Cons. Nicola Durante
Garanzie difensive a fronte della riqualificazione giuridica dell’imputazione penale: un
problema ancora irrisolto nella giurisprudenza della Suprema Corte.
Un efficace svolgimento della diritto a difendersi, sancito dall’art. 24 Cost., postula che all’imputato
sia data una formulazione chiara e precisa del fatto che gli viene addebitato1; di modo che,
altrettanto chiaro e preciso dev’essere il fatto che sarà ritenuto dal giudice in sentenza2.
La possibilità che il fatto contestato a conclusione delle indagini, con l’esercizio dell’azione penale,
possa variare è regolata dal codice di rito penale, mediante una disciplina che, sul versante delle
garanzie difensive, tiene ben distinte le due ipotesi del mutamento in fatto e della riqualificazione in
diritto dell’imputazione.
Il mutamento dell’imputazione si attua con la modifica del fatto contestato (c.d. fatto “diverso”) o
con la contestazione del fatto “nuovo”.
Per fatto, s’intende il complesso di quegli accadimenti che integrano il reato, nella configurazione
giuridica degli elementi costitutivi e circostanziali di cui esso consta.
La nozione giurisprudenziale di fatto “diverso” è abbastanza elastica, essendo circoscrivibile tra una
soglia minima ed una massima.
La soglia minima è rappresentata dalla semplice “puntualizzazione” della ricostruzione storica
contenuta nel decreto dispositivo del giudizio, che lascia invariati gli elementi costitutivi (condotta,
oggetto) e dei riferimenti spazio-temporali3. Al di sotto di tale limite, vi è la diversa valutazione
degli elementi descrittivi dell’imputazione, che non è qualificabile come fatto “diverso” e non è
assistita dalle relative garanzie difensive4.
1
Cass. pen., Sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 1720 e 11 maggio 1998, n. 5405; Sez. III, 29 marzo 1996, n. 3253 e 28
gennaio 1995, n. 972.
2
Cass. pen., Sez. VI, 1 agosto 2013, n. 33370.
3
Cass. pen., Sez. VI, 17 giugno 2013, n. 26284.
4
Cass. pen., Sez. VI, 19 dicembre 1991, n. 12800.
1
La soglia massima si ha quando i connotati materiali della fattispecie si presentano differenti
rispetto a quelli originari, senza tuttavia essere radicalmente difformi per le modalità essenziali
dell’azione o per l’evento, per cui il fatto emerso non può definirsi del tutto diverso da quello
contestato5.
La disciplina del fatto “diverso” è poi estesa, dalla stessa legge, al reato connesso per continuazione
o concorso formale ed all’elevazione di una circostanza aggravante6.
Oltre la predetta soglia massima, si colloca il fatto “nuovo”, che è quello che non si sovrappone
all’imputazione, ma si sostituisce od aggiunge ad essa come autonomo thema decidendum7, dando
luogo al concorso di due imputazioni distinte, entrambe in concreto ascrivibili all’imputato8.
La chiave per districarsi tra le ipotesi anzidette va reperita in una lettura in senso teleologico della
normativa, il cui scopo è appunto quello di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e,
quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato. Ne consegue che la stessa non va
interpretata in senso rigorosamente formale, ma con riferimento alle finalità cui è diretta, sicché non
può ritenersi violata da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma unicamente
quando la modificazione dell’imputazione pregiudichi nel concreto la difesa dell’imputato9: solo
5
Cass. pen., Sez. VI, 4 aprile 1995, n. 3606 e Sez. III, 23 aprile 1994, n. 4723.
La distinzione tra “fatto diverso” e “fatto nuovo” è riprodotta in più disposizioni codicistiche.
Per l’udienza preliminare, l’art. 423 c.p.p. prevede che, se il fatto risulta “diverso” da come descritto, o se emerge un
reato connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lett. b), od una circostanza aggravante, il pubblico ministero può
modificare l’imputazione, dandone contestazione all’imputato presente o, se questi è contumace, dandone
comunicazione al difensore. Se a carico dell’imputato risulta invece un fatto “nuovo”, procedibile d’ufficio, non
enunciato in imputazione, il giudice autorizza il pubblico ministero a contestarlo solo col consenso dell’imputato;
diversamente, si dovrà procedere in separata sede.
La possibilità di modificare il fatto è piena nel giudizio abbreviato ordinario, mentre, nel giudizio abbreviato
condizionato, è consentita all’esito delle integrazioni probatorie, restando salva la facoltà dell’imputato di chiedere
l’ammissione di nuove prove o la prosecuzione del processo con rito ordinario, ai sensi dell’art. 441-bis. La
contestazione suppletiva e la modifica dell’imputazione sono viceversa precluse dall’art. 441, nel giudizio abbreviato
incondizionato.
Nel dibattimento penale, gli artt. 516 e 517 consentono al pubblico ministero di modificare il fatto, purché da ciò non
discenda la competenza di un giudice superiore, pena la nullità della sentenza, rilevabile in sede di impugnazione. Se
però, dalla modificazione, deriva la cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, oppure la
necessità dell’udienza preliminare che non si è tenuta, la relativa inosservanza dev’essere rilevata od eccepita
immediatamente, a pena di decadenza. In tali ipotesi, l’imputato contumace od assente ha diritto alla notifica per
estratto del verbale recante la contestazione.
La contestazione del fatto “nuovo” in dibattimento è subordinata a due presupposti: che l’imputato vi acconsenta e che
il giudice la autorizzi, valutata l’assenza di pregiudizio per la speditezza dei procedimenti (art. 518).
7
Cass. pen., Sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 6987.
8
Cass. pen., Sez. III 28 gennaio 1995, n. 972.
9
Cass. pen., Sez. IV, 2 luglio 1997, n. 6374.
6
2
quando vi sia stata un’immutazione tale da determinare lo “stravolgimento” dell’imputazione
originaria – ossia quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in
rapporto di ontologica eterogeneità o incompatibilità, nel senso che viene a realizzarsi una vera e
propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito – si è,
infatti, di fronte ad un fatto veramente “nuovo”, riguardo al quale l’imputato dev’essere posto in
condizione di effettiva difesa10.
Lo jus variandi in punto di fatto è potere esclusivo del pubblico ministero, trattandosi di prerogativa
inerente all’esercizio dell’azione penale. Se perciò, all’esito del dibattimento, il fatto descritto
nell’imputazione dovesse risultare diverso da quello accertato, il giudice non può mutarlo d’ufficio
in sentenza, ma deve disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 521,
comma 2, applicabile anche al rito abbreviato11.
La sentenza pronunciata in violazione di tale regola è affetta da vizio, ma la natura di questo è
differente, a seconda che si verta in tema di fatto “diverso” o di fatto “nuovo”.
Difatti, la nullità derivante dall’immutazione del fatto è di tipo intermedio e non può essere rilevata
d’ufficio12; la sentenza di condanna per fatto “nuovo” è invece affetta da nullità assoluta ed
insanabile, che può essere rilevata anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento13.
Come premesso, altra cosa rispetto al mutamento del fatto è la “riqualificazione giuridica” dello
stesso, che si realizza attribuendo l’esatto nomen juris ad un episodio che rimane invariato nei suoi
tratti caratterizzanti14.
Essa è compatibile col rito abbreviato incondizionato15 ed è esercitabile anche in cassazione, nei
limiti della ricostruzione storica del fatto eseguita nelle fasi di merito16.
10
Cass. pen., Sez. I, 5 novembre 1997, n. 9958.
Cass. pen., Sez. un., 17 marzo 1992, n. 2477; Sez. I, 24 dicembre 2008, n. 48142; Sez. VI, 21 dicembre 2007, n.
47549.
12
Cass. pen., Sez. II, 18 novembre 1992, n. 11125.
13
Cass. pen., Sez. I, 4 dicembre 1992, n. 11651.
14
Cass. pen., Sez. VI, 17 aprile 2012, n. 28481.
15
Cass. pen., Sez. II, 17 settembre 2010, n. 35350.
16
Cass. pen., Sez. I, 15 novembre 2013, n. 3763.
11
3
Lo jus variandi in punto di diritto è potere tipico del giudice, che può esercitarlo in ogni fase di
merito, purché il reato non ecceda la sua competenza, non sia attribuito al tribunale in composizione
collegiale anziché monocratica, oppure non riguardi un reato per il quale è prescritta l’udienza
preliminare ed essa non si è tenuta (art. 521, comma 1).
I limiti al potere di riqualificazione sono sostanzialmente tre e sono rappresentati dalla competenza
del giudice determinata dall’imputazione, dalla corrispondenza all’accertamento compiuto in fatto e
dal divieto di reformatio in peius17.
Nel silenzio del codice, il principale tema che pone l’istituto della riqualificazione è, ovviamente,
quello delle garanzie difensive da riconoscere all’imputato.
La questione ha assunto oggi una rilevanza particolare, a seguito dei ripetuti interventi della Corte
europea dei diritti dell’uomo.
Secondo questa, l’atto d’accusa svolge un ruolo determinante nelle azioni penali: a decorrere dalla
sua notificazione, la persona imputata è ufficialmente avvisata della base giuridica e fattuale di ciò
che le viene ascritto18.
L’art. 6, § 3, lett. a), della convenzione riconosce all’accusato il diritto di essere informato, in
maniera dettagliata, non soltanto del motivo dell’accusa, ossia dei fatti materiali che gli sono
imputati e sui quali l’accusa si fonda, ma anche della qualificazione giuridica data a questi fatti.
La portata di questa disposizione deve essere valutata alla luce del diritto ad un equo processo,
garantito dall’art. 6, § 119.
Il principale intervento della Corte di Strasburgo all’interno del nostro ordinamento processualpenalistico è senza dubbio rappresentato dalla sentenza della Sezione II, 11 dicembre 2007,
Drassich c. Italia, che ha giudicato non equo un processo nel quale la Corte di cassazione italiana
aveva ritenuto una diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto, senza che né il pubblico
17
Cass. pen., Sez. VI, 16 gennaio 2008, n. 11335 e 18 settembre 1997, n. 9103.
Cause Kamasinski c. Austria, 19 dicembre 1989, § 79, serie A n. 168, e Pélissier e Sassi c. Francia [GC], n.
25444/94, § 51, CEDU 1999-II.
19
Cause Artico c. Italia, 13 maggio 1980, § 32, serie A n. 37; Colozza c. Italia, 12 febbraio 1985, § 26, serie A n. 89, e
Pélissier e Sassi, § 52.
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4
ministero, né il collegio avessero prima segnalato tale eventualità all’imputato, il quale non aveva
perciò avuto la possibilità di dibattere la nuova accusa in contraddittorio.
Nel fare ciò, la Corte sovranazionale ha posto in correlazione il diritto dell’imputato di essere
informato della natura e della causa dell’accusa con quello di disporre del tempo e delle facilitazioni
necessarie a preparare la difesa, previsto dalla lett. b) del § 3, ricavandone la conclusione che,
quando il diritto interno consente al giudice di riqualificare il fatto, esso deve pure garantire che
l’accusato abbia comunicazione della nuova veste giuridica assunta dall’accusa, in tempo utile per
esercitare in modo concreto ed efficace i suoi diritti di difesa.
Il concetto si trova ribadito anche in successive pronunce, le quali hanno ribadito che il diritto di essere
informato della natura e del motivo dell’accusa dev’essere esaminato alla luce del diritto per l’accusato
di preparare la sua difesa, attraverso la scelta dei mezzi e delle strategie più appropriate20.
I princîpi affermati nella sentenza Drassich, nella misura in cui costituiscono esatta interpretazione
di norme pattizie, vincolano i giudici dello Stato membro, quanto al significato da dare a queste
ultime, «con un margine di apprezzamento e di adeguamento che consenta di tener conto delle
peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi»21.
Sicché ad essi si è prontamente uniformata la Suprema Corte, che ha ritenuto illegittimo, ad
esempio, il mutamento dell’accusa – da omicidio a tentato omicidio – in appello, osservando che
«se ab origine fosse stato contestato il tentato omicidio in disamina, con le modalità con le quali è
stato ricostruito in sentenza, [l’imputato] avrebbe potuto scegliere strategie difensive diverse da
quella adottata»22.
Come pure ha riformato la condanna – per rifiuto d’ufficio – di un soggetto imputato di omissione
di atti d’ufficio, rilevando che il giudice d’appello «non poteva limitarsi a ritenere che andasse
operata una semplice modifica in punto di valutazione del fatto (peraltro, va ribadito, in violazione
del principio del contraddittorio, come richiamato nella sentenza della Corte europea, 11 dicembre
20
C. europea diritti dell’uomo, Sez. III, 5 marzo 2013, n. 61005/09, Varela Geis c. Spagna, § 44 e § 52.
C. Cost. 9 novembre 2011, n 303; 22 luglio 2011, n. 236; 24 ottobre 2007, n. 348 e n. 349 (così dette “sentenze
gemelle”).
22
Cass. pen., Sez. VI, 12 settembre 2012, n. 34958.
21
5
2007, Drassich c. Italia, ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte), ma doveva procedere
all’annullamento di quella del giudice di primo grado ed ai conseguenti adempimenti»23.
In questo contesto, risulta fondamentale comprendere attraverso quali strumenti l’imputato debba
essere informato della riqualificazione giuridica dell’accusa ed in particolare se sussista al riguardo
un’equiparazione tra mutamento in jure e mutamento in facto.
Secondo la sentenza Drassich, la verifica della violazione del diritto ad un equo processo postula un
accertamento scandito in tre momenti, dovendo il giudice verificare:
a) «se fosse sufficientemente prevedibile per il ricorrente che l’accusa inizialmente formulata nei
suoi confronti fosse riqualificata»;
b) «la fondatezza dei mezzi di difesa che il ricorrente avrebbe potuto invocare se avesse avuto la
possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti»;
c) quali siano state «le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena del
ricorrente».
Tanto premesso, nella sua azione esegetica, la Corte di cassazione è partita dalla considerazione per
cui l’“informazione” sulla potenziale riqualificazione giuridica del fatto dev’essere contenuta in un
atto preventivo reso nei confronti dell’imputato o del suo difensore, dal giudice24 od anche dal
pubblico ministero25.
Detta soluzione poggia sul rilievo che il diritto al contraddittorio ed alla difesa, anche in ordine alle
questioni giuridiche di qualificazione del fatto, dev’essere normalmente garantito nella stessa fase
in cui si verifica la modificazione dell’imputazione, considerato che l’impugnazione non sempre
può avere un effetto equipollente al mancato contraddittorio26.
23
Cass. pen., Sez. VI, 23 maggio 2012, n. 19551.
Cass. pen., Sez. VI, 25 maggio 2009, n. 36323.
25
Cass. pen., Sez. VI, 15 maggio 2013, n. 35678.
26
Cass. pen., Sez. VI, 12 febbraio 2010, n. 20500.
24
6
Di conseguenza, la sentenza d’appello che attribuisca al fatto contestato una diversa qualificazione
giuridica senza che l’imputato abbia avuto modo di interloquire preventivamente è affetta da nullità
generale a regime intermedio, per violazione del diritto di difesa27.
E questo, anche quando la nuova fattispecie sia in concreto più favorevole per l’imputato – come
nel caso di riqualificazione di un’ipotesi delittuosa in altra contravvenzionale –, in quanto «la difesa
ben può diversamente atteggiarsi (quanto alle opzioni strategiche) e modularsi (sul piano tattico), in
rapporto alla differente qualificazione giuridica della condotta»28.
Nondimeno, in altre decisioni, la questione della legittimità della riqualificazione non prevedibile, o
“a sorpresa”, è stata affrontata secondo modalità più orientate a considerare il processo nella sua
interezza ed unitarietà, affermandosi che, in assenza di una preventiva interlocuzione da parte del
giudicando, la garanzia del contraddittorio resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare
la diversa definizione in diritto in sede d’impugnazione, e ciò anche a mezzo di ricorso per
cassazione, non essendo dato riscontrare nella specie un’effettiva compressione o limitazione del
diritto al contraddittorio29.
Che si versi in una preoccupante oscillazione, lo si ha per chiaro osservando le difformi statuizioni
occorse, a distanza di pochi mesi, in tema di giudizio abbreviato incondizionato.
In proposito, la Suprema Corte ha deliberato, per un verso, che la garanzia del contraddittorio in
ordine alla diversa definizione giuridica del fatto deve ritenersi assicurata anche quando venga
operata dal giudice di primo grado senza alcun avviso, in quanto con i motivi d’appello l’imputato è
posto nelle condizioni di interloquire sulla stessa e di richiederne una rivalutazione e l’acquisizione
di integrazioni probatorie utili a smentirne il fondamento30.
Per giungere poi alla conclusione opposta, secondo cui la riqualificazione dell’originaria
imputazione di furto in ricettazione all’esito del giudizio abbreviato incondizionato è nulla se non
era in concreto prevedibile per l’imputato. Né la contestazione potrebbe essere recuperata in sede di
27
Cass. pen., Sez. V, 28 ottobre 2011, n. 6487.
Cass. pen., Sez. I, 29 aprile 2011, n. 18590.
29
Cass. pen., Sez. II, 15 maggio 2013, n. 37413 e Sez. VI, 24 maggio 2012, n. 22301.
30
Cass. pen., Sez. VI, 14 febbraio 2012, n. 10093.
28
7
appello, dove l’imputato non gode del diritto di dedurre nuove prove a suo discarico, né avrebbe, in
caso di diniego da parte del giudice, la possibilità di censurare la decisione in sede di legittimità31.
Del resto, egualmente fluttuante appare la dottrina, sostenendosi da un canto che «resta
fondamentale la sostanza del principio affermato dalla Corte dei diritti umani, che […] concerne la
totale equiparazione del mutamento in jure dell’imputazione con quello in facto sotto il profilo delle
garanzie difensive da riconoscere all’imputato»32.
E che, quindi, «la soluzione che – allo stato della normativa vigente – meglio concilierebbe
l’esigenza di garantire la compatibilità convenzionale del sistema italiano sarebbe forse quella di
garantire l’effettività del contraddittorio attraverso il modulo operativo che costituirebbe la sua
applicazione logica, naturale: la preventiva informazione dell’accusato sulla riqualificazione
giuridica»33. Diversamente, «sorge all’orizzonte il ragionevole dubbio che non sia possibile
un’interpretazione convenzionalmente conforme dell’art. 521, comma 1, c.p.p., ma che, al contrario,
lo stesso si ponga in insanabile contrasto con gli artt. 3, 24, 111, comma 3, e 117, comma 1, Cost. in
relazione all’art. 6 CEDU nella parte in cui consente al giudice di riqualificare giuridicamente il
fatto senza assicurare all’imputato le medesime garanzie che il comma 2 dello stesso art. 521 c.p.p.
gli assicura in caso di riscontrato mutamento del fatto»34.
Mentre, dal canto opposto, si fa notare che «aprire un varco diretto nel sistema tassativo delle
invalidità, per farvi penetrare situazioni che potrebbero, al limite, integrare una violazione
convenzionale, determinerebbe probabilmente il rischio di un collasso definitivo del nostro sistema
di giustizia penale»35.
La problematica, dunque, appare più che mai meritevole dell’intervento delle Sezioni unite penali.
31
Cass. pen., Sez. II, 12 novembre 2012, n. 1625.
Cfr. BIONDI, La riqualificazione giuridica del fatto e le spinte riformatrici che provengono dal diritto europeo. Uno
sguardo alla direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, in
http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1366236126BIONDI%202013a.pdf, pag. 3.
33
Cfr. CENTAMORE, L’applicazione dei principi dell’art. 6 C.e.d.u. in materia di riqualificazione giuridica del fatto:
fra orientamenti “tradizionali” e nuove prospettive. Nota a Cass. pen., Sez. II, 14 gennaio 2013, n. 1625, in
http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1381824692CENTAMORE%202013a.pdf, pag. 14.
34
Cfr. BIONDI, op. cit., pag. 10.
35
Cfr. QUATTROCOLO, La vicenda Drassich si ripropone come crocevia di questioni irrisolte. Nota a Cass. pen.,
sez. II, 12 settembre 2013, n. 37413, in Riv. Il diritto penale contemporaneo, 2013, 4, 169.
32
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La riqualificazione giuridica del fatto