
Tuttavia in una procedura caratterizzata dalla collaborazione
volontaria il “nemo tenetur” pare contrastare energicamente il
principio di leale collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, che sta alla base dell’emersione volontaria
e se pertanto un contribuente decidesse volontariamente di
collaborare risulterebbe complicato ipotizzare di poter beneficiare del diritto al silenzio in quanto in evidente contrasto con
quanto disposto dallo statuto dei diritti del contribuente sul
principio di leale collaborazione tra Amministrazione finanziaria e partecipante alle spese dello Stato. In aggiunta a ciò
non si può fare a meno di ricordare che per la Suprema Corte
di Cassazione il principio del silenzio[34] non risulta essere
costituzionalizzato[35] e, pertanto, il contribuente è sempre
tenuto a produrre documenti attendibili all’Ufficio non avendo
il diritto di mentire; se lo facesse commetterebbe un reato
appositamente introdotto dal legislatore, caratterizzato dalle
false esibizioni e dalle false comunicazioni all’Amministrazione
finanziaria[36] , immesso nel nostro ordinamento nel corso del
2011 per tutelare il principio della sincera e fattiva collaborazione con l’Ufficio; ed è proprio per questo motivo che il diritto
di avvalersi della facoltà di non rispondere difficilmente potrà
essere invocato all’interno del procedimento di “emersione
volontaria”.
in relazione al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo
– mentre dall’altro sono tenuti a osservare l’obbligo della
riservatezza, anche questo tutelato dalla legge in quanto la
violazione all’obbligo del riserbo – sempre che il fatto non
costituisca un reato più grave – viene punito con l’arresto da
sei mesi a un anno e con un’ammenda che può raggiungere la
cifra di 50’000 euro.
In verità esistono delle correlazioni nella giurisprudenza comunitaria[37] a tutela del silenzio del contribuente, tuttavia in
una procedura caratterizzata dalla collaborazione spontanea
che deve essere totale, come affermato sia dalla norma sia dai
documenti di prassi[38], riscontriamo un evidente contrasto tra
il diritto ad avvalersi della facoltà di non rispondere e il principio
della leale e completa collaborazione, che dovrebbe caratterizzare la procedura di emersione volontaria; a fronte di tutto
ciò non siamo in grado di prevedere la direzione verso la quale
potrà indirizzarsi la giurisprudenza di merito e di legittimità,
pur temendo che, avendo gli ermellini già affermato in passato
che il principio del nemo tenetur non è costituzionalizzato[39],
non esistano elementi particolarmente fondati per tutelare il
contribuente utilizzando questo strumento di difesa.
All’interno della L. n. 186/2014 è contenuta una disposizione
ad hoc a tutela del professionista che dispone che, qualora il
contribuente, nell’ambito della procedura di emersione, esibisca o trasmetta documenti falsi in tutto o in parte o fornisca
dati che non rispondono al vero, quest’ultimo viene punito con
la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. La disciplina
prevede inoltre che il partecipante alle spese dello Stato sia
tenuto a rilasciare, al professionista che lo assiste, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale attesti che
gli atti e i documenti, consegnati per espletare l’incarico, sono
veritieri e che i dati e le notizie fornite sono rispondenti al vero.
Individuata una tutela indiretta del professionista all’interno
della norma sulla “voluntary disclosure” nella dichiarazione che
si ottiene dal contribuente, tutto ciò non ci porta a escludere
la responsabilità dell’esperto in quanto quest’ultimo, consapevole del “mendacio”, potrebbe accollarsi il rischio dell’eventuale
falsità dei documenti nonostante la dichiarazione sostitutiva
rilasciata dal contribuente. Il professionista quindi, ottenuto
il conferimento dell’incarico, deve verificare attentamente la
clientela attraverso il compimento di tutte le attività di controllo previste dalla normativa, soprattutto qualora sospetti
il riciclaggio o abbia dei dubbi in merito alla veridicità delle
informazioni e dei documenti ricevuti.
9.
La responsabilità dei professionisti
L’ultimo profilo di rischio della “voluntary disclosure” è rappresentato dalla responsabilità dei professionisti in quanto, il
reato di false comunicazioni all’Amministrazione finanziaria
può riguardare anche gli esperti che assistono i contribuenti
nella procedura di emersione e che redigono la relazione di
accompagnamento. I professionisti si vengono a trovare tra
l’incudine e il martello in quanto, da un lato devono adempiere
agli obblighi previsti avendo riguardo alle informazioni possedute o acquisite nell’ambito della loro attività istituzionale
o professionale – ove peraltro, in presenza di indicatori di
rischio, dovrebbero ottenere dai clienti informazioni ulteriori
sulla natura e sullo scopo delle operazioni da svolgere e, se
ne ricorrono i presupposti, segnalare all’autorità giudiziaria
questo tipo di operazioni che presentano elementi di sospetto
Ebbene, tutto ciò considerato, si possono riscontrare i presupposti per opporre il segreto professionale? Può il professionista
tutelarsi utilizzando il segreto professionale nello stesso modo
in cui il contribuente può proteggersi ricorrendo al “nemo
tenetur”? L’unico elemento di collegamento che abbiamo
individuato, seppure con una tutela relativa, è rappresentato
dall’articolo 8 CEDU[40] sia con riferimento alle verifiche
compiute dall’Amministrazione finanziaria presso lo studio, sia
in relazione alla tutela della corrispondenza che il professionista intrattiene con i propri clienti. Ci sono due sentenze del
2008[41] della Corte EDU e una sentenza del 2008 della Corte
Costituzionale[42] che danno degli elementi per opporre il
segreto professionale; tuttavia non siamo in grado di sapere
quanto questi principi possano “tenere” nei confronti di una
procedura di emersione volontaria per il fatto che si tratta di
un procedimento spontaneo, facoltativo e integrale.
15
16
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Dall’Amministrazione finanziaria abbiamo avuto in più di
un’occasione le più ampie assicurazioni in merito alla compliance delle loro strutture preposte, ma tuttavia solo quando
ci troveremo di fronte al funzionario dell’Agenzia delle Entrate
comprenderemo il loro reale atteggiamento. Ciò che ci
sentiamo di consigliare ai contribuenti emergenti e ai professionisti che li assistono durante la procedura di emersione, al
fine di circoscrivere le proprie rispettive responsabilità[43] è
di menzionare, in sede di richiesta di documenti, di dati e di
notizie da parte degli Uffici, il diritto a non esibire, trasmettere
o fornire documenti o notizie di cui l’Amministrazione finanziaria è già in possesso[44].
Nel caso invece di generiche richieste di esibizione di documentazione che verranno effettuate dall’Ufficio, esistendo
casi in cui il procedimento di “voluntary disclosure” richiede la
predisposizione di masse enormi di documenti, riteniamo
opportuno far verbalizzare che non è l’intenzione del contribuente quella di sottrarsi alla richiesta dell’Ufficio ma che,
in virtù del principio di collaborazione, si chiede che venga
specificato per iscritto a quale anno, a quale tipo di imposta
e a quale particolare documento si riferisce la richiesta.
Certamente non si vuole rischiare di apparire scarsamente
collaborativi ma proprio per questo sarà necessario comprendere con la massima precisione quale tipo di documentazione
l’Amministrazione finanziaria sta richiedendo; si potrebbe
far verbalizzare per esempio, qualora l’Ufficio richieda documentazione bancaria, che al momento il contribuente è
impossibilitato a produrla ma che per quella documentazione
è stata presentata la richiesta di copia o di estratto all’istituto
di credito di riferimento, per evitare di divenire inadempienti a
causa dei ritardi accumulati da soggetti terzi.
10.
Conclusioni
Nei casi di diniego dovremo pertanto provvedere a impugnare
l’avviso a comparire facendo formalizzare il rifiuto anche
all’interno del verbale di mancata adesione, in modo da avere
a disposizione un atto da contestare e al quale applicare,
eventualmente, tutte le tutele cautelari del caso poiché, nel
momento in cui a un contribuente verrà notificato un avviso di
accertamento confezionato con le regole ordinarie, lo stesso,
a nostro sommesso avviso, avrà sostanzialmente già perduto.
A Vostro parere, sarebbe piacevole per un difensore, ma ancor
di più per il proprio assistito, trovarsi davanti a un giudice
tributario a disquisire di denari occultati in Liechtenstein,
dissertando su improbabili commi della norma e sulla loro
interpretazione? Noi siamo convinti che si sia già perduto
ancor prima di iniziare a discutere. Per questo motivo sarà
necessario verificare, prima che l’istanza venga presentata,
che “every stone has to be turned” [45] e che, di conseguenza, non
si possa incappare in qualche inconveniente che impedisca il
perfezionamento della collaborazione volontaria richiesta.
Riteniamo pertanto che il non aver individuato una corsia preferenziale di gestione delle crisi di collaborazione, prevedendo
che tutto rifluisca nell’ordinario tritarifiuti del procedimento e
del contenzioso tributario, rappresenti una delle carenze più
rilevanti di questo istituto giuridico così importante e attuale.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://giornalesm.com/wp-content/uploads/2015/07/Voluntar yDisclosure-3-Imc.jpg [03.08.2015]
http://www.infoinsubria.com/wp-content/uploads/2015/06/Voluntary.
jpg [03.08.2015]
http://www.forexinfo.it/IMG/arton23817.jpg [03.08.2015]
http://www.studiogiallo.eu/wp-content/uploads/2015/06/svizzerabanche.jpg [03.08.2015]
http://www.uniteis.com/dw/wp-content/uploads/2015/06/voluntarydisclosure.jpg [03.08.2015]
http://static.milanofinanza.it/upload/img/TMFI/201503201927058232/
img402234.jpg [03.08.2015]
http://w w w.notaiobonifrancesco.it/site_files/wp-content/uploads/2014/12/documenti700.jpg [03.08.2015]
http://giornalesm.com/wp-content/uploads/2014/07/Banche-Svizzerein-Italia.jpg [03.08.2015]
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
[1] Giano (latino: Ianus) è il Dio degli inizi, materiali e immateriali, ed è una delle divinità più antiche e
più importanti della religione romana, latina e italica. Solitamente è raffigurato con due volti, poiché
il Dio può guardare il futuro e il passato ma anche
perché, essendo il Dio della porta, può guardare sia
all’interno sia all’esterno. A causa di un errore d’interpretazione del cosiddetto fegato di Piacenza, si
è ritenuto che fosse stato venerato anche presso gli
Etruschi con il nome di Ani.
[2] Questa volta non più rinnovabile.
[3] È stato introdotto con l’articolo 3 della Legge (di
seguito L.) n. 186/2014, l’articolo 648-ter1 del Codice penale, cosiddetto “Autoriciclaggio”, oltre che una
modifica all’articolo 25-octies del Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 231/2001, che terrà adesso
in considerazione anche questo nuovo reato (entrata in vigore il 1. gennaio 2015). L’autoriciclaggio
consiste nell’attività di occultamento dei proventi
derivanti da crimini propri; si riscontra soprattutto a
seguito di particolari reati, come ad esempio: l’evasione fiscale, la corruzione e l’appropriazione di beni
sociali.
[4] Cavallini Stefano/Troyer Luca, Apocalittici o
integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino
ingombrante”, in: Diritto penale contemporaneo.
[5] Articoli da 2 a 7 D.Lgs. n. 74/2000. Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e
sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 L. n.
205/1999.
[6] È stato approvato dal Consiglio dei Ministri del
26 giugno 2015 il testo del D.Lgs. sulla revisione del
sistema sanzionatorio penale tributario. La bozza, ora
alle Camere per l’approvazione definitiva, contiene
la tanto attesa modifica dei reati tributari previsti dal
D.Lgs. n. 74/2000, così come era stato sancito nella
legge delega fiscale.
[7] Che si aggiungono allo sblocco delle posizioni di
San Marino e Lussemburgo.
[8] Sono validi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni
amministrative, i processi verbali di constatazione
della Guardia di Finanza e gli inviti a comparire di
cui il contribuente ne ha avuto conoscenza entro la
data di entrata in vigore del D.Lgs. ma a condizione
che questi atti di controllo con la pretesa impositiva
o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre
2015.
[9] Decreto legge (di seguito D.L.) n. 350 del 2001.
[10] Articolo 1 comma 2-bis D.L. n. 12/2002 (L. n.
73/2002) e articoli da 6 a 6-quinquies D.L. n. 282/2002
(L. n. 27/2003).
[11] L’articolo 13-bis D.L. n. 78/2009, convertito, con
integrazioni e modificazioni, dalla L. n. 102/2009,
successivamente corretto dal D.L. n. 103/2009.
[12] Oggi ci sono gli accordi dei 51 Paesi e dal 2018
con i dati 2017 ci sarà lo scambio di informazioni
automatico, oltre agli accordi bilaterali, ad esempio
quelli che hanno firmato la Svizzera, il Liechtenstein
e il Principato di Monaco sulla base dell’articolo 26
del Modello OCSE di Convenzione fiscale.
[13] Svizzera, Monte Carlo, Jersey, eccetera.
[14] Che, se provata, comporta conseguenze penali
gravi in capo al contribuente.
[15] In mancanza di versamenti di contante.
[16] Posseduta presso un intermediario finanziario
nazionale.
[17] Anche solo parzialmente.
[18] Il Consiglio dei ministri del 31 luglio 2015 ha
approvato in via definitiva il decreto legislativo
sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente.
[19] I tempi della prescrizione penale risultano
essere più lunghi rispetto a quelli di decadenza
dell’accertamento tributario.
[20] D.L. n. 167/1990. Rilevazione a fini fiscali di
taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli
e valori; D.L. convertito con modificazioni dalla L. n.
227/1990, norma che attualmente disciplina la collaborazione volontaria.
[21] Il contribuente può essere invitato dall’Agenzia delle Entrate ad avviare un contraddittorio su
un’ipotesi di pretesa fiscale e sui motivi che l’hanno
determinata. Se il contribuente accetta il contenuto dell’invito (ossia la pretesa tributaria contenuta
nello stesso), beneficia di un regime sanzionatorio
agevolato (le sanzioni sono ridotte a un sesto del
minimo previsto per legge). Nel caso in cui, invece,
il contribuente non intenda aderire al contenuto
dell’invito - rinunciando, in tal modo, al regime sanzionatorio agevolato - può recarsi presso l’Ufficio
dell’Agenzia delle Entrate nel luogo e nella data
stabiliti, per avviare il contraddittorio, e fornire elementi o dati che consentano di modificare in tutto o
in parte la pretesa dell’Amministrazione finanziaria.
La definizione dell’invito al contraddittorio si realizza con l’acquisizione dell’assenso del contribuente
e il pagamento delle somme dovute, entro il quindicesimo giorno antecedente la data fissata per la
comparizione. Per ulteriori informazioni consultare
la relativa scheda adempimento “Adesione all’invito
al contraddittorio”. Attenzione: la possibilità di aderire, con conseguente riduzione delle sanzioni, esiste
per gli inviti al contraddittorio in materia di imposte
sui redditi, di imposta sul valore aggiunto e di altre
imposte indirette, notificati entro il 31 dicembre
2015.
[22] Il primo momento di confronto tra Agenzia delle Entrate e contribuente si ha mediante la
notifica dell’invito a comparire. Tramite tale atto,
il contribuente viene invitato, appunto, a comparire per fornire dati e notizie rilevanti nonché per
esibire documenti relativamente alle spese sostenute nel corso dell’anno, o alle spese presunte dal
Decreto Ministeriale del 24 dicembre 2012, relative al mantenimento di beni nella sua disponibilità,
come autovetture, natanti e immobili. Ricevuto l’invito a comparire, il contribuente ha l’obbligo di
presentarsi alla data fissata per l’incontro e, se le
giustificazioni che egli adduce vengono ritenute persuasive, la pratica potrà subito essere archiviata.
Occorre evidenziare che, la mancata comparizione
del contribuente può comportare l’irrogazione di
una sanzione amministrativa da 258 a 2’065 euro. In
linea di principio, i documenti che non vengono prodotti a seguito di circostanziata e specifica richiesta
contenuta nell’invito non potranno più essere utilizzati in momenti procedimentali successivi (ciò non
succede se nell’invito è presente un generico invito
a produrre documenti idonei a giustificare la totalità
delle spese sostenute).
[23] La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la
sentenza n. 19667/2014 ha riconosciuto anche
nel nostro ordinamento la giusta rilevanza al “contraddittorio endoprocedimentale” affermando che “il
contraddittorio endoprocedimentale […] costituisce un
principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui
dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa” e costituisce condizione di
legittimità della pretesa tributaria.
[24] In una sorta di lascia o raddoppia perché nella normativa si lascia intendere che se non passa
l’istanza così com’è, si verrà chiamati a corrispondere
le sanzioni nella misura di un terzo anziché in quella
di un sesto.
[25] CGUE, 18 dicembre 2008, causa C-349/07,
in: GT-Riv. dir. trib., 2009, pagina 203 con commento di Marcheselli Alberto, Il diritto al
contraddittorio nel procedimento amministra-
tivo tributario è diritto fondamentale del diritto
comunitario. Il precedente di tale decisione si può
rinvenire nella sentenza Cipriani, 12 dicembre 2002,
causa C-395/00 in materia di accise relativa ad una
controversia fra Distillerie Fratelli Cipriani S.p.A. contro Ministero delle Finanze.
[26] Come riconosciuta dalla Corte di Cassazione, a
Sezioni Unite Civile, sentenza del 16 marzo 2009, n.
6315.
[27] Che tuttavia riteniamo possano essere superate
attraverso o disposizioni normative o sentenza delle
Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione o i
buoni uffici dell’Amministrazione finanziaria in fase
di contraddittorio.
[28] Per gli investimenti detenuti nei Paesi black list
con accordo “Svizzera, Liechtenstein, Principato di
Monaco”.
[29] Compreso il reato di autoriciclaggio.
[30] Glendi Cesare, La giurisdizione nel quadro evolutivo di nuovi assetti ordinamentali, in: Dir. Prat.
Trib., 2009, pagina 773; Nicotina Ludovico, L’ampliamento della giurisdizione tributaria ex articolo
2 D.Lgs. n. 546 del 1992: un’interpretazione costituzionalmente orientata, in: Dir. Prat. Trib., 2008,
pagina 151; Basilavecchia Massimo, Funzione
impositiva e forme di tutela, Torino 2009, pagina 29;
Tesauro Francesco, Manuale del processo tributario,
Torino 2009, pagina 82; Falsitta Gaspare, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova 2008,
pagina 546; Cantillo Michele, Aspetti critici del processo tributario nella recente giurisprudenza della
Corte di Cassazione, in: Rass. trib., 2010, pagina 13;
Russo Pasquale, L’ampliamento della giurisdizione
tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo, in: Rass.
trib., 2009, pagina 1585; Perrone Leonardo, I limiti
della giurisdizione tributaria, in: Rass. trib., 2006,
pagina 707; Carinci Andrea, Dall’interpretazione
estensiva dell’elenco degli atti impugnabili al suo
abbandono: le glissment progressif della Cassazione
verso l’accertamento negativo nel processo tributario, (commento a Cass., 15/06/2010, n. 14373, sez.
Tributaria; Cass., 06/07/2010, n. 15946, sez. Tributaria), in: Riv. dir. trib., 2010, pagine 10 e 617; Tsbet
Giuliano, Verso la fine del principio di tipicità degli
atti impugnabili?, in: GT-Riv. giur. trib., 2008, pagina
507, Allorio, “sugli istituti giuridici che si atteggiano
spesso in modo non conforme a quelli che sono gli schemi
precostituiti e [...] alla loro storia ideale”, sviluppato in
un famoso saggio del 1946, dopo la pubblicazione
della fondamentale opera di costui sul diritto processuale tributario.
[31] Il processo tributario, non è annoverabile
tra quelli di “impugnazione-annullamento” ma tra
i processi di “impugnazione-merito” in quanto non
è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto
impugnato ma alla pronunzia di una decisione di
merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal
contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio.
[32] L’illegittimità derivata è un istituto di matrice dottrinaria che attiene al rapporto tra atti
amministrativi che presentano un legame di presupposizione. Accade spesso, infatti, che nel contesto di
una serie procedimentale lunga e complessa, l’Amministrazione addivenga al provvedimento finale
come estrinsecazione ultima di una serie di tappe
(obbligate o meno), delimitate dalla emanazione
di atti autonomi, ma connessi con quelli successivi
e con quelli precedenti. D’altronde, il procedimento amministrativo viene proprio definito come il
complesso di atti giuridici collegati secondo un meccanismo stabilito dalla legge e volti ad uno stesso
fine. In tale ambito può quindi facilmente svilupparsi la relazione logico-giuridica che ci interessa: un
provvedimento (presupponente) può quindi derivare parte, o la totalità, dei suoi presupposti da uno
o più atti amministrativi pregressi, ciò sia in chiave
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Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
cronologica che anche soltanto logica.
[33] L’espressione indica la valutazione che il giudice
deve compiere, dopo aver accertato l’esistenza del
diritto vantato, per quantificare in denaro la prestazione dovuta dalla parte soccombente.
[34] Il diritto al silenzio si applica agli interrogatori della polizia giudiziaria e nei tribunali.
L’imputato dovrebbe avere il diritto di astenersi dal
rendere testimonianza e, di conseguenza, di non
divulgare il contenuto del suo teorema difensivo
prima del processo. Le leggi degli Stati membri riconoscono il diritto al silenzio nel corso delle indagini
preliminari durante gli interrogatori della polizia giudiziaria o del pubblico ministero. Tuttavia, il modo in
cui l’imputato viene informato di tale diritto è diverso
nei singoli Stati e per garantirne il rispetto occorre che l’imputato ne abbia conoscenza. Secondo il
citato Studio sulle prove, in molti Stati membri esiste l’obbligo di informare l’imputato del suo diritto
al silenzio. Tale obbligo è previsto dalla Costituzione, dalla legge o dalla giurisprudenza. Alcuni Stati
membri hanno dichiarato che la prova ottenuta in
violazione di tale obbligo potrebbe essere considerata inammissibile, mentre altri sostengono che la
mancata comunicazione all’accusato dell’esistenza
di questo diritto potrebbe integrare gli estremi di
un reato o costituire un motivo di appello contro la
sentenza di condanna. Questo diritto non è assoluto. Qualora un giudice tragga conclusioni sfavorevoli
dal silenzio dell’imputato, esistono fattori che determinano se sono stati violati il diritto a un giusto
processo. Le conclusioni devono essere dedotte solo
dopo che l’accusa abbia provato i fatti prima facie. Il
giudice ha allora facoltà discrezionale di trarre le
conclusioni dai fatti come rappresentati in udienza.
Solo le deduzioni basate sul “buon senso” (common
sense) sono ammissibili e nella sentenza devono
essere esposte le ragioni su cui si fonda la decisione.
La prova contro l’imputato deve essere una prova schiacciante; in tal caso può essere utilizzata la
prova ottenuta mediante pressione indiretta. Il riferimento sul punto resta la causa Murray contro Regno
Unito, nella quale la Corte EDU ha dichiarato che
se i fatti fossero provati prima facie, e se l’onere della prova continuasse a restare a carico dell’accusa,
dal silenzio dell’imputato si potrebbero dedurre
conclusioni sfavorevoli. Obbligare l’imputato a
rendere testimonianza non è stato ritenuto in contrasto con la CEDU, mentre vi sarebbe violazione
della CEDU se una condanna fosse basata solo o
principalmente sul rifiuto di testimoniare. Ricavare conclusioni sfavorevoli dal silenzio dell’imputato
potrebbe essere considerata una violazione del
principio della presunzione di non colpevolezza a
seconda dell’importanza che i giudici nazionali attribuiscono a questo silenzio in sede di valutazione
degli elementi probatori e del grado di coartazione
esercitato. Le prove dell’accusa devono essere sufficientemente solide per esigere una replica. Il giudice
nazionale non può ritenere l’imputato colpevole solo
perché questi si è avvalso del diritto al silenzio. Solo
quando le prove contro l’imputato “richiedono” una
spiegazione che egli potrebbe fornire, dall’eventuale rifiuto di spiegazioni potrebbe dedursi, secondo
un ragionamento fondato sul buon senso, che non
esiste alcuna spiegazione possibile e che l’imputato
è colpevole. Al contrario, se gli argomenti dell’accusa hanno una forza probatoria così debole che non
richiedono una replica, avvalersi del diritto al silenzio non consente di concludere che l’imputato è
colpevole. La Corte EDU ha precisato che le conclusioni ragionevoli dedotte dal comportamento
dell’imputato non devono avere l’effetto di spostare
l’onere della prova dall’accusa alla difesa, violando
in tal modo il principio di presunzione di non colpe-
volezza. La Corte EDU non ha stabilito se tale diritto
si applichi anche alle persone giuridiche. La CGUE ha
dichiarato che le persone giuridiche non hanno un
diritto assoluto al silenzio; esse devono rispondere
alle domande relative ai fatti, ma non possono essere
obbligate ad ammettere l’esistenza di una infrazione.
[35] Cass. n. 25242 del 2006 nella quale viene ribadita l’irrilevanza del silenzio della parte a fronte di
una domanda o un’eccezione tardiva: ne consegue
che la valutazione relativa alla novità della domanda
o dell’eccezione è integralmente rimessa al potere
del giudice; Cass. n. 19543 del 2005; Cass., a Sezioni Unite, 25 febbraio 2000, n. 45; Cass., 16 ottobre
2009, n. 21967; Cass., 26 marzo 2009, n. 7269; Cass.,
27 giugno 2011, n. 14027; Cass. n. 415/2013; Cass.,
26 maggio 2014, n. 11765; Cass., 11 aprile 2014, n.
8539; Cass., 17 settembre 2007, n. 34928.
[36] Reato di false esibizioni e false comunicazioni al
Fisco introdotto nel nostro ordinamento giuridico
con il D.L. n. 201/2011, articolo 11, convertito, con
modificazioni, dalla L. n. 214/2011.
[37] CGUE del 24 aprile 2012, causa C-571/2010,
Kamberaj, paragrafo 63: “[…] il rinvio operato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE alla CEDU non impone al
giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di
diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la
norma di diritto nazionale in contrasto con essa”.
[38] L. n. 186/2014 e Circolare n. 10/E del 2015.
[39] Cass. n. 20032/2001: “il principio del «nemo
tenetur» non è costituzionalizzato e, comunque, la circostanza (della configurabilità del reato) è recessiva
rispetto all’obbligo di concorso alle spese pubbliche,
secondo la propria capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost.”; Cass. n. 179975/2013; Cass. n.
415/2013; Cass., 26 maggio 2014, n. 11765; Cass.,
11 aprile 2014, n. 8539; Cass., 17 settembre 2007, n.
34928.
[40] Diritto al rispetto della vita privata e familiare.
[41] La Corte di Strasburgo ha imposto l’alt alle
perquisizioni nelle redazioni a tutela delle fonti
dei giornalisti. “Gli Stati contraenti sono vincolati ad
uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Cedu” (sentenze n.
348-349/2007).
[42] Sentenza n. 39/2008 della Corte Costituzionale.
[43] Che tuttavia non risultano essere perfettamente definite.
[44] Al contribuente, in forza dell’articolo 6, comma
4, L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente) non
possono essere richiesti documenti o informazioni
già necessariamente in possesso dell’Amministrazione finanziaria, la quale, anche ai sensi dell’articolo
18, n. 2, L. n. 241/1990 è tenuta d’ufficio ad acquisire
o produrre il documento in questione o copia di esso.
[45] Ogni sasso deve essere girato.
Diritto tributario italiano
Voluntary disclosure e stabile
organizzazione in Italia
Giovanni Parisi
Dottore Commercialista in Milano
Consulente fiscale in Ginevra e Lugano
Cultore in scienze aziendali,
economiche e metodi quantitativi
presso l’Università degli Studi di Bergamo
La voluntary disclosure “riguarda” solo gli italiani che
hanno conti non dichiarati in Svizzera? Falso!
La voluntary disclosure è percepita nel territorio ticinese come
una problematica relativa agli italiani che in passato hanno
versato nelle “casse” delle banche elvetiche capitali non dichiarati in Italia “sfruttando” la doppia opportunità del segreto
bancario e di un confine di Stato.
È quindi facilmente percepita come un istituto normativo
“estero” che, sulla base del protocollo di intesa sottoscritto il
23 febbraio 2015 dalla Svizzera con l’Italia al fine di adeguare
la Convenzione contro le doppie imposizioni del 1976 agli
attuali standards dell’OCSE in materia di assistenza fiscale,
si è “introdotta” nel territorio elvetico portando estrema
“agitazione” (e novità, non poche) nel sistema bancario ma
sostanzialmente, per la pubblica opinione, concerne solo gli
italiani “evasori”.
Non è così.
Un contesto mondiale di sempre maggiore collaborazione
fiscale tra gli Stati ha negli ultimi anni mutato lo scenario
degli accordi fiscali contro le doppie imposizioni sempre più
spesso oggi affiancati a protocolli di intesa volti più al recupero di base imponibile ed omessa imposta ed allo scambio
di informazioni incrociate, che alla mera determinazione di
un'appartenenza fiscale di un contribuente che operi su differenti mercati internazionali.
Il nuovo scenario del monitoraggio fiscale adottato in Italia
per i propri contribuenti quale strumento propedeutico per le
amministrazioni finanziarie ad attuare una nuova e differente
modalità di tassazione dei redditi della persona fisica sempre
più volta ad assumere la completa conoscenza della “sostanza”
e della capacità di spesa ovunque detenuta ed ovunque effettuata nel mondo, pongono un nuovo scenario di consulenza
fiscale che coinvolge il contribuente che deve essere necessariamente valutato e soppesato in ambito globale e non solo
locale, rischiando di generare gravi inadempimenti dichiarativi
in capo al contribuente.
Il controllo pregnante, al di fuori dei confini nazionali, sul
monitoraggio fiscale ha imposto anche agli istituti di credito
elvetici l’avvio di nuove forme di controllo, senza precedenti.
Oggi più che in passato la valutazione fiscale della persona
fisica e della persona giuridica non può essere effettuata
solo in ambito locale ma deve essere sempre più allargata
alla valutazione preliminare che ogni mercato richiede per
l’instaurazione di una nuova attività di impresa; sempre più
spesso l’amministrazione fiscale di un nuovo mercato addita
ad un'impresa estera la sussistenza di una stabile organizzazione per appropriarsi delle imposte derivanti dai ricavi
“locali” e, di contro, l’amministrazione fiscale di originaria
appartenenza richiede un consolidato fiscale per attuare una
tassazione globale dei redditi ovunque essi allocati.
Risultato? Il medesimo contribuente si trova in un potenziale
contenzioso fiscale tra due differenti enti impositori litigiosi
tra loro al fine di determinare l’appartenenza fiscale del contribuente (la cosiddetta presunzione di estero vestizione della
persona giuridica ma anche della persona fisica).
Eclatanti casi quali Amazon ed i passati Google, E-Bay e
Bikkembergher dimostrano chiaramente come nessuno sia
escluso dalla additazione di appartenenza fiscale per il tramite
di una stabile organizzazione occulta quando esercita una
stabile (o presunta tale) attività imprenditoriale in Italia.
Lo scenario della consulenza fiscale internazionale della
recente normativa della voluntary disclosure che ha interessato i
contribuenti italiani (e non solo) dall’anno 2015 si pone in questo ambito di massima apertura mentale e vede la necessità
di comprendere le opportunità di tale strumento normativo
non solo per chi in passato ha consapevolmente omesso alla
propria amministrazione fiscale legittime basi imponibili, ma
anche verso chi oggi comprende che per passati errori di interpretazione di differenti normative estere, anche in contrasto
tra di loro, ha ora la consapevolezza di “non essere in regola”.
La Legge n. 186/2014 trae diretto spunto e derivazione
proprio dal mutato scenario internazionale e si propone
ai contribuenti italiani ed anche agli operatori esteri che
19
20
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
sul suolo italiano svolgono stabilmente attività di impresa
senza avere alcun supporto giuridico territoriale di stabile
riferimento, quale ultima possibilità di regolarizzazione di
pregresse omissioni erariali che oggi, non come in passato,
costituiscono ben differente presupposto di reato penale
(quale anche l’autoriciclaggio introdotto con decorrenza a
partire dall’anno 2015).
Viene quindi da sè l’intuizione che sussiste una possibilità
di utilizzo della normativa relativa alla voluntary disclosure
“domestica” anche per sanare irregolarità formali ed anticipare il rischio di una verifica fiscale per imprese svizzere che
stabilmente operano sul mercato italiano in assenza di una
stabile organizzazione dichiarata con la consapevolezza e la
conoscenza degli ampi strumenti di accertamento preventivo
che l’Agenzia delle Entrate ha già nei propri data-base e che
ogni anno rinnova proprio per il tramite degli adempimenti
fiscali a cui sono chiamati i contribuenti italiani nell’ambito
dello svolgimento dell’attività di impresa, quali sono la comunicazione black-list (in cui la Svizzera è ancora inclusa) e la
comunicazione degli elenchi dei clienti e fornitori.
Oggi quell’impossibile è realtà anche in Svizzera. Impensabile
non prenderne atto. Alla domanda: “la voluntary disclosure
«riguarda» solo gli italiani che hanno conti non dichiarati in Svizzera?”
la corretta risposta è: “falso!”.
Ma cosa è una stabile organizzazione? La definizione di stabile
organizzazione pur essendo da tempo utilizzata è di recente
introduzione normativa; nasce dalla necessità di individuare
le modalità operative per la tassazione delle operazioni d’impresa poste in essere con gli Stati esteri. Semplicisticamente
il concetto di stabile organizzazione è quel presupposto
necessario per individuare l’imposizione fiscale di un’attività
economica svolta da un soggetto in un Paese diverso da quello
di residenza o di sede dell’azienda stessa.
È quindi possibile autodenunciare al Fisco italiano redditi non
dichiarati oppure il mancato rispetto di adempimenti dichiarativi non riferibili alla disciplina del monitoraggio fiscale (prima
che venga lo stesso a “bussare” alla società madre in territorio
elvetico).
La voluntary disclosure può quindi essere definita quale procedura di regolarizzazione come omnicomprensiva, poiché
comprende le violazioni degli obblighi di dichiarazione ai fini
delle imposte sui redditi, delle imposte sostitutive, dell’Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), dell’Imposta sul
valore aggiunto (di seguito IVA), nonché le violazioni relative
alla dichiarazione dei sostituti d'imposta, commesse fino al 30
settembre 2014.
L’individuazione geografica della stabile organizzazione
non è affatto cosa di poco conto in quanto da essa dipende
l’indicazione dello Stato che ha diritto ad esercitare la “potestà impositiva” (ovvero lo Stato che ha il diritto di applicare
le imposte) a carico del soggetto “non residente” che in uno
Stato ha comunque posto in essere operazioni commerciali,
mediante una struttura dipendente ed ivi localizzata in via
permanente.
La procedura deve riguardare tutte le violazioni tributarie
relative ai periodi d'imposta ancora accertabili al momento di
presentazione della domanda, per cui non è ammissibile una
regolarizzazione parziale limitata ad alcune tipologie di irregolarità o solo per alcune annualità.
Verso l’Italia le fonti per una corretta definizione della stabile
organizzazione sono: (i) l’articolo 162 del Testo Unico delle
Imposte sui Redditi (TUIR); (ii) gli articoli 7-ter e seguenti del
Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 633/1972;
(iii) il Regolamento dell’Unione europea (UE) ai fini IVA n.
282/2011, entrato in vigore il 1. luglio 2011; (iv) l’articolo 5 del
Modello OCSE di Convenzione fiscale.
Il contribuente che intende aderire alla voluntary disclosure
dovrà quindi far emergere tutte le irregolarità commesse fino
al 30 settembre 2014.
Dopo la caduta delle barriere commerciali è sempre più facile
presagire anche la caduta delle barriere fiscali e lo scambio
delle informazioni in ambito internazionale sarà sempre più
velocizzato e penetrante.
L’accordo fiscale che andava sottoscritto entro il primo giorno
del mese di marzo di quest’anno per consentire una diminuzione dei termini di accertamento ai fini della voluntary disclosure
è stato firmato, oltre che dalla Svizzera, anche dal Principato di
Monte Carlo; oggi leggiamo (e abbiamo chiaramente letto) di
accordi di intesa con l’Italia che solo tre anni fa se accennati
venivano prontamente “liquidati” con la parola “impossibile” dai
rispettivi sistemi bancari e finanziari.
La finalità di una corretta definizione del termine “stabile
organizzazione”, è quella di determinare il diritto di uno Stato
contraente a tassare gli utili conseguiti da un’impresa residente in un altro Stato contraente; infatti lo Stato può tassare
i redditi di impresa prodotti da un soggetto non residente, in
quanto sia possibile localizzarne l’ubicazione della fonte (e,
pertanto l’attività produttiva) nel suo territorio, attraverso
la configurazione di una stabile organizzazione (che dà il
materiale collegamento del non residente con il territorio
dello Stato) dotata della forza di attrarre i redditi qui prodotti
attraverso una struttura stabile nel tempo che fa assumere
all’imprenditore estero, nell’ordinamento giuridico italiano,
una presenza fiscale qualificata, sostanziale e permanente in
grado di collocarlo operativamente su un piano di ipotetica
parità con le imprese residenti.
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
La nozione di stabile organizzazione comprende ciò che
comune gergo imprenditoriale trova individuazione con:
◆◆ una sede di direzione, i.e. la disponibilità di qualsiasi spazio
(immobile, pozzi di perforazione, macchinari, computers,
navi, autocarri), non è necessaria la presenza di personale;
◆◆ una succursale (cosiddetta “branch”), i.e. il luogo dove si
dirige parte o la totalità dell’attività di un’impresa, svolta
anche mediante strutture con “dimensioni minime”; ed anche
◆◆ un ufficio, i.e. una struttura non indipendente giuridicamente, ma che svolge attività organizzativa distinta da
quella della casa madre, a volte anche in modo indipendente da un punto di vista economico;
◆◆ un’officina o un laboratorio;
◆◆ una miniera, una cava o un altro luogo di estrazione di
risorse naturali;
◆◆ un cantiere di costruzione o di montaggio la cui durata
superi i tre mesi;
◆◆ ma anche un macchinario mobile ma stabilmente locato in
Italia.
Sono degli esempi di stabile organizzazione:
◆◆ un dipendente di una società estera che per un lungo
periodo di tempo è abilitato ad usare un ufficio nella sede di
un’altra società ubicata in Italia (per esempio una controllata appena acquisita) al fine di assicurarsi che quest’ultima
società ottemperi ai propri obblighi contrattuali assunti
con la società estera. In questo caso, l’impiegato sta svolgendo un’attività per conto della società estera e l’ufficio
che è a sua disposizione presso la sede della società italiana
costituisce una stabile organizzazione del suo datore di
lavoro, posto che l’ufficio sia a sua disposizione per un lasso
di tempo sufficientemente lungo per costituire una “sede
fissa d’affari”;
◆◆ un pittore per due anni si trova per tre giorni alla settimana
presso gli uffici del suo principale cliente italiano. In questo
caso la presenza del pittore in quel luogo dove egli sta svolgendo la sua più importante funzione lavorativa (dipingere)
costituisce una stabile organizzazione del pittore stesso.
Sono esempi di non stabile organizzazione:
◆◆ un addetto al reparto commerciale di un’impresa estera
visita regolarmente il principale cliente italiano per raccogliere gli ordini e incontra a tal fine nei suoi uffici il direttore
acquisti. In questo caso, gli uffici del cliente italiano non
sono a disposizione dell’impresa estera per cui l'addetto
al reparto commerciale sta lavorando e, comunque, non
costituiscono una sede fissa d’affari attraverso cui quell’impresa estera svolge la propria attività in Italia;
◆◆ una società di trasporti estera utilizza come luogo di
carico un magazzino del cliente italiano ogni giorno per
un determinato numero di anni allo scopo di consegnare
i beni acquistati dal cliente medesimo. In questo caso la
presenza della società di trasporti al magazzino di stoccaggio sarebbe così limitata che quell’impresa estera non
potrebbe considerare quel posto come a sua disposizione
così da costituire una stabile organizzazione dell’impresa.
Infine, si è in presenza di una stabile organizzazione occulta
quando la stessa sia improntata al solo fine elusivo riconducibile alla stessa stabile organizzazione, ma non è sempre detto
che le omissioni in ambito di fiscalità internazionale derivino
da comportamenti elusivi ma anche da omissioni e mancate
valutazioni, anzi spesso una valutazione effettuata in ambito
di start-up può poi ben presentare difetti con il successivo sviluppo del business e trovare quindi legittima additazione dalle
competenti autorità fiscali.
Concludendo, appare chiaro che la stabile organizzazione
è certamente l’elemento di risultanza di un'approfondita ed
accurata preventiva pianificazione societaria e fiscale per
l’implementazione del business aziendale in un nuovo mercato
(in questo caso nel mercato italiano, ancor più che europeo);
spesso, invece, nella realtà delle aziende di piccole e medie
dimensioni l’internazionalizzazione, più che del preventivo
parere di un consulente, è frutto del “tentativo imprenditoriale”
di approccio al mercato per la “misurazione” (a posteriori non ad
anteriori) della fattibilità di sviluppo nel nuovo mercato.
Sempre più spesso, nell’ambito della risoluzione professionale
di controversie fiscali, la ratio dell’omissione di implementazione di una stabile organizzazione non deriva da una volontà
omissiva dell’imprenditore ma dal mancato adeguamento
formale di un'idea imprenditoriale che poi (magari) ha trovato
lo sviluppo nel mercato consentendone la permanenza ma
non ha trovato successivo adeguamento formale (anche perché intervenire “a posteriori” non sempre è agevole in quanto il
business è “partito”, i contratti sono siglati e gli impegni formalizzati; intervenire è spesso quindi un problema ben percepito
dall’imprenditore).
La voluntary disclosure si propone quale strumento preventivo per la consapevole regolarizzazione di posizioni fiscali,
che allo stato attuale presentano tutte le caratteristiche di
consapevole omissione in materia di stabile organizzazione,
consentendo la regolarizzazione “autoindotta” e non subita e,
di fatto, ponendo l’Amministrazione finanziaria alla disamina
di dati e consultivi appositamente sviluppati variando anche
(e soprattutto) tempi ed i modi del potenziale accertamento
fiscale che si rischierebbe di subire (e senza trascurare anche i
benefici in termini di sanzioni che la voluntary disclosure, quale
istituto di regolarizzazione straordinario, propone).
Elenco delle fonti fotografiche:
h t t p :// w w w. a v v o c a t o b e r t a g g i a . c o m / b l o g / w p - c o n t e n t /u p l o ads/2015/07/Stabile-organizzazione-requisiti.jpg [03.08.2015]
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Diritto tributario internazionale e dell’UE
Un primo commento alla LASSI
Curzio Toffoli
[email protected]
Avvocato, Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law
Studio legale e notarile Toffoli & Sala, Chiasso
La Svizzera intende estendere unilateralmente lo standard OCSE allo scambio di informazioni su domanda in
materia fiscale a tutte le convenzioni contro le doppie
imposizioni in vigore attraverso una nuova legge: la
LASSI
A.
Presentazione
1.
Nel quadro della strategia volta ad attuare in modo completo
le Raccomandazioni del Global Forum, il 19 febbraio 2014 il
Consiglio federale ha deciso di estendere unilateralmente lo
scambio di informazioni su domanda conforme allo standard
OCSE a tutti gli Stati e territori con i quali è in vigore una
convenzione per evitare le doppie imposizioni sul reddito e
sulla sostanza (di seguito CDI). Tra il 22 ottobre 2014 e il 5
febbraio 2015 si è dunque svolta la procedura di consultazione
per una Legge federale concernente l’applicazione unilaterale
dello standard OCSE sullo scambio di informazioni (di seguito
LASSI)[1]. Si tratta di uno strumento legislativo di portata
transitoria, il cui scopo è garantire a tutti gli Stati che sono già
partner della Svizzera, uno scambio di informazioni secondo
lo standard completo OCSE, anche se la rispettiva CDI ancora
non lo prevede.
2.
Occorre ricordare che in occasione degli esami (peer reviews)
di fase 1 del mese di giugno 2011, il Global Forum è giunto alla
conclusione che le condizioni quadro legali e regolamentari
in Svizzera dovevano essere ancora migliorate ed ha conseguentemente emesso alcune raccomandazioni, una delle quali
indicava proprio la necessità di ampliare il network di accordi
sullo scambio di informazioni in materia fiscale conformi allo
standard[2].
3.
In considerazione delle misure nel frattempo approntate[3] ,
nel mese di giugno del 2014 la Svizzera ha chiesto un rapporto
supplementare che valutasse i progressi compiuti dal mese di
giugno del 2011. Dopo discussione nel gruppo di valutazione tra
Paesi, tenutasi nel mese di febbraio di quest’anno, il 13 febbraio
2015 il plenum del Global Forum ha approvato il rapporto che
ammette la Svizzera alla seconda fase della valutazione (fase
che dovrebbe iniziare nell’autunno prossimo). La volontà del
Consiglio federale di promulgare la LASSI è stato un fattore
considerato positivamente nel rapporto, e che ha certamente
contribuito ad ottenere la promozione nelle peer reviews[4].
4.
Con il progetto LASSI, si intendono stabilire le condizioni alle
quali è possibile accordare l’assistenza amministrativa secondo
lo standard dell’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione
fiscale (di seguito M-OCSE) a quegli Stati o territori che hanno
concluso con la Svizzera una CDI che (ancora) non adempie
pienamente tale standard.
5.
La LASSI disciplina le domande di assistenza amministrativa
provenienti da Stati o territori che attualmente non dispongono
di uno strumento giuridico che consenta lo scambio di informazioni su domanda con la Svizzera conformemente allo standard
OCSE. La LASSI ha quindi carattere residuale, trovando applicazione unicamente se lo Stato o territorio interessato non può
presentare la propria domanda di assistenza amministrativa in
base ad altro strumento giuridico. La LAAF resta applicabile, in
assenza di divergenti disposizioni della LASSI.
6.
Conformemente allo standard dell’OCSE, agli Stati o territori
interessati è accordato lo scambio di informazioni verosimilmente rilevanti per l’applicazione della relativa CDI oppure per
l’applicazione o l’esecuzione della loro legislazione domestica
relativamente alle imposte in questione. Lo Stato o territorio
richiedente dovrà confermare per iscritto:
◆◆ che garantisce reciprocità,
◆◆ che garantisce la confidenzialità delle informazioni ricevute
(protezione dei dati e principio di specialità).
7.
L’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito
AFC) darà esecuzione alla LASSI. A tale scopo, l’AFC utilizzerà
le possibilità che ha a disposizione per ottenere le informazioni
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
richieste, anche qualora queste informazioni non siano utili a fini
fiscali interni. Sono applicabili le disposizioni della LAAF relative
all’ottenimento di informazioni. La LASSI autorizza inoltre l’AFC
a presentare domande di assistenza amministrativa agli Stati e
territori interessati e disciplina l’impiego delle informazioni così
ottenute.
8.
Secondo il Consiglio federale, la LASSI potrebbe entrare in vigore
già nel 2016 per essere abrogata non appena esisterà, per tutti
gli Stati e territori interessati, un accordo (bilaterale o multilaterale) che preveda uno scambio di informazioni su domanda
conforme allo standard.
B.
Breve commento alle singole disposizioni del progetto di
legge[5]
Legge federale concernente l’applicazione unilaterale dello
standard OCSE sullo scambio di informazioni (LASSI)
del ...
L’Assemblea federale della Confederazione Svizzera,
visto l’articolo 173 capoverso 2 della Costituzione federale (Cost.);
visto il messaggio del Consiglio federale del ...,
0.3.
Di fatto, le misure unilaterali non offrono la stessa certezza
del diritto e stabilità di una convenzione bilaterale o multilaterale poiché possono essere modificate o ritirate in qualsiasi
momento dallo Stato che le ha introdotte.
0.4.
In base all’ordinamento giuridico svizzero e alla prassi
vigente, una norma può essere introdotta se la sua portata va oltre quella prevista nell’assistenza amministrativa
di una CDI e se prevede l’applicazione unilaterale dello
scambio di informazioni per adeguare la rete di CDI allo
standard OCSE.
0.5.
La LASSI si basa in ampia misura, sia a livello formale che a
livello materiale, sull’articolo 26 M-OCSE e sulla politica
svizzera in materia fiscale. Per quanto concerne lo scambio di
informazioni su domanda secondo lo standard internazionale,
la LASSI rappresenta dunque uno strumento equivalente ad
una CDI, ad un TIEA o, ancora, alla Convenzione multilaterale
dell’OCSE e del Consiglio d’Europa sulla reciproca assistenza
amministrativa in materia fiscale (di seguito Convenzione
multilaterale).
decreta:
0.1.
La LASSI si basa sull’articolo 173 capoverso 2 della Costituzione
federale della Confederazione Svizzera (di seguito Cost.),
secondo il quale è l’Assemblea federale che tratta le questioni
rientranti nella competenza della Confederazione che non
siano attribuite ad altre autorità. La regolamentazione interna
dell’esecuzione dell’assistenza amministrativa internazionale
in materia fiscale non rientra nella competenza legislativa dei
Cantoni o di altra autorità federale, di modo che appare giustificato fondare la competenza a promulgare la LASSI su tale base
costituzionale.
0.2.
In generale, l’ordinamento giuridico svizzero garantisce la
precedenza del diritto internazionale rispetto al diritto interno
(articolo 5 capoverso 4 Cost.). Il diritto internazionale riconosce
che uno Stato possa contrarre obblighi nei confronti di uno
Stato terzo con un atto normativo unilaterale. Su questa base il
Global Forum accetta misure unilaterali quali soluzioni temporanee per accelerare l’attuazione dello standard, a condizione che
siano rispettati alcuni principi generali, tra i quali figurano:
◆◆ la definizione di criteri chiari e oggettivi per determinare gli
Stati ai quali è possibile applicare la misura unilaterale,
◆◆ l’informazione degli Stati che beneficiano della misura, e
◆◆ la disponibilità a concludere un accordo bilaterale (giacché
queste misure sono considerate una fase intermedia verso
una relazione concretizzata in un accordo).
Belgio, Singapore e San Marino hanno già fatto uso di tale
facoltà.
0.6.
La LASSI disciplina unicamente lo scambio di informazioni su
domanda. Essa non prevede alcuno scambio di informazioni
spontaneo o automatico, per i quali sono necessari altri
strumenti giuridici (che necessitano di essere sottoposti per
approvazione all’Assemblea federale). Occorre ricordare che
lo scambio di informazioni su domanda e spontaneo, a differenza dello scambio automatico di informazioni, raggruppa
tutte le informazioni verosimilmente rilevanti, e non solo
quelle relative ai conti finanziari.
0.7.
CDI e TIEAs, LASSI e Convenzione multilaterale costituiscono
un insieme di strumenti complementari per scambiare informazioni. Se la LASSI e la Convenzione multilaterale fossero
oggi in vigore, la Svizzera potrebbe scambiare informazioni
fiscali su domanda in modo conforme allo standard con 127
Stati e territori (stato al 2 dicembre 2014).
23
24
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Articolo 1 – Campo d’applicazione
La presente legge disciplina le domande di assistenza amministrativa provenienti dagli Stati e territori:
1
a) che hanno concluso una convenzione per evitare le doppie imposizioni in cui le disposizioni relative allo scambio di informazioni non
corrispondono a quelle dell’articolo 26 del Modello di convenzione
dell’OCSE per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte
sul reddito e sul patrimonio nella sua versione del 15 luglio 2014
(scambio di informazioni conforme allo standard OCSE), e
b) con cui la Svizzera non ha convenuto lo scambio di informazioni
conforme allo standard OCSE in alcun altro accordo internazionale.
Essa si applica inoltre alle domande svizzere di assistenza amministrativa presentate a uno Stato o territorio secondo il capoverso 1.
2
La presente legge è sussidiaria agli altri accordi internazionali che
prevedono uno scambio di informazioni in materia fiscale.
3
1.1.
La LASSI delimita il suo campo oggettivo di applicazione con
due condizioni, che devono ricorrere cumulativamente:
◆◆ una condizione inclusiva (capoverso 1 lettera a), per cui
essa si applica alle domande di assistenza amministrativa
di Stati e territori con cui la Svizzera dispone di una CDI
in vigore, le cui disposizioni relative allo scambio di informazioni non corrispondono allo standard internazionale
riconosciuto;
◆◆ una condizione esclusiva (capoverso 1 lettera b), che
dichiara la LASSI non applicabile agli Stati o territori che,
sebbene soddisfino le suddette condizioni, possono scambiare con la Svizzera informazioni su domanda secondo lo
standard sulla base di un altro accordo internazionale. Tra
questi “altri accordi” figura (ad esempio) la Convenzione
multilaterale. Qualora venisse approvata dall’Assemblea
federale ed entrasse in vigore per la Svizzera, quest’ultima diverrà applicabile per i seguenti Stati e territori:
Albania, Anguilla, Belize, Isole Vergini britanniche, Cile,
Georgia, Indonesia, Italia, Croazia, Lettonia, Liechtenstein,
Lituania, Marocco, Moldavia, Montserrat, Nuova Zelanda,
Sudafrica e Tunisia. Non tocca invece l’applicabilità della
LASSI l’eventuale (futura) applicabilità dell’Accordo
multilaterale tra autorità competenti sullo scambio automatico di informazioni (cosiddetto “Multilateral Competent
Authority Agreement”, MCAA), basato sull’articolo 6 della
Convenzione multilaterale.
1.2.
Una prima categoria degli Stati e territori inclusi nel capoverso 1
lettera a comprende: Egitto, Algeria, Antigua e Barbuda, Armenia,
Azerbaigian, Bangladesh, Barbados, Dominica, Ecuador, Costa
d’Avorio, Gambia, Grenada, Iran, Israele, Giamaica, Kirghizistan,
Kuwait, Macedonia, Malesia, Malawi, Mongolia, Montenegro,
Pakistan, Filippine, Zambia, Serbia, Sri Lanka, St. Kitts e Nevis,
St. Lucia, St. Vincent, Tagikistan, Tailandia, Trinidad e Tobago,
Venezuela, Vietnam e Bielorussia (tutti Stati o territori che non
hanno posto in vigore la Convenzione multilaterale, non l’hanno
firmata o non ne fanno parte).
1.3.
Una seconda categoria comprende gli Stati per i quali l’Assemblea federale ha approvato una CDI riveduta ma che non
è pienamente conforme allo standard. Il Global Forum ha infatti
ritenuto tali le prime CDI rivedute a seguito della decisione del
Consiglio federale del 13 marzo 2009 di riprendere lo standard
internazionale OCSE. L’Assemblea federale adottò allora (il 23
dicembre 2011 e il 16 marzo 2012) una serie di decreti federali
che autorizzavano il Dipartimento federale degli affari esteri a
ricercare una soluzione bilaterale per colmare la lacuna[6]. Tolti
gli Stati con i quali è stato possibile trovare tale soluzione bilaterale (Danimarca, Finlandia, Lussemburgo, Norvegia, Austria
e Regno Unito), restano quattro Stati (Francia, Qatar, Messico
e Stati Uniti d’America [di seguito USA]) ancora interessati
dalle misure unilaterali. Il 25 giugno 2014 è stato firmato un
Protocollo con la Francia in cui viene disciplinata la questione
dello scambio di informazioni. Alla sua entrata in vigore la CDI
tra la Svizzera e la Francia aderirà totalmente allo standard e
troverà applicazione al posto della LASSI. Per gli altri tre Stati,
invece, la disciplina LASSI resta applicabile fintanto che non si
giungerà ad una soluzione bilaterale.
1.4.
La terza categoria comprende 11 Stati con i quali è stata
parafata o firmata una CDI conforme allo standard, ma che
non è ancora entrata in vigore (Argentina, Australia, Belgio,
Cina, Estonia, Ghana, Islanda, Colombia, Ucraina, Ungheria e
Uzbekistan). Talune CDI sono già state approvate dall’Assemblea federale o le sono state sottoposte per approvazione. È
dunque verosimile che la maggior parte di queste CDI sarà in
vigore al momento dell’entrata in vigore della LASSI. In sintesi,
allo stato settembre 2014, il Consiglio federale indicava che
la misura unilaterale potrebbe trovare applicazione con riferimento a 69 Stati o territori.
1.5.
Per quanto riguarda lo specifico caso dell’Italia, occorre precisare che il 23 febbraio 2015 la consigliera federale Eveline
Widmer-Schlumpf e il ministro delle finanze italiano Pier Carlo
Padoan hanno firmato a Milano un Protocollo che modifica la
vigente CDI unitamente ad una roadmap per la prosecuzione
del dialogo sulle questioni finanziarie e fiscali. Al lato pratico,
la CDI tra Svizzera e Italia sarà completata da un Protocollo
che riprende lo standard dell’OCSE per lo scambio di informazioni su domanda. Una volta entrato in vigore il Protocollo,
la LASSI non sarà quindi applicabile a domande provenienti
dall’Italia[7]. Analogo discorso vale per il Principato del
Liechtenstein. Lo scorso 10 luglio, infatti, la citata consigliera
federale ha firmato a Vaduz una CDI con il Liechtenstein che
mira a evitare le doppie imposizioni in materia di imposte
sul reddito e sul patrimonio (in sostituzione della vigente
Convenzione del 22 giugno 1995). Il testo riprende le corrispondenti raccomandazioni dell’OCSE, in particolare per
quanto concerne lo scambio di informazioni[8].
1.6.
Gli Stati o territori che presentano una domanda di informazioni alla Svizzera devono precisare se la richiesta si fonda sulla
CDI o sulla LASSI. Dal canto suo l’AFC verifica, a seconda dello
strumento giuridico scelto dallo Stato o territorio interessato,
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
che le condizioni contenute nella CDI o nella LASSI siano soddisfatte. Non sarà possibile basare una domanda su entrambe
le basi legali. In caso di rifiuto di una domanda che ad esempio
si basa su una CDI, gli Stati o territori interessati possono tuttavia inoltrare una seconda domanda basandosi sulla LASSI. In
questo caso l’AFC verificherà se tutte le condizioni della LASSI
sono soddisfatte.
1.7.
Il capoverso 3 sancisce il carattere residuale della LASSI. Se le
informazioni richieste da uno Stato o territorio ai sensi del capoverso 1 possono essere scambiate sulla base di accordi esistenti
con la Svizzera, questo Stato o territorio deve presentare la sua
domanda di assistenza amministrativa sulla base di tali accordi.
posteriori) in merito alla domanda pendente e chi ha il diritto
di partecipare al procedimento. In presenza delle condizioni
necessarie, la trasmissione delle informazioni può avvenire nel
quadro della procedura semplificata oppure mediante notifica
di una decisione finale nell’ambito della procedura ordinaria.
La LAAF contiene, inoltre, le disposizioni particolari riguardanti
la procedura di ricorso (al Tribunale amministrativo federale e,
entro determinate condizioni, al Tribunale federale).
Articolo 3 – Domande di assistenza amministrativa estere
Lo scambio di informazioni è accordato su domanda agli Stati e
territori secondo l’articolo 1 capoverso 1, se tali informazioni sono
verosimilmente rilevanti per:
1
a) l’esecuzione di una convenzione per evitare le doppie imposizioni
conclusa con la Svizzera, o
b) l’applicazione o l’esecuzione della legislazione interna degli Stati e
territori relativo alle imposte:
1. riscosse per conto di Stati o territori, di loro suddivisioni politiche o di loro enti locali, e
2. che rientrano nelle disposizioni di una convenzione per evitare
le doppie imposizioni conclusa con la Svizzera o previste nelle
disposizioni relative allo scambio di informazioni di detta
convenzione, se il campo di applicazione di queste ultime è più
esteso.
Lo scambio di informazioni può anche riguardare persone che non
risiedono o non hanno la cittadinanza dello Stato o territorio richiedente o della Svizzera.
2
Articolo 2 – Diritto applicabile
Sempre che la presente legge non disponga altrimenti, la legge del
28 settembre 2013 sull’assistenza amministrativa fiscale (LAAF)
è applicabile per analogia; al riguardo il termine “convenzione” che
figura negli articoli 6 capoversi 1 e 2, 7 lettera b, 8 capoverso 2, 20
capoversi 2 e 3 nonché 22 capoversi 2 e 5 indica la presente legge.
2.1.
Nella misura in cui la LASSI non contenga disposizioni specifiche, l’esecuzione dello scambio di informazioni è disciplinato
dalla LAAF, e – in via subordinata (articolo 5 capoverso 1 LAAF)
– dalla Legge federale sulla procedura amministrativa (PA).
2.2.
Diverse disposizioni della LAAF rimandano alla “convenzione
applicabile”. Ciò è ad esempio il caso per l’articolo 8 capoverso
2, secondo cui lo scambio di informazioni in possesso di una
banca, di altro istituto finanziario, di un mandatario, oppure
che si rifanno ai diritti di proprietà di una persona è possibile
soltanto se la convenzione applicabile lo preveda. Poiché per
definizione per gli Stati e territori interessati dall’applicazione
della LASSI non esiste alcuna CDI applicabile, la norma precisa
che la LASSI adempie, per le disposizioni della LAAF che richiamano tale strumento, il ruolo di “convenzione applicabile”.
2.3.
La LAAF contiene le disposizioni di diritto procedurale concernenti l’esecuzione dello scambio di informazioni in materia
fiscale. Essa stabilisce chi può ottenere le informazioni e con
quali provvedimenti, chi deve essere informato (a priori o a
3.1.
Il capoverso 1 riprende le condizioni dell’articolo 26 paragrafo
1 M-OCSE. La Svizzera garantisce lo scambio di informazioni
verosimilmente rilevanti per:
◆◆ l’applicazione di una CDI vigente, o
◆◆ l’amministrazione o l’applicazione della legislazione interna
degli Stati o territori interessati relativa alle imposte in
questione, a prescindere dall’esistenza di un reato fiscale
(sottrazione di imposta o frode fiscale), ossia al fine del
mero accertamento.
3.2.
La lettera a del capoverso 1 ha carattere meramente tuzioristico. Talune CDI che non corrispondono allo standard
contengono già una disposizione che permette questo tipo
di scambio di informazioni mentre altre non contengono
alcuna disposizione su qualsivoglia scambio di informazioni.
Anche nel caso in cui manchi una tale disposizione, la Svizzera
garantisce comunque già oggi, sulla base di una decisione del
Tribunale federale del 20 novembre 1970[9] , lo scambio delle
informazioni necessarie per l’applicazione della CDI.
3.3.
La lettera b.2. del capoverso 1 intende ampliare il campo di
applicazione convenuto bilateralmente. Ad esempio, la Svizzera
ha concluso CDI il cui campo di applicazione si limita in linea di
principio alle imposte sul reddito e sul patrimonio. Per queste
CDI le disposizioni relative allo scambio di informazioni sono
25
26
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
però applicabili a tutti i tipi di imposte. In questo caso la Svizzera
accorderà pertanto allo Stato o territorio interessato, sulla base
della LASSI, assistenza amministrativa per tutte le imposte.
Articolo 4 – Condizioni per accordare l’assistenza amministrativa
L’assistenza amministrativa è accordata nella misura in cui l’imposizione prevista dallo Stato o territorio richiedente non è contraria alla
convenzione per evitare le doppie imposizioni conclusa dalla Svizzera
con questo Stato o territorio.
1
Le informazioni sono comunicate soltanto se l’autorità competente
dello Stato o territorio richiedente conferma per scritto che:
2
a) può, sulla base della sua legislazione interna, accordare alla
Svizzera lo scambio di informazioni conforme allo standard
OCSE;
b) tali informazioni sono tenute segrete allo stesso modo di quelle
ottenute in applicazione della legislazione interna di questo Stato
o territorio;
c) tali informazioni sono comunicate soltanto alle persone o autorità
(compresi i tribunali e le autorità amministrative) che si occupano:
1.dell’accertamento o della riscossione delle imposte di cui
all’articolo 3 capoverso 1 lettera b,
2.dell’esecuzione o del perseguimento penale relativi a tali
imposte o
3. delle decisioni circa i rimedi giuridici inerenti a tali imposte;
d) tali informazioni sono utilizzate ai fini previsti nella lettera c; e
e) tali informazioni sono utilizzate per altri fini soltanto se la
legislazione della Svizzera e dello Stato o territorio richiesto lo
permette e l’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) lo
autorizza.
Il fatto che le persone e autorità di cui al capoverso 2 lettera c
possano rivelare le informazioni nel corso di una procedura giudiziaria
pubblica o in una decisione giudiziaria non è contrario alla conferma
di cui al capoverso 2.
3
L’AFC non è tenuta a fornire le informazioni richieste se lo Stato
o territorio richiedente non ha rispettato gli impegni contenuti nella
sua previa conferma secondo il capoverso 2.
4
4.1.
Il capoverso 1 ribadisce il principio sancito al paragrafo 1
dell’articolo 26 M-OCSE, per cui lo scambio di informazioni
non sarà accordato se l’imposizione dello Stato o territorio
interessato è contraria alla CDI in vigore. Ciò è il caso in presenza di un’imposizione discriminatoria o non ossequiosa di
determinate disposizioni della CDI (come ad esempio l’aliquota
dell’imposta alla fonte, la definizione di stabile organizzazione
o la determinazione dei suoi utili imponibili).
4.2.
Prima di poter ricevere le informazioni, lo Stato o territorio
richiedente deve confermare per scritto che sono soddisfatte
determinate condizioni per accordare l’assistenza amministrativa. In considerazione del suo carattere di norma unilaterale
di diritto interno, la LASSI non può (ovviamente) imporre alcun
obbligo agli Stati o territori interessati. La LASSI esige dunque
che al momento in cui presenta la domanda, lo Stato richiedente confermi di poter garantire alla Svizzera lo scambio di
informazioni su domanda secondo lo standard internazionale
riconosciuto (reciprocità). La norma non prevede però alcuna
verifica astratta in merito alla capacità di uno Stato o territorio terzo di accordare alla Svizzera lo scambio di informazioni
su domanda secondo lo standard internazionale, limitandosi ad
esigere un’assicurazione concreta nel momento in cui questo
Stato presenta alla Svizzera una domanda fondata sulla LASSI.
4.3.
Inoltre, secondo la disposizione del paragrafo 2 dell’articolo
26 M-OCSE, lo Stato o territorio richiedente deve confermare
che le informazioni scambiate sono tenute segrete, che sono
trasmesse soltanto a determinate persone o autorità e utilizzate soltanto per scopi chiaramente definiti (protezione dei
dati e principio di specialità). Le informazioni scambiate possono tuttavia essere utilizzate per altri fini se la legislazione
dello Stato o territorio interessato e della Svizzera lo permette
e l’AFC lo autorizza.
Articolo 5 – Diritti e obblighi dell’AFC in relazione all’ottenimento e la fornitura delle informazioni richieste
L’AFC usa le possibilità a sua disposizione al fine di ottenere le
informazioni richieste, anche qualora tali informazioni non le siano
utili a fini fiscali propri.
1
2
Essa non è tenuta a:
a) eseguire misure amministrative in deroga alla legislazione e alla
prassi amministrativa svizzere o a quelle dello Stato o territorio
richiedente;
b) fornire informazioni che non possono essere ottenute in virtù della
legislazione o nell’ambito della prassi amministrativa normale
della Svizzera oppure di quelle dello Stato o territorio richiedente;
c) fornire informazioni che potrebbero rivelare segreti commerciali
o d’affari, industriali o professionali oppure metodi commerciali
o informazioni la cui comunicazione sarebbe contraria all’ordine
pubblico.
3
Essa non può rifiutare di comunicare informazioni unicamente perché:
a) queste non presentano alcun interesse in ambito nazionale; o
b) queste sono detenute da una banca, un altro istituto finanziario,
un mandatario o una persona operante come agente o fiduciario
oppure perché dette informazioni si rifanno ai diritti di proprietà
di una persona. L’AFC è autorizzata a divulgare tali informazioni,
sempre che sia indispensabile per soddisfare gli obblighi previsti
dalla presente legge.
Per il resto sono applicabili le disposizioni relative all’ottenimento di
informazioni (articoli 8–15 LAAF).
4
5.1.
L’AFC deve servirsi dei mezzi a sua disposizione anche qualora
le informazioni richieste non le siano utili a fini fiscali interni
(capoverso 1). Dal punto di vista dell’utilizzo ai fini fiscali
interni, è bene ricordare che per l’articolo 21 LAAF (applicabile
in virtù dell’articolo 2 LASSI), le autorità svizzere possono
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
utilizzare soltanto le informazioni effettivamente trasmesse
all’autorità richiedente, ritenuto che – tra queste – le informazioni bancarie potranno essere impiegate soltanto qualora
avrebbero potuto essere ottenute secondo il diritto svizzero.
5.2.
La norma riprende le disposizioni dei paragrafi 3-5 dell’articolo
26 M-OCSE, descrivendo le condizioni alle quali l’AFC accorda
l’assistenza amministrativa. Il capoverso 2 limita gli obblighi
dell’AFC, precisando che l’ottenimento di informazioni non
deve derogare alla prassi amministrativa o alla legislazione
svizzera né, ad esempio, violare segreti d’affari. D’altro canto
(capoverso 3), in quanto necessari per soddisfare gli obblighi
sanciti dalla LASSI medesima, l’AFC non può rifiutarsi di raccogliere e comunicare le informazioni richieste per il solo motivo
che queste sono detenute da una banca, da un altro istituto
finanziario, da un mandatario (agente o fiduciario) oppure
perché si rifanno ai diritti di proprietà di una persona.
6.3.
La procedura chiamata a disciplinare le domande svizzere di
informazioni in virtù della LASSI resta (ex articolo 2 LASSI)
quella ancorata nell’articolo 22 LAAF. L’AFC riceve quindi le
domande dalle autorità fiscali svizzere interessate, ne esamina
la legittimità ed eventualmente le inoltra alla competente
autorità estera. Non è dato ricorso contro le domande svizzere di assistenza amministrativa internazionale (articolo 22
capoverso 4 LAAF).
6.4.
Per il resto si deve ricordare che domande di assistenza amministrativa svizzere relative a informazioni bancarie possono
essere presentate soltanto se tali informazioni potrebbero
essere ottenute secondo il diritto interno svizzero (articolo 22
capoverso 6 LAAF).
5.3.
La norma richiama infine agli articoli da 8 a 15 LAAF che
disciplinano la procedura per l’ottenimento delle informazioni
da parte dell’AFC (tra i quali figurano pure i provvedimenti
coercitivi, articolo 13 LAAF), che tornano pertanto applicabili
anche per il trattamento di domande di assistenza amministrativa in virtù della LASSI.
Articolo 6 – Domande svizzere di assistenza amministrativa
In applicazione della presente legge l’AFC può presentare domande
di assistenza amministrativa all’autorità competente di uno Stato o
territorio secondo l’articolo 1 capoverso 1.
6.1.
Poiché le (eventuali) richieste svizzere di informazioni ad
uno Stato o territorio terzo fondate sulla LASSI non trovano
fondamento in uno strumento bilaterale, la norma precisa che
le domande di assistenza amministrativa agli Stati e territori
interessati sono presentate secondo il diritto svizzero.
6.2.
La questione se uno Stato o territorio terzo possa eseguire
la domanda presentata dalla Svizzera deve pertanto essere
esaminata sulla base della sola legislazione interna dello Stato
o territorio richiesto. Sono quindi (in principio) ipotizzabili due
scenari:
◆◆ gli Stati o territori hanno a loro volta già presentato una
domanda alla Svizzera, e in questo contesto hanno confermato la sussistenza della reciprocità (articolo 4 capoverso
2 lettera a); questi dovrebbero quindi poter rispondere
positivamente alla richiesta svizzera;
◆◆ gli Stati o territori non hanno ancora presentato alcuna
domanda alla Svizzera; con tutta probabilità essi non
possono rispondere alla domanda di informazioni poiché
mancano le necessarie basi legali nella loro legislazione
interna.
Articolo 7 – Impiego delle informazioni richieste dalla
Svizzera
Le informazioni ottenute dall’AFC a seguito di una domanda di assistenza amministrativa svizzera sono tenute segrete allo stesso modo
di quelle ottenute in applicazione della legislazione interna Svizzera.
1
L’AFC comunica tali informazioni soltanto alle persone o autorità
(compresi i tribunali e le autorità amministrative) che si occupano:
2
a) dell’accertamento o della riscossione delle imposte di cui all’articolo 3 capoverso 1 lettera b,
b) dell’esecuzione o del perseguimento penale relativi a tali imposte o
c) delle decisioni circa i rimedi giuridici inerenti a tali imposte.
Esse possono essere utilizzate per altri fini di quelli di cui al capoverso 2 se la legislazione della Svizzera e dello Stato o territorio
richiesto lo permette e l’autorità competente dello Stato o territorio
richiesto lo autorizza.
3
Le persone e autorità di cui al capoverso 2 possono rivelare tali
informazioni nell’ambito di una procedura giudiziaria pubblica o in
una decisione giudiziaria.
4
7.1.
La norma riprende il paragrafo 2 dell’articolo 26 M-OCSE, che
costituisce anche la base dell’articolo 4 capoversi 2 e 3 LASSI.
Riguardo alle informazioni che riceve, la Svizzera dovrà quindi
garantire lo stesso livello di protezione dei dati di quello degli
Stati e territori interessati dai quali provengono le informazioni e rispettare il principio di specialità.
27
28
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Articolo 8 – Esecuzione
L’AFC esegue la presente legge.
Articolo 9 – Applicabilità
Le disposizioni della presente legge si applicano alle domande di
informazioni presentate alla data d’entrata in vigore della presente
legge, o dopo tale data, per le informazioni:
1
a) relative a un periodo fiscale che inizia il 1° gennaio dell’anno civile
seguente l’entrata in vigore della presente legge, o dopo tale data;
oppure,
b) in mancanza di un periodo fiscale, per tutti i crediti fiscali sorti
il 1° gennaio dell’anno civile seguente l’entrata in vigore della
presente legge, o dopo tale data.
Gli Stati e territori secondo l’articolo 1 capoverso 1, la cui convenzione per evitare le doppie imposizioni è stata oggetto di un decreto
federale che autorizza il Dipartimento federale delle finanze (DFF) a
convenire un complemento per introdurre una clausola sullo scambio
di informazioni conforme allo standard OCSE, possono, a condizione
che la convenzione per evitare le doppie imposizioni sia in vigore,
presentare domande di informazioni che si riferiscono a un periodo
per cui la convenzione per evitare le doppie imposizioni prevede lo
scambio di informazioni. In questo caso, le domande raggruppate
sulla base della presente legge sono autorizzate per le informazioni su
fattispecie avvenute dal 1. febbraio 2013.
2
9.1.
Mentre il capoverso 1 enuncia la disciplina di carattere generale,
aderente alle usuali disposizioni presenti nelle CDI concluse
dalla Svizzera, il capoverso 2 delinea un ordine ad hoc, per tenere
conto di alcune particolarità.
9.2.
Il capoverso 2 disciplina segnatamente l’applicabilità della
LASSI alle CDI concluse con gli USA, la Francia, il Qatar e il
Messico[10]. I periodi ai quali si applicano le disposizioni
rivedute sullo scambio di informazioni sono stati convenuti di
volta in volta bilateralmente. Il capoverso 2 rimanda pertanto
al periodo convenuto nella CDI in vigore, in luogo di quello
– generale – previsto al capoverso 1. Nello specifico, questo
significa che lo scambio di informazioni ai sensi della LASSI
trova applicazione per i periodi fiscali che iniziano il 1. gennaio
2010 (Francia) e il 1. gennaio 2011 (Qatar e Messico).
9.3.
Per quanto riguarda gli USA occorre invece distinguere, a
dipendenza che la CDI alla quale si applica il decreto federale – ossia la CDI nella versione modificata dal Protocollo
del 23 settembre 2009 (di seguito CDI-USA 2009[11]) – sarà
o meno entrata in vigore (ad oggi la CDI-USA 2009 è stata
approvata soltanto dall’Assemblea federale svizzera ma non
dal Parlamento americano). Quindi:
◆◆ se all’entrata in vigore della LASSI la CDI-USA 2009 non
sarà ancora in vigore, farà stato la CDI-USA del 2 febbraio
1996 (di seguito CDI-USA 1996). Siccome quest’ultima non
è oggetto di un decreto federale, tornerà allora applicabile
l’articolo 9 capoverso 1 LASSI;
◆◆ se invece all’entrata in vigore della LASSI la CDI-USA
2009 sarà in vigore, sia applicherà l’articolo 9 capoverso
2 LASSI. In questo caso la misura unilaterale si applicherà,
per quanto attiene lo scambio di informazioni bancarie,
ai periodi che iniziano il 23 settembre 2009 o posteriori.
In tutti gli altri casi, invece, alle informazioni concernenti i
periodi fiscali che iniziano il 1. gennaio 2010, o posteriori
(cfr. articolo 5 capoverso 2 lettera b del Protocollo del 23
settembre 2009).
9.4.
Per l’insieme di CDI alle quali si applica il capoverso 2, la presentazione di domande raggruppate secondo lo standard OCSE
è possibile in relazione a fattispecie che riguardano periodi dal
1. febbraio 2013. Il testo riprende le disposizioni dell’articolo 1
capoverso 1 dell’Ordinanza del 20 agosto 2014 sull’assistenza
amministrativa fiscale (OAAF), in modo da garantire la parità
di trattamento a tutti gli Stati partner della Svizzera. Nello specifico, questo significa che per Francia, Messico e il Qatar sono
legittimate domande raggruppate in relazione a fattispecie
che riguardano periodi posteriori al 1. febbraio 2013, ancorché
la CDI in vigore disciplini diversamente l’applicazione delle
disposizioni sullo scambio di informazioni, e meglio:
◆◆ per la Francia, i periodi fiscali che iniziano il 1. gennaio 2010
(cfr. anche la soluzione convenuta nell’ambito dell’Accordo
che modifica il protocollo addizionale alla CDI firmato il 25
giugno 2014);
◆◆ per Qatar e il Messico i periodi fiscali che iniziano il 1. gennaio 2011.
9.5.
Nuovamente, nel caso degli USA, è necessario operare un
distinguo a seconda che la CDI-USA 2009 sarà entrata o
meno in vigore. Quindi:
◆◆ nella negativa, le domande raggruppate per i casi che
riguardano “truffe e delitti analoghi” sono autorizzate conformemente alla CDI-USA 1996. Per le domande raggruppate
secondo lo standard internazionale si applica la disposizione
dell’articolo 9 capoverso 1 LASSI;
◆◆ nella positiva, invece, le domande raggruppate per i periodi
dal 23 settembre 2009 al 1. febbraio 2013 saranno trattate
in base CDI-USA 2009 in combinazione con il decreto federale del 16 marzo 2012 (che completa la Convenzione tra la
Svizzera e gli USA per evitare le doppie imposizioni[12]).
In questo contesto, le domande raggruppate dovranno in
ogni caso contenere un’indicazione secondo cui la persona
in possesso delle informazioni richieste (o i suoi collaboratori)
hanno contribuito in maniera significativa a “modellare” il
comportamento che permette di identificare il gruppo di contribuenti interessato dalla domanda. Per il resto, le domande
raggruppate secondo lo standard OCSE sono autorizzate in
relazione a fattispecie che riguardano periodi dal 1. febbraio
2013, ritenuto che in tali casi un terzo avrà, di regola ma non
necessariamente, avuto un ruolo attivo nell’attualizzare il
comportamento fiscalmente non conforme dei contribuenti
appartenenti al gruppo[13].
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Articolo 10 – Entrata in vigore e abrogazione
1
La presente legge sottostà a referendum facoltativo.
2
Il Consiglio federale ne determina l’entrata in vigore.
Esso abroga la presente legge se la Svizzera conviene di uno scambio di informazioni conforme allo standard OCSE con Stati e territori
ai secondo l’articolo 1 capoverso 1 nel quadro di una convenzione
per evitare le doppie imposizioni conclusa con uno di questi Stati e
territori o nel quadro di un altro accordo internazionale.
3
10.1.
La LASSI sottostà a referendum facoltativo (articolo 141 capoverso 1 lettera a Cost.). Secondo le indicazioni del Consiglio
federale, la LASSI potrebbe entrare in vigore nel 2016.
10.2.
La Svizzera continuerà a rinegoziare le sue CDI o a convenire
altri strumenti anche quando la LASSI sarà entrata in vigore.
La LASSI sarà abrogata non appena per tutti gli Stati e territori
interessati esisterà un trattato (CDI o altro accordo internazionale) che disponga uno scambio di informazioni su domanda
conforme allo standard OCSE. Secondo la prassi del Global Forum,
infatti, la presenza di una misura unilaterale non autorizza a uno
Stato a schivare la conclusione di una convenzione bilaterale o
multilaterale che garantisca uno scambio di informazioni fiscali
aderente allo standard[14].
10.3.
La LASSI potrà essere definitivamente abrogata solo una volta che
tutte le domande di assistenza amministrativa presentate sulla
base della medesima saranno concluse con decisione definitiva.
Ciò per evitare che la base legale vigente al momento della presentazione di una domanda sia abrogata in pendenza di procedura.
C.
Elenco degli Stati o territori con cui la LASSI potrebbe
essere applicata
Tabella 1:
Elenco dei 69 Stati o territori con cui la LASSI verrebbe applicata
(stato al 12 settembre 2014) (Fonte: Consiglio federale, Rapporto LASSI,
Berna, 22 ottobre 2014, pagina 14)
Stato o territorio
Nessuna CDI riveduta
o Convenzione
multilaterale
Nessuna CDI
riveduta
Egitto
2
Albania
•
3
Algeria
•
4
Anguilla
•
5
Antigua e Barbuda
6
Argentina
7
Armenia
•
8
Azerbaigian
•
9
Australia
10
Bangladesh
•
•
•
•
11
Barbados
•
12
Bielorussia
•
13
Belgio
14
Belize
•
15
Isole Vergini
britanniche
•
16
Cile
•
17
Cina
18
Dominica
•
19
Ecuador
•
•
20
Costa d’Avorio
Estonia
22
Francia
23
Gambia
24
Georgia
CDI riveduta
parafata o firmata
•
1
21
CDI riveduta oggetto
di un decreto federale
•
•
•
•
•
•
29
30
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Stato o territorio
Nessuna CDI riveduta
o Convenzione
multilaterale
Nessuna CDI
riveduta
Ghana
26
Grenada
27
Indonesia
28
Iran
29
Islanda
30
Israele
31
Italia
32
Giamaica
33
Qatar
34
Kirghizistan
35
Colombia
36
Croazia
37
Kuwait
38
Lettonia
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
39
Liechtenstein
•
40
Lituania
•
41
Malesia
•
42
Malawi
•
43
Marocco
Macedonia
45
Messico
46
Moldavia
CDI riveduta
parafata o firmata
•
25
44
CDI riveduta oggetto
di un decreto federale
•
•
•
•
47
Mongolia
•
48
Montenegro
•
49
Montserrat
•
50
Nuova Zelanda
•
51
Pakistan
•
52
Filippine
•
53
Zambia
•
54
Serbia
•
55
Sri Lanka
•
56
St. Kitts e Nevis
•
57
St. Lucia
•
58
St. Vincent
•
59
Sudafrica
60
Tagikistan
•
61
Tailandia
•
62
Trinidad e Tobago
•
63
Tunisia
64
Ucraina
•
65
Ungheria
•
66
USA
67
Uzbekistan
•
•
•
•
68
Venezuela
•
69
Vietnam
•
Totale
19
35
4
11
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Elenco delle fonti fotografiche:
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teaserfocuspar/teaser/image.imagespooler.jpg/1437491121099/original/
aia.jpg [03.08.2015]
http://www.fiscooggi.it/files/immagini_articoli/u13/svizzera_0.jpg
[03.08.2015]
http://www.oecd.org/media/oecdorg/directorates/centrefortaxpolicyandadministration/SG%20PSA.jpg [03.08.2015]
[1] Consiglio federale, Il Consiglio federale avvia
la consultazione relativa all’applicazione unilaterale dello standard OCSE sullo scambio di
informazioni su domanda, Comunicato stampa,
Berna, 22 ottobre 2014. Il Rapporto esplicativo
relativo alla Legge federale concernente l’applicazione unilaterale dello standard OCSE sullo scambio
di informazioni (LASSI) è disponibile al seguente
link: http://www.news.admin.ch/NSBSubscriber/
message/attachments/36975.pdf
[03.08.2015].
Con presa di posizione del 21 gennaio 2015, il Consiglio di Stato del Cantone Ticino ha comunicato al
Dipartimento federale delle finanze (di seguito DFF)
di non ritenere necessaria l’adozione della LASSI,
invocando (sostanzialmente) tre ordini di ragioni. In
primis due delle tre condizioni alternative richieste
dal Global Forum per accedere alla seconda fase sono
già state adempiute, per cui non vi sarebbe alcuna
necessità di adottare le misure unilaterali proposte
con la LASSI. Vi sono poi incongruenze tra la LASSI
e la Legge federale sull’assistenza amministrativa
internazionale in materia fiscale (di seguito LAAF), in
particolare in ordine alla possibilità di utilizzo dei dati
bancari alle autorità fiscali svizzere. Infine, il Governo ticinese auspica che la LASSI entri comunque in
vigore soltanto dopo che la nuova CDI con l’Italia sia
stata ratificata da entrambi i parlamenti nazionali.
[2] In questo momento (marzo 2015) la Svizzera
conta 57 CDI conformi allo standard e accordi sullo
scambio d’informazioni (“Tax Information Exchange
Agreement”, di seguito TIEA). Il 15 ottobre 2013 la
Svizzera ha inoltre firmato la Convenzione multilaterale che dovrebbe entrare in vigore il 1. gennaio
2017.
[3] Ricordiamo che, per attuare le raccomandazioni del Global Forum, la Svizzera ha rivisto la LAAF
introducendo un’eccezione all’informazione preliminare di persone oggetto della domanda di assistenza
amministrativa (è stata così introdotta la cosiddetta
“informazione a posteriori”, articolo 21a LAAF). Inoltre
il 12 dicembre 2014 le Camere federali hanno approvato la Legge sull’attuazione delle raccomandazioni
rivedute del Gruppo d’azione finanziaria (GAFI)
in materia di lotta contro il riciclaggio di denaro e il
finanziamento del terrorismo, che forniranno maggiore trasparenza per quanto concerne le azioni al
portatore.
[4] Global Forum, Rapport d’examen par les pairs
supplémentaire, Phase 1, Cadre légal et réglementaire, Suisse, OCSE 2015, n. 48, in: http://www.
news.admin.ch/NSBSubscriber/message/
attachments/38722.pdf [03.08.2015].
[5] Riprendo qui essenzialmente (con alcune integrazioni) quanto esposto dal Consiglio federale nel
Rapporto esplicativo alla legge federale concernente
l’applicazione unilaterale dello standard OCSE sullo
scambio di informazioni (LASSI) del 22 ottobre 2014.
[6] Cfr. Foglio federale 2011, pagina 3419 e seguenti.
[7] DFF, Svizzera e Italia firmano un’intesa sulle questioni fiscali, Comunicato stampa, Berna,
23 febbraio 2015, in: https://www.news.admin.
ch/message/index.html?lang=it&msg-id=56318
[03.08.2015].
[8] Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI), Visita di lavoro della
consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf nel
Liechtenstein, Comunicato stampa, Berna, 10 luglio
2015, in: https://www.admin.ch/gov/it/paginainiziale/documentazione/comunicati-stampa.
msg-id-58083.html [03.08.2015].
[9] DTF 96 I 733.
[10] Oggetto di un decreto federale; cfr. sopra n. 1.3.
[11] Cfr. Foglio federale 2010, pagina 229 e seguenti.
[12] Cfr. Foglio federale 2012, pagina 3127 e
seguenti.
[13] Commentario M-OCSE, paragrafo 5.2 ad
articolo 26, in: http://www.oecd.org/fr/ctp/echange-de-renseignements-fiscaux/120718_Article%20
26-FR.pdf [03.08.2015].
[14] Cfr. sopra n. 0.3.
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32
Diritto finanziario
Legittimità delle restrizioni bancarie
nell’esecuzione delle istruzioni dei clienti
Giovanni Molo
Avvocato, LL.M.
Socio Studio Bolla Bonzanigo & Associati, Lugano
Esame dei possibili fondamenti giuridici e punti interrogativi
1.
Introduzione
Mentre l’attenzione dei commentatori, in particolare nell’ambito della letteratura giuridica, si è concentrata sulla svolta
intrapresa dalla Svizzera in materia di scambio delle informazioni, le nuove strategie messe in campo dagli operatori
finanziari per limitare i propri rischi in funzione della situazione
fiscale dei loro clienti è stata oggetto di un approfondimento
ben minore.
Non vi sarà un approfondimento sulle proposte legislative in
atto in merito ad obblighi di diligenza accresciuti degli operatori finanziari relativamente alla conformità fiscale dei clienti:
un accenno a tali proposte potrà essere fornito soltanto con
immediato riferimento alla nuova prassi in materia di vigilanza
nonché ai nuovi orientamenti strategici in proposito degli
istituti finanziari. Secondariamente, ci si asterrà del tutto dal
considerare le questioni procedurali che contraddistinguono le
controversie giudiziali in corso tra banche e clienti, con riferimento in particolare all’adempimento, o meno, dei requisiti
per caso manifesto ai sensi dell’articolo 257 del Codice di procedura civile che aprono la strada alla procedura sommaria[1].
Eppure, si tratta di una realtà palpabile che ha trasformato
i rapporti tra banche e clienti, e la stessa natura del private
banking svizzero, in maniera ancora più marcata rispetto ai
cambiamenti legislativi fin qui intervenuti nell’ambito della
cooperazione internazionale in materia fiscale. Questa
discrepanza tra l’enorme rilievo da un profilo pratico nello
svolgimento concreto dei rapporti bancari di questo fenomeno, e la poca attenzione di cui ha goduto nella letteratura
giuridica, si spiega con la sua natura difficilmente decifrabile.
Qui di seguito, si proporrà una riflessione sui fondamenti di
diritto materiale in virtù dei quali può giustificarsi l’inadempimento delle istruzioni dei clienti da parte delle banche. In
primo luogo, ci si concentrerà quindi sulla svolta dell’Autorità
federale di vigilanza sui mercati finanziari (di seguito FINMA)
relativamente alla presa in considerazione dei rischi transfrontalieri, con particolare riferimento alle posizioni fiscali
dei propri clienti. Secondariamente, ci si concentrerà sulle
modalità con cui le banche hanno integrato preoccupazioni
relative alla conformità fiscale dei propri clienti nelle loro
strategie commerciali, e nei loro modelli di compliance. Infine, si
arriverà quindi al nocciolo della questione, alle modalità, cioè,
con cui tali preoccupazioni possono interferire nei rapporti
contrattuali tra banche e clienti. Si passeranno quindi in rassegna diversi fondamenti giuridici a cui può richiamarsi una
restrizione dei diritti contrattuali di clienti.
Vi sono, invece, due aspetti che non potranno essere considerati per non estendere eccessivamente il nostro contributo.
2.
Nuovi indirizzi nella sorveglianza bancaria sui rischi
transfrontalieri degli istituti finanziari in relazione agli
adempimenti fiscali dei clienti
Il documento che sancisce in termini generali i nuovi indirizzi
della FINMA è la posizione della FINMA sui rischi transfrontalieri del 22 ottobre 2010[2]. È interessante osservare la forma
con cui la FINMA ha deciso di intervenire. Secondo l’articolo
7 della Legge federale concernente l’Autorità federale di
vigilanza sui mercati finanziari (di seguito LFINMA), infatti,
l’Autorità di sorveglianza dispone di due strumenti per fissare
i principi regolamentari:
◆◆ le ordinanze, laddove previsto da una delega legislativa, e
◆◆ le circolari, che sono a loro volta utilizzate per concretizzare
le leggi sui mercati finanziari in vista della loro applicazione.
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
La posizione in oggetto non costituisce né una circolare
né un’ordinanza. Essa infatti, non si fonda su alcuna delega
legislativa, e non è nemmeno finalizzata, in quanto tale, a
concretizzare delle nozioni specifiche delle leggi sui mercati
finanziari. La FINMA riconosce infatti che il diritto svizzero
sulla sorveglianza non stabilisce per gli istituti finanziari svizzeri, in maniera diretta, un obbligo di ottemperare al diritto
estero[3] , così come non sussiste, de lege lata, un obbligo per
gli istituti finanziari di non accettare averi non dichiarati e,
a fortiori, di intrattenere relazioni d’affari soltanto con clienti
preesistenti che dichiarano i loro averi depositati in Svizzera.
Pur riconoscendo tali presupposti giuridici, l’Autorità di sorveglianza ritiene essenziale che un’analisi approfondita dei
rischi connessi alle transazioni transfrontaliere, in particolare
in ambito fiscale, sia condotta dagli istituti finanziari al fine di
contenere questi rischi in maniera appropriata[4].
Essi possono in particolare materializzarsi nel fatto che un
istituto finanziario svizzero o suoi collaboratori possano
ritrovarsi implicati, a titolo di riciclaggio o per reati di partecipazione, in procedimenti penali relativi a reati fiscali commessi
da propri clienti all’estero. Tali rischi sono invero connaturati
al principio dell’ubiquità, riconosciuto anche dal diritto penale
svizzero, secondo cui un reato deve ritenersi verificato non
soltanto nel luogo in cui è stato commesso ma anche in quello
in cui si verificano i suoi effetti. Poiché gli effetti di un reato
fiscale consistono nel risparmio fiscale illecito conseguito nello
Stato di residenza del cliente, ecco quindi che un reato di partecipazione, o un atto di riciclaggio, può considerarsi eseguito
in tale Stato, anche con riferimento ad atti di partecipazione
concretamente commessi soltanto in Svizzera. Ne consegue
che la violazione di norme penali fiscali estere presenta una
pertinenza riflessa anche per il diritto della sorveglianza svizzera, che può condurre, in casi gravi, ad intaccare la garanzia
di irreprensibilità prevista dall’articolo 3 capoverso 2 lettera c
della Legge federale sulle banche e sulle casse di risparmio (di
seguito LBCR).
La nozione di garanzia dell’attività irreprensibile costituisce
una nozione giuridica indeterminata[5]: essa consente quindi
di modulare in maniera flessibile, ed evolutiva nel tempo, le
condizioni d’esercizio dell’attività bancaria, tanto per gli istituti
finanziari in quanto tali che per le persone fisiche aventi una
funzione dirigenziale o di organo soggetti a tale garanzia
(“Gewährsträger”).
Questa natura aperta della nozione di garanzia di irreprensibilità, e, più in generale, della nozione di risk management
che ogni istituto deve condurre, ha consentito alla FINMA,
anche senza cambiamenti legislativi, di eseguire un autentico
cambio di rotta nei criteri della sua sorveglianza bancaria.
Così come la svolta nel marzo 2009 in materia di assistenza
amministrativa non si è caratterizzata come un punto di cambiamento unico, ma piuttosto come un franamento continuo,
anche quella in materia di vigilanza bancaria ha preso le forme
di un movimento progressivo. Non potendo qui analizzare nel
suo insieme tale attività di vigilanza, così come emerge in particolare dai rapporti di inchiesta pubblicati, quello sul Credit
Suisse ed i rapporti di attività 2010-2014 (i quali, in quanto tali,
non rappresentano che la superficie di emersione dell’azione
di monitoraggio e di raccomandazione della FINMA), possono
essere individuate tre linee direttrici.
In primo luogo, nonostante il contenuto degli articoli 7 e
8 della Convenzione di diligenza bancaria 2008 (di seguito
CDB 08), diventa sempre meno necessario, per accendere i
lampeggianti dell’autorità di sorveglianza, mettere in atto
da parte degli istituti finanziari un comportamento attivo di
partecipazione all’evasione fiscale ed alla fuga di capitali, la
semplice accettazione di averi non dichiarati e/o la continuazione di relazioni non dichiarate rivelandosi di per sé stesse
sempre più problematiche. Con riferimento alla richiesta della
FINMA di abbandonare le relazioni d’affari con clienti i cui
averi non sono dichiarati, si verifica, inoltre, un’estensione del
campo di applicazione geografico. Inizialmente, le indicazioni
della FINMA non riguardavano che le attività cross border con
clientela americana. In seguito, vi è stata la tendenza ad estendere tali restrizioni ai maggiori Stati europei, ed in particolare
a quelli che offrivano ai propri contribuenti opportunità di
dichiarazione agevolata. In terzo luogo, la selezione dei propri
clienti, nuovi e preesistenti, in funzione della conformità fiscale
rende necessaria l’acquisizione, da parte dell’istituto finanziario, di elementi di conoscenza in proposito, ciò che viene
infatti richiesto dall’autorità di sorveglianza. La conoscenza
del cliente (know your customer) si integra con la conoscenza
del suo profilo fiscale.
Nella nozione di compliance auspicata dall’Autorità di sorveglianza irrompe quindi una dimensione fiscale, volta a
considerare, nel sistema di monitoraggio e di prevenzione dei
rischi, il profilo fiscale del cliente, ed i rischi che ne possono
scaturire per l’istituto finanziario e per i propri collaboratori.
Ritenuto come nella sorveglianza bancaria ante 2008 era
sufficiente che non venissero accettati dagli istituti averi di
provenienza criminale (secondo la limitata accezione che le
nozioni di crimine e di riciclaggio rivestivano tradizionalmente
nella concezione giuridica svizzera, così da escluderne le
infrazioni fiscali[6]) e che gli istituti non contribuissero attivamente all’evasione fiscale ed alla fuga dei capitali dei propri
clienti[7] , ciò che dava quindi luogo ad un doppio criterio di
demarcazione tra condotte reprensibili, con, cioè, da un lato,
la distinzione tra provenienza criminale o non criminale degli
averi, dall’altro tra accettazione passiva degli stessi, ed atti di
partecipazione attiva; lo stacco rispetto al passato è duplice.
Il crinale su cui si muove il riorientamento degli indirizzi della
vigilanza della FINMA dal profilo del principio della legalità è
sottile. Da un lato, la prassi della FINMA non può anticipare i
33
34
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
nuovi indirizzi legislativi del Consiglio federale, in particolare
in materia di oneri di diligenza estesi degli istituti finanziari,
dovendo gli stessi ancora passare al vaglio delle Camere federali[8]. D’altro lato, la stessa appare coerente con il principio
della legalità nella misura in cui è tesa ad applicare in maniera
rigorosa il divieto all’assistenza attiva alla sottrazione fiscale
ed alla fuga di capitali postulato dagli articoli 7 e 8 della CDB 08
ed a concretizzare un approccio proattivo alla vigilanza degli
istituti finanziari in maniera tale da tenere conto dell’evoluzione dei rischi e dell’inasprimento della prassi regolamentare
dei Paesi esteri.
3.
Nuove strategie di compliance: integrazione del fattore F
Parallelamente ai nuovi indirizzi dell’azione di vigilanza della
FINMA, gli istituti finanziari hanno riorientato le loro strategie
commerciali, adeguando i loro regolamenti interni e le loro
politiche di compliance. I nuovi indirizzi degli istituti finanziari
vengono attuati a più livelli, non tutti accessibili per il pubblico.
In primo luogo, vengono definiti dei nuovi obiettivi strategici e
commerciali dal Consiglio di amministrazione o dalla Direzione
generale della banca. In assenza di una base legale vigente
che definisca obblighi di diligenza estesi per tutti gli istituti
finanziari volti a garantire la conformità fiscale dei clienti, tali
obiettivi possono variare, anche significativamente, da istituto
a istituto, ed analogo margine di variazione potrà sussistere
per gli ulteriori livelli e strumenti mediante i quali la banca
attua la sua politica di riorientamento del risk management.
Quale denominatore comune, troviamo tipicamente, a partire dal 2009-2010, un orientamento degli istituti finanziari
verso una clientela fiscalmente conforme. Tale denominatore
comune può quindi essere concretizzato in maniera diversa
da istituto a istituto. In generale, non verranno aperte nuove
relazioni con clientela non dichiarata fiscalmente (e ciò, in particolare laddove la clientela in questione proviene dagli Stati
Uniti d’America [di seguito USA] oppure da Stati importanti
dell’Unione europea [di seguito UE] quali Germania, Francia,
Spagna o Italia).
Quanto alla clientela preesistente, gli approcci strategici della
maggior parte degli istituti finanziari sono stati più flessibili
e sono stati tipicamente modulati in funzione delle opportunità di regolarizzazione per i contribuenti nei loro Paesi di
residenza. Quindi, in particolare per la clientela preesistente,
l’approccio è stato ed è differenziato secondo i Paesi di residenza dei contribuenti. Così, ad esempio, decorsi i termini di
regolarizzazione facilitata offerta da tali Paesi, i relativi clienti/
contribuenti (leggasi ad esempio, nel passato, quelli degli USA
o della Spagna, e in futuro, quelli con residenza in Italia) venivano invitati a chiudere le loro relazioni.
Tipicamente, l’obiettivo a medio-lungo termine degli istituti è
quello di giungere ad una clientela estera (ed in particolare a
quella dei più importanti Stati dell’UE e dell’OCSE) completamente dichiarata. Diversi possono invece essere, tra istituto e
istituto, gli obiettivi strategici con riferimento alla conformità
fiscale della clientela svizzera. Si sottolinea come l’orientamento commerciale e strategico degli istituti finanziari verso
una clientela tax compliant, che oggi sembra una banalità, costituisce in realtà lo sbocco di un’autentica rivoluzione aziendale,
posto come, sino ad alcuni anni fa, il modello di business del
private banking transfrontaliero svizzero si è innegabilmente
fondato largamente su una clientela non dichiarata; da un
profilo giuridico e di compliance essendo quindi determinante
esclusivamente l’insussistenza di fattispecie di riciclaggio nella
ristretta accezione svizzera.
Un secondo livello è costituito dai codici di condotta degli
istituti bancari, che sono talvolta pubblicati sui loro siti come
delle autentiche carte costituzionali degli stessi[9]. In maniera
generale, tali codici di condotta stabiliscono il principio
secondo cui la banca, con tutti i suoi collaboratori, si impegna
a rispettare non solo il diritto vigente nel luogo in cui opera,
ma anche quello esistente nel luogo di domicilio dei clienti.
Tuttavia, tali codici non sanciscono un obbligo attivo di verifica da parte degli istituti finanziari della conformità fiscale
della propria clientela. Resta, in qualche modo, salvo, almeno
nei codici di condotta pubblicamente accessibili, il principio
secondo cui gli adempimenti fiscali incombono ai clienti/
contribuenti, e non alla banca.
ll terzo livello, inoltre, è costituito da regolamenti e direttive
interne che dettagliano, in particolare in termini di compliance,
gli obiettivi commerciali e strategici della banca. Così, ad esempio, nei regolamenti interni può essere indicata la tempistica
precisa entro la quale devono essere cessate le relazioni con
clientela non conforme fiscalmente di una determinata area
geografica. Inoltre, possono essere indicati i criteri secondo i
quali una determinata relazione d’affari può essere, o meno,
ritenuta conforme fiscalmente. Infine, come meglio vedremo
in seguito, possono essere indicate le modalità relative all’operatività sulle relazioni fiscalmente non conformi.
Un quarto, ed ultimo, livello di intervento da parte dell’istituto
finanziario riguarda invece i contatti con la clientela direttamente: si può trattare, quindi, di informative e/o comunicazioni
volte ad informare la clientela in merito ai nuovi obiettivi della
banca in termini di conformità fiscale della clientela, oppure
con riferimento al nuovo contesto regolamentare di scambio
delle informazioni, oppure, ancora, in merito a opportunità di
dichiarazione facilitata nel Paese di residenza. Alle informative
e comunicazioni alla clientela senza effetti giuridici possono
inoltre aggiungersi, come meglio vedremo nei capitoli che
seguono, notificazioni con cui vengono sottoposte loro nuove
condizioni generali della banca.
Obiettivi strategici, codici di condotta, regolamenti e direttive
interne sono, da un profilo giuridico, parzialmente vincolanti:
essi dispongono, in altri termini, entro un campo di applicazione soggettivamente delimitato. Hanno infatti pieno effetto
nei rapporti interni, ed in particolare sui rapporti di lavoro con
i collaboratori, i quali, se non li rispettano, possono essere
passibili di sanzioni disciplinari interne (disdetta inclusa). Tali
strumenti possono inoltre avere una ripercussione indiretta
su organi e dirigenti degli istituti finanziari, ritenuto che una
loro grave violazione può mettere a repentaglio la garanzia
di irreprensibilità dei soggetti coinvolti, rispettivamente può
dare luogo all’emanazione di una misura amministrativa quale
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
il divieto provvisorio di esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 33 LFINMA. Non sono invece cogenti per i rapporti tra
banche e clienti. Nella misura in cui prevedono delle restrizioni
sulle operazioni di cui i clienti domandano l’esecuzione, al fine
segnatamente di facilitarne la regolarizzazione fiscale, gli
stessi, come meglio vedremo ai prossimi capitoli, non costituiscono quindi un fondamento giuridico sufficiente in proposito.
Nel passare in rassegna diversi fondamenti giuridici su cui
possono basarsi le restrizioni all’esecuzione delle istruzioni dei
clienti, prima di passare agli elementi verticali di diritto pubblico, si accennerà brevemente a possibili elementi orizzontali
di natura privatistica, con particolare riferimento alle condizioni generali nonché alle comunicazioni tra banca e cliente.
5.
Direttive interne, comunicazioni tra banca e cliente e
condizioni generali?
In quanto tali, le direttive interne che prevedessero delle
restrizioni nell’adempimento delle istruzioni dei clienti, in
particolare con riferimento a prelievi a contanti e/o a bonifici,
non sono opponibili ai clienti. Simili disposizioni hanno infatti
una validità relativa e si applicano esclusivamente ai rapporti
interni della banca. Potrebbero invece applicarsi delle nuove
condizioni generali, che prevedessero delle simili restrizioni,
laddove venissero approvate dal titolare del conto.
4.
L’integrazione del fattore F nei rapporti correnti con i
clienti
Preoccupazioni di compliance fiscale vanno non solo a configurare gli obiettivi a medio-lungo termine di rinunciare ad
una clientela transfrontaliera non dichiarata, non accettando
quindi nuove relazioni d’affari non conformi fiscalmente, e
abbandonando le relazioni preesistenti che non adempiono
tale criterio. Regolamenti e direttive delle banche incidono
inoltre massicciamente sui rapporti con i clienti, determinando in particolare delle restrizioni sull’operatività sui conti.
Sul piano giuridico dei rapporti contrattuali tra cliente e banca,
quest’ultima, per opporsi alle richieste del cliente, invoca
sovente l’articolo 119 del Codice delle obbligazioni (di seguito
CO), che libera il debitore dall’adempimento contrattuale
allorquando la sua prestazione è divenuta impossibile. La
legge non definisce la nozione di impossibilità della prestazione. È evidente che la banca non si trova in una situazione di
impossibilità fattuale ed oggettiva, poiché la non esecuzione
dell’istruzione del cliente dipende esclusivamente dall’esercizio
di una sua volontà. Quale origine possibile dell’impossibilità,
tuttavia, l’articolo 119 CO non contempla soltanto degli eventi
fattuali, ma anche dei motivi giuridici[10].
Il riferimento all’eccezione giuridica di impossibilità, e quindi
all’articolo 119 CO, diviene tuttavia in ultima analisi una
diversione superflua. Determinante è infatti, in ultima analisi,
conoscere se all’obbligo contrattuale della banca di adempiere
l’istruzione del proprio cliente si oppone, secondo l’articolo 20
CO, un preminente dovere di quest’ultima di non darvi seguito.
Per affrontare la questione in termini plastici, si pone quindi
l’interrogativo se possono imperniarsi nel rapporto orizzontale
di durata tra cliente e banca, che imporrebbe a quest’ultima di
adempiere i propri doveri nei confronti del cliente in base alle
originarie pattuizioni contrattuali, elementi verticali di diritto
pubblico che possono condurre la banca a derogare alle sue
obbligazioni[11].
L’incorporazione di nuove condizioni generali nei rapporti
contrattuali tra banca e cliente presuppone evidentemente
che le stesse siano state portate a conoscenza del titolare del
conto[12], non potendosi ritenere sufficiente, nel caso di disposizioni “posta fermo banca”, la finzione di una loro notifica. Inoltre,
a meno che il cliente non approvi individualmente e singolarmente una nuova disposizione generale in maniera esplicita, ma
le stesse vengano invece approvate dallo stesso globalmente,
non possono applicarsi ai rapporti contrattuali tra le parti nuove
condizioni generali dai contenuti inabituali[13].
Deve essere ritenuta tale una nuova clausola contrattuale
generale che consenta alla banca di non dare esecuzione alle
istruzioni del cliente bloccando unilateralmente l’esecuzione
di istruzioni (prelievi, o bonifici) del cliente laddove la banca
ritenga che la relazione bancaria in oggetto non sia conforme
fiscalmente. Il carattere inabituale di una simile clausola si
evince dal fatto che non incombe alla banca, né per legge
né per contratto, un onere di collaborazione con lo Stato
cui è fiscalmente assoggettato il cliente per accertare i suoi
elementi di sostanza e di reddito imponibili, e di restringere
di conseguenza la sua disponibilità sugli stessi. La banca ha
senz’altro il divieto di non assistere attivamente il cliente in
qualsivoglia forma di evasione fiscale così da non determinare,
per sé stessa, una fonte di rischio. La responsabilità sul pagamento dei tributi fiscali resta però al cliente/contribuente; con
la conseguenza che, difettando in proposito un onere legale
della banca, una conseguenza giuridica (restrizione dell’adempimento delle istruzioni del cliente) che scaturisse da verifiche
in proposito della banca, è da ritenersi inabituale.
Ne discende quindi che di principio non può fondarsi sulle condizioni generali una restrizione all’adempimento di istruzioni
di bonifico e/o di prelievo di clienti, a meno che la clausola
contrattuale generale su cui una simile restrizione si fondi non
sia stata individualmente approvata dal cliente.
6.
Blocchi LRD?
Quali elementi verticali di diritto pubblico che possono fondare
una restrizione nell’adempimento delle istruzioni dei clienti, la
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36
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
base legale si individua, nel diritto svizzero, in particolare nella
legislazione in materia di lotta contro il riciclaggio, e quindi
nell’articolo 10 LRD, che appunto codifica l’obbligo dell’intermediario finanziario di bloccare i beni patrimoniali oggetto di
una comunicazione poiché provengono da un crimine.
Il riferimento a tale norma è tuttavia di scarso supporto
per giustificare le restrizioni nell’esecuzione di istruzioni di
clienti con averi fiscalmente non dichiarati. La Legge federale
concernente l’attuazione delle Raccomandazioni del Gruppo
d’azione finanziaria rivedute nel 2012 (di seguito Legge GAFI),
che introdurrà il 1. gennaio 2016 reati fiscali gravi quali infrazioni che possono dare luogo ad obblighi di comunicazione e
di blocco dei beni dell’intermediario finanziario, si applicherà
infatti soltanto a fattispecie fiscali, tanto nella fiscalità diretta
che in quella indiretta, estremamente qualificate, ed ad infrazioni fiscali commesse dopo il 1. gennaio 2016[14].
Lo strumento legale che il diritto svizzero mette a disposizione
degli intermediari finanziari per bloccare l’esecuzione delle
istruzioni dei clienti non può quindi di principio applicarsi
in materia fiscale. Da un lato, infatti, la semplice sottrazione
fiscale non è sufficiente, e devono invece essere adempiuti degli
elementi qualificanti ulteriori sui quali non è il caso di dilungarsi
nell’ambito del presente contributo. Secondariamente, inoltre,
le disposizioni intertemporali ne impediscono l’applicazione
con riferimento ad infrazioni fiscali commesse prima del 1.
gennaio 2016. Quindi, anche nell’ipotesi in cui si fosse costituita in Svizzera un’importante giacenza patrimoniale non
dichiarata per mezzo di falsificazioni nella contabilità industriale tali da dare luogo ad un sospetto di reati fiscali gravi
e qualificati secondo la Legge GAFI, e anche se tali averi non
dovessero essere dichiarati dopo il 1. gennaio 2016, si perpetuerebbe, dopo tale data, di principio soltanto una sottrazione
fiscale importante, e non già invece una frode fiscale qualificata, con la conseguenza che la LRD continuerebbe ad essere
inapplicabile anche dopo il 1. gennaio 2016. Tale conseguenza,
auspicabile o meno da un profilo di politica legislativa, discende
da una scelta restrittiva che il legislatore ha effettuato nella
definizione dei reati fiscali gravi nell’ambito della Legge GAFI.
7.
Applicazione immediata del diritto estero?
Posto come il diritto interno estero non è, di per sé, applicabile
nell’ordinamento svizzero, una voce della dottrina ha invocato
l’applicazione dell’articolo 19 della Legge federale sul diritto
internazionale privato (di seguito LDIP), che autorizza, a
determinate condizioni, i tribunali svizzeri a prendere in considerazione le disposizioni imperative di uno Stato estero[15].
La norma in questione, tuttavia, non è pertinente. Essa, che
è ritenuta dalla giurisprudenza una norma di applicazione
eccezionale[16] presuppone in effetti la sussistenza di quattro
condizioni cumulative[17]:
◆◆ la norma estera deve postulare imperativamente la sua
applicazione sul piano internazionale;
◆◆ deve avere una connessione stretta con la fattispecie in
questione;
◆◆ deve sussistere, secondo la concezione svizzera del diritto,
un interesse preponderante e degno di protezione affinché
la norma estera venga applicata;
◆◆ e infine occorre che la sua applicazione, alla luce degli scopi
che persegue e delle conseguenze che comporta, dia luogo
a una decisione equa dal profilo della concezione svizzera
del diritto.
Tali condizioni non sono adempiute nella materia in questione.
Infatti, se è vero che gli Stati esteri hanno una competenza
legittima per tassare i loro contribuenti, ovunque siano depositati i loro averi e che le frontiere non consentono di opporsi
all’applicazione del diritto fiscale estero, non è questo diritto di
cui è rivendicata l’applicazione immediata mediante l’articolo
19 LDIP, poiché esso non tocca minimamente i rapporti tra
banche e cliente ma solo quelli tra quest’ultimo e lo Stato in
cui è assoggettato fiscalmente.
Si tratta, per contro, di applicare le regole antiriciclaggio di
questo Stato, le quali hanno tuttavia vocazione ad applicarsi
soltanto sul piano interno ai propri intermediari finanziari. Ne
consegue che già l’oggetto stesso di un’applicazione immediata del diritto estero e cioè l’esistenza di una norma che si
applichi imperativamente anche sul piano internazionale,
fa difetto in questo ambito. In ogni caso, non esiste alcun
interesse preponderante degno di protezione ad applicare in
maniera immediata le regole estere in materia di antiriciclaggio posto come il diritto svizzero conosce, nella materia, un
sistema legislativo e regolamentare estremamente sviluppato
ed esaustivo. Infine, appare contradditorio riferirsi al diritto
penale estero che sanziona la sottrazione d’imposta e il
riciclaggio di averi fiscalmente sottratti con lo scopo di giustificare la violazione di obbligazioni contrattuali della banca
allorquando tale legislazione estera è stata completamente
ignorata nel corso di tutta la relazione d’affari[18].
8.
Nuovi sviluppi legislativi
Un’ulteriore possibile fonte di ispirazione per le banche per giustificare la restrizione nell’esecuzione delle istruzioni dei clienti
è costituita dai nuovi progetti legislativi in ambito di obbligo
di diligenza cresciuti. La dottrina è arrivata addirittura fino a
proporre di mettere in qualche modo in sospeso in maniera
ancora più generale l’esecuzione delle attività sui conti non
conformi fiscalmente fino all’introduzione dello scambio
automatico delle informazioni[19], in maniera tale da creare,
provvisoriamente, fino a quando appunto i contribuenti esteri
non potranno più sfuggire alla trasparenza fiscale, una sorta
di gabbia provvisoria, o di congelamento delle loro situazioni.
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Questa posizione appare tuttavia insostenibile. In primo luogo,
in maniera conforme con il principio della legalità e della sicurezza giuridica, qualsiasi restrizione verticale di diritto pubblico
ai diritti soggettivi dei clienti nei loro rapporti orizzontali con
la banca deve poggiare su una base legale autentica, cioè su
una legge in vigore. Inoltre, in questa concezione, i rischi fiscali
per la banca sono concepiti in maniera imprecisa.
Le banche, infatti, non rispondono di principio per le
obbligazioni fiscali dei loro clienti e non hanno nemmeno
un’obbligazione legale di controllare i loro comportamenti
fiscali: contrariamente a ciò che viene presupposto almeno
in maniera implicita per sostenere la tesi secondo la quale
ogni operazione su un conto non conforme fiscalmente può
essere una fonte di rischio[20] , le banche non hanno in altre
parole una posizione di garante con riferimento agli obblighi
fiscali dei loro clienti che renderebbero punibile una semplice
omissione in caso di esecuzione dell’istruzione di un cliente.
Il rischio per la banca non proviene dunque dalla violazione
di un dovere di un obbligo di garante che non esiste con
riferimento alle obbligazioni fiscali dei clienti, ma invece, in
particolare in base all’esperienza dei procedimenti americani
nei confronti di banche svizzere, da un comportamento attivo
di sollecitazione di clienti non conformi fiscalmente e da un’assistenza attiva fornita loro per sottrarsi ai loro obblighi fiscali.
A questo proposito, l’auspicio delle banche di conquistarsi la
benevolenza degli Stati esteri per cancellare il passato non
costituisce evidentemente un fondamento legale sufficiente
per restringere o per annullare le loro obbligazioni contrattuali
nei confronti dei clienti.
In maniera analoga, il semplice riferimento alla soft law o a
delle dichiarazioni politiche senza effetti giuridici non può
influire sui rapporti orizzontali di diritto privato tra banche e
clienti. Così, la Roadmap tra il Governo svizzero e italiano non
contiene che un programma di lavoro sulla base del quale le
banche svizzere possono certo incoraggiare i clienti italiani a
partecipare al programma di divulgazione fiscale volontario
italiano fornendo loro ogni supporto necessario a questo
scopo[21] , ma non possono certamente forzare in questa
direzione i clienti italiani bloccando ogni operazione sui conti
di clienti ricalcitranti.
9.
Garanzie di irreprensibilità e articolo 30 dell’Ordinanza
LRD-FINMA
Un’ultima fonte verticale per giustificare le restrizioni bancarie
è costituita dalla garanzia di irreprensibilità prevista dall’articolo 3 capoverso 2 lettera c LBCR[22]. Poiché questa garanzia
ha quale scopo principale la protezione del cliente[23] , non
potrà di principio essere invocata dalla banca contro il cliente
al fine di disinnestare il suo obbligo contrattuale di eseguire le
sue istruzioni. E non sarà invece che in casi eccezionali che la
funzione residua di questa garanzia di protezione del sistema
(Funktionsschutz)[24] , che concerne la salvaguardia dell’integrità della piazza bancaria svizzera nel suo insieme, potrà
consentire alla banca di opporsi alla messa in esecuzione delle
istruzioni del cliente.
Ciò sarà in particolare il caso laddove il cliente dovesse
domandare di chiudere una relazione bancaria con dei
prelievi importanti senza ragioni particolari e in maniera
tale da interrompere la tracciabilità del flusso finanziario
(paper trail): in una simile situazione di fatto la necessità per
la banca di preservare la sua garanzia di attività irreprensibile sarebbe messa a repentaglio in caso di esecuzione
di un’operazione visibilmente insolita. In simili fattispecie,
una restrizione bancaria nell’esecuzione di istruzioni dei
clienti potrebbe quindi fondarsi validamente sulla garanzia
di irreprensibilità. In casi analoghi, può giungere in soccorso
all’istituto finanziario anche una base legale esplicita,
ovvero l’articolo 30 dell’Ordinanza LRD-FINMA (articolo 32
nella nuova versione del 3 giugno 2015), che prevede che
l’intermediario finanziario che mette termine a una relazione d’affari dubbia senza procedere a una comunicazione
in assenza di sospetti fondati di riciclaggio, può autorizzare
il prelievo di importanti valori patrimoniali soltanto con
una modalità che permetta alle autorità di perseguimento
penale di poterne seguire la traccia (paper trail). Alla luce dei
rischi fiscali e reputazionali esteri una banca può considerare un conto fiscalmente non conforme estero come una
relazione d’affari dubbia e può quindi rifiutarsi, in tale circostanza, di dare seguito ad una operazione che interrompa
la tracciabilità dei flussi finanziari. Tali disposizioni esplicite
della FINMA, anche nella nuova versione del 3 giugno 2015,
limitano il campo di applicazione delle restrizioni bancarie
alle sole operazioni suscettibili di annullarne la tracciabilità.
Resta da individuarne il perimetro. Vi rientrano, certamente,
i prelievi a contanti per importi cospicui o non giustificabili per incombenze straordinarie. Secondo un’accezione
più estesa e funzionale del criterio di paper trail, possono
rientrarvi le operazioni (anche non a contanti) che sono
manifestamente finalizzate a far disperdere le tracce degli
averi in questione, in particolare mediante bonifici in favore
di relazioni situate in giurisdizioni opache da un profilo della
reperibilità delle informazioni (alla luce, quindi, in particolare,
dell’implementazione delle Raccomandazioni GAFI in materia dei doveri di diligenza e di concretizzazione del principio
Know your customer) oppure in favore di prestanome o di
soggetti terzi che si prestano a tale scopo per una girandola
di transazioni.
37
38
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
10.
Conclusione
Da diversi anni Governo, FINMA e organi dirigenti delle
principali banche svizzere camminano in sintonia verso una
piazza finanziaria fiscalmente conforme. Il trauma di accerchiamento negli anni 2007-2009 fu tale da ispirare un nuovo
comune indirizzo strategico: “Never again”. Prima, troppo
spesso nella piazza finanziaria gli obiettivi commerciali hanno
indotto gli operatori a prestare, nonostante gli obblighi di
prudenza già previsti dal 1977 nella Convenzione di diligenza
bancaria, assistenza attiva ai propri clienti per sottrarsi ai
loro obblighi fiscali, ciò che avveniva nelle forme più diverse,
dall’organizzazione del trasporto di valuta alla messa a
disposizione di entità giuridiche per prevenire l’imposizione
alla fonte (gli “switchies” su cui si è concentrata l’attenzione
anche delle autorità americane e che ha suscitato anche la
disapprovazione degli Stati europei, in particolare dell’Italia,
nell’ambito dell’implementazione dell’Accordo sulla fiscalità
del risparmio[25]). Oggi, FINMA e organi dirigenti delle banche
sono chiamati nel non facile ruolo di attuare il nuovo indirizzo
strategico, in particolare con riferimento ai clienti preesistenti,
in maniera equilibrata e nel rispetto del diritto vigente. Proprio
per ripristinare la credibilità della piazza finanziaria, anche
secondo la funzione di salvaguardia di sistema della garanzia
di irreprensibilità (“Funktionsschutz”), il motto “scurdammoce
o passato” non può tradursi in un annullamento dei legittimi
diritti contrattuali acquisiti dei clienti.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://f.blick.ch/img/incoming/origs2014630/2240487462-w980-h640/
geld-tausendernoten.jpg [03.08.2015]
http://w w w.fuw.ch/wp-content/uploads/2014/07/finma_logo_S640x360.jpg [03.08.2015]
http://www.swissinfo.ch/image/34188728/3x2/640/426/a7f3bb1cd7d6cd
0c78305efc3350f342/nL/188270595-34188730.jpg [03.08.2015]
http://www.siwikinews.it/images/7/71/Soldi_lucchetto.jpg [03.08.2015]
http://consulenza.soldiweb.com/Media/Default/images/630x390/
Lente_conti_630x390.jpg [03.08.2015]
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
[1] Vedi in proposito la relazione di Francesco Trezzini “La legittimità da un profilo civilistico delle
restrizioni bancarie per rischi fiscali esteri: casistica e
sviluppi giurisprudenziali”, nel quadro del seminario
Centro competenze tributarie SUPSI, “Le restrizioni
bancarie all’esecuzione delle istruzioni dei clienti”,
venerdì 17 aprile 2015, in: http://www.supsi.ch/fc/
eventi-comunicazioni/eventi/2015/2015-04-17.
html [03.08.2015].
[2] Posizione della FINMA sui rischi giuridici e di
reputazione nelle operazioni transfrontaliere aventi per oggetto prestazioni finanziarie (“Posizione
della FINMA rischi giuridici”) del 22 ottobre 2010,
in: https://www.finma.ch/it/news/2010/10/mmfinma-positionspapier-rechtsrisiken-20101022
[03.08.2015].
[3] Idem, pagina 11.
[4] Idem, pagina 14.
[5] Vedi in proposito Baumgarten Mark-Oliver/
Burkhardt Peter/Roesch Alexander, Gewährsverfahren im Bankenrecht und Verhältnis zum
Strafverfahren, in: AJP 02/2006, pagine 169-180,
pagina 170; Klein Beat/Schwob Renate/Winzeler
Christoph, Kommentar zum Bundesgesetz über die
Banken und Sparkassen, Zurigo 2013, N 174 ad Art.
3 LBCR.
[6] Vedi in proposito, in prospettiva storica, Molo
Giovanni, Il confine tra la lotta al riciclaggio di denaro
e la repressione dei reati fiscali: un muro di argilla?,
in: RtiD I-2009, pagine 563-594.
[7] Vedi in proposito Zulauf Urs, “Weissgeldstrategie”
für das Schweizer Private Banking?, in: Isler Peter R./
Cerutti Romeo (a cura di), Vermögensverwaltung
VI, Europa Institut Zürich (EIZ), n. 141, 2013, pagine
6-40.
[8] Vedi ad esempio il progetto di revisione della
Legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio
di denaro e il finanziamento del terrorismo nel settore finanziario (di seguito LRD) volto ad introdurre
degli obblighi di diligenza estesi per gli intermediari
finanziari. Vedi in particolare: Consiglio federale, Il
Consiglio federale chiede obblighi di diligenza estesi per impedire l’accettazione di valori patrimoniali
non dichiarati, Comunicato stampa, Berna, 5 giugno
2015, in: https://www.news.admin.ch/message/
index.html?lang=it&msg-id=57552 [03.08.2015].
È interessante tuttavia rilevare in proposito il fenomeno inverso, e cioè che questi indirizzi appaiano
codificare, in parte, la prassi di sorveglianza della FINMA: il principio contenuto nella proposta di
revisione della LRD di tenere conto della difficoltà
soggettiva del contribuente nel regolarizzare i propri averi non dichiarati quale criterio per decidere
se chiudere, o meno, una relazione bancaria preesistente ricalca l’approccio della FINMA che esige dagli
istituti che questi orientino i propri clienti affinché
vengano sfruttate le opportunità di dichiarazione
agevolata nelle giurisdizioni fiscali cui sono assoggettati.
[9] Vedi ad esempio www.ubs.com o www.creditsuisse.com.
[10] Vedi così già Aepli Viktor, Art. 114-126 OR.
Das Erlöschen der Obligation, Band V/1h/, Das
Obligationenrecht, Kommentar zum Schweizerischen Zivilrecht, 3. edizione, Zurigo 1991, N 45 ad
Art. 119 CO.
[11] Questa opposizione tra una prospettiva orizzontale ed una verticale è ripresa dalla relazione di
Francesco Trezzini, op. cit.
[12] Vedi in particolare già Schönenberger Wilhelm/
Jäggi Peter, Kommentar zum Schweizerischen Zivilgesetzbuch, Obligationenrecht, Teilband V 1a, 3.
edizione, Zurigo 1973, N 456 ad Art. 1 CO.
[13] Vedi in proposito già Schönenberger Wilhelm/
Jäggi Peter, op. cit., N 498-499 ad Art. 1 CO.
[14] Vedi in proposito Beusch Michael/Friedli Sara/
Borla Manuel, “Serious Tax Crimes”: come i delitti
fiscali sono divenuti improvvisamente dei crimini,
pagine 529-551; Molo Giovanni, Il recepimento del
riciclaggio fiscale nel diritto svizzero: cause e conseguenze pratiche, pagine 552-585, entrambi in:
Vorpe Samuele (a cura di), Contravvenzioni e delitti
fiscali nell’era dello scambio internazionale d’informazioni, Scritti in onore di Marco Bernasconi, Manno
2015; sull’applicazione in temporale a partire dal 1.
gennaio 2016 della nuova fattispecie fiscale qualificata nell’ambito della fiscalità indiretta anche in
assenza di una disposizione transitoria esplicita in
virtù dei principi generali di diritto penale di diritto intertemporale del Codice Penale vedi Cassani
Ursula, L’extension du système de lutte contre le
blanchiment d’argent aux infractions fiscales: Much
Ado About (Almost) Nothing, in: RSDA 2/2015,
pagine 78-90, pagina 77.
[15] Vedi in particolare Lombardini Carlo, Comment
les banques peuvent-elles résister aux demandes
de transfert des clients défiscalisés?, in: Le Temps,
lunedì 2 marzo 2015, http://www.letemps.ch/Page/
Uuid/479db3f2-c037-11e4-b1aa-59105399a835/
Comment_les_banques_peuvent-elles_r%C3%A9sister_
aux_demandes_de_transfert_des_
clients_d%C3%A9fiscalis%C3%A9s
[03.08.2015];
Lombardini Carlo, Banques et clients en situation
fiscale irrégulière, un état des lieux, in: Not@lex,
revue de droit privé et fiscal du patrimoine, 2015/33,
pagine 33-52, pagine 48-52.
[16] Vedi in proposito Tribunale federale, Prima Corte
Civile, 7 maggio 2004, A.B. contro D.SA., sentenza n.
4C.332/2003, in: SJ 2004 I, pagina 576, consid. 3.5.
[17] Idem, consid. 3.2.
[18] In questo senso anche Béguin Marc, Avoirs bancaires non déclarés: réponse à Carlo Lombardini,
in: Le Temps, giovedì 12 marzo 2015, http://www.
letemps.ch/Page/Uuid/d95c6f24-c80f-11e4959d-74804f4bcbe7/Avoirs_bancaires_non_d%C3
%A9clar%C3%A9s_r%C3%A9ponse_%C3%A0_Carlo_Lombardini [03.08.2015].
[19] Vedi Matteotti René/Bourquin Gabriel/Many
Selina, Steuerrisiken mit Offshore-Strukturen für
Banken und ihre Mitarbeiter, Chancen und Gefahren der geplanten Bestimmungen gegen die
Geldwäscherei bei Steuerhinterziehungen und des
automatischen Informationsaustausches in der
Vermögensverwaltung, in: ASA 82 (2013/2014),
pagine 669-709, pagine 706-709.
[20] Idem, pagina 700.
[21] Vedi Roadmap on the way forward in fiscal and
financial issues between Italy and Switzerland, del
23 febbraio 2015, in: http://www.news.admin.ch/
NSBSubscriber/message/attachments/38401.pdf
[03.08.2015].
[22] È su tale principio che si è in particolare fondata
la estesa giurisprudenza della Pretura di Lugano che
si è sviluppata in proposito, vedi relazione Trezzini
Francesco, op. cit.
[23] Vedi DTF 106 1b 145, consid. 2a.
[24] Kleiner Beat/Schwob Renate, N 163-166 ad Art.
3 LBCR, in: Zobl Dieter et al. (a cura di), Kommentar
zum Bundesgesetz über die Banken und Sparkassen,
Zurigo 2014.
[25] Vedi, critico sulla “disinvoltura” in merito all’elusione dell’Accordo sulla fiscalità del risparmio
Manzitti Andrea, I rapporti fiscali tra la Svizzera e l’UE
a dieci anni dalla Direttiva sulla fiscalità del risparmio, pagine 376-386, in: Vorpe Samuele (a cura di),
op. cit.
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IVA e imposte indirette
Il rimborso dell'IVA italiana per i soggetti
passivi non appartenenti all'UE
Sara Montalbetti
Dottore Commercialista
Maisto e Associati, Milano
Anche gli operatori economici svizzeri possono presentare istanza di rimborso per il 2014 entro il prossimo 30
settembre 2015
1.
Premessa
Il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA)
italiana a favore dei soggetti non residenti trova la sua disciplina specifica negli articoli 38-bis2 e 38-ter del Decreto del
Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 633/1972 (di seguito
Decreto IVA) che riguardano gli operatori economici residenti
rispettivamente in altri Stati membri ed in Stati non appartenenti all’Unione europea (di seguito UE).
In particolare, l’articolo 38-ter [1] con riferimento ai rimborsi ai
soggetti passivi non appartenenti all’UE ha recepito in Italia
le regole stabilite in modo armonizzato a livello comunitario
dalla Direttiva n. 86/560/CE del Consiglio del 17 novembre
1986 (di seguito Tredicesima Direttiva).
Le regole applicative per tali rimborsi[2] sono state in parte
integrate e modificate nel 2010, a seguito della riforma introdotta dalla cosiddetta “VAT Package”[3]. La normativa nazionale,
così come interpretata dall’Amministrazione finanziaria,
presenta tuttavia ancora oggi alcuni profili di incompatibilità
rispetto a quanto previsto dal diritto comunitario.
2.
Condizioni
L’articolo 38-ter Decreto IVA definisce le modalità procedurali
per l’esecuzione dei rimborsi IVA ai soggetti passivi stabiliti
in Stati non appartenenti all’UE. Si tratta di una procedura di
rimborso diretto[4] che può essere applicata soltanto al ricorrere di specifiche condizioni oggettive e soggettive.
Innanzitutto, conformemente a quanto previsto dalla
Tredicesima Direttiva, la procedura di rimborso diretto è
applicabile soltanto a condizione di reciprocità, vale a dire nei
confronti degli operatori economici stabiliti in Stati esteri che
riconoscono ai soggetti passivi stabiliti in Italia un analogo
diritto al rimborso dell’imposta sulla cifra d’affari applicata
localmente[5]. Tale procedura si applica anche nei confronti
degli operatori economici svizzeri. Infatti l’Agenzia delle
Entrate ha confermato che al momento tale procedura di
rimborso si applica soltanto per i soggetti passivi stabiliti in
Israele, Norvegia e Svizzera. Gli operatori economici stabiliti in
altri Stati terzi possono invece ottenere il rimborso dell’imposta unicamente a seguito della nomina di un rappresentante
IVA in Italia.
Per quanto riguarda le condizioni soggettive che devono
essere verificate, innanzitutto, è opportuno premettere che
possono accedere alla procedura di rimborso diretto soltanto
i soggetti passivi IVA che esercitano “un’attività d’impresa, arte
o professione” [6].
La procedura di rimborso diretto non è inoltre applicabile se
il soggetto passivo estero ha effettuato nel periodo di riferimento operazioni attive rilevanti ai fini IVA in Italia, salvo
alcune eccezioni. In particolare, non rilevano a tal fine (i) le
cessioni di beni e le prestazioni di servizi soggette al meccanismo del reverse charge per le quali il debitore dell’imposta è
il cessionario o committente[7] , (ii) le prestazioni di trasporto
non imponibili e quelle ad esse accessorie, nonché (iii) i servizi cosiddetti “Business to Consumer” di telecomunicazione,
teleradiodiffusione e i servizi elettronici resi da soggetti non
residenti nell’ambito dello specifico regime speciale introdotto
a decorrere dal 1. gennaio 2015.
Ciò premesso, ad esempio, non possono avvalersi della procedura di rimborso diretto in questione i soggetti esteri che
hanno una posizione IVA italiana e che fatturano forniture di
beni o di servizi territorialmente rilevanti ai fini IVA in Italia nei
confronti di privati o di soggetti passivi non residenti o che
effettuano dall’Italia cessioni all’esportazione o cessioni intracomunitarie di beni. Anche l’invio di beni in conto lavorazione
in Italia può, in alcune circostanze, pregiudicare il diritto di
avvalersi della procedura di rimborso diretto[8].
La medesima procedura inoltre è esclusa se il soggetto non
residente dispone in Italia di una stabile organizzazione[9].
Su tale aspetto la normativa italiana, così come interpretata
dall’Agenzia delle Entrate, non risulta allineata rispetto a
quanto previsto dal diritto comunitario. Infatti, la mera
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
presenza di una stabile organizzazione in Italia nel periodo cui
si riferisce il rimborso preclude l’applicabilità della procedura
di rimborso diretto. Viceversa, secondo la normativa[10] e la
giurisprudenza comunitaria[11] , tale procedura di rimborso
dovrebbe essere preclusa soltanto se viene accertato che nel
periodo di riferimento la stabile organizzazione ha concretamente effettuato operazioni attive[12] nello Stato membro
del rimborso[13].
◆◆ originali delle fatture di acquisto e delle bollette doganali di
importazione;
◆◆ documentazione da cui si evinca il pagamento delle operazioni effettuate;
◆◆ attestazione rilasciata dall’Amministrazione dello Stato di
stabilimento del richiedente, dalla quale risulti la qualità di
soggetto passivo IVA, nonché la data di decorrenza di tale
iscrizione[20].
La nomina del rappresentante IVA non dovrebbe invece
precludere l’accesso alla procedura di rimborso diretto, in
presenza delle altre condizioni normativamente richieste. Tale
principio è stato recentemente sancito dalla CGUE e dovrebbe
di fatto superare l’opinione contraria informalmente espressa
in passato dall’Agenzia delle Entrate[14].
Di regola la richiesta viene presentata con periodicità
annuale[21] , ma sono ritenute valide anche le istanze trimestrali, purché riferibili ad un importo non inferiore a 400 euro
per un trimestre solare. In pratica, sono ammesse anche le
istanze riferite ad uno dei seguenti periodi:
Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del
1. aprile 2010 stabilisce che il rimborso dell’imposta assolta
nello Stato italiano spetta “in relazione a beni e servizi ivi acquistati e importati, con le modalità previste dal decreto ministeriale
20 maggio 1982, n. 2672”. In particolare, il rimborso spetta
“limitatamente all’imposta relativa agli acquisti ed importazioni di
beni mobili e servizi inerenti” all’attività svolta dal richiedente e
soltanto se “detraibile” secondo le disposizioni nazionali[15].
Il rimborso non spetta, ad esempio, se l’imposta è oggettivamente indetraibile o se è stata erroneamente addebitata.
Deve invece essere riconosciuto, al ricorrere di tutte le condizioni ivi previste, il rimborso per i soggetti passivi esteri che
effettuano talune operazioni finanziarie e assicurative nei
confronti di destinatari non stabiliti nell’UE[16].
Inoltre, se il soggetto estero effettua unicamente operazioni
esenti o non soggette, che secondo la normativa comunitaria
non danno diritto alla detrazione dell’imposta, il diritto al
rimborso è escluso. In relazione a tale aspetto le istruzioni
per la compilazione della richiesta di rimborso[17] prevedono
che “il diritto al rimborso dell’IVA è condizionato all’effettivo
assoggettamento all’imposta dell’attività svolta dal richiedente nel
proprio Stato, con conseguente esclusione o limitazione nell’ipotesi
di attività totalmente o parzialmente esente; in quest’ultima ipotesi
il richiedente avrà diritto al rimborso parziale dell’IVA assolta pari al
pro-rata di detrazione” [18].
3.
Modalità e termini
L’istanza di rimborso, compilata in stampatello su apposito
modello (Modello IVA 79), in lingua italiana o inglese, deve
essere inviata per posta con raccomandata AR, tramite corriere o consegnata a mano all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate
competente per i rimborsi IVA a soggetti non residenti (Centro
Operativo di Pescara).
La richiesta deve essere presentata entro e non oltre il 30 settembre dell’anno successivo a quello cui si riferisce la richiesta.
Tale termine deve considerarsi perentorio[19].
L’istanza può essere presentata esclusivamente in formato
cartaceo e deve essere corredata dalla seguente documentazione:
◆◆
◆◆
◆◆
◆◆
I trimestre (gennaio - marzo);
II trimestre (aprile - giugno);
III trimestre (luglio - settembre);
IV trimestre (ottobre - dicembre).
È ammessa anche la richiesta di rimborso per un periodo
inferiore a tre mesi ma soltanto nell’ipotesi in cui tale periodo
rappresenti la parte residua di un anno solare. Il rimborso deve
essere eseguito entro sei mesi dalla ricezione della richiesta di
rimborso ovvero, in caso di richiesta di informazioni aggiuntive, entro otto mesi dalla medesima[22]. In caso di ritardo
nell’erogazione dei rimborsi sulle somme dovute si applicano
gli interessi nella stessa misura prevista per i rimborsi interni
(attualmente del 2% su base annuale)[23]. Gli interessi non
sono, tuttavia, dovuti allorché il richiedente non fornisca, entro
un mese, le informazioni aggiuntive richieste dall’Ufficio o nel
caso in cui non siano stati allegati alla richiesta di rimborso
tutti i documenti richiesti. I rimborsi sono effettuati direttamente dal Centro operativo di Pescara e vengono accreditati
sul conto corrente bancario designato dal richiedente[24]. A
differenza dei rimborsi richiesti secondo la procedura prevista
per i soggetti stabiliti o registrati ai fini IVA in Italia[25] , non è
richiesta la presentazione di una specifica garanzia.
In caso di diniego, il Centro operativo di Pescara emana, entro
lo stesso termine, apposito provvedimento motivato avverso
il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni nazionali
relative al contenzioso tributario. Se successivamente alla
esecuzione del rimborso l’Ufficio viene a conoscenza di
fatti o elementi che fanno venir meno il diritto al rimborso,
viene emesso un motivato provvedimento di recupero delle
41
42
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
somme indebitamente riscosse e vengono irrogate le relative
sanzioni. In tal caso, il contribuente extracomunitario è tenuto
alla restituzione delle somme rimborsate entro sessanta
giorni dalla notifica del provvedimento di recupero. Inoltre si
applica la sanzione amministrativa compresa fra il 200 ed il
400% della somma rimborsata[26]. L’Ufficio provvede altresì
a sospendere ogni ulteriore rimborso al soggetto interessato
fino a quando non sia restituita la somma indebitamente
rimborsata e pagata la relativa sanzione.
subordinato, in deroga ai principi ordinari, all’avvenuto pagamento dell’imposta addebitatagli in via di rivalsa dal fornitore),
nelle medesime circostanze e al ricorrere di tutte le necessarie
condizioni, deve essere fatto salvo anche il diritto al rimborso
in ambito internazionale. Tale conclusione è valida anche per
i soggetti esteri, compresi quelli stabiliti in uno Stato non
appartenente all’UE[31]. Infatti, il rimborso è una modalità
procedurale che consente di garantire la neutralità dell’imposta, in quanto permette ai soggetti passivi di ottenere il
recupero dell’imposta assolta sugli acquisti di beni e di servizi
effettuati nell’ambito della propria attività economica.
Infine, occorre ricordare che la procedura di rimborso diretto
di cui si discute è altresì applicabile per i soggetti esteri domiciliati o residenti in Stati non appartenenti all’UE che si sono
identificati in Italia (o in un altro Stato membro) avvalendosi
del regime speciale applicabile, a decorrere dal 1. gennaio
2015, per i servizi elettronici e per quelli di telecomunicazione e di teleradiodiffusione[32]. In tal caso la procedura di
rimborso diretto rappresenta l’unica soluzione praticabile per
poter recuperare l’eventuale imposta assolta in Italia[33]. Per
tale ragione la procedura è ammessa a favore degli operatori
economici domiciliati o residenti in tutti gli Stati terzi, a prescindere dalla sussistenza della condizione di reciprocità[34].
4.
Considerazioni conclusive
Per il recupero dell’imposta assolta in Italia in relazione agli
acquisti di beni e di servizi o alle importazioni di beni imponibili, effettuati nell’ambito della propria attività economica,
gli operatori stabiliti in alcuni Stati non appartenenti all’UE,
tra i quali anche la Svizzera, possono valutare l’opportunità di
presentare una istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate in
base alla disciplina illustrata nei precedenti paragrafi. Come
già precisato, tale procedura consente di ottenere un rimborso
dell’imposta direttamente, senza dover necessariamente
aprire una posizione IVA in Italia.
In alternativa, al ricorrere di specifiche condizioni, i medesimi
operatori economici possono anche decidere di nominare un
rappresentante IVA[27] in Italia. In tal caso occorre considerare che la nomina del rappresentante IVA deve avvenire, di
regola, in epoca anteriore[28] all’effettuazione delle operazioni
passive che originano il credito IVA.
Le predette due soluzioni sono entrambe percorribili, in
presenza delle diverse condizioni rispettivamente previste,
per ottenere il rimborso dell’imposta assolta in Italia. Tale
conclusione è valida, sempre che siano rispettate alcune
condizioni, anche quando il soggetto estero dovesse subire la
rivalsa dell’imposta esercitata tardivamente da un proprio fornitore, a seguito di un accertamento IVA effettuato in capo a
quest’ultimo dall’Amministrazione finanziaria. Infatti, in base a
quanto attualmente previsto dalla normativa IVA Italiana[29] ,
se viene accertata l’omessa applicazione dell’imposta[30] , il
fornitore ha il diritto di esercitare la rivalsa dell’imposta nei
confronti del proprio cliente dopo aver pagato all’Erario l’imposta accertata (unitamente ai relativi interessi e alle relative
sanzioni). In tale ipotesi, così come viene fatto salvo, in ambito
nazionale, il diritto di detrazione a favore del cliente (che resta
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http://img.plug.it/sg/economia2009/upload/730/0003/730-precompilato-367.jpg [03.08.2015]
http://www.casaeclima.com/public/casaeclima/Immagini%20sito/2015/
italia2/iva_reverse_charge.jpg [03.08.2015]
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
[1] Il primo comma dell’articolo 38-ter prevede che
“la disposizione del primo comma dell’articolo 38-bis2
si applica, a condizione di reciprocità, anche ai soggetti esercenti un’attività d’impresa, arte o professione,
stabiliti in Stati non appartenenti alla Comunità, limitatamente all’imposta relativa agli acquisti e importazioni
di beni mobili e servizi inerenti alla loro attività”.
[2] Contenute anche nei Provvedimenti del Direttore
dell’Agenzia delle Entrate n. 53471/2010 del 1. aprile
2010 (articolo 3) e n. 64109/2010 del 29 aprile 2010.
[3] Gli articoli 38-bis2 e 38-ter Decreto IVA sono
stati integralmente riformulati a seguito della
riforma introdotta dalla cosiddetta “VAT Package”
avvenuta nel 2010 ed attuata in Italia con il Decreto legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 18/2010. Si precisa
che nell’ambito di tale riforma la materia dei rimborsi
a non residenti è stata strutturalmente modificata
soprattutto per quel che riguarda i rimborsi a soggetti stabiliti in un altro Stato membro dell’UE, a
seguito del recepimento della Direttiva n. 2008/9/
CE del 12 febbraio 2008 che ha sostituito, a decorrere dal 1. gennaio 2010, la Direttiva n. 79/1072/CEE
del 6 dicembre 1979 (cosiddetta “Ottava Direttiva”).
Fino al 31 dicembre 2009 l’articolo 38-ter riguardava tutti i rimborsi a soggetti non residenti. A seguito
della predetta riforma l’articolo 38-ter si riferisce
soltanto ai rimborsi ai soggetti passivi non appartenenti all’UE. Si ricorda infine che l’articolo 38-ter
è stato riformulato anche a seguito della sentenza
della Corte di Giustizia dell’UE (di seguito CGUE) del
16 luglio 2009, causa C-244/08, Commissione/Italia
che aveva ritenuto illegittima la normativa nazionale allora vigente in quanto, in presenza di una
stabile organizzazione nel territorio italiano che
avesse effettuato operazioni attive rilevanti in Italia, imponeva ai soggetti non residenti di attivare la
procedura di rimborso diretto per recuperare l’IVA
assolta sugli acquisti effettuati direttamente dalla
casa madre estera.
[4] Generalmente si definisce tale procedura di “rimborso diretto” in quanto l’imposta viene rimborsata
direttamente al soggetto non residente senza che
quest’ultimo abbia la necessità di gestire una posizione IVA in Italia.
[5] L’articolo 2, paragrafo 2 della Tredicesima Direttiva prevede che gli Stati membri “possono subordinare
il rimborso […] alla concessione da parte degli Stati terzi
di vantaggi analoghi nel settore delle imposte sulla cifra
d’affari”. Inoltre, il successivo articolo 3, paragrafo 2
della medesima Direttiva prevede che il rimborso
“non può essere concesso a condizioni più favorevoli di
quelle applicate ai soggetti passivi della Comunità”. In
relazione a tale aspetto vale la pena di ricordare che,
secondo la giurisprudenza della CGUE (cfr. sentenza del 7 giugno 2007, causa C-335/05 Rizeni L. P.), gli
Stati membri possono esigere la condizione di reciprocità in materia di rimborso IVA ai residenti in Stati
terzi, ma possono anche prescinderne e basarsi su
altri accordi internazionali, come quello derivante
dall’accordo generale sugli scambi di servizi (General
Agreement on Trade in Services, GATS), il cui articolo
II n. 1) recita: “Per quanto concerne le misure contemplate dal presente accordo, ciascun membro è tenuto ad
accordare ai servizi e ai prestatori di servizi di un qualsiasi altro membro, in via immediata e incondizionata, un
trattamento non meno favorevole di quello accordato ad
analoghi servizi e prestatori di servizi di qualsiasi altro
Paese”. Infatti, la CGUE ha ritenuto che l’articolo 2, n.
2 della Tredicesima Direttiva si applica nei confronti
di tutti i soggetti passivi non residenti nel territorio
dell’UE in quanto l’espressione “Stati terzi” ivi menzionata comprende l’insieme degli Stati terzi, senza
distinzioni; inoltre, tale disposizione, non introducendo un obbligo ma accordando semplicemente
una facoltà, non pregiudica il potere e la responsabilità degli Stati membri di rispettare i loro obblighi
derivanti da accordi internazionali (come il GATS).
[6] Tale condizione deve essere verificata in base
alle disposizioni recate dagli articoli 4 e 5 Decreto
IVA che definiscono la nozione di soggetto passivo
IVA e che devono essere comunque interpretate in
base ai principi generali contenuti nell’articolo 9 della
Direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006 (di
seguito Direttiva IVA).
[7] Secondo quanto previsto dall’articolo 17, secondo
comma Decreto IVA.
[8] A tal fine occorre tenere conto in particolare dei
principi interpretativi sanciti dalla CGUE nella sentenza del 2 ottobre 2014, causa C-446/13 Fonderie 2A.
[9] In relazione a tale profilo l’articolo 38-ter rimanda alle condizioni soggettive indicate nell’articolo
38-bis2 Decreto IVA.
[10] In particolare ci si riferisce all’articolo 192-bis
Direttiva IVA e all’articolo 53 Regolamento UE n.
2011/282 del 15 marzo 2011.
[11] Come sancito dalla CGUE nella sentenza del 25
ottobre 2012, cause riunite C-318/11 e C-319/11, Daimler AG & Widex A/S.
[12] Diverse da quelle soggette al meccanismo del
reverse charge e dalle prestazioni non imponibili di
trasporto e relative prestazioni accessorie.
[13] In pratica l’applicabilità della procedura di
rimborso diretto dovrebbe essere ammessa a
prescindere dalla mera presenza di una stabile organizzazione.
[14] La nomina del rappresentante IVA non è una
condizione espressamente prevista dalle disposizioni di riferimento, sia nazionali che comunitarie.
L’Agenzia delle Entrate aveva considerato ostativa
tale condizione (cfr. FAQ pubblicate sul sito internet
dell’Agenzia delle Entrate in data 12 luglio 2010). Tuttavia, ad oggi tale interpretazione dovrebbe ritenersi
superata per effetto di quanto affermato dalla CGUE
nella sentenza del 6 febbraio 2014, causa C-323/12
E.ON G.C. SE, ancorché con riferimento alla disciplina
che riguarda i rimborsi a soggetti stabiliti in altri Stati
membri.
[15] In base alle disposizioni recate dagli articoli 19 e
seguenti Decreto IVA.
[16] In linea di principio, l’imposta sugli acquisti
destinati alle predette operazioni risulta detraibile
– e quindi rimborsabile – conformemente a quanto
previsto dall’articolo 19, terzo comma, lettera a-bis
Decreto IVA. Tale principio è desumibile dalla sentenza della CGUE del 15 luglio 2010, causa C-582/08,
Commissione UE vs Regno Unito di Gran Bretagna e
Irlanda del Nord.
[17] Cfr. istruzioni al Modello IVA 79 (punto E).
[18] L’Ottava Direttiva, che regola i rimborsi a soggetti stabiliti in un altro Stato membro, prevede
espressamente che, se il soggetto passivo effettua
nello Stato membro in cui è stabilito sia operazioni che danno diritto alla detrazione sia operazioni
che non conferiscono diritto alla detrazione in tale
Stato membro, il rimborso è ammesso “soltanto per
il pro-rata dell’importo dell’IVA rimborsabile”, come
determinato nello Stato membro di stabilimento.
L’applicabilità di tale principio è stata estesa ai rimborsi riguardanti i soggetti non appartenenti all’UE,
ancorché tale condizione non sia a tal fine espressamente prevista dalla Tredicesima Direttiva. In
relazione a tale aspetto si deve inoltre considerare
che l’articolo 13 Ottava Direttiva stabilisce che il contribuente è tenuto a modificare l’importo chiesto a
rimborso qualora successivamente alla presentazione della relativa istanza sia tenuto ad effettuare una
rettifica della detrazione per mutamento del pro-rata.
[19] Cfr. sentenza della CGUE del 21 giugno 2012,
causa C-294/11, Elsacom, nonché sentenza della Corte di Cassazione del 3 luglio 2013, n. 16692.
[20] Il predetto certificato ha validità annuale dalla
data del rilascio e può essere utilizzato per tutte le
istanze presentate nel medesimo anno.
[21] Se l’importo è inferiore a 50 euro, il rimborso non
può essere richiesto.
[22] Come previsto dal secondo comma dell’articolo
38-ter Decreto IVA.
[23] Stabilito dal primo comma dell’articolo 38-bis
Decreto IVA.
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[24] Cfr. articolo 2 Decreto Ministeriale n. 2672/1982.
[25] Disciplinata dall’articolo 38-bis Decreto IVA.
[26] Tale sanzione è stabilita dal quarto comma
dell’articolo 38-ter Decreto IVA. In proposito si
deve considerare che tale sanzione è pari al doppio
di quella prevista, per la medesima fattispecie, per i
rimborsi IVA ai soggetti comunitari (prevista dall’undicesimo comma dell’articolo 38-bis2 Decreto IVA).
[27] Secondo l’opinione dell’Amministrazione finanziaria italiana attualmente i soggetti passivi stabiliti
in Stati non appartenenti all’UE non possono avvalersi dell’istituto dell’identificazione diretta prevista
dall’articolo 35-ter Decreto IVA, in alternativa alla
nomina di un rappresentante IVA. Tale conclusione è
stata formalmente confermata in passato (cfr. Risoluzione n. 220/E del 5 dicembre 2003) e ad oggi non
risulta sia stata avallata un’opinione meno restrittiva.
[28] Di regola la nomina del rappresentante IVA deve
essere sempre preventiva. Ad esempio, in passato
l’Agenzia delle Entrate ha affermato che per l’imposta relativa ad acquisti e importazioni effettuati
anteriormente alla nomina del rappresentante IVA
può soltanto essere oggetto di rimborso diretto nel
rispetto delle condizioni previste dall’articolo 38-ter
Decreto IVA (cfr. Risoluzione n. 301/E del 12 settembre 2002). Esistono tuttavia alcune perplessità sul
punto in quanto in linea di principio la nomina tardiva del rappresentante IVA – purché effettuata in
termini ragionevoli – non può pregiudicare il diritto
alla detrazione (rectius al recupero) dell’imposta. Tale
conclusione è stata anche definitivamente confermata dalla CGUE (cfr. sentenza del 21 ottobre 2010,
causa C-385/09 Nidera).
[29] L’ultimo comma dell’articolo 60 Decreto IVA,
come modificato dall’articolo 93 Decreto Legge n.
1/2012, prevede che “il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad
avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a
seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore
imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il
cessionario o il committente può esercitare il diritto
alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa
al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di
rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.
[30] Ad esempio, quando le operazioni sono state
considerate escluse, esenti o non imponibili e invece avrebbero dovuto essere considerate imponibili
o quando è stata applicata un’aliquota IVA inferiore
rispetto a quella corretta. Il medesimo principio è
valido anche in caso di rettifica di una bolletta doga-
nale per un’importazione a seguito della revisione
dell’accertamento effettuata dalle autorità doganali.
[31] A tal proposito l’Agenzia delle Entrate ha altresì
confermato che per tutelare il principio di neutralità dell’imposta, si ritiene possibile procedere alla
nomina del rappresentante fiscale anche successivamente al perfezionamento dell’operazione
originaria, fino al pagamento dell’imposta addebitata in via di rivalsa ai sensi dell’articolo 60, purché
si tratti di un adempimento cui il soggetto non residente non fosse già tenuto (cfr. Circolare n. 35/E del
17 dicembre 2013, paragrafo 3.1).
[32] Disciplinato dall’articolo 74-quinquies Decreto
IVA.
[33] Come previsto dall’articolo 38-ter, comma 1-bis
Decreto IVA, come modificato dall’articolo 4, comma 1, lettera c) D.Lgs. n. 42/2015.
[34] A differenza di quanto precisato nel precedente
paragrafo 2.
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