CONVERSAZIONI SUL GIORNALISMO Enrico Foschi * 1^ Conversazione IL GIORNALISTA, LA NOTIZIA, IL GIORNALE Lapide funeraria. Tramanda notizie di un funzionario imperiale romano. La traduzione del reperto, databile al 220 d. C., recita: “AGLI DEI MANI – AD AQUILINO CESANATENSE (O CESARIANO) DI ANNI 46 – CONIUGE AMATISSIMO – GIULIA STRATONICA” Il reperto è stato ritrovato lungo l’antica Via Romana che univa Aquileia con Virunum. 1 Gentili lettrici e lettori. Nei pressi del sagrato della Chiesa situata in un valico alpino, sono state ritrovate due lastre di pietra. Esse costituiscono una delle più antiche materializzazioni del tema che svilupperò in questa prima Conversazione: la notizia, il giornalista, il giornale. Se in quel giorno lontano da noi quasi 1800 anni, non ci fosse stato Chi (chiamiamolo il giornalista) scrisse in quelle due pietre (immaginiamole simili a fogli di giornale), un fatto allora accaduto (ovvero la notizia), i posteri (che pro tempore siamo noi) non avrebbero conosciuto la cronaca di quei tempi. Così oggi, dopo più di 18 secoli, possiamo apprendere - grazie a quel “giornalista” che ci ha lasciato quella notizia scritta su fogli di pietra - che in quella regione, nel 220 dopo Cristo, viveva il signor Aquilino Cesariano. Questi era, probabilmente, un Magistrato romano che visse sino all'età di 46 anni ed era sposato con la signora Giulia, appartenente alla famiglia degli Stratone. Il signor Aquilino Cesariano, si comportò così bene negli affetti della famiglia, da essere definito – così testimonia quel “giornalista” - un coniuge amatissimo dalla consorte. Tuttavia, già 40 anni prima, un altro “giornalista” dell'epoca, sempre scrivendo su un foglio di pietra, ci ha comunicato la notizia che giusto in quel valico, dove si biforcavano le vie per la Pannonia e per il Norico, risiedeva una donna bellissima che aveva un nome armonioso: Surae. Surae era figlia di Luppone, sicuramente un commerciante. Di Surae s'era innamorato il giovane Vitale, figlio di Ilario, uno dei primi impresari romani insediatosi in quella foresta alpina con il compito di progettare, realizzare e aprire nuove strade di comunicazione, tanto necessarie sia alle Legioni romane, sia agli scambi commerciali con le popolazioni del Norico e della Pannonia. Lapide funeraria bilachiniense. Il reperto risale al 180 d C. Fu scoperto nei primi anni del Novecento lungo la Via Romana che collegava Aquileia e la capitale del norico Virunum, nel tratto compreso tra Coccau e Maglern. L'epigrafe recita: "VITALI - HILARI. F.V. F. S. ET - SURAE. LUPPONS - FILIAE CON." 2 In quelle due lapidi, dunque, possiamo trovare l'embrione del giornalista e della notizia; ovvero, di quello che comunemente si definisce sommariamente la stampa. La notizia che il giornalista scrive ed il giornale che la diffonde, quindi, sono due realtà che appartengono alla storia degli uomini. Basta pensare, per fare un esempio pratico ed immediato, agli estensori delle notizie tramandateci con la Bibbia, con il Vangelo o con gli antichi testi sacri delle religioni. Accade, però, che spesso non si dà gran peso al contributo che i giornalisti ed il giornale hanno dato alla nostra memoria storica. Eppure i giornalisti ed il giornale, sono stati e sono gli unici strumenti con i quali come è stato osservato - "le idee elaborate dai filosofi e dagli scienziati", sono arrivate ed arrivano ad informare, formare e ad elevare la qualità dell'opinione pubblica sia del passato, sia del presente, sia del futuro. L’AMICO DEL CONTADINO. Settimanale. Edito con il numero 36 e con la data di sabato 4 dicembre 1847. E’ certamente uno dei primi giornali stampati nel territorio udinese. Il foglio era dedicato – come dice il sottotitolo della testata alla agricoltura, all’industria, alla economia domestica e pubblica, nonché ad altre “varietà”. Era destinato “ad uso dei possidenti, dei curati e di tutti gli abitatori della campagna”. Fu fondato dall’agronomo Gherardo Freschi che ne fu anche il direttore. Particolari in: Carlo Rinaldi: IL GIORNALISMO POLITICO FRIULANO. 1986. 3 Ma ci si domanda: chi è il giornalista? Cos'è il giornale? Vediamo, insieme, di dare una risposta a questi due interrogativi. Di fatto, queste due parole - giornalista e giornale - sono figlie di uno stesso vocabolo: il giornalismo. Della nascita del giornalismo, della sua storia affascinante o riprovevole e talvolta anche tragica, ne parleremo nella prossima conversazione. LO SPETTATORE FRIULANO.”La nostra Patria – spiegava l’articolo di fondo del primo numero – ha bisogno più che mai di una voce di conforto, che l’aiuti a ravvisare sé medesima, a sventare i timori vari e la vane speranze… Questa voce non può essere se non quella del vero; e uno dei mezzi per diffonderla sarebbe il giornale”. Fondato e diretto da Jacopo Pirona, “dominatore della vita culturale in Friuli”. Si pubblicò subito dopo la legge emanata da Pio IX (la prima varata nella penisola italiana) per garantire la libertà di stampa. Ebbe brevissima vita a causa della repressione della rivoluzione europea del 1848, poi “derisa col nomignolo di quarantottate dagli eroi del giorno dopo”. Intanto, ricordiamo che quando in Parlamento si passò a scrivere l'articolo 21 della Costituzione repubblicana - quello che sancisce il diritto di ciascun cittadino di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e qualsiasi altro mezzo di diffusione; e dichiara che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure - nell'Aula di Montecitorio aleggiava uno spirito influenzato da ancestrali timori e da sconfinate speranze, riposti, appunto, nella professione o nella missione del giornalismo. I timori sulle rivelazioni del giornalismo erano, tutto sommato pensate un po' - ancora quelli descritti 60 anni innanzi, e cioè nel tardo '800, dal gesuita padre Zocchi. Le speranze, invece, riposavano sugli studi e le proposte del giornalista Luigi Einaudi, più tardi Governatore della Banca d'Italia e, infine, Capo dello Stato. Quanto poi quei timori e quelle speranze pesarono sulla discussione parlamentare, questo è difficile dirlo. Anche perché tutt'oggi - a più di 4 mezzo secolo da quel dibattito parlamentare - l'opinione pubblica reclama ancora di fugare quei timori e di realizzare quelle speranze. Al gesuita padre Zocchi la "stampa liberalesca" - così lui definiva il giornalismo - non piaceva. E non perché, a cavallo dell'800 e '900 la stampa già si diffondeva in oltre 10 miliardi di copie l’anno in tutto il mondo, ma perché - spiegava - si trattava di fogli "scritti alla disperata, in lingua saracena, in stile da bettola”. Fogli che correvano “per le mani di tutti”, che sollecitavano “le passioni plebee”, che finivano per soddisfare “tutte le curiosità, lecite ed illecite". Allorché fecero osservare al gesuita padre Zocchi che il giornalismo era si un "MALANNO sotto ogni rispetto, ma era anche un MALANNO NECESSARIO di altrettanto rispetto", egli rispose che il giornalismo veniva usato soprattutto "per confondere l'opinione pubblica di un popolo". E sottolineava: "Intanto, incominciano i governanti stessi ad abusarne... Una turba di Diarii (giornali) ufficiali, semiufficiali, ufficiosi, semi ufficiosi, confidenti della Corte, del Governo, del Presidente del Consiglio, o dei singoli ministri... procacciano di far parlare (il giornalismo) a proprio senno e rivolgerlo a sostenere, per diritto o per traverso, il loro potere, le loro voglie e persino i loro capricci". Di qui il timore - insisteva il gesuita padre Zocchi - che il giornalismo, non fosse altro che una "arma di parte". Ed ancora: i giornalisti, "per il medesimo fatto di ingaggiarsi col giornale di questa parte anziché di quella, si obbligano a sostenere non già quello che reputano vero, ma quello che torna utile alla parte". Infine, la sentenza del gesuita padre Zocchi: I giornalisti, "trasmigrando da un giornale all'altro", mutano "di convincimenti come muterebbero casacca. Dicono nero oggi, quello che giuravano essere bianco ieri. E non perché si siano ravveduti, ma perché oggi scrivono nel giornale della parte opposta a quella per cui scrivevano ieri". Dichiarava il suo direttore Camillo Giussani nell’articolo di fondo del primo numero: “IL FRIULI promette di soddisfare alla generale curiosità dei fatti e di professare sempre quella moderazione che non è la divisa di un partito politico, ma una delle doti più belle degli uomini ragionevoli”. Si pubblicò in Udine per circa tre anni. 5 E così abbiamo visto - con colori netti e violenti, purtroppo ancora diffusi - il giornalista ed il giornale, secondo la faccia della medaglia scrutata dal padre gesuita Zocchi. Osserviamo ora anche il rovescio di quella stessa medaglia: e cioè le speranze, tutte le speranze, riposte nella missione della stampa, o per meglio dire - come sottolineava il giornalista Einaudi - nel giornalismo, nei giornalisti e nel giornale "senza coda". Cioè senza la coda di "indipendente", di "interessi", di "partito". Va costatato, però, che anche i giornali con coda contribuiscono, sia pure con le notizie della loro parte, a completare e a rendere obiettiva l'informazione. GIORNALE DI UDINE. Diretto da Pacifico Valussi. La riproduzione riguarda il numero edito l’11 novembre 1866 che dedicava la prima pagina a “Vittorio Emanuele, unificatore delle genti italiche”, in quei giorni in visita ad Udine. Giornale – riferisce C. Rinaldi – della Destra storica, laico, anticlericale, massonico e punto di riferimento dell’irredentismo. Una varietà di giornalismo indipendente non priva di utilità pubblica spiegava Einaudi - "è quella dei giornali fondati ad incremento delle ambizioni politiche di uomini isolati o di piccoli gruppi, di candidati non aderenti ad alcuno dei partiti politici noti ed organizzati". Questo tipo di giornalismo non sarebbe contrario, anzi potrebbe "essere conforme al bene comune"; anche se lo spendere denaro per finanziare questi giornali – osservava Einaudi - appare un consumo dispersivo uguale a quello del fumo delle sigarette. Ma, avvertiva ancora Einaudi, c'è un'altra varietà di giornale indipendente sempre in perdita: il giornale che afferma di rappresentare gli interessi generali o principi ideali, mentre in realtà è inteso a favorire o difendere interessi privati di gruppi economici o sociali, in favore dei quali però rivendica "concessioni di privilegi". Dei giornalisti che praticavano o praticano questo tipo di giornalismo, Luigi Einaudi dava un giudizio drasticamente negativo. Li definiva, "I pennaioli". Tuttavia, Einaudi assicurava che "chi, a viso aperto, sostiene una tesi anche erronea, è degno di rispetto. Il giornalista di un quotidiano o di una 6 rivista la quale dichiara: Io sono al servizio di questa o quella associazione di industriali, di banchieri, di agricoltori, di operai, di contadini o di commercianti, adempie ad un ufficio socialmente vantaggioso". Perché, appunto, quei giornalisti fanno conoscere le opinioni della organizzazione sociale per la quale lavorano. IL CITTADINO ITALIANO. Fondato nel 1877 da Giovanni Dal Negro che ne fu il primo direttore. Di fatto fu un giornale che continuava l’espressione della “voce cattolica” del foglio settimanale LA MADONNA DELLE GRAZIE diretto dal neoguelfista don Luigi Fabris. Il programma de IL CITTADINO ITALIANO, avvertiva che i suoi redattori sarebbero stati osservanti di un cattolicesimo “schietto, di fede antica”, poiché non avrebbero avuto alcun “partito”, né sarebbero stati affiliati “ad alcuna chiesuola” e non si sarebbero assisi “ad alcuna mensa”. Continuava Einaudi: sono conformi all'interesse pubblico anche i giornali di partito. Perché? "Perché offrono la possibilità di discutere apertamente e pubblicamente i grandi problemi del giorno". Ma i giornali di partito, soffrono di un vizio fondamentale: "La loro ragione di vita, è la difesa degli ideali di un partito". Il giornalista di partito - direttore o redattore che sia - "deve stampare (soprattutto) le notizie di partito: annunciare le convocazioni, le conferenze, i discorsi, i comizi di partito... Non può fare la cernita delle notizie e dei commenti che sarebbe più gradita al lettore, ma (solo) quella la quale è imposta dalle esigenze di partito". Insomma, per Einaudi il vero giornale e giornalismo senza coda, non è altro che il frutto di un’idea semplice, molto semplice: produrre e vendere la notizia, come altri producono e vendono il pane, le scarpe, i vestiti o le automobili. Anche la notizia redatta dal giornalismo senza coda e diffusa dal giornale senza coda, in realtà una coda ce l’ha. Come si fa, infatti, ad immaginare una notizia che non abbia un riferimento sociale, politico, economico e culturale, o tutti e quattro questi riferimenti? Einaudi non ci dice Chi, nei secoli passati, abbia avuto, per primo, 7 quella semplice idea di produrre e vendere la notizia (noi lo scopriremo nella prossima conversazione e, insieme, riscopriremo i luoghi del Friuli ove ripararono alcuni operai della stamperia Gutenberg fuggiaschi da Magonza), ma egli, Einaudi, sostiene - ed alcuni esempi di giornali a tiratura di milioni di copie al giorno gli darebbero ragione - che il giornale ed il giornalismo dovrebbero trarre la loro diffusione soltanto dalla vendita delle notizie. Ed avverte: "La più parte di notizie (devono essere) vere", perché solo così sarà possibile "venderle il più presto possibile e prima dei concorrenti". E' il caso, oggi, della CNN, la tv americana che produce e diffonde soltanto notizie; notizie acquistate persino da altre radiotelevisioni pubbliche o private, oltreché dalla carta stampata. Ma Luigi Einaudi - le cui idee sul giornalismo sono ammirevolmente accettate non solo nella Patria italiana ed europea, ma soprattutto nel mondo dell’informazione d'oltre oceano - mette in luce un particolare importantissimo della professione giornalistica. Diceva: se l'arrivar prima (con la notizia) è raro trionfo, la vera fatica del giornalista sta nel saper individuare e nel saper rifiutare, la notizia infondata o la notizia falsa. Questa è una capacità non facile da acquisire, ma che tuttavia l'esperienza e la morale professionale permettono di possedere con il tempo. Purtroppo - lo riconosceva lo stesso Einaudi - non esiste la notizia oggettivamente vera. La prova è presto data. Due, tre, quattro testimoni di un fatto, di un avvenimento, lo racconteranno sempre in due, tre, quattro modi diversi; con particolari diversi, con accenti diversi, con impressioni diverse, da punti di vista e con stati d'animo diversi. Perciò al giornalismo, al giornale, al giornalista si può chiedere soltanto quella verità la quale è umanamente possibile. Infatti, è impossibile imporre ai giornalisti (come del resto a tutti gli uomini) di vedere e raccontare i fatti... con gli occhi ed il pensiero di altri. Testimoni di un avvenimento di cronaca, nella impossibile ricerca di trovare un accordo per raccontare il fatto con una sola voce. 8 Soffermiamoci ora sulla notizia. Va detto che è bene scriverla o annunciarla in un determinato modo. Innanzi tutto, niente commento. I giornali (o notiziari radiotelevisivi) che tendono a vendere più copie (o ad avere più ascoltatori), lasciano il commento della notizia alla intelligenza di chi la riceve. Oppure, evidenziano il commento a fianco o di seguito alla stessa notizia. Nel compilare la notizia, il giornalista dovrebbe sempre rispettare una simpatica regoletta: quella del "chi, come, dove, quando, perché". Cioè "chi" è stato a compiere un gesto di bontà o a rubare, "come" lo ha fatto, "dove" è stato compiuto l'atto, "quando" è avvenuto il fatto, "perché" è stato provocato o si è verificato l'avvenimento. Il tutto in periodi brevi, telegrafici, quasi epigrafici. In pratica, come fu lasciato scritto in quei fogli di pietra dei quali abbiamo riferito al principio. Ma c'è un'altra regola che i giornalisti, italiani o no, dovrebbero immancabilmente rispettare e per lo più non mancano di farlo. E’ la regola di raccontare gli avvenimenti in modo da non imporre la propria verità, e di porsi con umiltà di fronte al fatto che è accaduto, per carpirne le ragioni o le cause che lo hanno provocato. Quando non si rispetta questa regola di comportamento, non si scrive una notizia, si corre il rischio di emettere una sentenza; si pratica un inganno dell'opinione pubblica e si produce un danno al giornale per il quale si scrive. Quando ai tempi della Costituente per distinguere il torto dalla ragione, si tornò a passare dal metodo di rompere la testa all'avversario a 9 quello civile di tener reciprocamente conto delle idee dell'uno e dell'altro, fu fatta una grande scelta democratica. E la notizia - da quella fortunata circostanza - riprese ad essere la protagonista anche della contesa politica, oltrechè di quella sociale, economica e culturale. Tuttavia, in una società libera, il processo di discussione, di scambio di idee e delle proprie ragioni, non finisce col semplice voto di maggioranza nel Parlamento, nei Consigli regionali, provinciali e comunali. Il dibattito continua. Anzi, oggi continua nei giornali e nei notiziari radiotelevisivi. Ed ecco allora che spetta al giornale e al giornalismo, che sono strumenti degli uomini che pensano, il diritto ed il dovere di continuare a discutere. E' un’utopia? E’ questo un sogno irrealizzabile? Apparentemente, si. Tuttavia, ogni ora, ogni giorno, ogni anno che passa - è la mia opinione - diviene sempre più effettivo il diritto dovere del giornalismo di scavare, scoprire, dibattere ed illustrare i fatti, per migliorare i rapporti nella vita dell'Uomo. Ad una condizione: il giornalismo non deve mai aggiungere agli eventi che descrive, quello che essi non dicono; e mai deve tacere quello che gli stessi eventi dicono. Molto probabilmente, questo è il modo più vantaggioso per raccontare una notizia in forma veritiera. ( Enrico Foschi ) continua 10