431 CAPITOLO 18 Bianca Beghé Attilio L. Boner Cesare Braggion Fabrizio Luppi Uliano Morandi Maurizio Moretti Malattie respiratorie ostruttive 2 Alberto Papi Giorgio Piacentini Claudio Rugarli Marina Saetta Leonardo M. Fabbri Asma bronchiale Definizione L’asma bronchiale è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree che si manifesta clinicamente con: • episodi ricorrenti di respiro sibilante e/o senso di costrizione toracica, dispnea, tosse non produttiva o accompagnata da espettorato bianco e tenace; • ostruzione bronchiale reversibile; • iper-reattività bronchiale. Il carattere accessuale e reversibile delle manifestazioni cliniche e funzionali rappresenta la caratteristica peculiare della malattia. L’infiammazione bronchiale cronica delle vie aeree che sottende le manifestazioni clinicofunzionali dell’asma è costituita da una specifica infiltrazione bronchiale di cellule infiammatorie, in particolare granulociti eosinofili e mastociti, rilascio di mediatori infiammatori e rimodellamento strutturale delle vie aeree caratterizzato in particolare da ipertrofia/iperplasia della muscolatura liscia e fibrosi subepiteliale. © 2010 ELSEVIER S.R.L. Tutti i diritti riservati. Epidemiologia L’asma bronchiale colpisce circa 300 milioni di persone. I dati epidemiologici basati sul questionario e/o sulle prove di funzionalità respiratoria indicano che la prevalenza di asma nel mondo varia tra l’1 e il 18%. Mentre in alcuni Paesi, quali l’Italia (media generale 5%, leggermente più alta nei bambini e negli anziani, dove tuttavia va distinta dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva [BPCO], la prevalenza attuale dell’asma sembra essersi stabilizzata, dopo essere aumentata negli ultimi decenni, in altri Paesi (per esempio, Scandinavia, Nuova Zelanda) essa è ancora in continuo aumento. Le cause di tali variazioni descritte nella prevalenza all’interno di una stessa popolazione e tra popolazioni diverse non sono note. L’asma bronchiale ha importanti conseguenze socioeconomiche non solo dovute alle spese sanitarie dirette e indirette per i farmaci e per il ricorso alle strutture sanitarie (pari a circa l’1-2% dei costi totali del servizio sanitario nazionale), ma anche legate all’assenza da scuola e alla perdita di giorni lavorativi dipendenti dall’asma stesso. Le morti per asma all’anno in tutto il mondo sono state stimate in circa 250.000 (in Italia intorno ai 1500 casi all’anno negli ultimi anni) e la mortalità non sembra C0090.indd 431 B. Beghé, L.M. Fabbri, A. Papi 2 correlata alla prevalenza. Attualmente i tassi di mortalità per asma variano da meno di 2 casi/100.000 negli Stati Uniti e in Italia a più di 4 casi/100.000 persone in alcune regioni della Nuova Zelanda. Due epidemie di morti per asma sono state riportate negli anni Sessanta in Nuova Zelanda e nel Regno Unito e negli anni Ottanta in Nuova Zelanda e sono state attribuite all’abuso dei farmaci 2-agonisti a breve durata di azione, dei broncodilatatori usati nel trattamento dell’asma. L’asma è più frequente sotto i 15 anni e, in questa fascia di età, nei maschi (1,5-2:1 rispetto alle femmine, rapporto che si parifica entro i 40 anni), e sopra i 60 anni, anche se in questa seconda fascia vi sono dubbi sulla corretta diagnosi differenziale con la BPCO. Circa il 50% dei casi di asma esordisce clinicamente entro i primi 10 anni di vita e un altro terzo entro i 40 anni. Eziologia e fattori di rischio L’asma è definito estrinseco quando è possibile identificare una causa esogena. Nella maggior parte dei casi, questa causa è costituita da un allergene che agisce attraverso un meccanismo mediato da anticorpi della classe delle immunoglobuline E (IgE), responsabili delle sindromi allergiche. Per questo motivo il termine di asma estrinseco viene spesso usato come sinonimo di asma allergico. Nell’asma estrinseco vi è spesso una familiarità allergica, le prove allergometriche cutanee per i comuni allergeni presenti nell’ambiente sono positive e spesso coesistono altre manifestazioni allergiche quali rinite, congiuntivite o dermatite atopica. L’asma estrinseco, in genere, esordisce clinicamente durante l’infanzia o comunque in età giovanile. Esistono tuttavia soggetti non atopici che sviluppano l’asma in seguito all’esposizione a sostanze a basso peso molecolare come alcune in ambito lavorativo, farmacologico o alimentare. Un caso particolare è rappresentato dall’asma professionale. In questa eventualità l’agente sensibilizzante è noto ed è legato al proprio ambito lavorativo e, causato da sostanze sia ad alto peso molecolare, che quindi si comportano come gli allergeni, sia a basso peso molecolare che possono agire con meccanismi IgE-mediati o non IgE-mediati. L’asma allergico rappresenta il 70-80% dei casi di questa malattia. L’asma è definito intrinseco quando non si identifica una causa esogena. Nella maggioranza dei casi non vi è familiarità 6/9/10 9:43:37 PM 432 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO allergica e le prove allergometriche cutanee sono negative. L’asma intrinseco, in genere, esordisce clinicamente in età più avanzata e spesso in coincidenza o nel corso della convalescenza di un’infezione virale delle prime vie aeree. riportate spesso non sono state replicate e inoltre non sono ancora supportate da studi funzionali che confermino il ruolo delle diverse mutazioni genetiche nel processo patogenetico della malattia. Fattori genetici Allergeni L’asma bronchiale è considerato una malattia genetica complessa, dovuta all’interazione tra fattori individuali di natura genetica che predispongono il soggetto alla comparsa della malattia e fattori esogeni scatenanti. I fattori individuali comprendono la razza, il sesso, l’atopia, ossia la tendenza dell’organismo a produrre un elevato numero di IgE in risposta a diversi allergeni, e l’iper-reattività bronchiale definita come un’abnorme risposta delle vie aeree che reagiscono con un eccessivo restringimento a stimoli di diversa natura. L’atopia costituisce il più importante fattore di rischio di asma. In particolare, pazienti con rinite allergica hanno un elevato rischio di sviluppare asma bronchiale. Si stima che nel 60-70% dei pazienti con asma sia presente la rinite e che questa preceda anche di anni la comparsa di asma bronchiale. È un’osservazione comune la maggiore frequenza dell’asma bronchiale in alcune famiglie, ma il condizionamento genetico di questa malattia non è facilmente analizzabile. Gli studi condotti sui gemelli, dimostrando che il rischio di comparsa di asma è maggiore nei gemelli monozigoti rispetto ai gemelli dizigoti, hanno ulteriormente rafforzato l’ipotesi di una base genetica, per cui oggi l’asma è considerato una malattia genetica complessa dovuta all’interazione fra fattori genetici e ambientali. In particolare, è verosimile che la comparsa di asma sia dovuta alla combinazione di varie mutazioni genetiche presenti in diversi geni nello stesso soggetto. Negli ultimi decenni studi genetici sull’asma, avvalendosi del cosiddetto clonaggio posizionale, hanno identificato diverse regioni cromosomiche associate (ossia in linkage) ad atopia, a iper-reattività bronchiale e asma. Numerose regioni cromosomiche in linkage con asma o con i fenotipi a essa associati sono state recentemente osservate in diverse popolazioni. Le associazioni con le regioni cromosomiche 2q33, 5q2331, 6p24-21, 11q21-13, 12q24-12 e 13q14-12 sono state confermate in diversi studi ed è verosimile che in queste regioni risiedano i geni candidati per l’asma. Quelli sinora identificati possono essere raggruppati in quattro classi: • geni associati alla presentazione dell’antigene (per esempio, HLA di classe II; si veda la parte dedicata all’immunopatologia); • geni espressi a livello dell’epitelio bronchiale che codificano per chemochine coinvolte nei meccanismi patogenetici dell’asma (si veda oltre a proposito della patogenesi); • geni coinvolti nel controllo della muscolatura bronchiale, come il gene che codifica per il recettore 2-adrenergico (ADRB2), che può inoltre modulare la risposta al trattamento farmacologico dell’asma; • geni identificati mediante “clonaggio posizionale” quali ADAM 33, una metallo-proteinasi coinvolta nel rimodellamento delle vie aeree. I fattori esogeni comprendono gli allergeni, gli agenti sensibilizzanti professionali, i farmaci e gli irritanti aspecifici come il fumo di tabacco, l’inquinamento atmosferico, le infezioni delle vie respiratorie e il raffreddamento delle vie aeree dovuto all’esercizio fisico. Gli allergeni coinvolti nell’eziologia dell’asma sono in genere proteine di peso molecolare compreso fra i 3 e i 70 kDa, a cui i pazienti vengono esposti per inalazione, ingestione o iniezione. Gli allergeni più frequentemente coinvolti nell’eziopatogenesi dell’asma sono dispersi nell’aria ambiente e originano da pollini, spore fungine, residui animali e polveri di casa. Queste ultime, oltre a derivati animali, di insetti e spore fungine, contengono derivati di acari quali il Dermatophagoides pteronyssinus e il Dermatophagoides farinae, che da soli rappresentano la causa più frequente di asma allergico nel mondo. Particolare importanza hanno per l’asma stagionale gli allergeni contenuti nei pollini aerodispersi, la cui concentrazione varia con le stagioni, essendo più elevata durante la primavera e l’estate per i pollini di alberi ed erbe. Le spore fungine derivano in massima parte dal turnover della vegetazione e sono più concentrate nel periodo compreso fra l’estate e l’autunno. Gli allergeni animali più importanti per l’asma derivano da mammiferi quali cani, gatti, conigli e cavalli; sono ubiquitari e relativamente stabili nel corso dell’anno. I geni candidati per l’asma o per i fenotipi a esso associati sono a oggi quasi un centinaio, tuttavia le associazioni C0090.indd 432 Fattori sensibilizzanti professionali Gli agenti sensibilizzanti presenti nell’ambiente di lavoro, responsabili di asma professionale, sono più di 300. L’asma è definito professionale quando si manifesta in un paziente in precedenza non asmatico dopo un periodo più o meno lungo di esposizione in ambito lavorativo a uno o più agenti sensibilizzanti. Alcuni agenti professionali agiscono come antigeni completi, mentre altri si comportano come apteni e si devono legare alle proteine per determinare la sintesi di IgE. Sostanze a basso peso molecolare, come gli isocianati e i diisocianati, non danno origine a IgE specifiche, tuttavia le alterazioni a livello bronchiale e le manifestazioni cliniche che ne seguono sono molto simili a quelle osservate nelle reazioni allergiche IgE-mediate. Le professioni più a rischio per la comparsa di asma professionale sono quelle dei fornai, dei verniciatori, dei parrucchieri, degli addetti alla stabulazione degli animali, dei lavoratori di alcuni settori dell’industria chimica, dei falegnami, dei lavoratori dell’industria elettronica addetti alla saldatura dolce dei circuiti elettronici e dei lavoratori di alcuni settori dell’industria chimica. Farmaci Tra i farmaci che hanno un ruolo nell’induzione di asma i più importanti sono l’acido acetilsalicilico, gli agenti coloranti come la tartrazina, i -bloccanti e i solfiti. L’acido acetilsalicilico e molti altri antinfiammatori non steroidei (in particolare, indometacina, ibuprofene, naproxene, 6/9/10 9:43:37 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE acido mefenamico e fenilbutazone) possono scatenare episodi acuti di asma grazie alla loro capacità di inibire la ciclo-ossigenasi di tipo 1. Si ritiene che a ciò consegua una ridotta sintesi di prostaglandina E2 (PGE2), ad azione broncodilatatrice e, indirettamente, un aumento della produzione di cisteinil-leucotrieni, del cui ruolo nella patogenesi dell’asma si parlerà in seguito. Altri farmaci di questa classe, come il paracetamolo e i salicilati di sodio o di colina, sono in genere ben tollerati. La tartrazina è un colorante giallo largamente usato (per esempio, per colorare alimenti o farmaci), che può cross-reagire con l’acido acetilsalicilico in pazienti sensibili a questo farmaco. Si stima che circa il 10% dei pazienti sensibili all’acido acetilsalicilico lo sia anche alla tartrazina. I farmaci -bloccanti (prevalentemente quelli che bloccano i recettori adrenergici 2) impediscono l’attività broncodilatatrice che si verifica stimolando questi recettori. I solfiti sono largamente impiegati nelle industrie alimentari e farmaceutiche come conservanti e possono scatenare attacchi asmatici con meccanismi che non sono ben noti. L’esposizione ha luogo ingerendo cibi o bevande (incluso vino) contenenti queste sostanze. Irritanti aspecifici Il fumo di tabacco, benché non abbia un rapporto causaeffetto diretto nella patogenesi dell’asma bronchiale, è un fattore di rischio per lo sviluppo di forme più gravi di asma bronchiale, riduce la risposta ai farmaci antinfiammatori, in particolare ai glucocorticoidi, ed è inoltre responsabile dell’eccessivo declino della funzionalità respiratoria nel tempo che si osserva negli asmatici fumatori. Lo sforzo fisico è un importante fattore scatenante dell’asma bronchiale, in particolare nel bambino, verosimilmente a causa dell’associata iperventilazione che porta a raffreddamento e/o essiccamento delle vie respiratorie, con conseguente degranulazione dei mastociti e rilascio di mediatori attivi, quali l’istamina, e di leucotrieni. Il ruolo delle infezioni delle vie aeree è tuttora oggetto di discussione. Infatti, è chiaro che le infezioni respiratorie, in particolare quelle virali, sono una causa frequente di riacutizzazioni asmatiche, soprattutto nel bambino, ma è possibile che abbiano anche un ruolo patogenetico più complesso nella patogenesi della malattia. L’ipotesi igienica (hygiene hypothesis) è una teoria sviluppata negli ultimi dieci anni per spiegare il notevole aumento di prevalenza dell’asma nei Paesi occidentali ad alto tenore di vita con riduzione delle infezioni infantili, grazie a una migliore igiene e alle vaccinazioni. Il presupposto alla base di questa ipotesi è che il sistema immunitario del neonato sia fisiologicamente sbilanciato verso una polarizzazione Th2. Dopo la nascita, esso va incontro a un riequilibrio Th1-Th2 che è provocato dalla esposizione a microrganismi stimolanti la risposta immunitaria polarizzata verso i linfociti Th1. La riduzione di questa stimolazione lascerebbe il sistema immunitario nel suo stato di prevalente orientamento Th2. Non è indispensabile che i microrganismi provochino delle infezioni clinicamente manifeste. Per esempio, la somministrazione frequente di antibiotici per via orale può ridurre la polarizzazione Th1 attraverso l’alterazione della flora intestinale che essi determinano. C0090.indd 433 433 Patogenesi La patogenesi dell’asma bronchiale è fondamentalmente dipendente dalla iper-reatività delle vie aeree. Il calibro di queste può, infatti, essere influenzato da meccanismi neurovegetativi che, nella broncocostrizione, vedono impegnati meccanismi colinergici, come risposta riflessa allo stimolo di recettori irritativi e, nella broncodilatazione, recettori 2-adrenergici. Tuttavia, mentre in condizioni normali questa regolazione non interferisce in modo significativo con la funzionalità ventilatoria, nell’asma gli stimoli che portano alla broncocostrizione hanno effetti notevolmente esagerati e, talora, persistenti. Ciò dipende dall’infiammazione cronica, che è presente nelle vie aeree dei soggetti asmatici e che già di per sé può ridurre il calibro bronchiale in conseguenza dell’edema della mucosa, dell’accumulo di muco nel lume bronchiale e del rimodellamento delle vie aeree. Il meccanismo di questa infiammazione, nelle sue diverse varianti, è molto complesso (è stato, infatti, stimato che nella patogenesi dell’asma siano implicati 10 tipi di cellule infiammatorie e più di 100 mediatori umorali). Nel determinare questa particolare infiammazione, i meccanismi immunologici sono rilevanti (si veda oltre la parte di immunopatologia) e qui di seguito saranno analizzati i loro aspetti fondamentali. 2 Linfociti T a polarizzazione Th2 risposta IgE mediata ad allergeni È stato dimostrato, prima nel topo e poi nell’uomo, che i linfociti T CD4+ (helper) possono assumere due polarizzazioni funzionali; sono perciò stati suddivisi in Th1, con produzione prevalente di interleuchina-2 (IL-2) e interferone (IFN), e Th2, con produzione prevalente di IL-4 e IL-13. Queste ultime due citochine possono agire direttamente sulla muscolatura liscia e sulle cellule epiteliali bronchiali inducendo iper-reattività delle vie aeree. Perciò, una reazione immunitaria che implichi la risposta di linfociti T CD4+ a polarizzazione Th2 ad antigeni (in realtà, ad allergeni inalati) è di per sé in grado di indurre iper-reattività delle vie aeree. Tuttavia l’effetto più importante è un altro. Infatti, l’IL-4 e l’IL-13 rappresentano uno dei segnali grazie al quale i linfociti Th2 esercitano la loro azione helper sui linfociti B in grado di produrre anticorpi della classe IgE. Questi, com’è noto, tendono a fissarsi con la loro regione Fc sui recettori presenti su alcune cellule, i quali sono ad alta affinità sui mastociti e sui granulociti basofili. Quando la molecola di un allergene si lega agli anticorpi così fissati e stabilisce un ponte su molecole contigue, scatta un segnale che porta alla degranulazione cellulare e alla liberazione all’esterno di molecole dotate di attività broncocostrittrice, come l’istamina e i leucotrieni. I mastociti producono anche varie citochine, tra le quali le più importanti sono quelle in grado di promuovere la produzione di cellule infiammatorie, come il GM-CSF (Granulocyte-Macrophage Colony Stimulating Factor), di indurre direttamente infiammazione, come l’IL-1 e il TNF (Tumour Necrosis Factor) e, soprattutto, l’IL-5, che agisce sugli eosinofili stimolando la proliferazione, l’attivazione, l’aumentata sopravvivenza e la degranulazione 6/9/10 9:43:37 PM 434 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO di questi elementi e favorendone la concentrazione locale nelle vie aeree. Gli eosinofili hanno un ruolo cruciale nella patogenesi dell’asma allergico, in quanto la proteina basica maggiore contenuta nei loro granuli può danneggiare direttamente l’epitelio delle vie aeree, aumentare l’iper-reattività bronchiale e favorire la degranulazione dei basofili e dei mastociti. Queste cellule sono anche un’importante fonte di leucotrieni, che fanno contrarre la muscolatura liscia bronchiale, aumentano la permeabilità vascolare e reclutano altri eosinofili nelle vie bronchiali. La concentrazione locale degli eosinofili non avverrebbe se non fosse favorita dalle chemochine, che sono citochine capaci di attrarre specifici elementi cellulari. Nel caso degli eosinofili, le chemochine più importanti, prodotte da una varietà di cellule tra le quali gli stessi eosinofili, le cellule endoteliali e quelle epiteliali, si chiamano eotassina e RANTES (Regulated upon Activation Normal T-cell Expressed and Secreted). Questo quadro della patogenesi dell’asma, legato all’allergia respiratoria, sembrerebbe esaustivo, ma esiste un altro importante problema da considerare, e cioè perché l’asma, pur essendo spesso associato alla rinite allergica, possa presentarsi indipendentemente da essa e anche in assenza di allergia respiratoria (asma intrinseco). Questo è un problema complicato sul quale, in anni recenti, si sono concentrate varie ricerche con risultati talora contraddittori. Al momento della scrittura di questo testo, molti argomenti sono ancora in discussione. Senza giungere a conclusioni definitive, si vogliono qui presentare ai lettori alcune informazioni che probabilmente saranno utili per comprendere gli sviluppi che la ricerca in questo campo avrà nel futuro. Fattori influenzanti la polarizzazione Th2 Si è visto che la base dell’allergia respiratoria è una risposta immunitaria con polarizzazione Th2. Ma che cosa fa sì che la risposta abbia questa polarizzazione e non quella Th1? Recentemente si è attribuita importanza alla produzione locale di un fattore solubile indicato con la sigla TSLP (Thymic Stromal LymphoPoietin). Esso è normalmente prodotto nel timo dai corpuscoli di Hassal e serve a differenziare i linfociti verso la funzione regolatoria (importante per prevenire l’autoimmunità). Al di fuori del timo, la TSLP prodotta dai vari epiteli influenza la polarizzazione dei linfociti T nelle risposte immunitarie indirizzandola verso quella Th2. In effetti, è stato a-galattosilceramide e suoi analoghi CD Figura 18.1 Attivazione delle cellule natural killer (NK) da parte di cellule dendritiche (CD). C0090.indd 434 NKT CD1d dimostrato che l’espressione di TSLP è aumentata nelle vie respiratorie degli asmatici. Se la produzione locale di questo fattore fosse essenziale per la messa in moto dei meccanismi allergici che portano all’asma, ciò spiegherebbe l’assenza di tale malattia, anche in presenza di una rinite allergica, nel caso in cui TSLP non è prodotto in eccesso nelle basse vie respiratorie (perché ciò accada non è chiaro). Ne sarebbe prova il fatto che solo circa il 30-40% dei soggetti con rinite allergica e dimostrata sensibilizzazione agli allergeni inalati sviluppa asma. Cellule NKT e meccanismi infettivi Le cellule NK (natural killer) furono descritte per la prima volta molti anni fa e devono il nome alla loro capacità di lisare alcune linee cellulari tumorali in assenza di una preventiva sensibilizzazione. Fisiologicamente si pensa che le cellule NK abbiano importanza nell’eliminazione di cellule neoplastiche e di cellule infettate da virus. Inizialmente si riteneva che le cellule NK fossero tutte linfociti non T e non B, ma ora si è visto che una loro significativa proporzione ha anche caratteristiche di linfociti T. Questa sottopopolazione è indicata con la sigla NKT. Le cellule NKT, in parte CD4+ e in parte doppie negative CD4–, CD8–, aggiungono alle funzioni NK alcune caratteristiche dei linfociti T. In particolare, sono dotate del recettore caratteristico di queste cellule, che è un eterodimero costituito da due catene peptidiche, dette e . Generalmente queste catene peptidiche sono polimorfe e la loro variabilità assicura la specificità di legame con un’ampia gamma di antigeni. Esiste, tuttavia, un repertorio altamente ristretto di cellule NKT, che hanno la catena invariante (ossia polimorfi solo per quanto riguarda la catena ) e che sono chiamati iNKT. Questa catena invariante è definita in termini molecolari V14-J18 nel topo e V-24-J18 nell’uomo. Le cellule NKT invarianti hanno alcune funzioni molto interessanti. Infatti, con il loro recettore T non riconoscono alla superficie delle cellule che presentano gli antigeni (cellule dendritiche) i peptidi collegati a molecole del sistema maggiore di istocompatibilità, ma i glicolipidi collegati a una molecola che svolge funzioni di presentazione analoghe e che è chiamata CD1d (Fig. 18.1). Il glicolipide meglio riconosciuto è l’-galattosilceramide, ma numerosi suoi analoghi sono stati individuati come oggetto di riconoscimento da parte di cellule NKT invarianti. È importante ricordare che i glicolipidi che possono effettuare questa stimolazione si trovano in vari batteri e possono essere di origine endogena, come il prodotto del danneggiamento cellulare. Recentemente, alcuni autori hanno sostenuto che in ceppi di topi privi di cellule NKT non sia possibile indurre sperimentalmente l’asma allergico, cosa che dipenderebbe dalla capacità di queste cellule di favorire la polarizzazione Th2; inoltre, nel liquido di lavaggio bronco-alveolare di asmatici, la percentuale delle cellule NKT invarianti sarebbe sensibilmente aumentata e ciò avrebbe particolare importanza, perché le citochine prodotte da queste cellule, IL-4 e IL-13, determinano iper-reattività bronchiale. Perciò, sempre secondo questi autori, tali cellule potrebbero indurre l’asma favorendo le reazioni allergiche, ma anche indipendentemente da meccanismi allergici (sarebbero 6/9/10 9:43:37 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE sufficienti stimoli che le concentrino a livello bronchiale), spiegando così l’asma intrinseco. I reperti di questi autori non sono stati confermati da altri e il ruolo delle cellule NKT nell’asma bronchiale resta ancora da definire. Più recentemente, altri autori hanno sviluppato nel topo un modello di asma e di BPCO legato all’infezione con un virus parainfluenzale, il virus Sendai. Ciò dipenderebbe dall’azione di cellule NKT invarianti che agiscono sui macrofagi, inducendoli a secernere IL-13, che si è visto hanno un’attività broncocostrittrice. Questa osservazione porterebbe ad attribuire un ruolo alle infezioni virali, attraverso le cellule NKT, nella patogenesi dell’asma. Le ricerche future faranno luce su questi problemi. Qui basta ricordare che l’identificazione di meccanismi aggiuntivi, oltre a quelli legati all’allergia respiratoria, potrebbe avere importanti ricadute cliniche. Infatti, secondo alcuni autori, questa doppia componente patogenetica avrebbe un corrispettivo anatomopatologico, ossia l’infiltrazione bronchiale, principalmente rappresentata da eosinofili quando prevale la componente allergica, e da neutrofili quando prevale la componente non allergica. Tuttavia, tale componente ha anche un importante corrispettivo terapeutico. Infatti, si sostiene che le cellule NKT, a differenza di quelle T convenzionali, siano resistenti all’azione dei cortisonici, il che darebbe ragione di importanti difficoltà nel trattamento di forme gravi di asma. Perciò, la classificazione clinica dell’asma in base alla sua gravità ha una certa corrispondenza con i suoi diversi aspetti patogenetici. di cellule infiammatorie, in particolare linfociti CD4+, mastociti, granulociti eosinofili e neutrofili), dello strato muscolare (ipertrofia e iperplasia, con frequente infiltrazione di mastociti) e delle strutture muco-secernenti (iperplasia delle ghiandole mucose) (Figg. 18.2 e 18.3). L’intenso infiltrato infiammatorio è spesso presente nello strato esterno della parete bronchiale, soprattutto nei piccoli bronchi. Nei pazienti asmatici deceduti per altre cause e nelle biopsie bronchiali, si è osservato che le alterazioni infiammatorie erano presenti nelle vie aeree anche nelle forme lievi di asma e di stabilità tra le crisi. In questi casi le alterazioni riscontrate erano simili a quelle rilevate nelle forme fatali di asma, ma di grado più lieve. È interessante ricordare che le biopsie eseguite in coincidenza di attacchi asmatici dimostrano che il primo evento a verificarsi è l’incremento dell’infiltrato cellulare peribronchiale, rappresentato prima da granulociti neutrofili e poi da eosinofili. Ciò conferma che tutte le altre alterazioni sono conseguenti a questo infiltrato. Fase intercritica Il quadro funzionale respiratorio di un paziente asmatico in fase intercritica varia in rapporto alla gravità della malattia. Nella maggioranza dei pazienti asmatici, indipendentemente dalla gravità del quadro funzionale di base, è tuttavia presente un’iper-reattività bronchiale. L’ostruzione del flusso aereo può essere dovuta fondamentalmente a quattro meccanismi: • ispessimento delle pareti bronchiali da ipertrofia e/o iperplasia della muscolatura liscia e/o presenza di edema della mucosa e/o della sottomucosa; • accumulo di muco e di essudato nel lume delle vie bronchiali; • fibrosi subepiteliale; • disaccoppiamento fra parenchima e parete bronchiolare creato dall’infiltrato infiammatorio e dall’edema dell’avventizia delle vie aeree. Quest’ultimo elemento comporta la perdita o la riduzione della trazione elastica che le pareti alveolari esercitarono fisiologicamente sui bronchioli contigui, contribuendo così al mantenimento della loro pervietà. Le alterazioni morfologiche nell’asma bronchiale sono state ben descritte, sia usando campioni autoptici di soggetti deceduti per asma o di soggetti asmatici deceduti per altre cause, sia attraverso lo studio delle biopsie bronchiali, che tuttavia hanno dato poche informazioni sull’interessamento delle parti più esterne della parete bronchiale. Nelle autopsie dei soggetti deceduti per asma si sono osservate gravi alterazioni infi ammatorie. Sono state descritte alterazioni a carico del lume bronchiale (spesso completamente occluso e riempito di secrezioni), dello strato epiteliale (diffusa disepitelizzazione), della mucosa bronchiale (fibrosi subepiteliale e infiltrazione b 2 Fisiopatologia Anatomia patologica a 435 c Figura 18.2 Quadri anatomopatologici di biopsie di vie aeree di bambini asmatici: si evidenzia l’aumento di spessore della lamina reticolare della membrana basale (a) e l’infiltrato eosinofilico (c) rispetto ai bambini non affetti da asma con normale spessore della membrana basale (b) e assenza di infiltrato eosinofilo (d). d (Da: Barbato A et al. Airway inflammation in childhood asthma. Am J Respir Crit Care Med 2003 Oct 1;168(7):798:803.) C0090.indd 435 6/9/10 9:43:37 PM 436 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO Figura 18.3 Quadro anatomopatologico di un soggetto morto per asma bronchiale. a b c d (Da: Saetta M et al. Fatal asthma in a young patient with severe bronchial hyperresponsiveness but stable peak flow records. Eur Respir J 1989 Nov;2(10):1008-12.) L’eccessiva variabilità giornaliera del picco di flusso espiratorio è espressione della abnorme responsività bronchiale dei pazienti asmatici. Se in un soggetto normale la variabilità giornaliera dei valori di picco di flusso espiratorio (PEF, Peak Expiratory Flow) è limitata al 10% dei valori basali, nell’asmatico essa è maggiore, a causa di episodi di bronco-ostruzione indotti da stimoli scatenanti o dei valori abnormemente bassi del PEF osservabili nelle prime ore del mattino, il cosiddetto asma notturno, il cui meccanismo non è stato completamente chiarito, anche se in parte è stato attribuito alla caduta mattutina della cortisolemia e all’accentuarsi, sempre al mattino, del grado di infiammazione della mucosa delle vie aeree. Riacutizzazione asmatica Nel corso di riacutizzazione asmatica, alle alterazioni di base già descritte si sovrappone un’acuta e transitoria ostruzione del flusso aereo, dovuta verosimilmente a tre meccanismi: 1. la contrazione della muscolatura liscia; 2. la formazione di edema della mucosa e/o della sottomucosa; 3. l’accumulo di muco, cellule ed essudato nel lume delle vie aeree. Questa ostruzione è obiettivabile con una caduta dei valori di PEF e di volume espiratorio massimo al primo secondo (VEMS) e comporta maggiori resistenze al flusso e all’aumento del volume a livello del quale il soggetto respira, obiettivabile con un aumento della capacità funzionale residua (CFR). C0090.indd 436 L’ostruzione acuta del flusso aereo causa alterazioni emogasanalitiche che possono essere particolarmente rilevanti da un punto di vista clinico. A causa della disomogenea distribuzione dell’ostruzione nelle diverse vie aeree, si sviluppa un’alterazione della distribuzione della ventilazione, con conseguenti turbe del rapporto ventilazione/perfusione che portano a ipossiemia. Il paziente asmatico reagisce all’ipossiemia iperventilando, il che da una parte normalizza i livelli di PaO2, mascherando l’ipossiemia, ma dall’altra porta a ipocapnia. Quando il quadro si aggrava, l’iperventilazione mantiene una normale PaO2, ma la gravità dell’ostruzione del flusso aereo e l’affaticamento dei muscoli respiratori portano dapprima a normocapnia e poi a ipercapnia. È importante sottolineare che in pazienti con gravi riacutizzazioni asmatiche possono essere presenti valori solo lievemente aumentati di PaCO2, da considerare segni premonitori di insufficienza respiratoria ingravescente e come tali da trattare. Quando il compenso viene meno, si hanno ipossiemia, ipercapnia e acidosi respiratoria, un vero e proprio quadro di insufficienza respiratoria. Purtroppo i segni clinici di insufficienza respiratoria (cianosi, sudorazione, tachicardia, polso paradosso) compaiono spesso tardivamente rispetto alle alterazioni dei flussi espiratori ed emogasanalitiche, il che rende necessario misurare i flussi espiratori e i gas arteriosi in tutti i casi in cui questo sia possibile, senza però ritardare l’intervento terapeutico. Riacutizzazione asmatica grave Nella riacutizzazione asmatica grave e nella morte per asma operano gli stessi meccanismi descritti sopra, 6/9/10 9:43:40 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE ovviamente con intensità diversa. È possibile tuttavia che, in particolare nelle riacutizzazioni asmatiche gravi, intervengano altre modificazioni fisiopatologiche responsabili della morte, quali gravi aritmie cardiache e scompenso cardiaco destro da ipertensione polmonare acuta. Segni funzionali prognostici negativi sono l’uso da parte del paziente dei muscoli respiratori accessori e la presenza di polso paradosso. Sia l’uso dei muscoli respiratori accessori sia il polso paradosso riflettono la necessità di ricorrere a elevate pressioni intratoraciche negative inspiratorie in corso di riacutizzazione asmatica grave. Il polso paradosso consiste nella caduta della pressione arteriosa sistemica sistolica durante l’inspirazione. Nei soggetti normali, durante l’inspirazione vi è una fisiologica caduta di 5-10 mmHg della pressione arteriosa sistemica sistolica, mentre tale caduta è paradossa nell’asmatico, in quanto arriva a valori di 30-40 mmHg. Il polso paradosso può essere quantificato calcolando, mediante un semplice sfigmomanometro, la differenza fra la pressione arteriosa quando si odono i primi battiti solo in fase espiratoria e quella in cui i battiti si odono per tutto il ciclo respiratorio. Manifestazioni cliniche dell’asma L’asma bronchiale può presentarsi in entrambi i sessi a qualsiasi età della vita; tuttavia, nei soggetti atopici, esordisce più frequentemente nell’età infantile, in particolare in soggetti con familiarità per le malattie allergiche e l’asma in particolare, o addirittura con una storia individuale di allergopatia, soprattutto di rinite e dermatite allergica. L’asma intrinseco, invece, insorge preferenzialmente dopo i 30 anni di età, spesso senza una chiara causa scatenante, prevalentemente in soggetti non atopici e nelle donne. Le manifestazioni cliniche dell’asma dipendono dalla fase della malattia. Fase intercritica Nella fase intercritica l’asma è silente nella maggior parte dei pazienti asmatici e comunque lo è in tutti i pazienti con asma intermittente. Il paziente è asintomatico, ma può sviluppare episodi di ostruzione del flusso aereo obiettivabili solo strumentalmente in seguito all’esposizione a fattori scatenanti quali lo sforzo, l’esposizione ad aria fredda, allergeni, agenti sensibilizzanti professionali e non. In alcuni casi l’unico sintomo di asma intermittente è la tosse, ma nella maggioranza dei casi anche l’asma intermittente si manifesta con segni tipici quali dispnea, senso di costrizione/oppressione toracica, in particolare dietro il manubrio sternale, e respiro sibilante. L’esame obiettivo di un soggetto in fase intercritica è solitamente negativo. Riacutizzazione asmatica (attacco asmatico) I sintomi caratteristici dell’asma bronchiale sono le crisi ricorrenti di tosse, respiro sibilante, senso di oppressione toracica e dispnea (“fame d’aria”) conseguenti all’ostruzione acuta del flusso aereo. La tosse è, a volte, accompagnata da scarse quantità di espettorato bianco e denso. Il paziente si presenta in genere agitato, tossisce in maniera stizzosa, è tachipnoico, fa fatica a respirare C0090.indd 437 e usa i muscoli respiratori accessori. Prima ancora di auscultarlo si odono sibili e si può vedere e sentire che il paziente espira con difficoltà, in maniera prolungata. La riacutizzazione asmatica può comparire in tempi molto variabili, spesso nel giro di minuti, e anche la sua durata è estremamente variabile da alcuni minuti ad alcune ore, se non trattata prontamente. L’esame obiettivo di un paziente con una riacutizzazione asmatica in atto è caratteristico. Il paziente appare sofferente, in posizione semiortopnoica (spesso con i gomiti appoggiati al tavolo) per agevolare l’espirazione o, se si trova a letto, in posizione ortopnoica. Il torace si presenta iperespanso in atteggiamento inspiratorio e spesso con i muscoli respiratori accessori contratti. Alla palpazione, peraltro poco indicativa, può essere evidente una riduzione del fremito vocale tattile. Alla percussione si apprezzano un’iperfonesi plessica dovuta all’iperinflazione e un abbassamento degli emidiaframmi che risultano ipomobili. All’auscultazione si riconoscono gemiti e sibili prevalentemente espiratori. La condizione più grave è rappresentata dal cosiddetto stato di male asmatico, in cui l’ostruzione del flusso aereo e la dispnea possono raggiungere livelli tali che il paziente ha difficoltà a parlare, si riducono i sibili fino al silenzio respiratorio all’auscultazione e la tosse si trasforma in rantolo. In questa fase, anche se raramente, la riacutizzazione asmatica può esitare in un quadro di insufficienza respiratoria globale, che può diventare fatale per il paziente, che si presenta sudato, tachipnoico, con cianosi labiale o ungueale. Tipico è il silenzio auscultatorio. Il quadro funzionale respiratorio della riacutizzazione asmatica è tipicamente ostruttivo, con riduzione del PEF, del VEMS e del rapporto VEMS/capacità vitale (CV). Tuttavia, nel corso di una riacutizzazione asmatica spesso non è possibile eseguire le prove di funzionalità respiratoria per la necessità di non ritardare l’intervento terapeutico o per la gravità della dispnea e della tosse, che impediscono al paziente di eseguire manovre respiratorie forzate. La radiografia del torace eseguita per escludere la presenza di complicanze, quali il pneumotorace, il pneumomediastino, le polmoniti, e/o per scartare l’ipotesi che l’episodio di broncocostrizione sia causato da altre patologie (per esempio, la presenza di cardiomegalia deve fare sospettare l’asma cardiaco, mentre il riscontro di atelettasie è compatibile con la sindrome da tappi di muco o con la malattia fungina allergica broncopolmonare, la tromboembolia polmonare) è spesso poco indicativa, ma può porre in evidenza l’iperinflazione dei polmoni, un cuore ridotto di volume e di forma allungata. L’elettrocardiogramma di solito mostra solo una tachicardia sinusale, ma, in caso di gravi riacutizzazioni asmatiche, possono essere presenti anche una deviazione a destra dell’asse cardiaco con rotazione oraria, segni di sovraccarico ventricolare destro, blocco di branca destra ed extrasistoli ventricolari. Tali alterazioni indicano un sovraccarico ventricolare destro e la possibilità di scompenso cardiaco destro. La formula leucocitaria non è indicativa; l’eosinofilia può, infatti, essere mascherata dal trattamento con glucocorticosteroidi sistemici che portano neutrofilia, mentre la stessa neutrofilia può essere suggestiva di una concomitante infezione batterica. Nel corso di riacutizzazione 437 2 6/9/10 9:43:43 PM 438 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO asmatica, l’espettorato, quando presente, è di solito denso e mucoso, contiene un elevato numero di eosinofili (nei pazienti non trattati con alte dosi di glucocorticoidi), che possono essere riscontrati in numero sufficiente da conferire all’espettorato un aspetto purulento. Possono inoltre essere rilevati nell’espettorato le spirali di Curschmann e i cristalli di Charcot-Leyden. Nel corso di riacutizzazioni asmatiche particolarmente gravi sono presenti anche i corpi di Creola. Diagnosi La diagnosi clinica di asma è relativamente facile, combinando i sintomi del paziente, i fattori di rischio (la familiarità allergica e/o la storia pregressa di malattie allergiche) e le alterazioni funzionali che dimostrino la presenza di ostruzione bronchiale reversibile e/o ampiamente variabile nel tempo o, in assenza di ciò, la presenza di iperreattività bronchiale. I sintomi principali dell’asma bronchiale sono il respiro sibilante, la dispnea, il senso di costrizione toracica, la tosse e l’espettorato. Il sospetto diagnostico di asma si pone quando questi sintomi sono presenti in maniera variabile, si manifestano in particolare durante la notte o nelle prime ore del mattino e sono scatenati da stimoli quali l’aria fredda, l’attività fisica, gli allergeni o altre sostanze sensibilizzanti. La spirometria e la misura del PEF sono indispensabili per una conferma obiettiva della diagnosi e per la misurazione della gravità della malattia e della risposta alla terapia. La misurazione del VEMS e della CV mediante spirometria consente di evidenziare la presenza di bronco-ostruzione, indicata da un indice di Tiffenau < 70% (VEMS/CV < 70%). In presenza di ostruzione bronchiale, si deve eseguire il test di reversibilità, che consiste nel far inalare al paziente un broncodilatatore a breve durata d’azione, solitamente salbutamolo alla dose di 400 g e nel ripetere la spirometria dopo 20 min. La bronco-ostruzione viene considerata reversibile se il VEMS ritorna entro i valori normali o migliori del soggetto, parzialmente reversibile se il VEMS migliora di 200 mL o > 15% rispetto al valore basale, ma il rapporto VEMS/CVF rimane inferiore a 70%. In caso di un sospetto clinico di asma bronchiale, è consigliabile fare il test della broncodilatazione anche in presenza di un quadro spirometrico normale, in quanto il soggetto può avere un quadro spirometrico ottimale sopra i limiti della norma. In presenza di una chiara storia di asma e di una mancata risposta al broncodilatatore, si procede a un ciclo di 1-2 settimane di terapia con steroidi orali (per esempio, 50 mg/die di prednisone per os), o 1 mese di piena terapia antiasmatica inalatoria combinata broncodilatatrice e steroidea, per valutare la reversibilità della bronco-ostruzione al termine del trattamento. La misurazione del PEF, anche se è un indice meno sensibile del VEMS se misurato estemporaneamente, può essere utile nel confermare la diagnosi di asma bronchiale, quando alla misura ripetuta rivela una variabilità tra i valori misurati al mattino e alla sera maggiore del 20%. La variabilità giornaliera del PEF deve essere calcolata sulla base di almeno due valori (mattutino e serale), ottenuti C0090.indd 438 prima e dopo l’assunzione di un farmaco broncodilatatore (se il paziente ne fa uso) per almeno 1 mese, usando la seguente formula: (PEF serale – PEF mattutino) × 100 (PEF serale + PEF mattutino)/2 Variabilità giornaliera = ___________________________ Se il paziente viene osservato in una fase intercritica, in cui non è dimostrabile la presenza di ostruzione bronchiale e in cui la variabilità del PEF è nella norma e il test di broncodilatazione è negativo, è utile effettuare il test di provocazione bronchiale, in particolare con metacolina, per documentare la presenza di iper-reattività bronchiale. I test di provocazione bronchiale consistono nella misura del VEMS prima e dopo la somministrazione di dosi crescenti di stimoli broncocostrittori, fino a quando viene raggiunta una significativa riduzione del parametro di funzionalità respiratoria (riduzione del 20% del VEMS). Minore è la dose dello stimolo broncocostrittore in grado di causare la riduzione del VEMS, maggiore sarà il grado di iper-responsività bronchiale. I test di provocazione bronchiale vengono definiti aspecifici in quanto gli stimoli usati agiscono in maniera uguale, non mediata immunologicamente, sia nei soggetti normali sia negli asmatici. Questi stimoli sono in grado di causare solo una risposta immediata, cioè entro pochi minuti, che regredisce spontaneamente o con broncodilatatori entro poche decine di minuti. I test di provocazione bronchiale specifici, al contrario, pur eseguiti in maniera simile, vengono fatti con stimoli che agiscono con un meccanismo immunologico (per esempio, allergeni, alimenti, agenti sensibilizzanti di origine professionale), che quindi provocano ostruzione del flusso aereo solo nei pazienti specificamente a essi sensibilizzati. I test specifici possono provocare ostruzione sia immediata (entro pochi minuti) sia ritardata (dopo 1-2 ore), che regredisce più lentamente e può richiedere non solo broncodilatatori, ma anche steroidi sistemici. Il grado di responsività bronchiale aspecifica può essere misurato nei laboratori di fisiopatologia respiratoria mediante i test di provocazione bronchiale con stimoli aspecifici diretti, quali l’istamina o la metacolina, che agiscono direttamente sulla muscolatura liscia, o mediante stimoli aspecifici indiretti, quali la nebbia ultrasonica di acqua distillata, le soluzioni di adenosina o propanolo, o il test da sforzo. Questi stimoli sono definiti indiretti, in quanto inducono nelle vie aeree inferiori il rilascio di mediatori infiammatori (per esempio, istamina, prostaglandine, cisteinil-leucotrieni), responsabili a loro volta dell’ostruzione bronchiale. Solo il test con la metacolina è sufficientemente standardizzato ed esente da rischi e viene quindi utilizzato, ove necessario, nella pratica clinica (si veda il Capitolo 15). I test di provocazione bronchiale con stimoli indiretti, anche se più specifici in quanto positivi quasi esclusivamente nei pazienti asmatici, non sono ancora adeguatamente standardizzati e privi di rischi e il loro uso deve essere limitato ai centri di ricerca. Analogamente, i test di provocazione con allergeni vengono eseguiti solo per ricerca, mentre i test con agenti professionali possono essere effettuati anche per motivi medicolegali (si veda il Capitolo 19). 6/9/10 9:43:43 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE 439 Figura 18.4 Prove allergometriche cutanee o prick test. a b Prove allergologiche Dopo un’attenta anamnesi mirata a identificare le possibili cause o i possibili fattori scatenanti l’asma, si ricerca in genere la presenza di eventuali allergie mediante prove allergometriche cutanee (Fig. 18.4). Il gruppo di allergeni che è utilizzato comprende gli estratti di acari, di pelo di cane, di gatto o di altri animali, di pollini e/o funghi caratteristici della regione in cui il paziente risiede, insetti e qualsiasi altro materiale potenzialmente responsabile identificato dall’anamnesi. Nel sangue periferico può essere dosata la concentrazione sierica delle IgE totali, in particolare delle IgE specifiche (RAST, Radio-Allergo-Sorbent Test). Le prove allergometriche cutanee e il dosaggio della concentrazione sierica delle IgE specifiche mettono solo in evidenza la presenza in quel paziente di anticorpi IgE specifici per determinati allergeni, e quindi non costituiscono una prova di causa-effetto con l’asma bronchiale. Tuttavia, permettono di dare al paziente indicazioni relative ai fattori di rischio da evitare e di definire i pochi pazienti nei quali è indicata un’immunoterapia specifica. Altri esami Ogni paziente in cui si sospetta la presenza di asma dovrebbe, in fase iniziale, essere sottoposto a una radiografia del torace per escludere le possibilità che altre patologie toraciche siano responsabili della sintomatologia. La tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT, High-Resolution Computed Tomography) del torace può risultare utile nei casi dubbi di asma e BPCO, in quanto l’enfisema è in genere assente nell’asma anche grave, mentre si riscontra spesso nella BPCO. In corso di gravi riacutizzazioni asmatiche, è importante eseguire l’emogasanalisi (EGA) arteriosa per la valutazione dei gas ematici (Tab. 18.1). Tabella 18.1 Alterazioni emogasanalitiche durante una crisi asmatica prima del trattamento Riacutizzazione lieve Ipossiemia Normocapnia Riacutizzazione Ipossiemia moderata Ipocapnia Riacutizzazione grave Ipossiemia Ipercapnia C0090.indd 439 c Infine, sono stati recentemente sviluppati marcatori di infiammazione bronchiale ottenibili con metodi non o minimamente invasivi, quali la misurazione della concentrazione di ossido nitrico nell’aria espirata, la percentuale di eosinofili nell’espettorato spontaneo o indotto, che potrebbero assumere un ruolo integrativo a quello delle valutazioni clinicofunzionali nella gestione dell’asma, ma che a tutt’oggi non hanno un ruolo preciso nella pratica clinica. L’algoritmo diagnostico che combina la spirometria, il test di reversibilità e il test alla metacolina è riportato nella figura 18.5. 2 Diagnosi differenziale Nei pazienti con asma persistente moderato-grave, l’ostruzione del flusso aereo permane anche negli intervalli fra le riacutizzazioni e occorre fare una diagnosi differenziale con le altre cause di ostruzione delle vie aeree (Tab. 18.2), di cui la più comune è la BPCO. L’asma e la BPCO sono le più frequenti malattie croniche ostruttive delle vie aeree, entrambe caratterizzate da un’infiammazione broncopolmonare cronica, nei casi clinicamente tipici sostanzialmente diverse. Dal punto di vista clinico la diagnosi differenziale è molto semplice. L’asma si sviluppa fin dall’infanzia, spesso causato da allergeni, e si manifesta con sintomi ricorrenti e reversibili, in particolare respiro sibilante e tosse non produttiva. La BPCO si sviluppa in genere dopo i 40 anni di età, quasi esclusivamente in fumatori o ex fumatori di lungo corso, e si manifesta con sintomi respiratori cronici, in particolare dispnea da sforzo e tosse produttiva. La BPCO è caratterizzata da un’ostruzione bronchiale non o poco reversibile, solitamente evolutiva, associata a un’abnorme risposta infiammatoria all’esposizione cronica, in particolare al fumo di sigaretta, ma anche in alcuni casi a inquinanti professionali, ambientali o domestici. I soggetti con asma che sono esposti ad agenti nocivi (specialmente fumo di sigaretta) possono sviluppare un’ostruzione bronchiale cronica, con uno stato infiammatorio delle vie aeree intermedio tra l’asma e la BPCO. Quindi, anche se l’asma è di solito facilmente distinguibile dalla BPCO, in alcuni individui asmatici che manifestano sintomi respiratori cronici e ostruzione bronchiale poco reversibile, la distinzione può risultare più problematica. Analogamente, alcuni soggetti con un chiaro quadro di BPCO possono presentare sintomi di asma, ostruzione parzialmente ma significativamente reversibile, e risposta agli steroidi (inusuale nei pazienti con BPCO), e vanno quindi trattati come asmatici. 6/9/10 9:43:43 PM 440 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO Figura 18.5 Algoritmo per la diagnosi di asma bronchiale. Sintomi: tosse, sibili, dispnea intolleranza allo sforzo Sospetto clinico di asma Spirometria Test di broncostimolazione No Sindrome ostruttiva? Sì Diagnosi alternative all’asma No Test di reversibilità Iperattività bronchiale Sì Ostruzione reversibile? No Sì No Diagnosi alternative all’asma Diagnosi di asma Nei soggetti anziani o cardiopatici una sindrome clinica simile a una riacutizzazione asmatica può comparire nei pazienti con scompenso del ventricolo sinistro (asma cardiaco); l’anamnesi, la presenza di un quadro funzionale respiratorio normale e i segni di scompenso cardiaco permettono di distinguere i due quadri. Un’ostruzione delle vie aeree superiori (per esempio, edema della laringe, neoplasia) può essere occasionalmente confusa clinicamente con l’asma; in questi casi in genere, però, è presente stridore e i rumori secchi sono localizzati in corrispondenza della trachea, anche se, in alcuni casi, per dirimere il dubbio diagnostico può essere necessario eseguire una laringoscopia o una fibrobroncoscopia. Soggetti con episodi di adduzione paradossa delle corde vocali, e quindi chiusura della glottide durante l’inspirazione, si possono presentare con sintomi di asma, ma non rispondono al trattamento. In questi casi la diagnosi richiede l’esecuzione di una laringoscopia mentre il paziente è sintomatico. Rumori secchi persistenti localizzati a un’area del torace, associati a accessi di tosse, devono fare sospettare la presenza di una patologia endobronchiale (corpi estranei, neoplasie). Una sindrome clinicamente simile all’asma può essere infine riscontrata anche in altre patologie quali embo- Tabella 18.2 Altre cause di ostruzione bronchiale C0090.indd 440 Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) Asma cardiaco (scompenso cardiaco congestizio) Disfunzione delle corde vocali Neoplasie endobronchiali Corpi estranei endobronchiali Reflusso gastroesofageo Fibrosi cistica Bronchiolite Trattamento ex adiuvantibus 4-6 settimane lie polmonari, vasculiti polmonari (sindrome di ChurgStrauss , poliarterite nodosa ), alcune connettiviti con interessamento polmonare (per esempio, sindrome di Sjögren, lupus eritematoso sistemico, dermatomiositepolimiosite), polmoniti eosinofile, malattia fungina allergica broncopolmonare, strongiloidiasi disseminata, sindrome della Larva migrans viscerale, sindrome da tappi di muco, sindrome da carcinoide, mastocitosi sistemica, intossicazione da farmaci colinergici o da inibitori delle acetil-colinesterasi, tutti quadri rari e comunque in genere facilmente identificabili. Nei bambini, ma anche in giovani adulti con frequenti riacutizzazioni infettive batteriche, va tenuta presente la possibile manifestazione in forma di asma di quadri atipici di fibrosi cistica (FC). Nei primi due anni di vita, pur con tutti gli elementi sopra descritti, può risultare difficile distinguere una riacutizzazione asmatica da una bronchiolite acuta e la diagnosi di asma viene posta solo retrospettivamente per il ripetersi degli episodi. Classificazione di gravità dell’asma bronchiale La classificazione clinica della gravità dell’asma si basa sulla distinzione di quattro livelli di gravità (Tab. 18.3). Tra i parametri presi in considerazione è compresa la valutazione della funzionalità respiratoria, misurata come VEMS o con il PEF, espressa al primo accertamento in termini di percentuale del valore teorico calcolato per razza, sesso, età e altezza, e in seguito come percentuale del miglior valore osservato nel soggetto in esame. Il motivo di questi due diversi modi di espressione risiede nella variabilità del valore di normalità (circa ± 20%); quindi un soggetto asmatico che, come spesso succede, risponde al trattamento, pur rientrando nell’ambito della normalità, prima di essere trattato può passare a valori più elevati, i quali vanno a costituire il suo valore di riferimento migliore per le future calibrazioni della terapia. 6/9/10 9:43:45 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE Tabella 18.3 441 Classificazione di gravità dell’asma basata sui sintomi e sul quadro funzionale respiratorio in assenza di trattamento in atto LIVELLO 4 Grave persistente Sintomi Continui Attività fisica limitata Sintomi notturni Frequenti Variabilità PEF > 30% FEV1 o PEF FEV1 ≤ 30% LIVELLO 3 Moderato persistente Quotidiani attacchi che limitano l’attività > 1 volta/settimana Variabilità PEF > 30% FEV1 60-80% teorico LIVELLO 2 Lieve persistente > 1 volta/settimana ma > 1 volta/die > 2 volte/mese FEV1 ≥ 80% teorico Variabilità PEF 20-30% LIVELLO 1 Intermittente < 1 volta/settimana ≤ 2 volte/mese FEV1 ≥ 80% teorico Variabilità PEF < 20% 2 FEV1 = volume espiratorio forzato al primo secondo; PEF = picco di flusso espiratorio. 1 Su tale classificazione di gravità sono impostati i più recenti schemi di trattamento dell’asma. Questa classificazione richiede che il paziente faccia uso di diari clinici per la raccolta dei sintomi e per la registrazione delle misure del PEF, che sono divenuti strumenti educativi e di lavoro indispensabili a pazienti e medici per la corretta impostazione del trattamento. La classificazione per gravità prevede quattro stadi. • Asma intermittente: È caratterizzato da episodi intermittenti, meno frequenti di una volta alla settimana, con riacutizzazioni di breve durata, da poche ore a pochi giorni, ed episodi di asma notturno meno di 2 volte al mese. In presenza dei sintomi, il VEMS o il PEF rimane superiore all’80% del teorico o del miglior valore personale, e la variabilità giornaliera del PEF, calcolata dalla formula: PEF max – PEF min _________________ × 100 sono frequenti. Il VEMS o il PEF sono inferiori al 60% del teorico o del miglior valore personale, la variabilità giornaliera del PEF è superiore al 30%. L’applicazione di questa classificazione clinica al trattamento dell’asma sarà discussa nel paragrafo dedicato alla terapia. Deve essere tuttavia anticipato che questa classificazione si applica al paziente che giunge dal medico per la prima volta, che è in fase intercritica e che non è in trattamento farmacologico. Infatti, se il paziente è in trattamento e la terapia funziona, egli potrà avere una funzionalità respiratoria nella norma e nessuno o pochi sintomi, pur persistendo la malattia, e quindi bisognerà tener conto del livello di trattamento farmacologico per mantenere l’asma sotto controllo. In breve, pertanto, nel paziente in trattamento, la valutazione clinica di gravità è essenzialmente costituita dall’intensità della terapia necessaria a tenere l’asma sotto controllo. PEF max è inferiore al 20%. Nelle fasi intercritiche il paziente è asintomatico e la funzionalità respiratoria normale. • Asma lieve persistente: è caratterizzato da uno o più episodi di asma a settimana, ma meno di uno al giorno, con riacutizzazioni che possono interferire con le normali attività quotidiane e il sonno e con due o più episodi di asma notturno al mese. In presenza dei sintomi, il VEMS o il PEF sono superiori all’80% del teorico o del miglior valore personale, e la variabilità giornaliera del PEF è compresa tra il 20 e il 30%. • Asma moderato persistente: è caratterizzato da episodi quotidiani, con riacutizzazioni che interferiscono con le normali attività quotidiane e il sonno e con episodi di asma notturno più di una volta alla settimana. È peculiare l’uso quotidiano di 2-agonisti a breve durata di azione. Il VEMS o il PEF sono compresi fra il 60 e l’80% del teorico o del miglior valore personale, la variabilità giornaliera del PEF è superiore al 30%. • Asma grave persistente: è caratterizzato da episodi continui, le riacutizzazioni interferiscono con la normale attività fisica, e gli episodi di asma notturno C0090.indd 441 Terapia Prevenzione dell’asma Ogni qualvolta sono identificati fattori scatenanti specifici, siano essi allergeni, farmaci o agenti professionali, il primo provvedimento è insegnare ai pazienti a evitarne accuratamente, nei limiti del possibile, l’esposizione. Questo non vale per lo sforzo fisico, in quanto la terapia farmacologica dovrebbe essere calibrata per annullarne gli effetti. Inoltre, considerati gli effetti negativi del fumo e degli inquinanti atmosferici, o anche dei semplici temporali, i pazienti vanno istruiti a non fumare, a non frequentare ambienti fumosi, a evitare l’esposizione a inquinanti o di uscire in giorni con temporali particolarmente violenti. Trattamento farmacologico della fase stabile L’obiettivo del trattamento farmacologico dell’asma è di raggiungere e mantenere il controllo clinico, definibile in accordo con i criteri descritti nella tabella 18.4. 6/9/10 9:43:45 PM 442 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO Tabella 18.4 Livelli di controllo dell’asma Caratteristiche Sintomi giornalieri Controllato Nessuno (o minimo) Limitazioni delle attività Nessuno Qualche Sintomi notturni/risvegli Nessuno Qualche Necessità di farmaco al bisogno Nessuno (o minimo) > 2 volte/settimana Funzione polmonare Normale < 80% del teorico o del personal best (se noto) in ogni giorno Riacutizzazioni Nessuna 1 o più/anno I farmaci per trattare l’asma sono classificati in farmaci di controllo o di fondo e sintomatici. I primi vanno assunti giornalmente, allo scopo di mettere e mantenere l’asma sotto controllo clinico. Farmaci di fondo di prima scelta sono i glucocorticosteroidi inalatori (beclometasone, fluticasone, budesonide, flunisolide, ciclesonide, mometasone) o, nei casi gravi, sistemici (prednisolone), e come seconda scelta, gli antagonisti del recettore dei cisteinil-leucotrienici (montelukast), i farmaci broncodilatatori 2-agonisti a lunga durata d’azione (formoterolo, salmeterolo) associati ai glucocorticosteroidi inalatori in uno stesso erogatore, la teofillina a lento rilascio e i monoclonali umanizzati anti-IgE (omalizumab). I glucocorticosteroidi inalatori, da soli o associati ai 2-agonisti a lunga durata d’azione, sono i farmaci di fondo attualmente più efficaci e quindi di prima scelta. L’asma viene trattato quasi esclusivamente per via inalatoria, in quanto consente il massimo beneficio con i minimi effetti collaterali, in particolare con farmaci 2-agonisti e glucocorticosteroidi. I farmaci sintomatici sono quelli usati al bisogno, che quindi rimuovono l’ostruzione bronchiale a insorgenza acuta e i sintomi acuti che l’accompagnano. Questa classe comprendere i broncodilatatori 2-agonisti a rapida azione inalatori (salbutamolo, formoterolo), che attualmente sono i farmaci di prima scelta, gli anticolinergici inalatori, la teofillina a rapida insorgenza d’azione, i broncodilatatori 2-agonisti a rapida insorgenza d’azione, somministrati per via orale. I glucocorticosteroidi sono attualmente i farmaci antinfiammatori più efficaci nel trattamento dell’asma persistente; infatti è stato dimostrato che ne riducono i sintomi, migliorano la qualità di vita e la funzionalità respiratoria, diminuiscono l’iper-reattività bronchiale, l’infiammazione delle vie aeree, la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni, e quindi la mortalità per asma, pur non eliminando la malattia. In effetti, la loro sospensione determina un peggioramento del controllo clinico, che sopraggiunge entro settimane-mesi nella maggioranza dei pazienti. La maggior parte dei benefici dei glucocorticosteroidi inalatori è raggiunta negli adulti a dosi relativamente basse, equivalenti a una dose giornaliera < 500 g di beclometasone. L’aumento di queste dosi comporta ulteriori benefici di scarsa entità in termini di controllo dell’asma, ma innalza il rischio C0090.indd 442 Parzialmente controllato > 2 volte/settimana Non controllato Tre o più aspetti presenti nell’asma parzialmente controllato Uno in qualsiasi settimana di effetti collaterali. Tuttavia, c’è un’evidente variabilità individuale nella risposta al trattamento con glucocorticosteroidi inalatori e, a causa di ciò e della scarsa aderenza al trattamento che spesso si riscontra con tali farmaci, molti pazienti richiedono dosaggi ancora più alti per raggiungere la piena risposta terapeutica. Poiché il fumo di tabacco riduce la risposta ai glucocorticosteroidi inalatori, è spesso necessario aumentare il dosaggio nei pazienti fumatori. Per raggiungere il controllo clinico, comunque, piuttosto che incrementare la dose di glucocorticosteroide, è preferibile aggiungere un farmaco 2-stimolante a lunga durata d’azione. Esiste, tuttavia, una chiara relazione tra la dose di glucocorticosteroidi per via inalatoria e la prevenzione delle riacutizzazioni gravi dell’asma. Per tale motivo, alcuni pazienti con asma grave possono trarre beneficio da un trattamento a lungo termine con più alte dosi di glucocorticosteroidi per via inalatoria. Per contro, i farmaci 2-stimolanti a lunga durata d’azione non vanno mai somministrati da soli senza glucocorticosteroide, in quanto meno efficaci e potenzialmente pericolosi (possono aggravare l’asma e in alcuni casi portare a riacutizzazioni fatali). Il trattamento farmacologico dell’asma è un trattamento a stadi basato sulla gravità della malattia e atto a raggiungere il controllo della stessa. Il livello del controllo dell’asma attribuito al paziente in un determinato momento e il trattamento corrente determinano la selezione del trattamento farmacologico. Per esempio, se l’asma non è controllato con il regime di trattamento attuale, questo va aumentato fino al raggiungimento del controllo. Al contrario, se il controllo è stato raggiunto e mantenuto per almeno 3 mesi, il trattamento potrebbe essere ridotto allo scopo di stabilire la minima dose efficace di trattamento che mantenga il controllo dell’asma (Tab. 18.5, Fig. 18.6). In pazienti con sintomi occasionali, il trattamento è puramente sintomatico, quindi con farmaci 2-agonisti a rapida azione usati per rimuovere i sintomi o per prevenirli (per esempio, in caso di asma da sforzo, frequente nei bambini). In un paziente con sintomi persistenti si possono adottare due strategie. La prima consiste nell’instaurare il trattamento necessario in rapporto alla gravità dell’asma in atto (per esempio, solo steroidi inalatori 6/9/10 9:43:45 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE Tabella 18.5 Raccomandazioni sulle modalità di trattamento iniziale del paziente basato sul livello di gravità dell’asma in assenza di trattamento Opzione principale Altre opzioni (in ordine decrescente di efficacia) Livello 1 2-agonisti a breve azione al bisogno Livello 2 CSI a bassa dose Livello 3 CSI a bassa dose + LABA Livello 4 CSI a media dose + LABA Livello 5 CSI a alta dose + LABA Controllo ambientale e immunoterapia, quando indicati Antileucotrieni* Cromoni 2-agonisti a breve azione al bisogno Programma di educazione CSI a bassa dose + antileucotrieni* CSI a bassa dose + teofilline-LR CSI a dose medio-alta Aggiungere uno o più: antileucotrieni teofilline-LR Aggiungere uno o più: antileucotrieni anti-IgE (omalizumab) Teofilline-LR CS orali CSI = corticosteroidi inalatori; LABA = long-acting 2-agonisti; LR = a lento rilascio. * Nei pazienti con asma e rinite rispondono bene agli antileucotrieni. 2 volte/die più 2-agonisti a breve durata d’azione solo al bisogno) e poi si aumenta l’intensità del trattamento (per esempio, sostituendo il glucocorticosteroide con la combinazione glucocorticosteroide-2 a lunga durata), in rapporto al grado di controllo verificato a intervalli di settimane nei pazienti gravi o di mesi in quelli lievi. La seconda strategia prevede una terapia più aggressiva fin dall’inizio (per esempio, con la combinazione glucocorticosteroide-2 a lunga durata d’azione, solo il formoterolo) al fine di ottenere in breve il controllo della malattia, e si diminuisce a intervalli di mesi (per esempio, 3 mesi) fino a ottenere il massimo controllo con la minima dose di farmaci. I farmaci sintomatici 2 a rapida azione costituiscono in questi casi un buon termometro della malattie, in quanto il loro impiego testimonia il mancato controllo, mentre la mancanza di necessità di ricorrere alla loro assunzione è un ottimo segno di controllo. Parzialmente controllato Non controllato Riacutizzazione L’immunoterapia specifica con allergeni consiste nella somministrazione per via intradermica o sublinguale di estratti allergenici purificati Questa immunoterapia ha un ruolo importante, ma è utilizzabile da un numero molto limitato di pazienti, in quanto: • richiede l’identificazione del singolo allergene responsabile dell’asma; • va somministrata in dosi progressive per lunghi periodi; • induce un miglioramento clinico significativo, ma limitato; • può causare, se non somministrata da personale specificamente addestrato, importanti effetti collaterali (reazioni cutanee immediate e ritardate, crisi d’asma, reazioni anafilattiche e in casi eccezionali morte); RIDURRE Controllato 2 Immunoterapia specifica di pazienti con asma allergico AUMENTARE Livello di controllo Livelli di trattamento C0090.indd 443 443 Piano di trattamento Mantenimento della terapia Aumentare per migliorare il controllo Aumentare per raggiungere il controllo Trattare la riacutizzazione Figura 18.6 Livello di controllo dell’asma e piano di trattamento. 6/9/10 9:43:46 PM 444 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO • non porta a remissione dell’asma, ma lo mette sotto controllo come la terapia farmacologia; • pur in assenza di studi diretti di confronto, il livello di controllo desumibile dagli studi esistenti appare inferiore rispetto a quello raggiungibile con i farmaci. Per tutti questi motivi viene limitata ai pazienti sensibilizzati a singoli allergeni ritenuti causa della sintomatologia, in base alla storia clinica, e ai pazienti con asma lieve intermittente o lieve persistente non controllabili con la terapia farmacologica inalatoria. Trattamento della riacutizzazione asmatica Le riacutizzazioni lievi-moderate possono essere trattate ambulatorialmente. I cardini del trattamento sono i broncodilatatori a breve durata d’azione, da 2 a 4 puff (per esempio, salbutamolo spray, 200-400 g) ogni 3-4 ore più glucocorticosteroidi per via sistemica per brevi cicli di 7-10 giorni (per esempio, prednisone, 50 mg/die). In genere il quadro regredisce nel corso dei primi 2-3 giorni, ma il trattamento va continuato per almeno 1 settimana, per evitare ricadute. L’algoritmo del trattamento delle riacutizzazioni gravi è riportato nella figura 18.7. Asma fatale e anafilassi Le riacutizzazioni gravi sono rare, ma sono vere e proprie emergenze mediche, potenzialmente fatali; l’assistenza deve quindi essere immediata e il trattamento va somministrato preferenzialmente in ospedale o in un Pronto Soccorso. Oltre alla terapia con broncodilatatori e glucocorticoidi per via sistemica, in molti casi è necessario somministrare ai primi sintomi o segni ripetute dosi di adrenalina, alti flussi di ossigeno, monitorando costantemente la saturazione ossimoglobinica e l’EGA arteriosa, e può rendersi necessario ricorrere all’intubazione e alla ventilazione meccanica del paziente. Le reazioni anafilattiche sono eventi patologici potenzialmente fatali, in grado di simulare asma nei pazienti non asmatici o scatenare asma in quelli asmatici. La tempestività del trattamento è fondamentale ed è quindi indispensabile porre la diagnosi in maniera rapida. Le cause più frequenti sono punture di insetti (per esempio, imenotteri), farmaci (per esempio, acido acetilsalicilico o antinfiammatori non steroidei, inibitori dell’enzima di conversione, antibiotici), alimenti, iniezioni di estratti allergenici o vaccini e anche il semplice sforzo fisico. Le reazioni anafilattiche si manifestano in genere con vampate di calore, prurito, orticaria e/o angioedema, stridore laringeo o dispnea acuta, perdita di coscienza associata o meno a ipotensione, nausea e/o diarrea. Il trattamento richiede adrenalina, steroidi sistemici, alte dosi di broncodilatatori per via inalatorie e/o sistemica e, se necessario, intubazione e ventilazione meccanica. Educazione del paziente Considerata la meticolosità richiesta nell’accurata prevenzione e nella terapia, sono utili la distribuzione di materiale didattico ed eventuali corsi ai pazienti su natura, prevenzione e terapia dell’asma. In particolare, i pazienti vanno accuratamente istruiti sull’uso dei farmaci e sulle modalità con le quali devono essere affrontate le crisi asmatiche gravi. In pazienti a rischio di gravi attacchi asmatici, è utile consigliare di avere sempre con sé, oltre alla bomboletta spray di salbutamolo (per esempio, tutti i puff necessari), anche una fiala pronto uso di adrenalina e un blister di compresse di prednisone da 25 mg (per esempio, 2 compresse per via orale ogni ora), da assumere prima di raggiungere il medico o il Pronto Soccorso. Valutazione iniziale, anamnesi, esame obiettivo, EGA, PEF o VEMS Trattamento iniziale con broncodilatatori, cortisonici sistemici, O2 se necessario Figura 18.7 Algoritmo del trattamento delle riacutizzazioni gravi dell’asma. Buona risposta Risposta inadeguata Osservazione per almeno 1 ora Consulenza specialistica pneumologica Se stabile, dimissione con consiglio di controllo specialistico entro 20 giorni Risposta adeguata Dimissione Insufficienza respiratoria Risposta inadeguata Ricovero Ricovero in pneumologia UTIR o in unità di terapia intensiva EGA = emogasanalisi; PEF = picco di flusso espiratorio; VEMS = volume espiratorio massimo al primo secondo. C0090.indd 444 6/9/10 9:43:46 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE Aspetti particolari 445 di steroidi sistemici, se moderati-gravi, prima di eseguire interventi chirurgici e anestesie. Gravidanza La gravidanza ha effetti variabili sulle manifestazioni cliniche dell’asma. Alcuni farmaci antiasmatici (citerizina, adrenalina, steroidi sistemici) sono sconsigliati nel corso della gestazione e in particolare nel primo trimestre. Tuttavia, per la donna gravida affetta da asma il pericolo rappresentato dai farmaci è di gran lunga inferiore ai potenziali effetti negativi sul feto di un asma non controllato della madre stessa, ivi compreso l’uso di steroidi sistemici in caso di gravi crisi. Rinite, sinusite e polipi nasali La simultanea presenza di queste condizioni patologiche costituisce un fattore aggravante dell’asma e quindi va sempre presa in considerazione e trattata adeguatamente. La rinosinusite cronica, con o senza polipi nasali, è caratteristicamente presente nell’asma da acido acetilsalicilico, che tende più comunemente a verificarsi in adulti di mezza età non atopici. Reflusso gastroesofageo Interventi chirurgici e anestesia negli asmatici Considerati i potenziali problemi respiratori, in genere gli asmatici vengono sottoposti a un trattamento intensivo antiasmatico, ivi comprese le ripetute somministrazioni Il reflusso gastroesofageo spontaneo o indotto da farmaci (antiasmatici, per esempio teofillina e 2-agonisti) è un fattore scatenante l’asma e va quindi sempre preso in considerazione ed eventualmente trattato (si veda il Capitolo 45). Broncopneumopatia cronica ostruttiva Definizione e classificazione La BPCO è una malattia polmonare prevenibile e trattabile, caratterizzata da ostruzione bronchiale persistente, spesso associata a significativi effetti extrapolmonari, che nei singoli pazienti possono contribuire alla gravità delle manifestazioni cliniche. L’ostruzione bronchiale è in genere evolutiva e accompagnata da un’abnorme risposta infiammatoria broncopolmonare a inquinanti ambientali, in particolare al fumo di sigaretta. L’ostruzione bronchiale viene definita in base a un rapporto VEMS/CVF (capacità vitale forzata) inferiore al 70%. Questo sta a indicare che, di tutta l’aria mobilizzabile in una manovra espiratoria completa, meno del 70% viene mobilizzata nel primo secondo. Caratteristica peculiare nella BPCO è che questa ostruzione, a differenza di quella presente nei pazienti con asma bronchiale, non è completamente reversibile dopo la somministrazione di un broncodilatatore. Un altro carattere distintivo della malattia è l’accelerata caduta nel tempo della funzionalità respiratoria; infatti, la caduta annua del VEMS, che è di circa 10-40 mL nel soggetto normale non fumatore, può arrivare a 100 mL/anno nel paziente con BPCO sia fumatore sia ex-fumatore (Fig. 18.8). In realtà l’acronimo BPCO non identifica una malattia, ma riassume in un termine aspecifico due diversi quadri patologici, la malattia delle piccole vie (o bronchiolite ostruttiva), dovuta alla flogosi cronica e al rimodellamento delle vie aeree periferiche, e l’enfisema polmonare, cioè la distruzione della superficie deputata agli scambi gassosi (parenchima polmonare). Queste alterazioni costituiscono le basi strutturali dell’ostruzione bronchiale. Infatti, il flusso durante una manovra espiratoria forzata è determinato dal rapporto tra la forza di ritorno elastico del polmone (che promuove il flusso) e la resistenza delle vie aeree (che si oppone al flusso) (si veda oltre, Fisiopato- C0090.indd 445 2 F. Luppi, M. Saetta, L.M. Fabbri logia). L’enfisema polmonare contribuisce alla riduzione del flusso diminuendo la forza di retrazione elastica del polmone (per distruzione delle pareti alveolari), mentre la bronchiolite vi contribuisce aumentando le resistenze delle vie aeree periferiche (per restringimento del lume). Va infine sottolineato che le lesioni a carico delle vie aeree e del parenchima polmonare si sviluppano progressivamente con il progredire della malattia, ma possono essere presenti in proporzioni disuguali nei diversi individui. Tosse e dispnea sono i due sintomi principali, per cui il paziente con BPCO consulta il medico, ma l’esordio della malattia può essere totalmente asintomatico. La dispnea compare gradualmente nell’arco di diversi anni e nelle fasi avanzate limita le normali attività quotidiane. All’anamnesi risulta spesso difficile identificare il momento preciso in cui si è manifestata la dispnea, perché il paziente riduce progressivamente la propria attività fisica e in questo modo non avverte, se non in fase molto avanzata, la limitazione della propria performance fisica. In molti pazienti sono presenti tosse ed espettorato, più intensi al mattino, che possono essere i sintomi dominanti. Questi sintomi si definiscono cronici quando sono presenti per almeno 3 mesi all’anno per 2 anni consecutivi, per cui si pone la diagnosi clinica di bronchite cronica. In sintesi la diagnosi di BPCO va posta in presenza di un’ostruzione bronchiale non completamente reversibile al trattamento con farmaci broncodilatatori in soggetti con fattori di rischio (principalmente fumo di sigaretta, ma anche esposizione ambientale o deficit di 1-antitripsina), indipendentemente dal fatto che questi soggetti lamentino sintomi respiratori cronici. L’eventuale concomitanza di sintomi di bronchite cronica fa aggiungere la diagnosi di “bronchite cronica” a quella di BPCO. Analogamente, considerati i notevoli progressi della HRCT, in presenza di segni radiologici di enfisema polmonare la diagnosi di “quadro radiologico di enfisema polmonare” si aggiunge 6/9/10 9:43:46 PM Figura 18.8 Storia naturale dell’ostruzione bronchiale cronica. Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO Volume espiratorio massimo al primo secondo (% dei valori a 25 anni) 446 100 75 Fumatori regolari e suscettibili agli effetti del fumo Stop a 45 anni Non fumatori o non suscettibili agli effetti del fumo 50 Invalidità Stop a 65 anni 25 Morte † † 0 25 75 50 Età (anni) a quella di BPCO. È importante infine sottolineare che sia la bronchite cronica sia il quadro radiologico di enfisema polmonare possono essere presenti anche in assenza di ostruzione bronchiale. Un altro importante aspetto in evoluzione della BPCO è la sua frequente concomitanza con altre malattie croniche legate sia al fumo sia all’età avanzata dei pazienti, in particolare le malattie cardiovascolari, metaboliche e neoplastiche, che possono contribuire, se non addirittura causare, gli stessi sintomi della BPCO (per esempio, la dispnea), per le quali si rimanda allo specifico capitolo a esse dedicato (si veda il Capitolo 15). Le più recenti linee guida (GOLD) limitano le loro indicazioni alla BPCO indotta da irritanti respiratori, in particolare dal fumo di sigaretta, associata a flogosi cronica delle vie aeree periferiche e/o enfisema polmonare, escludendo quindi le forme di ostruzione dovute ad altre malattie quali gli esiti di tubercolosi (TBC), le bronchiectasie (BR), le neoplasie e la FC in età adulta. In presenza di ostruzione bronchiale (VEMS/CVF < 70%), le linee guida propongono una classificazione di gravità della BPCO in quattro stadi (Tab. 18.6) sulla base del quadro spirometrico misurato dopo broncodilatatore. È opportuno ricordare che, in qualsiasi stadio di gravità, i sintomi di bronchite cronica possono essere presenti o assenti. • Stadio I – BPCO lieve: presenza di una lieve riduzione del flusso aereo espiratorio con un rapporto VEMS/ CVF ridotto (< 70%), ma VEMS ancora nei limiti di normalità (> 80% del teorico). • Stadio II – BPCO moderata: caratterizzato da un VEMS che è compreso fra il 50 e l’80% del valore teorico, associato di solito a sintomi respiratori, in particolare dispnea, che compare principalmente sotto sforzo. Si tratta dello stadio nel quale più spesso il paziente richiede l’intervento del medico a causa della dispnea da sforzo o per una riacutizzazione della malattia. C0090.indd 446 Tabella 18.6 Classificazione di gravità della BPCO basata sulla spirometria (VEMS postbroncodilatazione) Stadio I Lieve VEMS/CVF < 70% VEMS ≥ 80% del teorico Stadio II Moderato VEMS/CVF < 70% 50% VEMS < 80% del teorico Stadio III Grave VEMS/CVF < 70% 30% VEMS < 50% del teorico Stadio IV Molto grave VEMS/CVF < 70% VEMS <30% del teorico o VEMS < 50% del teorico in presenza di insufficienza respiratoria cronica VEMS = volume espiratorio massimo al primo secondo; CVF = capacità vitale forzata; insufficienza respiratoria = pressione parziale dell’ossigeno arterioso (PaO2) < 8,0 kPa (60 mmHg) con o senza una pressione parziale della CO2 (PaCO2) > 6,7 kPa (50 mmHg) a livello del mare. (Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.) • Stadio III – BPCO grave: caratterizzato da un ulteriore aggravamento dell’ostruzione bronchiale (30% VEMS < 50% del teorico), con una dispnea da sforzo più grave, una ridotta capacità di esercizio, astenia e ripetute riacutizzazioni, che molto spesso influiscono negativamente sulla qualità di vita del paziente. 6/9/10 9:43:46 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE • Stadio IV – BPCO molto grave: caratterizzata da un’ostruzione bronchiale grave (VEMS < 30% del teorico) o dalla presenza di insufficienza respiratoria cronica. Va sottolineato che questa classificazione nasce dalla necessità di fare riferimento a un parametro oggettivo e misurabile, anche se, naturalmente, le indicazioni di questa classificazione devono sempre essere filtrate dal giudizio clinico. Per esempio, la BPCO viene considerata molto grave (stadio IV) anche nei casi in cui non lo sia dal punto di vista spirometrico (VEMS > 30% del teorico), ma sia presente un’insufficienza respiratoria cronica. L’insufficienza respiratoria si instaura quando il polmone è incapace di sostenere i normali scambi gassosi, cioè il trasporto dell’ossigeno dall’aria ai tessuti o la rimozione dell’anidride carbonica dai tessuti. Nella pratica clinica, l’insufficienza respiratoria è definita da una pressione parziale dell’ossigeno arterioso (PaO2) < 60 mmHg (ipossiemia) in presenza o meno di una pressione parziale della CO2 (PaCO2) > 50 mmHg (ipercapnia), corretti per condizioni a livello del mare. L’insufficienza respiratoria può anche avere effetti sul cuore, come nel caso del cuore polmonare (insufficienza cardiaca destra), che può essere presente in corso di BPCO, non necessariamente nelle forme più gravi di malattia. L’attuale definizione di BPCO esclude i pazienti affetti da sintomi respiratori cronici e quadro spirometrico normale o restrittivo, una popolazione non ancora studiata in maniera adeguata. È importante ricordare che la correlazione fra le alterazioni spirometriche e il quadro clinico è debole e che la valutazione di gravità individuale e le decisioni terapeutiche vanno comunque riferite sempre ai sintomi e alle malattie concomitanti. Infatti, a differenza di altre malattie, quali ipertensione o diabete, nelle quali il trattamento viene instaurato e calibrato sulla base di alterazioni dei rispettivi biomarcatori (per esempio, pressione arteriosa, glicemia/emoglobina glicosilata), nella BPCO la terapia viene essenzialmente instaurata e calibrata sulla base delle 3,0 Patologia coronarica Ictus cerebrale 447 manifestazioni cliniche, in particolare sintomi e riacutizzazioni degli stessi; questo anche perché la terapia attualmente disponibile è in grado di migliorare la sintomatologia e la qualità di vita e di diminuire le riacutizzazioni, sebbene nessuno dei farmaci possa impedire il progressivo deterioramento della funzionalità respiratoria. Epidemiologia La BPCO è un problema di sanità pubblica a livello mondiale e rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità nel mondo. Prevalenza, mortalità e morbilità della BPCO variano in modo significativo nei diversi Paesi, anche per le differenze nei criteri diagnostici utilizzati nei vari studi (come definizione, metodi di campionamento, tassi di risposta, controllo di qualità dell’esame spirometrico e sua esecuzione in presenza o assenza di broncodilatazione). Pur tenendo conto di ciò, la prevalenza della BPCO è significativamente più elevata nei fumatori e negli ex-fumatori rispetto ai non fumatori, nei soggetti di età pari e superiore a 40 anni rispetto a quelli di età inferiore e nei maschi rispetto alle femmine. La BPCO è una delle più importanti cause di morte nella maggior parte dei Paesi industrializzati. Nel 1990 occupava il sesto posto come causa di morte, ma si prevede che diverrà la terza causa di morte a livello mondiale nel 2020 (Fig. 18.9), preceduta solo dai tumori e dalle patologie cardiovascolari. Questo aumento di mortalità è dovuto all’espansione dell’epidemia tabagica e ai cambiamenti demografici che si verificano nella maggior parte dei Paesi, caratterizzati soprattutto dall’aumento dell’età media. In Italia vengono attribuite a BPCO più di 18.000 morti ogni anno. Attualmente la distribuzione della mortalità nella popolazione dimostra una predilezione per le fasce di età più avanzate e per il sesso maschile (dove la mortalità è 2-3 volte maggiore rispetto alle femmine), anche se negli ultimi anni vi è stata un’inversione di tendenza, con un aumento di mortalità per BPCO nelle donne, verosimilmente Altre vasculopatie BPCO 2 Tutte le altre cause 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0 –59% –64% –35% +163 % –7% 1965-1998 1965-1998 1965-1998 1965-1998 1965-1998 Figura 18.9 Variazioni percentuali dei tassi di mortalità corrette per età negli Stati Uniti. (Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.) C0090.indd 447 6/9/10 9:43:46 PM 448 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO legata alla diversa abitudine al fumo (sempre più uomini smettono di fumare, sempre più donne fumano o non smettono) (Fig. 18.10). La morbidità, misurata in termini di visite mediche, ricoveri in pronto soccorso o in ospedale conseguenti a BPCO, aumenta con l’età e, fino a una decina di anni fa, era maggiore negli uomini rispetto alle donne. Nell’ultimo decennio però la morbidità nei due sessi è divenuta simile. Sia la mortalità sia la morbidità per BPCO sono influenzate dalle comorbidità croniche a essa spesso associate (per esempio, malattie muscoloscheletriche malattie cardiovascolari e metaboliche, neoplasie), al punto che le principali cause di morte in pazienti con BPCO sono cardiovascolari e neoplastiche e non l’insufficienza respiratoria. non fumatori. L’esposizione passiva al fumo di sigaretta aumenta la frequenza di insorgenza dei sintomi respiratori nell’adulto, ma il suo rapporto con lo sviluppo di BPCO è meno chiaro rispetto a quello del fumo attivo. Inquinamento ambientale In Italia, come nella maggior parte dei Paesi sviluppati, la BPCO è causata nella quasi totalità dei casi dal fumo di sigaretta. Altri fattori di rischio riconosciuti sono l’inquinamento domestico (soprattutto nei Paesi in via di sviluppo), l’esposizione lavorativa e l’inquinamento ambientale. Questi fattori, pur importanti a livello mondiale, hanno oggi un impatto inferiore rispetto al fumo di sigaretta. In tutto il mondo, ma in maniera sempre più preoccupante nei Paesi in via di sviluppo, un importante fattore di rischio per lo sviluppo della BPCO è rappresentato dall’esposizione a inquinanti degli ambienti interni, in particolare ai prodotti della combustione dei materiali utilizzati per il riscaldamento e per cucinare. In alcuni Paesi in via di sviluppo, nei quali si cucina e ci si riscalda in abitazioni poco ventilate, si osservano elevati livelli di inquinamento degli ambienti interni per accumulo di particolato ambientale. Le donne sono maggiormente esposte a questi fattori di rischio e ciò può spiegare perché, in India, Cina e America Latina, la prevalenza di BPCO sia simile nei due sessi, nonostante la netta prevalenza dell’abitudine tabagica nel sesso maschile. Il ruolo dell’inquinamento atmosferico nell’insorgenza della BPCO non è del tutto chiaro, ma sembra avere un peso minore rispetto al fumo. Più chiaro, invece, è il rapporto fra i picchi di inquinamento atmosferico e le riacutizzazioni di BPCO. Fumo di sigaretta Esposizione professionale Il fumo di sigaretta rappresenta il principale fattore di rischio per lo sviluppo di BPCO. Le persone che fumano presentano più sintomi respiratori, un’accelerata caduta del VEMS e un più elevato tasso di mortalità per BPCO e comorbidità croniche cardiovascolari e neoplastiche rispetto ai non fumatori. L’età di inizio, il numero totale di sigarette fumate e lo stato di fumatore attuale sono predittivi della mortalità per BPCO. Smettere di fumare rallenta la caduta del VEMS e quindi l’evoluzione della BPCO (si veda Fig. 18.8). I fumatori di pipa e sigaro presentano tassi di morbidità e mortalità per BPCO, seppur inferiori ai fumatori di sigaretta, comunque più elevati dei L’esposizione professionale a polveri (inorganiche e organiche), gas o fumi aumenta il rischio di BPCO, sia indipendentemente sia in maniera sinergica con il fumo nei lavoratori esposti. I rischi più elevati si hanno per gli operatori dei settori agricolo, tessile, chimico, della carta, del legno e dei processi alimentari, ma soprattutto edile e metallurgico. Eziologia e fattori di rischio Predisposizione individuale Nonostante sia noto che il rischio di contrarre la BPCO dipenda essenzialmente da quantità, qualità e durata dell’esposizione al fumo, non tutti i fumatori sviluppano la malattia, suggerendo che altri fattori possano conferire 70 Numero di morti per 1000 60 Uomini Donne 50 40 30 20 Figura 18.10 Mortalità legata alla BPCO in rapporto al sesso. 10 0 1980 1985 1990 1995 2000 Anni (Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.) C0090.indd 448 6/9/10 9:43:47 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE una suscettibilità individuale. Tra i fattori individuali, il deficit ereditario grave dell’1-antitripsina, uno dei principali inibitori circolanti delle serin-proteasi, è quello meglio documentato. Tale condizione, che in Italia e in Europa ha una prevalenza di circa 1 caso/5000 individui, è l’unica condizione genetica che ha una relazione certa con la comparsa di BPCO. Infatti, è stato dimostrato che il deficit di 1-antitripsina determina la degenerazione del parenchima polmonare, conducendo a un quadro enfisematoso in giovane età anche in soggetti non fumatori. Anche i parenti di primo grado di pazienti che presentano un tale grave deficit hanno un rischio aumentato di ammalarsi. I numerosi studi genetici fino a ora condotti non hanno identificato nessun altro singolo gene chiaramente responsabile dell’insorgenza della BPCO, ma hanno confermato il contributo multigenico allo sviluppo della malattia. Patogenesi e anatomia patologica La BPCO è una patologia complessa, i cui meccanismi patogenetici non sono stati ancora completamente noti. Fumo e altri inquinanti provocano una risposta infiammatoria sia broncopolmonare sia sistemica, che può essere considerata la risposta fisiologica dell’immunità innata agli irritanti presenti nel fumo di sigaretta. Nei pazienti con BPCO si sviluppa invece una risposta infiammatoria anomala, perché amplificata e in grado di automantenersi anche una volta rimosso l’agente irritante, per esempio in seguito alla cessazione dell’abitudine tabagica. Questa reazione infiammatoria cronica e anomala può indurre la distruzione del tessuto parenchimale (causando enfisema polmonare) e perturbare i normali meccanismi di difesa e delle vie aeree, con conseguente fibrosi e rimodellamento delle stesse (Fig. 18.11). Studi pionieristici condotti negli anni Sessanta hanno dimostrato che il sito responsabile dell’aumento delle resistenze nei fumatori con BPCO è rappresentato dalle vie aeree periferiche (bronchioli di diametro inferiore ai 2 mm). Negli anni successivi numerosi studi hanno osservato la presenza in questi bronchioli di alterazioni morfologiche in grado di spiegare l’aumento delle resistenze al flusso aereo e, quindi, l’ostruzione bronchiale. Queste alterazioni comprendono l’infiammazione cronica, l’ipertrofia del muscolo liscio, l’iperplasia delle cellule caliciformi mucipare e la fibrosi della parete e possono contribuire al restringimento del lume sia aumentando lo spessore della parete sia occludendo il lume con tappi di muco. La riduzione di flusso non dipende soltanto dalle alterazioni delle vie aeree periferiche, ma anche dalla distruzione del parenchima polmonare (enfisema), che è una componente determinante soprattutto nelle forme più gravi di BPCO. I fumatori possono sviluppare due tipi di enfisema polmonare che presentano distinte caratteristiche funzionali e un diverso contributo del processo infiammatorio: l’enfisema centroacinare e il panacinare. L’enfisema centroacinare è caratterizzato da aree di distruzione parenchimale localizzate attorno ai bronchioli terminali e nella zona centrale dell’acino, circondate da aree di parenchima intatto. Questa forma si localizza prevalentemente ai lobi superiori e si differenzia notevolmente 449 2 Fumo di sigaretta Particelle della biomassa Particolati Fattori genetici Meccanismi di amplificazione INFIAMMAZIONE POLMONARE Antiossidanti Antiproteinasi Stress ossidativo Proteinasi Meccanismi di riparazione ALTERAZIONI ANATOMOPATOLOGICHE DELLA BPCO Figura 18.11 Alterazioni anatomopatologiche della BPCO. (Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.) C0090.indd 449 6/9/10 9:43:47 PM 450 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO dalla forma panacinare caratterizzata da aree di distruzione parenchimale omogeneamente distribuite nell’acino e che è tipica dei soggetti con deficit di 1-antitripsina. La perdita di forza di retrazione elastica è più marcata nell’enfisema panacinare rispetto al centroacinare, mentre le alterazioni infiammatorie delle vie aeree periferiche sono più evidenti nell’enfisema centroacinare. Nel loro insieme queste alterazioni anatomopatologiche portano a riduzione del calibro delle vie aeree, intrappolamento aereo nelle vie aeree periferiche e negli alveoli e a distruzione e allargamento degli spazi alveolari, alterazioni strutturali che contribuiscono alla riduzione del flusso aereo (Fig. 18.12). La fibrosi e il rimodellamento delle vie aeree periferiche, assieme all’enfisema polmonare, sono ritenuti responsabili della componente dell’ostruzione bronchiale completamente irreversibile. Viceversa, la contrazione della muscolatura liscia, gli accumuli di cellule infiammatorie nelle vie aeree e di muco e di essudato plasmatico a livello bronchiale sono ritenuti responsabili della componente dell’ostruzione bronchiale potenzialmente reversibile, spontaneamente o in seguito a terapia. Ipotesi proteasi/antiproteasi L’ipotesi tradizionale che uno squilibrio del sistema proteasi/antiproteasi abbia un ruolo fondamentale nella patogenesi del danno polmonare nella BPCO nasce, da una parte, dalle osservazioni di studi clinici che dimostravano la presenza di enfisema polmonare in soggetti con bassi livelli sierici di 1-antitripsina e, dall’altra, da studi sperimentali che riportavano lo sviluppo di enfisema polmonare in animali da esperimento, in seguito all’instillazione di enzimi proteolitici. Secondo questa ipotesi, l’inalazione di agenti nocivi quali il fumo di sigaretta causa il richiamo e l’attivazione nel polmone di cellule infiammatorie, come i macrofagi alveolari e i neutrofili, in grado di secernere proteinasi. Nel parenchima polmonare, queste proteinasi, se non neutralizzate dalle antiproteinasi tissutali, degradano le diverse componenti del tessuto connettivo, in particolar modo l’elastina, dando luogo a enfisema polmonare. Tra le INFIAMMAZIONE Patologia delle piccole vie aeree Infiammazione bronchiale Rimodellamento bronchiale Figura 18.12 Patogenesi della BPCO. Distruzione del parenchima polmonare Perdita degli attacchi alveolari Riduzione del ritorno elastico polmonare OSTRUZIONE BRONCHIALE (Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.) C0090.indd 450 proteasi, particolare attenzione è stata riservata allo studio di due serin-proteasi di origine neutrofila – l’elastasi neutrofila e la proteinasi – che, unitamente alle catepsine, sono in grado di indurre enfisema polmonare negli animali da laboratorio. Crescenti evidenze indicano inoltre che anche le metalloproteinasi prodotte dai macrofagi e dai neutrofili sono implicate nello sviluppo dell’enfisema polmonare. Ruolo dei linfociti T A partire dagli anni Sessanta, lo squilibrio del sistema proteasi/antiproteasi è stato considerato l’ipotesi più accreditata in grado di spiegare il danno polmonare nei pazienti con BPCO. Tuttavia, pazienti con malattie del polmone caratterizzate da un’importante neutrofilia, come la polmonite e il distress respiratorio acuto, in cui ci si potrebbe aspettare un danno rilevante per eccesso di proteasi neutrofila, non sviluppano in realtà enfisema polmonare. Queste osservazioni hanno fatto ipotizzare che altri meccanismi siano coinvolti nella patogenesi della malattia. Tra le cellule coinvolte nel processo infiammatorio presente nel polmone dei soggetti affetti da BPCO, si è visto che quelle più rappresentate, sia nelle vie aeree periferiche sia nel resto dell’albero bronchiale e nel parenchima, sono i linfociti T CD8+. Questi non sono solo aumentati di numero, ma sono anche correlati direttamente al grado di ostruzione delle vie aeree, suggerendo un ruolo centrale di tali cellule e dei loro mediatori nella patogenesi della riduzione del flusso aereo. Così come i linfociti CD4+, anche i linfociti CD8+ si caratterizzano, sulla base delle citochine prodotte, in linfociti di tipo 1 (che producono IFN-, coinvolto nella risposta alle infezioni batteriche e virali e nell’attivazione dei macrofagi) e di tipo 2 (che producono IL-4 e IL-5, coinvolte nella genesi delle patologie allergiche come l’asma). Studi recenti hanno evidenziato nella vie aeree periferiche di soggetti con BPCO un aumento del recettore CXCR3 espresso dai linfociti T IFN- positivi e caratteristico di una risposta immunitaria di tipo 1. È interessante osservare che nei pazienti con BPCO è presente un’espansione oligoclonale dei linfociti che, nei soggetti più gravi, appaiono organizzati in veri e propri follicoli, con un centro germinativo ricco di linfociti B, circondato da una regione periferica con numerosi linfociti T. Questa particolare organizzazione patologica ha suggerito l’ipotesi che, con l’aggravamento della malattia, si sviluppi una risposta immunologica acquisita nei confronti di un antigene specifico. In considerazione del fatto che la colonizzazione batterica è frequente nelle vie aeree dei pazienti con BPCO grave, è stato inizialmente proposto che questo antigene fosse di natura infettiva. Tuttavia, visti i risultati controversi degli studi che hanno cercato di identificare antigeni infettivi, l’attenzione è stata successivamente rivolta verso antigeni endogeni modificati dal fumo di sigaretta. È plausibile che, in tutti i fumatori, il fumo di tabacco induca l’attivazione della risposta immune innata caratterizzata dal reclutamento di neutrofili e macrofagi. Questo processo infiammatorio danneggia le cellule strutturali polmonari e degrada l’interstizio, liberando elastina, collagene e proteoglicani. Nei fumatori suscettibili, i peptidi derivati da questo processo potrebbero attivare la risposta immune acquisita, 6/9/10 9:43:47 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE inducendo la proliferazione di cellule T e cellule B autoreattive ed eludendo i meccanismi di tolleranza immunologica. Secondo questa linea di ricerca, nel polmone dei pazienti con BPCO sarebbero presenti degli autoantigeni e la risposta infiammatoria sarebbe caratterizzata da una componente autoimmune. Ruolo dello stress ossidativo Lo stress ossidativo sembra avere un ruolo importante nella patogenesi della malattia. Nei fumatori e nei pazienti con BPCO si assiste a uno squilibrio tra agenti ossidanti e antiossidanti a favore dei primi, potendo contribuire all’insorgenza della malattia attraverso differenti meccanismi, tra i quali l’attivazione del fattore di trascrizione nucleare kB (NF-kB) che induce la trascrizione di Tumor Necrosis Factor (TNF)-, di IL-8 e di altri mediatori infiammatori. Caratteristica centrale nella patogenesi della BPCO è inoltre la diminuita produzione, indotta dal fumo di sigaretta, di glutatione (GSH, Reduced-Glutathione), un importante antiossidante, a livello alveolare e polmonare. Una misura diretta dello stress ossidativo a livello delle vie aeree è rappresentata dal riscontro nell’esalato di perossido di idrogeno, che è presente in alte concentrazioni in corso di riacutizzazione e nei pazienti con BPCO rispetto ai soggetti normali. Infiammazione in fase di riacutizzazione La BPCO è spesso caratterizzata da episodi di riacutizzazione della sintomatologia. Una riacutizzazione di BPCO si definisce come un evento, nel decorso naturale della malattia, caratterizzato da una variazione dei sintomi di base del paziente (dispnea, tosse e/o espettorazione) di entità superiore alla normale variabilità giornaliera, con esordio acuto e che può richiedere un cambiamento nella terapia regolare. Le cause più frequenti delle riacutizzazioni sono le infezioni dell’albero tracheo-bronchiale (virali e batteriche) e l’inquinamento atmosferico. I meccanismi attraverso cui questi agenti eziologici possono causare le riacutizzazioni della malattia sono poco conosciuti. Tuttavia, i risultati degli studi esistenti evidenziano la presenza di un’amplificazione del processo infiammatorio associato a un’aumentata produzione di citochine proinfiammatorie. Le riacutizzazioni di BPCO sono caratterizzate, infatti, da un marcato aumento di granulociti neutrofili nel polmone, che si associa a un’aumentata espressione di IL-8 (o CXCL-8), che ha un’azione chemotattica sui neutrofili, e dell’enzima mieloperossidasi, che è un indice di attivazione di tali cellule. In corso di riacutizzazione, si osserva inoltre un aumento del TNF-, una molecola in grado di aumentare l’espressione delle molecole di adesione sulle cellule endoteliali, facilitando così la migrazione dei leucociti dai vasi del circolo bronchiale al tessuto polmonare. Oltre a CXCL8, anche CXCL5 (detto anche ENA-78, Epithelial-derived Neutrophil Activating peptide) sembra avere un ruolo cruciale nel reclutamento dei neutrofili durante le riacutizzazioni della malattia, soprattutto in quelle più gravi. Poiché la neutrofilia e i livelli di IL-8 sono correlati al numero di unità formanti colonie batteriche, si è ipotizzato che le infezioni batteriche avessero un ruolo causale nelle riacutizzazioni di BPCO. C0090.indd 451 D’altra parte, durante le riacutizzazioni, in alcuni pazienti la neutrofilia si associa a una marcata eosinofilia, soprattutto in presenza di infezioni virali. Infatti, l’induzione di citochine chemotattiche per gli eosinofili come eotassina e RANTES rientra tra i meccanismi di risposta ai virus ed è in grado di promuovere l’apoptosi delle cellule infette, agendo in sinergia con i linfociti citotossici CD8+. È quindi possibile che in una malattia come la BPCO, caratterizzata da un’infiltrazione di linfociti T CD8+, riacutizzazioni virali ripetute possano favorire la distruzione del tessuto alveolare. Chiarire gli eventi che sono alla base delle riacutizzazioni di BPCO è fondamentale sia per prevenirle sia per sviluppare nuove e più efficaci terapie. Questo obiettivo è di primaria importanza, poiché si è osservato che, tra i pazienti con gravi riacutizzazioni di BPCO che richiedono il ricovero ospedaliero, la mortalità a 2 anni è del 49%, un tasso drammatico, simile a quello del tumore del polmone. 451 2 Infiammazione sistemica Studi recenti sembrano indicare che nella BPCO l’infiammazione non sia confinata al polmone, ma sia riscontrabile anche a livello sistemico, determinando quindi manifestazioni cliniche extrapolmonari, che comprendono la debolezza muscolare, le patologie dell’apparato cardiovascolare, l’osteoporosi, l’ipertensione arteriosa, la depressione, il peggioramento delle funzioni cognitive, i disturbi del sonno, le disfunzioni sessuali e il diabete. Il giudizio di gravità del paziente affetto da BPCO dovrebbe pertanto comprendere anche una valutazione delle manifestazioni extrapolmonari. Nel sangue periferico dei pazienti affetti da BPCO sono riscontrabili elevati livelli di diverse molecole proinfiammatorie. Le concentrazioni di proteina C reattiva (PCR) sono aumentate nel siero dei pazienti affetti da BPCO, indipendentemente dal fatto che questi fossero o meno fumatori. Nel sangue periferico si è inoltre osservato un aumento del numero dei granulociti neutrofili, i quali risultano anche attivati, e dei linfociti T CD4+ e CD8+. Infine, anche le concentrazioni del TNF- e del suo recettore solubile sono elevate nel paziente affetto da BPCO, soprattutto in quelli che presentano un basso indice di massa corporea (BMI, Body Mass Index). Questa osservazione è particolarmente interessante, perché un basso BMI è un importante fattore prognostico negativo, in grado quindi di individuare i pazienti con BPCO a maggior rischio di mortalità. Fisiopatologia La fisiopatologia rappresenta l’anello di congiunzione tra le alterazioni anatomopatologiche prima descritte e le manifestazioni cliniche della malattia. Come si è già visto, l’elemento fisiopatologico cardine che definisce la BPCO è l’ostruzione al flusso aereo, non completamente reversibile. Poiché il flusso è dato dal rapporto tra la pressione che lo genera e le resistenze che vi si oppongono (flusso = ΔP/R), una diminuzione del flusso può essere determinata sia da una riduzione della pressione di spinta sia da un aumento delle resistenze. Poiché la pressione che genera il flusso è determinata dalla forza di ritorno 6/9/10 9:43:47 PM 452 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO elastico del polmone, la perdita di tessuto polmonare, che caratterizza l’enfisema polmonare, causa una riduzione di questa pressione e, di conseguenza, una riduzione del flusso. L’infiammazione cronica che determina l’ispessimento della parete delle vie aeree con accumulo di cellule, muco ed essudato a livello intraluminale (bronchiolite) contribuisce invece alla riduzione del flusso aumentando le resistenze (Fig. 18.12). Inoltre, è importante ricordare che il calibro bronchiale non dipende unicamente dalle condizioni anatomiche e funzionali delle pareti bronchiali, ma anche dalla loro relazione con il parenchima circostante (interdipendenza). Le pareti bronchiali, soprattutto nelle vie aeree periferiche, sono strutture flessibili e sono sottoposte a una forza di trazione da parte del parenchima; questa a sua volta dipende dalla forza di retrazione elastica del polmone e dall’integrità strutturale della zona di connessione tra le vie aeree e il parenchima. L’enfisema polmonare contribuisce alla riduzione del flusso non soltanto diminuendo la forza di retrazione elastica del polmone, ma anche attraverso la rottura degli attacchi alveolari, cioè di quelle pareti alveolari che ancorandosi alle vie aeree contribuiscono a mantenerle pervie. La presenza di un’ostruzione bronchiale poco reversibile viene rilevata con le prove di funzionalità respiratoria e in particolare con la spirometria. Le linee guida nazionali e internazionali indicano il VEMS e il rapporto VEMS/CVF come i parametri funzionali principali per la diagnosi, la valutazione di gravità e il monitoraggio della malattia. Un valore del rapporto VEMS/CVF < 70% dopo somministrazione di un broncodilatatore indica la presenza di una broncostruzione poco reversibile. Il soggetto con broncostruzione, per completare la normale espirazione, ha bisogno di un tempo espiratorio più lungo (tanto più prolungato quanto più basso è il flusso espiratorio). In queste condizioni l’inspirazione successiva potrebbe iniziare prima che il polmone raggiunga il punto di equilibrio elastico (cioè il punto in cui il richiamo elastico del polmone verso l’interno è controbilanciato dal richiamo della parete toracica verso l’esterno). Il respiro a volumi polmonari più elevati determina uno stato di iperinsufflazione polmonare caratterizzato da un aumento del volume residuo e della capacità funzionale residua e da una diminuzione della capacità inspiratoria. A questa conseguono un incremento del lavoro respiratorio e un aumento della sensazione di dispnea, che negli stadi iniziali della malattia compare tipicamente durante l’esercizio, ma negli stadi più avanzati è presente anche a riposo. Nei soggetti con BPCO, le alterazioni anatomopatologiche sono responsabili anche delle alterazioni fisiopatologiche che condizionano gli scambi gassosi. La perdita del letto capillare contenuto nelle pareti alveolari distrutte è responsabile della riduzione della capacità di diffusione alveolo-capillare (DLco). Inoltre, a causa dell’ostruzione delle vie aeree periferiche e della distruzione della rete capillare, si ha una distribuzione disomogenea della ventilazione e della perfusione nel polmone. L’alterato rapporto ventilazione/perfusione risultante è responsabile delle anomalie degli scambi gassosi che si manifestano dapprima con ipossiemia e poi con ipercapnia. Nelle fasi più avanzate, l’affaticamento dei muscoli respira- C0090.indd 452 tori riduce la ventilazione, contribuendo ad aggravare l’ipercapnia. Infine, negli stadi più avanzati di BPCO si può sviluppare ipertensione polmonare, che è di solito lieve o moderata (molto raramente si riscontra un quadro di ipertensione polmonare grave). L’ipertensione polmonare è prevalentemente dovuta a vasocostrizione ipossica delle piccole arterie polmonari, ma anche ad alterazioni strutturali, quali il rimodellamento della tonaca intima e della tonaca media, associate a un processo infiammatorio della parete e a disfunzione delle cellule endoteliali. Inoltre, la perdita del letto capillare polmonare nell’enfisema può contribuire all’aumento della pressione nella circolazione polmonare. L’ipertensione polmonare accresce il postcarico e quindi il lavoro del ventricolo destro, cui fanno seguito l’ipertrofia e, eventualmente, l’insufficienza cardiaca destra (cuore polmonare). Manifestazioni cliniche I sintomi più frequenti nel paziente con BPCO sono dispnea, tosse ed espettorato cronici. La dispnea, descritta dai pazienti come “mancanza di respiro” o “fame d’aria”, costituisce il sintomo cardine della BPCO, il motivo principale per il quale i pazienti richiedono l’intervento medico. La dispnea è tipicamente progressiva e diviene sempre più invalidante con il graduale peggioramento della funzionalità respiratoria. Inizialmente si manifesta solo sotto sforzo (camminando, salendo le scale), poi diventa costante ed è la causa principale della limitazione delle attività quotidiane (per esempio, vestirsi e lavarsi); infine, è presente anche a riposo e confina il paziente a casa. La tosse cronica può costituire il primo sintomo che insorge in corso di BPCO. La tosse può manifestarsi in maniera prima saltuaria, per divenire poi con il progredire della malattia quotidiana; è di solito associata a escreato, ma occasionalmente può presentarsi come tosse secca. Tosse ed escreato cronici possono precedere di anni lo sviluppo dell’ostruzione bronchiale, ma è anche vero che, in alcuni soggetti, i sintomi cronici possono persistere per tutta la vita senza che si sviluppi bronco-ostruzione. D’altra parte, può anche succedere che l’ostruzione bronchiale insorga anche in assenza di tosse cronica ed espettorazione. Respiro sibilante, costrizione e/o oppressione toracica sono sintomi meno specifici, che possono essere talvolta presenti nella BPCO, ma sono più caratteristici dell’asma bronchiale. La loro assenza non esclude la diagnosi di BPCO, né la loro presenza indica necessariamente una diagnosi di asma. Pur se i sintomi e l’ostruzione si sviluppano di solito in maniera graduale, in alcuni pazienti la malattia sembra avere un esordio acuto. In realtà, si tratta di pazienti in cui la BPCO viene diagnosticata in occasione di un episodio acuto, spesso associato a infezioni virali e/o batteriche, ma un’accurata anamnesi in queste occasioni dovrebbe permettere di rilevare la presenza di sintomi cronici esistenti da mesi o anni. I pazienti affetti da BPCO vanno incontro a ricorrenti episodi di riacutizzazione della sintomatologia respiratoria, caratterizzati da aumento di dispnea e/o tosse ed escreato produttivo di entità superiore alla normale varia- 6/9/10 9:43:47 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE bilità giornaliera. Questi eventi hanno un esordio acuto o subacuto e richiedono l’uso di farmaci broncodilatatori e, spesso, di steroidi sistemici, in aggiunta alla terapia in corso. L’incidenza delle riacutizzazioni è di circa un episodio per paziente per anno, con frequenza minore nei pazienti con BPCO lieve (< 0,5) e maggiore nei pazienti con BPCO grave (> 2). Le riacutizzazioni hanno un importante impatto sulla qualità di vita e sulla prognosi di questi pazienti; la regressione della sintomatologia e delle alterazioni funzionali richiede da diversi giorni a settimane e alcuni pazienti non ritornano mai allo stato funzionale precedente la riacutizzazione. Le cause più comuni di riacutizzazione sono le infezioni dell’albero tracheo-bronchiale (sia batteriche sia virali) e l’esposizione a inquinanti ambientali o domestici. Nella maggioranza dei casi è impossibile identificare la causa principale della riacutizzazione e si ritiene che concause legate alle frequenti comorbilità dei pazienti con BPCO (malattie cardiovascolari, metaboliche, osteomuscolari, ematologiche) possano contribuire al peggioramento dei sintomi. Diagnosi La diagnosi clinica di BPCO va sempre presa in considerazione nei pazienti che si presentano con dispnea, tosse ed escreato cronici, in particolare se con un’anamnesi positiva per fumo o esposizione a inquinanti. La diagnosi va comunque confermata con l’esame spirometrico (Fig. 18.13). È tuttavia utile considerare anche gli ulteriori dati che seguono. Anamnesi Nei soggetti in cui si sospetta la BPCO, un’anamnesi accurata deve indagare: • l’esposizione al fumo o a polveri e gas inquinanti presenti nell’ambiente di lavoro; • l’analisi patologica remota, con particolare attenzione alle infezioni delle basse vie respiratorie contratte durante l’infanzia e ad altre malattie dell’apparato respiratorio (per esempio, storia di asma, allergie, sinusiti); • l’eventuale familiarità per la BPCO; • le riacutizzazioni e i precedenti ricoveri in ospedale per malattie respiratorie; • la presenza dei sintomi caratteristici (dispnea, tosse ed escreato cronici) e la loro evoluzione nel tempo. È inoltre importante indagare l’impatto della sintomatologia in relazione alle attività quotidiane (chiedendo, per esempio, quale sia l’entità dello sforzo in seguito al quale compare dispnea), così come l’eventuale presenza di comorbidità, i trattamenti farmacologici in atto e la sensazione di ansietà o depressione. In fase di riacutizzazione una corretta anamnesi consente, in genere, di definire il livello di gravità della riacutizzazione stessa. In questi pazienti l’informazione più importante da ottenere è il peggioramento dei sintomi (tosse, espettorato e soprattutto dispnea) rispetto alle condizioni di base. È inoltre utile chiedere al paziente se ha febbre e indagare le caratteristiche dell’espettorato (volume e colore). Lo stato febbrile e il viraggio del colore dell’espettorato verso il giallo/verde depongono a favore di una natura infettiva della riacutizzazione. C0090.indd 453 Esame obiettivo Nelle fasi iniziali della malattia l’esame obiettivo può essere completamente negativo e i pazienti possono presentare soltanto i segni dell’abitudine tabagica (odor di fumo, dita, denti o baffi gialli). Nelle fasi più avanzate della malattia l’esame obiettivo evidenzia una riduzione del murmure vescicolare, con espirio prolungato, respiro variamente sibilante con ronchi e fischi prevalentemente nella fase di espirio. Segni di iperinsufflazione comprendono la presenza di un torace “a botte”, iperfonesi e ridotta escursione delle basi polmonari e degli emidiaframmi, come è possibile valutare attraverso la percussione polmonare. Solitamente i pazienti con BPCO grave respirano a labbra socchiuse, creando una pressione intriseca, per evitare il collasso delle vie aeree periferiche durante l’espirazione. Questi pazienti possono anche presentare un interessamento dei muscoli accessori, con attivazione di intercostali e sternocleidomastoideo, cianosi, visibile soprattutto a livello labiale e del letto ungueale, perdita della massa muscolare, con significativo calo ponderale e perdita diffusa del grasso sottocutaneo. Il riscontro di dita a “vetrino di orologio” non è un segno specifico di BPCO, ma dell’insufficienza respiratoria cronica che può essere presente anche in altre patologie. In corso di riacutizzazione, l’esame obiettivo consente di verificare l’uso dei muscoli accessori, l’eventuale presenza di cianosi, tachicardia e tachipnea. È importante indagare la capacità di pronunciare frasi complete e di senso compiuto e lo stato mentale. L’esame obiettivo consente inoltre di stabilire l’eventuale presenza di focolai broncopneumonici, respiro sibilante e asimmetrie dinamiche fra i due emitoraci, attribuibili ad atelettasia da ostruzione di un grosso bronco o pneumotorace, che vanno comunque confermate radiologicamente. 453 2 Esami strumentali Esami di funzionalità respiratoria La spirometria, secondo le linee guida, è l’esame essenziale per la diagnosi di BPCO, in quanto permette di evidenziare l’ostruzione bronchiale (VEMS/CVF < 70% dopo broncodilatatore o terapia) e di graduarne la gravità sulla base del VEMS (percentuale teorica). In fase di riacutizzazione si può assistere a un peggioramento del grado di ostruzione bronchiale, con un ulteriore aumento degli indici di iperinsufflazione polmonare. L’EGA arteriosa permette di valutare lo stato degli scambi gassosi e di evidenziare l’eventuale presenza di insufficienza respiratoria, che può essere associata o meno ad acidosi respiratoria. L’EGA è particolarmente importante nella valutazione clinica dei pazienti con BPCO riacutizzata, che spesso non sono in grado di effettuare una manovra spirometrica, perché consente di stimare la gravità dello scom- ESPOSIZIONE A FATTORI DI RISCHIO Tabacco Lavoro Inquinanti ambientali SINTOMI Tosse Espettorato Dispnea SPIROMETRIA Figura 18.13 Diagnosi di BPCO. 6/9/10 9:43:47 PM 454 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO penso respiratorio dei pazienti e di intervenire con presidi terapeutici adeguati (per esempio, ventilazione meccanica non invasiva; si veda oltre, Trattamento della BPCO). Il test del cammino è un esame semplice e utile per valutare la tolleranza allo sforzo dei pazienti con BPCO durante un esercizio submassimale. Il test consiste nel far eseguire al paziente una marcia della durata complessiva di 6 min, eseguita in piano e a ritmo sostenuto, misurando la distanza percorsa, il grado di dispnea all’inizio e al termine della prova e monitorando il livello di saturazione ossiemoglobinica. Studio radiologico Lo studio radiologico del torace è parte integrante nella valutazione diagnostica dei soggetti affetti da BPCO. La radiografia del torace, da eseguirsi in due proiezioni (postero-anteriore e latero-laterale), consente di individuare i segni di enfisema polmonare (aumentata trasparenza del polmone, appiattimento degli emidiaframmi, orizzontalizzazione delle coste, incremento dello spazio retrosternale, perdita della normale sinuosità dei vasi con riduzione dei rami collaterali) e di bronchite cronica (ispessimento delle pareti bronchiali e dell’interstizio polmonare). È importante valutare alla radiografia anche l’ingrandimento delle sezioni destre del cuore e del cono di efflusso dell’arteria polmonare, segni di cuore polmonare cronico e di ipertensione polmonare. In fase di riacutizzazione della malattia, questi reperti possono diventare ancora più evidenti per il peggioramento dell’iperinsufflazione, dell’infiammazione bronchiale e, talvolta, del sovraccarico cardiaco destro. Inoltre, durante le riacutizzazioni di BPCO, nella valutazione della radiografia del torace è importante porre attenzione all’eventuale presenza di segni radiologici tipici degli eventi patologici scatenanti o conseguenti alla riacutizzazione (per esempio, focolai broncopneumonici, edema polmonare e/o versamento pleurico da scompenso cardiaco ecc.). La HRCT del torace non è un esame di routine nel paziente con BPCO. Tuttavia, può essere utile per confermare i segni di enfisema polmonare riscontrati alla radiografia, permettendo di definirne le caratteristiche morfologiche e l’estensione. È inoltre di particolare utilità nei pazienti candidati alla terapia chirurgica (bullectomia, riduzione chirurgica del volume polmonare e trapianto polmonare). Indice BODE Il BODE è un indice multidimensionale utile nella valutazione della gravità della BPCO. Le variabili impiegate per calcolare l’indice BODE (Body mass index, Obstruction, Dyspnoea, Exercise capacity) sono l’indice di massa corporea, il grado di ostruzione del flusso aereo, la dispnea (punteggio assegnato sulla base del grado di affaticamento respiratorio) e la tolleranza all’esercizio (distanza percorsa durante il test del cammino). Il BODE rappresenta un ottimo indice prognostico di mortalità ed è un criterio importante di inserimento in lista per il trapianto polmonare del paziente affetto da BPCO. Esami di laboratorio L’emocromo può evidenziare una policitemia con aumento dell’ematocrito, come conseguenza di ipossiemia cronica, e, in fase di BPCO riacutizzata, può essere utile nella valutazione di un’eventuale leucocitosi. La velocità di eritrosedimentazione e la PCR, indici sistemici di flogosi, possono superare i livelli normali anche nella fase C0090.indd 454 di stabilità dei sintomi respiratori, ma aumentano tipicamente durante le riacutizzazioni della malattia. Il dosaggio della concentrazione sierica dell’1-antitripsina consente di individuare i soggetti con deficit di questo enzima, di determinarne il genotipo e, ove disponibile, di attuare la terapia sostitutiva. Diagnosi differenziale La BPCO, data l’aspecificità della sintomatologia respiratoria, va posta in diagnosi differenziale con numerose patologie (Tab. 18.7), anche se la più frequente è con l’asma bronchiale (Fig. 18.14). • Asma bronchiale: – esordio precoce (spesso nell’infanzia); – sintomatologia variabile a seconda dei giorni; – frequenti sintomi notturni o nelle prime ore del mattino; – spesso presenti allergia, rinite e/o eczema; – storia familiare di asma; – limitazione al flusso aereo ampiamente reversibile. • Insufficienza cardiaca congestizia: – fini rantoli crepitanti basali all’auscultazione del torace; – la radiografia del torace mostra aumento dell’ombra cardiaca ed edema polmonare; – le prove di funzionalità respiratoria rilevano una sindrome restrittiva e non ostruttiva. • Bronchiectasie: – espettorato abbondante e purulento; – comunemente associate a infezioni batteriche; – rantoli grossolani/clubbing all’auscultazione; – la radiografia/TC del torace mostra dilatazioni bronchiali e ispessimento delle pareti bronchiali. • Carcinoma polmonare: – esordio in qualunque età; – la radiografia del torace mostra un infiltrato polmonare o lesioni nodulari; – esami microbiologici di conferma; – elevata prevalenza locale di malattia. • Tubercolosi polmonare: – esordio in età giovanile in soggetti non fumatori; – può essere presente una storia di artrite reumatoide o di esposizione a fumi; – la TC del torace in espirio mostra aree ipodense. • Bronchiolite obliterante: – la maggior parte dei pazienti sono maschi e non fumatori; – quasi tutti i pazienti presentano sinusite cronica; – la radiografia del torace e l’HRCT mostrano piccole opacità nodulari centrolobulari diffuse e iperinflazione. Trattamento della BPCO Gli obiettivi principali della terapia sono volti a prevenire e a gestire i sintomi, a ridurre la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni, a migliorare lo stato di salute e ad aumentare la tolleranza allo sforzo. La cessazione dell’abitudine tabagica, l’ossigenoterapia a lungo termine (nei pazienti con insufficienza respiratoria cronica) e la riduzione chirurgica dei volumi polmonari (in casi molto selezionati di enfisema polmonare) sono gli unici interventi in grado di modificare 6/9/10 9:43:48 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE Tabella 18.7 455 Diagnosi differenziale della BPCO* Diagnosi BPCO Elementi distintivi Esordio in età media Sintomi lentamente progressivi Lunga storia di fumo Dispnea da sforzo Limitazione al flusso aereo scarsamente o non reversibile Asma Esordio precoce (spesso nell’infanzia) Sintomatologia variabile a seconda dei giorni Frequenti sintomi notturni o nelle prime ore del mattino Spesso presenti allergia, rinite e/o eczema Storia familiare di asma Limitazione al flusso aereo ampiamente reversibile Scompenso cardiaco congestizio Fini rantoli crepitanti basali all’auscultazione del torace La radiografia del torace mostra un aumento dell’ombra cardiaca ed edema polmonare Le prove di funzionalità respiratoria evidenziano una sindrome restrittiva, non ostruttiva Bronchiectasie Espettorato abbondante e purulento Comunemente associate a infezioni batteriche Rantoli grossolani all’auscultazione, dita “a bacchetta di tamburo” La radiografia/TC del torace mostra dilatazioni bronchiali, ispessimento delle pareti bronchiali Tubercolosi Esordio a qualunque età La radiografia del torace mostra un infiltrato polmonare o lesioni nodulari Esami microbiologici di conferma Elevata prevalenza locale di malattia Bronchiolite obliterante Esordio in età giovanile, in soggetti non fumatori Può essere presente una storia di artrite reumatoide o di esposizione a fumi La TC del torace in espirio mostra aree ipodense Panbronchiolite diffusa La maggior parte dei pazienti sono maschi e non fumatori Quasi tutti i pazienti presentano sinusite cronica La radiografia del torace e l’HRCT mostrano piccole opacità nodulari centrolobulari diffuse e iperinsufflazione 2 *Questi elementi tendono a essere caratteristici delle rispettive patologie, ma non sono presenti in tutti i casi. Per esempio, un soggetto che non ha mai fumato può sviluppare BPCO (specie nei Paesi in via di sviluppo dove altri fattori di rischio possono essere più importanti del fumo di sigaretta); l’asma può esordire in età adulta e anche senile. (Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.) la storia naturale della BPCO. Tutte le altre terapie farmacologiche, comportamentali o riabilitative, migliorano i sintomi e riducono la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni della malattia senza però influenzare la storia naturale del paziente affetto da questa malattia. Il grado di ostruzione bronchiale, misurato con la spirometria postbroncodilatatore, rappresenta una guida generale all’impostazione del trattamento, che però deve tenere conto anche della risposta individuale alle diverse terapie e delle eventuali comorbilità (Tab. 18.8). cerotti che erogano il farmaco per via transdermica, per via inalatoria e come spray nasale), il bupropione, originariamente impiegato per la sua azione antidepressiva, e più di recente la vareniclina, un farmaco che agisce in modo analogo alla nicotina a livello cerebrale. Terapia Terapia farmacologica Cessazione dell’abitudine tabagica La cessazione dell’abitudine tabagica è la singola misura più efficace, ed economicamente più vantaggiosa, per ridurre il rischio di sviluppare BPCO e per rallentarne la progressione. L’educazione sanitaria, che comprende i supporti medico e psicologico, e una specifica terapia farmacologica sono interventi cardine che dovrebbero essere proposti a tutti i pazienti con BPCO. I presidi farmacologici includono la terapia sostitutiva con nicotina (disponibile in diverse formulazioni: gomma da masticare, C0090.indd 455 Come già esposto, la terapia farmacologia attualmente disponibile è volta a prevenire e a gestire i sintomi, a ridurre la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni, ad aumentare la tolleranza allo sforzo e a migliorare la qualità di vita del paziente con BPCO. I farmaci al momento disponibili non sono in grado di ridurre la progressiva e patologica perdita della funzionalità respiratoria né la mortalità di questi pazienti, e quindi di modificare la storia naturale della malattia. 6/9/10 9:43:48 PM 456 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO Tabella 18.8 Terapia della BPCO stabile I – lieve VEMS/CVF < 0,7 VEMS ≥ 80% del teorico Riduzione attiva dei fattori di rischio; vaccinazione antinfluenzale Aggiungere broncodilatatori a breve durata di azione (quando necessario) II – moderata VEMS/CVF < 0,7 50% ≤ VEMS < 80% del teorico Riduzione attiva dei fattori di rischio; vaccinazione antinfluenzale Aggiungere broncodilatatori a breve durata di azione (quando necessario) Aggiungere un trattamento regolare con uno o più broncodilatatori a lunga durata di azione (quando necessario) Aggiungere riabilitazione III – grave VEMS/CVF < 0,7 30% ≤ VEMS < 50% del teorico Riduzione attiva dei fattori di rischio; vaccinazione antinfluenzale Aggiungere broncodilatatori a breve durata di azione (quando necessario) Aggiungere un trattamento regolare con uno o più broncodilatatori a lunga durata di azione (quando necessario) Aggiungere riabilitazione Aggiungere glucocorticosteroidi inalatori in caso di ripetute riacutizzazioni VEMS = volume espiratorio forzato al primo secondo; CVF = capacità vitale forzata. (Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.) Broncodilatatori I farmaci 2-stimolanti adrenergici e gli anticolinergici sono i farmaci broncodilatatori di più frequente utilizzo nella BPCO e svolgono un ruolo centrale nel controllo dei sintomi. Si somministrano sia come terapia regolare sia al bisogno. I broncodilatatori più comunemente usati sono i 2-agonisti a breve (salbutamolo, terbutalina) o lunga (formoterolo e salmeterolo) durata di azione e gli anticolinergici (ipratropio, oxitropio e tiotropio). I broncodilatatori di tutte le categorie riducono i sintomi e aumentano la tolleranza allo sforzo anche in assenza di un miglioramento dei volumi polmonari alla spirometria. La scelta dipende dalla disponibilità dei farmaci e dalla risposta del paziente. La terapia prevede un broncodilatatore a BPCO Fumo di sigaretta ASMA Allergeni Y Cellule epiteliali Linfociti T CD4+(Th2) Y Y Mast cellule Macrofagi alveolari Cellule epiteliali Eosinofili T linfociti CD8+ (Th1) Neutrofili Riduzione del calibro delle piccole vie aeree Distruzione alveolare Broncocostrizione Iper-reattività bronchiale Figura 18.14 Diagnosi differenziale tra asma e BPCO. IV – molto grave VEMS/CVF < 0,7 VEMS < 30% del teorico o VEMS < 50% del teorico con insufficienza respiratoria cronica Riduzione attiva dei fattori di rischio; vaccinazione antinfluenzale Aggiungere broncodilatatori a breve durata di azione (quando necessario) Aggiungere un trattamento regolare con uno o più broncodilatatori a lunga durata di azione (quando necessario) Aggiungere riabilitazione Aggiungere glucocorticosteroidi inalatori in caso di ripetute riacutizzazioni Aggiungere ossigenoterapia a lungo termine in caso di insufficienza respiratoria Prendere in considerazione la terapia chirurgica Ostruzione bronchiale Reversibile Irreversibile (Modificata da: Global initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. US Centers for Disease Control and Prevention, 2002.) C0090.indd 456 6/9/10 9:43:48 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE breve durata di azione al bisogno per i pazienti con pochi sintomi (a partire dallo stadio I). Negli stadi successivi si aggiunge la terapia regolare con broncodilatatori a lunga durata di azione, aumentando la dose a mano a mano che i sintomi diventano più gravi. La combinazione di broncodilatatori a differente meccanismo e durata d’azione può aumentare il grado di broncodilatazione. Gli effetti collaterali dei broncodilatatori, come i tremori e la tachicardia, sono dose-dipendenti e devono essere indagati nei pazienti durante le visite di follow-up. Nel trattamento delle riacutizzazioni di BPCO, i broncodilatatori preferiti sono i 2-agonisti a breve durata di azione somministrati con nebulizzatori. Se non vi è una pronta risposta a questi farmaci, è consigliata l’aggiunta di un anticolinergico; questi farmaci possono essere somministrati separatamente o nello stesso nebulizzatore e la frequenza di somministrazione dipende essenzialmente dalla gravità della riacutizzazione. Le metilxantine (teofillina e aminofillina) sono considerate attualmente una terapia di seconda scelta, da somministrare in infusione endovenosa, quando la risposta ai broncodilatatori a breve durata di azione è inadeguata o insufficiente. Glucocorticoidi Per il trattamento dei pazienti con BPCO grave, che vanno incontro a frequenti riacutizzazioni, le linee guida suggeriscono l’uso di steroidi inalatori in aggiunta alla terapia regolare con broncodilatatori. Evidenze recenti, ma limitate, indicano che l’impiego prolungato di un’associazione inalatoria di un broncodilatatore a lunga durata di azione e di uno steroide inalatorio possa ridurre la mortalità e l’evoluzione della BPCO in pazienti moderato-gravi; tuttavia, questo dato necessita di ulteriori conferme. L’uso degli steroidi sistemici, in passato frequente nel trattamento regolare della BPCO, è oggi ritenuto poco efficace e associato a inaccettabili effetti collaterali, tra i quali fratture ossee in seguito a osteoporosi, insorgenza di diabete mellito, ipertensione e gastropatie. Cicli di steroidi somministrati per via orale o parenterale sono invece raccomandati nel trattamento ospedaliero delle riacutizzazioni della BPCO. Ossigenoterapia L’ossigenoterapia continuativa e a lungo termine è indicata solo per i pazienti con insufficienza respiratoria cronica. Ha effetti positivi sull’emodinamica polmonare, sul profilo ematologico e sulla tolleranza allo sforzo e viene in genere prescritta ai pazienti con BPCO molto grave (stadio IV), che presentano una PaO2 55 mmHg a riposo a livello del mare e/o una SaO2 88%, associate o meno a ipercapnia. L’obiettivo primario è di aumentare la PaO2 di base ad almeno 60 mmHg e/o ottenere una SaO2 almeno del 90%. La decisione di instaurare l’ossigenoterapia a lungo termine dovrebbe essere presa sulla scorta dei valori di PaO2 basali, in aria ambiente durante la veglia. La prescrizione dovrebbe sempre contenere la durata dell’uso e il flusso di ossigeno da utilizzare a riposo, durante lo sforzo fisico e nel sonno. C0090.indd 457 L’ossigenoterapia rappresenta inoltre il caposaldo del trattamento ospedaliero di una riacutizzazione di BPCO che dovrebbe essere basata sull’entità dell’ipossiemia. Adeguati livelli di ossigenazione (PaO2 > 60 mmHg o SaO2 > 90%) sono facili da raggiungere nelle riacutizzazioni non complicate. Bisogna però tenere conto del fatto che la ritenzione di CO2 può comparire insidiosamente, anche in assenza di un importante peggioramento dei sintomi. A distanza di 30-60 min dall’inizio dell’ossigenoterapia deve essere eseguita un’EGA per controllare i livelli di ossigenazione e la ritenzione di CO2. Altre terapie farmacologiche Il vaccino antinfluenzale riduce del 50% l’incidenza di malattie gravi e la mortalità nei pazienti affetti da BPCO. È raccomandato l’impiego di vaccini contenenti virus uccisi o attenuati, più efficaci nei pazienti anziani. I ceppi si modificano annualmente, quindi la somministrazione dovrebbe avvenire una volta all’anno. Il vaccino polisaccaridico antipneumococcico è raccomandato nei pazienti con BPCO di età superiore ai 65 anni e nei pazienti di età inferiore a 65 anni con un VEMS < 40% del teorico, in quanto riduce l’incidenza delle polmoniti acquisite in comunità. 457 2 Antibiotici L’uso preventivo continuo degli antibiotici non ha mostrato effetti benefici sulla frequenza delle riacutizzazioni; il loro impiego dovrebbe essere quindi riservato al trattamento delle riacutizzazioni sulla base dei seguenti criteri: • pazienti in fase di riacutizzazione con i tre seguenti segni/sintomi cardinali: aumento della dispnea, aumento del volume dell’escreato e aumento della purulenza dell’escreato; • pazienti in fase di riacutizzazione con due segni/ sintomi cardinali, uno dei quali è l’aumento della purulenza dell’escreato; • pazienti in fase di riacutizzazione grave che richiedano ventilazione meccanica (invasiva e non invasiva). Farmaci mucolitici (mucocinetici, mucoregolatori) e antitussigeni Sebbene alcuni pazienti con escreato molto denso possano trarre beneficio dall’uso di mucolitici, il loro impiego non è raccomandato, in quanto non comporta miglioramenti eclatanti della sintomatologia del paziente affetto da BPCO. Nonostante la tosse sia talvolta un sintomo fastidioso, ha un significativo ruolo protettivo. Per questo motivo l’uso regolare di antitussigeni non è raccomandato nella BPCO stabile. Agenti antiossidanti e immunoregolatori (immunostimolanti, immunomodulatori) Sebbene alcuni studi abbiano dimostrato un effetto di questi farmaci sulla gravità e sulla frequenza delle 6/9/10 9:43:48 PM 458 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO riacutizzazioni della BPCO, la loro efficacia è ancora controversa e sono necessari ulteriori studi a lungo termine prima di raccomandarne un uso regolare. Terapia non farmacologica Riabilitazione La riabilitazione comporta, nei soggetti con BPCO a tutti gli stadi, una riduzione dei sintomi, il miglioramento della tolleranza allo sforzo, e quindi della qualità della vita, con una maggior partecipazione fisica e psichica alle attività quotidiane. Questi risultati possono essere ottenuti anche dopo un singolo ciclo di riabilitazione, ma per poterli mantenere il paziente deve continuare gli esercizi appresi sempre, anche a domicilio. Ventilazione meccanica non invasiva L’uso della ventilazione meccanica non invasiva (NIMV, Non Invasive Mechanical Ventilation) nell’insufficienza respiratoria acuta che si verifica in corso di riacutizzazione ha dato risultati positivi con tassi di successo di circa l’80-85%. Questi studi forniscono l’evidenza che la NIMV riduce l’acidosi respiratoria (aumentando il pH e diminuendo la PaCO2), la frequenza respiratoria, la gravità della dispnea e la durata della degenza ospedaliera. Tuttavia, l’evidenza più importante è la riduzione della mortalità in corso di riacutizzazione di BPCO. Le principali indicazioni all’impiego della ventilazione non invasiva sono la presenza di dispnea di grado moderato o grave con utilizzo dei muscoli accessori e del movimento addominale paradosso, una frequenza respiratoria > 25 atti respiratori/min e l’ipercapnia (PaCO2 > 6 kPa, 45 mmHg) associata ad acidosi respiratoria scompensata (pH < 7,35) da moderata a grave. Le indicazioni a iniziare, invece, la ventilazione meccanica invasiva durante una riacutizzazione di BPCO sono molteplici e includono il fallimento di un tentativo iniziale con NIMV. L’impiego della ventilazione invasiva in pazienti con BPCO allo stadio terminale è condizionato dalla verosimile reversibilità dei fattori precipitanti, dalla volontà del paziente e dalla disponibilità dei servizi di terapia intensiva. I rischi maggiori sono la polmonite da ventilatore (specialmente quando abbiano alta prevalenza le infezioni da microrganismi multiresistenti), il barotrauma e Fibrosi cistica Definizione La fi brosi cistica (FC) è la più frequente malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva della razza caucasica. È coinvolto un singolo gene, identificato nel braccio lungo del cromosoma 7, denominato CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator); esso codifica per una proteina, anch’essa chiamata CFTR, che ha una funzione di “canale” delle membrane cellulari C0090.indd 458 l’impossibilità di svezzare il paziente. Lo svezzamento o l’interruzione della ventilazione meccanica può essere particolarmente difficile e rischioso in pazienti con BPCO ed è ancora dibattuto quale sia il metodo migliore. Nei pazienti con BPCO in cui l’estubazione fallisce, la NIMV facilita lo svezzamento e previene la reintubazione, ma non riduce la mortalità. Riduzione chirurgica dei volumi polmonari La riduzione chirurgica dei volumi polmonari è un intervento che implica la resezione chirurgica di porzioni periferiche di polmone, con l’obiettivo di rimuovere le aree enfisematose e permettere al tessuto rimanente di ventilare in maniera più efficace. Essa rappresenta un’opzione terapeutica per i pazienti con ridotta tolleranza allo sforzo ed enfisema polmonare eterogeneo localizzato soprattutto ai lobi superiori. Risulta invece meno efficace nei pazienti con enfisema polmonare omogeneamente distribuito, in cui va preferita la terapia medica. I pazienti, attentamente selezionati, dopo l’intervento chirurgico presentano un incremento della capacità dell’esercizio massimale, con conseguente miglioramento anche della qualità di vita. Trapianto polmonare In pazienti con BPCO avanzata, adeguatamente selezionati, il trapianto polmonare si è dimostrato in grado di migliorare la qualità di vita e la funzionalità respiratoria. Non sembra tuttavia in grado di modificare la sopravvivenza di questi pazienti. Le più recenti linee guida in tema di trapianto hanno modificato i criteri di inclusione in lista per il trapianto polmonare, introducendo tra i parametri da valutare anche l’indice BODE, che riflette il grado di compromissione generale del paziente. Secondo gli attuali criteri, i soggetti con BPCO vengono inseriti in lista per il trapianto quando hanno un BODE maggiore di 7 oppure con un BODE compreso tra 5 e 7 e almeno una delle seguenti condizioni: • storia di frequenti ospedalizzazioni con ipercapnia acuta (PCO2 > 50 mmHg); • ipertensione polmonare e/o cuore polmonare cronico, nonostante ossigenoterapia in atto; • VEMS < 20% e DLco < 20% con una distribuzione omogenea dell’enfisema polmonare. C. Braggion, G. Piacentini, A.L. Boner per il trasporto del cloro e probabilmente anche altre funzioni non ancora comprese. A oggi sono note circa 1500 mutazioni del gene CFTR, la maggior parte delle quali è rara o molto rara. L’anomalia della proteina CFTR è responsabile delle particolari densità e viscosità del prodotto mucoso delle ghiandole esocrine; sono interessati perciò le vie aeree, le ghiandole sudoripare, il pancreas, il fegato, l’intestino e i vasi deferenti del testicolo. 6/9/10 9:43:48 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE In assenza di farmaci specifici per correggere il difetto di base, la FC è una malattia cronica ed evolutiva; una terapia palliativa applicata precocemente, intensivamente e con approccio multidisciplinare nei centri specialistici ha migliorato negli ultimi decenni la sopravvivenza mediana, che attualmente è assestata nella seconda metà della quarta decade di vita. Un’attesa realistica è che i progressi nella ricerca dei farmaci correttivi il difetto di base e le sue conseguenze, l’applicazione sempre più mirata e precoce delle terapie disponibili e il trapianto d’organo solido migliorino ulteriormente nei prossimi anni il profilo prognostico di questa malattia. Epidemiologia I dati sull’incidenza della FC si riferiscono alla forma classica (si veda oltre); nella razza caucasica l’incidenza è di 1 caso/2500-3000 nati, mentre nelle razza nera e asiatica è rispettivamente 1 caso/17.000 e 1 caso/90.000. Anche in Italia, nelle regioni dove si applica lo screening neonatale, l’incidenza è di 1 caso/3000 nati. Nel nostro Paese erano censiti al 31 dicembre 2004 circa 4100 pazienti con FC; la prevalenza è perciò pari a 7-8 casi/100.000 abitanti. Dai numeri sopra riportati si può ricavare una prevalenza dei portatori sani (o eterozigoti) del 4%. Una coppia di eterozigoti ha, per ogni nascita, un rischio del 25% che il bambino sia affetto (due mutazioni del gene CFTR), del 50% che sia portatore sano (una sola mutazione del gene CFTR) e del 25% che sia sano e non portatore. Un’elevata frequenza del gene mutato, come quella degli eterozigoti, non trova spiegazione in un aumentato tasso di mutazione; infatti le mutazioni ex novo sono considerate piuttosto rare. La teoria del vantaggio selettivo dei portatori sani può meglio spiegare la loro elevata frequenza; è possibile che una ridotta conduttanza del cloro nell’epitelio intestinale abbia comportato una maggiore resistenza alla diarrea indotta da tossine batteriche e virali. L’identificazione degli eterozigoti nella popolazione generale italiana richiederebbe di poter identificare tutte o quasi le mutazioni del gene CFTR; a oggi, utilizzando i test genetici più semplici, rapidi e meno costosi, che valutano una trentina di mutazioni del gene CFTR, la capacità di identificare le mutazioni in Italia varia dal 70 all’85%. Solo con indagini di genetica di secondo livello, come il sequenziamento del gene, si può arrivare a individuare il 90-95% delle mutazioni. Eziologia e fisiopatologia Studi in vitro degli epiteli delle ghiandole sudoripare e bronchiali, condotti tra il 1983 e il 1986, concordano nell’identificare nell’abnormale permeabilità al cloro il difetto di base della malattia. Nel 1989 è stato identificato il gene anomalo, denominato CFTR, costituito da 180.000 paia di basi e 27 esoni. La proteina CFTR, codificata dal gene CFTR, è costituita di 1480 aminoacidi, attivata dalla fosforilazione prodotta dalla protein-chinasi A, dipendente dall’AMP ciclico; questa proteina funziona come un “canale” per il trasporto del cloro a livello della membrana apicale degli epiteli, ma regola anche il trasporto del sodio e ha probabilmente altre funzioni, non ancora ben definite. C0090.indd 459 La direzione del trasporto di cloro dipende dalla specifica funzione del tessuto epiteliale interessato; nel tubulo delle ghiandole sudoripare avviene dal lume del tubulo al citoplasma, mentre nell’epitelio intestinale e in quello respiratorio la direzione del flusso è tradizionalmente considerata dall’interno delle cellule verso l’esterno. A livello del dotto sudorale, il difetto di CFTR comporta un’alterazione dell’assorbimento di cloro e secondariamente di sodio, da cui deriva una concentrazione di sale nel sudore da 3 a 5 volte il normale; questa condizione viene utilizzata per attuare il test più sensibile che oggi si conosca per questa malattia, il test del sudore. A livello respiratorio, il difetto di secrezione di cloro, accoppiato ad aumentato riassorbimento di sodio, comporterebbe la disidratazione del liquido della superficie dell’epitelio delle vie aeree (ASL, Airway Surface Liquid) e l’ispessimento del muco; questa è la teoria patogenetica più accreditata, definita del “ridotto volume” di ASL. La figura 18.15 riporta la classificazione delle mutazioni in cinque classi e il loro meccanismo di interferenza sulla sintesi e sulla funzione della proteina CFTR. Sono indicati il difetto di base della FC (anomalo trasporto del cloro mediante la proteina CFTR attraverso la membrana cellulare) e i meccanismi per i quali le mutazioni del gene CFTR possono inibire la sintesi nucleare (classe I), la maturazione (classe II), la regolazione (classe III), la conduttanza (classeIV), o possono ridurre la sintesi della proteina CFTR (classe V). La mutazione più frequente, presente in circa il 70-90% degli alleli nei pazienti degli Stati Uniti e Nord Europa, è denominata F508del ed è una mutazione di classe II, in cui manca il residuo di fenilalanina nella posizione 508. In Italia e nei Paesi del Sud Europa questa mutazione è meno frequente, rappresentando circa il 50% degli alleli. Le mutazioni delle classi I e II sono dette severe e si associano a insufficienza pancreatica, mentre le mutazioni di classe III, IV e V sono dette lievi, poiché si associano a sufficienza pancreatica, a una diagnosi tardiva, spesso in età adulta, e perciò a un decorso più mite della malattia. Alcune di queste mutazioni lievi sono collegate a un test del sudore borderline o normale (si veda oltre). L’associazione tra un particolare genotipo e il fenotipo (sintomi e andamento) è abbastanza definita per quanto riguarda la compromissione pancreatica; è sufficiente che una delle due mutazioni sia lieve per determinare la presenza di sufficienza pancreatica. Non vi è invece un’associazione ben definita tra le mutazioni specifiche e l’evolutività della malattia polmonare; quando sono stati esaminati soggetti omozigoti per una sola mutazione, per esempio la F508del, l’andamento della malattia polmonare è risultato molto eterogeneo nei diversi soggetti. Ciò ha avviato un importante filone di ricerca, che consiste nell’identificare altri geni, cosiddetti modificatori, che con i loro prodotti possano influire direttamente sulla proteina CFTR o su altri aspetti della malattia polmonare, come le risposte immunologica e infiammatoria. L’eterogeneità del fenotipo polmonare dipende anche da fattori ambientali; è stato dimostrato che il fumo passivo, le condizioni socioeconomiche sfavorevoli, una scarsa aderenza alla terapia e l’acquisizione di alcuni germi patogeni, come Pseudomonas aeruginosa e Burkhoderia cepacia complex, hanno effetti negativi sull’andamento della malattia polmonare. 459 2 6/9/10 9:43:49 PM 460 Figura 18.15 Classificazione delle mutazioni e meccanismi di interferenza sulla sintesi e sulla funzione della proteina CFRT. Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO Proteina CFTR – Cl Gene CFTR I II III IV V Assenza di sintesi Blocco nella maturazione Blocco nella regolazione Ridotta conduttanza Ridotta sintesi G542X 1717-1G → A 349delTT F508 del N1303K G85E G551D R117H R347P A455E 3849+10kbC → C (Modificata da: Cystic Fibrosis Mutation Data Base: http://www.genet.sickkids.on.ca/cftr/). Patogenesi La malattia polmonare è responsabile della gran parte della morbidità e della mortalità nei pazienti con FC. L’ipotesi prevalente per spiegare la presenza e l’evolutività della pneumopatia considera l’assenza della secrezione del cloro e l’eccesso di riassorbimento del sodio a livello del versante luminale dell’epitelio respiratorio come responsabili di un ridotto volume dell’ASL (nella Fig. 18.16, è indicata la sequenza di eventi che, a partire dal difetto genetico, porta al danno polmonare). Ciò comporta una ridotta clearance mucociliare, che rappresenta un meccanismo di difesa contro le infezioni. Il muco bronchiale, più disidratato e viscoso, si accumula nelle vie aeree. Alcuni microrganismi, tipicamente Staphylococcus aureus e Pseudomonas aeruginosa, trovano nell’ambiente polmonare condizioni particolari, come la presenza di basse concentrazioni di ossigeno nel muco bronchiale, che induce la loro trasformazione in un fenotipo “mucoide”; le colonie batteriche sono immerse Gene mutato Proteina CFTR difettosa Figura 18.16 Eventi che dal difetto genetico portano al danno polmonare e relativa identificazione della terapia. C0090.indd 460 Anomalo trasporto di cloro e acqua: muco denso e riduzione della clearance mucociliare Terapia genica e terapia cellulare Farmaci “correttori” e “potenziatori” Modulatori dei canali ionici e sostanze ad azione osmotica Infezione ↑↓ Infiammazione Nuovi antibiotici e antifiammatori Danno Trapianto in una matrice di alginato (biofilm), che conferisce loro resistenza agli antibatterici e alle difese cellulari. Un altro aspetto rilevante del biofilm è la perdita dell’invasività dei batteri; l’infezione cronicizza ma resta isolata al polmone e non si verificano batteriemie. Il quadro polmonare è dominato dal circolo vizioso tra infezione e infiammazione; quest’ultima è caratterizzata dall’accumulo di neutrofili nella mucosa e nel lume bronchiale. La figura 18.17 mostra come l’ostruzione e il danno bronchiale, caratterizzato soprattutto da bronchiectasie (BR), si verifichino in presenza di enzimi, come proteasi ed elastasi, e radicali dell’ossigeno, prodotti dai neutrofili. L’IL-8 e il leucotriene B4 (LTB4) stimolano la chemiotassi dei neutrofili, che rappresentano le cellule dominanti nei bronchi, nella sottomucosa e in sede peribronchiolare. I prodotti dei neutrofili (elastasi, proteasi, DNA, radicali dell’ossigeno) e dei batteri, che infettano cronicamente le vie aeree, sono responsabili dell’ostruzione e del danno bronchiale (BR). L’infiammazione è inefficiente a eliminare i batteri, anzi ne favorisce la persistenza e l’espansione clonale. La malattia polmonare è essenzialmente una malattia delle vie aeree e solo nell’evoluzione tardiva vi può essere un interessamento degli alveoli e dell’interstizio. Anatomia patologica La peculiarità della malattia polmonare è la presenza di BR, che tendono a essere diffuse, di aspetto inizialmente cilindrico ma successivamente varicoso e pseudocistico, specie nei lobi superiori (si veda oltre, Bronchiectasie). Il muco bronchiale, purulento e viscoso, tende a ostruire le piccole vie aeree e le ghiandole sottomucose, che presentano dotti dilatati e sono iperplasiche. Anche l’epitelio bronchiale mostra un’iperplasia delle cellule mucose. L’infiltrazione di neutrofili, in minor misura di linfociti e plasmacellule, 6/9/10 9:43:49 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE è evidente nel lume bronchiale e interessa anche la mucosa e il tessuto peribronchiolare. All’infiltrazione cellulare si alternano aree di riparazione fibrosa, metaplasia squamosa o ulcerazioni dell’epitelio. Il danno pancreatico responsabile della maldigestione è presente in genere alla nascita in almeno l’80-85% dei pazienti. I dotti pancreatici sono ostruiti dall’impatto mucoso e ciò porta ad atrofia degli acini, che possono dilatarsi a formare microcisti. Vi è inoltre fibrosi del parenchima e il tessuto pancreatico è rimpiazzato da tessuto adiposo. Le isole di Langerhans sono ridotte di numero e possono diventare atrofiche; ciò è responsabile, in età adolescenziale e adulta, di una ridotta secrezione di insulina, fino al quadro del diabete. Anche nel fegato l’ostruzione dei dotti biliari provoca una stasi biliare e una reazione infiammatoria e poi fibrosa periportale; queste lesioni sono in genere focali. L’infiltrazione grassa del fegato, la steatosi epatica, è l’alterazione epatica più comune. In un 5-10% dei casi la fibrosi epatica può evolvere in cirrosi con la formazione di noduli di rigenerazione multipli; queste alterazioni aumentano con l’età e determinano ipertensione portale nel 2% circa dei pazienti. Nella colecisti si accumula materiale mucoide, che può essere responsabile della formazione di calcoli biliari; la colecisti è inoltre atrofica (microcolecisti). Un’ostruzione da meconio dell’ileo distale, in rapporto a un suo ridotto contenuto di acqua, ad assenza di attività proteolitica e aumento di albumina nel lume intestinale, può produrre una distensione delle anse intestinali a monte, rilevabile ecograficamente anche in epoca prenatale; questa alterazione dell’intestino può essere responsabile di quadri occlusivi neonatali (ileo da meconio) in circa il 10% dei pazienti. Tali quadri possono essere presenti anche in età adolescenziale e adulta (equivalenti meconiali); Figura 18.17 Circolo vizioso infezioneinfiammazione nella patogenesi della pneumopatia. Infezione Infiammazione NEUTROFILI ↑ Dna ↓ Clearance mucociliare ↑ Elastasi ↑ Proteasi ↓ Fagocitosi ↑ IL-8 ↑ LTB4 ↑ Radicali di ossigeno ↑ Secrezioni bronchiali OSTRUZIONE BRONCHIALE Infezione 461 BRONCHIECTASIE Danno strutturale 2 nell’ileo distale e nel fondo cecale si formano fecalomi, che rallentano il transito intestinale e possono essere responsabili di quadri subocclusivi o occlusivi. In quasi tutti i maschi l’occlusione in utero dei vasi deferenti comporta alla nascita atresia o agenesia degli stessi; il corpo e la coda dell’epididimo e le vescichette seminali possono essere abnormemente dilatati o assenti. La spermatogenesi è attiva, ma le alterazioni descritte sono responsabili di azoospermia ostruttiva e perciò di infertilità. Manifestazioni cliniche Il quadro clinico della malattia nella sua forma classica è ben noto (Tab. 18.9). L’ileo da meconio, presente alla nascita, richiede per la risoluzione un intervento chirurgico. Tabella 18.9 Quadro clinico della fibrosi cistica classica* Malattia cronica delle vie aeree Malattia del tratto gastrointestinale Fisiopatologia Circolo vizioso infezione – infiammazione (neutrofili) Segni clinici Tosse cronica produttiva (90%) Infezioni recidivanti (97%) Batteri patogeni presenti cronicamente§ (97%) Bronchiectasie (97%) Ostruzione bronchiale progressiva (90%) Pansinusite (95%) Poliposi nasale (25%) Ostruzione dei duttuli pancreatici Maldigestione (85%) Pancreatite ricorrente (se sufficienza digestiva) Malnutrizione (polifattoriale) Atrofia delle isole di Langerhans Intolleranza al glucosio e diabete Ostruzione da muco denso dell’intestino Ileo da meconio (10-15%); equivalenti meconiali Ostruzione duttuli biliari e bile litogena Steatosi epatica (30-50%) Aumento nel siero di enzimi epatici (40-70%) Microcolecisti e litiasi colecistica (20-30%) Cirrosi biliare con ipertensione portale (2-4%) Ghiandole sudorali Ipersalinità del sudore Sindrome della perdita di sali e alcalosi metabolica cronica (10%) Organi genitali Azoospermia da atresia-agenesia dei vasi deferenti Infertilità del maschio (97%) *Sono riportate la fisiopatologia e la frequenza dei segni clinici principali. § I germi più frequentemente isolati nelle vie aeree sono Haemophylus influenzae, Staphylococcus aureus e Pseudomonas aeruginosa; i primi due sono più comuni nei primi 10 anni di vita, il secondo è più frequente in età adolescenziale e adulta. C0090.indd 461 6/9/10 9:43:49 PM 462 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO I sintomi di maldigestione pancreatica sono presenti fin dalla nascita nella maggior parte dei pazienti; le feci sono abbondanti, maleodoranti, contengono grassi e si associa meteorismo intestinale. L’appetito vorace non riesce a compensare la perdita fecale di nutrienti e si rendono evidenti precocemente una scarsa crescita e una malnutrizione, che può comportare anemia e ipoalbuminemia. I sintomi respiratori hanno una variabilità di esordio ma sono presenti invariabilmente in tutti i pazienti; la tosse ha carattere produttivo e tende a essere abituale specie al mattino e sotto sforzo. Il lattante e il bambino in età prescolare possono avere vomiche di catarro e l’espettorazione diventa abituale con il crescere dell’età. I sintomi di sinusite sono frequenti e il quadro radiologico di sinusite è costante. La poliposi nasale, bilaterale e progressivamente ingravescente, tende a recidivare anche dopo l’intervento di bonifica chirurgica. L’interessamento epatico, pur essendo quasi sempre evidente all’ecografia e/o con aumento nel siero degli enzimi epatici, solo raramente ha una espressione grave con cirrosi biliare. Il reflusso esofageo è comune nei primi mesi di vita e, facilitato dalla tosse, può comportare esofagite. Il reflusso di succo duodenale può essere responsabile di gastrite e antrite. La malnutrizione ha una genesi polifattoriale; una variabile perdita calorica avviene anche se la maldigestione è trattata con gli enzimi pancreatici. Possono essere presenti inoltre una ridotta introduzione calorica da inappetenza, specie nelle fasi di infezione respiratoria, e un aumentato consumo energetico a causa della malattia polmonare e forse del difetto genetico. La malnutrizione è più evidente quando la malattia polmonare si aggrava. Diversi studi hanno esaminato il liquido di broncolavaggio, raccolto in pazienti di età inferiore ai 2 anni; pur essendo i piccoli pazienti asintomatici, i neutrofili erano abbondanti e vi era un aumento significativo di IL-8, IL-1 e di attività dell’elastasi prodotta dai neutrofili. Questo quadro espresso di infiammazione si associava al riscontro di batteri patogeni in un 30-70% dei pazienti (soprattutto Haemophylus influenzae e S. aureus; P. aeruginosa in un 10-30% dei pazienti), ma era presente anche in assenza di essi. Ciò sottolinea la necessità di avviare la terapia il più precocemente possibile. La comparsa dei patogeni nelle vie aeree avviene inizialmente in modo intermittente. In un secondo tempo, i germi infettano cronicamente le vie aeree, secondo la modalità del biofilm e del fenotipo mucoide, già descritto; la loro eradicazione con gli antibiotici può avvenire perciò solo nella fase di infezione iniziale e intermittente. Aspergillus fumigatus può essere responsabile della reazione infiammatoria IgEmediata (aspergillosi broncopolmonare allergica) con focolai broncopneumonici peri-ilari, sintomi asmatiformi, che recedono solo con la terapia steroidea. La pneumopatia evolve con fasi acute o subacute, dette di esacerbazione broncopolmonare, caratterizzate dai sintomi indicati nella tabella 18.10. La gravità dell’esacerbazione può essere graduata, per facilitare la scelta della modalità della terapia antibiotica e l’eventuale necessità di un ricovero ospedaliero. L’infezione da parte di virus o l’acquisizione di nuovi batteri può provocare un’esacerbazione polmonare. La maggior parte di esse peraltro è causata dall’espansione clonale di un patogeno presente cronicamente nelle vie aeree; la carica batterica aumenta e i fenomeni caratteristici dell’infiammazione si accentuano. Il trattamento C0090.indd 462 Tabella 18.10 Sintomi, segni e dati di laboratorio tipici di un’esacerbazione broncopolmonare* Sintomi Aumentata frequenza, intensità e durata della tosse Aumento o comparsa dell’espettorazione Aumento della purulenza dell’espettorato Comparsa di striature ematiche dell’espettorato o di emottisi Percezione di congestione al torace e/o dispnea Comparsa di dolori toracici Ridotta tolleranza allo sforzo Senso di malessere, astenia, mialgie Perdita di appetito Febbre Segni fisici Comparsa o accentuazione di segni di distress respiratorio (aumento della frequenza respiratoria, comparsa di rientramenti giugulari, intercostali) Comparsa o accentuazione dei rumori umidi e secchi apprezzabili all’auscultazione del torace Febbre Perdita di peso o nessun guadagno in peso Rilievi di laboratorio Riduzione del FEV1§ maggiore del 10% rispetto al valore migliore negli ultimi 4-6 mesi Comparsa di nuovi infiltrati o accentuazione dei rilievi tipici alla radiografia del torace Riduzione di SpO2# Leucocitosi e neutrofilia *La comparsa di almeno tre cinque di questi è utilizzata per indicarne la presenza. § Il FEV1 (volume espiratorio forzato al primo secondo) è un parametro della spirometria, indicativo di ostruzione bronchiale. # La saturazione in ossigeno dell’emoglobina, misurata con l’ossimetria pulsatile (SpO2), è monitorata ai controlli specie nei bambini non in grado di collaborare all’esecuzione della spirometria o quando la malattia è avanzata e vi è il rischio di insufficienza respiratoria. antibatterico riduce la carica batterica, l’infiammazione e il consumo energetico. Si comprende perciò come il monitoraggio periodico e, in fase di esacerbazione, dei parametri indicati nella tabella 18.10, sia fondamentale per modulare la terapia sia della fase acuta sia del trattamento cronico. La spirometria, in particolare, assume un ruolo rilevante per stimare obiettivamente l’entità della broncoostruzione, le “perdite”, associate alle esacerbazioni, e i “guadagni” ottenuti dal trattamento nell’immediato e nel medio-lungo termine. Mediamente si registra una riduzione dell’1-2% del valore teorico del FEV1/anno; ogni incremento di questa perdita merita un’attenta valutazione e un’intensificazione della terapia. La pneumopatia si può complicare con emottisi, in rapporto al danno sui rami delle arterie bronchiali, che diventano più superficiali e varicosi. Anche il pneumotorace può complicare l’evoluzione della malattia polmonare; è prodotto dalla rottura di bolle aeree subpleuriche, che si formano in rapporto al danno progressivo soprattutto nei lobi superiori. Per evitare la recidivanza del pneumotorace, attualmente si esegue una pleurodesi chirurgica con bullectomia e/o apicectomia, per rimuovere le bolle subpleuriche. Come per le altre malattie broncopolmonari 6/9/10 9:43:50 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE ostruttive, l’insufficienza respiratoria è inizialmente prodotta dallo squilibrio ventilazione/perfusione; nelle fasi avanzate della malattia essa è inzialmente intermittente, presente durante le fasi acute della malattia, il sonno e lo sforzo, e poi diventa persistente. Con l’aggravamento ulteriore della bronco-ostruzione si associa ipoventilazione alveolare, responsabile di ipercapnia. Il test del cammino per 6 min e il test da sforzo cardiopolmonare contribuiscono a quantificare la riduzione delle capacità funzionali, che è un aspetto rilevante nella valutazione del timing per il trapianto polmonare. Diagnosi La diagnosi della FC classica è clinica, basata sui sintomi indicati nella tabella 18.9 e confermata dal risultato patologico del test del sudore (cloro sudorale > 60 mEq/L). Il test del sudore consiste nella stimolazione delle ghiandole sudoripare con pilocarpina, fatta assorbire dalla cute con una leggera corrente elettrica, nella raccolta e pesatura del sudore e nella titolazione del cloro; questo test è tuttora il più sensibile e specifico per la diagnosi. La diagnosi genetica consiste nell’identificazione delle mutazioni associate alla malattia. Poiché circa il 5-10% delle mutazioni resta tuttora non identificato, nonostante lo scanning completo del gene, la sensibilità della diagnosi genetica è minore rispetto al test del sudore. Il suo potenziale diagnostico è riservato ai seguenti scopi: (1) identificazione delle mutazioni nei neodiagnosticati per poter procedere alla consulenza genetica nei genitori e a un’eventuale diagnosi prenatale per future gravidanze; (2) identificazione delle mutazioni nei neodiagnosticati per poter estendere la ricerca delle mutazioni ai familiari per la diagnosi di eterozigote; (3) identificazione delle mutazioni nei soggetti positivi allo screening neonatale (si veda oltre); (4) identificazione delle mutazioni nei soggetti con sintomi compatibili e test del sudore dubbio (cloro sudorale 40-60 mEq/L) o normale (cloro sudorale < 40 mEq/L). Quest’ultima indicazione è emersa dagli studi genetici di soggetti che presentavano sintomi compatibili con l’FC, seppur isolati, come l’assenza congenita bilaterale dei vasi deferenti, causa di azoospermia e infertilità, la pancreatite cronica/ricorrente, le BR disseminate cosiddette idiopatiche o associate ad aspergillosi broncopolmonare allergica, la rinosinusite cronica e/o la poliposi nasale. In questi soggetti è stata identificata una percentuale più elevata di mutazioni del gene CFTR rispetto alla popolazione normale; alcuni di essi, pur avendo un test del sudore normale o borderline, presentavano due mutazioni di CFTR. Queste forme mono- o oligo-sintomatiche sono state definite come FC atipica o, più correttamente, patologia CFTR-associata. La diagnosi di queste forme avviene per lo più in età adulta; esse sono caratterizzate da mutazioni lievi e hanno perciò una prognosi migliore rispetto alle forma classica. La frequenza delle forme atipiche è destinata ad aumentare a mano a mano che i soggetti con sintomi compatibili vengono indagati. Nel caso di sintomi compatibili, una sola mutazione di CFTR identificata e test del sudore non conclusivo, il processo diagnostico dovrebbe essere indirizzato anche alle altre cause della patologia di fondo e dovrebbe essere completato da un’altra misura di ano- C0090.indd 463 malia della proteina CFTR, come quella della differenza di potenziale elettrico transepiteliale dell’epitelio nasale o della mucosa rettale (queste misure sono molto complesse e non ancora ben standardizzate). Vi è ormai accordo sull’utilità dello screening neonatale di FC, sulla base del vantaggio nutrizionale, prodotto dall’applicazione precoce della terapia, e della possibilità di fare una diagnosi di eterozigote ai genitori, con le conseguenze sulle ulteriori scelte procreative. Attualmente lo screening prevede la determinazione della tripsina nel sangue, prelevato con puntura del tallone del neonato nel secondo-terzo giorno di vita, e la ricerca delle mutazioni del gene CFTR nei neonati che presentano un aumento della tripsina. La diagnosi genetica ha aumentato la sensibilità e la specificità dello screening neonatale. Questi accertamenti conducono, anche se singolarmente positivi, al test del sudore, che è il test di conferma della diagnosi. Nel caso della presenza di una sola mutazione e test del sudore negativo, si conclude per la diagnosi di eterozigote; questa informazione può consentire di allargare la ricerca di eterozigosi nei genitori e nei familiari. L’inserimento della diagnosi genetica nei programmi di screening neonatale ha consentito di rilevare una maggior frequenza di eterozigoti tra i neonati con ipertripsinemia rispetto alla popolazione normale. Ciò ha condotto a ipotizzare che l’aumento della tripsina nel primo mese di vita sia una manifestazione fenotipica di FC atipica. La diagnosi prenatale è offerta alle coppie di eterozigoti, come i genitori di un affetto; è una diagnosi genetica eseguita su materiale prelevato con biopsia dei villi coriali alla decima settimana di gravidanza. Attualmente vi sono programmi solo sperimentali di diagnosi di eterozigote nella popolazione generale. Sussistono diversi problemi aperti in questa area di prevenzione primaria: il momento più adatto per realizzare lo screening (nell’età adolescenziale? nelle coppie che hanno avviato o devono avviare una gravidanza?), il tipo di test da utilizzare e il suo potenziale predittivo e le modalità per effettuare la consulenza genetica a un numero rilevante di soggetti. Come si è visto, nella prassi corrente, si propone la diagnosi genetica di eterozigote nei familiari di una persona affetta o nei genitori e familiari di un neonato sottoposto a screening alla nascita e identificato come eterozigote. Ciascuna di queste opportunità deve accompagnarsi alla consulenza genetica, poiché la mancata conoscenza di tutte le mutazioni del gene CFTR non consente delle diagnosi certe, ma solo di quantificare il rischio di essere portatore e di avere un figlio affetto. 463 2 Terapia La terapia è palliativa e rivolta a tutti gli aspetti clinici più rilevanti. Il trattamento dell’insufficienza pancreatica si basa sulla somministrazione di estratti pancreatici ad alte dosi a ogni pasto e di vitamine liposolubili. La strategia nutrizionale tiene conto di un fabbisogno energetico aumentato, pari al 120-150% rispetto a quello dei soggetti sani, e di 6/9/10 9:43:50 PM 464 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO un’alimentazione equilibrata nella composizione percentuale dei nutrienti. È raccomandato un trattamento del diabete con insulina. Il trattamento della malattia polmonare riveste priorità e prevede un trattamento sia delle esacerbazioni broncopolmonari sia di base. Per quanto riguarda il primo, l’antibiotico va somministrato sulla base dei risultati delle colture di espettorato e del relativo antibiogramma; la dose degli antibiotici, come degli altri farmaci, è più elevata, circa doppia rispetto a quella utilizzata nei soggetti sani, poiché il volume di distribuzione e la clearance renale dei farmaci sono aumentati nei pazienti con FC. Il trattamento di base prevede l’applicazione quotidiana di una tecnica per facilitare la rimozione del muco bronchiale, che deve essere modulata sulla base dell’entità dell’espettorazione, dell’estensione e della gravità delle BR, della frequenza delle esacerbazioni respiratorie e del loro impatto sull’andamento della funzione respiratoria. Le BR e la riduzione dei flussi espiratori rappresentano infatti un ostacolo alla clearance del muco bronchiale (si veda oltre, Bronchiectasie). La terapia mucolitica, che precede l’esecuzione delle tecniche drenanti, prevede due alternative, validate da studi clinici controllati e randomizzati; la prima è rappresentata dal RhDNase, un enzima ricombinante che rompe le molecole di DNA, di cui è ricco l’espettorato e che contribuisce alla sua viscosità; la seconda è rappresentata dall’inalazione di una soluzione salina ipertonica (3-6%), che per il suo effetto osmotico aumenta l’ASL, facilitando la rimozione del muco bronchiale. La terapia di base prevede inoltre una “soppressione” dell’infezione polmonare cronica, utilizzando la tobramicina per via inalatoria. Se questa risulta poco incisiva, si può integrare con l’inalazione di colistina oppure con Figura 18.18 Immagini di bronchiectasie (BR) alla HRCT. a trattamenti antibatterici per os o con cicli di antibiotico endovena ogni 3-4 mesi. Nei centri specialistici il rischio di infezioni crociate è elevato; per questa ragione i pazienti che hanno un’infezione cronica da P. aeruginosa sono separati dagli altri. Attualmente vi sono dati che suggeriscono di isolare anche i pazienti con infezione cronica da Burkholderia cepacia complex, da P. aeruginosa multiresistente e da S. aureus meticillino-resistente. Le linee guida per il trattamento di base raccomandano inoltre di utilizzare l’ibuprufene e l’azitromicina, come farmaci antinfiammatori; l’azitromicina, un antibiotico inefficace contro batteri come P. aeruginosa, ha probabilmente effetti antinfiammatori e per questa ragione ha dimostrato di stabilizzare la situazione clinica. Sono impiegati inoltre i broncodilatatori a lunga durata d’azione, mentre non vi è evidenza sull’efficacia degli steroidi per via inalatoria e sono noti gli effetti collaterali derivati dalla somministrazione prolungata degli stessi per via orale. Il trapianto bipolmonare rappresenta una opportunità terapeutica in presenza di insufficienza respiratoria, scarsa risposta alla terapia medica e riduzione delle capacità funzionali; esso infatti offre un vantaggio per la sopravvivenza e la qualità di vita di questi pazienti, che probabilmente possono migliorare ulteriormente con i progressi nella terapia immunosoppressiva e nella profilassi antinfettiva. Il trapianto di fegato si propone in presenza di cirrosi con ipertensione portale e riduzione della funzione epatica. La ricerca si sta muovendo a largo raggio per comprendere la fisiopatologia della malattia, quella polmonare in particolare, e per identificare le terapie che incidano sul difetto di base. La figura 18.16 illustra le principali linee di terapia; sulla destra, si evidenzia come la ricerca sia indirizzata a identificare farmaci e/o modalità terapeutiche in grado di intervenire a ciascun livello della “cascata” di eventi; è perciò una b (a) BR localizzate: immagini di ipertrasparenza rotondeggianti sono evidenti in un contesto di atelettasia subsegmentaria del lobo inferiore sinistro (freccia a destra); il diametro dei bronchi (immagini “ad anello”) è maggiore del diametro dei vasi (immagine di opacità circolare), che decorrono paralleli ai bronchi. La freccia a sinistra indica un bronco normale; non vi è differenza tra il diametro bronchiale e il diametro del vaso contiguo. (b) BR “cistiche”: la dilatazione dei bronchi è molto accentuata (frecce). In questa sezione di HRCT si osserva inoltre una diversa trasparenza dei lobi polmonari di destra e sinistra. C0090.indd 464 6/9/10 9:43:50 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE ricerca affascinante, ma che trova ancora difficoltà e aspetti non chiariti a ciascun livello. La terapia è infatti tuttora essenzialmente palliativa. La terapia genica consiste nell’utilizzare dei vettori, in cui si inserisce il DNA normale; i vettori sono inalati per raggiungere l’epitelio respiratorio, penetrare nelle cellule e arrivare al loro nucleo. Sono stati usati vettori virali (per esempio, adenovirus, virus adeno-associati) o inerti (liposomi); in entrambi i casi è stata dimostrata una scarsa espressione della proteina CFTR normale nell’epitelio respiratorio e, nel caso di vettori virali, un’attivazione del sistema immune anche con effetti collaterali. Dopo gli entusiasmi iniziali, si stanno studiando nuovi vettori e soluzioni per vincere le barriere che si frappongono al loro arrivo al nucleo cellulare. Ancora ai suoi albori è la terapia cellulare; in vitro è stato dimostrato che si può applicare la terapia genica alle cellule staminali midollari, le quali vengono poi condizionate a trasformarsi in cellule staminali dell’epitelio respiratorio. Sono allo studio farmaci correttori del difetto di maturazione (VX809, curcumina) e del difetto di sintesi della proteina CFTR (PT124), che interessano rispettivamente le mutazioni di classe II e I. Un altro filone promettente interessa anche i farmaci potenziatori (VX770), mirati a correggere l’effetto delle mutazioni di classe III, IV e V. In fase più avanzata di studio sono alcuni farmaci che hanno l’obiettivo di inibire il canale del sodio e stimolare canali alternativi del cloro, calcio-dipendenti (denufosol, Moli1901): l’effetto sui “canali” della membrana cellulare dovrebbe aumentare il volume dell’ASL e perciò migliorare la clearance mucociliare e del muco bronchiale, che diventa più scorrevole. Lo stesso effetto può essere prodotto da altre sostanze che agiscono con azione osmotica, come il mannitolo. L’assistenza si sta oggi rivolgendo, nel contesto dei centri specialistici, a nuovi aspetti, considerando che gli adulti rappresentano circa il 50% dei pazienti, allo scopo di ottimizzare la diagnosi per le forme atipiche, migliorare i processi diagnostici e terapeutici delle complicanze dell’età adulta, assistere la procreazione sia nelle femmine sia nei maschi (fecondazione in vitro dopo prelievo di spermatozoi dal testicolo), migliorare la capacità di definire la prognosi, come nel caso del timing per i trapianti di organo, e migliorare gli esiti e la qualità di vita dopo il trapianto. Si richiede ancora un grande sforzo alla ricerca, per validare molte delle terapie utilizzate e identificare nuovi farmaci. In questo ambito si deve riconoscere il ruolo rilevante di alcune organizzazioni laiche di genitori e pazienti o delle fondazioni Onlus nel sensibilizzare gli enti e la popolazione generale sulla malattia e nella raccolta di fondi per sostenere la ricerca e una più efficiente assistenza. Bronchiectasie Definizione Il termine bronchiectasie (BR) indica una dilatazione abnorme e persistente dei bronchi in rapporto a un danno delle strutture della parete. Il termine equivalente, usato dagli autori anglosassoni, di suppurative lung rievoca maggiormente i sintomi associati alle BR; la tosse produttiva, l’espettorazione mucopurulenta e l’emoftoe possono essere presenti anche nei periodi di benessere e si accentuano in concomitanza di infezioni respiratorie. Altra caratteristica di questa patologia è rappresentata dal carattere recidivo delle infezioni delle basse vie respiratorie, con conseguente recrudescenza della sintomatologia. Le bronchiectasie sviluppano una vera e propria “sindrome”, ben definita dai punti di vista anatomopatologico e sintomatologico, ma che può essere ricondotta a condizioni eziopatogenetiche diverse. È utile comunque considerarle in modo omogeneo per i comuni profili diagnostico, fisiopatologico e terapeutico. La FC è la causa più frequente di BR; questa malattia genetica ha un suo definito e specifico profilo diagnostico, clinico e prognostico e ha avuto una trattazione a parte. Molte rassegne e trattazioni sulle BR infatti non includono la FC. Epidemiologia La prevalenza delle BR non è ben definita. Stime recenti riportano negli Stati Uniti una prevalenza variabile tra 4,2 C0090.indd 465 465 2 C. Braggion, M. Moretti, U. Morandi casi/100.000 abitanti in età compresa tra i 18 e i 34 anni fino a 271,8 casi/100.000 abitanti di età superiore ai 75 anni. Questo dato è correlabile alla presenza di alterazioni alla TC del torace compatibili con BR nei pazienti affetti da BPCO in una percentuale variabile tra il 29 e il 50%. Su 4000 bambini valutati per problemi respiratori in un periodo di 8 anni al Brompton Hospital di Londra, in 41 (1%) sono state identificate BR, escludendo i pazienti con FC. Eziologia La quasi totale scomparsa della TBC e la diffusione dell’immunizzazione contro il morbillo e la pertosse hanno contribuito a una riduzione progressiva della prevalenza delle BR nei Paesi europei. La tabella 18.11 riporta le cause più comuni di BR. Le infezioni rappresentano ancora una causa rilevante di BR localizzate; gli agenti eziologici chiamati in causa oggi sono gli adenovirus, il Mycoplasma pneumoniae e i micobatteri tipici e atipici. L’Aspergillus fumigatus può essere responsabile di ipersensibilità IgE e IgG mediata con formazione di BR; questa condizione è detta aspergillosi broncopolmonare allergica (ABPA) ed è caratterizzata da BR disseminate e sintomi “asmatiformi”. Alcune malattie congenite sono causa di BR; oltre alla FC, occorre ricordare la sindrome di dismotilità ciliare primitiva (PCD, Primary Ciliary Dyskinesia). Questa condizione si eredita con modalità autosomica recessiva a penetranza 6/9/10 9:43:51 PM 466 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO Tabella 18.11 Eziologia delle bronchiectasie (modificata da Barker, op. cit.) Infezione Bordetella pertussis, Mycoplasma pneumoniae Micobatteri tipici e atipici Adenovirus, virus del morbillo Aspergillus fumigatus Malattie congenite Fibrosi cistica classica o “atipica” (patologia CFTR-associata) Sindrome da dismotilità ciliare primitiva (PCD) Difetto 1-antitripsina, sindrome di WilliamsCampbell Sequestro polmonare, sindrome di Marfan Difetti immunitari Primitivi (ipogammaglobulinemia, difetto di IgA e di sottoclassi IgG) Secondari (sindrome da immunodeficienza acquisita, tumori, chemioterapia, trapianto) Varie Inalazione (tossici, corpi estranei, reflusso gastroesofageo) Malattie reumatiche Malattie infiammatorie dell’intestino variabile. Il difetto di base consiste in anomalie primitive della struttura delle cilia dell’epitelio respiratorio; ne consegue un’alterazione della clearance mucociliare, che è responsabile della ritenzione di secrezioni bronchiali e delle infezioni respiratorie ricorrenti. Nel 50% dei casi si associa anche la presenza di situs viscerum inversus, sinusite cronica e sterilità tipica della sindrome di Kartagener. La rara sindrome di Williams-Campbell è caratterizzata da assenza o diminuita formazione delle cartilagini bronchiali. Un’altra malattia congenita è il sequestro polmonare, una malformazione che si può complicare con infezioni ricorrenti e BR. Tra i difetti immunologici primitivi, i deficit umorali con difetto di sintesi di Ig, per esempio la sindrome di Bruton, o con difetto isolato di IgA e di sottoclassi IgG, sono quelli più frequentemente associati a BR. Queste condizioni hanno trovato nella terapia sostitutiva con gammaglobuline un presidio fondamentale per ridurre la frequenza e la gravità delle infezioni respiratorie. Per quanto riguarda i difetti delle sottoclassi IgG, specie delle IgG2, associati a un livello normale di IgG totali, la terapia sostituiva con immunoglobuline è giustificata nel caso si dimostri una ridotta sintesi di IgG specifiche contro antigeni polisaccaridici dell’Haemophylus influenzae o pneumococco, che è possibile verificare dopo immunizzazione attiva. Anche gli immunodeficit acquisiti possono essere responsabili di polmone suppurativo. Come già detto, il difetto genetico della FC consiste in un’alterazione di un gene localizzato nel cromosoma 7 (gene CFTR), che codifica per la sintesi di una proteinacanale; ne risulta un’alterato trasporto di cloro e sodio a livello degli epiteli, responsabile dei sintomi. Le BR e altre condizioni morbose, caratterizzate da alcuni sintomi di FC, sono state studiate indagando la frequenza delle mutazioni del gene CFTR; è stato dimostrato che la frequenza di soggetti con una o due mutazioni del gene CFTR era significativamente maggiore rispetto alla popolazione normale. Queste osservazioni implicano che alcuni pazienti con BR possono avere una patologia del C0090.indd 466 gene CFTR, nella sua forma classica o atipica. In queste ultime forme il valore del cloro sudorale può essere anche normale (< 40 mEq/L) o borderline (40-60 mEq/L) e la diagnosi è pertanto genetica; inoltre, la diagnosi viene posta in età adolescenziale o adulta e la prognosi è decisamente migliore rispetto alla FC classica. Circa l’1-3% dei pazienti con artrite reumatoide presenta una pneumopatia suppurativa con BR. Recidivanza di infezioni respiratorie e BR sono state osservate nelle malattie infiammatorie dell’intestino, soprattutto la colite ulcerosa. Anche la patologia da inalazione si può associare a polmone suppurativo. Considerando due casistiche dell’età adulta, rispettivamente di 146 e 123 pazienti con documentate BR, quelle postinfettive riguardavano il 30-50% dei pazienti, mentre quelle idiopatiche il 30-53% dei pazienti. Una casistica pediatrica di 136 bambini mostra invece che un’immunodeficit, una patologia da inalazione o la PCD sono cause di BR nel 67% dei pazienti, mentre sono meno frequenti le forme idiopatiche e postinfettive. Fisiopatologia e patogenesi Alla base delle BR vi è un danno dello stroma di sostegno (fibre elastiche, muscolari e connettivali) della parete bronchiale, prodotto dalla persistenza di infezione e infiammazione. Indipendentemente dall’eziologia, si instaura un circolo vizioso infezione-infiammazione, che è caratterizzato dall’accumulo a livello della mucosa e del lume bronchiale di neutrofili stimolati da diversi fattori chemiotattici (IL-8, LTB4). L’accumulo di neutrofili comporta un eccesso di proteasi, elastasi e radicali liberi rispetto ai relativi sistemi compensativi (antiproteasi, antiossidanti), responsabile del danno alla parete bronchiale. Le proteasi e le elastasi prodotte dai granulociti neutrofili o di origine batterica stimolano anche una maggior produzione di muco bronchiale, alterano la fagocitosi e contribuiscono a ridurre la clearance mucociliare; questi fattori possono spiegare la ricorrenza e la persistenza di infezioni polmonari. Le alterazioni della parete bronchiale e l’eccessiva produzione di muco sono responsabili della bronco-ostruzione e della conseguente modificazione della distribuzione della ventilazione. L’andamento cronico della sindrome rende queste alterazioni persistenti e progressive. L’alterata morfologia bronchiale può comportare un’accentuazione della normale variazione del calibro bronchiale durante gli atti respiratori. Infatti, in fase inspiratoria, l’abnorme dilatazione bronchiale implica la dislocazione di un maggiore volume di aria nello spazio morto anatomico. Durante l’espirazione forzata la compressione dinamica è accentuata a livello delle bronchiectasie fino al collasso della parete; questo meccanismo ostacola la progressione del muco verso le alte vie respiratorie. Dal punto di vista pratico può essere utile differenziare le BR in localizzate e disseminate. Nel primo caso l’eziologia è in genere postinfettiva; l’infezione, per la virulenza del patogeno o per le condizioni anatomiche predisponesti (ostruzione bronchiale intrinseca o estrinseca), produce un danno localizzato, spesso con caratteristiche di atelettasia lobare o segmentaria. Spesso le BR localizzate interessano il lobo medio (sindrome del lobo medio); in questa 6/9/10 9:43:51 PM Capitolo 18 - MALATTIE RESPIRATORIE OSTRUTTIVE sede i bronchi lobari sono angolati e di calibro più sottile rispetto agli altri bronchi e la loro stenosi, per effetto della compressione da parte di linfonodi ingrossati (per esempio, TBC), può causare una suppurazione localizzata. Le forme disseminate sono generalmente secondarie a forme congenite o associate alla BPCO, interessando nel primo caso soggetti in giovane età e nel secondo in prevalenza individui anziani. sono in genere localizzati, variabili e scompaiono con un colpo di tosse. È comune un’obiettività toracica poco significativa. Diagnosi Sintomatologia L’elemento centrale del processo diagnostico è la dimostrazione delle BR. Spesso il sospetto nasce da una radiografia del torace eseguita per documentare la risoluzione di un processo broncopneumonico acuto. L’indagine definitiva per precisare la presenza, la localizzazione e l’entità delle BR è la HRCT del torace (Fig. 18.18). I segni indicativi di BR sono i seguenti: • immagini “ad anello”, nel caso i bronchi siano visualizzati in una sezione trasversale, caratterizzate da un diametro bronchiale di circa 1,5 volte quella del vaso (immagine di densità perfettamente circolare), che corre parallelo e adiacente al bronco; • immagini “a binario”, se il bronco è visualizzato in una sezione longitudinale, con un calibro bronchiale che non si riduce lungo il suo decorso verso la periferia e ispessimenti della parete con dilatazioni fusiformi (aspetto varicoso); • nelle forme più gravi di BR la dilatazione bronchiale è abnorme, sferica o semisferica, con aspetti pseudocistici, spesso raggruppati (si veda Fig. 18.18 b). Il quadro clinico che conduce a sospettare le BR e a indagare la loro eziologia è abbastanza tipico, seppur variabile e più conclamato nelle BR disseminate e su base congenita. Il sintomo più frequente è rappresentato dalla tosse cronica produttiva, presente soprattutto al risveglio o durante lo sforzo fisico anche nei periodi di maggior benessere. La tosse a carattere produttivo si accentua nelle fasi di infezione respiratoria. L’espettorato ha carattere mucopurulento o francamente purulento, contrariamente a quanto si osserva nella BPCO. Un’altra caratteristica delle BR è data dalla recidiva di infezioni respiratorie delle basse vie aeree. La caratteristica peculiare della sindrome bronchiectasica è l’alternanza tra le fasi di quiescenza e le fasi di riacutizzazione, in cui la tosse produttiva e l’espettorazione si accentuano e l’espettorato incrementa la componente purulenta rispetto alle fasi di stabilità. Nelle riacutizzazioni si possono associare sintomi generali come inappetenza, svogliatezza, febbre a carattere settico e calo ponderale. Nelle fasi di esacerbazione respiratoria, l’espettorato può contenere piccole tracce di sangue o, più raramente, vi possono essere vere e proprie emottisi con emissione di solo sangue in quantità variabile. Vengono descritti rari casi di emottisi a evoluzione fulminante con morte improvvisa da inondazione emorragica di entrambi gli emisistemi bronchiali. È utile ricercare sintomi compatibili con una rinosinusite cronica; l’essudazione mucopurulenta nelle fosse nasali e secondariamente in ipofaringe può accompagnarsi a cefalea e a otiti recidivanti, fino al quadro dell’otite media cronica. La sintomatologia asmatiforme caratterizza soprattutto l’ABPA. All’auscultazione del torace si possono apprezzare rumori umidi localizzati e presenti anche al di fuori delle fasi di infezione acuta, oppure ronchi o sibili espiratori, che L’HRCT consente inoltre di evidenziare presenza di anomalie associate, come aree di consolidamento, riduzione del volume di un segmento o lobo (atelettasia), aumento di volume dei linfonodi mediastinici e differenza di trasparenza tra aeree o lobi contigui (aspetto “a mosaico”), che indica la disomogeneità della distribuzione della ventilazione. Definita la presenza, l’entità e la localizzazione delle BR, è necessario fare una diagnosi eziologica, con le indagini specifiche per le diverse cause, indicata nella tabella 18.11. La spirometria mostra un quadro ostruttivo in genere di lieve-moderata entità nelle BR disseminate, mentre può essere normale in quelle localizzate; è importante monitorare nel tempo la spirometria per valutare l’entità delle esacerbazioni infettive e la risposta alla terapia. È importante anche eseguire periodiche colture microbiologiche dell’espettorato, per valutare la presenza di batteri, micobatteri tipici e atipici e di Aspergillus fumigatus. I batteri più comumente isolati sono, in ordine di frequenza, H. influenzae, S. aureus e P. aeruginosa. La diagnostica della FC si deve basare sulla quantità del cloro nel sudore (patologico se > 60 mEq/L), ma se questo è normale o borderline va completata con la ricerca di mutazioni del gene CFTR per identificare forme atipiche. La diagnosi di PCD si può sospettare con un basso valore di ossido nitrico nasale, ma va confermata con lo studio alla microscopia elettronica delle cilia nasali e/o bronchiali. L’identificazione di un difetto di Ig o di sottoclassi IgG, specie delle IgG2, è giustificato anche dalla possibilità di una terapia sostitutiva con Ig. La broncoscopia è un’indagine di secondo livello e va considerata in presenza di BR localizzate, per documentare fattori locali (broncostenosi intrinseche o estrinseche), che giustifichino il ricorrere di infezioni respiratorie nella stessa sede o come trattamento preoperatorio necessario per la rimozione delle abbondanti secrezioni bronchiali. Nel caso di BR localizzate, occorre Anatomia patologica Le BR interessano i bronchi di calibro superiore ai 2 mm. Con l’eccezione della FC, le BR coinvolgono prevalentemente i lobi inferiori. Nelle BR cilindriche la dilatazione riguarda tutta la circonferenza bronchiale. Se la dilatazione è fusiforme e irregolare, le BR sono dette varicose, mentre se è abnorme e sferica le BR sono dette pseudocistiche . Nel lume bronchiale è spesso presente muco purulento e la mucosa può essere estesamente ulcerata. Istologicamente si alternano aree di necrosi della parete ad aree di riparazione con tessuto fibroso, il quale sostituisce le fibre elastiche e muscolari alterate in modo irreversibile. C0090.indd 467 467 2 6/9/10 9:43:52 PM 468 Parte 2 - MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO fare indagini microbiologiche e sierologiche (morbillo, pertosse, adenovirus e micoplasma), oltre che eseguire la reazione di Mantoux. Terapia Con l’eccezione degli immunodeficit, per i quali è disponibile un trattamento specifico, per tutte le altre condizioni associate a BR non è disponibile una terapia mirata. Il trattamento è perciò palliativo e indirizzato al circolo vizioso infezione-infiammazione polmonare, allo scopo di limitare l’evoluzione della pneumopatia. La FC rappresenta un riferimento per il trattamento delle BR. Per tutti o quasi gli aspetti terapeutici manca il supporto di evidenze basate sulla ricerca clinica controllata e randomizzata; questa è la conclusione di una serie di revisioni sistematiche. La fisioterapia-riabilitazione respiratoria è un aspetto centrale del trattamento; l’applicazione di tecniche per la rimozione del muco bronchiale può essere utile quando vi è un’espettorazione mucopurulenta o purulenta abituale. Programmi di allenamento allo sforzo possono aumentare e/o mantenere la prestazione fisica. Quando i batteri patogeni sono isolati abitualmente o frequentemente nelle basse vie aeree, l’antibioticoterapia mirata va proposta sempre, quando vi sono sintomi e segni di riacutizzazione della malattia e conseguenti ripercussioni respiratorie. Se la frequenza delle infezioni respiratorie è elevata e il declino della funzione polmonare è documentato dalla progressiva alterazione dei valori spirometrici, trova indicazione la terapia antibiotica “soppressiva” dell’infezione cronica. In questi casi si possono utilizzare antibatterici per via orale a cicli programmati o aminoglicosidi per via aerosolica quando l’infezione cronica è sostenuta da P. aeruginosa. La terapia steroidea per via orale, eventualmente associata a itraconazolo, è indicata nelle fasi di esacerbazione di ABPA. In presenza di instabilità clinica e funzionale può essere anche indicato un trattamento prolungato per via inalatoria con steroidi, associati a broncodilatatori a lunga durata d’azione. Come antinfiammatori possono essere somministrati cronicamente i macrolidi. La terapia chirurgica con exeresi lobare trova oggi una indicazione nelle BR localizzate, monolaterali, secondarie a malformazioni congenite, a bronco-ostruzione da corpi estranei e in quelle postinfettive, che comportano una significativa morbidità, nonostante il ricorso a fisioterapia respiratoria e a terapia medica. Una considerazione a parte meritano le BR diffuse non operabili emoftoizzanti. In questi casi, l’obiettivo più importante è di eliminare il sanguinamento, che in qualche caso può assumere caratteri di notevole gravità, tanto da mettere in pericolo la vita stessa del paziente (emottisi fulminanti). Il trattamento terapeutico di scelta si basa sull’embolizzazione dell’arteria bronchiale tributaria del territorio polmonare sanguinante. Essenziale, per una corretta esecuzione della metodica da parte del radiologo interventista, è la definizione dell’emisistema bronchiale sede dell’emorragia. L’esecuzione della fibro-broncoscopia e/o della TC con mezzo di contrasto può fornire, a questo riguardo, elementi essenziali sul distretto da embolizzare. Bibliografia Akbari O, Faul JL, Hoyte EG et al. CD4+ invariant T-cell-receptor plus natural killer T cells in bronchial asthma. N Engl J Med 2006;354:1117–29. Akbari O, Stock P, Meyer F et al. Essential role of NKT cells producing IL-4 and IL-13 in development of allergen induced airway hyperreactivity. Nat Med 2003;9:582–8. Anderson SD. How does exercise cause asthma attacks? Curr Opin Allergy Clin Immunol 2006;6:37–42. Angrill J, Augusti C, De Celis R et al. Bronchial inflammation and colonization in patients with clinically stable bronchiectasis. Am J Respir Crit Care Med 2001;164:1628–32. Anthonisen NR, Skeans MA, Wise RA et al. The effects of a smoking cessation intervention on 14. 5-year mortality: a randomized clinical trial. Ann Intern Med 2005;142:233–9. Barker AF. Bronchiectasis. N Engl J Med 2002;346:1383–93. Barnes PJ. 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