Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ Alicja Raczyńska Università Jagellonica di Cracovia IL MOTIVO DELLA METAMORFOSI NEL TUMULUS IELSEMINAE PUELLAE IN FLOREM VERSAE DI GIOVANNI PONTANO La bellezza e la gioventù che vengono improvvisamente spente da una morte crudele: ecco il tema di molte elegie epigrafiche dalla raccolta De tumulis di Giovanni Pontano. Una di esse è Tumulus Ielseminae puellae in florem versae, nel quale la triste storia di una bella fanciulla, morta prima di aver compiuto i voti fatti ad Imene, viene arricchita dal motivo della metamorfosi, ispirato al poema ovidiano. 1 La storia di Ielsemina (Gelsomina) viene raccontata da Genio (Genius). La divinità tutelare prega quelli che passano accanto alla tomba di risparmiare le viole e di non offendere le ombre dei morti. Quei fiori erano prima una bella fanciulla che non era riuscita a compiere i suoi voti. Parce, hospes violis: manes nec laede sepultos; si nescis, flores hi quoque numen habent. Quae violae nunc sunt, fuit olim culta puella, vota parum felix solvere quae nequiit. 2 (Pontano, Tum. I. 52, vv. 1–4) La ragazza aveva promesso i suoi primi baci e abbracci ad Imene, il dio protettore delle nozze. Purtroppo, la Moira Lachesi si era opposta a ciò e aveva tagliato lo stame della sua vita. La splendida bellezza della fanciulla doveva appassire nella tomba: Certarant quaeque ora rosis, quaeque oscula gemmis, atque oculi, per quos bella parabat Amor, tabuerant (immane nefas) tenuesque papillae. scilicet optasse quas Cytherea sibi. (vv. 9–12) Allora era intervenuto Imene che si era ricordato dei voti d’amore fatti dalla fanciulla. Sentendo pietà della morta e volendo premiarla per la fedeltà aveva trasformato il suo corpo in un bel fiore che avrebbe portato il suo nome: 1 Le traduzioni dei nomi provengono dall’antologia Poeti latini del Quattrocento, a cura di Francesco Arnaldi, Lucia Gualdo Rosa, Liliana Monti Sabia, Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1964. 2 Ioannes Iovianus Pontanus, Carmina: ecloghe, elegie, liriche, a cura di Johannes Oeschger, Bari, Laterza, 1948. Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ 82 Alicja Raczyńska Tum memor ipse sibi votos Hymenaeus amores transtulit in florem corpora versa novum […] Ielsemina fuit nomen. flos dictus ab illo est […]. (vv. 13–14, 23) In questa elegia epigrafica si può quindi rilevare il motivo della metamorfosi di un essere umano in una pianta ispirato fortemente alle Metamorfosi di Ovidio. Nel poema dell’autore romano possiamo trovare la trasformazione della creatura umana in un albero, in un fiore oppure in una pianta nelle favole seguenti: Apollo e Dafne (Met. I, vv. 452–567), Narciso (Met. III, vv. 339–510 ), Leucotoe e Clizia (Met. IV, vv. 190– –270), Filemone e Baucis (Met. VIII, vv. 611–724 ), Lotis e Driope (Met. IX, vv. 324– –393), Cipresso, Giacinta e Mirra (Met. X, vv. 86–147, 162–219, 298–502). La prima questione rilevante da esaminare è la descrizione del processo della metamorfosi sia nell’elegia epigrafica di Pontano che nelle sopraccitate favole. In Pontano la trasformazione del corpo della ragazza procede nel modo seguente: Pro cute subriguit cortex, proque ossibus haesit Stipes et e fibris fibra renata sua est; plurima quae fuerat nymphae coma, plurima mansit et densum foliis praebet opaca nemus. (vv. 15–18) La pelle si trasforma in corteccia, le ossa nello stelo e le cellule umane in quelle di un fiore. I capelli folti della fanciulla diventano invece un ricco fogliame. La metamorfosi pontaniana di un essere umano in una pianta segue quindi lo schema delle metamorfosi ovidiane in alberi, nelle quali si rpete la trasformazione delle 3 braccia in rami, dei capelli in foglie, la perdita della voce e l’irrigidimento nel suolo . Un buon esempio in tal senso è offerto dalla storia di Dafne nel primo libro del poema ovidiano: Vix prece finita, torpor grauis occupat artus, Mollia cinguntur tenui praecordia libro, In frondem crines, in ramos bracchia crescunt; Pes modo tam uelox pigris radicibus haeret, Ora cacumen habent; remanet nitor unus in illa. 4 (Ovid., Met. I, vv. 548–552 ) Va però osservato che Pontano, rappresentando la metamorfosi di Gelsomina, può imitare solo fino ad un certo punto le descrizioni di cambiamenti in fiori offerte da Ovidio, visto che esse sono molto concise. In questo caso si tratta di una forma di diminuzione, giacché il fiore si forma prestissimo, nasce dal sangue oppure appare al posto di una persona improvvisamente smarrita, quasi confermando le parole di 5 Pitagora del libro XV 165: Omnia mutantur, nihil interit . In questo contesto occorre citare il passo dal libro dal libro III delle Metamorfosi in cui si parla della trasformazione di Narciso: 3 Cfr. Lidia Winniczuk, La metamorfosi nelle metamorfosi, „EOS” LVII/1 (1969), p. 125. Ovide, Les Métamorphoses, texte établi et traduit par Georges Lafaye, Paris, Les Belles Lettres, 1994. 5 Cfr. L. Winniczuk, La metamorfosi in metamorfosi, op. cit., pp. 126–127. 4 Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ Il motivo della metamorfosi nel Tumulus Ielseminae puellae in florem versae di G. Pontano 83 Planxerunt dryades; plangentibus adsonat Echo. Iamque rogum quassasque faces feretrumque parabant; Nusquam corpus erat; croceum pro corpore florem Inueniunt foliis medium cingentibus albis. (Met. III, vv. 507–510) Mentre tutti rimpiangono la morte del fanciullo e preparano il rogo funebre, il corpo di Narciso scompare e al suo posto appare un fiore di colore zafferano con foglie bianche. Nel caso di Giacinto, un bel giovanotto ucciso da Apollo in seguito di un incidente, il fiore nasce dal sangue che cade sull’erba: Ecce cruor, qui fusus humo signauerat herbas, Desinit esse cruor Tyrioque nitentior ostro Flos oritur […]. (Met. X, vv. 210–212) Una descrizione più dettagliata della tramutazione in fiore è quella di Clizia inclusa nel libro IV. La figlia di Oceano, respinta da Elio dopo che questi si è inamorato di Leucotoe, principessa babiloniese, per eliminare la rivale dice tutto al padre della ragazza. Il re non potendo sopportare l’adulterio della figlia, la seppellisce viva. Elio, disperato dopo la morte della sua amata, non vuole più vedere Clizia. La ninfa cade nello stato di una depressione profonda: piange, passa tutto il tempo sotto il cielo, nuda e spettinata, non mangia e non beve per nove giorni. Per tutto il tempo continua a guardare il cielo. Infine si trasforma in un fiore: Nec se mouit humo; tantum spectabat euntis Ora dei uultusque suos flectebat ad illum. Membra ferunt haesisse solo partemque coloris Luridus exsangues pallor conuertit in herbas; Est in parte rubor uiolaeque simillimus ora Flos tegit; illa suum, quamuis radice tenetur, Vertitur ad Solem mutataque seruat amorem. (Met. IV, vv. 264–270) Come si può osservare nel citato passo, il corpo di Clizia si irrigidisce nel suolo e il giallo pallore passa allo stelo. Nasce un fiore di eliotropio, simile alla viola e giallo nella parte interiore. Analizzando il Tumulus Ielseminae di Pontano e i suoi legami con le Metamorfosi di Ovidio è necessario affrontare ancora alcune questioni importanti. Prima di tutto nell’elegia epigrafica del poeta italiano una ragazza morta si trasforma in un fiore che porta il suo nome. In questo caso la fonte principale di ispirazione sono le favole di Narciso e Giacinto. Vi sono anche altri punti comuni tra Gelsomina e i due giovinetti del poema ovidiano. Per poter chiarire meglio questo problema occorre esaminare ancora la storia di Narciso. Il bel giovinetto vede il proprio volto riflesso nell’acqua e si innamora di sé stesso. Visto che non può soddisfare il suo amore, impazzisce e perde la voglia di vivere. Ferisce sé stesso lacerandosi il torace. Inoltre, Ovidio descrive in modo dettagliato come il ragazzo, colpito da un grande dolore, perde la propria bellezza e la forza fisica. Infine, non potendo più sopportare la disperazione, muore. Il suo corpo, come già menzionato, viene trasformato in un fiore di colore bianco, con l’interno di colore zafferano. Si può scorgere la somiglianza fra la creatura umana e il Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ 84 Alicja Raczyńska fiore in cui si trasforma: Ovidio descrive la pelle di Narciso come bianca e vermiglia (“color est mixto candore rubori”). La sua bellezza viene mantenuta dalla metamorfosi in un fiore così bianco e vermiglio come lui e, inoltre, un fiore così superbo, solitario 6 e inutile come lui . Nello stesso modo Ielsemina dall’elegia epigrafica di Pontano viene trasformata in un bel fiore, bianco come lei: Sparsus et in toto fuerat qui corpore candor, nunc multo nivei floris honore nitet. (Pontano, Tum. I. 51, vv. 19–20) Inoltre, va osservato che la bellezza di Narciso e di Gelsomina appasisce. Narciso a causa del dolore dimagrisce e perde la sua freschezza, mentre i begli occhi, le splendide labbra e i seni degni di Venere di Gelsomina subiscono la putrefazione. La metamorfosi in un fiore aiuta a conservare il fascino giovanile e lo protegge dalle crudeli leggi della natura. In questo contesto sarebbe anche interessante esaminare il caso di Giacinto (libro X delle Metamorfosi). Apollo uccide il ragazzo con il lancio del disco. Non potendo ridargli la vita, trasforma il suo sangue in un fiore (chiamandolo, appunto giacinto) che rappresenterà “iconicamente” i lamenti cantati dal dio con l’accompagnamento della lira, visto che la sua forma assomiglia alle lettere AI, 7 un’esclamazione greca che esprime il rammarico . Nel caso di Giacinto e Ielsemina la metamorfosi è l’effetto della pietà. Gli dei (Apollo ed Imene) vedono che i bei giovani si spengono per errore. Visto che non possono fermare la morte, vogliono dare loro qualche compenso. Gelsomina, assieme alla metamorfosi, riceve anche un premio da Imene a cui ha promesso il suo primo amore. Inoltre, si possono rintracciare delle affinità fra Ielsemina e la menzionata Leucotoe, l’amante di Elio. Il dio del sole, non potendo ridare la vita alla ragazza, trasforma il suo corpo in un odoroso incenso, dicendo: “Tanges tamen aethera”. Successivamente la asperge del nettare celeste. Il corpo si scioglie e il suo profumo impregna il suolo. La pianta mette le radici e cresce facendo un buco nella tomba. Va osservato che prima di Pontano il motivo della trasformazione di un essere umano in una pianta apparve nella Commedia di Dante Alighieri e nel Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta) di Francesco Petrarca. Dante sfrutta questo tipo della metamorfosi nel canto XIII dell’Inferno, dedicato ai suicidi. Le anime di coloro che si tolsero la vita vengono trasformati nei pruni secchi e contorti, tra i rami dei quali si annidano le Arpie. La fonte principale di ispirazione il libro III dell’Eneide, nel quale Enea sente la voce del giovane Polidoro, il figlio minore di Priamo ed Ecuba, che esce 8 da un cespuglio di mirto . È Virgilio stesso a fare l’allusione a questo episodio nel suo discorso rivolto a Pier della Vigna: 6 Cfr. Hermann Fränkel, Ovid. A poet between two words, Berkeley/Los Angeles, University Press of California, 1945, p. 84. 7 Cfr. il commento alle Met. X, vv. 205–210 in: Owidiusz, Metamorfozy, trad. pol. di Anna Kamieńska e Stanisław Stabryła, a cura di S. Stabryła, Wrocław, Zakład Narodowy im. Ossolińskich /De Agostini, 2004. 8 Cfr. L’introduzione all’Inf. XIII in Dante Alighieri, Commedia, a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Milano, Mondadori, 2006, p. 388. Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ Il motivo della metamorfosi nel Tumulus Ielseminae puellae in florem versae di G. Pontano 85 (…) anima lesa ciò c’ha veduto pur con la mia rima non avrebbe in te la man distesa. 9 (Dante, Inf. XIII, vv. 47–49) Petrarca, invece, parla delle trasfmormazioni di Laura in un albero di alloro. Nel caso del poeta aretino sarebbe opportuno menzionare che, come osserva Marco 10 Santagata , il nome della donna amata, reale o fittizio, era per Petrarca il nucleo generatore di numerose e interconnesse relazioni simboliche. Ad esempio, nel sonetto V esso è scomposto, mediante un procedimento retorico che conginge la tecnica dell’acrostico a quella dell’interpretatio nominis, nella forma provenzale Lau-re-ta (nelle quartine) e in quella latina Lau-re-a (nelle terzine). La laurea significa la corona di alloro imposta ai vincitori e ai condottieri. Questo sonetto celebra quindi il nome dell’amata sia nell’aspetto anagrafico-referenziale, sia in quello simbolico. Petrarca, in quanto poeta laureate nel Campidoglio a Roma nel 1341, era molto sensibile al motivo di alloro e sfruttò l’opportunità di stringere in un unico nodo simbolico la sfera amoroso- sentimentale e quella poetico-culturale. Le Metamorfosi di Ovidio gli offrivano un racconto mitico, cioè quello di Dafne, che sembrava confezionato proprio per un poeta che amasse la donna di nome Laura. La ninfa Dafne desiderata da Apollo riuscì a sottrarsi al sio e a conservare la propria verginità consacrata a Diana grazie all’intervento del padre Peneo che la trasformò in un albero di alloro. Apollo baciò la pianta dicendo: “At quoniam coniunx mea non potes esse, arbor eris certe” (Anche se non puoi essere mia moglie, sarai il mio albero) e e ornò la testa, la feretra e la cetra di quelle fronde, divenute da allora, intrecciate in corona, l’emblema dei poeti. Qui va anche sottolineato che in greco la parola dàphnē significa prorpio alloro. Petrarca, prendendo ispirazione dalla favola di Apollo e Dafne, crea il proprio mito. Visto che non può avere la donna che ama, la trasforma in un alloro, il simbolo della poesia e la gloria legata con essa. Guardando le metamorfosi descritte da Dante e Petrarca sarebbe interessante rifflettere su come il motivo della metamorfosi nel Tumulus Ielseminae puellae in florem versae di Pontano si presenta rispetto allo stesso motivo nelle opere dei suoi grandi predecessori italiani. Nel caso del canto XIII dell’Inferno è necessario sottolineare che Dante ricorre alle intepretazioni allegoriche del poema ovidiano proposte dagli scolastici medievali, particolarmente a quella esplicita nell’ Alegoriae super Ovidii Metamorfosin di Arnolfo d’Orléans (la fine del XII secolo). Secondo Arnolfo Ovidio parlava non soltanto delle mutazioni esteriori che avvenivano nei corpi, ma anche delle mutazioni interiori che si riferivano all’anima, visto che in questa maniera il poeta voleva condurre i lettori alla conoscenza del vero Dio. Le metamorfosi descritte dal poeta non avvenivano quindi realmente, erano soltanto una metafora per indicare la caduta nel peccato (mutatio moralis). Arnolfo cita come esempio Ippomene e Atalanta che furono trasformati in belve in quanto avevano commesso gli atti di libidine nel tempio di Cibele. Il canto XIII dell’Inferno si può rintracciare la mutatio moralis, cioè la metamorfosi degradante. Pier della Vigne spiega a Dante pellegrino 9 Cito: Dante Alighieri, Commedia, a cura di A.M. Chiavacci Leonardi, op. cit. Cfr. Marco Santagata, Petrarca: Il Canzoniere, in: Manuale della letteratura italiana. Storia per generi e problemi, a cura di Franco Brioschi e Costanzo Di Girolamo, Vol. I: Dalle origini alla fine del Quattrocento, Torino 1993, pp. 378–379. 10 Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ 86 Alicja Raczyńska che le anime violenti e crudeli le quali si separano contro la propria volontà dai propri corpi come le piante dalle radici, vengono gettate per terra come sassi e germogliano casualmente come l’erba. Sono trattate con quello spregio con cui esse stesse gettarono 11 via i corpi . Pontano è quindi lontano da Dante, visto che la trasformazione della ragazza in un fiore è assolutamente priva dei tratti della metamorfosi degradante. Si possono invece rintracciare delle affinità tra la storia di Gelsomina e il Canzoniere di Petrarca. Prima di tutto, è necessario chiarire che Petrarca parlando di Laura si ispira 12 all’interpretazione del mito di Apollo e Dafne proposta dall’Ovide Moralisé . Dafne è simbolo della verginitez (3114). L’autore del poema didascalico riprende solo in seguito l’intendimento fisico: Dafne fille de froidure (3116) non viene scaldata da nessun sole. Febo, che l’integument (3127) secondo la paienne creence chiama Dio della sapienza, rappresenta la saggezza e la carità che devono risiedere nella verginità, la quale, come spiega l’autore, deve essere insita nei pensieri, non limitarsi all’astinenza del peccato carnale e deve avere la cura del proprio animo per diventare lauro. Vengono anche ricordati le doti di sempiternità del lauro: è sempre verde, non fa frutti, come la verginità che vive senza fruttificare. Inoltre, è simbolo di vittoria e di gloria per le vergini che sono incoronate con il lauro in cielo. La metamorfosi di Laura simboleggia quindi la sua castità ed innocenza. Si potrebbe ipotizzare che la trasformazione avvenuta nel Tumulus Ielseminae abbia qualche nascosto significato metaforico che dovrebbe mettere in evidenza le virtù della morta. Se la ragazza aveva promesso il suo amore sensuale ad Imene, il dio delle nozze, era una vergine casta che aspettava il marito. Il colore bianco del fiore nel quale viene trasformata la morta potrebbe indicare l’innocenza. Inoltre, nell’epigramma di Pontano e nel Canzoniere si verifica la trasformazione di una creatura umana che le assomiglia. Qui vanno citati alcuni versi dalla sestina XXX di Petrarca: (…) onde procede lagrimosa riva, ch’Amor conduce a pie’ del duro lauro ch’à i rami di diamante et d’or le chiome. 13 (Petrarca, Rvf, XXX, vv. 22–24) L’alloro ha le foglie oppure i capelli d’oro, come Laura ed è duro come lei. Inoltre, i suoi rami sono fatti di diamante il quale indica sia la durezza che una grande castità. È tuttavia necessario chiedere se nel caso della sestina XXX e altre poesie di Petrarca si può parlare davvero di una metamorfosi accaduta realmente. Il poeta aretino non descrive mai il processo di trasformazione. Le metamorfosi di Laura sia in una pianta di alloro che in una cerva oppure in un ermellino hanno quindi un significato puramente metaforico e indicano i tratti del carattere dell’amata di Petrarca, cioè l’innocenza, la purezza e la durezza. 11 Cfr. Il commento all’Inf. XIII, v. 98, in: Dante Alighieri, Commedia, a cura di A.M. Chiavacci Leonardi, op. cit. 12 Luca Marcozzi, La biblioteca di Febo. Mitologia e alegoria in Petrarca, Firenze, Franco Cesati Editore, 2002, p. 252. 13 Cito: Francesco Petrarca, Canzoniere, introduzione e note di Alberto Chiari, Milano, Mondadori, 2005. Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ Il motivo della metamorfosi nel Tumulus Ielseminae puellae in florem versae di G. Pontano 87 Va osservato che Tumulus Ielseminae non è l’unica elegia epigrafica che contiene il motivo della metamorfosi. Occorre soffermarsi sul Tumulus Candidae Virginis nel quale si rintraccia una metamorfosi molto originale. È la storia di una ragazza che per caso si addormenta tra rose e ligustri sul seno di sua madre. Improvvisamente viene rapita da una pallida nube che si era calata dal cielo e svanì. La madre non trova più tra le braccia la figlia, ma le rose bianche, nelle quali lei si era trasformata. La ragazza prega di non portarle i pianti e i doni di morte sopra la tomba, perché la tomba sono per lei i giardini: Ne mihi, ne lacrimas quisquam, ne munera donet ad tumulos: horti sunt mihi nam tumuli. (Pontano, Tum. I, 44, vv. 9–10) Rispetto alla precedente elegia epigrafica si può notare una differenza nella presentazione dell’immagine della morte. Nel Tumulus Ielseminae la morte è una forza del male che uccide ingiustamente la povera raggazza e vuole toglierle la sua bellezza. Qui, invece, è molto mite ed arriva alla sua vittima come una buona amica. Candida muore senza alcun dolore, il suo corpo subisce soltanto la trasformazione nelle rose bianche. Due altri epigrammi, Tumulus Cicellae Puellae Surrentinae e Tumulus Virdinellae Puellae, rappresentano la metamorfosi alla quale sono sottoposti tutti i morti, cioè quella in cenere. Nel Tumulus Cicellae un passante che porta i fiori alla tomba chiede la morta dove è fuggito il suo fascino: Quo decor, heu, quo gratus honos, quo tanta venustas, quo nitor ille abiit, culta Cicella, tuus? (Pontano, Tum. I. 7, vv. 1–2) La morte distrugge tutti i doni della natura ricevuti dalla ragazza. La bella Cicella venne ridotta in cenere e soltanto la lapide sulla quale c’è sritto il suo nome ricorda al mondo della sua esistenza: In cineres, heu, versa iaces; vix nomina servant saxa tibi, longo post abolenda situ. (vv. 5–7) La metamorfosi in cenere acquisisce un carattere ancora più tragico nel Tumulus Viridellae Puellae. Viridella (Fiorella) si lamenta che il nome scritto sul lapide non è più adatto a lei. La bellezza della ragazza è sfiorita dopo la morte. Adesso lei dovrebbe chiamarsi Cinerilla (Cenerilla), perché non assomiglia più ad un fiore, ma è diventata il cenere: Tabuit in cineres Viridella colorque decorque nullus adest: heu, quid nomina vana iuvant? Quin potius Cinerilla legar, Cinerilla sepulcro inscribar; periit nam viror atque vigor. (Pontano, Tum. I. 45, vv. 3–6) Inoltre, nella raccolta De tumulis si possono trovare alter poesie dedicati alle ragazze che portano i nomi di fiori, cespugli e alberi. Tumulus Rosae puellae ante diem mortuae, ad esempio, racconta la storia di una bambina nata e morta in dicembre, che venne distrutta non dal caldo dell’estate, ma dal frigore dell’inverno. Il motivo di una fanciulla-fiore che muore troppo presto ritorna nel Tumulus Violantis puellae. Questa Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ 88 Alicja Raczyńska elegia epigrafica ha la struttura di un colloquio tra il passante (Viator) e la divinità tutelare, si parla della ragazza che veniva chiamata Violante (Violantis) visto che le viole sorgevano ovunque lei pose il suo piede: Surgebant violae, fixit ubi illa pedem. (Pontano, Tum. II. 4, v. 11) In questo contesto risulta interessante menzionare che nella poesia di Pontano il fascino sottile dei fiori simboleggia la bellezza giovanile delle donne dagli poesie erotiche che di solito vengono paragonate alle rose. Però le rose che fioriscono di mattina cadono di sera: Puella molli delicatior rosa, quam vernus aër parturit dulcique rore Memnonis nigri parens rigat suavi in hortulo, quae mane primo roscidis cinctos foliis ornat nitentes ramulos; ubi rubentem gemmeos scadens equos Phoebus peragrat aethera, tunc languidi floris breve et moriens decus comas reflectit lassulas […]. 14 (Pontano, Parth. I. 4, vv. 1–10) Questa immagine della rosa che simboleggia la bellezza fuggitiva viene ripresa da Pontano dal poema De rosis nascentibus, attribuito ad Ausonio, che proviene 15 dall’Appendix Vergiliana . Non solo Pontano paragona le donne ai fiori che appassiscono presto. Enea Silvio Piccolomini (papa Pio II) non poteva conquistare il cuore della bella e fredda Cinzia. In una delle sue poesie (In Cinthiam, Carmina I. 4) consiglia all’amata di non essere tanto sueperba nella sua eccezionale bellezza, perché il fascino giovanile delle donne assomiglia ai gigli che sono candidi al primo sole, ma la sera diventano più laguidi di una rosa recisa: Quid nimis elata es prestanti, Cinthia, forma? Labitur occulto pulchra iuventa pede. Non semper ita eris: variatur tempore vultus, nec semper roseo splendet in ore nitor. Mane, vides, primo candescunt lilia sole, vespere succisa languidiora rosa. 16 (Piccolomini, Carmina I. 4, vv. 1–6) Michele Marullo, un amico di Pontano e un membro della sua Accademia, assieme ad uno dei epigrammi dedicati a Neera (Ad Neaeram, Epigrammata I. 21) manda alla crudele amante un mazzo di viole appena raccolte e dei gigli raccolti un giorno prima. I petali dei gigli che così presto si sciupano e cadono devono ricordare alla ragazza 14 I.I. Pontanus, Carmina: ecloghe, elegie, liriche, op. cit. Cfr. Grażyna Urban-Godziek, Gdy róża jest silniejsza niż śmierć. O przełamywaniu konwencji znikomości życia w metaforyce florystycznej Giovanniego Pontana, in: Rzeczy minionych pamięć. Studia dedykowane Profesorowi Tadeuszowi Ulewiczowi w 90. rocznicę urodzin, a cura di Andrzej Borowski & Jakub Niedźwiedź, Kraków, Księgarnia Akademicka, 2007, pp. 533–534. 16 Poeti latini del Quattrocento, op. cit. 15 Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ Il motivo della metamorfosi nel Tumulus Ielseminae puellae in florem versae di G. Pontano 89 della vecchiaia. Le fresche viole, invece, hanno come scopo incoraggiare Neera di sfruttare la breve primavera della vita: […] lilia, ut instantis monearis virgo senectae, tam cito quae lapsis marcida sunt foliis; illae [violae], ut vere suo doceant ver carpere vitae […] 17 (Marullus, Epigrammata I. 21, vv. 3–5) Nel caso di Rosa e Violante dalla raccolta De tumulis si può parlare di nomemalaugurio. Le che portano i nomi dei fiori sono destinate a morire presto. Colui che si rivolge a Rosa nel Tmulus Rosae puellae ante diem mortuae osserva che i genitori avevano dato alla ragazza un none – malaugurio, visto che non ci sono le cose che più caduche delle rose: Non nomen tibi, quin omen facere parentes, dixerunt cum te, bella puella, Rosam; utque rosa brevius nil est aequeve caducum […] (Pontano, Tum. I. 40, vv. 1–3) Nel Tumulus Violantis puellae, invece, il passante, maledicendo la crudele Lachesi, contesta quanto presto muoiano i fiori: Immanem Lachesin, quod nunc rapis. Heu brevis est flos, quem neque ros posthac, lympha nec ulla riget. (Pontano, Tum. II. 4, vv. 8–9) Però nel Tumulus Ielseminae il rapporto tra la donna e il fiore cambia. Qui il gelsomino nel quale viene trasformato il corpo della morta simboleggia la bellezza eterna che oltrepassa i limiti del tempo e della morte. Inoltre, il fiore continua continua 18 la vita interrotta della morta , quindi potrebbe raffigurare anche l’immortalità. Le piante svolgono una funzione simile anche in altri epigrammi di questa raccolta. Nel Tumulus Laurinae puellae, ad esempio, la fanciulla morta racconta la sua storia: il suo corpo giace sotto l’alloro che prima le diede il nome: Haec laurus mihi dat titulos famamque sepultae, quae quondam vivae nomina clara dedit. (Pontano, Tum. I. 23, vv. 1–2) L’albero è cresciuto sulle sue ossa e sulle sue ceneri. La ragazza gli ha dato la vita e adesso qualche parte di lei vive in questa pianta: Sub laurum Laurina tegor, mea vestit et ossa laurus et ipsa meo vescitur e cinere. Per me igitur vivit laurus Laurinaque vivo in lauru et vitae mutua cura sumus. (vv. 3–6) Laurina, che è in un certo senso la figlia dell’alloro (lauro), in quanto gli deve il suo nome, adesso diventa anche sua madre, visto che lo aiuta a crescere: 17 Ibid. Cfr. G. Urban-Godziek, Gdy róża jest silniejsza niż śmierć. O przełamywaniu konwencji znikomości życia w metaforyce florystycznej Giovanniego Pontana, op. cit., p. 536. 18 Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ 90 Alicja Raczyńska Ipsa eadem lauro materque et filia […]. (v. 7) La donna e la pianta vivono insieme sotto la stessa corteccia, come osserva il passante (Viator): Vivite frondenti pariter sub cortice iunctae […]. (v. 9) Si possono trovare delle affinità tra Tumulus Laurinae e il passo del libro III dell’Eneide di Virgilio nel quale appare il cespuglio di mirto che parla con la voce di Polidoro. La pianta crebbe sul corpo del fanciullo, nutrendosi di suo sangue, così come l’alloro crebbe sul corpo di Laurina nutrendosi delle sue ceneri. Qualche parte di Polidoro vive nel mirto, visto che questa pianta conserva il sangue e la voce dello sventurato fanciullo. Laurina e Polidoro, come Gelsomina, acquistano tramite le piante l’immortalità oppure ricevono la nuova vita in un altro corpo. I fiori, i cespugli e gli alberi nella raccolta De tumulis sono immortali, forti ed indistruttibili, oltrepassano i limiti del tempo e trionfano sulla morte. Continuano la vita interrotta dei morti, aiutano a conservare la loro memoria, consolano coloro che 19 piangono sulle tombe dei loro cari . Fred J. Nichols, riflettendo sulla presenza dei fiori 20 nelle poesie di Pontano, anche nella raccolta De tumulis , osserva che la funzione della poesia ricca di tali motivi è quella di portare consolazione, di lenire il dolore dopo la morte della persona amata, mettendo in risalto che detto evento è parte del ritmo della Natura. La crescita dei fiori costituisce quindi una specie di compensazione e reca conforto a chi abbia subito una perdita dolorosa. A titolo di conclusione occorre riflettere sul mondo dei morti che scaturisce dalla 21 raccolta De Tumulis. Come osserva Erasmo Percopo , le tombe rappresentate dal poeta sono belle, sparse di rose e viole ed ombreggiate dai lauri e dai cipressi, differenti da quelle che avrebbero immaginato i poeti medievali, cioè tetre, paurose, fredde e gelide. Per i morti dalla raccolta di Pontano non esiste un oltretomba felice o terribile, visto che loro ebbero già il paradiso o l’inferno sulla terra. Il poeta napoletano, in linea con le idee degli umanisti, rappresenta la morte come una continuazione della vita, alla quale i defunti sono ancora tenacemente attaccati. Giosue Carducci, il primo premio Nobel italiano, scrisse che “la morte che nell’evo medio aveva empito della torpida sua ombra come di atmosfera propria quella triste età, scheletro danzante, mostro rincagnato e sarcastico, cadavere putrido e verminoso, torna ora, nella Rinascienza, ad 22 essere la greca Eutanasia che scioglie, ristora ed addormenta” . Questa atmosfera è anche presente nel Tumulus Ielseminae: la ragazza morta riceve una nuova vita in un altro corpo e cresce accompagnata da altri fiori, belli come lei. 19 Cfr. G. Urban-Godziek, Gdy róża jest silniejsza niż śmierć. O przełamywaniu konwencji znikomości życia w metaforyce florystycznej Giovanniego Pontana, op. cit., p. 536. 20 Cfr. Fred J. Nichols, Introduction in: An Anthology of The Neo-Latin Poetry, New HeavenLondon 1979, p. 36. 21 Cfr. Erasmo Percopo, Vita di Giovanni Pontano, a cura di Michele Manfredi, Napoli, Industrie Tipografiche Editoriali Assimilate, 1938, p. 180. 22 Cfr. ibid. Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione Romanica Cracoviensia 2009/9 Jagiellonian University Press © UJ Il motivo della metamorfosi nel Tumulus Ielseminae puellae in florem versae di G. Pontano 91 Summary The motif of metamorphosis in Tumulus Ielseminae puellae in florem versae di Giovanni Pontano The paper aims at analyzing the motif of metamorphosis in the epigraphic elegy Tumulus Ielseminae puellae in florem versae from the volume De tumulis by Giovanni Pontano. The author indicates the classic sources of inspiration: the myths from the Metamorphoses by Ovid and compares the motif of metamorphosis from the epigraphic elegy of Pontano with the transformation of human beings into plants described in the canto XIII of Dante’s Inferno and in Petrarch’s Canzoniere. Further, the paper analyses the motif of metamorphosis and the representation of Death in other epigraphic elegies from De tumulis as well as the significance of the Nature in Pontano’s works and in the fifteenth-century writings in Latin by Italian poets. Streszczenie Motyw metamorfozy w Tumulus Ielseminae puellae in florem versae Giovanniego Pontano Artykuł przedstawia analizę motywu przemiany w elegii epigraficznej Tumulus Ielseminae puellae in florem versae ze zbioru De tumulis Giovanniego Pontana. Autorka wskazuje antyczne źródła inspiracji – mity z Metamorfoz Owidiusza – oraz dokonuje konfrontacji motywu metamorfozy z utworu Pontana z przemianami istot ludzkich w rośliny opisanymi w XIII pieśni Piekła Dantego i w Canzoniere Petrarki. Artykuł bada również motyw przemiany i wizję śmierci w pozostałych elegiach epigraficznych ze zbioru De tumulis oraz znaczenie przyrody w dziełach Pontana i w piętnastowiecznej poezji łacińskiej włoskich humanistów. Publikacja objęta jest prawem autorskim. Wszelkie prawa zastrzeżone. Kopiowanie i rozpowszechnianie zabronione