Arte africana e arte europea tra Otto e Novecento P.Picasso-Les demoiselles d’Avignon-1907 Maschere in legno del Congo • Cent'anni or sono, a Parigi e in altre città europee le mostre di artigianato esotico erano di moda. La mentalità colonialista dominava l'Europa e l'Africa era al primo posto nei suoi desideri espansionisti. Per mostrare quanto bene si stesse facendo in quelle "terre incivili", si ricorreva a esposizioni di oggetti africani, nell'intento di convincere l'opinione pubblica della superiorità della civiltà occidentale nei confronti degli autori di quegli artefatti e, quindi, della necessità di una presenza "civilizzatrice". • Le esposizioni coloniali La Carta coloniale belga recitava: «La colonizzazione, ponendo uomini attivi, ingegnosi e istruiti a contatto con individui di razze primitive da poco uscite dall'infanzia intellettuale, avrebbe effetti deleteri per questi ultimi, se non si accordasse loro una speciale protezione». • Il sentimento protezionista dei "civili" non riconosceva, però, ai "protetti" la capacità di produrre arte. Gli oggetti fabbricati per cerimonie e riti erano considerati espressioni della cultura materiale di questa o quella popolazione e si accordava ad essi un valore prettamente etnologico e etnografico. Con il trascorrere degli anni, con il materiale raccolto nei ministeri delle colonie, in musei e collezioni private fu possibile allestire esposizioni pubbliche: Leipzig (1892), Anversa (1894), Bruxelles (1897), Colonia (1912), New York (1914), Parigi (1907, 1917, 1919). La conoscenza antropologica dell'Africa cominciò a crescere. I pittori moderni si interessano all’arte primitiva • Furono proprio queste mostre a giocare un ruolo di primaria importanza nel rinnovamento del senso estetico europeo. Gli artisti che le visitarono scorsero negli oggetti esposti nuove vie di espressione artistica che superavano in forza e valore le decadenti correnti postimpressioniste, che allora si dibattevano tra la routine e la mancanza di originalità. L'impatto provocato in loro li aprì a nuovi orizzonti formali e alla possibilità di raggiungere espressività più profonde Max Ernst ispirato da una maschera tusyan (Costa d'Avorio) Anton Pevsner e le maschere dan (Costa d'Avorio) Pablo Picasso e la maschera gregbo (Costa d'Avorio ) Paul Klee e le decorazioni mangbetu (Congo) Morris e i tessuti kente del Ghana Modigliani e l’influsso africano Pablo Picasso • Come tanti altri, anche Picasso collezionò oggetti africani, tanto da riempirne i suoi atelier: in essi scopriva «sempre nuove possibilità di espressione formale», che fu l'ossessione della sua vita. A partire dal 1907, soffrì quella che è stata definita la "crisi nera", dopo aver visitato il Musée de l'Homme ed essersi sentito affascinato dal carattere concettuale e simbolico delle statue africane e dalla loro "stilizzazione" nell'uso dei tratti anatomici. Le Damigelle di Avignone (1907) è la grande opera che riassume, più di ogni altra, l'influenza africana di quell'epoca (vedi la distorsione del volto e degli occhi). • Nel 2004 un episodio della serie della BBC "The Private Life of a Masterpiece" aveva come oggetto Les Demoiselles D'Avignon e riferiva che Picasso negò l'influenza delle maschere africane sulla sua pittura: "l'arte africana, mai sentito parlarne". Tuttavia, è certo che Picasso avesse visto delle maschere africane mentre lavorava ai suoi dipinti, durante una visita al Museo etnografico del Trocadero, su cui più tardi disse: "Andare al Trocadero fu disgustoso. Le mosche, il mercato, l'odore. Ero tutto solo. Volevo andarmene, ma non lo feci. Rimasi, rimasi. Capii che si trattava di qualcosa di importante. Mi stava accadendo qualcosa. Le maschere non assomigliavano a nessun'altra scultura, per nulla."