Centro Ricerche di Storia e Arte
Bitonto
STUDI BITONTINI
2008 - n. 85-86
STUDI BITONTINI 2008 - n. 85-86 - Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it
Questo numero è stato stampato
con il parziale contributo del Comune di Bitonto
Studi Bitontini, rivista semestrale del ‘Centro Ricerche di Storia e Arte-Bitonto’, fondata nel 1969, si propone come sede privilegiata per ricerche, approfondimenti, confronti su temi, documenti, eventi, nonché
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Copertina: Paolo Azzella
ISBN 978-88-7228-541-1
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Sommario
SAGGI
Vito Sivo, La cultura latina nella Calabria dell’età normanno-sveva. Un bilancio storiografico
DOCUMENTI
E
5
DISCUSSIONI
Margherita Pasquale, Deus charitas est. L’amore cristiano nelle immagini in
Puglia
33
Felice Moretti, Panorama confraternale pugliese dal Medioevo all’età moderna
61
Rosanna Carlucci, L’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento a Bitonto:
origini e finalità cultuali
71
Maria Rita Campa, Marianna Gnoni, Francesca Nitti, Su Porta Maja a Bitonto
79
Vittorio Foramitti, Tommaso Maria Massarelli, Agli albori della tutela in Puglia. Gli elenchi dei monumenti compilati dopo l’unità d’Italia
91
Carmela Minenna, Il mercato del sesso. Indagine sulla prostituzione di fine
Ottocento a Bitonto
101
SCHEDE BIBLIOGRAFICHE
Ada Riccardi, Donne e Guerrieri da Ruvo e Bitonto. Le scoperte del III millennio (F. DENTAMARO)
117
Maria Rosaria Depalo, Francesca Radina (a cura di), Bari, sotto la città. Luoghi della memoria (F. DENTAMARO)
118
Jörg Riedlbauer (a cura di), Tommaso Traetta. Opere (V.V. DESANTIS)
119
Michele Muschitiello, Proverbi e modi di dire a Bitonto (L. SCHIAVONE)
120
R. Cassano (a cura di), Sul filo di Lama (G. DISANTAROSA)
121
M. Stella, C.S. Fioriello, V. Santoliquido (a cura di), Lama Balice: studio,
conservazione, turismo sostenibile (G. DISANTAROSA)
122
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NOTIZIE
ED
EVENTI
Attività del CeRSA-Bitonto - L’Abbazia della SS. Trinità di Monte Sacro in
restauro (M. CIOCIA) - ‘Inside’. Identità-storia-corpo-mente (L. ANELLI) Il restauro della Chiesa Madre di Cerignola (M. CIOCIA)
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Studi Bitontini
SAGGI
85-86, 2008, 5-32
Vito SIVO
La cultura latina nella Calabria dell’età normanno-sveva.
Un bilancio storiografico
Un discorso inteso ad illustrare aspetti e problemi della cultura latina nella Calabria dell’età normanno-sveva (e a proporne un bilancio storiografico) non può prescindere, in via preliminare, da alcuni fatti ignorando i quali sarebbe assai difficile
comprendere le peculiarità di tale fenomeno, intenderne le presenze (poche) e le assenze (molte). Occorre cioè tenere presenti le modalità della conquista dell’Italia meridionale e della Sicilia da parte dei Normanni (che fu realizzata, com’è noto,
attraverso una serie di campagne militari isolate e talora casuali, da parte di bande
senza un capo unico e senza un disegno politico preciso); occorre considerare le caratteristiche del processo di formazione del regno, l’eterogeneità etnica, religiosa e linguistica, le tensioni tra i potenti del regno che, fino al tempo della minore età di
Federico, spesso si sommavano a quelle tra regioni ed etnìe diverse 1. I nuovi dominatori, infatti, rinunciarono, anche dopo l’unificazione – almeno all’inizio –, a proporre un progetto aggregante, a favorire la costruzione di una propria specifica
immagine culturale, «a promuovere – come scrive Alberto Vàrvaro – un’identificazione dei meridionali come Siculo-Normanni che finisse per rendersi autonoma da
1
Per un primo orientamento sulle vicende e sui caratteri della conquista normanna nel Mezzogiorno
d’Italia, S. Tramontana, La monarchia normanna e sveva, Torino 1986, spec. 27-164; inoltre, i contributi raccolti nei volumi: Roberto il Guiscardo e il suo tempo. Atti delle prime giornate normanno-sveve
(Bari, 28-29 maggio 1973), Roma 1975 (rist. Bari 1991); C. D. Fonseca (a cura di), Roberto il Guiscardo tra Europa, Oriente e Mezzogiorno. Atti del Convegno internazionale di studio promosso dall’Università degli Studi della Basilicata in occasione del IX centenario della morte di Roberto il
Guiscardo (Potenza-Melfi-Venosa, 19-23 ottobre 1985), Galatina 1990; G. Musca (a cura di), Ruggero
il Gran Conte e l’inizio dello stato normanno. Atti delle seconde giornate normanno-sveve (Bari, 19-21
maggio 1975), Bari 1977 (rist. ivi 1991); G. Musca (a cura di), Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II. Atti delle terze giornate Normanno-sveve (Bari, 23-25 maggio 1977), Bari 1979. Una nuova riflessione su questa tematica è stata recentemente proposta dal Centro di Studi Normanno-Svevi con le
sue sedicesime e diciassettesime ‘giornate’, dedicate rispettivamente all’analisi de I caratteri originari
della conquista normanna. Diversità e identità nel Mezzogiorno (1030-1130) e della Nascita di un regno.
Poteri signorili, istituzioni feudali e strutture sociali nel Mezzogiorno normanno (1130-1194), svoltesi
a Bari nei giorni 5-8 ottobre 2004 e 10-13 ottobre 2006, i cui Atti sono ora disponibili nei volumi relativi, curati da R. Licinio e F. Violante, Bari 2006 e 2008.
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VITO SIVO
una specifica origine etnica e conglobasse tutti i ceti dirigenti, fornendo una proiezione unificatrice ed esaltante alle classi umili» 2.
I Normanni mirarono piuttosto a tenere in vita e a valorizzare le tradizioni centrifughe dei loro sudditi: così, una volta sostituitisi ai bizantini nell’Italia meridionale
(e agli arabi in Sicilia) 3, essi cercarono di risollevare le sorti economiche dei ceti sociali italo-greci per farne strumento di stabilizzazione politica, dato che l’amministrazione e la vita civile nel mondo bizantino avevano conservato margini di
alfabetizzazione ignoti all’Europa latina 4; e a tal fine determinarono anche la nascita
di importanti centri monastici di cultura greca, riproposero l’eredità culturale bizantina nelle sue forme religiose, assicurarono al clero secolare e regolare di rito greco
protezione e strutture organizzative 5. A buon diritto, quindi, Guglielmo Cavallo può
osservare in proposito che «la conquista normanna, compiutasi verso la fine del secolo XI, costituisce un preciso spartiacque: ad una grecità sconfitta sul piano storicopolitico (i temi bizantini, ormai, non sono più), corrisponde una crescita della stessa
sotto il profilo culturale» 6. Insomma, nell’arco di circa un secolo, dalla fine dell’XI
alla fine del XII, l’asse Sicilia-Calabria si definisce gradualmente come il centro di
gravitazione politica, demica, culturale della dominazione normanna.
Solo dopo la fine della dinastia normanna prese avvio il processo di destrutturazione della cultura greca in Calabria e in Sicilia: processo che si produsse anche sotto
la spinta del programma di latinizzazione che i Normanni portarono avanti, in maniera
piuttosto drastica sotto Roberto il Guiscardo, ma più morbida e paziente sotto Ruggero «il gran conte» e i suoi successori; programma che si esplicò a diversi livelli, con
2
A. Vàrvaro, Il regno normanno-svevo, in Letteratura italiana. Storia e geografia, I, L’età medievale,
Torino 1987, 79-99, qui 80.
3
Si rimanda ai saggi contenuti nei volumi Ruggero I, Serlone e l’insediamento normanno in Sicilia,
Convegno internazionale di studi promosso dall’Istituto Italiano dei Castelli – Sezione Sicilia (Troina,
5-7 novembre 1999), atti raccolti da I. Giannetto – M. Ragusa, vol. a c. di S. Tramontana, Troina (EN)
2001; e Ruggero I Gran Conte di Sicilia. 1101 – 2001. Atti del Congresso internazionale di studi per il
IX Centenario (Troina 29 novembre – 2 dicembre 2001), a c. di G. de’ Giovanni-Centelles, Roma 2007.
Si veda anche A. Bisanti, L’immagine dei Normanni di Sicilia nella letteratura latina del XII secolo, in
Greci, latini, musulmani, ebrei: la coesistenza culturale in Sicilia. Atti del Convegno (Palermo, 16-18
novembre 2006) in corso di stampa, che illustra gli aspetti più specificamente letterari connessi con tali
vicende storiche.
4
G. Cavallo, Dallo ‘scriptorium’ senza biblioteca alla biblioteca senza ‘scriptorium’, in Dall’eremo
al cenobio. La civiltà monastica in Italia dalle origini all’età di Dante. Prefazione di G. Pugliese Carratelli, Milano 1987, 331-422, qui 398-399.
5
Sulla politica monastica messa in atto dai dominatori normanni della prima generazione, oltreché
C. D. Fonseca, La prima generazione normanna e le istituzioni monastiche dell’Italia meridionale, in
Roberto il Guiscardo e il suo tempo … cit., 145-156, qui 146-148, che riassume i contenuti e le ragioni
della polemica apertasi sulla valutazione del rapporto tra Normanni, latini e monachesimo greco tra gli
anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, si veda ora la sintesi complessiva e aggiornata che propone
F. Panarelli, Le istituzioni ecclesiastiche legate alla conquista. I monasteri, in I caratteri originari della
conquista normanna … cit., 349-369.
6
G. Cavallo, La trasmissione scritta della cultura greca antica in Calabria e in Sicilia tra i secoli
X-XV. Consistenza, tipologia, fruizione, in Scrittura e civiltà IV, 1980, 157-245, qui 190.
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LA CULTURA LATINA NELLA CALABRIA DELL’ETÀ NORMANNO-SVEVA. UN BILANCIO STORIOGRAFICO
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la sostituzione di vescovati latini ai greci e la sottomissione di monasteri greci a fondazioni benedettine antiche e recenti 7. In linea con questo processo di rilatinizzazione (o ricattolicizzazione) 8, quindi, i Normanni, pur conservando la propria eredità
linguistica e culturale galloromanza 9 (è noto che il galloromanzo, soprattutto nella sua
forma anglo-normanna, era la lingua propria del ceto dominante 10, e per questo –
come attesta Ugo Falcando – esso era in curia maxime necessarium 11), non trascurarono la cultura latina, anzi favorirono il ripristino della lingua di Roma, che gradualmente ridiventò lo strumento linguistico dei gruppi di potere e dei ceti
alfabetizzati 12. Al latino, riconosciuto non tanto come mezzo d’espressione nazionale, quanto come lingua sovranazionale della cultura, essi consegnarono – oltre che
un corpo prezioso di traduzioni – la funzione di conservare alla memoria collettiva la
storia delle loro res gestae 13. Di qui l’importanza della produzione storiografica del7
Ibidem, in particolare 202-203, con ulteriori riferimenti bibliografici; Fonseca, La prima generazione
normanna … cit., 146-148; inoltre P. Dalena, La Calabria in età normanna: aspetti e problemi, in C. D.
Fonseca (a cura di), Mezzogiorno – Federico II – Mezzogiorno. Atti del Convegno internazionale di
Studio (Potenza – Avigliano – Castel Lagopesole – Melfi, 18-23 ottobre 1994), Roma 1999, I, 343-379,
qui 365-379.
8
H. Houben, I Benedettini e la latinizzazione della terra d’Otranto, in B. Vetere (a cura di), Ad ovest
di Bisanzio. Il Salento medievale. Atti del Seminario Internazionale di Studio (Martano, 29-30 aprile
1988), Galatina 1990, 73-89; ristampato in Idem, Tra Roma e Palermo. Aspetti e momenti del Mezzogiorno medievale, Galatina 1989, 159-176.
9
Vàrvaro, Il regno normanno-svevo … cit., 82. Secondo G. Reichenkron, Per la lingua dei Normanni di Sicilia e dell’Italia meridionale, in Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani
V, 1957, 97-103, i Normanni giunsero già francesizzati nell’Italia meridionale.
10
Si veda A. Vàrvaro, Lingua e storia in Sicilia (Dalle guerre puniche alla conquista normanna), Palermo 1981, in particolare 203-204; più in generale, sulla presenza normanna nell’Italia meridionale e
in Sicilia e sull’eredità linguistica e culturale galloromanza da essi veicolata, si rinvia alle approfondite
osservazioni che si leggono ivi, pp. 196 sgg.. Per gli influssi toponomastici normanni nell’Italia meridionale, pure M. Pfister, Toponomastiche Herkunftsangaben bei der Nennung von Normannen, in A.
Greule und U. Ruberg (herausgegeben von), Süditalien und England, in Sprache, Literatur, Kultur. Studien zu ihrer Geschichte im deutschen Süden und Westen. Wolfgang Kleiber zu seinem 60 Geburtstag
gewidnet, Stuttgart 1989, 175-201. Per la problematica generale si rinvia anche a G. Rohlfs, Der sprachliche Einfluss der Normannen in Süditalien, in Mélanges de linguistique romane et de philologie médiévale offerts à M. Maurice Delbouille. I. Linguistique romane, Gembloux 1964, 565-572; G. Alessio,
Normandismi e francesismi antichi nei dialetti romanzi e romanici dell’Italia meridionale, in Bollettino
del Centro di studi filologici e linguistici siciliani 14, 1980, 5-36.
11
Per la testimonianza del cronista, Ugo Falcando, La «Historia» o «Liber de Regno Sicilie» e la
«Epistola ad Petrum Panormitane ecclesie thesaurarium», a cura di G. B. Siragusa [F. S. I., 22], Roma
1897, 127: «Quibus ille [sc. Henricus comes] Francorum se linguam ignorare, que m a x i m e n e c
e s s a r i a e s s e t i n c u r i a […]».
12
Sul plurilinguismo e la comunicazione linguistica nel Mezzogiorno normanno-svevo mi permetto
di rinviare alla sintesi da me proposta in Lingue e interpreti, in G. Musca e V. Sivo (a cura di), Strumenti,
tempi e luoghi di comunicazione nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle undecime giornate normanno-sveve (Bari, 26-29 ottobre 1993), Bari 1995, 89-111, con bibliografia. In particolare, per quanto
concerne la Calabria, pure F. Fanciullo, Latinità e grecità in Calabria, in S. Settis (a cura di), Storia della
Calabria antica. Età italica e romana, Reggio Calabria 1994, 671-703, qui 699-700.
13
A. Roncaglia, Le corti medievali, in Letteratura italiana, I. Il letterato e le istituzioni, Torino 1987,
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VITO SIVO
l’Italia meridionale dei secoli XI-XIV, che peraltro si inserisce nel contesto del generale fenomeno di recupero della storiografia che riguarda l’intera Europa occidentale a partire dal secolo XI 14. Ed invero, nella produzione e nel controllo della cultura,
nella circolazione di libri e di testi in età normanna un ruolo fondamentale svolse la
stessa corte («la prima corte italiana rinascimentale», come ha scritto Jacques Le
Goff) 15, che diventò un centro intellettuale ragguardevole, non tanto perché il sovrano si circondava di letterati, ma soprattutto perché - in questo periodo – il potere
centrale era detenuto, accanto e talora contro il re, da grandi dignitari ecclesiastici o
laici di notevole spessore politico ed intellettuale 16.
Per quanto concerne la Calabria, è noto che dopo l’esperienza di Vivarium 17, dagli
inizi del secolo VII, nella mutata realtà della dominazione bizantina, le popolazioni
della regione furono obbligate ad accoglierne il modello culturale e ad ellenizzarsi 18,
anche se – come emerge dai risultati di recenti ricerche di Fabio Troncarelli, che in
alcuni punti contrastano con l’opinione della maggior parte degli studiosi – tracce
della tradizione vivariense o, comunque, di cultura latina rimasero vive nei secoli
successivi, per quanto sommerse nella realtà nuova: «è […] probabile che qualcosa
di Vivarium sia sopravvissuto a lungo, coesistendo con la grecizzazione della regione
o addirittura mescolandosi ad essa, in una misura difficile da ricostruire» 19. La ri86. Sull’imponente attività di traduzione, per un primo orientamento, oltre Cavallo, La trasmissione
scritta … cit., si consulti almeno, tra i lavori più recenti, i contributi raccolti nei volumi Traduction et
traducteurs au Moyen Age. Colloque international du CNRS (Paris, 26-28 mai 1986), Paris 1989, nonché J. Hamesse et M. Fattori (a cura di), Rencontre de cultures dans la philosophie médiévale. Traductions et traducteurs de l’antiquité tardive au XV siècle. Actes du colloque international (Cassino, 15-17
juin 1989), Louvain-la-Neuve-Cassino 1990; cui si aggiunga W. Berschin, Traduzioni in latino nel secolo XIII, in Cl. Leonardi, G. Orlandi (a cura di), Aspetti della letteratura latina nel secolo XIII. Atti del
primo convegno internazionale dell’Associazione per il Medioevo e l’Umanesimo latini (Perugia, 3-5
ottobre 1983), Perugia-Firenze 1986, 229-242; Idem, Medioevo greco-latino. Da Gerolamo a Niccolò
Cusano, edizione italiana a cura di E. Livrea, Napoli 1989, passim.
14
Per un quadro complessivo della storiografia dell’Italia meridionale dei secoli XI-XIII, E. D’Angelo, Storiografi e cronologi latini del Mezzogiorno normanno-svevo, Napoli 2003, riccamente documentato e bibliograficamente aggiornato.
15
J. Le Goff, Gli intellettuali nel medioevo, edizione italiana, Milano 1979, 17.
16
Vàrvaro, Il regno normanno-svevo … cit., 84-85.
17
Per un panorama generale su questo tema, almeno G. Cavallo, Libri e continuità della cultura antica in età barbarica, in G. Pugliese Carratelli (a cura di), Magistra Barbaritas. I barbari in Italia, Milano 1984, 603-662, qui 631-632, con ulteriori indicazioni bibliografiche; Idem, Dallo ‘scriptorium’ …
cit., 334-337; inoltre S. Pricoco, Spiritualità monastica e attività culturale nel cenobio di Vivarium, in
S. Leanza (a cura di), Flavio Magno Aurelio Cassiodoro. Atti della settimana di studi (Cosenza-Squillace, 19-24 settembre 1983), Soveria Mannelli 1986, 357-377.
18
G. Cavallo, La cultura italo-greca nella produzione libraria, in G. Pugliese Carratelli (a cura di),
I Bizantini in Italia, Milano1982, 500-542; Idem, Libri scritti, libri letti, libri dimenticati, in Il secolo di
ferro: mito e realtà del secolo X. Settimane del Centro italiano di studi sull’alto medioevo. XXXVIII,
Spoleto 1990, 759-794, in particolare 788-789.
19
Così F. Troncarelli, Cultura e società, in Storia della Calabria medievale. Culture, arti, tecniche,
Reggio Calabria 1999, 91-113, in particolare 92-103 (parole citate a pagina 100).
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LA CULTURA LATINA NELLA CALABRIA DELL’ETÀ NORMANNO-SVEVA. UN BILANCIO STORIOGRAFICO
9
presa della scrittura latina si registra a partire dal 1060, quando alla dominazione dei
Bizantini si sostituì quella dei Normanni, di matrice culturale occidentale e latina.
L’uso della lingua latina torna quindi gradualmente a diffondersi, come documentano testimonianze epigrafiche (ad esempio le iscrizioni incise sulle monete del conte
Ruggero coniate a Mileto tra il 1072 e il 1101, che si ispirano a modelli classicheggianti) 20 e la circolazione di alcuni codici latini di importazione, databili tra XI e XII
secolo, la cui presenza in biblioteche medievali di istituzioni calabresi è attestata da
note e/o sottoscrizioni fornite di espliciti dati testimoniali (a tal riguardo particolarmente fruttuose sono state le ricerche – consapevoli ed accurate anche se non sempre convergenti nei risultati – di studiosi quali Antonio Maria Adorisio 21 e Fabio
Troncarelli 22).
È il caso, ad esempio, dei codici Vaticano Barb. lat. 627, di cui si dirà fra breve, e
Vaticano lat. 6072, che reca il testo di commentari ad epistole paoline dovuti allo
pseudo-Aimone di Halberstadt e a san Gerolamo 23. Vergato in minuscola carolina, il
manufatto è databile dell’ultimo quarto del secolo XI e riferibile, quanto all’origine,
all’Italia centro-meridionale; esso pervenne nella Biblioteca Vaticana tra il 1614 e il
1619 insieme ad un gruppo di codici greci direttamente dall’abbazia di Santa Maria
del Patir, mentre una nota di f. 113v databile forse del secolo XIV attesta che il volume era in uso nel monastero cistercense di Santa Maria di Acquaformosa (diocesi
di Cassano) 24. Bisogna invece spingersi fino alla prima età sveva, agli inizi del secolo
XIII, per ritrovare le prime tracce di un’attività di produzione libraria latina eseguita
direttamente in loco 25.
20
A. M. Adorisio, Per la storia della scrittura latina in Calabria dopo la conquista normanna, in
Scrittura e civiltà 8, 1984, 105-127, in particolare 107-108. Anche Dalena, La Calabria … cit., 344-345,
nell’evidenziare la notevole povertà di fonti documentarie di età normanna, scrive che «il fondo di carte
calabresi dell’Archivio Aldobrandini, raccolte e pubblicate dal Pratesi, rappresenta ancora la silloge documentaria più consistente per analizzare alcuni frammenti di medioevo calabrese, che, per il periodo
preso in esame (cioè dalla metà dell’XI secolo sino alla morte di Guglielmo II), raccoglie solo trentacinque chartae».
21
A. M. Adorisio, Codici latini calabresi. Produzione libraria in Val di Crati e in Sila tra XII e XIII
secolo, Roma 1986; Idem, Momenti e aspetti della produzione libraria latina nella Calabria medievale,
in Mestieri, lavoro, professioni nella Calabria medievale: tecniche, organizzazioni, linguaggi. Atti dell’VIII Congresso storico calabrese (Palmi, 19-22 novembre 1987), Soveria Mannelli 1993, 383-403.
22
F. Troncarelli, E. B. Di Gioia, Scrittura, testo, immagine in un manoscritto gioachimita, in Scrittura e civiltà 5, 1981, 150 sgg.; F. Troncarelli, Nuove reliquie dello scriptorium di Fiore, in A. Crocco
(a cura di), L’età dello Spirito e la fine dei tempi in Gioacchino da Fiore e nel gioachimismo medievale.
Atti del II Congresso internazionale di studi gioachimiti (San Giovanni in Fiore – Luzzi – Celico, 6-9
settembre 1984), S. Giovanni in Fiore 1986, 319-329; Idem, Tra beneventana e gotica: manoscritti e multigrafismo nell’Italia meridionale e nella Calabria normanno-sveva, in G. Vitolo (a cura di), Libro,
scrittura e documento in età normanno-sveva, Salerno 1994, 115-167.
23
F. Stegmüller, Repertorium biblicum Medii Aevi, Barcelona-Madrid 1950, 61, nn. 3101-3114. Si
veda anche H. Barré, Les homéliaires carolingiens de l’École d’Auxerre, Città del Vaticano 1962 (Studi
e Testi, 225), 123, nota 2.
24
Adorisio, Per la storia … cit., 111-115.
25
F. Magistrale, I centri di produzione libraria, in G. Musca (a cura di), Centri di produzione della
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10
VITO SIVO
La circolazione e la produzione di codici latini, e di conseguenza la crescita e il
rinnovamento della cultura di matrice latina, sono peraltro da mettere in stretta relazione con la venuta in Calabria dei certosini e dei cistercensi. Attratto dai luoghi impervi e solitari della regione, Bruno di Colonia vi giunse con un gruppo di discepoli
al seguito di papa Urbano II, insediandosi nella diocesi di Squillace con il sostegno
dei Normanni 26. Latori di un modello di vita improntato al rigore intransigente dell’ascesi 27, i certosini si diffusero rapidamente in Calabria e nel Mezzogiorno, recando
anche la tradizione culturale carolingia e post-carolingia elaborata nella scuola di
Reims 28, dove lo stesso Bruno aveva a lungo insegnato 29. Sappiamo, da una testimonianza dello stesso san Bruno, che i certosini erano dediti ad un’attività di trascrizione dei codici, che consideravano parte integrante della loro spiritualità, ed è
quindi ragionevole supporre che offrissero ad un pubblico di nuovi lettori opere fino
a quel momento ignote 30. Una testimonianza in questo senso ci viene offerta dallo
stesso Bruno, allorché in una lettera indirizzata all’arcivescovo di Reims chiede insistentemente l’invio di un esemplare della Vita di san Remigio, il protettore della
città francese, testo affatto ignoto in Calabria. Ed è anche probabile – a parere di
Troncarelli – che per questa stessa via siano giunte in Calabria altre opere, fino ad allora sconosciute nel Mezzogiorno d’Italia: come ad esempio quei trattati della scuola
di Auxerre, soprattutto di Remigio e di Aimone, che in codici italiani, forse calabresi,
del secolo XII si trovano attribuiti a san Remigio 31.
Il caso più ragguardevole è quello del già citato ms. Vaticano Barb. Lat. 627, esemplarmente analizzato da Fabio Troncarelli 32. Il manoscritto, che contiene il commento
cultura nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle dodicesime giornate normanno-sveve (Bari, 17-20
ottobre 1995), Bari 1997, 247-273, qui 257-258, con bibliografia.
26
P. De Leo, Bruno di Colonia in Italia dalla Corte Papale all’eremo di Calabria, in P. De Leo (a
cura di), San Bruno e la certosa di Calabria. Atti del Convegno Internazionale di Studi per il IX Centenario della Certosa di Serra S. Bruno (Squillace, Serra S. Bruno 15-18 settembre 1991), Soveria Mannelli 1995, 3-27. Su alcune suggestioni offerte dalla terra calabra a Bruno e da lui testimoniate all’amico
Rodolfo il Verde nell’invito a raggiungerlo nelle Serre, Dalena, La Calabria in età normanna … cit., 346.
27
De Leo, Bruno di Colonia in Italia … cit., specialmente 10-15, con bibliografia.
28
Sull’argomento si vedano almeno Cl. Leonardi, Remigio di Auxerre e l’eredità della scuola carolingia, in La scuola nell’Occidente latino dell’alto Medioevo. Settimane del Centro italiano di studi sull’alto medioevo. XX, Spoleto 1972, 271-288 (ristampato in Idem, Medioevo latino. La cultura
dell’Europa cristiana, Firenze 2004, 307-320); Idem, I commenti altomedievali ai classici pagani: da
Severino Boezio a Remigio d’Auxerre, in La cultura antica nell’Occidente latino dal VII all’XI secolo.
Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo. XXII, Spoleto 1975, 462-471 (ristampato in Idem, Medioevo latino … cit., 155-187); inoltre P. Riché, Gerbert d’Aurillac. Le pape de
l’an mil, Paris 1987.
29
Sul magistero di Bruno a Reims, si veda A. Becker, Papst Urban II. (1088-1099), Teil I, Stuttgart
1984 (Schriften der M.G.H., Band 19,1), 31-32. Ulteriori indicazioni in De Leo, Bruno di Colonia …
cit., 12, nota 22.
30
Troncarelli, Cultura e società … cit., 104; ma si veda pure L. Giordano Bruno, Guigo I tra cultura
classica e patristica, in San Bruno e la certosa di Calabria … cit., 307-318, specialmente 307-309.
31
Troncarelli, Cultura e società … cit., 103-105.
32
F. Troncarelli, Un codice con note autografe di Gioacchino da Fiore (Vat. Barb. Lat. 627), in Scrip-
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al Vangelo di Matteo redatto da Remigio di Auxerre, reca nei margini molte note databili fra XII e XIII secolo e attribuibili a due mani distinte. Sulla base di riscontri e
confronti di ordine paleografico e alla luce di numerosi altri elementi, messi in evidenza con acutezza e acribia, risulta rafforzata l’ipotesi espressa nel Cinquecento da
Andrea De Rosis, secondo cui la prima delle due mani sarebbe identificabile con
quella di Gioacchino da Fiore 33. La confusione tra san Remigio e l’omonimo magister di Auxerre è in effetti giustificabile in un ambiente come quello certosino: Remigio di Auxerre aveva infatti insegnato ed esercitato grande influenza a Reims,
ispirando la cultura di quel centro, che era poi confluita nelle opere di san Bruno; è
quindi naturale che opere di Remigio arrivassero ai certosini di Calabria insieme a
quelle in cui si parlava di san Remigio e che si generasse una confusione tra i due personaggi 34. Per questi tramiti dunque giungeva in Calabria una tradizione di studi esegetici ed eruditi, che rinnovellavano e rinsanguavano, nell’approccio ai testi sacri, la
pratica monastica della meditatio e della ruminatio 35: tradizione che sarà alla base dell’esperienza di Gioacchino da Fiore 36.
Ancora più consistente fu l’apporto offerto dall’esperienza monastica cistercense
che, già presente nel periodo normanno, giunse a maturazione nella prima età federiciana dispiegando appieno anche nel Mezzogiorno italiano le intrinseche capacità
innovatrici 37. In particolare, in Calabria un ruolo in tal senso giocarono, tra i secoli
XII e XIII, i monasteri di Santa Maria della Sambucina, di Sant’Angelo de Frigilo,
di San Giovanni in Fiore, con tutto quello che quest’ultimo significò come punto di
riferimento e di irradiazione dell’esempio e dell’opera di Gioacchino da Fiore; e del
resto è dall’esperienza cistercense che scaturirono i modelli e i monasteri florensi.
Le fondazioni cistercensi immisero nel regno meridionale forme grafiche e modelli
torium XLIII, 1, 1989, 3-34. In un successivo contributo lo stesso studioso, riprendendo la sua precedente ipotesi secondo cui il ms. Barberiniano riporta note autografe dell’abate calabrese, ha illustrato gli
aspetti della scrittura e dell’interpunzione e i modi di correzione a lui ascrivibili: F. Troncarelli, Osservazioni sull’autografo di Gioacchino da Fiore, in P. Chiesa – L. Pinelli (a cura di), Gli autografi medievali. Problemi paleografici e filologici. Atti del Convegno di studi della Fondazione Ezio Franceschini
(Erice, 25 settembre – 2 ottobre 1990). Prefazione di Cl. Leonardi, Spoleto 1994, 267-286. Sul ms. si
veda anche la ‘scheda’ relativa nel volume Il ricordo del futuro. Gioacchino da Fiore e il gioachimismo
attraverso la storia, a cura di Fabio Troncarelli. Introduzione di Cosimo D. Fonseca, Bari 2006, 185188, con bibliografia.
33
Sulla testimonianza di Andrea De Rosis, Troncarelli, Un codice con note autografe … cit., particolarmente 4-10.
34
Idem, 22-23, ripreso in Troncarelli, Cultura e società … cit., 104-105.
35
Sulla meditatio e la ruminatio, aspetti inseparabili dalla lectio divina, è d’obbligo il rinvio a J. Leclercq, Cultura umanistica e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura monastica del Medio Evo, Firenze 1965, 93-94.
36
Sulla figura e sull’opera dell’abate calabrese si veda più avanti.
37
Magistrale, I centri di produzione libraria … cit., 257-258, con ulteriori indicazioni bibliografiche;
ma si vedano anche i contributi di G. Andenna, I Cistercensi in Europa (secoli XII-XIII), e di H. Houben, I Cistercensi e la dinastia sveva, nel recente catalogo dei codici gioachimiti e pseudo-gioachimiti,
Il ricordo del futuro … cit., rispettivamente 15-28 e 29-32, con ampia bibliografia.
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VITO SIVO
librari attinti spesso in via diretta dalle case-madri di Francia e riprodotti direttamente
in loco. Ma va detto che tale produzione libraria sia per il repertorio di testi (che privilegiava quelli che erano a fondamento della dottrina e delle istituzioni monastiche
in generale e cistercensi in particolare, delle pratiche disciplinari e della liturgia), sia
per la sobrietà e la semplicità dei manufatti e della mise-en-page (caratteristiche che
rispondevano agli statuti religiosi dell’ordine e al suo programma di pieno recupero
della austerità dell’esperienza monastica delle origini) «non ebbe una forza d’impatto
tale da contrapporsi a una cultura greca sostenuta, nelle sue manifestazioni scritte,
da grandi abbazie come quelle di Santa Maria del Patir a Rossano e del Santissimo
Salvatore a Messina o dai ceti dirigenti a queste strettamente legati» 38.
Quando poi dalla produzione e circolazione libraria (deputata per lo più alla conservazione delle opere tramandate dalla tradizione) si passi a considerare l’elaborazione cosciente di nuove e specifiche opere letterarie latine, che sia direttamente
riferibile alla Calabria e ascrivibile a precise personalità, tale produzione si presenta
particolarmente esigua e insieme problematica. L’individuazione di una letteratura
calabrese geograficamente definita deve infatti misurarsi non solo con la scarsa documentazione dei suoi centri culturalmente attivi, ma anche, e soprattutto, con la diaspora degli intellettuali. In età sia normanna sia sveva si incontrano intellettuali –
anche di grande rilievo – originarî della Calabria; e tuttavia si deve constatare che,
tranne poche eccezioni, essi hanno per lo più vissuto e operato fuori della loro regione d’origine: in Sicilia, ma anche in altre zone più o meno lontane.
Ciò si spiega in primo luogo col fatto che, già sotto i re normanni, la corte palermitana diventò il luogo privilegiato in cui si coagulavano le istanze ideologiche e
istituzionali e si mettevano a punto i meccanismi di elaborazione culturale; il luogo
in cui gli intellettuali – molti dei quali erano ecclesiastici e vi ricoprivano alte cariche – venivano chiamati (anche da fuori) a costruire una cultura che era nella sostanza unitaria e monarchica 39, in quanto – come scrive Gianvito Resta – «in buona
parte riducibile alla decisa volontà della corte, asservita ai suoi interessi promozionali e ai suoi fini propagandistici»; una cultura, quindi, che «si realizzava ed operava,
mortificata ed asfittica, senza legami con la realtà sociale, solo nelle severe aule della
reggia, delle curie arcivescovili e dei monasteri»: perché, appunto, in Sicilia – a differenza di quanto si ravvisa nella tradizione longobardo-carolingia, c’è la «corte»,
ma non c’è la «scuola» 40. Non sono pochi i casi di importanti intellettuali che, at38
Cavallo, Dallo ‘scriptorium’ … cit., 399. Sulla raccolta libraria e sul significato culturale assunto
dal S.mo Salvatore nell’ambito delle istituzioni monastiche siculo-calabre, in un contesto in cui i valori
dell’etnia e della società greca erano resi problematici dalla conquista normanna, cfr. M.B. Foti, Il monastero del S.mo Salvatore in Lingua Phari, Proposte scrittorie e coscienza culturale, Messina 1989.
39
Tramontana, La monarchia normanna e sveva … cit., 174.
40
G. Resta, La cultura siciliana nell’età normanna, in Atti del Congresso Internaz. sulla Sicilia normanna (Palermo, 4-8 dicembre 1972), Palermo 1973, 263-278, qui 267. Sulla cultura nel Mezzogiorno
normanno, M. Oldoni, Ascendenze normanne e cultura federiciana, in Mezzogiorno – Federico II –
Mezzogiorno … cit., I, 119-137, qui 120, il quale osserva che «la presenza dei Normanni nel Mediter-
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tratti dalla capitale e dalla corte, vi si trasferiscono, abbandonando il loro ambiente
natale, con la conseguenza che la provincia rimane priva di un ceto còlto che riesca
ad esprimere una cultura autonoma 41. D’altra parte, proprio la carenza di strutture
educative laiche, ma anche ecclesiastiche, di un certo rilievo, spinge non pochi uomini di cultura a cercare fuori dei confini del regno (e della propria zona d’origine)
quei centri di studio, quelle scuole urbane altamente specializzate, che possano garantire, nella rinnovata temperie socio-culturale dei secoli XI-XIII, il superamento
del tradizionale percorso pedagogico imperniato sul trivium e sul quadrivium, attraverso l’introduzione di nuove arti pratiche (il diritto, la medicina, la perspectiva) quali
sottosezioni del sapere 42.
La Calabria non sembra aver offerto un contributo di rilievo neppure nel campo
della storiografia, che pure rappresenta il genere letterario di maggior significato nell’ambito della cultura latina. Il Padre Francesco Russo, nella sua Storia della Chiesa
di Calabria, inizia la sequenza degli scrittori in lingua latina con Goffredo Malaterra 43, il monaco benedettino che, verso la metà del secolo XI, giunse nel Mezzogiorno ex partibus transmontanis, cioè dalla Francia settentrionale, dove aveva
probabilmente soggiornato nel cenobio di Saint-Evroult-sur-Ouche 44. È pur vero che
egli risiedette per qualche tempo a Sant’Eufemia 45, quindi nel cenobio di Sant’Anraneo ha sempre coinciso con quel fenomeno di latinizzazione e rilatinizzazione d’un mondo di guerrieri ormai liberatisi dei miti iconografici sorti con l’epica di Guglielmo il Conquistatore e ben inseriti
negli equivoci della politica del Mezzogiorno medievale. Nessun dubbio che sia il regno di Ruggero II,
nonno di Federico, il più alto esempio di quell’internazionalismo culturale che riconosciamo poi nelle
iniziative dell’augusto nipote; ma va notato come proprio Ruggero II abbia per primo applicato la ‘regola delle tre culture’ in una monarchia mediterranea con la presenza di Latini, Greci ed Arabi gravitanti
intorno alla sua Corte, dove circolava già la traduzione latina dell’Almagesto di Tolomeo, anche se si
deve ad una successiva traduzione dall’arabo, dovuta a Gherardo di Cremona, l’edizione più fortunata
dell’opera tolemaica». Si veda ora anche G.M. Cantarella, La cultura di Corte, in Nascita di un regno
... cit., 295-330.
41
F. Porsia, La cultura nel basso Medioevo, in G. Musca (a cura di), Storia della Puglia, I. Antichità
e Medioevo, Bari 1979, 325-341. Un caso per qualche aspetto analogo è anche quello offerto dalla Basilicata tra i secoli XIII e XVI, per la cospicua presenza di letterati di origine lucana nella cultura generalmente identificata come napoletana, e nella cultura nazionale o europea: F. Tateo, Per la storia della
cultura letteraria nella Basilicata (secc. XIII-XVI), in Studi Bitontini 75, 2003, 5-31.
42
Su tali trasformazioni del sistema pedagogico, si vedano almeno i saggi raccolti nel volume di D.
L. Wagner (editor), The Seven Liberal Arts in the Middle Ages, Bloomington 1983.
43
F. Russo, Storia della Chiesa di Calabria dalle origini al Concilio di Trento, Soveria Mannelli
1982, II, 481.
44
Per un primo orientamento sulla figura e l’opera di Goffredo, si veda il profilo di D’Angelo, Storiografi e cronologi latini … cit., 24-28, nonché Bisanti, L’immagine dei Normanni di Sicilia … cit.
45
Tra il 1061 e il 1065 Roberto il Guiscardo fece costruire per un gruppo di monaci di Saint-Èvroult,
che insieme con il loro abate Roberto di Grandmesnil erano emigrati in Italia in seguito ad un contrasto
con il duca di Normandia, il monastero di S. Maria di Sant’Eufemia, che diventò presto il centro propulsore del monachesimo normanno nell’Italia meridionale: J.-M. Martin, L’ambiente longobardo, greco,
islamico e normanno nel Mezzogiorno, in G. De Rosa, T. Gregory, A. Vauchez (a cura di), Storia dell’Italia religiosa. L’Antichità e il Medioevo, Roma-Bari 1993, 220-221, 230-231; H. Houben, Il monachesimo cluniacense e i monasteri normanni dell’Italia meridionale, in Benedictina 39, 1992, 341-361,
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VITO SIVO
gelo o San Michele Arcangelo, poi detto della SS. Trinità di Mileto 46; ma è altrettanto vero che, chiamato in Sicilia da Ruggero «il gran conte», egli scrisse la sua cronaca 47 (che lo stesso Ruggero gli aveva commissionato e della quale egli è il
protagonista assoluto) a Sant’Agata di Catania, primo monastero latino dell’isola, di
cui era abate Angerio, monaco bretone che, prima di giungere nella città etnea, aveva
fatto parte anch’egli della comunità cenobitica di Sant’Eufemia 48. «La Sicilia dunque,
– annota Salvatore Tramontana – nel cui territorio controllato ormai dai Normanni
Malaterra scriveva la cronaca, diventava punto precipuo di riferimento anche come
centro di produzione storiografica» 49. Di una storiografia però che, lungi dall’essere
espressione di un territorio e delle sue esigenze, diviene «coagulo di un’idea, di un
progetto, di una missione programmata dall’esterno» 50; ma che, nello stesso tempo,
costituisce una preziosa fonte d’informazione sulla scarsa creatività produttiva, politica e culturale delle popolazioni locali 51. Del resto, ancora alla fine dell’età sveva il
cosiddetto Jamsilla sottolineava che nel regno di Sicilia erant litterati pauci vel nulli,
e che per questo l’imperatore aveva fatto venire intellettuali e scienziati ex diversis
mundi partibus 52.
A proposito di quest’ultima opera, un legame con la terra calabra si avrebbe, ove
fosse sicura l’attribuzione (proposta da August Karst 53 e ribadita di recente da Enrico
Pispisa 54 e da Edoardo D’Angelo 55) al notaio Goffredo da Cosenza, uno dei segretari
ristampato in Idem, Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, Napoli
1996, 7-22, qui 11. Goffredo soggiornò anche nel monastero della Santa Trinità di Venosa, il «pantheon
di Casa Altavilla, dov’erano sepolti Drogone e Umfredo e dove sarebbe stato seppellito lo stesso Guiscardo» (si veda S. Caruso, Politica “gregoriana”, latinizzazione della religiosità bizantina in Italia
meridionale, isole di resistenza greca nel Mezzogiorno d’Italia tra XI e XII secolo, in Cristianità d’Occidente e cristianità d’Oriente (secoli VI-XI). Atti della L Settimana di Studio del C.I.S.A.M. (Spoleto,
24-30 aprile 2003), Spoleto 2004, I, 463-541, in particolare 464-470.
46
Si veda L.R. Ménager, L’abbaye bénédictine de la Trinità de Mileto, en Calabre, à l’époque normande, in Bullettino dell’Archivio Paleografico italiano n. s. 4-5, 1958-1959, 9-94. L’abbazia fu fondata da Ruggero I, che vi è anche sepolto.
47
Gaufredi Malaterrae De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi
Ducis fratris eius, RIS 2, V 1, (ed. E. Pontieri 1928); RIS 1, V 537-604 (ed. L.A. Muratori 1724).
48
Houben, Il monachesimo cluniacense … cit., 11; inoltre D’Angelo, Storiografi e cronologi latini
… cit., 25.
49
S. Tramontana, I luoghi della produzione storiografica, in Centri di produzione della cultura …
cit., 21-40, qui 25-26.
50
Idem, 26.
51
Idem, 29.
52
Niccolò Jamsilla, De rebus gestis Friderici II imperatoris eiusque filiorum Conradi et Manfredi
Apulie et Sicilie regum: 1210-1258, in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi ed inediti, Napoli 1845-1868, II, 106. In generale, E. Pispisa, Niccolò di Jamsilla. Un intellettuale alla corte
di Manfredi, Soveria Mannelli 1984; inoltre D’Angelo, Storiografi e cronologi latini … cit., 48-50. Per
la Calabria dell’età sveva, del resto, è ben nota la rilevante penuria di fonti cronachistiche locali: P. De
Leo, La Calabria in età sveva, in Mezzogiorno – Federico II – Mezzogiorno … cit., 381-398, 386.
53
A. Karst, Ueber den sogenannten Jamsilla, in Historisches Jahrbuch 19, 1898, 1-28.
54
Pispisa, Niccolò di Jamsilla … cit., 5-15.
55
D’Angelo, Storiografi e cronologi latini … cit., 49.
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che accompagnarono Manfredi nella fuga da Teano a Lucera dopo l’uccisione di Borrello d’Anglone (e la conseguente, definitiva, rottura con Innocenzo IV), il quale fu
particolarmente vicino al sovrano negli anni 1254-56, quando questi salì al trono dopo
la morte improvvisa di Corrado IV. Tuttavia, Fulvio Delle Donne, muovendo dal presupposto che l’autore del testo sia da ricercare tra i notai che furono attivi nella cancelleria federiciana e che, nello stesso tempo, ebbero rapporti con la curia papale, ha
proposto di attribuire la paternità dell’Historia a Nicola da Rocca, noto maestro di ars
dictaminis e attivo notaio delle cancellerie di Federico II, di Corrado IV e di Manfredi,
ma anche – per un certo periodo – vicino alla curia papale 56; senza però escludere altre
figure, come ad esempio Belprando di Cosenza, attestato come notaio presso Federico II e Corrado IV e poi, forse, come canonicus Cusentinus, nel 1267, arcivescovo
di Cosenza nel 1276 e morto nel 1278 57.
Degli interessi scientifici coltivati alla corte siciliana sono eloquente testimonianza, tra l’altro, le traduzioni dal greco e dall’arabo. Tale attività, oltreché sollecitata dalla volontà sovrana, fu anche favorita dalla situazione oggettiva: la
compresenza e l’incontro di culture e lingue diverse 58, la sua stessa posizione geografica predisponevano infatti la Sicilia (e parte del Mezzogiorno continentale) a svolgere una funzione nodale in quel largo movimento di riappropriazione del sapere
greco ed arabo che arricchì ed irrobustì la cultura occidentale dopo la prima crociata
d’Oriente 59. Sotto questo profilo, il contributo offerto dalla Calabria fu notevole, dato
che interlocutori privilegiati dei Normanni divenivano quei ceti greci locali rimasti in
posizione di rilievo in quel territorio che era stato sottomesso a Bisanzio 60. È in ambito italo-greco, infatti, che vanno ricercati i referenti librari e testuali di cui si servirono i traduttori dal greco, da Alfano di Salerno a Costantino l’Africano, da Enrico
Aristippo a Burgundione da Pisa. E – a parere di Guglielmo Cavallo – tra quei
libri/testi, di più spiccato interesse sono parsi quelli scientifici/filosofici per il ruolo
di mediazione culturale che essi rappresentano tra Mezzogiorno normanno e Occidente europeo (si pensi almeno a stimoli e conoscenze di ascendenza italo-greca ri56
Nicola da Rocca, Epistolae, edizione critica a cura di F. Delle Donne, Firenze 2003 (Edizione Nazionale dei Testi Mediolatini 9 – serie I, 5).
57
F. Delle Donne, La cultura di Federico II: genesi di un mito. Il valore della memoria e della philosophia nell’Historia dello pseudo Jamsilla, in Idem, Politica e letteratura nel Mezzogiorno medievale,
Salerno 2001, 106-109.
58
Sul plurilinguismo e la multipolarità culturale nel regno normanno-svevo, oltre il saggio citato
sopra alla nota 9, si veda anche il quadro sintetico delineato da Vàrvaro, Il regno normanno-svevo …
cit., 82-86.
59
Roncaglia, Le corti medievali … cit., 102-105.
60
G. Cavallo, Forme materiali e testuali della produzione scritta. Scandagli sparsi, in L’Europa dei
secoli XI e XII fra novità e tradizione: sviluppi di una cultura. Atti della decima settimana internazionale di studio (Mendola, 25-29 agosto 1986), Milano 1989, 251-270, in particolare 267, dove si rinvia
a V. von Falkenhausen, I gruppi etnici nel regno di Ruggero II e la loro partecipazione al potere, in Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II. Atti delle terze giornate normanno-sveve (Bari, 23-25 maggio 1977), Bari 1979, 133-156.
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cevuti da intellettuali del calibro di Guglielmo di Conches, Giovanni di Salisbury e,
più tardi, Roberto Grossatesta) 61.
Nell’attività di traduzione un ruolo di primo piano ebbe, com’è noto, il calabrese
Enrico Aristippo, nativo di Santa Severina ma vissuto a lungo in Sicilia, dove fu arcidiacono di Catania dal 1156 e consigliere ed ammiraglio di Guglielmo I nel 1160-61 62.
Uomo di chiesa e di corte, Aristippo è noto soprattutto per le traduzioni (che si conservano) del Menone e del Fedone di Platone 63 e del quarto libro dei Meteorologica
di Aristotele 64; inoltre, aveva incominciato a tradurre le Vitae philosophorum di Diogene Laerzio 65. E proprio le prefazioni di Aristippo alle traduzione dei dialoghi platonici forniscono informazioni importanti su quella cerchia di còlti traduttori, che
gravitavano intorno alla corte di Guglielmo I: l’arcidiacono di Catania ci dice che traduce iussu… Siculorum regis Guilelmi, oppure rogatus… a Maione magno Sicilie admirabili atque ab Hugone Epanormitane sedis archipontifice; ci informa di avere a
disposizione, in Sicilia, Siracusanam et Argolicam bibliothecam (cioè, con ogni probabilità, «la biblioteca greca di Siracusa») 66. In particolare, nel prologo al Fedone platonico (con dedica a un tale «Roboratus Fortunae», identificato da Charles H. Haskins
come l’inglese Roberto ‘Canuto’ di Cricklade, priore di Santa Frideswida a Oxford e
familiare di Enrico II, che visitò la Sicilia nel 1158-59, recandosi a Catania e Siracusa;
ma in realtà più verosimilmente si tratta di Roberto di Selby o di Thomas Le Brun, magister capellanus di Ruggero II) 67, Aristippo evoca con toni elogiativi il re Guglielmo,
«la cui corte – egli dice – è una scuola, il suo seguito un ginnasio, le singole parole sentenze filosofiche memorabili, le cui questioni sono insolubili, le cui soluzioni non lasciano nulla di indiscusso, il cui studio nulla di intentato», e precisa di aver iniziato la
traduzione del testo greco «nell’accampamento, quando il re sopra nominato assediava
la città dei Sanniti Benevento» [1156] e di averla terminata a Palermo 68.
61
Cavallo, Forme materiali … cit., 266.
Su questo personaggio, nel cui operato emerge in tutta evidenza l’intreccio tra incarichi istituzionali ed attività scientifica, si veda la voce Aristippo Enrico, a cura di Ezio Franceschini, in Dizionario
biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, 201-206.
63
Meno interprete Henrico Aristippo, ed. V. Kordeuter, praef. C. Labowsky, Londinii 1940 (Plato Latinus, I); Phaedo interprete Henrico Aristippo, ed. L. Minio Paluello, Londinii 1950 (Plato Latinus, II).
64
F. H. Forbes, Mediaeval Version of Aristotele’s ‘Meteorology’, in Classical Philology X, 1915, specialmente 298, nota 3; L. Minio Paluello, Henri Aristippe, Guillaume de Moerbeke et les traductions latines médiévales des «Météorologiques» et du «De generatione et corruptione» d’Aristote, in Revue
philosophique de Louvain XLV, 1947, 211-220 (ristampato in Idem, Opuscula. The Latin Aristotle, Amsterdam 1972, 62-71).
65
Sull’esistenza di una traduzione latina di Diogene Laerzio nel Medioevo (quella di Aristippo?), A.
Reifferscheid, Zwei literarhistorische Phantasmata, in Rheinisches Museum XVI, 1861, 12-26; inoltre
V. Rose, Die Lücke im Diogenes Laërtius und die alte Übersetzer, in Hermes I, 1866, 367-397.
66
Per tutto ciò, Cavallo, La trasmissione scritta … cit., 199-200.
67
Cfr. rispettivamente P. Morpurgo, I centri della cultura scientifica, in I centri di produzione della
cultura … cit., 119-144, qui 131-132 e G.M. Cantarella, La Sicilia e i Normanni. Le fonti del mito, Bologna 1989, 54 nota 48.
68
W. Berschin, Medioevo greco-latino … cit., 293-295.
62
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Aristippo (che era d’origine greca, come indica il nome) aveva peraltro legami
diretti con la capitale dell’impero d’Oriente. Di là portò in Sicilia la Megiste syntaxis di Tolomeo, chiamata nel medioevo Almagesto, secondo l’arabo), opera che fu
poi tradotta in latino da un anonimo medico salernitano con l’aiuto di un altro illustre poliglotta e traduttore, Eugenio di Palermo 69. E tuttavia – come è stato giustamente rilevato da Salvatore Tramontana – sulle traduzioni eseguite nel Mezzogiorno
d’Italia pesa lo stesso atteggiamento distaccato e di isolamento che accompagnava la
cultura normanna; non è senza significato, infatti, che proprio dell’Almagesto, di questo trattato di Tolomeo che per tanto tempo sarebbe rimasto a base degli studi astronomici medievali, si sia diffusa in Europa non la traduzione fatta in Sicilia intorno al
1160, e su un codice che lo stesso Manuele Comneno aveva regalato ad Enrico Aristippo, ma l’altra più tarda, del 1175, portata a termine da Gherardo di Cremona su
un codice che si conservava a Toledo 70.
Ad un monaco benedettino rimasto ignoto si deve, invece, la traduzione (o, forse
meglio, la riscrittura) in latino della più antica biografia in greco pervenutaci su Elia
lo Speleota, il santo italo-greco vissuto in Calabria nella prima metà del secolo X 71.
Il rifacimento latino del testo greco fu eseguito (quando Reggio era già in mano normanna, quindi dopo il 1060) in un monastero latino, su commissione di un abbas Robertus, che va identificato con Roberto di Grandmesnil, abate fino al 1082
dell’abbazia di Sant’Eufemia, alla quale Roberto il Guiscardo nel 1062 aveva assegnato il monastero fondato dallo Speleota nei dintorni di Melicuccà nel primo quarto
del secolo X 72. L’anonimo monaco, ignaro di lingua greca, eseguì la riscrittura con
l’aiuto di un monaco di nome Elia, che era evidentemente bilingue e fungeva da interprete 73.
69
Su Eugenio di Palermo, un notabile di origine greca «espertissimo sia del greco sia dell’arabo, non
ignaro di latino», resta fondamentale la monografia di E. Jamison, Admiral Eugenius of Sicily, his Life
and Work and the Autorship of the Epistola ad Petrum and the Historia Hugonis Falcandi Siculi, London 1957, qui 3-32, 56-79, per quanto riguarda la sua figura di ‘intellettuale’; per la sua conoscenza
della lingua e della cultura araba, U. Rizzitano, La cultura araba nella Sicilia normanna, in Atti del
Congresso Internazionale di studi sulla Sicilia normanna … cit., 292 sgg.; inoltre Roncaglia, Le corti
medievali … cit., 102; Sivo, Lingue e interpreti … cit., 97.
70
Tramontana, La monarchia normanna e sveva … cit., 173, con le relative indicazioni bibliografiche.
71
Il testo, che si legge nel ms. Lat. XV. AA. 13 della Biblioteca Nazionale di Napoli, sec. XII, ff. 218v228v, è stato edito da M. V. Strazzeri, Una traduzione dal greco ad uso dei Normanni. La Vita latina di
Sant’Elia lo Speleota, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania 59, 1992, 1-108. Sul codice, prodotto – a parere di Guglielmo Cavallo – in uno scriptorium italo-meridionale, anche H. Houben, La
«Passio ss. Senatoris, Viatoris, Cassiodori et Dominatae»: un esempio per traduzioni dal greco in latino a Montecassino nel sec. XI, in Idem, Tra Palermo e Roma ... cit., 137-157, qui 1404-41, nota 20.
72
Strazzeri, Una traduzione dal greco … cit., 21.
73
Strazzeri, Una traduzione dal greco … cit., che tra l’altro rileva (a pagina 23) il buon livello culturale dell’anonimo rielaboratore, nonché il senso di opportunità pratica cui il rifacimento rispondeva,
come strumento di mediazione fra cultura latina e cultura e tradizioni locali ma anche come tentativo di
integrazione fra i primi normanni e la nuova realtà territoriale. Circa la tradizione greca della Vita, cfr.
AA. SS., Sept., III, 843-888 (alle pagine 843-844 si legge un giudizio poco benevolo di Stiltingh sulla
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VITO SIVO
Ancora, tra XII e XIII secolo, si incontrano insigni studiosi delle discipline che –
come si è già detto – si vanno affermando nelle scuole urbane e nelle universitates,
dove si mettono a punto nuovi metodi esegetici e si utilizzano i procedimenti dialettici anche nell’ambito della scientia de divinis 74. Un illustre giurista fu Simone di Bisignano, che studiò e insegnò il Decretum di Graziano 75, suo maestro, e, tra il 1177
e il 1179, compose una Summa iuris, che ebbe larga diffusione; in essa si accenna alle
compilationes, ossia le sillogi di decretali, di norme canoniche sorte ed accumulatesi
intorno al Decretum grazianeo 76.
Ursone di Calabria, invece, fu uno dei maggiori rappresentanti della Scuola salernitana, nell’ambito della quale fu attivo a partire dal 1180 fino alla morte, avvenuta
– secondo la ricostruzione di Wolfgang Stürner – verso il 1200, e non nel 1224, come
si riteneva 77. Ursone è quindi quasi coevo del cosiddetto commento Digby (sec. XII)
all’Articella (o Ars parva), titolo – com’è noto – assegnato nelle edizioni incunabole
alla collezione di testi medici, costituitasi in ambito salernitano e formata da cinque
testi: l’Isagoge di Ioannizio 78, gli Aphorismi e i Prognostica di Ippocrate, il De urinis di Teofilo e il De pulsibus di Filareto, cui poi si aggiunsero l’Ars parva (Tegni) di
Galeno e ancora altri testi 79. Ursone viene ricordato per il suo studio delle urine (il
versione latina dell’opera). Sulle testimonianze relative alla figura e al ruolo dell’interprete nel Mezzogiorno normanno-svevo, si veda il mio Lingue e interpreti … cit. (qui indicato all nota 12).
74
Su questa complessa tematica, per un primo orientamento, si veda la sintesi proposta da F. Del
Punta, C. Luna, La teologia scolastica, in Lo spazio letterario del Medioevo. 1. Il Medioevo latino, Direzione di G. Cavallo, Cl. Leonardi, E. Menestò, vol. I, La produzione del testo, tomo II, Roma 1993,
323-353, con ampia bibliografia. Si rinvia anche a M. D. Chenu, La teologia come scienza nel XIII secolo, Milano 19852 (edizione originale Paris 1957).
75
Su Simone di Bisignano, Russo, Storia della Chiesa in Calabria … cit., 483-484, con bibliografia; inoltre G. P. Bognetti, voce Decretisti, in Enciclopedia Italiana XII, Roma 1931, 470. Sull’argomento, da ultimo, P. V. Aimone Braida, Il «Decretum Gratiani» commentato. La Summa di Simone di
Bisignano discepolo di Graziano e le sorprese del manoscritto London, British Museum, Additional
24659, in La cultura giuridico-canonica medievale, Milano 2003, 251-273.
76
G. Bonolis, voce Decretali, in Enciclopedia Italiana, XI, Roma 1931, 2-3.
77
Urso von Salerno, De commixtionibus elementorum, ed. W. Stürner, Stuttgart 1976 (Stuttgarter
Beiträge zur Geschichte und Politik, 17), prefaz., 7-12. Su Ursone e altri maestri salernitani e, più in generale, sulla Scuola medica, P. O. Kristeller, Bartholomaeus, Musandinus and Maurus of Salerno and
Other Early Commentators of the Articella, with a Tentative List of Texts and Manuscripts, in Idem,
Studi sulla Scuola medica Salernitana, Napoli 1986, in particolare 97-151. Per un primo orientamento
sulla Scuola medica Salernitana, considerata nel quadro più generale della storia dell’Italia meridionale,
G. Vitolo, La Scuola medica Salernitana come metafora della storia del Mezzogiorno, in D. Jacquart,
A. Paravicini Bagliani (a cura di), La Scuola Medica Salernitana. Gli autori e i testi, Firenze 2007, 93123 (Edizione Nazionale ‘La Scuola Medica Salernitana’. 1).
78
Su questo testo commentato da Bartolomeo e che costituiva il nucleo originario dell’Articella si
veda D. Jacquart, À l’aube de la renaissance médicale des XI-XII siècles: l’«Isagoge Johannitii» et son
traducteur, in Bibliothèque de l’Ècole des Chartes 144, 1986, 299-340; sui varî commenti, di cui fu oggetto, da ultimo I. Caiazzo, Un inedito commento sulla Isagoge Iohannitii conservato a Parigi, in La
Scuola Medica Salernitana … cit., 93-123.
79
T. Pesenti, Arti e medicina: la formazione del curriculum medico, in O. Limone e L. Gargan (a
cura di), Luoghi e metodi di insegnamento nell’Italia medioevale (secoli XII-XIV). Atti del Convegno
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LA CULTURA LATINA NELLA CALABRIA DELL’ETÀ NORMANNO-SVEVA. UN BILANCIO STORIOGRAFICO
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De urinis o Regulae urinarum), che fece testo nel Medioevo 80; ma la sua opera fondamentale è il De commixtionibus elementorum, in cui Urso dichiara di voler rivelare
ed esporre naturas rerum occultas et manifestas rationabili investigatione et sensuum
discreta conceptione 81. Nel trattato, infatti, il magister elabora «una teoria degli elementi diversa da quella della Tegni, distinguendo tre specie di ogni elemento e quattro virtù: generativa, quantitativa, alterativa, locativa» 82.
In polemica contro i practici, che troppo spesso si affidano a un experimentum
(cioè una pratica o una consuetudine terapeutica) e all’uso di una quantità eccessiva
di trattati, Ursone rivendica la validità di una scienza che, fondata sulla razionalità
della natura, ha il compito di colmare le lacune degli antichi, nella convinzione che
la medicina è, prima di tutto, una doctrina cognoscendi causas 83, e che, quindi, solo
dopo aver appresa la doctrina è possibile esercitare la practica 84. A parere di Paul
Oskar Kristeller, le trasformazioni che investì la Scuola salernitana sullo scorcio del
secolo XII sono da mettere in diretta relazione con l’attività ivi esplicata dai due illustri medici Mauro e, appunto, Ursone, dato che le loro opere denotano un forte interesse per le questioni filosofiche e teoretiche, una qualche conoscenza delle dottrine
aristoteliche e un impiego consapevole dei metodi della logica scolastica 85. Elementi
Internazionale di studi (Lecce – Otranto, 6-8 ottobre 1986), Galatina 1989, 153-177, qui 157; P. Morpurgo, «Terra illa devorat habitatores suos». Gli scienziati normanno-svevi di fronte alle contese istituzionali, in Quaderni medievali 37, 1994, 16-38.
80
Trattati De urinis si devono anche ad altri magistri del tempo: ad esempio il salernitano Mauro e
Gilles de Corbeil, su cui L. Moulinier, La science des urines de Maurus de Salerne et les Sinthomata magistri Mauri inédits, in La Scuola Medica Salernitana … cit., 261-281; Pesenti, Arti e medicina … cit.,
159-160, con bibliografia.
81
Urso von Salerno, De commixtionibus elementorum, ed. cit., I, 38.
82
Pesenti, Arti e medicina … cit., 160; ma si veda pure P. Morpurgo, L’armonia della natura e l’ordine dei governi (secoli XII-XIV), Firenze 2000 (Micrologus’ Library 4), 130, 236; M. Van der Lugt, La
peau noire dans la science médiévale, in La pelle umana. The Human Skin, Firenze 2003 (= Micrologus XIII), 439-475, in particolare 464, dove si fa riferimento alla concezione della formazione e della
trasmissione della pelle nera. Alla penna di Ursone si deve anche la redazione di un commento agli Aforismi di Ippocrate, le Glosulae aphorismorum, per cui Idem, 93, 205-206.
83
P. Morpurgo, «Nos vero physicae rationis sectatores». La scuola medica salernitana nel secolo XII,
tra le invettive di Gerardo da Cremona e l’intervento di Federico II, in Quaderni medievali 28, 1989,
37-61; Idem, L’armonia della natura … cit., specialmente 93, 130, 205-206, 236; Pesenti, Arti e medicina … cit., 160; ma si veda pure F. Troncarelli, Salerno e la medicina, Salerno 1983, 37-41; Idem, Il
medico, in G. Musca (a cura di), Condizione umana e ruoli sociali nel Mezzogiorno normanno-svevo.
Atti delle none giornate normanno-sveve (Bari, 17-20 ottobre 1989), Bari 1991, 337-357, qui 342.
84
Morpurgo, «Nos vero physicae rationis sectatores» … cit., 49-50.
85
P. O. Kristeller, La Scuola di Salerno. Il suo sviluppo ed il suo contributo alla storia della medicina, in Idem, Studi sulla Scuola medica Salernitana … cit., 42-147. Sulle ragioni del passaggio dalla
practica alla theoria, che «vanno ricercate […] nell’emergere istituzionale delle scuole e delle Università, e nell’affermarsi pieno in ambito francese delle tecniche di chiosa del testo, tecniche saldamente legate alla lectura e alla disputatio», si rinvia anche a Morpurgo, «Nos vero physicae rationis sectatores»
… cit., qui 37-38 sgg., anche per la citazione, con ampia bibliografia. Circa l’influsso esercitato sulla
medicina altomedievale dalle cognizioni mediche fissate da Cassiodoro e attestate da autorevoli vesti-
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VITO SIVO
che mancano nei trattati più strettamente pratici della fase precedente della Scuola,
cioè del tempo in cui archiater Salerni non mediocri medicinae salubritate pollebat,
vale a dire gli anni dell’illustre presenza nella Scuola di Gerolamo: il tempo, appunto,
della grande tradizione sperimentale della Salerno ippocratica, nella quale si esaltava
la pratica dell’esperimento, la ricerca terapeutica fondata sul dato empirico, il carattere naturalistico-sperimentale 86.
Non del tutto sicuri risultano, invece, i rapporti con la Scuola salernitana di un
altro studioso di medicina: Bruno di Longobucco 87. È certo comunque che egli insegnò medicina a Padova, presso la canonica regolare di S. Paolo, ospedale e xenodochio 88. Nel gennaio 1252, sempre a Padova, Bruno terminò la stesura della sua
Cyrurgia magna, composta utilizzando il corpus dell’Articella, dato che nel prologo
la partizione della chirurgia duplex aut in carne aut in osse riprende esattamente
quella presente nell’Isagoge di Iohannicius, che è stata il primo nucleo dell’Articella 89. Poiché non esiste alcuna prova che Bruno abbia studiato a Salerno, si può congetturare che la silloge sia giunta a Padova passando per Bologna, e che Bruno,
indipendentemente dalle sue matrici, possa averla trovata in loco 90. L’opera è scritta
per soddisfare la richiesta di un amico, Andrea di Vicenza, probabilmente un suo allievo: nel prologo si insiste sull’esigenza della doctrina, intesa come sapere specialistico, fondato su auctores e traditio, che deve essere trasmesso dal maestro al
discepolo coi requisiti della facilitas e della brevitas. All’apprendimento della chirurgia dunque non è più sufficiente l’esempio operativo dell’esperto, come prima di
lui teorizzavano Costantino e Ruggero, ma è necessaria anche una formazione colta:
Sint etiam viri litterati – scrive Bruno a proposito dei chirurghi – aut ab eo qui novit
litteras adminus artem addiscant, vix nam aliquem absque litteris hanc artem comprehendere puto. La Cyrurgia di Bruno è prescritta come testo curricolare dagli statuti bolognesi del 1405, ma l’esame della tradizione manoscritta prova che essa deve
essere stata tra i primissimi testi di studio 91.
A confronto di quanto si è finora detto, s’impone con forza la figura affascinante
gia manoscritte, F. Troncarelli, Una pietà più profonda. Scienza e medicina nella cultura monastica medievale italiana, in Dall’eremo al cenobio … cit., 703-727, in particolare 719; Idem, Il medico … cit.,
344-345.
86
Soprattutto M. Oldoni, La «Hyppocratica civitas» e le relazioni culturali fra Napoli, Salerno e il
Mediterraneo, in Luoghi e metodi d’insegnamento … cit., 37-56, in particolare 43-55; Idem, La Scuola
medica di Salerno nella cultura europea fra IX e XIII secolo, in Quaderni medievali 23, 1987, 74-92.
87
Su questo personaggio si veda la voce relativa, a cura di E. Pispisa, nel Dizionario Biografico degli
Italiani, XIV, Roma 1972, 643; inoltre G. Selmi, Un chirurgo della Scuola Salernitana: Bruno da Longobucco, in Il Policlinico LXXIII, 1966, 1012-1014.
88
Pesenti, Arti e medicina … cit., 170; inoltre, il recente P. Morpurgo, La tradizione salernitana in
enciclopedisti, poeti e artisti. Fonti iconografiche e letterarie per un apparato critico dei testi medici
salernitani, in La Scuola Medica Salernitana … cit., 339-363, qui 345.
89
Idem, 165.
90
Idem, 168.
91
Idem, 174-175.
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ma complessa di Gioacchino da Fiore (Celico 1135 ca. – 1202) 92, il quale però, con
un percorso inverso a quello compiuto dai vari Aristippo, Ursone e Bruno di Longobucco, recò nella sua terra d’origine la cultura e l’esperienza acquisite fuori di essa,
soprattutto nell’abbazia cistercense di Casamari, cui fu molto legato 93, e presso la
curia papale, dove risiedette per lunghi periodi e con la quale rimase in costante contatto per almeno un quindicennio 94. Esponente – in quanto figlio di un notaio 95 –
della borghesia urbana, egli fu avviato – come Enrico Aristippo – ad una carriera burocratica nella cancelleria del re normanno Guglielmo I (1154-1166) 96; tuttavia, come
avverrà più tardi per Francesco d’Assisi, Gioacchino non rimase insensibile alle
istanze di rinnovamento della Chiesa, che si erano manifestate negli ordini monastici
dei certosini prima e dei cistercensi dopo, e si diede alla vita eremitica 97. Dei certosini egli recuperava in parte tradizioni culturali ed esemplarità di vita; dei cistercensi,
92
La data di nascita di Gioacchino da Fiore, ricordata in modo impreciso dagli storici antichi, viene
per convenzione fissata al 1135, sulla base della testimonianza di Adamo di Perseigne riferita dal cronista Ralph di Coggeshall (Chron. An., 69). Sulla figura e l’opera dell’abate florense, per un primo proficuo orientamento, si veda il recente volume di G. L. Potestà, Il tempo dell’Apocalisse. Vita di
Gioacchino da Fiore, Roma-Bari 2004, qui 3, che propone «una nuova biografia del monaco del secolo
XII, discordante in punti non secondari dal saggio di Grundmann», e che «si caratterizza per l’assunzione
di una prospettiva storiograficamente più volte enunciata, ma finora mai davvero tentata, in quanto considera come strettamente connessi nei loro svolgimenti le vicende esistenziali, le scelte monastiche, gli
orientamenti politico-ecclesiastici e le proiezioni teologiche dell’abate calabrese». Il saggio di Herbert
Grundmann, cui si fa qui riferimento, è la biografia di Gioacchino pubblicata dallo studioso tedesco nel
1960: Zur Biographie Joachims von Fiore und Rainers von Ponza, in Deutsches Archiv für Erforschung
des Mittelalters 16, 1960, 437-546, poi ristampata in Idem, Ausgewählte Aufsätze, Stuttgart 1977, 255360 (traduzione italiana Per la biografia di Gioacchino da Fiore e Raniero da Ponza, in Idem, Gioacchino da Fiore. Vita e opere, a cura di G. L. Potestà, Roma 1997, 101-202).
93
Sul soggiorno di Gioacchino a Casamari (avvenuto all’incirca fra il 1183 e il 1184), che sarà per
lui «un’occasione di arricchimento culturale, di maturazione dottrinale e di ampliamento delle conoscenze personali, sino ai vertici della Chiesa romana», Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., 33-35,
qui 34 per la citazione.
94
Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., 9.
95
Sulla storia del notariato e sulla figura del rogatario nel Mezzogiorno d’Italia in età normannosveva, C. E. Tavilla, L’uomo di legge, in Condizione umana e ruoli sociali … cit., 359-394, ma soprattutto P. Cordasco, Il notariato in età normanno-sveva: alcune considerazioni, in Mezzogiorno – Federico
II – Mezzogiorno … cit., I, 99-118; Idem, I centri di cultura notarile, in Centri di produzione della cultura … cit., 233-246.
96
E. R. Daniel, Introduction, in Abbot Joachim of Fiore, «Liber de Concordia Novi ac Veteris Testamenti», Philadelphia 1983 (Transactions of the American Philosophical Society, 73), XI-XXII. Sulla
cancelleria normanna, H. Enzensberger, Il documento regio come strumento del potere, in Potere, società e popolo nell’età dei due Guglielmi. Atti delle quarte giornate normanno-sveve (Bari – Gioia del
Colle, 8-10 ottobre 1979), Bari 1981, 103-138; Idem, La cancelleria normanna, in Mezzogiorno – Federico II – Mezzogiorno … cit., I, 79-98.
97
Troncarelli, Cultura e società … cit., 105. La scelta di Gioacchino di darsi alla vita eremitica era
contraria al volere di suo padre, come testimonia la Vita scritta dall’anonimo compagno dell’abate e
come sembra ricordare Gioacchino stesso in un passo di una delle sue tre opere maggiori, la Concordia
(V, 58), in cui deplora il comportamento delle famiglie che ostacolano la vocazione spirituale dei figli.
Sulla Vita, che rappresenta la più antica delle tre fonti narrative più importanti per lo studio dell’abate,
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VITO SIVO
l’ordine in cui entrò a far parte dopo aver rinunciato al secolo, assumeva il rigore morale e il senso del primato del cenobitismo su tutte le altre forme di vita, compresa
quella eremitica 98.
È noto che Gioacchino elaborò, tra gli anni ’70 e la metà degli anni ’80 del secolo
XII, un complesso e articolato sistema dottrinale, che però mise a punto e modificò
fino alla vigilia della morte (30 marzo 1202), in un incessante sforzo di aggiornamento e di razionalizzazione, di pari passo con l’evolversi della situazione storica e
della sua posizione rispetto alle istituzioni e ai poteri con cui fu in rapporto: il papato
da Alessandro III a Innocenzo IV, l’ordine cistercense, l’impero del Barbarossa e di
Enrico VI e il regno di Sicilia di Guglielmo II, di Tancredi e di Costanza d’Altavilla 99.
Il pensiero dell’abate è compiutamente esposto nelle sue opere maggiori: il Liber de
concordia Novi ac Veteris Testamenti, l’Expositio in Apocalypsim e lo Psalterium
decem chordarum 100; ma non meno importanti sono anche i suoi numerosi scritti minori, di varia estensione e contenuto 101, così come di estremo interesse sono le immagini e i diagrammi affascinanti (i più celebri dei quali sono raccolti nel Liber
sulle circostanze in cui il testo si è conservato, sulle edizioni in cui è accessibile e sul suo valore testimoniale, Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., 19-22.
98
Circa il rapporto complesso e problematico di Gioacchino con l’ordine cistercense, oltre G. Picasso, Gioacchino e i cistercensi, in R. Rusconi (a cura di), Gioacchino da Fiore tra Bernardo di Clairvaux e Innocenzo III. Atti del 5° Congresso internazionale di studi gioachimiti (San Giovanni in Fiore,
16-21 settembre 1999), Roma 2001, 93-104, si veda, da ultimo, V. De Fraja, Oltre Cîteaux. Gioacchino
da Fiore e l’Ordine florense, Roma 2006, specialmente 39-114, nonché Eadem, Dai Cistercensi ai Florensi, in Il ricordo del futuro … cit., 33-40, in particolare 33-35, con ulteriori riferimenti bibliografici.
99
Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., 3-4, anche per la seguente citazione, dove si chiarisce che
«le strette connessioni istituite nel volume fra idee ed eventi e situazioni […] si spiegano e si giustificano tenendo conto che Gioacchino è insieme un teologo immerso nella politica del suo tempo e un
apocalittico, che continuamente cerca di scoprire nella Bibbia precisi preannunci delle vicende del passato e del presente e di leggere queste ultime come l’inverarsi di quei preannunci. La cifra fondamentale della sua ricerca sta proprio nel ricercare e ritrovare con puntiglio nessi diretti fra Scrittura e storia,
nel quadro di una sua teoria generale delle connessioni, la “concordia”, intesa come un sistema ermeneutico entro cui trovano perfetta corrispondenza la storia narrata nell’Antico Testamento e la storia
della Chiesa».
100
Le tre opere principali dell’abate calabrese sono tuttora accessibili nell’edizione apparsa, per la
prima volta in forma integrale, a Venezia, nel 1519 (Liber Concordiae) e nel 1527 (Expositio e Psalterium); tra il 1964 e il 1965 tali edizioni sono state ripubblicate in riproduzione fotomeccanica a Francoforte sul Meno per iniziativa dello storico della filosofia Kurt Flash. Gioacchino cominciò ad occuparsi
della stesura di queste opere durante il periodo trascorso a Casamari e se ne occupò assiduamente anche
in seguito, fino alla morte, attraverso un complesso iter redazionale, in cui si individuano almeno tre fasi
di revisione testuale: K.-V. Selge, Redaktionsprozesse im Scriptorium Joachims von Fiore: Das Psalterium decem chordarum, in S. Jenks, J. Sarnovsky, M. L. Laudage (hrgs.), Vera Lex Historiae. Festschrift
für Dietrich Kurze zu seinem 65. Geburtstag am 1. Januar 1993, Köln-Wien-Weimar 1993, 223-245.
101
Il catalogo delle opere sicuramente ascrivibili a Gioacchino da Fiore si deve a K.-V. Selge, Joachim abbas de Flore, in Repertorium Fontium Historiae Medii Aevi, 5, Roma 1990, 261-266, riportato
anche in Florensia III-IV, 1989-1990, 25-35, cui si rinvia anche per le notizie circa i manoscritti, le edizioni, i commenti e le traduzioni relativi alle singole opere. Sui codici e sulle edizioni degli scritti gioachimiti ampia documentazione offre pure il volume di M. Reeves, The Influence of Prophecy in the
Later Middle Ages. A Study in Joachimism, Oxford 1969 (ristampato con aggiornamento bibliografico,
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23
figurarum), in cui Gioacchino illustra i risultati della sua ricerca e della sua originale
esegesi 102.
Non è possibile in questa sede dare conto, in modo compiuto e particolareggiato,
dei risultati delle ricerche condotte e dell’ampio e articolato dibattito storiografico
sviluppatosi negli ultimi decenni (specialmente sotto la spinta dell’approssimarsi della
svolta del millennio) intorno alla figura dell’abate florense, al suo pensiero, all’elaborazione e diffusione delle sue opere, alla sua eredità spirituale. Numerosi studiosi
hanno, infatti, affrontato questa complessa tematica con diversa metodologia e da
prospettive diverse, proponendo nuove ricostruzioni dell’esperienza culturale dell’abate calabrese 103.
Volendo tuttavia ricordare – sia pure sinteticamente – alcune delle principali direttrici lungo le quali la ricerca si è sviluppata e segnalare le più significative acquisizioni, si deve subito dire che una vera e propria svolta nella storia degli studi
sull’abate di Fiore si è registrata nel settembre 1979, quando, nel corso del primo
Congresso di Studi Gioachimiti svoltosi a San Giovanni in Fiore sul tema Storia e
ivi 1993); per un quadro più aggiornato delle edizioni delle singole opere dell’abate calabrese, V. Sivo,
Le edizioni delle opere di Gioacchino da Fiore, in Il ricordo del futuro … cit., 54-57.
102
La composizione del Liber figurarum scaturisce dalla tendenza a corredare di illustrazioni il testo
scritto: un’usanza che, «attestata fin dalle origini cristiane, si afferma nel secolo XII, quando la dimensione visiva e diagrammatica assume notevole rilievo nel sapere enciclopedico ed esegetico-teologico.
Essa culmina proprio in Gioacchino, che rappresenta l’epigono di questo orientamento, destinato a finire nel secolo XIII su di un binario morto per l’affermarsi del modello aristotelico di scienza teologica»: Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., qui 17. Circa la questione relativa alla genesi dell’opera,
secondo Marjorie Reeves e Beatrice Hirsch-Reich, il Liber figurarum costituisce «un sommario definitivo e rigoroso dei principali temi di Gioacchino che erano lentamente emersi nella labirintica esposizione delle sue opere»: M. Reeves, B. Hirsch-Reich, The «Figurae» of Joachim of Flore, Oxford 1972
[Oxford Warburg Studies 7], 7); tuttavia il fatto che «l’opera, tramandata sostanzialmente da tre codici
[…] contiene sia tavole strettamente riconducibili alla fase genetica di alcuni scritti, sia tavole che attestano una chiara evoluzione rispetto ad essi […] farebbe pensare che il Liber contenga tavole concepite
sì in autonomia rispetto agli altri testi, ma in fasi diverse, assemblate poi negli ultimi anni di vita, quando
furono probabilmente ritoccate e aggiornate tenendo conto dei più recenti approdi dottrinali»: Potestà,
Il tempo dell’Apocalisse … cit., 17, ma sull’argomento vedi pure F. Troncarelli, A Terrible Beauty. Nascita ed evoluzione del Liber figurarum, in Florensia 11, 1997, 7-40. L’opera è accessibile in L. Tondelli,
M. Reeves, B. Hirsch-Reich (edd.), Il Libro delle figure dell’abate Gioacchino da Fiore, I-II, Torino 1953
(riedizione 1990). Sul ruolo fondamentale attribuito da Gioacchino alle immagini nel processo di esegesi delle Sacre Scritture e sul significato complessivo del Liber figurarum, anche F. Troncarelli, Interior acies. Immagine e intuizione in Gioacchino da Fiore, in Florensia 16-17, 2002-2003, 89-103; inoltre
P. Guerrini, Il Liber figurarum, in Il ricordo del futuro … cit., 63-74. Per un bilancio storiografico sull’opera a partire dalle testimonianze di Salimbene da Parma e fino ai giorni nostri, si veda ora M. Rainini, Il Liber figurarum come problema storiografico, in Florensia 18-19, 2004-2005, 213-244; dello
stesso Rainini, la monografia Disegni dei tempi. Il «Liber Figurarum» e la teologia figurativa di Gioacchino da Fiore, Roma 2006.
103
A questo fine un utile orientamento offrono le tre rassegne bibliografiche apparse su Florensia 12, 1988, 7-59 (a cura di Valeria De Fraja); 8-9, 1994-1995, 45-110 (a cura di Claudio Caputano); 16-17,
2002-2003, 105-165 (a cura di Marco Rainini). Ma si consulti anche il già citato volume Il ricordo del
futuro, 421-439, riccamente documentato e corredato di esaustiva e aggiornata bibliografia.
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VITO SIVO
messaggio in Gioacchino da Fiore 104, emerse il proposito di fondare un Centro di
Studi sull’abate calabrese. Costituito poi nel dicembre 1982, il Centro Internazionale
di Studi Gioachimiti (con sede in San Giovanni in Fiore) ha da allora promosso la ricerca su Gioacchino e sul gioachimismo con molteplici iniziative: organizzazione di
congressi con cadenza quinquennale 105, di seminari e incontri di studio; pubblicazione di saggi e monografie sulla vita, l’opera e l’influenza dell’abate; la stampa del
periodico «Florensia» 106; la riproduzione in fac-simile del celebre manoscritto 322
della Biblioteca Antoniana di Padova, recante una importante silloge delle opere dell’abate 107.
All’inizio degli anni Novanta, inoltre, il Centro di Studi Gioachimiti ha aderito
all’iniziativa di alcuni studiosi tedeschi, italiani e americani (costituitisi nel 1990 a
Berlino come commissione editoriale) 108 di procedere – riprendendo il progetto concordato negli anni Venti del secolo scorso da Herbert Grundmann e Ernesto Buonaiuti 109 – alla realizzazione di un corpus comprendente l’edizione critica degli Opera
104
Storia e messaggio in Gioacchino da Fiore. Atti del I Congresso internazionale di studi gioachimiti (S. Giovanni in Fiore, 19-23 settembre 1979), S. Giovanni in Fiore 1980.
105
Oltre il volume che raccoglie gli Atti del primo congresso citato alla nota precedente, si veda A.
Crocco (a cura di), L’Età dello Spirito e la fine dei tempi in Gioacchino da Fiore e nel gioachimismo
medievale. Atti del II Congresso internazionale di studi gioachimiti (San Giovanni in Fiore – Luzzi – Celico, 6-9 settembre 1984), San Giovanni in Fiore 1986; G. L. Potestà (a cura di), Il profetismo gioachimita tra Quattrocento e Cinquecento. Atti del III Congresso internazionale di Studi Gioachimiti (San
Giovanni in Fiore, 17-21 settembre 1989), Genova 1991; R. Rusconi (a cura di), Storia e figure dell’Apocalisse fra ‘500 e ‘600. Atti del 4° Congresso internazionale di studi gioachimiti (San Giovanni in
Fiore, 14-17 settembre 1994), Roma 1996; Gioacchino da Fiore tra Bernardo di Clairvaux …. Atti del
5° Congresso internazionale di studi gioachimiti, cit.; G. L. Potestà (a cura di), Gioacchino da Fiore nella
cultura contemporanea. Atti del 6° Congresso internazionale di studi gioachimiti (San Giovanni in Fiore,
23-25 settembre 2004), Roma 2005.
106
Il primo numero di Florensia. Bollettino del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti è apparso
nel dicembre 1987; a tutt’oggi sono usciti 18 fascicoli, dei quali tre doppi: 8-9, 1994-1995; 16-17, 20022003; 18-19, 2003-2004.
107
«Scriptorium Ioachim Abbatis Florensis». Opere di Gioacchino da Fiore nel codice 322 della Biblioteca Antoniana di Padova, edizione in fac-simile a cura del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, Bari 1997.
108
Della commissione fanno parte Robert E. Lerner, Alexander Patschovsky, Gian Luca Potestà, Roberto Rusconi, Kurt-Victor Selge.
109
Il programma prevedeva la pubblicazione delle edizioni critiche delle opere edite e inedite dell’abate: Grundmann si sarebbe occupato delle tre opere principali, Buonaiuti degli scritti ‘minori’. Il
progetto però non ebbe gli esiti sperati. Soltanto Buonaiuti riuscì a condurre a termine le edizioni del
Tractatus super quatuor Evangelia e del breve trattato teologico De articulis fidei, che uscirono nelle
‘Fonti per la Storia d’Italia’ (rispettivamente Roma 1930 e 1936). Dopo la scomparsa di Buonaiuti
(1946), fu Arsenio Frugoni a stampare nella medesima collana il trattato Adversus Iudeos, in un’edizione
tuttavia che l’editore stesso qualificò come non critica (Roma 1957). Grundmann, invece, pur continuando l’indagine sui manoscritti gioachimiti fino alla morte (1970), non riuscì a pubblicare né la preannunciata edizione delle opere principali, né quella – ideata successivamente – di alcuni scritti minori
(De prophetia ignota, Expositio vite et regule beati Benedicti, De ultimis tribulationibus), che avrebbero
dovuto figurare nella nuova collana ‘Quellen zur Geistesgeschichte des Mittelaters’ dei Monumenta
Germaniae Historica.
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omnia dell’abate. All’impresa editoriale (che sembrava tanto più urgente e necessaria in quanto le opere gioachimite erano accessibili in edizioni antiquate e insoddisfacenti, la maggior parte delle quali apprestate da storici e teologi sul fondamento di
una esigua base manoscritta, talora su di un solo testimone, e con metodologia inadeguata) 110 hanno successivamente aderito (1995) anche l’Istituto Storico Italiano
per il Medio Evo (Roma) e i Monumenta Germaniae Historica (München), accordandosi circa le modalità di pubblicazione delle singole opere 111.
Nelle intenzioni della commissione editoriale, le edizioni devono rispondere alle
esigenze della moderna ecdotica, utilizzando l’intera tradizione manoscritta finora
accertata (circa sessanta testimoni), in modo «da restituire il testo dell’ultima redazione corretta, o non corretta, dall’autore ovvero dal suo scriptorium», e tenendo
conto dei numerosi e significativi risultati emersi dai recenti studi sui testimoni manoscritti delle opere gioachimite, sulla loro genesi, le loro caratteristiche grafiche, la
loro circolazione, nonché dalle indagini sull’attività di alcuni scriptoria e sul patrimonio librario di alcune biblioteche monastiche 112. Particolarmente fruttuose sono
state le ricerche – consapevoli e accurate, anche se non sempre convergenti negli esiti
– di studiosi quali Antonio Maria Adorisio 113, Valeria De Fraja 114, Elena Bianca Di
Gioia 115, Kurt-Victor Selge 116, Fabio Troncarelli 117. Tali ricerche hanno, tra l’altro,
110
Sivo, Le edizioni delle opere di Gioacchino da Fiore … cit..
Per quanto riguarda i dettagli dell’intesa raggiunta dalla commissione editoriale con i due importanti Istituti di ricerca, si veda la Presentazione di K.-V. Selge alla nuova edizione dei Dialogi de prescientia dei et predestinatione electorum, a cura di G. L. Potestà (citata sotto alla nota 133), XII.
112
Selge, Presentazione … cit., IX.
113
Oltre ai contributi già segnalati (sopra, note 18 e 19), si rinvia ad esempio a Una conferma della
produzione libraria a S. Maria della Sambucina e a Cosenza, in Studi Medievali 3^ ser., XXIX, 1, 1988,
261-265, nonché al volume Dinamiche librarie cistercensi: da Casamari alla Calabria. Origine e dispersione della biblioteca dell’abbazia di Casamari, Casamari 1996.
114
V. De Fraja, Un’antologia gioachimita: il manoscritto 322 della Biblioteca Antoniana di Padova,
in Studi Medievali 3^ ser., XXXII, 1991, 231-250; Eadem, «Post combustionis infortunium». Nuove
considerazioni sull’origine delle opere gioachimite, in Florensia 8-9, 1994-1995, 129-172.
115
E. B. Di Gioia, Note su un manoscritto di Gioacchino da Fiore, in Storia e messaggio in Gioacchino da Fiore … cit., 503-520 (sul ms. Corsiniano 797 [41 F 2] della Biblioteca Nazionale dei Lincei
di Roma, contenente il Liber Concordie).
116
Ad esempio, K.-V. Selge, Un codice quattrocentesco dell’Archivio Generale dei Carmelitani, contenente opere di Arnaldo di Villanova, Gioacchino da Fiore e Guglielmo da Parigi, in Carmelus 36, 1,
1989, 166-176; Idem, Ancora a proposito del codice III, Varia I dell’Archivio Generale dei Carmelitani,
in Carmelus 37, 1990, 170-172; Idem, Die Überlieferung der Werke Joakims von Fiore im 14/15 Jahrhundert, in J. Miethke (a cura di), Das Publikum politischer Teorie im 14. Jahrhundert, München
1992, 49-59; Idem, Redaktionsprozesse im Skriptorium Joachims von Fiore ... cit., per cui si rinvia qui
alla nota 94.
117
Oltre i saggi già citati sopra, note 22 e 32, si veda, ad esempio, F. Troncarelli, A proposito di Codici latini calabresi, in Florensia 1, 1987, 91-96; Idem, La scrittura dell’abate Matteo, in Florensia 6,
1992, 33-44; Idem, Note sull’interpunzione dei codici gioachimiti del XIII secolo, in E. Cresti, N. Maraschio, L. Toschi (a cura di), Storia e teoria dell’interpunzione. Atti del Convegno Internazionale di
Studi (Firenze, 19-21 maggio 1988), Roma 1992, 39-48; Idem, Gerarchie grafiche e metodi di correzione
111
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VITO SIVO
portato ad individuare tre grandi classi, tra loro intersecantisi, in cui la tradizione manoscritta delle opere dell’abate appare suddivisa; ognuna di queste classi è facilmente
riconducibile a ben definibili contesti sulla base di peculiarità grafiche o di fatti di sociologia religiosa. La più antica sarebbe legata all’esperienza del monachesimo cistercense e florense e ai loro scriptoria; in particolare i codici di Fiore o comunque
legati alla cerchia dei discepoli più immediati dell’abate recano il testo vergato in gotica libraria cistercense e il paratesto in minuscola cancelleresca 118. La seconda si
colloca tra gli anni Quaranta del secolo XIII e il secolo XIV, e si sviluppa di pari
passo con l’esperienza francescana. La terza classe infine attesta la presenza di letture gioachimite in ambienti elitari, come induce a ritenere ad esempio il codice di
Reggio Emilia, un manufatto assai raffinato, che potrebbe essere stato prodotto per
personalità di rango elevato 119.
A Fabio Troncarelli – come si è già detto – si deve anche l’identificazione di un
codice autografo di Gioacchino: il ms. della Biblioteca Vaticana Barb. Lat. 627, che
l’abate florense ha postillato firmando le sue glosse con il monogramma «Joachim» 120. Sono state inoltre identificate altre testimonianze dirette o indirette di codici che circolavano già all’epoca del teologo di Celico: ad esempio il ms. della
Biblioteca Universitaria di Pavia, Aldini 370, recante il testo dell’Enchiridion super
Apocalypsim, di cui è stata riconosciuta l’autografia di Luca di Cosenza 121. Altre significative novità riguardano l’identificazione di manoscritti dello scriptorium di
Fiore, tra cui è da ricordare almeno il celebre Liber figurarum della Biblioteca Bodleiana di Londra (ms. CCC 255A) 122, e di quelli prodotti in scriptoria calabresi assai
vicini a San Giovanni in Fiore, come il ms. Laurenziano Conv. Soppr. 358, che proin due codici gioachimiti (Laur. Conv. Soppr. 358; Padova Anton. 322), in Medieval Studies 55, 1993,
273-283; Idem, Due codici con note di Gerardo di Borgo San Donnino: Borgh. 190 e Dresden Säch. Bibl.
A 121, in Florensia 15, 2001, 73-85; Idem, Originalia Joachim de Florensi monasterio. Il codice Chigi
A VIII 231 e la commissione di Anagni, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae IX, 2002,
399-426.
118
Troncarelli, Nuove reliquie dello «scriptorium» di Fiore … cit., 325.
119
Tale ipotesi è espressa da Marjorie Reeves e Beatrice Hirsch-Reich, The Figurae of Joachim of
Fiore … cit., 72. Su questo ms., si veda più avanti.
120
Si veda supra, nota 32.
121
Sul codice e per l’identificazione della mano di Luca di Cosenza si veda da ultimo F. Troncarelli,
Un autografo di Luca di Cosenza, in Il ricordo del futuro … cit., 41-44, con bibliografia; inoltre la
‘scheda’ relativa, a cura di Marella Mislei (ivi, 208). Su Luca Campano, amico, scriba e biografo di Gioacchino, abate (dal 1192) di Santa Maria della Sambucina e poi arcivescovo di Cosenza (1203-1227ca.),
si veda ora il volume di A. M. Adorisio, Il «Liber usuum Ecclesiae Cusentinae» di Luca di Casamari
arcivescovo di Cosenza. Codice Sant’Isidoro 1/12, Introduzione e edizione. Prefazione di Cl. Leonardi,
Casamari 2000.
122
Per la descrizione del ms. si rinvia alla ‘scheda’ relativa, a cura di M. P. Saci, in Il ricordo del futuro … cit., 210-212, con bibliografia. Si tratta di un codice composito, costituito da due pezzi indipendenti: il primo, recante l’omelia di Paolo Diacono, è scritto in carolina e in un’onciale vergata in
inchiostro rosso e verde a righe alternate; il secondo, contenente il De septem sigillis e il Liber figurarum, è stato scritto dalle due mani che hanno copiato il Corsiniano 797 nello stesso periodo dell’altro
codice, al tempo dell’abate Matteo.
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viene da ambienti legati a Luca di Cosenza 123, o il ms. di Reggio contenente il Liber
figurarum, prodotto verosimilmente nel primo quarto del sec. XIII in una fondazione
florense 124.
Un significato affatto particolare riveste poi il già citato 125 codice 322 della Biblioteca Antoniana di Padova: un fondamentale exemplar delle opere gioachimite,
recante una silloge ricca e varia di testi, vergato tra il 1202 e il 1215 in un ambiente
molto vicino a Gioacchino 126. Non meno importante è anche l’identificazione delle
note di mano di Ruggero, priore di San Giovanni in Fiore, nel ms. Corsiniano 797,
vergato a Fiore nel primo trentennio del sec. XIII, all’epoca dell’abate Matteo Vitari 127. A questo contesto va ricondotta anche la redazione delle tre fonti narrative più
rilevanti per lo studio di Gioacchino: la Vita, redatta dopo la sua scomparsa da un
monaco anonimo che all’abate era stato assai vicino 128; le Memorie di Luca di Casamari 129; e i Miracula, un testo che però, sotto il profilo paleografico e codicologico,
è testimoniato solo da copie assai tarde 130.
Risultati ugualmente significativi hanno offerto gli studi concernenti la produ123
Sul ms. si veda la ‘scheda’ relativa, a cura di M. A. Bilotta, in Il ricordo del futuro … cit., 205206, con bibliografia.
124
Si veda la ‘scheda’ relativa in Il ricordo del futuro … cit., 214-216.
125
Supra, nota 107.
126
Sul centro scrittorio in cui il codice è stato prodotto sono state avanzate varie ipotesi: si è pensato
all’abbazia cistercense di Santa Maria della Sambucina, nei pressi di Cosenza (Adorisio, Codici latini
calabresi … cit., 26-29); allo scriptorium di un’abbazia-figlia della Sambucina, Sant’Angelo del Frigilo,
sorto nel 1202 per iniziativa di Luca di Casamari, abate della Sambucina (De Fraja, Un’antologia gioachimita … cit., 231-250); ovvero a copisti operanti nella grangia florense di San Martino di Canale,
poco distante da Cosenza, dove Gioacchino spirò nel 1202 (Troncarelli, Gerarchie grafiche e metodi di
correzione … cit., 273-283; Idem, Paleografia bianca e paleografia nera: chi ha paura del paleografo
integrale?, in Litterae Caelestes I, 2005, 11-28). Per la descrizione del manufatto e per tutta la problematica che lo concerne, si rimanda alla ‘scheda’ relativa, a cura di M. Mislei, in Il ricordo del futuro …
cit., 194-199, con bibliografia.
127
Sul ms. Cors. 797 (41. F. 2), uno dei più antichi codici gioachimiti, recante il testo del Liber Concordie, la ‘scheda’ relativa in Il ricordo del futuro … cit., 189-193, con bibliografia.
128
Sulla Vita dell’anonimo, già citata, supra, nota 97.
129
Sulle Memorie, scritte da Luca quando era arcivescovo di Cosenza (quindi tra il 1203 e il 1227,
anno della sua morte), Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., 22, il quale tra l’altro precisa che l’opera,
conosciuta in precedenza sotto il titolo più appropriato di Synopsis virtutum, «si propone precisamente
come una panoramica sulle virtù di Gioacchino, con tutta probabilità concepita in vista della sua canonizzazione: una raccolta di virtù da affiancare a una raccolta di miracoli, in ottemperanza alle nuove
procedure per la canonizzazione messe a punto durante il pontificato di Innocenzo III».
130
I Miracula, una silloge di testi frutto di numerosi interventi redazionali susseguitisi nel tempo, già
accessibili negli Acta Sanctorum (Maii VII), si leggono ora nella recente edizione critica allestita da A.
M. Adorisio, La “Legenda” del santo di Fiore. B. Joachimi abbatis miracula, Manziana (Roma) 1989;
lo stesso Adorisio ha pubblicato anche una traduzione italiana degli episodi tramandati da Giacomo
Greco: I miracoli dell’abate. I fatti miracolosi compiuti da Gioacchino da Fiore tradotti in lingua italiana, Manziana (Roma) 1993. La datazione dell’opera, tuttora discussa, è fissata al 1249 da Adorisio,
mentre più di recente la De Fraja, «Post combustionis infortunium» … cit., 136, nota 40, la anticipa al
1226.
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VITO SIVO
zione successiva alla morte dell’abate e la prima diffusione del suo messaggio. Da una
parte, si è potuto accertare che la circolazione delle idee di Gioacchino attraverso la
diffusione di immagini autenticamente gioachimite iniziò subito dopo la sua scomparsa, grazie soprattutto al suo successore, l’abate Matteo, il quale «di concerto con
Luca di Cosenza si impegnò nell’opera di trasmissione delle idee dell’abate, rispettando il più possibile la loro originaria formulazione e fu responsabile, se non dell’ideazione, almeno dell’esecuzione materiale del Liber figurarum, nel quale erano
raccolte immagini originali di Gioacchino accompagnate da didascalie in parte attribuibili al teologo ed in parte riadattate con una sostanziale fedeltà allo spirito delle
sue teorie» 131.
Dall’altra, si è potuto far luce sulla ‘svolta’ che si verificò in seno al movimento
gioachimita, sin dagli anni dell’abate Matteo, e che diede luogo a correnti (che si è
proposto di definire ‘gioachimiste’), i cui esponenti si appropriarono delle idee e forse
anche di alcuni manoscritti dell’abate, utilizzandoli in modo nuovo e creando nuove
opere, che furono attribuite a Gioacchino stesso: le Praemissiones, il Super Esaiam
e il Super Hieremiam. A parere di Fabio Troncarelli, «le prime due vanno ascritte a
un contesto calabrese, verosimilmente cistercense-florense e sono databili intorno
alla metà del XIII secolo, come dimostra l’analisi del più antico manoscritto che le
riporta, il Vat. Lat. 4959. La terza opera, leggermente più antica delle altre due, va attribuita ad ambienti italiani (francescani? florensi?) intorno al 1240-1250» 132.
Sono state così poste solide basi per procedere, da una parte, alla realizzazione di
edizioni critiche filologicamente affidabili delle opere dell’abate florense 133, dall’al131
F. Troncarelli, Il Liber figurarum tra “gioachimiti” e “gioachimisti”, in Gioacchino da Fiore tra
Bernardo di Clairvaux e Innocenzo III … cit., 267-286, qui 281 per la citazione; si veda pure la sezione
dal titolo Le più antiche immagini gioachimite: il Liber figurarum, in Il ricordo del futuro … cit., 210216.
132
Troncarelli, Il Liber figurarum tra “gioachimiti” e “gioachimisti” … cit., 271; sulle Praemissiones, Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., 17-19. Sui codici contenenti opere pseudo-gioachimite, Il
ricordo del futuro … cit., 224-234.
133
Della serie degli opera omnia, cui si è fatto cenno, sono apparsi finora tre volumi: 1. - Ioachim
Abbas Florensis, Dialogi de prescientia Dei et predestinatione electorum, ed. Gian Luca Potestà, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1995 (Fonti per la storia dell’Italia Medievale. Antiquitates 4). Il testo è stabilito sulla base di tre mss.: Padova, Biblioteca Antoniana 322, sec. XIII in.; Reggio
Emilia, Biblioteca del Seminario Diocesano 2, sec. XIII ex. o XIV in.; Roma, Archivio Generale dell’Ordine dei Carmelitani, III Varia 1 (olim III 556 A), datato al 4 luglio 1480; 2. - Ioachim Abbas Florensis, Tractatus super quatuor Evangelia, ed. Francesco Santi, Istituto Storico Italiano per il Medio
Evo, Roma 2002 (Fonti per la storia dell’Italia Medievale. Antiquitates 17). Il testo è costituito sul fondamento dei tre mss. che conservano i Dialogi (si veda la nota precedente), più il codice: Dresden, Sächsische Landesbibliothek A.121, sec. XIII; 3. - Ioachim Abbas Florensis, Sermones, ed. Valeria De
Fraja, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 2004 (Fonti per la storia dell’Italia Medievale.
Antiquitates 18). Il volume contiene, nella prima parte, i tre Sermones et capitula de littera et spiritu e,
nella seconda, i Sermones sex e circolo anni; il testo critico è costituito sulla base del ms. Patavino e,
parzialmente, su quello di Dresda e ancora sul ms. Vaticano lat. 4860 della prima metà del sec. XIV.
Tra le iniziative editoriali promosse e realizzate dal ‘Centro Internazionale di Studi Gioachimiti’, non è
inutile segnalare anche la stampa di un’altra serie di volumi che hanno la finalità di rendere accessibili
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tra, a nuove ricostruzioni complessive della sua esperienza culturale e delle sue idee.
Si tratta di studi storicamente fondati, che rappresentano nello stesso tempo un approfondimento e uno sviluppo dei risultati emersi dalle indagini pionieristiche di studiosi quali Marjorie Reeves 134, Herbert Grundmann 135 e Bernard Töpfer 136.
L’esperienza gioachimita e la personalità di Gioacchino sono analizzate alla luce della
sua identità monastica e in stretto rapporto con i tempi in cui egli visse:
«[…] il fondamento della cultura gioachimita è infatti quello di ogni vero esponente del monachesimo occidentale: la Bibbia e la preghiera. Nell’età in cui stava nascendo la scolastica, Gioacchino rappresenta il canto del cigno di una civiltà che non
sa interpretare il Vecchio e il Nuovo Testamento con il metodo dei magistri, ma che sa
dedicarsi alla Scrittura con la passione e l’abnegazione di una meditazione continua che
di continuo trascolora in orazione… In base a tale mentalità, Gioacchino da Fiore costruì la sua originale teologia della storia su un fondamento biblico, interpretando la
Scrittura in chiave profetica» 137.
La vicenda esistenziale e la riflessione del monaco florense, d’altra parte, si caratterizzano in modo peculiare in quanto si sviluppano in un’epoca storica carica di
tensioni e di questioni ancora aperte:
«[…] l’esistenza stessa dell’abate di Fiore si svolge, cronologicamente e spiritualmente, a ridosso del grande conflitto tra Chiesa e Impero. Terminata la lotta per le investiture (1122), vi furono ancora momenti di scontro tra la Chiesa e gli imperatori
svevi. Le città dell’Italia centro-settentrionale, in grande sviluppo economico per la
ripresa dei commerci, si erano organizzate in Comuni. Federico I Barbarossa (11521190) tentò di riaffermare l’autorità regia e provocò anche uno scisma contro Ales-
ad un più largo pubblico di lettori i testi critici delle opere autentiche dell’abate di Fiore anche con la
traduzione italiana a fronte. La serie, aperta dal volume relativo alla Introduzione all’Apocalisse (prefazione e testo critico di K.-V. Selge, traduzione di G. L. Potestà, premessa di R. Rusconi, Roma 1995
[Opere di Gioacchino da Fiore: testi e strumenti 6]), propone ad oggi altre quattro monografie dedicate,
rispettivamente, al Commento a una profezia ignota (a cura di M. Kaup, Roma 1999 [Opere di Gioacchino da Fiore: testi e strumenti 10]), ai Trattati sui quattro vangeli (premessa di Cl. Leonardi, introduz.
di G. L. Potestà, traduzione di L. Pellegrini, Roma 1999 [Opere di Gioacchino da Fiore: testi e strumenti 11]), ai Dialoghi sulla prescienza divina e la predestinazione degli eletti (a cura di G. L. Potestà,
Roma 2001 [Opere di Gioacchino da Fiore: testi e strumenti 14]) ed a Il salterio a dieci corde (introduzione di K.-V. Selge, Roma 2004 [Opere di Gioacchino da Fiore: testi e strumenti 16]).
134
Oltre i fondamentali volumi The Influence of Prophecy in the later Middle Ages … cit. (supra, nota
101) e The «Figurae» of Joachim of Flore … cit. (supra, nota 102), si vedano almeno M. Reeves, A SixtyYear Pilgrimage with the Abbot Joachim, in Florensia 6, 1992, 7-32; Eadem, W. Gould, Gioacchino
da Fiore e il mito dell’Evangelo eterno nella cultura europea, Roma 2000 (Opere di Gioacchino da
Fiore: testi e strumenti 12).
135
Oltre i saggi già citati (supra, nota 92), si veda almeno H. Grundmann, Liber de Flore, in Historisches Jahrbuch XLIX, 1929, 33-91; Idem, Neue Forschungen über Joachim von Fiore, Marburg 1950.
136
B. Töpfer, Il regno futuro della libertà: lo sviluppo delle speranze millenaristiche nel Medioevo
centrale, Genova 1992 (Opere di Gioacchino da Fiore: testi e strumenti 4).
137
Gioacchino da Fiore e il suo tempo, in Il ricordo del futuro … cit., 174-175.
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VITO SIVO
sandro III (1159-1181), ma fu sconfitto dai Comuni a Legnano (1176), Federico II
(1220-1250) fu nuovamente battuto in un analogo scontro. L’immagine dell’imperatore
ne risultò offuscata: Federico fu scomunicato tre volte e infine deposto da imperatore
dal primo concilio di Lione (1245); dopo la sua morte l’impero cessò di essere una
forza significativa, mentre il regno di Sicilia, ottenuto dal padre Enrico VI sposando
l’ultima erede dei Normanni, passò agli Angioini (1266)» 138.
Solo in rapporto alla complessità di quei tempi, a cui Gioacchino non poteva rimanere insensibile e a cui cercava di dare una risposta; solo tenendo conto degli
eventi drammatici che investirono in quegli anni la Chiesa romana (con particolare
riguardo alla perdita di Gerusalemme nel 1187, che «significò per l’Occidente cristiano una grave sconfitta politica e militare e una ferita per la propria autorappresentazione»), è possibile comprendere e spiegare i mutamenti che si registrano nella
visione generale della storia dell’abate, i cambiamenti di prospettiva nelle sue rappresentazioni escatologiche e nelle sue concezioni teologico-politiche, i suoi profondi ripensamenti ideali 139, che ben si percepiscono nella lettura dei suoi scritti.
Infatti – a parere di Gian Luca Potestà –, è proprio a partire dagli anni 1186-1187 che
la produzione dell’abate
«[…] rivela le sue preoccupazioni per i rischi di un ulteriore inasprirsi del conflitto
fra Papato e Impero e insieme la nuova sensibilità teologica con cui affronta la questione […] Gioacchino appare preoccupato di combinare la fedeltà al Papato con il riconoscimento della funzione storico-provvidenziale dell’Impero; […] egli si sforza di
riconciliare in sé questa duplice propensione, rimodellando in relazione ad essa la propria visione storica e le proprie rappresentazioni degli eventi finali. Rispetto alla produzione precedente il suo cambiamento di prospettiva risulta evidente: la previsione
della caduta della nuova Babilonia non può allietare i cristiani, né tanto meno va in
qualche modo sollecitata dalla Chiesa. Egli è preoccupato invece dall’immediato contraccolpo che la notizia di guerre civili nell’Impero potrebbe comportare sul morale di
coloro che sono impegnati contro gli infedeli. Essi vedrebbero cadere il bastione più
sicuro su cui ritengono di poter contare. La ragione più profonda del suo orientamento
nuovo si spiega dunque con la preoccupazione per il possibile diffondersi dell’eresia
quale contraccolpo in Occidente della crisi in Terrasanta» 140.
Insomma, gli studi degli ultimi decenni hanno portato ad un profondo rinnova138
Idem, 175.
Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., 157-159, qui 159 per la citazione.
140
Idem, 201, ma anche 325-327, dove, attraverso un confronto tra il De prophetia ignota, il sermone
Apocalipsis liber ultimus, l’Intelligentia super calathis plenis ficubus e l’Expositio in Apocalypsim,
viene chiarito l’atteggiamento di Gioacchino nei riguardi dei nuovi signori del Mezzogiorno: atteggiamento in cui si compie la «parabola “filoimperiale”, le cui avvisaglie erano ben avvertibili già nelle posizioni espresse nel 1186-1187 nella Verona assediata. Fin da allora Gioacchino aveva preconizzato il
dominio svevo in Italia e si era mosso conseguentemente in questa prospettiva, al servizio del Papato ma
in direzione opposta alle forze ecclesiastiche che avevano sostenuto a spada tratta Tancredi. Era stato
quindi fra i primi a cogliere i frutti dell’affermazione di Enrico VI nel Regno, come dimostrano le concessioni imperiali a S. Giovanni de Flore del 1194 e del 1195» (qui 326 per la citazione).
139
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LA CULTURA LATINA NELLA CALABRIA DELL’ETÀ NORMANNO-SVEVA. UN BILANCIO STORIOGRAFICO
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mento dell’immagine di Gioacchino da Fiore (epurandola dalle distorsioni e dalle
forzature interpretative di precedenti studiosi) 141, soprattutto in merito ad alcuni punti
centrali del suo sistema dottrinale: la sua visione della storia e il fondamento che tale
concezione sottende, l’idea del terzo status e dei suoi protagonisti, con particolare riguardo al ruolo riservato in esso alle istituzioni ecclesiastiche. Emerge in tutta evidenza che, se l’idea del terzo stato (cioè l’età dello Spirito, coincidente con la piena
affermazione sulla terra del monachesimo, soprattutto nella sua versione eremitica e
contemplativa) 142 costituisce il fondamento del suo pensiero, ben più innovativo tuttavia risulta il suo metodo di lettura della Bibbia e, in particolare, dell’Apocalisse.
Recuperando una proposta esegetica formulata da Herbert Grundmann nelle sue
Studien über Joachim von Fiore, edite per la prima volta nel 1927, Robert E. Lerner
ha, infatti, recentemente sostenuto che l’innovazione più rilevante del monaco florense, rispetto al panorama teologico medievale, risiede non tanto nelle considerazioni
sul problema della Trinità, quanto nel tentativo di comprendere appieno il significato
del libro dell’Apocalisse, che lo avrebbe spinto a procedere lungo la via del chiliasmo
e a interpretare Ap 20 come preannuncio di un’epoca terrena di cui avvertiva prossima l’instaurazione 143. Di qui la sua convinzione dell’imminente venuta dell’Anticristo (la cui azione «non andava più concepita in un futuro lontano e in luoghi remoti,
bensì entro scadenze imminenti e orizzonti spaziali molto ravvicinati») 144, destinato
a precedere immediatamente il tempo futuro della libertà e della pace 145. Una tensione
escatologica che sembra quasi un Leit-motiv della storia calabrese, destinato a lasciare traccia di sé anche dopo Gioacchino, nel pensiero di Telesforo di Cosenza 146 e
nell’utopia di Tommaso Campanella 147.
Il quadro della cultura latina nella Calabria dell’età normanno-sveva, che si è cercato di ricostruire nelle sue linee essenziali, presenta molti vuoti, molte zone d’om141
Si vedano al riguardo le relazioni e le comunicazioni presentate in occasione del 6° Congresso internazionale di studi gioachimiti, svoltosi a San Giovanni in Fiore nei giorni 23-25 settembre 2004, sul
tema Gioacchino da Fiore nella cultura dell’800 e del ‘900, pubblicati rispettivamente nel volume di
Atti dal titolo Gioacchino da Fiore nella cultura contemporanea, a cura di G. L. Potestà, Roma 2005,
e in Florensia 18-19, 2004-2005, 9-210.
142
Su tutti gli aspetti e le implicazioni della concezione dei tre tempi (ovvero dei tre status), con cui
Gioacchino intendeva riproporre la tradizionale visione tripartita della società religiosa medievale (monaci, chierici, laici) e di enfatizzare il ruolo messianico dei monaci nella storia della salvezza, si veda la
chiara sintesi di Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., 105-127.
143
R. E. Lerner, La via al chiliasmo di Gioacchino da Fiore, in Idem, Refrigerio dei santi. Gioacchino
da Fiore e l’escatologia medievale, Roma 1995, 97-116, qui 97 per la citazione.
144
Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., 174.
145
Sulle profonde innovazioni apportate da Gioacchino alla figura e al ruolo dell’Anticristo, rispetto
alle idee diffuse nel Medioevo, ancora Potestà, Il tempo dell’Apocalisse … cit., passim.
146
P. Guerrini, Escatologia e gioachimismo in Telesforo di Cosenza, in Il ricordo del futuro … cit.,
125-132, con ricca bibliografia.
147
Troncarelli, Cultura e società … cit., 91; inoltre G. Ernst, Il ruolo profetico di Gioacchino da
Fiore nel pensiero di Tommaso Campanella, in Il ricordo del futuro … cit., 156-158.
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VITO SIVO
bra e numerosi aspetti problematici. Invano, infatti, si cercherebbero in esso tracce di
opere riconducibili ad altre significative forme letterarie, che pure sono largamente
rappresentate nella produzione culturale del regno meridionale: dalla versificazione
epico-storica 148, ai trattati metrici di contenuto tecnico-scientifico, alla produzione
agiografica, alla cosiddetta commedia elegiaca 149. La conquista della Calabria era
stato, per i nuovi dominatori normanni, l’indispensabile presupposto della conquista
della Sicilia, oggetto da sempre dell’azione politica lungimirante di Roberto il Guiscardo. Tuttavia «appena il dominio normanno si estese subito dopo alla Sicilia e i
conquistatori conobbero la fertilità del paese, l’alto livello e la ricchezza della cultura
e della civiltà araba, ai loro occhi dovettero farsi più evidenti la miseria e l’inospitalità della Calabria, così come era già accaduto al confronto della Campania e della Puglia. Dopo il breve e troppo presto tramontato rigoglio di Mileto, non si formò alcun
altro centro di gravità, né fu mai creata una vera residenza con dipendenze in altre
parti del paese. I conquistatori proseguirono oltre: ancora una volta la Calabria si ridusse a semplice terra di transito» 150. Questa sorta di emarginazione ad un tempo politica, economica e culturale fu il tributo che la terra calabra dovette pagare alla
costruzione del Regnum meridionale e alle esigenze della politica monarchica.
148
Si pensi almeno ai Gesta Roberti Wiscardi di Guglielmo il Pugliese: edizione a cura di M. Mathieu,
Palermo 1961; per un primo orientamento sull’opera, D’Angelo, Storiografi e cronologi latini … cit.,
28-30. Su taluni aspetti dell’opera, A. Bisanti, Composizione, stile e tendenze dei Gesta Roberti Wiscardi di Guglielmo il Pugliese, in corso di stampa in Archivio normanno-svevo. Rivista di studi sul
mondo euromediterraneo dei secoli XI-XIII.
149
Si pensi al giudice Riccardo di Venosa, autore di una ‘commedia’, il De Paulino et Polla, in 570
distici elegiaci, scritta fra il 1228 e il 1232 e offerta a Federico II: Riccardo da Venosa, De Paulino et
Polla, edizione a cura di S. Pittaluga, in Commedie latine del XII e XIII secolo, V, Genova 1986, 83-227;
sull’opera si veda ora l’informata rassegna bibliografica curata da A. Bisanti, Studi recenti su Riccardo
di Venosa, in Quaderni medievali 56, 2003, 244-267.
150
C. A. Willemsen, D. Odenthal, Calabria. Destino di una terra di transito, Bari 1967, XXXIV; si
veda pure De Leo, Mestieri, lavoro e professioni nelle fonti documentarie, in Mestieri, lavoro e professioni nella Calabria medievale … cit., 122.
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DOCUMENTI
Studi Bitontini
E
DISCUSSIONI
85-86, 2008, 33-60
Margherita PASQUALE
Deus charitas est.
L’amore cristiano nelle immagini in Puglia
Nella sua prima enciclica, Deus charitas est, papa Benedetto XVI, nel Natale
del 2005, si è rivolto agli uomini del suo tempo con un linguaggio di universale,
limpida chiarezza.
La Chiesa si è sempre rivolta agli uomini del tempo che andava attraversando
con un linguaggio che gli uomini di quel tempo potessero agevolmente comprendere, spesso coinvolgendo le forme dell’Arte, anzi, assegnando ad esse un ruolo
prioritario di catechesi: la verità basilare dell’amore di Dio vi ha trovato la sua
compiuta espressione, sia in immagini che ancora conservano la loro capacità di
comunicare, sia in altre, delle quali sia stata dimenticata la chiave di lettura e che
quindi, oggi, possono sorprendere.
L’enciclica del pontefice rinnova ai tempi nostri il messaggio perenne della Chiesa:
il cristianesimo è fondamentalmente amore, amore di Dio per gli uomini e degli
uomini per Dio e per gli altri uomini; il Vangelo è un costante messaggio d’amore; il commento all’Antico Testamento effettuato dai Padri vi riscontra continui presagi del pieno manifestarsi di quell’amore nel Nuovo Testamento; l’amore muove i
patriarchi e i profeti, gli apostoli e i santi.
Ne consegue che non esiste immagine sacra che non possa collegarsi a questo
grande tema di fondo, tanto più che proprio l’amore spinge Dio ad assumere la
natura umana, per poter condividere a pieno la condizione della sua creatura, col
risultato di rendersi visibile e, quindi, raffigurabile, in base all’assioma di Gesù:
«chi vede me vede il Padre» (Gv 14, 9) 1.
Nell’immenso patrimonio delle immagini sacre pugliesi, alcune traducono il tema
1 Così commenta san Bernardo lo stimolante impiego delle sacre immagini: «L’uomo di Dio
in preghiera ha davanti a sé una sacra immagine, o della natività di Gesù, o di Gesù che viene
allattato, o che insegna, o che muore, o che risorge, o che sale al cielo; e qualunque di queste
cose venga presa in considerazione, necessariamente accende nell’animo l’amore per le virtù, disorienta i vizi della carne, schiaccia le turpi lusinghe, calma gli appetiti smodati. Io penso che questa sia stata la causa per cui l’invisibile Dio volle farsi vedere nella carne e vivere uomo con gli
uomini, affinché coloro che non erano capaci di amare, se non carnalmente, fossero portati a dirigere tutte le loro affezioni al salutare amore della Sua carne, e così a poco a poco venissero portati all’amore spirituale». Si rimanda a Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici.
Traduzione di Domenico Turco, Roma 1996, t. II, serm. XX, 6.
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MARGHERITA PASQUALE
dell’amore di Dio con particolare pregnanza, rivelandosi incredibilmente attuali, come
concepite in un continuo presente, nonostante le profonde differenze cronologiche.
La breve escursione che qui si propone nell’ambito della regione, o meglio della
Puglia storica che include la Basilicata, selezionando necessariamente pochi, esemplari contesti, scultorei o pittorici, e solo alcuni dei molti aspetti dell’amore presi
in esame dall’enciclica, pone l’accento su questi ultimi piuttosto che sulle qualità
delle opere considerate, sconosciute o famose che siano: queste rapide note sperano di restituirle, per qualche istante, alla loro didattica funzione originaria.
L’amore umano
L’enciclica introduce al tema dell’amore con una sapiente analisi del rapporto
tra eros e agape, tra una concezione dell’amore dionisiaca ed egoistica ed una più
appagante, generosa e matura, che cerca il bene dell’amato, mira ad una armonica
fusione di intenti, sublimandoli, e si perfeziona mediante il sacrificio; rileva che
«l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente
all’essere umano e si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza» 2; rileva inoltre che tale archetipo sia
il filo conduttore del Cantico dei Cantici, poema biblico che, secondo l’interpretazione che ne diedero i Padri, è figura dell’amore di Cristo per l’umanità e per la
Chiesa, nonché del «Suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce
alla resurrezione» 3.
Troviamo pienamente espresso questo magnifico ed articolato pensiero in un portale romanico (fig. 1). La cattedrale di Acerenza, in Basilicata, è celebre per il suo
imponente sistema absidale con deambulatorio a cappelle radiali, uno dei rari esempî
del genere nella Puglia storica, insieme al duomo di Aversa e all’Abbazia incompiuta della SS. Trinità di Venosa; lo è quasi altrettanto per le sculture del portale,
tacciato nell’Ottocento di «incredibile oscenità» dal Lenormant, giudizio sostanzialmente condiviso dalla critica successiva che vi ha riconosciuto una inquietante quanto erudita esemplificazione del vizio e del peccato 4. In realtà, troppo tempo è passato da quando quel portale è stato voluto dall’arcivescovo pro tempore, in uno
degli ultimi decenni del XII secolo; all’autorità ecclesiale spettava il compito, a
garanzia dell’ortodossia dei contenuti, di stabilire il tema da adottarsi nell’ornamentazione, il grande tema, sempre positivo ed edificante, da proporre all’attenzione dei fedeli al loro primo impatto con la chiesa. Le immagini disponibili nel repertorio della maestranza implicata, piegandosi a questa esigenza primaria, assolvevano in seconda battuta al richiesto ruolo ornamentale, curato – esso solo – dai lapicidi, con un risultato a volte ostico per noi, uomini della strada del XXI secolo,
ma che tale non era per i nostri predecessori del XII. Ad essi, infatti, erano pre2
Benedetto XVI, Deus Charitas Est, Città del Vaticano 2006, 10.
Ivi, 18.
4 Sulla cattedrale di Acerenza, P. Belli D’Elia, C. Gelao, La Cattedrale di Acerenza. Mille anni
di storia, Venosa 1999, volume che accoglie un contributo specifico sul portale di L. Derosa, La
chiesa medievale. Il portale, 127-166.
3
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DEUS CHARITAS EST. L’AMORE CRISTIANO NELLE IMMAGINI IN PUGLIA
1. - Acerenza, cattedrale. Portale.
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MARGHERITA PASQUALE
cluse, per ovvie ragioni storiche, le problematiche insorte all’avvento della riforma
protestante e le conseguenti innovazioni iconografiche, delle quali, invece, è inevitabilmente debitore il nostro immaginario, insieme al nostro rapporto sia con i temi
offerti all’attenzione, sia con le forme che li esprimono.
Il portale di Acerenza, come ogni altro complesso scultoreo del suo tempo, propone immagini che la gente comune riconosceva, in una delle molteplici varianti concesse da un linguaggio diffuso per tutta l’Europa cristiana. Per comprenderlo bisogna
utilizzare gli strumenti – e solo quelli –, di cui un uomo del Medioevo poteva disporre, forniti in prima istanza dalle Sacre Scritture e dalle leggende contenute nei bestiarî
moralizzati, nonché dalle interpretazioni che ne diedero i padri e i dottori della Chiesa,
in opere che i chierici leggevano ed a cui ampiamente attingevano, punteggiando prediche e scritti di frequenti citazioni 5, esattamente come avveniva per le sculture dei
portali romanici, concepiti quali vere e proprie omelie, scolpite nella pietra o nel
marmo 6. Ad Acerenza, il portale si compone – come sempre nell’arte romanica pugliese – di un protiro, sontuoso baldacchino in pietra che precede il portale e lo enfatizza, sorretto da animali stilofori, e di una cornice centinata ed istoriata, che coinvolge
stipiti ed archivolto. Alcuni dei pannelli – in parte di risulta – che compongono le due
facce degli stipiti, presentano intrecci di vimini e giunchi fogliati, motivi ornamentali
di larghissimo impiego, che alludono al perenne rigoglio rigenerativo della natura; continuamente, nelle cornici dei portali e dei finestroni, nell’armonioso intrico dei girali,
si assiste alle evoluzioni di animali reali e fantastici e di esseri umani vestiti ed ignudi, ispirati alle pagine miniate. Essi esprimono il creato che in tutte le sue forme esulta e tripudia intorno ad un elemento centrale sempre diverso, posto in chiave d’arco,
che sacralizza la composizione e spiega la ragione di tanto giubilo, conferendole i connotati di una vera e propria liturgia cosmica: la consapevolezza che il creato è stato
redento e che Dio stesso, incarnandosi, ha voluto farne parte, condividerne la sorte terrena ed aprirgli nuove meravigliose prospettive di rinascita 7.
5 Nell’atto di donazione di beni mobili e immobili, fatta dal giudice Falco nel 1197 alla chiesa di santa Margherita in Bisceglie, una sezione annovera i libri offerti in dotazione per il culto
e per l’edificazione personale del beneficiario, il presbitero Delecterio: con i salterî e gli antifonari notturno e diurno, i libri dell’Antico Testamento, il breviario, il messale, il benedizionario e
i lezionarî, compaiono vite di Santi, libri di precetti e sentenze e volumi di omelie e di commenti: F. Ughelli, Italia Sacra sive De Episcopis Italiae et insularum adiacentium, Venezia 1721,
VII, 943. Un esempio di linguaggio fiorito di immagini, tratte dalle Sacre Scritture e dai bestiarî,
sono i sermoni di sant’Antonio: G. Tollardo (a cura di), Così parlava sant’Antonio da Padova.
Brani scelti dai Sermoni, Padova 2006.
6 M. Pasquale, I grandi temi dell’arte romanica nella scultura pugliese del XII-XIII secolo, in
C. Gelao, G. M. Jacobitti (a cura di), Castelli e Cattedrali in Puglia a cent’anni dalla Esposizione
Nazionale di Torino. Catalogo della Mostra (Bari, Castello Svevo, 13 luglio-31 ottobre 1999),
Bari 1999, 106-116.
7 I punti apicali delle cornici meriterebbero una trattazione a parte: si segnalano brevemente
l’Ecclesia esultante in un finestrone della cattedrale di Bari; il Cristo in Maestà nel portale della
cattedrale di Bitonto; il leone di Giuda nel portale della cattedrale e l’Agnus Dei in quello della
chiesa di Ognissanti, a Trani; una croce ed una coppia di pavoni, incorruttibili figure della resurrezione, nella chiesa di santa Maria della Strada a Taurisano. Insieme agli immaginifici bestiarî
che ad essi fanno capo ed in cui si mescolano esseri indifferentemente avvertiti come positivi o
negativi – la carica negativa è annullata dalla redenzione – realizzano il pensiero paolino, tante
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DEUS CHARITAS EST. L’AMORE CRISTIANO NELLE IMMAGINI IN PUGLIA
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Ad Acerenza, in cima al portale, si leggono l’Alfa e l’Omega 8, resi dalla
torsione dei racemi nelle mani di due servizievoli figure maschili; la sigla di
Cristo, Principio e Fine di ogni cosa, compare affiancata da un grifo e da un
centauro.
È Il Fisiologo, il più importante bestiario medievale, a spiegare in molte occasioni il significato riposto di numerose raffigurazioni animali; individuando nelle
creature esaminate e nelle loro attitudini rapporti strettissimi con Cristo, formula similitudini che coinvolgono la vita religiosa degli uomini, in una palese concezione del creato come specchio del creatore; esso avverte tuttavia che doppia,
positiva e negativa, è la natura di tutti gli esseri viventi 9, con la conseguenza
che sarà il contesto stesso a segnalare ogni volta la prerogativa prescelta e assegnata all’immagine, ideogramma di una lingua viva e affascinante che invita a
riflettere. È evidente che la posizione eccellente delle due figure in questione
non depone a favore della negativa, ma induce a cogliere in entrambe una valenza cristologica, a sostegno del motivo centrale, e quindi il grifo, animale favoloso, per metà aquila e per metà leone, rammenterà la natura duplice, divina ed
umana del Redentore, ed il centauro ne rimarcherà la Sapienza, attributo in antico del centauro Chirone, maestro di eroi 10. Nei girali del flessuoso ramo fruttifero che si attorce per tutta la lunghezza dell’arco e che fuoriesce ai due estremi dalla bocca di un giovane e di un vecchio, nel versante a sinistra una scimmia ed alcune figure umane, vestite o vistosamente ignude, si arrampicano e mangiano fichi; in quello opposto, si succedono le piccole scene che hanno destato
particolare perplessità (fig. 2): un uomo e una donna, strettamente allacciati, si
baciano sulla bocca, lui con barba e in abiti orientali, alta fascia intorno alla vita
volte espresso dall’apostolo, dello stretto legame che unisce creato e Creatore: «Le cose invisibili di Dio si comprendono e si vedono per mezzo delle cose create […] Dio è l’essere di tutte
le cose, non perché esse sono quello che Egli è, ma perché da Lui e per Lui e in Lui sono tutte
le cose» (Rm 1, 20; 11, 36).
8 La sigla apocalittica del Signore è presente, in piena coerenza con le altre immagini componenti ogni complesso scultoreo, sullo stipite destro del portale nella cattedrale di Trani, nell’archivolto nella chiesa tranese di Ognissanti, alla base dei piedritti nell’abbazia di san Leonardo,
a Siponto: M. Pasquale, L’apologia della Parola: un’omelia impressa nel marmo e nel bronzo.
Lettura iconologica del portale e della porta della Cattedrale di Trani, in Rivista di Scienze
Religiose XV, 1, 2001, 89-109, riedito in P. di Biase (a cura di), Vescovi, disciplinamento religioso e controllo sociale. L’arcidiocesi di Trani fra Medioevo ed età moderna. Atti del Convegno
di Studi (Trinitapoli, 20-21 ottobre 2000), Trinitapoli 2001, 353-390; Eadem, Note di iconologia
romanica: il portale di San Leonardo a Siponto, in C. Serricchio (a cura di), Siponto e Manfredonia
nella Daunia. Atti del V Convegno (Manfredonia, 9-10 aprile 1999), Manfredonia 2000, 122141.
9 Sono di duplice natura, e lodevole e biasimevole, tutte le creature: a cura di F. Zambon, Il
Fisiologo, Milano 1975, 43.
10 Un commento associativo è in san Bernardo: «Ci ha pertanto cercati nella carne e ci ha
amati nello spirito, redimendoci con la sua forza. È cosa dolcissima e soavissima considerare il
Creatore dell’uomo fatto uomo […] Per non essere trascinato dalla gloria o dai piaceri della carne,
ti diventi dolce più di tutte queste cose Cristo sapienza», per cui si rinvia a Bernardo di Chiaravalle,
Sermoni … cit., t. II, serm. XX, 3, 4.
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MARGHERITA PASQUALE
2. - Acerenza, cattedrale. Portale: particolare della centina.
3. - Acerenza, cattedrale. Portale: particolari dello stipite sinistro.
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DEUS CHARITAS EST. L’AMORE CRISTIANO NELLE IMMAGINI IN PUGLIA
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e turbante, lei vestita secondo i dettami della contemporanea moda occidentale,
lunga veste fluttuante e larghe maniche a campana, capelli sciolti e cintura bassa
sui fianchi; quindi, la stessa fanciulla, cinto il capo da un diadema, danza con
slancio al suono prodotto, nel riquadro successivo, da una arpista e da un cembalaio; seguono un centauro arciere ed una sirena bicaudata.
Ulteriori immagini interessano la coeva faccia interna dello stipite di sinistra,
dove, questa volta, è un tralcio di vite il trait d’union della composizione ed ospita un uccello dal ricco piumaggio e figure nude, maschio e femmina, che raccolgono in ceste i grappoli d’uva; canidi intaccano i germogli; operai, con indosso una corta tunica allacciata, pigiano l’uva in una vasca e raccolgono il vino in
un’anfora; un giovane pastore, circondato da fiori, reca un agnello sulle spalle
(fig. 3).
Ed ora leggiamo alcuni passi del Cantico dei Cantici:
«Che egli mi baci con i baci della sua bocca!
Si, le tue tenerezze sono più dolci del vino […].
Dimmi, o amore dell’anima mia,
dove vai a pascolare il gregge, dove lo fai riposare al meriggio […]
Il mio diletto è per me un grappolo di Cipro nelle vigne di Engaddi […]
Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo, e dolce è il suo frutto al mio palato.
Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore.
Sostenetemi con focacce di uva passa, rinfrancatemi con pomi,
perché sono ferita dall’amore.
La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia […]
Una voce! Il mio diletto! […] Ora parla il mio diletto e mi dice:
“Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!
Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata;
i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato […]
il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza […]
Prendeteci le volpi, le volpi piccoline che guastano le vigne,
perché le nostre vigne sono in fiore”.
Il mio diletto è per me ed io per lui. Egli pascola il gregge fra i gigli […]
Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti […]
“Volgiti, volgiti, Sulammita, volgiti, volgiti: vogliamo ammirarti”.
“Che ammirate nella Sulammita durante la danza a due schiere?”
“Come sono belli i tuoi piedi nei sandali, figlia di principe!
Le curve dei tuoi fianchi sono come monili, opera di mani d’artista […]”».
Il libro veterotestamentario è un lungo testo lirico, che esalta, in forma dialogica, il tenero sentimento, la reciproca bellezza ed il desiderio appassionato di
due giovani innamorati che si cercano, si perdono, si trovano, si posseggono;
canto d’amore freschissimo nei suoi oltre duemila anni di vita, attribuito per tradizione al re Salomone, sovrabbonda, con una orientale, intensa profusione di
odori, sapori e colori, di similitudini ispirate alla vita bucolica ed agreste, molte
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delle quali slittate nelle litanie lauretane in omaggio alla Vergine, fornendo alcuni dei simboli numerosi che spesso circondano l’immagine dell’Immacolata 11.
La natura particolare del Cantico ne ha fatto materia privilegiata di esegesi, giustificandone la presenza tra i compunti testi storici, profetici e sapienzali che compongono la Bibbia; da Origene e Gregorio di Nissa, nel IV secolo, agli ottantasei
sermoni di Bernardo di Chiaravalle, nel XII – e la cui recente stesura, all’epoca
della realizzazione delle nostre sculture, ne fa un immediato punto di riferimento –
ogni parola è stata letta in filigrana e commentata alla luce di dotti riferimenti biblici, senza tuttavia riuscire a snaturarla e ad annullarne la potente carica erotica: i
Padri vi lessero un’ardente metafora dell’amore di Cristo per la Chiesa, di Cristo
per l’anima che a Lui anela. San Bernardo spiegava: «[Salomone], divinamente ispirato, intese cantare le lodi di Dio e della Chiesa, e la grazia dell’amore sacro, e i
sacramenti dell’eterno connubio; e volle insieme esprimere il desiderio dell’anima
santa, e compose, esultando nello spirito, con gioconde, ma figurate espressioni, un
carme nuziale […] a motivo della sua eccellenza, esso solo chiamato Cantico dei
Cantici, a quel modo che colui al quale viene cantato è detto singolarmente Re dei
re e Dominatore dei dominatori», ma, nello stesso tempo, avvertiva – a proposito
del Cantico, ma l’ammonimento è estensibile alle sculture del portale – «questo
sacro, mistico sermone non deve essere presentato se non a menti e orecchie pure.
Sarebbe indegna presunzione accingersi a questa lettura prima di aver domata la
carne con un tirocinio ascetico e averla assoggettata allo Spirito» 12.
Ebbene, questo altissimo – e spesso più celebre che letto – saggio di poesia d’amore, ricco di immagini allusive improntate a vivida sensualità, spiega punto per
punto le raffigurazioni di Acerenza e ne purifica quei tratti che possono turbare il
nostro immaginario post-tridentino; l’amore tra l’uomo e la donna è esaltato, perché
voluto da Dio, che creò l’uomo a sua immagine, «maschio e femmina lo creò» (Gn
1, 27) e lo invitò a nutrirsi e a riprodursi, lo pose nudo nell’Eden e felice ed ignaro della sua nudità, perché – come spiegava san Paolo – «tutto è puro per chi è
puro» (Tt 1, 15) e quindi tutto ciò che Dio ha fatto, tutto ciò che esiste, è cosa
buona, come considerava con intimo compiacimento il Creatore alla fine di ognuno
dei sei giorni mirabilmente impiegati a forgiare il mondo. Il vecchio e il giovane ai
due capi dell’arco indicano che il messaggio trasmesso è valido per sempre, in ogni
momento della vita e di generazione in generazione; concetti astratti come il tempo
del canto, la voce del diletto, la dolcezza dei frutti e la ferita dell’amore, sono resi
rispettivamente dall’uccello canoro, dalla sirena incantatrice, dalla scimmia golosa e
dal centauro arciere; i protagonisti e gli elementi principali si riconoscono tutti: l’a11 Si legga ancora dal medesimo testo: «Come un giglio fra i cardi, così la mia amata tra le
fanciulle
Come la torre di Davide il tuo collo, costruita a guisa di fortezza
Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia
Giardino chiuso, tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata
Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole? […]».
12 Bernardo di Chiaravalle, Sermoni … cit., t. I, serm. I, 8, 3.
13 Bernardo di Chiaravalle, Sermoni … cit., t. I, serm. VII, 2: il tema è svolto nei sermoni II-IV,
VII-IX.
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mato che pascola il gregge tra i gigli e la bella Sulammita che danza, il fico e la
vigna, la cella del vino, l’insidia delle piccole volpi e, soprattutto, quell’appassionato desiderio di un bacio dell’amato, con cui il Cantico si apre e che a san Bernardo
ha fatto scrivere pagine ispirate: «Mi baci, dice, con il bacio della sua bocca. Chi
è che lo dice? La sposa. Chi è costei? L’anima che ha sete di Dio» 13.
Dai sermoni del santo infinite sarebbero le citazioni possibili, attinenti le nostre
immagini: «Ottima saetta questo timore, che trafigge e uccide i desideri carnali perché lo spirito sia salvo. Saetta è anche la parola di Dio, viva ed efficace […]» (Serm.
XXIX, 7, 8); «Si pensi all’anima quando si legge vigna […]» (Serm. XXX, 7); «Per
l’uomo sapiente è una vigna la sua vita, la sua mente, la sua coscienza […]» (Serm.
LXIII, 2); «Le volpi sono le tentazioni […]. È questo un genere astuto di animali,
molto pronto a recar danno di nascosto; a me sembra adattissimo a designare certi vizi
sottilissimi camuffati da virtù […]» (Serm. LXIV, 1,6); quindi le volpi saranno accomunate alle eresie striscianti e nascoste (Serm. LXV-VI) ed i gigli che circondano il
pastore, figura di Cristo, alla verità, alla mansuetudine, alla giustizia (Serm. LXX, 6).
A suggello della fascia ornata e come introduzione alle immagini del Cantico,
il raffinato committente ha voluto porre un airone. Raccomanda il Fisiologo che,
come l’airone ha un unico nido, dove dimora e si nutre, così il fedele, rifuggendo
dalle eresie, abbia un solo nido, la santa Chiesa di Dio.
L’ampia arcata a pieno centro che determina il protiro è costituita da una fila
di angeli, due soli dei quali superstiti in loco, sorridenti e affioranti a mezzo busto
dal filo ondulato dalle acque che sono al di sopra del firmamento, in coerenza con
l’orditura dell’universo descritta dalla Genesi (Gn 1, 7); alla base dell’arco, altri due
angeli dalle lunghe ali ripiegate ne sostengono il peso, distesi in profondità ed
aggrappati alla mensola su cui insistono. Essi assecondano ed amplificano il canto
d’amore che si leva dal sottostante portale; è ancora san Bernardo a ricordarlo: «Gli
angeli santi assistono quelli che pregano, offrono a Dio le preghiere e i desideri
degli uomini, là dove vedono elevarsi mani pure […]. Che i santi angeli si degnino di unirsi a coloro che salmeggiano, appare manifesto da quello che dice il salmista […]: “Ti canterò alla presenza degli angeli”» (Sal 137,1) 14.
Sono gli angeli a presentare davanti al trono di Dio le preghiere dei giusti (Ap.
8, 3); mediatori tra Dio e gli uomini, essi di rimando trasmettono agli uomini la
verità che contemplano; inoltre, custodi fedeli, prudenti e potenti, li sostengono nel
cammino che li conduce al cielo; strumenti di comunione tra cielo e terra, lieti della
continua visione del volto di Dio (Mt 18,10) e animati dall’amore per il Signore,
sono parimenti mossi dall’amore per gli uomini, che servono ad imitazione di Cristo,
in quanto chiamati a collaborare per la salvezza del genere umano, al fine di realizzare – meditava san Bernardo – il regno di Dio, «da non altre leggi retto che
quelle del mutuo amore e della pura affezione, vicendevole e verso Dio» 15.
Nel protiro, la beata schiera angelica, che promette al fedele che la contempla
amorevole e solidale protezione, è sorretta da esili colonne impostate su blocchi
piramidali scolpiti, raffiguranti due leoni che serrano contro di sé due esseri umani,
14
Bernardo di Chiaravalle, Sermoni … cit., t. I, serm. VII, 4.
Bernardo di Chiaravalle, Sermoni … cit., t. II, serm. LXXVIII, 1, su cui R. Lavatori, Gli
Angeli, Roma 1996, 19, 32.
15
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MARGHERITA PASQUALE
4. - Acerenza, cattedrale. Portale: leone stiloforo destro.
un uomo e una donna, entrambi nudi: l’uomo è rivolto verso il leone, la donna
verso chi guarda, perché sia ben evidente la differenza fisiologica (fig. 4). Racconta
tra l’altro Il Fisiologo, a proposito del leone: «Quando la leonessa genera il suo piccolo, lo genera morto e custodisce il figlio, finché, il terzo giorno, giungerà il padre,
gli soffierà sul volto e lo desterà. Così anche il Dio nostro onnipotente, il Padre di
tutte le cose, il terzo giorno ha risuscitato dai morti il suo Figlio, primogenito di
tutte le creature, il Signore nostro Gesù Cristo, affinché salvasse il genere umano
smarrito» 16. Per questo l’immagine del leone e del suo cucciolo figurano su diverse facciate romaniche in Puglia, nelle doverose varianti imposte da un’arte che non
ama le repliche: sulla cattedrale di Barletta, un leoncello minuscolo, identificato dalla
piccola coda a fiocco terminale e dai minuti ma temibili denti, giace inerte ai piedi
del leone padre, quasi scivolando dalla mensola che li sostiene entrambi; sull’abbazia di sant’Adoeno di Bisceglie, la leonessa partorisce sotto gli occhi attenti del
compagno 17; sulla chiesa di san Giacomo – o santa Maria de Russis – a Trani, il
16
Il Fisiologo … cit., 40.
M. Pasquale, Note sulla scultura romanica nell’abbazia di S. Adoeno in Bisceglie, in Studi
Bitontini 61, 1996, 65-91.
17
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leone tiene sospeso tra le zanne, con delicatezza, il suo cucciolo, ma, nel protiro
dell’abbazia di san Leonardo di Siponto, questo è sostituito da una figura umana
nuda, la quale, trattenuta come il cucciolo tranese nelle fauci della belva, ne abbraccia fiduciosa le solide zampe.
Acerenza presenta l’identico tema, in più ribadendo l’universale valenza del messaggio salvifico, l’uomo essendo stato creato maschio e femmina; quindi, alla base
del protiro, a fondamento dell’intero complesso scultoreo, è enunciato il principio
cardine del cristianesimo, la resurrezione di Cristo, che comporta di necessità la
resurrezione del credente.
Così san Bernardo conclude il Sermone XII: «Grazie a Te, Signore Gesù, che
ti sei degnato di aggregarci alla tua carissima Chiesa, non solo perché fossimo fedeli, ma anche perché ci potessimo, come sposa, unire a Te, in giocondi, casti, ed
eterni amplessi, contemplando anche noi a faccia scoperta la tua gloria, che ti è
comune insieme con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen».
Nell’insieme, e in parole semplici, il messaggio del portale è dunque questo: Cristo
è risorto, e se è morto e risorto lo ha fatto per te, per salvarti dalla morte eterna
e permetterti di accedere al suo regno, insieme agli angeli che hanno protetto il tuo
cammino terreno, perché Cristo ti ama, ama te che a Lui aspiri e che sei parte integrante della Chiesa, che è Sua sposa e che Egli ama. È davvero un tema da cattedrale: ‘Deus charitas est’ è un messaggio talmente urgente, nel XXI come nel XII
secolo, così inalterato e sempre attuale, da avvalersi di riferimenti allo stesso testo
sacro, nell’enciclica di papa Benedetto come nel portale acheruntino, facendo di
quest’ultimo uno dei momenti espressivi più alti della nostra scultura medievale,
anzi un episodio, raro, in cui le immagini della cornice istoriata non possono definirsi strettamente ‘simboliche’, in quanto il simbolismo è nel testo che le ispira, o
meglio, nella sua interpretazione patristica, e le immagini si limitano ad illustrarlo:
è un portale gioioso, colmo della felice certezza che Dio ama l’amore degli uomini, al punto da farne modello del proprio amore per loro.
Sul piano formale, il portale è uno specchio perfetto della cultura variegata e composita, splendidamente presente nel regno normanno di Sicilia, che associa una tradizione iconografica intrisa di memorie classiche a componenti islamiche, bizantine e
transalpine, con la naturale disinvoltura proveniente dalla pacifica convivenza plurietnica, garantita dalla Corte. Gli elementi di evidente matrice orientale trovano frequenti parallelismi all’interno del regno, a partire dal soffitto ligneo, intagliato a muqarna
e dipinto, della Cappella palatina, a Palermo, che probabilmente allude allo stesso testo
sacro con la sua profusione di figure danzanti e musici, pastori e bevitori; il giovane
pastore del portale ripropone l’immagine del Buon Pastore, cara ai sarcofagi paleocristiani, e la danzatrice, emula di altre figure danzanti che lodano Dio come i salmi raccomandano, nei protiri della cattedrale di Trani e della chiesa di san Giovanni al
Sepolcro a Brindisi, si ispira alle opere miniate d’Occidente, non meno degli ignudi
tra i girali o dei viticultori che parafrasano le opere e i giorni dei mesi dell’anno 18,
18 M. Pasquale, Note sull’apparato decorativo delle chiese brindisine di San Giovanni al Sepolcro
e di San Benedetto, in G. Matichecchia (a cura di), S. Giovanni al Sepolcro e S. Benedetto a
Brindisi, Bari 2001, 37-56; M. Andaloro (a cura di), Federico e la Sicilia, dalla terra alla corona. Arti figurative e arti suntuarie, Palermo 1995, 329, 397-398, con relativo apparato illustrativo; D. Formaggio, C. Basso (a cura di), La Miniatura, Novara 1960, 20, tav. 12.
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slittati, come ad Otranto, nei pavimenti musivi. Ogni immagine ne richiama un’altra,
tutte legate dal meraviglioso, multiforme spirito di un’epoca straordinaria.
L’amore che perdona
«L’amore appassionato di Dio per il suo popolo – per l’uomo – è nello stesso tempo un
amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso» 19.
Esiste un’icona perfetta dell’amore misericordioso di Dio, pronto al perdono: è
un’immagine della SS. Trinità che raffigura Dio Padre, fermo nello sguardo e nel
gesto, che sostiene davanti a sé con le braccia aperte la Croce, su cui il Figlio è
raffigurato patiens; tra l’uno e l’altro si libra lo Spirito Santo in forma di colomba: «Dio ha presentato Gesù che muore in croce come mezzo di perdono per quelli che credono in Lui» (Rom 3, 25). Questo passo paolino può esserne considerato la didascalia più efficace, o il motivo ispiratore: l’impianto iconografico, reso
celebre dall’affresco quattrocentesco del Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze,
è già presente nella miniatura dei secoli precedenti e quindi circolante e ben noto 20.
Incisiva figura dell’amore gratuito di Dio, che ha amato gli uomini per primo e con
un amore assoluto, così da giungere al sacrificio del Figlio, cui non può che, naturalmente e liberamente, corrispondere l’amore dell’uomo, lo schema trinitario si carica, grazie all’osservazione di san Paolo, non di severa valenza di monito, come ci
si aspetterebbe al primo impatto, ma di generosa promessa di riconciliazione. La
vasta diffusione del tema è confortata dalla sua presenza in un edificio minore, sull’attuale parete di controfacciata della piccola chiesa del casale di Zappino, nell’agro di Bisceglie, in una edizione trecentesca (fig. 5) gravemente compromessa sia
dall’odierno degrado che dalle manomissioni che nel Seicento gravarono sulla chiesa, comportandone l’inversione dell’ingresso. Nonostante il totale disinteresse manifestato allora per le pareti affrescate, ricoperte di intonaco o scalpellate, laddove
furono praticate inserzioni di altari e di nuove aperture e pilastri vennero addossati a sostegno della volta a botte unghiata che sostituì la precedente, alcuni brani
d’affresco sono scampati alla distruzione, quel tanto che basta per comunicarci ancora quel messaggio di amore che è commovente rilevare in così labili tracce, solitarie nella campagna.
Nell’originaria scansione della chiesa, la Trinità sovrastava l’altare, il luogo del
sacrificio eucaristico, mentre la parete opposta, un tempo oggetto dell’ultimo sguardo del fedele uscente, era campita da una concisa versione del Giudizio Universale,
19
Benedetto XVI, Deus … cit., 10.
Esempi nell’arte inglese del XIII secolo e bolognese del XIV: Andaloro (a cura di), Federico
… cit., 421, con figura; Formaggio, Basso (a cura di), La Miniatura … cit., 22, tav. 14. Benché
fiorito in età medievale, questo modello iconografico attraversò i secoli approdando all’età barocca, dove si sciolse dal rigore simmetrico, conservando tuttavia inalterato il toccante riscontro emotivo; alcuni dipinti di Corrado Giaquinto, il grande pittore di origine molfettese, ne offrono un
esempio eloquente: Aa.Vv., Giaquinto. Capolavori dalle Corti in Europa. Catalogo della Mostra
(Bari 1993) organizzata dalle Soprintendenze BAAAS della Puglia e BAS di Roma, MilanoFirenze 1993, 139, tav. 11.
20
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di cui restano istruttivi
frammenti. Lo spazio ridotto disponibile aveva indotto il frescante a citare, con
giustapposizioni inorganiche per dimensioni, solo
alcuni degli elementi usi a
comporre le estese scenografie del Giudizio, evidentemente conosciute al
punto da poter mancare in
parte, senza che ne venisse inficiata l’ideale lettura
integrale. L’esistenza di
complessi completi, come
il Giudizio di Santa Maria
del Casale, a Brindisi, e di
Santo Stefano, a Soleto,
rispettivamente databili ai
primi e agli ultimi decenni
del XIV secolo 21, concorre
a dichiarare l’opera una
contaminazione fra differenti tradizioni iconografiche, basata su uno schema
generale di matrice bizan5. - Bisceglie, chiesa del casale di Zappino. Dipinto murale tina, che è ancora lo stesraffigurante la SS. Trinità.
so del mosaico del duomo
di Torcello, dell’XI secolo,
e che non ha ancora sperimentato la fine, perpetuato nelle icone greche contemporanee.
La composizione è cuspidata, il che è spia dell’originario profilo a capanna della
parete e della copertura a capriate della piccola costruzione; una banda rossa la perimetra; in cima è il Cristo in Maestà, avvolto in un manto rosso, in atto di mostrare entrambi i palmi delle mani aperti e sanguinanti, segnalando il suo ruolo di vittima immolata e di vincitore della morte, ma soprattutto attestando la misericordia
e l’amore che sono alla base del suo sacrificio 22. Alla sua destra, seguono il saliente della cuspide sei dei dodici apostoli, assisi a giudicare le altrettante tribù di Israele
secondo la promessa di Gesù: «Io vi assicuro che nel nuovo mondo, quando il
Figlio dell’uomo sarà sul suo trono glorioso, voi che mi avete seguito starete su
21 M.S. Calò, La chiesa di S. Maria del Casale presso Brindisi, Fasano 1967; M. Berger, S.
Stefano di Soleto e i suoi affreschi, in Aa. Vv., Soleto. Estratto da Paesi e figure del vecchio
Salento, II, Galatina 1980, 81-123.
22 E. Mâle, Le origini del Gotico. L’iconografia medievale e le sue fonti, Milano 1986, 344.
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MARGHERITA PASQUALE
dodici troni per giudicare le dodici tribù di Israele» (Mt 19, 28). Tra loro si apre
un varco un unico angelo, dei dodici abitualmente presenti; gli altri sei discepoli
non sembrano essere mai stati dipinti. Ai piedi del Cristo, una figura femminile
velata, con le mani porte in avanti in atteggiamento supplice, è fronteggiata da una
larvata figura stante: sono la Vergine e san Giovanni Battista, consueti protagonisti di una delle più diffuse formule iconografiche bizantine, la Déesis, su cui torneremo.
Dal vasto campo lacunoso sottostante emerge, in ordine alla composizione tradizionale, un piccolo angelo che accartoccia il firmamento come fosse una pergamena, prendendo alla lettera uno dei segni terribili che scandiscono l’apertura dei
sette sigilli del rotolo chiuso nella mano del Signore, nella visione giovannea: «La
volta celeste si squarciò e arrotolò come un foglio di pergamena» (Ap 6, 14); segue
la personificazione del Mare che restituisce le sue vittime per dar luogo alla resurrezione della carne, secondo il Simbolo degli apostoli: una donna nuda e bionda
siede a cavalcioni di un grosso pesce e reca nella destra un veliero, attorniata da
una frotta di pesci che vomitano le creature umane che hanno inghiottito: «Anche
il mare restituì i suoi morti, così pure la morte restituì quelli che essa custodiva
nel mondo sotterraneo, e ciascuno fu giudicato secondo le sue opere» (Ap 20, 13);
il Mare doveva essere fronteggiato dalla Terra, cavalcante un leone, come l’antica
Cibele, e circondata da fiere divoratrici di uomini. Si è salvata, soltanto e in parte,
la zona destra del dipinto murale, destra per noi, sinistra per il Giudice, il luogo
dei dannati: come a Brindisi, un fiume di fuoco scorre dall’alto in basso, secondo
la visione di Daniele (7, 10); una folla di persone composte e vestite sale alla città
di Dite, ma frammista ad attorti serpenti, delle cui spire si coglie il luccichio, un
tocco innovativo nella distribuzione dei dannati, che sembra in qualche modo ispirarsi al poema dantesco; il cattivo ricco della parabola (Lc 16, 24) si tocca le labbra riarse con le dita, cocendo ignudo in un pentolone metallico dai grandi manici: è l’unico peccatore riconoscibile superstite, presente anche a Soleto.
Ma al centro della parete, nel luogo dove ci si aspetterebbe di trovare l’arcangelo Michele con la bilancia per la pesa delle anime, la psicostasia 23, ora seminascosti dal tabernacolo dell’altare, si stagliano, invece, il busto e la testa, frontali, di
un magnifico angelo recante un giglio, attributo che dal tardo Medioevo correda
l’arcangelo Gabriele. La sua presenza è giustificata dal singolare e sintetico procedere per citazioni del testo pittorico; l’arcangelo è in asse al Cristo dell’Ultimo giorno, dipinto all’apice della scena; rammenta l’incarnazione, l’inizio della vicenda terrena del Signore, che si conclude con la sua seconda venuta alla fine dei tempi. È
quel che avviene a Brindisi, dove riscatta la scomparsa della Maiestas Domini, dovu23 San Michele è tuttavia presente nella chiesa, sulla parete meridionale, ma in atto di trafiggere il drago, secondo l’iconografia che lo collega al culto che gli è tributato sul Gargano,
segnalando la chiesa ed il casale come luogo di sosta appena discosto dall’importante arteria
stradale, frequentata dai pellegrini, che riprende il percorso antico della via Traiana; stessa esigenza memorativa si ravvisa nella chiesa del non lontano casale di Giano, dove sono affrescati
san Giacomo di Compostela e san Nicola Pellegrino, le cui reliquie si venerano nella vicina
Trani, insieme a santi olosomi latini, ad una Dormitio Virginis e ad una Pietas Domini, che profumano di Terrasanta.
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ta all’apertura di una imprevista finestra in cima all’affresco del Giudizio, il dipinto di identico soggetto, significativamente doppiato sulla piana parete di fondo del
coro – «Come la folgore viene da Oriente e brilla fino ad Occidente, così sarà la
venuta del Figlio dell’uomo» (Mt 24, 27) –, dove il Cristo in trono apre le braccia
e mostra le ferite delle mani, fiancheggiato da Serafini ed angeli turiferi, sovrastando due grandi figure, l’una assisa con libro, l’altra stante, tracce di un’Annunciazione
di stesura più tarda e raffinata, in parte sovrapposta ad una precedente, ma, su un
piano iconologico, coerentemente annodata al filo conduttore già intessuto.
Differente, ma sempre teologicamente altissima, risulta la composizione pittorica che interessa la zona absidale della chiesa di Soleto, fronteggiando il Giudizio
in controfacciata; su registri sovrapposti, si succedono, dall’alto, l’Antico dei Giorni,
in veste candida e assiso sul trono di smeraldo, circondato dai quattro Viventi; quindi, in una interessante contaminazione di elementi greci e latini, quattro santi Padri
affiancano l’immagine, indicata da un’iscrizione in greco, del Logos-Sophia, il VerboSapienza, giovane Cristo imberbe, con la stola del celebrante incrociata alla latina
e benedicente alla latina il calice deposto sull’altare dinanzi a sé: «La Sapienza ha
preparato il vino e ha imbandito la tavola» (Pr 9, 2).
Ebbene, se il Dies irae è il giorno della resa dei conti, il giorno tremendo, ed
il Cristo che compare sulle nubi è il giudice supremo, pronto a dividere le pecore
dai capri, in base ad un preciso segno di discrimine, l’amore attivo per Dio, che si
concretizza nell’amore per il prossimo (Mt 25, 31-46), in una circostanza estrema
dalle soluzioni irreversibili, la severità del giudizio è temperata dalla disponibilità
all’indulgenza e al perdono, resa in immagine dalla costante presenza, nelle scene
medievali del Giudizio, della Déesis, che significa Intercessione: il Cristo in Maestà,
eretto o, più spesso, assiso in trono, è affiancato dalle figure della Vergine, cui il
Signore nulla può negare, come insegna il miracolo di Cana, e di Giovanni Battista,
il più grande tra i nati di donna, secondo l’ammirata affermazione di Gesù (Mt 11,
11). È una splendida ‘invenzione’ iconografica che mitiga, con la sua conciliante
presenza, la netta dicotomia delle raffigurazioni dei giusti e dei dannati. Entrambi
hanno uno speculare gesto supplice verso il Signore, ma guardano incoraggianti lo
spettatore; la Vergine è velata e il Battista indossa un manto di pelo di cammello,
evidenziato dai bioccoli lungo l’orlo 24. La loro presenza negli animati contesti pittorici è ribadita nei più icastici complessi scultorei.
La centina del portale della cattedrale di Ruvo, un omaggio alla visione giovannea nell’Apocalisse 25, potenzia la Déesis con una coppia di santi martiri muniti di
rami di palma, identificabili con i medici gemelli Cosma e Damiano, ed allinea lungo
la ghiera, memore dei portali romanici francesi, le figure munite di rotolo dei dodici
apostoli e di altrettanti angeli turiferi, ribadendo l’allusione tematica nell’Agnello mistico e nel Tetramorfo, campiti nei girali di un lungo virgulto nel registro sottostante.
24 Un bell’esempio isolato del tema è la miniatura nel Benedizionale della cattedrale di Bari,
del secolo XI; al XII-XIII secolo data un dipinto murale nella chiesa rupestre di santa Maria la
Nova ad Ostuni, che ha conservato la sua nitida cromia.
25 M. Pasquale, Itinerario Romanico in Terra di Bari, Soprintendenza BAAAS della Puglia,
Bari 2000, 25-28.
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6. - Barletta, chiesa di sant’Andrea. Portale: lunetta.
Ma è sul prospetto della chiesa di sant’Andrea a Barletta, su un sagrato preceduto da un’alta scalinata, che la Déesis assume un tono davvero monumentale (fig.
6). Solo in parte conservato, il portale duecentesco, firmato dall’artista dalmata stanziato nella vicina Trani, Simone Raguseo, fortemente strombato e già intercalato da
sottili colonne, presenta nella lunetta la Déesis, affiancata da angeli genuflessi e
turifori che ne assecondano la curva; i quattro Viventi occhieggiano dalle basi degli
elementi verticali che spartiscono la scena, inquadrando i personaggi ciascuno in un
suo spazio; infine, ed è quanto soprattutto preme segnalare, le sculture degli stipiti
vivamente collaborano col soggetto principale a trasmettere il rassicurante messaggio dell’amore di Dio per gli uomini, narrandone percorso e modalità. Sullo stipite
di sinistra, partendo dal basso, si susseguono, corrose, le scene del peccato originale e della cacciata dal Paradiso; su questa base si staglia l’immagine allungata e
imponente della Vergine in trono che allatta il Figlio (fig. 7), fronteggiata, sullo stipite opposto, dalla figura stante del Signore benedicente e con nimbo crocesegnato,
ai cui piedi si svolge la lotta tra un drago, simbolo del demonio, ed un leone, simbolo di Cristo risorto, che lo divora: il nuovo Adamo e la nuova Eva dichiarano
esplicitamente le rispettive funzioni nella storia della salvezza. Nel momento stesso
della ‘caduta’, quando tutto è perduto, quando l’uomo, messo alla prova, ha deluso
il suo Dio con un peccato di disobbedienza e di orgoglio, costringendo il Creatore
a punirlo, si attiva il programma della redenzione, con l’immediata promessa del
riscatto; tra le possibili raffigurazioni della donna che avrebbe vinto il serpente e
consentito il superamento della condizione di peccato, è scelta quella più umanamente cordiale, la galattoprophusa, la Vergine allattante, icona bizantina che col
tempo sarebbe diventata la Madonna della misericordia, grazie al suo manifesto mes-
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7. - Barletta, chiesa di sant’Andrea. Portale: particolare dello stipite sinistro.
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saggio di tenera sollecitudine nei
confronti del Figlio e, quindi, dell’umanità intera.
Le ultime pagine dell’Enciclica
sono un canto commosso a Maria
ed un passo in particolare consente un puntuale richiamo iconografico, quando, al momento del commiato, il pontefice invita la Vergine
ad indicarci la via che conduce a
Cristo: celebre icona di matrice
costantinopolitana è l’Odegitria,
colei che indica la via, e raffigura
la Madonna in atto di mostrare con
l’evidente gesto della mano aperta
il Figlio che reca in braccio. È la
veneratissima immagine che si
custodisce nella cripta della cattedrale di Bari 26.
L’amore eucaristico
Ma nulla, come il sacramento fondamentale del cristianesimo, l’Eucaristia, è
segno tangibile dell’amore gratuito di Dio e del ‘comandato’ amore tra gli uomini;
a sottolineare la comunione di intenti e di affetti tra i commensali, agape, uno dei
sinonimi dell’amore analizzati nell’enciclica, fu il nome dei banchetti comunitari dei
primi cristiani, dai quali sarebbe scaturita la liturgia della messa: «[…] l’unione con
Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona» 27.
A Massafra, un ormai labile affresco nella cripta di san Simeone in Famosa
(fig. 8) – databile, per la sua raffinatezza squisita, emula dell’arte di corte, in piena
temperie bizantina, al X secolo e non oltre la metà dell’XI – mostra una scena di
grande bellezza, lasciando intravedere, nonostante le lacune, una preziosa impostazione di stampo ellenistico per la naturalezza dei moti e la scioltezza delle linee,
privilegiando i toni caldi del bruno, dell’oro e della porpora: il cenacolo è una sala
sontuosa, intorno alle trabeazioni si avvolgono drappi leggeri ricamati d’oro; una
cuspide centrale su una duplice arcata su colonne fa da sfondo all’immensa tavola che occupa più della metà del dipinto; edicole laterali ornate di pannelli fungono da spalliere ai seggi a capotavola del Cristo e di san Pietro, una tovaglia
purpurea, orlata da un gallone d’oro a racemi, copre il ripiano lasciando scoperte
26 G. Barracane, G. Oberto, La ‘tavola’ dell’‘Odegitria’. Tradizione e storia, in La vita in
Cristo e nella Chiesa XLI, 5, 1992, III-VII; N. Bux (a cura di), L’Odegitria della cattedrale.
Storia, arte, culto, Bari 1995.
27 Benedetto XVI, Deus … cit., 33.
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MARGHERITA PASQUALE
8. - Massafra, cripta di san Simeone in Famosa.
Dipinto murale.
9. - Otranto, chiesa di san Pietro. Dipinto
murale.
in primo piano le pieghe candide dei lini sottostanti; vasellame d’oro è sulla mensa,
una zuppiera simile a una pisside e grandi coppe che contengono pesci, la lama
dorata di un coltello; il Cristo è seduto da un canto, in Maestà, sull’alto seggio
con suppedaneo, ampio nimbo crocifero intorno al capo; sulla sua spalla è vistosamente chino il discepolo Giovanni, gli altri sono allineati a mezzo busto lungo
il profilo superiore, ad andamento leggermente ovoidale, della tavola; al centro è
Giuda, vestito come gli altri di tunica e manto, aureolato come gli altri: tuttavia,
a differenza degli altri, variamente rivolti a vicenda, egli fa balenare verso lo spettatore il lampo di uno sguardo inquieto, mentre la sua mano si allunga appena al
di là del bordo della tavola. Nell’atmosfera serena e dorata della sala, Gesù benedice alla greca.
Meglio nota è la stessa scena raffigurata ad Otranto, un secolo più tardi, nella
chiesa di san Pietro (fig. 9), sul versante di una volta a botte campita significativamente, sull’altra banda, dalla Lavanda dei piedi; più variegata e fresca la cromia, simili ma meno solenni la riquadratura architettonica, il gioco del drappo
sospeso, l’impostazione ad emiciclo della tavola, qui orlata da uno smerlo, ingenua resa dei coperti in corrispondenza di ogni commensale; simile l’apparecchiatura con un coltello e tre coppe portavivande colme di grossi pesci, arricchita da
altrettanti calici e, curioso dettaglio, da quelli che si direbbero una dozzina di
schematici flabelli sparsi sulla tovaglia; il Cristo, munito di rotolo e nimbo crocifero, è piuttosto disteso che regalmente assiso a capotavola, di contro a san
Pietro, ormai scomparso; Giovanni, presso Gesù, gli sfiora una spalla con la mano;
Giuda non rientra nella ordinata serie dei mezzi busti degli apostoli: sprovvisto
dell’aureola perlinata degli altri, più minuto dei compagni, si materializza sulla
tavola, lanciato col braccio proteso verso una coppa di pesce lontana da sé ma
prossima al Signore; Gesù guarda Giuda, e benedice. È evidenziato, come avverrà
per tutto il Medioevo ed il periodo rinascimentale, il momento tragico del pubblico annuncio da parte di Gesù del tradimento, l’attimo più triste nella sua vicenda terrena, ma anche condizione necessaria, perché abbia inizio quel processo ineluttabile che porta alla morte, e alla resurrezione. E quindi Gesù benedice; il tradimento di Giuda, come a Massafra è particolarmente evidente, è inteso quale
parte integrante della storia della salvezza.
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DEUS CHARITAS EST. L’AMORE CRISTIANO NELLE IMMAGINI IN PUGLIA
10. - Terlizzi, chiesa del SS. Rosario. Portale:
lunetta.
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11. - Altamura, cattedrale. Portale: lunetta.
In scultura, il tema eucaristico si avvale, nell’epoca aurea della scultura romanica in Puglia, tra la seconda metà del XII secolo e la prima del successivo, di elementi simbolici che alludono, scindendoli, ai singoli, determinanti componenti propedeutici il mistero grandioso e complesso dell’eucaristia: l’incarnazione, la morte,
la resurrezione 28.
Sono tarde e rare le circostanze in cui l’Ultima Cena campeggi su un portale:
nella lunetta della chiesa del SS. Rosario a Terlizzi – seconda metà del XIII secolo – (fig. 10), reliquia della scomparsa cattedrale, e nel trecentesco architrave della
cattedrale di Altamura (fig. 11), sovrastato da un’imponente Madonna col Bambino,
affiancata da angeli genuflessi che reggono ceri; essi adorano il basilare mistero
dell’incarnazione nell’immagine che, più chiaramente di ogni altra, comunica il concetto dell’amore di Dio per gli uomini, amati al punto da volerne condividerne la
vita di ogni giorno, i problemi che quotidianamente affrontano, gli affetti e le sofferenze.
Il portale di Altamura è un lungo filmato, che racconta con amabile puntualità
ogni dettaglio della vicenda del Signore, laddove a Terlizzi essa è ancora sintetizzata, nell’architrave che sottende la lunetta, nei tre momenti fondamentali, incarnazione (Annunciazione), nascita (Natività ed Epifania), morte (Crocifissione) e resurrezione, quest’ultima annunziata dalla compresenza, ai lati del crocifisso, del sole e
della luna, astri destinati al ritorno dopo il tramonto. In entrambi i casi, l’Ultima
Cena si attiene nello schema alla tradizione bizantina, offrendo una sorta di contaminazione tra le stesure pittoriche esaminate, anzi, fra le tradizioni iconografiche
cui esse fanno capo, con l’adozione di alcuni dettagli – come, a Terlizzi e ad Otranto,
i flabelli sulla tavola – ed alcune varianti: simile è lo schieramento dei commen28 M. Pasquale, Iconologia medievale dell’Eucaristia nella scultura pugliese e Iconologia medievale della risurrezione nella scultura pugliese, in R. Gnisci, M. Micella, F. Russo (a cura di),
L’Eucaristia nell’arte in Puglia. Catalogo della Mostra (Bitonto, chiesa di san Francesco della
Scarpa, maggio-ottobre 2005), Roma-Capurso 2005, 24-30.
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MARGHERITA PASQUALE
sali su un unico fronte della mensa imbandita, ovoidale a Terlizzi, rettilinea ad
Altamura, dove, con plastica evidenza, ai pesci si aggiungono i pani, insieme ai
quali e in assenza dell’agnello pasquale, simbolo di troppo elevata eccellenza per
essere reso in forma di vivanda, rinviano ad altri, celebri episodi evangelici di pasto
comunitario ed ai miracoli delle moltiplicazioni; Gesù è sempre assiso da un canto,
a capotavola, con san Pietro al capo opposto, e Giovanni è chino su di Lui – teneramente ad Altamura e ad Otranto, con abbandono a Terlizzi, dove il discepolo posa
il capo in grembo a Gesù, e a Massafra –, mentre Giuda protende la mano sulla
tovaglia – timidamente ad Altamura e a Massafra, con vivace ostentazione a Terlizzi
e ad Otranto –. Tuttavia quel che conta è che la scena, la stessa, pur godibile nelle
differenze, anche stilistiche, mostra a quale narrazione evangelica sia ispirata, a quella di Giovanni, l’unica che sottolinei la tenera posizione dell’autore accanto a Gesù;
essa non accenna all’istituzione dell’Eucaristia – tema sul quale l’evangelista si è
effuso altrove, trattando del pane vivo disceso dal cielo e del cibo spirituale costituito dalla carne e dal sangue del Signore (Gv 6, 48-58) –, ma privilegia, come ad
Otranto è reso in forma esplicita, il racconto dettagliato della lavanda dei piedi, il
fatto inaudito che a lavare i piedi dei discepoli sia il loro Maestro, che il padrone
serva i suoi servi, chiaro esempio di ciò che Egli vuole che essi facciano a loro
volta, aggiungendo che proprio da questo sarebbero stati riconosciuti, dall’amore e
dal servizio vicendevoli.
Il concetto è pienamente espresso in una miniatura di area sicula 29, di poco successiva all’affresco otrantino, laddove ritornano il semicerchio degli apostoli e la
tavola imbandita con i pesci, e Gesù compare due volte nella stessa scena, a capotavola e mentre lava i piedi a Pietro, quale cerniera tra le due raffigurazioni, a
dichiarare quanto esse siano inscindibili e come il loro contenuto consista nell’affermazione dell’amore di Gesù per i discepoli e nella sollecitazione al loro reciproco amore, esemplato sul proprio; preludio della passione – e della gloria – e
commiato dai discepoli, amati come figli, la scena mira a trasmette l’altissimo testamento spirituale del Signore, che raccomanda l’unità, il reciproco amore, la disponibilità al servizio, il risultato che il sacramento eucaristico, perpetuo memoriale
della Cena, intende perseguire e raggiungere.
Basterà fino all’avvento della Riforma protestante, quando il diffuso dibattito
sulla presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nelle specie consacrate e la
negazione della transustanziazione indurranno a prediligere, nella Chiesa della
Controriforma, un’iconografia che evidenzi l’evento della consacrazione delle specie, attingendo ai vangeli sinottici e trasformando il tema dell’Ultima Cena 30 in
quello dell’Istituzione dell’Eucaristia.
29
Federico… cit., fig. 91.4, 337.
Vale la pena di osservare che con la celebre Cena leonardesca, alla fine del Quattrocento,
siamo sull’onda di una tradizione ininterrotta, che non si è ancora imbattuta nelle innovazioni
rese necessarie dalla Controriforma; è un’ultima Cena ‘all’antica’, fatte salve la sensibilità squisita per i moti dell’animo e l’impostazione prospettica della sala, con una tavola che i riflessi
argentei dei resti nei piatti segnalano essere stata imbandita con pesci e dove non ha motivo di
sorprendere l’ipotesi che la figura efebica del giovane san Giovanni, in un primo momento, potesse essere stata idealmente collocata accanto a Gesù e teneramente appoggiata alla sua spalla: un
30
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DEUS CHARITAS EST. L’AMORE CRISTIANO NELLE IMMAGINI IN PUGLIA
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Indicativo si pone, a riguardo, il confronto tra due opere di analogo soggetto
compresenti in Santa Maria della Vittoria, chiesa Matrice di San Vito dei Normanni,
nel Brindisino. Che cosa spinse la Confraternita del SS. Sacramento a rimuovere
dalla propria cappella la pala d’altare, di provenienza veneta, come altri importanti dipinti della chiesa, nata con essa alla fine del Cinquecento, ed a relegarla, nel
1777, su un altare minore della navata per sostituirlo, in occasione del totale rinnovamento della chiesa, con un’opera ‘moderna’, commissionata a Napoli ad un
noto artista, Paolo di Majo? Non certo, o non solo, l’orgoglio di una commissione
nella capitale: la vecchia tela era decisamente ‘vecchia’, nei modi in cui il tema,
identico, dell’Ultima Cena era trattato; ancora si attardava su un pensiero immune
dalle controversie della Riforma, sul filo di una tradizione che presentava la cena
del Signore intrisa della dolce malinconia dell’ultimo incontro conviviale con gli
amici e minata dal funesto presagio del tradimento, un modello iconografico che –
come abbiamo visto – aveva attraversato senza sensibili mutazioni il medioevo, dal
dipinto murale dell’insediamento rupestre di san Simeone in Famosa al rilievo della
cattedrale di Altamura.
La prima tela (fig. 12) presenta una tavola a ferro di cavallo, allestita in una
vasta sala a colonne, le cui quinte architettoniche permettono due ‘affondi’ spaziali, tali da accogliere altrettante scene che il restauro ha evidenziato, la Lavanda dei
piedi e l’Orazione nell’orto, eventi che rispettivamente precedono e seguono l’episodio centrale, dando luogo ad un continuum narrativo che tutta la coinvolge, facendo della cena un anello, sostanziale ma pur sempre episodico, dell’inaugurato percorso della passione e disperdendo l’attenzione di chi guarda sui molti particolari
descrittivi, sugli effetti di luce notturna, sui gesti, gli ambienti, gli arredi. Rispetto
alle soluzioni medievali, così essenziali, schematiche e solenni, l’opera sembrerebbe a prima vista differire, animata dai moti dell’animo dei protagonisti, con l’agnello pasquale che finalmente figura sulla tavola imbandita insieme a piccole forme
di pane; un calice di vino è pronto davanti ad un meditabondo Gesù che, seduto
nel mezzo, sembra però ignorarlo; intorno, i discepoli si pongono la consueta domanda sull’identità del prospettato traditore e l’adolescente san Giovanni è chino sul
petto del Signore.
Tutt’altro impatto visivo ha l’opera nuova (fig. 13), una classica composizione
da Controriforma: ridotte al minimo le connotazioni ambientali, fasci di luce irradiano dal capo del Cristo come da un ostensorio; angeli in volo irrompono nella
centina sollevando le cortine sul mistero della transustanziazione che si compie;
Gesù benedice il pane che occupa il centro geometrico del dipinto, levando lo sguardo al cielo e pronunciando la formula sacramentale «Questo è il mio corpo»; raccolti in circolo serrato intorno alla mensa, gli apostoli hanno gesti di preghiera e
dipinto murale consente l’agile impiego delle mobili sagome dei cartoni. La soluzione geniale che
rompe con la tradizione consiste nell’aver voluto isolare Gesù al centro della composizione, davanti ad un largo piatto vuoto, perché tutto è stato distribuito, solo col suo tormento umano che più
tardi si esprimerà nel Getsemani e che qui è manifestato unicamente dal serrarsi ed aprirsi delle
mani sul bordo della tavola, tra il fermento dei discepoli cui il Signore ha appena comunicato
che uno di loro lo avrebbe tradito e che si chiedono chi possa essere; il sempre impulsivo san
Pietro afferra dalla tavola un coltello, di norma presente.
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MARGHERITA PASQUALE
12. - San Vito dei Normanni, chiesa di santa
Maria della Vittoria. Dipinto su tela raffigurante L’ultima cena.
13. - San Vito dei Normanni, chiesa di santa
Maria della Vittoria. Dipinto su tela raffigurante L’istituzione dell’Eucaristia.
di adorazione; Giuda volge le spalle al rito che si compie, negandolo come un eretico. Sono cambiati i contenuti, i messaggi da comunicare, le priorità della Chiesa
committente.
Particolarmente complesso si presentava il programma iconografico della cappella del SS. Sacramento della cattedrale di Ostuni, rinnovata in forme neoclassiche nella prima metà dell’Ottocento, scompaginando il ricco corredo pittorico seicentesco, già dispiegato intorno ad una scomparsa pala d’altare raffigurante l’Ultima
Cena e fortunatamente accolto sulle pareti della sacrestia. Esso annovera otto dipinti: accanto alla Raccolta della manna, ad Elia confortato dall’angelo e alla Cena
in Emmaus, troviamo Gesù e Zaccheo, Gesù e il centurione, Isacco e Abimelech e,
infine, Isaia e il serafino, Davide e Achimelech.
Il primo dipinto riproduce l’evento più noto correlato al nutrimento celeste, la caduta della manna, verificatasi durante l’esodo per tutti i quarant’anni della sua durata;
alle recriminazioni del popolo ebreo, il quale, ad un mese dalla partenza, rimpiangeva il cibo abbondante dell’Egitto, il Signore risponde, tramite Mosè: «Io farò piovere per voi pane dal cielo». La manna si presentava in forma di piccoli semi bianchi
e aveva sapore di focaccia col miele, compariva al mattino come brina sul terreno e
svaniva col salire del sole (Es 16, 1-36); rimasta nella memoria collettiva come tan-
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gibile testimonianza della continua attenzione dell’Altissimo per il suo popolo – se ne
conservava una misura nell’arca dell’Alleanza –, Gesù ne trarrà una straordinaria analogia eucaristica e la definizione di se stesso: «Procuratevi non il cibo che perisce,
ma quello che dura per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Non Mosè
vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il
pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo […] Io sono il pane
della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo
è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia» (Gv 6, 27-58).
La simbologia eucaristica di carattere ‘tipologico’ insiste nell’opera successiva
raffigurante Elia, il quale, nel deserto, prostrato dalla stanchezza e augurandosi di
morire, si è addormentato sotto una ginestra; un angelo lo sveglia, esortandolo a
mangiare la focaccia cotta su pietre roventi e a bere l’acqua che il profeta scoprirà
accanto al suo capo; corroborato nel corpo e nello spirito da quel cibo celeste, Elia
riprenderà il cammino (1 Re 19, 4-8). Con la Cena in Emmaus (Lc 24, 13-35), con
i due discepoli incontrati per strada seduti a tavola con Gesù, siamo di fronte ad
una vera e propria celebrazione eucaristica, nonché a quello che, per i cristiani, sarà
sempre l’autentico segno di riconoscimento: ‘spezzare il pane’.
Definito il sacramento, le sue virtù ed il rito, il ciclo di Ostuni ne considera i
destinatari: «Sta scritto: il Cristo dovrà patire e resuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono
dei peccati» (Lc 24, 46-47), a tutte le genti, senza distinzione di condizione sociale, religione, etnia; e quindi: l’episodio di Gesù e Zaccheo, capo dei pubblicani e
uomo ricco in Gerico, piccolo di statura, moralmente abietto e inviso ai connazionali, perché collaborazionista delle forze romane d’occupazione. Eppure per lui, che
si è arrampicato su un albero per veder passare Gesù, senza badare né al prestigio
né al decoro, e che spontaneamente fa ammenda degli illeciti commessi, Gesù ha
parole di consolazione, autoinvitandosi alla sua tavola: «Oggi la salvezza è entrata
in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo, infatti, è
venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19, 1-10). La scena che segue
raffigura uno dei miracoli più noti, la guarigione del servo del centurione, un idolatra, un nemico, ma Gesù vede solo una persona dabbene che ha a cuore la salute di un suo servo e che, con semplicità e franchezza, gli riconosce sulla vita e
sulla morte il potere che egli stesso esercita sui propri subalterni. Gesù lo ammira:
«Presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti
verranno dall’Oriente e dall’Occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e
Giacobbe nel regno dei cieli» (Mt 8,5-13; Lc 7, 1-10).
Tanta ampiezza di raggio d’azione della salvezza è prefigurata da una immagine rara e perciò di non immediata comprensione. Il dipinto raffigura l’alleanza tra
Isacco ed il re filisteo Abimelech: Isacco e Rebecca, come già prima di loro Abramo
e Sara, trovano ospitalità a Gerar, sulle terre di Abimelech, ed anche in questo caso
il marito ricorre allo stratagemma di far passare per sorella la propria bellissima
moglie, per tema di essere ucciso da qualcuno invaghito della sua avvenenza. Scoperto
l’espediente, Abimelech assicura Isacco della sua protezione, gli permette semina e
raccolto, finché questi, benedetto dal Signore che gli rinnova le promesse fatte a
suo padre Abramo, non diventa troppo ricco e potente e viene quindi esortato ad
allontanarsi. Ma il re filisteo ha un ripensamento: «Intanto Abimelech era partito da
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MARGHERITA PASQUALE
Gerar. Si era recato da Isacco con il suo amico Acuzzat e con il capo del suo esercito, Picol. Isacco gli disse: “Perché siete venuti da me? Voi mi odiate e mi avete
cacciato via da voi”. Essi risposero: “Ora abbiamo capito veramente che il Signore
è con te e abbiamo pensato: Facciamo un giuramento solenne fra noi. Concludiamo
un patto con te. Tu non ci farai alcun male come noi non ne abbiamo fatto a te.
Anzi noi ti abbiamo fatto solo del bene e ti abbiamo lasciato andar via in pace.
Ora è chiaro che il Signore ti ha benedetto”. Isacco preparò loro un banchetto ed
essi mangiarono e bevvero. Il giorno successivo si alzarono di buon mattino e si
scambiarono il giuramento. Poi Isacco li salutò e se ne andarono da buoni amici»
(Gn 26, 26-31). La sacralità del patto estende e garantisce ad entrambi i contraenti la benevolenza divina assicurata ad uno di loro, ne accomuna i benefici effetti.
La scena (fig. 14) si svolge in casa di Isacco, la casa di un benestante, dove non
mancano arredi dignitosi, nonché una inserviente ed un paggio di colore; Isacco è
colto dall’irruzione degli ospiti in abito da casa, con le maniche rimboccate; il re,
naturalmente con ermellino e corona, ha un gesto di saluto cordiale; alle sue spalle la scorta armata e Picol; l’amico Acuzzat, da gentiluomo, fornisce spiegazioni
doverose alla composta padrona di casa, seduta a capotavola, vestita con modesta
eleganza, identificata come coniuge dal garofano che sostiene tra le dita 31.
Nel settimo dipinto, Isaia, in ginocchio, offre le labbra al carbone ardente che
un serafino, dotato di sei ali variamente piegate, gli porge con una molla da fuoco
(Is 6, 1-8). La visione straordinaria di Dio sul suo trono, col manto che scende a
colmare il tempio e gli esseri ignei osannanti che lo circondano, ha riempito di
costernazione il profeta, facendogli esclamare: «Ogni parola che esce dalla mia bocca
e da quella del mio popolo è solo peccato», ma uno di quegli esseri lo purifica,
rassicurandolo: «Ecco, ho toccato le tue labbra con questo carbone ardente: la tua
colpa è scomparsa, il tuo peccato è cancellato». Allora Isaia si sente pronto ad eseguire il mandato del Signore. Sulla purezza della parola insisterà Gesù con alcuni
farisei e maestri della legge, che gli contestavano che i suoi discepoli, prima di
prendere cibo, non si lavassero le mani secondo la tradizione religiosa dei padri:
«Non è ciò che entra nella bocca dell’uomo che può farlo diventare impuro. Piuttosto
è ciò che esce dalla bocca: questo può fare diventare impuro l’uomo! […] Perché
è dal cuore che vengono tutti i pensieri malvagi che portano al male: gli assassinî,
i tradimenti tra marito e moglie, i peccati sessuali, i furti, le menzogne, gli insulti
[…] Sono queste le cose che fanno diventare impuro l’uomo. Invece, mangiare senza
purificarsi prima le mani, questo non fa diventare impuri» (Mt 15, 10-11; 18-20).
Concetto affine esprime l’ultimo dipinto, in cui è raffigurato Davide in atto di ricevere dal sacerdote Achimelech i pani sacri (1 Sam 21, 4-7). Il commento di Gesù,
espresso anch’esso in occasione di una controversia con alcuni farisei, che riprovavano il fatto che i suoi discepoli, di sabato, strappassero spighe di grano e se ne
cibassero contravvenendo alla legge, chiarisce il perché della presenza di un soggetto apparentemente blasfemo: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe
fame insieme ai compagni? Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani del31 Sul significato nuziale del garofano, F. Zeri, Dietro l’immagine. Conversazioni sull’arte di
leggere l’arte, Milano 1987, 16-17.
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14. - Ostuni, cattedrale. Sagrestia: dipinto su tela raffigurante Isacco ed Abimelech.
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MARGHERITA PASQUALE
l’offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? […] Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio [citando Osea 6, 6], non avreste condannato individui senza colpa» (Mt 12, 3-7).
I soggetti vetero e neotestamentarî solo in parte si rivelano strettamente eucaristici; in numero maggiore sono stati scelti per proclamare l’universalità della salvezza, mediata dal sacrificio eucaristico ma garantita, in prima istanza, da fede e
purità di cuore, non da apparenze ipocrite di correttezza formale.
Il fondamentale tema eucaristico è spesso il filo conduttore dell’intera compagine decorativa di una chiesa, ancora percepibile laddove vicende strutturali non abbiano alterato i contesti, rimuovendo le opere dai loro siti originarî, isolandole per
opportuni fini conservativi nei musei, ma, nello stesso tempo, impoverendole del
loro pieno significato. E mentre le grandi chiese – cattedrali, santuari, abbazie –
interessate da intense frequentazioni, oggetto di fervide attenzioni da parte dei prelati e dei fedeli, sono sovente obbligate dal loro stesso valore rappresentativo nei
confronti della cittadinanza e della realtà sociale e culturale, di cui sono vivamente partecipi, a trasformarsi con queste, mutuando nuove forme e scollegando antichi nessi, le chiese o gli ambienti destinati ad una fruizione privata e raccolta, invece, più conservatori e generalmente non interessati da urgenti adesioni a stilemi
aggiornati e a forme adeguate a rinnovate esigenze cultuali o culturali, riserbano
interessanti sorprese iconografiche, indipendenti dalla qualità delle opere, come sempre dettata dalle possibilità economiche della committenza.
A Fasano, nella chiesa confraternale del Purgatorio, la compagine settecentesca
si è conservata pressoché intatta 32. Alle immancabili presenze iconografiche correlate alla dedicazione della chiesa – Madonna del Suffragio, San Nicola da Tolentino
ed anime purganti, San Michele, nonché due ovali con le immagini dell’Angelo
custode e di Raffaele e Tobiolo – sono dedicate le pareti e gli altari laterali, ma la
zona presbiterale ospita, sull’altare maggiore, un’inattesa Adorazione dei pastori,
affiancata da una coppia di ovali con il Sacrificio di Isacco e la Cena in Emmaus,
povere copie dei due dipinti di identico soggetto realizzati dal De Mura per la cattedrale di Monopoli, a latere di una sua scenografica Ultima Cena, la cui trionfante
valenza eucaristica è preannunciata e ribadita dai dipinti minori. A Fasano, invece,
è proposta un’intonazione sommessa, intimistica, più adatta ad un pensiero raccolto e devoto che possa seguire un lento cammino e considerare quietamente come
mai sia stato scelto quale polo d’attenzione un tema a prima vista piuttosto natalizio e da presepe che eucaristico e, tanto meno, connesso alla dedicazione suffragistica della chiesa; ma ecco che piano piano ci si rammenta che quei pastori si trovano adunati in piena notte davanti ad «un bambino avvolto in fasce e che giace
in una mangiatoia», perché un angelo ha appena annunziato loro «una grande gioia,
che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che
è il Cristo Signore» (Lc 2, 8-12), parole che ha bisogno di sentirsi ripetere chi sta
pregando per la propria anima o per quella delle persone che ama; inoltre, la città
32 Sulla valenza artistica delle opere M. Guastella, Opere d’arte pittorica nella chiesa del
Purgatorio di Fasano, in A. Latorre (a cura di), La chiesa del Purgatorio di Fasano. Arte e devozione confraternale, Fasano 1997, 133-170.
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DEUS CHARITAS EST. L’AMORE CRISTIANO NELLE IMMAGINI IN PUGLIA
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di Davide è Betlemme, che significa ‘casa
del pane’ ed il testo pittorico centrale
prontamente si annoda ai due ovali dichiaratamente eucaristici.
Va aggiunto che gli stucchi della volta
accolgono, nel mezzo, un piccolo tondo con
l’episodio di ‘Gesù e la cananea’ (Mt 15,
21-28), riconoscibile dal cagnolino che, in
un canto della scena, rinvia alla similitudine adottata dalla donna per convincere
Gesù a guarirle la figlia ammalata; è ancora un esempio di risposta ad una richiesta,
che non tiene conto di differenze di etnia
o di religione: «Donna, davvero grande è
la tua fede! Ti sia fatto come desideri».
Inoltre, tre telette mistilinee presentano
Giuditta che mostra la testa di Oloferne e
due episodi tratti dalle vicende di Davide,
il più noto incontro con Abigail (1 Sam
25) ed il meno famoso, ma affine, incontro con il servo Zibà (2 Sam 16, 1-4). La
giovane e bella Abigail è generalmente
lodata per la sua prudenza e per la sua
capacità di intercessione, virtù che la ren15. - Fasano, chiesa del Purgatorio. Dipinto su dono una prefigurazione della Vergine non
tela raffigurante il Compianto sul Cristo depomeno di Giuditta, la cui fede in Dio persto dalla croce.
mette che, per mezzo di una donna, la sua
città sia liberata dal nemico che l’assedia;
tuttavia, qui accostati, i due episodi davidici sono exempla di savia individuazione del
giusto e del vero, di ortodossia. Essi si verificano in tempi diversi: il primo durante
le ostilità che divisero il re Saul ed il giovane Davide, unto per volontà di Dio re successore; il secondo, al tempo della rivolta di Assalonne, ambizioso figlio del re Davide
ed aspirante al trono paterno. Abigail riconosce in Davide il capo d’Israele e ne invoca la clemenza, offrendogli doni; Zibà abbandona il suo padrone, che ha preferito seguire Assalonne, per presentare al legittimo re Davide le sue offerte e l’assicurazione della
propria fedeltà: saranno entrambi generosamente ricompensati. La chiesa, dunque, celebra, riserbando loro collocazioni privilegiate, il tema più ampio della universalità della
Salvazione, tramite la figura di Maria, in connessione con quelli imprescindibili
dell’Eucaristia e della Fede: dedicata al suffragio per le anime purganti, essa è in ogni
sua parte un manifesto della Controriforma.
Va aggiunto che una rilevante rimozione ha interessato, nel secolo scorso, un
settecentesco Compianto sul Cristo deposto dalla croce (fig. 15), ora in sagrestia,
ma già allogato su un altare visivamente concepito come sepolcro di Cristo e ancora in opera, ospitante, sotto la mensa, un Cristo lapideo deposto e compianto dalle
pie donne, affrescate sulla parete di fondo del piccolo vano, chiuso da ante lignee
dipinte, sulle quali è raffigurato il terminale di un sarcofago, vigilato da due guar-
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MARGHERITA PASQUALE
die. La collocazione originaria del dipinto, presentando il corpo deposto del Signore
ai piedi della croce, assai prossimo al ripiano della mensa dell’altare e ribadito dalla
composizione sottostante, avrebbe reso permanente ed efficace il concetto del sacrificio che nella liturgia della messa si rinnova e della reale presenza del corpo del
Signore nelle specie che vi si consacrano.
A volte un’assenza iconografica può valere quanto una presenza: siedono sulla
base di un ostensorio ottocentesco del tesoro della basilica barese di san Nicola 33
le allegorie della Fede e della Speranza, l’una armata della croce, l’altra dell’ancora (Eb 6, 19); il committente ha giudicato tautologica, ripetitiva, la figura della terza
virtù teologale, la Carità, essendo perfettamente ‘incarnata’ e manifesta nella stessa, sovrastante, ostia consacrata.
33 A. Simonetti, Ostensorio raggiato. Scheda n. 62, in N. Milella, V. Pugliese (a cura di),
Cittadella Nicolaiana. Un progetto verso il 2000. Catalogo della Mostra (Bari 1995), Bari 1995,
269-270, con relativa immagine.
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Studi Bitontini
Felice MORETTI
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Panorama confraternale pugliese
dal Medioevo all’età moderna
Il mondo confraternale affonda le radici in tempi lontanissimi ed abbraccia un’area geografica molto vasta e diversificata dal punto di vista religioso e culturale.
Ma le diversificazioni e le varianti non hanno modificato la causa iniziale del fenomeno – vale a dire –, la necessità naturale di associarsi che l’uomo ha sempre
avvertito per paura.
Qui non si vuole indagare nel mare magnum delle confraternite che hanno operato ed operano in un panorama mondiale di fedi e religioni diverse; storici di grande valore hanno già dato, a livello europeo, risultati eccezionali. Basti citare SànchezHerrero, Lerou, Aubé, Meersseman. Per quanto riguarda l’Italia meridionale, e la
Puglia in particolare, le indagini di Liana Bertoldi Lenoci hanno aperto vie, prima
non percorse, alla conoscenza del fenomeno confraternale con tutte le sue insospettate sfaccettature. Queste poche pagine non vogliono essere da complemento alla
conoscenza della realtà confraternale in Puglia, ma semplicemente fare delle brevi
riflessioni e considerazioni.
È noto che le confraternite in Italia hanno radici profondissime nell’età medievale, come ha chiaramente dimostrato Franco Cardini, e che solo a partire dalla
chiusura del Concilio di Trento (1563) assumeranno aspetti e nuove caratteristiche,
che si definiranno nell’età contemporanea, ma che comunque sin dal Medioevo continuavano a ruotare su tre assi portanti. Il primo è quello che Philippe Ariès chiama «un’assicurazione sull’aldilà», in quanto i defunti hanno l’assicurazione delle
preghiere dei loro confratelli. Il secondo è l’assistenza ai poveri, privi di ogni mezzo
materiale di conciliarsi gli intercessori spirituali. Il terzo è assicurare il servizio di
pompe funebri della parrocchia, diventando così e per lungo tempo delle ‘istituzioni della morte’.
Ora, sebbene la realtà pugliese confraternale in età medievale sia poco conosciuta, a differenza dell’Italia centro-settentrionale per la ricchezza ed abbondanza
delle fonti documentarie, tuttavia alcune tracce importanti come atti notarili o qualche statuto provano la presenza di forme associative confraternali a partire dal XII
secolo. Tracce simili saranno ritrovate nei secoli XIII, XIV e XV. Nonostante la
povertà documentaria, possiamo ragionevolmente asserire che confraternite pugliesi
esistevano nel Medioevo. Ben a ragione Liana Bertoldi Lenoci ha suggerito per
quell’età una indagine mirata e pianificata con lo studio sistematico di atti notari-
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1. - Bitonto, chiesa del Purgatorio. Veduta da NW della facciata principale - secolo XVII (foto
P. Procacci).
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PANORAMA CONFRATERNALE PUGLIESE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
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2. - Bitonto, chiesa del Purgatorio. Veduta da NW della facciata principale: particolare della decorazione architettonica - secolo XVII (foto P. Procacci).
li, lasciti e testamenti riguardanti soprattutto città costiere come Barletta, Trani,
Molfetta, Monopoli, Brindisi, porti di partenza, transito e sosta, nonché luoghi di
incontro e scambi con le coste dalmate e dell’Asia Minore. Sarebbe impensabile
che queste città «non si fossero arricchite di associazioni assistenziali quali le confraternite, istituzioni che formavano una rete a maglie fitte che avvolgeva tutta
l’Europa medievale cristiana». Ed è altrettanto impensabile che tali istituzioni non
assolvessero alle necessità devozionali come l’assistenza o guida religiosa con la
creazione di ospedali, ospizi ed opere di carità come soccorso ai poveri, suffragi
per i morti, messe e preghiere, assistenza ai moribondi. Insomma, tutte quelle forme
di conforto necessarie a vincere la paura, che nessuna forma di governo era in grado
di offrire. La Puglia, pertanto, entrava a pieno titolo in questa rete assistenziale e
devozionale in modi e forme non diversi da quelli europei, comunque sempre sotto
l’occhio vigile del potere ecclesiastico che controllerà l’ortodossia degli insegnamenti religiosi. E non solo. La Chiesa vigilerà sulla gestione dei lasciti a scopo
assistenziale e controllerà che essi siano devoluti rispettando la volontà dei testatori, che vorranno regolare i rapporti con le loro coscienze «prima di averli a ragionar con Dio». Queste istanze si andranno organizzando attorno al secondo quarto
del XIV secolo, proprio nel periodo della grande crisi e della grande mortalità che
ne consegue. La spiritualità cristiana conoscerà allora un ruolo nuovo che trae forza
dai temi connessi con la morte e che farà assumere alle confraternite laicali potenzialità più forti e più affascinanti. Esse infatti sapranno coniugare in modo originale il tema teologico della comunione dei santi con la «ragione della mercatura»,
perché si è certi che la confraternita nella quale si entra pregherà per tutti i defun-
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FELICE MORETTI
ti ad essa appartenuti e che ad essa apparterranno. La preghiera continua assicurata
ai confratelli anche dopo la morte è «una specie di assicurazione sulla vita eterna»,
«un passaporto per il cielo», secondo l’espressione di Jacques Le Goff, per cui c’è
un prezzo da pagare. Perciò il testatore, soprattutto quello ricco e potente, prima della
morte ha afferrato la mano che la Chiesa gli tendeva, perché «il ricco, cioè il potente – scrive André Vauchez – è in una posizione di speciale vantaggio per assicurare
la propria salvezza». L’acquisizione di nuovi meriti dinanzi a Dio gli è garantita attraverso donazioni, fondazioni pie, elemosine e tesori dell’arte: Annunciazioni, Visitazioni,
Natività della Vergine, Crocifissioni, e poi ancora sculture, statue e affreschi che impreziosirono le chiese dal basso Medioevo a tutto il Settecento ed oltre. Né la grazia e
la bellezza vennero meno con macabre rappresentazioni scultoree della morte su monumenti funebri, sulle cornici o sulle trabeazioni delle chiese pugliesi, laddove i teschi
e gli scheletri ammoniscono che davanti alla morte tutti sono uguali (figg. 1-2). Così,
per la realizzazione di queste opere d’arte le confraternite saranno destinatarie di lasciti cospicui, amministrati secondo statuto, per il bene materiale dei vivi e in suffragio
dei morti, sempre sotto l’attenta vigilanza dei vescovi per evitare gestioni scorrette.
Seguire passo passo l’evoluzione delle confraternite in Puglia e i rapporti, talvolta tesi con le autorità ecclesiastiche e civili, il loro proliferare incontrollato, i loro
rapporti con i vari ordini come i Mendicanti e i Predicatori e quelli con le autorità
laiche dopo le riforme napoleoniche e le soppressioni di conventi e confraternite, ci
porterebbero lontano. Ci basti comunque evidenziare come gli Ordini mendicanti
(soprattutto i Francescani), già a partire dagli anni successivi al 1240, cercassero di
realizzare i loro progetti pastorali attraverso le confraternite e associazioni laicali che
essi seppero creare e rendere sempre più attive con lo scopo di diffondere, grazie ad
una élite di fedeli, una religiosità più impegnata, integrandola in strutture organizzative di tipo nuovo che ebbero la loro genesi proprio nel XIII secolo. È nel Duecento,
infatti, che si fa strada la nuova spiritualità degli Ordini mendicanti alle prese con le
esigenze di un universo cittadino più vivo e denso e con l’occhio attento alle sensibilità laicali. In questo universo prende piede un nuovo modo di guardare sia ai modelli sacrali, sia alle realtà umane.
Se nella prima metà del XIV secolo, caratterizzato dal tracollo demografico e
mentale della ‘Peste Nera’, assumono centralità i grandi temi della vita e della morte
che hanno tenuto campo fino al XVII secolo, con il Cinquecento e la Riforma cattolica si fanno strada una diversa sensibilità religiosa e una pratica che perdureranno fino alla fine del Settecento e, in molti casi, faranno sentire la loro influenza molto più lontano, fino alla vigilia del Concilio Vaticano II: un periodo di lunga
durata, di ‘superamento del medioevo’ nella storia della pietà in cui il concetto di
fratellanza assume forme nuove e nuovi significati. Dunque, un modo nuovo di
intendere le relazioni tra uomo e Dio e fra uomo e uomo, che dà origine a quella
che il Meersseman chiama «rivoluzione cristiana della pietà»: pietà che cede campo
man mano che cresce d’importanza la questione sociale. Illuminanti a riguardo sono
le ricerche della Bertoldi Lenoci, di R. Rusconi e di G. G. Meersseman, che evidenziano come il fenomeno confraternale cessa di essere fenomeno nella diversificazione e trasformazione dei rapporti con il potere laico che, a partire dal Concordato
del 1929, le ha confinate in spazi ristretti e fuori della realtà. Ridotte di numero e
sempre più preoccupate delle attività funeratizie e di suffragio, le confraternite hanno
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PANORAMA CONFRATERNALE PUGLIESE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
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abdicato alle loro antiche e nobili funzioni di aiuto e sostentamento ai diseredati,
sostituite dalle istituzioni civili che provvedono, attraverso gli enti deputati, ad erogare forme di sostentamento di ogni genere. Attraverso l’associazione, la confraternita limita la sua azione a garantire il funerale e il loculo nella cappella da essa
gestita nel cimitero.
Le confraternite pugliesi dal Cinquecento ad oggi conservano un aspetto omogeneo su tutto il territorio che non si è modificato a seguito del mutare del numero delle sedi vescovili. Nell’Archidiocesi di Bari – ad esempio –, fino al 1986 formata da 25 Comuni, sono presenti 25 confraternite del Santissimo già dal secolo
XVII; così come Bitetto e le prelature di Altamura ed Acquaviva. Le confraternite
della Misericordia sono attestate già nei secoli XIV e XV, assieme a quelle della
Purificazione di Maria, di Santa Maria de la Nova, poi sostituite da indirizzi mariani nuovi nei secoli XVI e XVII, quali quelli del Rosario o dell’Immacolata.
A Bitonto, la chiesa di S. Maria della Misericordia sorse nel 1414 «[…] nella
pubblica Piazza, e corrisponde alla strada della Regia Corte, contigua al palazzo dei
Sig.ri Lerma, fabbricata di pietra rustica con tonica, e biancatura da dentro e da
fuori, consiste in una nave con tetto e soffitto […]». Fu abbattuta nel 1905.
Il titolo originario della confraternita della Misericordia in Bitonto fu ‘Sacro
Monte di Pietà o Misericordia’. L’associazione – come scrive Grazia Delvino –
fu istituita già nel 1414 nella chiesa da cui prese il nome. Vi facevano parte i
cittadini più importanti e notabili della città. Detta Confraternita aveva come scopo
precipuo quello di diffondere il culto e di soccorrere i poveri, gli ammalati, i pellegrini e le ragazze nubili e prive di ogni mezzo. Nel 1716 si diede un nuovo
statuto e il 4 maggio 1778 fu riconosciuta con regio Assenso ed assunse il titolo di ‘Monte dei Morti della Misericordia’. Oltre ad una cospicua disponibilità
pecuniaria, la confraternita disponeva di un ricco patrimonio costituito da beni
rurali, fabbricati, canoni attivi, fitti di fondi rustici ed urbani. Dalla Platea del
1792 si evince che possedeva «una metà di giardino, con arbori di diversi frutti
ed olive sita nella via della Mattina»; «una casa palaziata sita dentro Bitonto nella
strada delle Termiti»; «un serrietello d’ordini undici di terra con olive e frutti»;
«un annuo cenzo di carlini tredici e grana cinque». Inoltre, possedeva un cappellone gentilizio nel cimitero comunale i cui proventi derivanti dalla vendita dei
loculi andava ad incrementare il reddito della stessa confraternita che, nel 1868,
a causa del deplorevole stato della chiesa, domandò al comune di Bitonto di poter
trasferirsi nella chiesa degli ex conventuali di S. Francesco d’Assisi e di poter
fruire di tutti i locali annessi e degli arredi sacri. Il trasferimento fu concesso per
incrementare il culto. Va evidenziato che la chiesa conventuale a Bitonto come
altre chiese conventuali pugliesi hanno avuto la fortuna di essere conservate, curate ed anche abbellite. In questo periodo si distingue il ruolo del parroco che tende
a veicolare le confraternite in area parrocchiale e ad usufruire delle loro attività
per un migliore funzionamento della vita devozionale, liturgica ed assistenziale
della parrocchia, che si impegna nel sociale dando spazio a forme di assistenza
non riscontrabili negli statuti precedenti: un aiuto finanziario fisso a vedove, orfani o a confratelli invalidi permanenti. Tale cambiamento di ruolo trasforma le confraternite in Opere pie il cui quadro istituzionale è chiarito dalla legge n. 6972
del 1890.
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Le contese sorte in seno alla confraternita, a causa della convivenza di altre confraternite nella medesima chiesa-convento di s. Francesco, determinarono il trasferimento di quella della Misericordia nella chiesa di S. Domenico, dove continuò ad
esercitare la sua missione per alcuni anni, finché a causa dello scarso numero di
associati fu decretata la sua fine.
Per le istituzioni confraternali in Puglia fondamentale è il problema delle fonti,
siano esse pergamenacee o cartacee, architettoniche o iconografiche e di qualunque
altro genere come l’abito della Madonna o del santo patrono, gli abiti o i colori
delle mozzette dei confratelli, gli oggetti di uso liturgico. Le indagini comunque si
presentano molto complesse soprattutto per lo stato di conservazione, delle condizioni e delle catalogazioni delle fonti medesime. La situazione è diversa da diocesi a diocesi. Se quella di Manfredonia-Vieste è piuttosto compromessa, più agevole è l’indagine per le diocesi di Trani, Barletta e Bisceglie, così come per l’archivio della Collegiata di Terlizzi o per quello della diocesi di Molfetta. Precario è lo
stato di conservazione dell’archivio di Ruvo; il fondo documentario dell’archivio di
Bitonto si presenta riordinato e le carte restaurate; quello di Giovinazzo è ricco ed
esauriente per la ricostruzione della storia confraternale della ex diocesi. Perfettamente
ordinato è l’archivio capitolare di Bari, che conserva documentazione a partire dal
1541, così come ben conservato è quello di Altamura, ricco e ordinato così come
quello di Gravina, voluto da mons. Vincenzo Maria Orsini, poi papa Benedetto XIII
nel 1714. Cospicuo e ordinato è l’archivio diocesano di Conversano e quello di
Monopoli che conserva – come ci ricorda la Bertoldi Lenoci – uno degli statuti più
antichi finora ritrovati in Puglia: quello della confraternita del Sacratissimo Corpo
di Cristo risalente al 1512. Cattiva sorte toccò all’archivio diocesano di Otranto,
completamente distrutto nel 1480 a seguito dell’invasione turca. Oggi conserva documentazione della diocesi di Alessano, Gallipoli, Lecce, Castro ed Ugento.
Uno studio a parte meriterebbe il fenomeno confraternale nella Capitanata moderna: in verità già affrontato nelle sue linee generali da Mario Spedicato che ne ha
evidenziato i limiti di ricerca proprio per lo stato di «complessivo abbandono» di
molti archivi locali, che versano in uno stato di precarietà non sufficiente a «spingere l’analisi oltre i meri dati quantitativi raccolti da fonti diverse (soprattutto dalle
visite pastorali e dalle relationes ad limina)».
Non è raro il caso di archivi conservati presso le singole confraternite. Un fondo
documentario di notevole importanza è ad esempio conservato nell’archivio storico
dell’Arciconfraternita di Santa Maria del Suffragio – o ‘del Purgatorio’ – in Bitonto,
che già esistente da ‘tempo immemorabile’ ebbe nuovo vigore nell’ultimo decennio
del Cinquecento. «Questa tesi – scrive Pasquale Procacci – dovrebbe essere convalidata dalla esistenza presso il nostro archivio storico di strumenti notarili, di rogiti, che attestano il possesso di beni immobili di questo Sodalizio fin dagli anni
novanta del XVI secolo» e che testimoniano come l’affiatamento di individui appartenenti alle diverse classi della società bitontina possa essere considerato come uno
dei frutti migliori della grande diffusione delle confraternite già dagli ultimi secoli
del Medioevo a Bitonto come altrove. Si può dire che le confraternite riuscissero
a realizzare, pur senza prefiggerselo, una pacificazione sociale con la benedizione
apostolica. A conferma, il Procacci porta la testimonianza di una pergamena datata
7 settembre 1604. La confraternita di Santa Maria del Suffragio fu, infatti, la prima
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PANORAMA CONFRATERNALE PUGLIESE DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA
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ad ottenere in Bitonto la ‘Bolla Apostolica’ di istituzione e, subito dopo, l’‘Assenso
Vescovile’. La Bolla fu emessa il 4 gennaio 1629 in Roma da papa Urbano VIII;
il 27 gennaio dello stesso anno 1629, il Vescovo mons. Fabrizio Carafa concedeva
l’‘Assenso Vescovile’. Da quel momento la confraternita era nel pieno dei suoi poteri giuridici ed economici, oltre che dei suoi obblighi assistenziali che danno uno
spaccato della società bitontina e della sua composizione, della sua vita culturale
ed economica.
Le confraternite e i relativi edifici di culto dedicati al Purgatorio, alle anime del
Purgatorio, a Santa Maria del Suffragio sono particolarmente numerose in Puglia.
La spiegazione – secondo Clara Gelao – è da ricercarsi nella grande diffusione di
sodalizi che, a partire dal XVII secolo, si preoccupano del destino delle anime purganti, a seguito della «definitiva acquisizione della credenza nel Purgatorio come
luogo di passaggio e di attesa, alternativo alla più drastica ‘coincidentia oppositorum’ inferno-paradiso e più adatto a riportare l’irrazionalità della morte a dimensioni umane» che acquisteranno mutamenti importanti in una nuova concezione del
destino, mutuato da un nuovo linguaggio ecclesiastico che favorirà il passaggio dal
destino collettivo al destino individuale nell’aldilà. Ciò spiega anche il cospicuo
numero di chiese dedicate al Purgatorio con relativo patrimonio di grande ricchezza, bellezza e ampiezza attestante la presenza nelle città di un segmento piuttosto
consistente di un ceto abbiente ‘specchio della società laicale’ e di una committenza di elevata cultura che si preoccupa in vita del destino della propria anima e di
quello di coloro che sono defunti.
Ora, è solo attraverso gli statuti che la confraternita fissa in modo definitivo il
suo nome e la sua dedicazione. Pertanto, se la confraternita di Santa Maria del
Suffragio dedica la sua devozione alla salvezza delle anime in Purgatorio, altre decidono di dedicare la propria devozione a culti diversi: a quello cristologico – ad
esempio –, per cui sorgono confraternite che si offrono al culto del SS. Sacramento
dello Spirito Santo, della SS. Trinità; al culto mariano, per cui sorgono culti dedicati a Maria SS. della Misericordia, a Santa Maria delle Grazie, a Maria SS. del
Rosario o a Maria SS. del Monte Carmelo – che nella chiesa del Carmine in Bitonto
conserva l’affresco più antico della Madonna del Carmine, datato al 1520 –, oppure a Santi di ispirazione domenicana, francescana o a Santi regionali.
Da qui l’importanza della storia delle confraternite, che lasciano cogliere non
solo gli aspetti specifici della religiosità popolare in una determinata area geografica, ma anche quegli aspetti dove la creazione artistica gioca un ruolo non secondario alla comprensione del fenomeno confraternale in un contesto antropico permeabile ad accogliere nuovi culti. È il caso, per Bitonto, della nascita della confraternita di San Michele Arcangelo nel 1718, le tracce del cui culto si perdono in
tempi lontanissimi. Ne dà testimonianza la diffusione in tutto il territorio di chiesette intitolate all’Angelo guerriero. Né meno diffusa è l’iconografia, tant’è che la
committenza della statua lignea policroma che si ammira nella omonima chiesa, a
cui Nicola Pice ha dedicato un pregevole studio, rivela un eccezionale interesse non
solo da parte dei confratelli, ma della popolazione bitontina tutta verso il Santo protettore della morte e dai terremoti. Infatti, l’istituzione confraternale non era limitata al solo culto devozionale, ma aveva come scopo anche il Monte dei Morti e
la relativa liturgia funeraria necessaria ad esorcizzare la paura della morte. Il Monte
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farà celebrare 100 messe per ciascun
confratello defunto e 60 messe per
ogni consorella.
La prontezza poi della realizzazione della statua di san Michele rivela
non solo il prestigio della confraternita, ma anche la disponibilità economica piuttosto consistente ed una committenza esigente e colta. La statua
bitontina, che sembra prediligere la
raffigurazione di profilo anziché frontale, ha la testa aureolata con cimiero, le ali spiegate, lo scudo impugnato nella mano sinistra, mentre la destra
impugna una spada pronta a colpire la
testa del demonio con coda di drago.
La modellazione del volto dell’Angelo
è eseguita in maniera raffinata e sublime (fig. 3), una bellezza quasi efebica simile alla statua di San Michele
in marmo corinzio del Sansovino che
si ammira nella grotta dell’Arcangelo
a Monte Sant’Angelo.
Profondamente radicata risulta nel
territorio pugliese la devozione a San
Michele, la cui ricchissima iconografia è presente in quasi tutte le chiese,
così come numerose e importanti sono
le confraternite dedicate al suo culto.
E poiché l’attività di suffragio è monopolio secolare delle confraternite, le
3. - Bitonto, chiesa di Santa Maria delle Martiri
o di san Michele. La statua dell’Arcangelo - seco- stesse gestiscono la devozione micaelica e del suffragio congiunto.
lo XVIII (foto D. Ciocia).
Le confraternite – in conclusione –
occupavano un posto di rilievo all’interno della società in cui operavano. Per questo lo studio della pietà che le caratterizzava non può prescindere dal contesto sociale, civile, politico, culturale in cui
esse agivano.
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Studi Bitontini
Rosanna CARLUCCI
85-86, 2008, 71-78
L’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento
a Bitonto: origini e finalità cultuali
La devozione eucaristica tra XV e XVI secolo
La cristianità occidentale conobbe numerosi movimenti di rinnovamento spirituale prima della Riforma luterana e il contributo degli italiani non fu certo irrilevante. Alla fine del Quattrocento, sorsero vari movimenti di riforma che si rifecero alla Devotio Moderna dei Paesi Bassi. Queste nuove tendenze insistevano molto
sul ruolo di Cristo, come uomo e mediatore, e sulla partecipazione più ampia dei
laici all’esperienza e all’attività religiosa. Si svilupparono in questo modo uno spirito di profonda pietà religiosa e un forte anticlericalismo.
In Italia, nel Quattrocento e agli inizi del Cinquecento, operarono alcuni riformatori: i più noti furono san Bernardino da Siena, l’arcivescovo Antonino di Firenze
e fra’ Girolamo Savonarola 1. Nel 1497 a Genova Ettore Vernazza fondò, sia per i
religiosi che per i laici, la Compagnia del Divino Amore, che si diffuse in molte
zone d’Italia. Questi gruppi furono sostenitori di una vita morale corretta, della disciplina, della confessione e della comunione frequenti e delle attività caritatevoli; ad
esse si ispirarono molte altre confraternite laiche e società clericali. In Italia l’invasione francese del 1494 trasformò la Penisola in un centro di conflitti internazionali e, tra 1520 e 1540, ci furono parecchie annate di carestia e di devastante
povertà a causa delle guerre, delle condizioni climatiche e delle epidemie; pertanto
il numero sempre più elevato di vittime, di feriti, di orfani, di malati, spinse gli
ordini religiosi e le confraternite ad agire nello spirito di carità che li contraddistingueva.
Il Concilio di Trento e i riformatori postridentini cercarono di determinare una
forte azione di controllo da parte dei vescovi su tutte le confraternite e le istituzioni da esse dipendenti. Tuttavia le confraternite diventarono una parte del sistema, una sorta di rinforzo della vita sociale e religiosa delle parrocchie. Si ebbe, in
1 C. F. Black, Le confraternite italiane del Cinquecento, Milano 1992, 20; P. Prodi, Riforma
Cattolica e Controriforma, in Nuove Questioni di Storia Moderna, Milano 1968, vol. I, 357-418;
M. Marcocchi La Riforma Cattolica. Documenti e Testimonianze, Brescia 1967-1970, vol. I, 137140, 187-191; R. De Maio, Riforma e Controriforma, in Idem, Riforme e miti nella Chiesa del
Cinquecento, Napoli 1973, 11-29.
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72
ROSANNA CARLUCCI
questo periodo, un significativo sviluppo delle confraternite del Corpus Christi e del
Sacramento, finalizzate ad incoraggiare i laici a rispettare e adorare il sacramento
dell’eucarestia. Fin dal XII secolo, le confraternite si erano impegnate nella venerazione dell’Ostia, ma nei movimenti di Riforma cattolica si aggiunsero nuove argomentazioni, affinché i laici si comunicassero più frequentemente. Il Borromeo e i
suoi successori cercarono di stabilire nei loro decreti una sistemazione degli altari
tale che lasciasse al sacerdote una zona libera per celebrare e tenesse l’adunanza
dei fedeli a una giusta distanza.
Le confraternite del Santissimo Sacramento avevano il compito di tenere in ordine gli altari e tutti gli oggetti necessari, provvedere alla scorta della cera e dell’olio, aiutare ad esporre l’Ostia nelle occasioni speciali e partecipare alle celebrazioni e alle processioni del Corpus Christi. Inoltre ciascun confratello, a turno, si impegnava ad accompagnare la processione del Viatico, che consentiva, a tutti gli ammalati e alle persone fisicamente impedite, di ricevere l’eucarestia.
Nonostante alcune perplessità, molti, anche riformatori laici, come Bonsignore
Cacciaguerra, sostennero tenacemente la pratica della comunione frequente. Il
Trattato della Comunione, pubblicato per la prima volta nel 1557 dal Cacciaguerra,
è considerato il maggiore contributo per il cambiamento di tale mentalità, anche
se già alla fine del Quattrocento c’erano stati predicatori e confessori che incoraggiavano a confessarsi e a fare la comunione più spesso 2. Il Cacciaguerra e alcuni gesuiti, che avevano stretti contatti con le confraternite, si impegnarono affinché i laici ricevessero l’eucarestia più di una volta all’anno, secondo la pratica che
era attestata dalla confraternita romana di San Giovanni in Laterano e da quella
di San Lorenzo in Damaso alla Cancelleria, fondata nel 1501. Un ulteriore impulso in questo senso l’aveva dato Paolo III con la Bolla del 1539, Dominus Noster
Jesus Christus, redatta per la confraternita di Santa Maria sopra Minerva e finalizzata ad accordare indulgenze e privilegi ai laici di entrambi i sessi, che veneravano il Sacramento e facevano spesso la comunione 3. Grande promotore di questo privilegio papale fu il padre domenicano Tommaso Stella del convento della
Minerva in Roma.
I sodalizi intitolati al Santissimo Sacramento si diffusero rapidamente sia nelle
grandi città che nei piccoli centri, e i frutti furono talmente copiosi che il Papa
ritenne opportuno promulgare un nuovo documento che permise di godere dei privilegi e delle indulgenze della confraternita romana a tutte quelle confraternite istituite o da istituirsi in qualsiasi luogo sotto la stessa denominazione e per lo stesso
2 B. Cacciaguerra, Trattato della SS. Comunione, Venezia 1575, 3 r-v: «[…] di lupi rapacissimi son diventati agnelli mansuetissimi; molte persone sordissime e puzzolenti, immerse nel peccato della carne, son divenute caste e odorifere […]»; R. De Maio, Bonsignore Cacciaguerra un
mistico senese nella Napoli del Cinquecento, Milano-Napoli 1965; M. Rosa, Vita religiosa e pietà
eucaristica nella Napoli del Cinquecento, in Idem, Religione e società nel Mezzogiorno tra Cinque
e Seicento, Bari 1976, 193-216.
3 Black, Le confraternite … cit., 130-131; F. Buzzi, Il Concilio di Trento (1545-1563). Breve
introduzione ad alcuni temi teologici principali, Milano 1995; P. Tacchi Venturi, Storia della
Compagnia di Gesù, 2 voll., Roma 1950-1951, vol. II, 222-223.
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L’ARCICONFRATERNITA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO A BITONTO: ORIGINI E FINALITÀ CULTUALI
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scopo. I Pontefici successivi continuarono l’opera di Paolo III; Gregorio XIII concesse ulteriori indulgenze e privilegi che Paolo V riunì e specificò particolarmente
nella Costituzione Cum certos del 3 novembre 1606, fornendo espressamente alla
confraternita del Santissimo Sacramento della Minerva il titolo di Arciconfraternita 4.
In Puglia le prime attestazioni della presenza di confraternite intitolate al
Santissimo Sacramento risalgono alla seconda metà del XV secolo, periodo caratterizzato da una profonda crisi politica e religiosa. Le fonti documentarie attualmente a nostra disposizione forniscono notizie attendibili relative al sodalizio di
Barletta, la cui istituzione risalirebbe al 1469, e a quello di Molfetta, la cui data di
fondazione non è nota, ma la sua esistenza è documentata dai testamenti di Melillo
de Roberto del 1494 e di Giovanni Fanelli del 1495, in cui si stabiliva la fornitura di una libbra di cera alla confraternita del Corpo di Cristo 5. Nella prima metà
del XVI secolo le confraternite del Santissimo Sacramento o del Corpo di Cristo
risultano ancora più numerose: abbiamo testimonianze certe della loro presenza a
Lecce (1506), Monopoli (1513), Martina Franca (1532), Capurso (1539), Bitetto
(1540), Taranto (1540), Noja-Noicattaro (1540-1544), Grumo (1549), Ruffano (1553),
Francavilla Fontana (probabilmente 1554) 6. In un Registro conservato presso
l’Archivio Generale dei Domenicani in Roma, che ha inizio dall’anno 1540, sono
annotate in ordine alfabetico, per la richiesta di erectio all’Ordine Generale dei
Domenicani, ben sedici confraternite pugliesi dedicate al Santissimo Corpo di Cristo.
Per la provincia di Bari la loro presenza risulta ad Altamura (1540), Bari (1542),
Bitonto (1540), Canosa (1540), Cassano (1540), Corato (1542), Giovinazzo (1540),
Gravina (1541) 7.
Cenni sulle origini dell’Arciconfraternita a Bitonto
Mons. Sebastiano Delio, nominato vescovo di Bitonto nel 1540, si prese cura di
istituire la confraternita del Santissimo Sacramento nella Cattedrale di questa città,
4 La Confraternita del SS. Sacramento. Brevi notizie storico giuridiche. Statuto-Indulgenze,
estratto da 46, 1929, 3-4.
5 C. Pappagallo, Appunti sulla Confraternita del S.mo Sacramento e sul Monte di Pietà, in L. M. De
Palma (a cura di), Le confraternite del Santissimo Sacramento e del Monte di Pietà a Molfetta, Molfetta
2004, qui 59; A. Ficco, «Per servitio di nostro signore Iddio et beneficio de poveri». Carità e pietà confraternale a Molfetta (XVI-XIX sec.), in De Palma, Le confraternite… cit, qui 40-41.
6 L. Bertoldi Lenoci, Le Confraternite Postridentine nell’Archidiocesi di Bari. Fonti e documenti, vol. I, Bari 1983, 26, 79-80.
7 G. Esposito, Le confraternite del SS. Sacramento in Puglia da un registro cinquecentesco
inedito, in L. Bertoldi Lenoci (a cura di), Le confraternite pugliesi in età moderna. Atti del seminario internazionale di studi (Bari, 28-30 aprile 1988), Fasano 1988, 597-601; L. Bertoldi Lenoci,
Il culto del SS. Sacramento in due statuti confraternali meridionali: Monopoli (1513) e Sant’Agata
di Puglia (1751), in Archivio Storico Pugliese XXXIX, 1986, 161-174; V. Robles, Vescovi e confraternite nel Mezzogiorno: una storia in parallelo, in S. Spera (a cura di), Uomini e Donne nella
Chiesa. Atti della VII Primavera di Santa Chiara 1987, Roma 1988, qui 130-133.
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74
ROSANNA CARLUCCI
ottenendo l’aggregazione all’Arciconfraternita di Roma il 5 maggio dello stesso
anno 8.
Il nuovo sodalizio ricevette un favorevole riscontro da parte dei devoti, che si
associarono in gran numero ed elargirono sostanziose offerte e vari legati in suo
favore, permettendo di far fronte a tutte le funzioni religiose legate a questo culto
e di acquistare, con il sopravanzo, diversi beni stabili 9.
Il cospicuo numero di confratelli determinò l’esigenza di possedere una cappella propria «nella quale havessero possuto far sepulcri, comodità di cascia di reponere pannamenti, cera, vasi d’argento, d’oro ed altre cose appartinentino al culto
divino ed esso SS.Sacramento et alla comodità di detta Confraternita». Tale richiesta fu accolta da Cesare Labini e dall’abate Francesco Maria suo fratello, i quali
donarono alla Confraternita la Cappella di San Giovanni Evangelista di cui erano
entrambi rettori e patroni. L’atto di concessione fu rogato dal notaio Leonardo Urbano
di Bitonto il 16 dicembre 1572 e stabiliva che i confratelli avevano diritto a servirsi sia della Cappella che della sagrestia ad essa annessa e potevano disporvi le
comodità più urgenti, purché non costruissero sepolcreti, che potessero considerarsi
«dominio et preiudicio» dei donatori, fino a quando i confratelli non avessero avuto
la possibilità di provvedere ad una Cappella propria più comoda e appropriata, in
tal caso tutte le migliorie apportate dovevano essere valutate e risarcite dai fratelli
Labini, che avrebbero ripreso possesso del proprio bene 10. Dell’antica cappella, situata nella navata sinistra della Cattedrale, è rimasto soltanto l’altare marmoreo, attualmente, collocato nel transetto sinistro: si tratta di un’opera di pregevole fattura commissionata nel 1762 allo scultore marmoraro, Aniello Cimafonte, dal Priore Lorenzo
Fornella 11.
I rapporti tra l’Arciconfraternita e il clero, in particolare con i Capitolari, non
furono sempre facili. Il Capitolo Cattedrale, infatti, rivendicò, nel 1700, il diritto di
esclusività su determinate pratiche e uffici religiosi, in primo luogo quelli legati al
culto del Santissimo Sacramento e sull’ufficio della Santissima Vergine e dei Morti,
tanto da non tollerare la presenza della confraternita nella chiesa Madre. Valutata
persino l’ipotesi di edificare un oratorio separato dalla chiesa Cattedrale,
l’Arciconfraternita nel tempo continuò ad esercitare le proprie funzioni originarie,
per circa un secolo fu amministrata dai parroci della città, nel 1641 passò sotto le
direttive del clero diocesano e del Capitolo, che ogni anno nominava il procuratore; a partire dal 1719 fu affidata all’esclusiva amministrazione dei confratelli, che
avevano il compito di somministrare il Santissimo Viatico.
Nella prima metà del XVII secolo, per risollevare la Arciconfraternita da una
fase di declino, che provocò nel 1639 una notevole diminuzione del numero degli
iscritti, si decise di associare circa cinquanta confratelli per l’erezione di un Monte
8 Archivio Storico Diocesano ‘A. Marena’ - Bitonto (d’ora in poi A.D.B.), Confraternita SS.mo
Sacramento, Busta 1, fasc. 2, cc. 17-19.
9 A.D.B., Confraternita SS.mo Sacramento, Busta 1, fasc. 2, c. 36.
10 A.D.B., Confraternita SS.mo Sacramento, Busta 1, fasc. 2, c. 11.
11 M. Pasculli Ferrara, Le cappelle del SS.mo Sacramento, in Bertoldi Lenoci (a cura di), Le
confraternite… cit., qui 50.
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L’ARCICONFRATERNITA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO A BITONTO: ORIGINI E FINALITÀ CULTUALI
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dei morti, per il quale era previsto il pagamento mensile di cinque grana da parte
di ciascuno, allo scopo di poter provvedere alle esequie degli aggregati con l’associazione del Capitolo e dei cinquanta confratelli iscritti, muniti di torce. Lo Statuto
e il Regolamento del Monte dei Morti furono redatti nel 1641 alla presenza del
Capitolo, del clero e dei deputati del Sodalizio; l’atto fu rogato dal notaio Nicola
de Angelis di Bitonto 12. La decisione si rivelò risolutiva e si ebbe un notevole incremento degli iscritti e del culto dell’eucarestia.
L’Arciconfraternita è ancora attiva, anche se comprende un numero esiguo di
confratelli.
Competenze, funzioni, ambito di attività
L’Arciconfraternita comprendeva ottanta iscritti, in quanto i quaranta confratelli
previsti dal regolamento avevano diritto a nominare, a proprio arbitrio, una consorella, che doveva essere «persona civile» 13. In caso di morte si provvedeva subito
alla sostituzione, in modo che fosse assicurata la presenza di un numero fisso di
associati. L’aspirante confratello era tenuto a presentare un memoriale al Priore, per
spiegare le motivazioni della sua scelta: si procedeva, quindi, a mettere al corrente della richiesta il Maestro dei novizi e uno o due «Fratelli Deputati», al fine di
reperire informazioni e di redigere una relazione sulla condotta di vita e sull’età
dell’aggregando. La decisione finale, espressa, mediante voto segreto, spettava alla
congregazione generale o particolare. In caso di giudizio favorevole era prevista una
tassa d’ingresso, variabile a seconda dell’età: si partiva da una quota minima di sei
ducati per gli aspiranti dai quindici ai venti anni e si passava ad una quota massima di venti ducati per quelli di età compresa fra i trentacinque e i quarant’anni,
oltre i quarant’anni la quota mensile veniva fissata «ad arbitrio della maggior parte
dei Fratelli Congregati nella generale o particolare Congregazione». Questa disposizione valeva anche per le consorelle le quali, come tutti i confratelli, pagavano
una mensilità fissa, corrispondente alla somma di sei carlini l’anno. In caso di mancato pagamento per due anni, si perdeva il diritto di voce attiva e passiva e di
«godere della Candelora», finché non venisse corrisposto l’arretrato 14. L’aggregazione
dei confratelli «a Cassa Morta» non prevedeva limiti di numero e di condizione
sociale, ma la loro ammissione era, comunque, affidata al voto della congregazione generale o particolare la quale stabiliva anche la quota che ciascuno doveva
pagare pro una vice tantum; una volta accettati, i confratelli “a Cassa Morta” avevano diritto a godere, in vita e in morte, di tutti i privilegi, le prerogative e i suffragi previsti per tutti gli altri confratelli, a condizione che fossero «esenti dalle funzioni, pesi, offici e cariche» 15.
12
A.D.B.,
A.D.B.,
Bitonto fatto
14 A.D.B.,
15 A.D.B.,
13
Confraternita SS.mo Sacramento,
Confraternita SS.mo Sacramento,
il 1776, Busta 1, fasc. 2, art. I.
Confraternita SS.mo Sacramento,
Confraternita SS.mo Sacramento,
Busta 1, fasc. 2, c. 41.
Statuto della Congrega del SS.mo Sacramento di
Statuto… cit., art. III.
Statuto… cit, art. IV.
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ROSANNA CARLUCCI
Molte erano le funzioni religiose e gli atti di pietà cristiana di competenza della
Confraternita; fra questi quello caratterizzante era certamente l’accompagnamento al
SS.mo Viatico che ogni giorno veniva portato processionalmente ai moribondi. La
processione era organizzata dal Capitolo che designava i sacerdoti, i chierici (almeno dieci del Capitolo) e il maestro del coro, che dovevano portare i ceri, il baldacchino e il pallio. Nel caso di disimpegno da parte del Capitolo per questo pio
esercizio, l’organizzazione era affidata all’arbitrio del Priore e di tutta la
Arciconfraternita, che provvedeva soltanto a ceri e ai sacri arredi, facendo addebitare la spesa sul proprio conto dal Procuratore 16. Se il Viatico doveva essere somministrato a uno degli aggregati, compresi quelli ‘a Cassa Morta’, avevano l’obbligo di partecipare alla processione quattro confratelli o almeno quattro sostituti, vestiti di sacco e muniti di torce, accompagnati da due canonici della Cattedrale. Anche
in caso di morte era previsto l’accompagnamento di quattro confratelli col compito di reggere i lembi della coltre «vestiti di sacco e mozzetta, e colle torce». I quattro deputati designati dal Priore erano tenuti, in caso di rifiuto, a pagare al sacro
Monte dei Morti una penalità di quattro libbre di cera.
Le altre funzioni religiose di particolare importanza erano la festa del Corpus
Domini, l’Ottava, l’esposizione eucaristica ogni terza domenica e le sacre funzioni
della Settimana Santa, che prevedevano la pratica delle Quarant’ore, con l’intervento
di un Predicatore scelto dal Priore, a partire dalla domenica delle Palme, l’allestimento del sepolcro il Giovedì Santo e la solennizzazione del Venerdì Santo 17. In
occasione della festa del Corpus Domini e nell’Ottava partecipavano alla processione almeno dieci confratelli, vestiti di sacco e mozzetta; alcuni avevano il compito
di portare le torce, altri i ventagli. Compito fisso del Priore, invece, era quello di
portare l’ombrello in tutte le processioni di pertinenza della Arciconfraternita 18. Nel
giorno della festa della Purificazione, che si celebrava il 2 febbraio, il Priore aveva,
per devozione, la possibilità di donare a ciascun confratello una candela di tre once
e a ciascuna consorella, comprese quelle ‘a Cassa Morta’, una candela di due once;
erano previste due candele di tre once ciascuna agli ufficiali, all’Avvocato e al
Cancelliere. Questa consuetudine poteva essere interrotta, per un valido motivo, ed
era anche possibile la diminuzione e la sospensione delle spese per tutte le altre
solennità. Il Priore aveva libertà assoluta di elargire ai mendicanti tutte le elemosine che riteneva necessarie, purché non superassero la somma di dieci carlini a testa
e fosse accordato il diritto di precedenza alle consorelle e ai confratelli bisognosi.
Le elemosine venivano versate dal Procuratore, con mandato del Priore e, se si riteneva opportuno stanziare una somma per fornire la dote ad una ragazza povera, si
doveva sottoporre la proposta alla congregazione che deliberava secondo il caso 19.
Un’attenzione particolare era rivolta alle pratiche funerarie, che erano regolate
da un rituale molto dettagliato e riservate a tutti i tipi di confratelli, anche quelli
‘a Cassa Morta’. In caso di agonia si provvedeva a celebrare sette messe per cia16
17
18
19
A.D.B.,
A.D.B.,
A.D.B.,
A.D.B.,
Confraternita
Confraternita
Confraternita
Confraternita
SS.mo
SS.mo
SS.mo
SS.mo
Sacramento,
Sacramento,
Sacramento,
Sacramento,
Statuto…
Statuto…
Statuto…
Statuto…
cit, art. XXI.
cit., art. XXIII.
cit., art. XXII.
cit., art. XXIV-XXV.
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L’ARCICONFRATERNITA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO A BITONTO: ORIGINI E FINALITÀ CULTUALI
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scun confratello e dopo la morte era prevista, nel corso di otto giorni, la celebrazione di cento messe in suffragio, del valore di un carlino ciascuna, con l’accompagnamento di quaranta confratelli muniti di torce di cera accese. Se qualcuno non
desiderava tutte le torce previste, venivano celebrate due messe per ogni torcia mancante, sempre del valore di un carlino.
Il tempo deputato alle esequie era quello antimeridiano; la sede, la Cattedrale:
era prevista una messa cantata e, se il rito funebre si teneva dopo pranzo, la messa
veniva rimandata alla mattina seguente.
Tutti i defunti godevano del diritto di sepoltura nel sepolcreto della
Arciconfraternita. Le spese funerarie, che comprendevano l’associazione del Capitolo
e di altri ordini religiosi, il compenso per i becchini, la cassa da morto e i diritti
del parroco, ammontanti a venticinque grana, non richiedevano il mandato del Priore,
in quanto erano ritenute spese necessarie: il Tesoriere doveva soltanto avere cura di
conservare la documentazione probatoria del rendiconto finanziario e, se gli eredi
del defunto avessero avuto intenzione di invitare per l’accompagnamento funebre
altri religiosi oppure avessero desiderato delle torce in più, avrebbero dovuto provvedere a proprie spese. Nel caso in cui un confratello esprimeva la volontà di essere sepolto in un’altra chiesa, aveva diritto soltanto all’accompagnamento delle quaranta torce, alle sette messe per l’agonia, alle cento messe lette e alle «messe delle
torce mancanti»; gli altri servizi erano di competenza della Arciconfraternita della
chiesa prescelta. Se un confratello moriva fuori città, l’Arciconfraternita aveva l’obbligo di far celebrare in suffragio della sua anima centottantasette messe del valore di un carlino «cioè messe cento come fratello, o consorella, ottanta per le quaranta torce e sette dell’agonia» 20.
Organizzazione amministrativa
L’Arciconfraternita era affidata alla supervisione generale di un Avvocato e di
un Cancelliere, nominati dai quaranta confratelli e dalle quaranta consorelle. Preposti
a sovrintendere a tutti gli affari e ai bisogni ordinari, erano esenti dal pagamento
della tassa d’ingresso e delle mensilità e avevano diritto a godere, in vita e in morte,
di tutti i privilegi, le prerogative e i suffragi riservati agli iscritti.
Le elezioni per il consiglio di amministrazione si svolgevano ogni anno nella
seconda metà del mese di agosto. Veniva convocata un’assemblea generale nel corso
della quale il Priore stabiliva la data delle votazioni per le quali erano previsti l’intervento e l’assistenza dell’avvocato e del Cancelliere, entrambi aventi diritto al voto.
L’elezione del Priore era regolata da un rituale particolare: ciascun confratello aveva
diritto ad estrarre una pallina da un’urna e, coloro ai quali capitava una delle tre
palline argentate, avevano l’obbligo di eleggere in ordine di preferenza, Priore, Primo
e Secondo Assistente. In caso di parità si procedeva al sorteggio. I tre eletti avevano diritto di nominare gli ufficiali minori, ad eccezione dell’Esattore, con assoluto divieto di proporre i propri consanguinei o affini, fino al terzo grado di paren20
A.D.B., Confraternita SS.mo Sacramento, Statuto… cit., artt. XVII-XX.
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ROSANNA CARLUCCI
tela. Il Procuratore ossia Esattore, il quale doveva essere «il più facoltoso e probo
Fratello per sicurtà» della Confraternita, aveva il compito di riscuotere tutte le rendite, di eseguire i pagamenti dei censi e le spese necessarie, autorizzate dal mandato sottoscritto dal Priore, da uno degli Assistenti e dal Segretario, che annotava
su un registro tali mandati. La segnalazione delle spese straordinarie era affidata ad
un registro a parte, in modo da non inficiare la resa dei conti al termine dell’incarico annuale per il quale il Procuratore aveva diritto a percepire la somma di trenta ducati, come onorario per il suo servizio. Il Priore e i suoi Assistenti, nel corso
dell’assemblea generale, nominavano e sottoponevano al voto di tutti i presenti l’elezione del Prefetto del Monte dei Morti, che vigilava e si prendeva cura di tutte
le pratiche inerenti alle esequie, ai funerali e ad ogni altra mansione collegata al
buon governo del Monte. Chi ricopriva la carica era esente, per quell’anno, dal
pagamento delle mensilità previste.
Con lo stesso sistema e con la premura di scegliere una «persona proba e facoltosa» per garantire la sicurezza del sodalizio, veniva eletto il Tesoriere che, esentato dal pagamento della quota associativa, aveva il compito di riscuotere la tassa
di ingresso e le mensilità, annotandole su un apposito registro che era esibito ai
Razionali per la resa dei conti. Sia il Procuratore che il Tesoriere, al termine del
loro incarico, dovevano consegnare ai Razionali, entro sei mesi, tutta la documentazione contabile per i controlli. In caso di inadempienza a tale obbligo si interveniva per via legale e il trasgressore rimaneva privo di voce attiva e passiva fino a
quando non rendeva conto della propria amministrazione. I due Razionali, incaricati di controllare dettagliatamente l’introito e l’esito dell’Esattore, del Tesoriere e
del Procuratore (i tre ufficiali non potevano essere rieletti l’anno successivo perché
dovevano essere a disposizione per i controlli dei conti), venivano eletti ogni anno
con il solito sistema maggioritario, a condizione che fossero esterni alla Confraternita
e non avessero contratto debiti con essa 21. Grande attenzione veniva riservata alla
custodia degli oggetti di valore del Sodalizio. Nell’art. XV delle Regole si rilevava che esso era tenuto a possedere una cassa, da collocarsi nel luogo ritenuto più
sicuro, nella quale dovevano essere riposti «denaro, Libri, Istromenti ed altri documenti e cautela» e l’assemblea doveva scegliere la persona di fiducia a cui affidare la chiave. Tutti i beni e i titoli d’acquisto dell’Arciconfraternita erano descritti
su una platea; un registro, invece, riportava i nomi di confratelli e consorelle, nonché dei defunti e dei loro sostituti 22.
Per le pratiche religiose e per tutti gli atti di pietà cristiana i confratelli nominavano, con maggioranza di voti segreti, un Padre spirituale, secolare o regolare,
assolutamente privo della facoltà di «inserirsi negli affari temporali di detta
Arciconfraternita ma solamente nel Spirituale» 23.
21
22
23
A.D.B., Confraternita SS.mo Sacramento, Statuto… cit, artt. VII-XII.
A.D.B., Confraternita SS.mo Sacramento, Statuto… cit., artt. XIV-XVI.
A.D.B., Confraternita SS.mo Sacramento, Statuto… cit., art. V.
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Studi Bitontini
85-86, 2008, 79-90
Maria Rita CAMPA, Marianna GNONI
Francesca NITTI
Su Porta Maja
a Bitonto *
1. Introduzione
‘Porta Maja’ o ‘Porta del Carmine’ è una delle cinque porte maggiori d’ingresso
alla città antica di Bitonto. Immediatamente visibile dal bivio per Modugno-Palo del
Colle, si affaccia su uno slargo prospiciente sulla lama del torrente Tifre (fig. 1).
Il fronte esterno presenta un arco a tutto sesto affiancato da due coppie di semicolonne, realizzate in pietra calcarea, su alto plinto e con capitelli tuscanici. Tali
semicolonne presentano rocchi sporgenti e rientranti, con lavorazione a bugnato
(fig. 2).
Nella doppia trabeazione, sormontata da timpani triangolari, sono inseriti due
stemmi, quello comunale a destra, con leoni rampanti su un albero d’olivo, e uno
poco leggibile, poiché lacunoso, a sinistra. Sulla cornice continua che corre lungo
il prospetto, si trovano due aperture, probabilmente saettiere o arciere collegate col
camminamento interno alla struttura.
Nella parte alta, in conci lapidei coperti da residui di superficie a calce, predomina lo stemma in pietra dei Savoia, allo stato attuale degradato, sormontato dalla
statua della Madonna del Carmine con Bambino (fig. 3).
La cortina in bugnato del fronte principale di Porta Maja funge da portale del
tunnel interno, a sesto acuto e d’epoca anteriore alla parte esterna. La tessitura muraria, anche nella volta a botte, è di conci calcarei sbozzati in superficie e coperti da
uno scialbo di calce.
Il prospetto interno è intonacato e presenta anch’esso piccole aperture in corrispondenza del camminamento interno della Porta. La pavimentazione sottostante è
costituita da basoli in pietra calcarea, orditi a spina di pesce.
* Questo contributo illustra alcuni contenuti del lavoro di studio condotto dalle scriventi e coordinato dall’arch. Tommaso M. Massarelli presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Bari,
nell’ambito del ‘Laboratorio di Restauro Architettonico’, tenuto dal prof. arch. Mauro Civita (anno
accademico 2002-2003). I paragrafi 2, 4, 5 sono di Maria Rita Campa, il paragrafo 3 è di Marianna
Gnoni, il paragrafo 6 è di Francesca Nitti. Il paragrafo 1 si intende a firma congiunta.
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MARIA RITA CAMPA - MARIANNA GNONI - FRANCESCA NITTI-
1. - Bitonto, Porta Maja. La struttura è collocata tra la torre quadrangolare normanna e il torrione circolare trecentesco (foto F. Nitti - 2002).
2. - Bitonto, Porta Maja. Prospetto principale: rilievo dei materiali (M. Gnoni, pastelli su cartoncino - 2003).
3. - Bitonto, Porta Maja. Statua della Madonna con Bambino (foto M. Gnoni - 2002).
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SU PORTA MAJA A BITONTO
81
2. Inquadramento storico
Allo stato attuale delle conoscenze, pur in assenza di documentazione diretta, si
ritiene che Bitonto fosse dotata di mura già in età romana. Esistono invece testimonianze storiche attendibili risalenti al Medioevo. Durante il dominio normanno
(secoli XI e XII), si provvide alla costruzione di una cortina muraria munita di torri.
Il sistema di difesa era del tipo «piombante con camminamenti scoperti a scalare, arciere, saettiere, caditoie, fossati […]» 1. A questo periodo risale la costruzione della torre quadrangolare a destra di Porta Maja. Il torrione di sinistra fu invece realizzato sotto il dominio angioino, con forma circolare, elevato su breve scarpa e rivestita di bugnato a bauletto.
La letteratura corrente ipotizza la costruzione del passaggio a sesto acuto di Porta
Maja contemporaneamente a quella del torrione circolare, nel XIV secolo. Furono
apportate importanti innovazioni all’impianto difensivo bitontino tra XV e XVI secolo: si costruirono ex-novo le cortine murarie di nord e nord-est (da Porta Maja verso
Porta Baresana), mentre quelle verso Porta Robustina e Porta Nova furono restaurate. In un disegno di Michelangelo Azzario del 1586 2 (fig. 4), viene rappresentata Porta Maja senza l’attuale paramento bugnato e, sembrerebbe, con una merlatura di coronamento simile a quella del torrione circolare adiacente. Risale al 1677
l’assetto a paraste binate con elementi in bugnato a fasce orizzontali e trabeazione 3; nel 1830 viene inserito, sul fronte principale di Porta Maja, lo stemma comunale e quello dei Savoia 4.
Il paramento esterno di Porta Maja risulta, quindi, essere addossato ad una preesistenza, forse trecentesca, e posto fra strutture costruite in epoche diverse: a destra,
la torre normanna e le fortificazioni cinque-seicentesche; a sinistra, il torrione circolare e le mura di epoca precedente.
3. Caratteri architettonici e riferimenti storici
L’impaginato esterno di Porta Maja inserisce questo monumento in una temperie artistica derivata dal mondo classico e dalle sue successive reinterpretazioni, in
particolare d’epoca barocca. Alcune importanti opere di architettura, di cui si dà
cenno in questo paragrafo, possono aver rappresentato archetipi o riferimenti culturali significativi nella concezione di Porta Maja.
In primo luogo ricordiamo il palazzo romano detto di Raffaello, in cui Bramante inserì,
nella parte superiore della facciata, colonne doriche accoppiate su piedistalli allineati con le
balaustre delle finestre. L’uso binato dell’ordine architettonico, già utilizzato nel Cortile del
Belvedere in Vaticano, ha come archetipo l’Arco Trionfale d’Alfonso d’Aragona a Napoli.
1
A. Castellano, P. Cioce, M. Muschitiello, Monumenti, Bitonto 1994, 45.
Ivi, passim.
3 Ivi, 57.
4 Archivio Storico del Comune di Bitonto (di seguito ASCB), Fondo Pre-unitario, b. 330, c.
5, «Circa gli stemmi reali e del Comune da scolpirsi nei diversi uffici pubblici», 1829-1830.
2
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MARIA RITA CAMPA - MARIANNA GNONI - FRANCESCA NITTI
4. - Bitonto, pianta della cinta muraria secondo la rappresentazione di Michelangelo Azzario
del 1586, con indicazione di Porta Maja (da
Castellano, Cioce, Muschitiello, Monumenti …
cit., 45).
Non si può non citare l’uso dell’ordine binato nella Biblioteca Laurenziana (fig. 5):
Michelangelo anticipa la plasticità barocca, a cui contribuiranno, spesso, colonne e pilastri accoppiati che ritroviamo
anche nell’impaginato di Porta Maja.
Restringendo il campo d’analisi al
contesto architettonico seicentesco della
Terra di Bari, dobbiamo premettere che
le opere del barocco presentano un uso
vario e a volte fantasioso degli ordini,
che contribuisce fortemente ad effetti plastici e chiaroscurali. Le facciate delle
chiese romane del Gesù, di Santa
Susanna, di Santa Maria in Campitelli e
dei Santi Vincenzo e Anastasio 5 (figg. 67) sono solo gli esempi più famosi di
diversi gradi di rilievo e di intensità
d’ombra, corrispondenti a diversi gradi di
integrazione dell’ordine nella struttura.
Effetti plastici e chiaroscurali sono prodotti anche dall’uso di ordini binati o trini e
dal bugnato delle cortine
murarie, che contribuiscono a
fornire monumentalità e decoro all’edificio. Le bugne, da
elemento di rivestimento della
pietra, possono diventare griglia sostituendosi agli ordini
architettonici o alle cornici
marcapiano.
Riguardo alle tipologie di
portali, porte urbane e archi
trionfali d’epoca barocca, trasmessi soprattutto dai trattati di
Serlio 6 e Vignola 7, possiamo
5. - Firenze, Biblioteca Laurenziana. Vestibolo, 1525. In
questo monumento, opera di M. Buonarroti, l’ordine binato, in pietra serena, è stretto in recessi della parete; l’effetto è fortemente scultoreo e plastico (da P. Murray,
Architettura. Rinascimento, Milano 1971, 96).
5 Opere rispettivamente di G.
della Porta (Roma 1571), C.
Maderno (Roma 1603), M. Longhi
(Roma 1650) e C. Rainaldi (Roma
1667).
6 S. Serlio, Dell’ornamento
rustico, Libro IV, 1537.
7 G. A. Boidi, I cinque ordini
del Vignola. Manuale di disegno
architettonico, Torino 1876.
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SU PORTA MAJA A BITONTO
6. - Roma, chiesa del Gesù.
Facciata, 1571. La facciata di
questo monumento, opera di
G. Della Porta, appartiene
ancora al Manierismo, tuttavia
presenta prevalentemente paraste binate e quindi una superficie piatta; le membrature e il
timpano si raddoppiano nella
parte centrale (da Murray,
Architettura … cit., 116).
affermare che sono frequenti i portali manieristici a bugne che, inizialmente rustiche, si vanno
progressivamente levigando nel XVII e nel XVIII
secolo. L’architettura militare, in cui il bugnato
aveva avuto il più vasto
campo d’applicazione,
invade l’edilizia civile e
religiosa col suo stile rustico ed espressivo. A Bitonto, troviamo esempi significativi nelle facciate del cinquecentesco Palazzo Bovio, di Palazzo Rogadeo,
di Palazzo Sylos-Calò e di Palazzo De
Ferraris-Regna.
L’analisi degli antecedenti culturali di
Porta Maja ci permette di asserire che il suo
paramento barocco risente l’influenza diretta dell’architettura militare: l’uso del bugnato e di un ordine che esprime solidità (il
toscano) si ritrova nelle opere rinascimentali di Giulio Romano come in altre porte
urbane d’epoca barocca. Più singolare, invece, potrebbe apparire l’uso dell’ordine binato ma, come abbiamo già accennato, deriva
da un uso barocco degli ordini finalizzato a
creare effetti fortemente plastici e vigorosi.
La trabeazione e il timpano triangolare uni7. - Roma, chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio,
1650. In questo monumento di M. Longhi viene esaltata la compattezza del Barocco: le tre colonne libere
ai lati della parte centrale formano una triade compatta
e il loro vigore è aumentato dall’accumularsi di frontoni di varie forme (da R. Wittkower, Arte e Architettura in Italia. 1600-1750, Torino 1993, fig. 170).
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MARIA RITA CAMPA - MARIANNA GNONI - FRANCESCA NITTI
ficano le doppie semicolonne e, come in
una colonna onoraria, nella trabeazione
sono inseriti stemmi civici.
Possiamo analizzare più nel dettaglio
l’ordine architettonico di Porta Maja,
confrontandolo con le regole di costruzione e quindi con i rapporti tra le varie
parti codificati dalla cultura classica e da
quella rinascimentale. In particolare, ci
riferiamo al De Architectura di Vitruvio
del I secolo d.C. 8 e alla Regola delli
Cinque Ordini d’Architettura di Vignola
del 1562 9.
L’ordine binato del manufatto è composto da colonne il cui diametro è incassato nel muro per circa un terzo: si tratta, quindi, di colonne a tre quarti. Il capitello e la forma tozza e robusta del fusto
delle colonne rimandano all’ordine toscano, che veniva difatti tradizionalmente
associato all’architettura militare.
Nell’ ‘ordine toscano’, il diametro
inferiore della colonna (l’imoscapo, che
costituisce il modulo per il dimensiona8. - Bitonto, Porta Maja. Dimensionamento delle
mento) è la settima parte dell’altezza,
parti dell’ordine. Nella ricostruzione geometrica
compresi base e capitello. Il piedistallo
dell’ordine, l’altezza totale delle colonne non risulta, come prevede l’organo toscano, pari a 7 volte
è un terzo dell’altezza totale della colonl’imoscapo, ma è più slanciata (diametro inferiore:
na ed è diviso in basamento, dado e
cm 64; diametro superiore: cm 50; altezza con base
cimasa. L’architrave è alta un quarto dele capitello: cm 480). Il piedistallo (cm 128) è infel’altezza del piedritto e comprende gocriore ad un quarto dell’altezza, mentre la trabeazione (cm 122) risulta essere un terzo dell’altezza (elaciolatoio, fregio e fascia dell’architrave.
borazione M. Gnoni - 2002).
Il paramento esterno di Porta Maja non
rispecchia fedelmente queste modularità: le colonne sono circa 7,5 volte il diametro inferiore, quindi più alte rispetto all’ordine toscano canonico, ed effettivamente appaiono più slanciate (fig. 8). Lo stesso rapporto proporzionale si ritrova nell’ordine usato da Giulio Romano nella già citata Porta della Cittadella di Mantova
(fig. 9). I piedistalli di Porta Maja sono più bassi di un terzo dell’altezza delle
colonne e non presentano il basamento. L’ordine appare ancorato saldamente al
suolo (fig. 10).
Il capitello è esattamente toscano, nelle dimensioni come nelle modanature; la trabeazione è un quarto dell’altezza delle paraste, ma non presenta la fascia dell’architrave, mentre il fregio, in cui è inserito lo stemma, è estremamente alto e la gola rove-
8
9
F. Bossalino (a cura di), M. Vitruvio Pollione, De Architectura, Roma 1998.
Boidi, I cinque ordini … cit.
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85
SU PORTA MAJA A BITONTO
9. - Mantova, Porta
della Cittadella, 1533.
Giulio Romano prevede un vigoroso utilizzo del bugnato sul
tema dell’arco di
trionfo: riconosciamo,
nell’uso dell’ordine
bugnato, un riferimento culturale a
Porta Maja (da Summerson, Il linguaggio
… cit., tav. 50).
scia è interrotta al centro (fig. 11).
Queste particolarità si ritrovano
nelle già citate colonne onorarie con
stemmi e clipei, così diffuse nel
barocco pugliese.
Per il dimensionamento dell’intercolumnio con arco e piedistallo
dell’ordine toscano, il Vignola prevede che la distanza tra le due
colonne che inquadrano l’arcata
deve essere pari quasi a 13 volte
il raggio dell’imoscapo, mentre in
Porta Maja è pari a 15 volte, come
nell’ordine dorico. L’arcata risulta,
quindi, molto larga e allo stesso
tempo d’altezza modesta, ovvero,
come nella Porta di Giulio
Romano,
minore del doppio della
10. - Bitonto, Porta Maja. Analisi della base delle
colonne e del piedistallo (elaborazione M. Gnoni luce. Il risultato è un aumento di
2002).
vigore e solidità, cui contribuisce
l’uso dell’ordine binato (fig. 12).
Le differenze tra i rapporti proporzionali dell’ordine toscano del Vignola e quelli di Porta Maja non possono essere lette come errori d’interpretazione; il paramento
di Porta Maja è stato addossato ad una preesistenza medievale, che può aver influito sul suo dimensionamento. Inoltre, l’architettura barocca, di cui il manufatto in
oggetto è esempio riconoscibile, ha in molti casi rielaborato gli ordini canonici, fino
a creare composizioni varie e fantasiose; è importante ricordare, infine, che la sto-
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MARIA RITA CAMPA - MARIANNA GNONI - FRANCESCA NITTI
11. - Bitonto, Porta Maja. Analisi di capitello e trabeazione dell’ordine (elaborazione M. Gnoni - 2002).
ria dell’architettura insegna che gli ordini classici non sono delle regole rigide che
frenano la creatività dell’artista, ma risultano piuttosto una sorta di ‘disciplina’, una
‘grammatica’ integrata da gusti, necessità, mezzi e volontà d’espressione.
4. I segni delle manutenzioni pregresse sull’impaginato barocco
12. - Bitonto, Porta Maja. Dimensionamento dell’intercolumnio con arco e piedistallo (elaborazione M. Gnoni - 2002).
Il paramento del fronte
principale, in pietra calcarea,
presenta superfici trattate con
strumenti tradizionali. Questa
impostazione generale presenta alcune eccezioni che
forniscono informazioni sull’entità degli interventi di
manutenzione pregressi. In
particolare, i due rocchi inferiori delle paraste destre, che
presentano una bocciardatura
fine realizzata a macchina,
potrebbero essere stati inseriti a sostituzione di altri compromessi. Stesso ragionamen-
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SU PORTA MAJA A BITONTO
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to si può fare per giustificare la
presenza, nel plinto sottostante, di
conci bocciardati a macchina
diversi da quelli lavorati a mano.
La distinzione tra i diversi tipi
di malta, rilevabili sul fronte di
Porta Maja, è dovuta alla sovrapposizione di interventi eseguiti in
tempi diversi per riempire fratture
e sconnessioni. In particolare, alla
malta originaria, presente tra i
conci e utilizzata nella costruzione
del paramento, è stato integrato un
legante tradizionale di calce, e in
seguito, una malta a base cementizia.
Quest’ultima è stata usata in
maniera evidente nella cornice
continua (il gocciolatoio), soggetta alle acque meteoriche e a dilavamento.
Questi interventi di manutenzione, più o meno recenti, non
sono serviti a evitare il progredire
dei fenomeni di sconnessione tra
gli elementi.
Tali sconnessioni e alcune
mancanze hanno permesso la lettura di alcune parti del paramento
13. - Bitonto, Porta Maja. Stereotomia del piedritto nelesterno, utili ad una ricostruzione
l’impaginato barocco (elaborazione M. R. Campa - 2002).
di massima delle relative caratteristiche geometriche. Esse sono
visibili nell’elaborazione grafica proposta (fig. 13), da cui risulta l’alternarsi degli elementi
ad unico e più blocchi e le modalità di sovrapposizione dei filari.
5. Tracciato della rete fognaria sotto Porta Maja
La città di Bitonto possiede un tracciato di fognatura risalente al XVI secolo. I
condotti furono impostati sfruttando le pendenze del borgo antico. Le reti (‘elementari’ e ‘principali’) e i collettori secondari si collegavano al ’collettore principale’, composto da quattro tronconi, che confluiva verso Porta Maja, il punto più basso dell’abitato, e da qui si riversava nel torrente Tifre 10 (fig. 14).
10 M. Fagiolo, Gli interventi urbani e le nuove fondazioni, in V. Cazzato, M. Fagiolo, M.
Pasculli Ferrara, Atlante del Barocco. Terra di Bari e Capitanata, Roma 1996, 1-22.
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14. - Bitonto, pianta del sistema fognario (da Fagiolo, Gli interventi … cit., in Cazzato, Idem,
Pasculli Ferrara, Atlante del Barocco … cit., 22) (in alto); ipotesi di struttura del condotto sotto
Porta Maja (in basso) (elaborazione M. B. Campa - 2002).
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SU PORTA MAJA A BITONTO
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L’Archivio Storico del Comune di Bitonto conserva documenti sulla manutenzione
della rete fognaria che possono darci utili notizie sulle sue dimensioni e sui materiali impiegati.
In particolare, risulta che nel 1905 si procedette alla ricostruzione, per circa cinquantasei metri, del basolato e del collettore principale in Via San Luca fino a Largo
‘la Maja’ 11. Nel 1932, in seguito al crollo di un tratto di Via Galvani, causato dalle
pessime condizioni dei collettori sottostanti, si lavorò anche per 20 metri verso Porta
del Carmine 12. Riteniamo che questi ultimi lavori siano giunti solo in prossimità
della Porta e che il tratto sottostante risalga, quindi, al 1905.
Tali informazioni possono essere considerate quali elementi probabilistici di diagnosi del dissesto di Porta Maja, in rapporto alla possibile interazione tra acque
disperse e stato delle fondazioni.
6. Degrado ed aspetti preliminari di intervento conservativo
L’analisi condotta sulla struttura di Porta Maja ha evidenziato lo stato di dissesto statico a carico soprattutto nel paramento bugnato del fronte esterno. In particolare, abbiamo riscontrato disgregazione delle malte, perdita di connessione tra alcuni conci prossimi alla torre quadrangolare, micro-fessurazioni e fratture dei conci
delle semicolonne, alcune mancanze per espulsione e distacco di materiale.
Al quadro fessurativo ci sembra utile aggiungere la presenza delle ‘tracce’ delle
manutenzioni pregresse (malte, nuovi conci, zeppe) che miravano ad un occasionale consolidamento statico della Porta. Le ripetute riparazioni e la disgregazione della
malta cementizia denunciano, infatti, un dissesto ancora in atto, che interessa soprattutto la parte bassa destra.
Dall’analisi degli aspetti costruttivi effettuata, la struttura della porta risulta idonea al regime di carico cui è sottoposta. Piuttosto, è presente un’evidente soluzione di continuità all’interno del tunnel, probabilmente tra la struttura preesistente del
XIV secolo e quella ad essa sovrapposta. Riteniamo che la mancanza di solidarietà
fra queste due strutture possa aver influito sulla stabilità del monumento.
Le sconnessioni dei conci della parte destra di Porta Maja, soprattutto nell’attacco con la torre quadrangolare, fanno ipotizzare un altro cinematismo. Sappiamo
che le torri e le cortine ai lati della Porta sono state costruite in epoche differenti.
È da prendere in considerazione, pertanto, che assestamenti pregressi possano aver
condotto a moti differenziali. Non è da sottovalutare, infine, l’azione della vegetazione infestante, che radica nei giunti, sconnettendo i conci soprattutto nella parte
alta del monumento e l’influenza del traffico veicolare sull’aggravio del dissesto.
Un intervento mirante alla conservazione del monumento , deve supportarsi di
approfondimenti diagnostici. Tuttavia, è possibile dare cenno ad alcune operazioni la
cui necessità risulta evidente alla luce degli elementi d’analisi illustrati. Occorrono lavori di consolidamento per riallineamento dei conci sconnessi e ripristino dei leganti dete11
12
ASCB, Fondo Post-Unitario, b. 234, X.1.120.
Ivi, b. 263, X.4.129
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MARIA RITA CAMPA - MARIANNA GNONI - FRANCESCA NITTI
riorati. Nell’intento di non sostituire alcun concio, si può intervenire sulle parti più
compromesse con microimperniature e stuccature superficiali, mentre sulla mancanza
tra le semicolonne mediante l’inserimento di elementi di ripristino con incisa la data
del restauro.
L’evidente stato d’alterazione del materiale lapideo che compone soprattutto il paramento del fronte principale, non può non prevedere operazioni di pulitura delle superfici, nonché gli interventi necessari a impedire la ripresa dei processi di degrado.
La posizione del monumento favorisce l’esposizione del paramento ai fattori
ambientali responsabili del degrado, in particolare agli agenti inquinanti. Per questi
motivi si riscontrano depositi superficiali che, composti da polveri, materiale più o
meno aderente ed incrostazioni, si associano all’azione deteriorante della vegetazione infestante e delle alveolizzazioni. A tali fenomeni deve rimediarsi tramite operazioni di pulitura ad impacchi di sostanze complessati, cui associare trattamenti
diserbanti e stuccature di diverso livello.
Bibliografia
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Architettura ‘Andrea Palladio’, Milano 1998.
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1876.
F. Bossalino (a cura di), M. Vitruvio Pollione, De Architectura, Roma 1998.
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G. Carbonara, Trattato di Restauro Architettonico. II, Torino 1996.
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Bari e Capitanata, Roma 1996.
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G. Rocco, Guida alla lettura degli ordini architettonici antichi. Il Dorico, Napoli 1994.
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R. Wittkower, Arte e Architettura in Italia. 1600-1750, Torino 1993.
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Studi Bitontini
85-86, 2008, 91-100
Vittorio FORAMITTI
Tommaso Maria MASSARELLI
Agli albori della tutela in Puglia.
Gli elenchi dei monumenti compilati
dopo l’unità d’Italia
La storia della tutela del patrimonio culturale materiale in Puglia è nota in modo segmentario e largamente incompleto, come esito di contributi episodici, molto lontani da
quella che dovrebbe essere una produzione scientifica sistematica 1. Come si è mossa la
Puglia ottocentesca sotto lo stimolo alla tutela esercitato dagli organi centrali dello Stato?
Qual è stata la risposta generale al fervore conservativo che pur si generava nei limiti
amministrativi di ogni Comune? Per gli studiosi del tempo, per i tecnici che operavano sul
territorio, per i cultori locali, cos’era il ‘monumento’ e come si doveva conservare?
Il presente scritto costituisce un contributo alla esplorazione di un panorama
culturale che sussisteva, evidentemente, come in tutte le altre regioni della penisola. Gli elenchi ufficiali dei monumenti storici, prodotti nella seconda metà
dell’Ottocento, rappresentano senz’altro uno dei primi, fondamentali documenti che
inquadrano la conoscenza e la considerazione del patrimonio monumentale della
Puglia.
La campagna di classificazione dei monumenti, nell’Italia postunitaria, iniziò nel
1870, con la richiesta da parte della Giunta di Belle Arti di fornire l’elenco degli
edifici pubblici «meritevoli di essere annoverati fra i Monumenti Nazionali» 2. Gli
elenchi furono successivamente predisposti a cura dalle Commissioni Consultive di
Belle Arti, istituite a partire dal 1864 in diverse province del Regno. In Puglia, fu
istituita a Lecce nel 1869 la Commissione Consultiva per la conservazione dei monumenti storici e di Belle Arti della Provincia di Terra d’Otranto 3.
La raccolta degli elenchi portò alla pubblicazione del primo Elenco dei monumenti nazionali medievali e moderni nel 1875, nel quale sono segnalati per la Puglia
40 monumenti: 19 nella provincia di Bari, 10 in quella di Foggia, 11 in quella di
1 A parte studi di carattere locale ed episodico, si segnala l’unico tentativo sistematico di trattazione dell’argomento nel capitolo Il restauro di A. Colonna, M. Di Tursi, Architetture
dell’Eccletismo in Puglia nel XIX secolo, Bari 2000, 43-74.
2 Gli elenchi dei monumenti furono chiesti ai Prefetti del Regno con la circolare 06.05.1870
n. 2763.
3 M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e istituzioni. Parte I. La nascita del
servizio di tutela dei monumenti in Italia. 1860-1880, Firenze 1987, 207-208.
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Lecce 4. Di questi monumenti la grande maggioranza è rappresentata da edifici ecclesiastici. Nel 1876 furono istituite le Commissioni Consultive Conservatrici, che avevano fra i loro compiti quello di redigere l’inventario di tutti i «monumenti ed oggetti d’arte» esistenti nelle rispettive province 5. Nel 1877 vennero impartite le regole per
compilare l’inventario 6, che doveva essere diviso in due parti: una per monumenti anteriori alla caduta dell’impero romano, l’altra per quelli medievali e posteriori. Nel 1881
il Ministero chiese nuovamente ai Prefetti ed alle Commissioni Conservatrici di aggiornare l’elenco dei monumenti del 1875. Il nuovo elenco veniva chiamato Rapporto sui
monumenti medievali e moderni e doveva essere redatto al fine di conoscere la proprietà ed il «numero, qualità, stato e spese di manutenzione ordinaria dei monumenti
nazionali», oltre al costo di eventuali lavori di «riparazione» 7.
Nel 1884, ancora nel tentativo di ottenere un elenco completo, furono istituiti in
tutta la nazione i Delegati Regionali 8. Nel nuovo elenco che si richiedeva ai Delegati
i monumenti andavano classificati in tre «ordini»: di importanza nazionale, regionale,
locale 9. La Puglia faceva riferimento alla Delegazione Regionale per i Monumenti delle
Province Meridionali, con sede a Napoli 10.
Nel 1891 furono date ulteriori direttive per la compilazione delle schede, che dovevano contenere anche indicazioni catastali, note su materiali, alterazioni subite, condizioni statiche, stato di manutenzione, identificazione dei responsabili della custodia. Vi
si richiamano anche riferimenti a fonti documentarie, fotografie e carte topografiche 11.
L’opera dei Delegati non dovette tuttavia essere sufficiente: a livello nazionale, «per
dare unità d’indirizzo e maggiore impulso agli studi», fu istituito nel 1893 un ‘Ufficio
per la compilazione del catalogo dei monumenti’ 12. Tale istituzione ebbe vita breve,
visto che si riconobbe la convenienza a demandare il compito agli Uffici Regionali,
già istituiti nel 1891. Dal 1894 questi ultimi divennero dunque operativi anche nella
catalogazione dei monumenti 13. La regione pugliese rientrava ancora nel territorio
4
Elenco dei monumenti nazionali medievali e moderni, Roma 1875, 2, 5-6.
R.D. 05.03.1876 n. 3028, art. 11, su cui Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni, Monumenti …
cit., 321-322. In Puglia furono istituite le Commissioni Conservatrici di Bari, Foggia, Lecce, per
cui pure si rimanda a Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni, Monumenti … cit., 440-41.
6 Circolare 01.02.1877 n. 511: Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni, Monumenti … cit., 323.
7 Circolare 17.02.1881 n. 621: M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e istituzioni. Parte II. Il decollo e la riforma del servizio di tutela dei monumenti in Italia. 1880-1915,
Firenze 1992, 55-56.
8 D.M. 27.11.1884: Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni, Monumenti e istituzioni. Parte II ... cit.,
23-28, 56-57.
9 Circolare 06.06.1885 n. 775: Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni, Monumenti e istituzioni. Parte
II ... cit., 57-58.
10 Nel 1885 fu nominato delegato regionale Michele Ruggiero: Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni,
Monumenti e istituzioni. Parte II ... cit., 492 sgg.
11 Circolare 11.09.1891 n. 1028. Su questi nuovi provvedimenti si rimanda anche a G. Boni,
Il catasto dei monumenti, Roma 1892.
12 R.D. 15.01.1893 n. 45: Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni, Monumenti e istituzioni. Parte II
... cit., 141-42.
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dell’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti delle Province Meridionali,
con sede a Napoli.
La necessità di completare e correggere «l’elenco degli edifizi monumentali» fu
ancora ribadita nel 1896, quando il Ministero della Pubblica Istruzione sollecitò gli
Uffici Regionali alla redazione delle schede che mantenessero la divisione in monumenti di importanza nazionale, regionale e locale 14.
Solo nel 1902 venne infine pubblicato a Roma l’Elenco degli edifizi Monumentali
in Italia, dove figurano 203 monumenti pugliesi: 85 per la Provincia di Bari, 27 per
quella di Foggia, 91 per quella di Lecce 15. Il documento non riporta, però, la divisione dei monumenti nelle tre categorie anzidette. L’elenco è conforme a quello pubblicato alla fine del volume curato da A. Avena, che costituisce la prima relazione sull’attività dell’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti delle Province
Meridionali per il periodo 1891-1901 – con la sola differenza che in quest’ultimo è
omessa l’epoca dei monumenti 16.
Da ricordare, parallelamente alla redazione degli elenchi, anche le campagne di
documentazione fotografica dei monumenti, delle quali, per la Puglia, quella più importante sembra essere la raccolta Apulia Monumentale, costituita da 235 riprese del fotografo Moscioni di Roma 17.
Di seguito si riportano solo gli elenchi pubblicati a stampa. Un maggiore approfondimento sui processi di formazione del catalogo e sui suoi compilatori può essere eseguito con l’analisi della documentazione custodita nell’archivio della Direzione Generale
delle Antichità e Belle Arti, conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma 18.
I monumenti pugliesi nell’Elenco dei monumenti nazionali medievali e moderni,
Roma 1875.
PROVINCIA DI BARI
Bari
San Nicandro
Altamura
Basilica di S. Nicola
Castello
Duomo
13
Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni, Monumenti e istituzioni. Parte II ... cit., 89.
Circolare 14.08.1896 n. 65, pubblicata in: Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni, Monumenti e
istituzioni. Parte II ... cit., 168-169.
15 Ministero della Pubblica Istruzione, Elenco degli edifizi Monumentali in Italia, Roma 1902,
393-96, 406-12.
16 A. Avena, Monumenti dell’Italia Meridionale, Roma 1902, qui 382-84, 388-91.
17 C. Gelao, G.M. Jacobitti (a cura di), Castelli e Cattedrali di Puglia. A cent’anni
dall’Esposizione Nazionale di Torino. Catalogo della mostra (Bari, Castello Svevo, 13 luglio-31
ottobre 1999), Bari 1999, dove sono riprodotte le foto, sostenute dal commento garantito da numerosi saggi, fra i quali si segnala, per l’approfondimento delle tematiche relative alle istituzioni
preposte alla tutela dei monumenti in Puglia, quello di F. Picca, “Quasi fortezza inespugnabile”.
Immagini della Puglia tra Otto e Novecento, 88-99.
18 Si veda, per i primi anni, l’inventario a cura di M. Musacchio, L’ archivio della Direzione
Generale delle antichità e belle arti (1860-1890), Roma 1994.
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Canosa
Molfetta
Ruvo di Puglia
Trani
Bitonto
Bitetto
Giovinazzo
Barletta
Conversano
Andria
Mausoleo di Boemondo
Duomo
Cattedrale antica
Cattedrale
Duomo
Chiesa di S. Francesco, ora dell'Immacolata
Seminario (ora Caserma)
Monumento di S. Elia
Chiesa di Ognissanti
Cattedrale
Cattedrale
Cattedrale
Cattedrale
Chiesa di S. Giovanni del Sepolcro
Cattedrale
Castello del Monte
PROVINCIA DI FOGGIA
Foggia
Biccari
Troja
Lucera
Monte S. Angelo
Manfredonia
Cattedrale
Palazzo di Federico II
Torre
Cattedrale
Chiesetta della Madonna delle Grazie
Castello Svevo
Duomo
Chiesa di S. Maria della Spiga
Chiesa di S. Michele
Chiesa di Santa Maria Maggiore di Siponto
PROVINCIA DI LECCE
Lecce
Otranto
Galatina
Patù
Brindisi
Soleto
Erchie
Giuliana
Brindisi
Copertino
S. Nicola al Camposanto
Cattedrale
Chiesa di Santa Caterina
Le Cento Pietre
S. Giovanni del Sepolcro
Guglia e Torre quadrata
Grotta dell'Annunziata
S. Pietro
Antico tempietto e sotterraneo della Chiesa della Trinità
Chiesa di S. Maria del Casale
Castello di Belmonte
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I monumenti pugliesi nell’Elenco degli Edifizi Monumentali in Italia, Roma 1902.
PROVINCIA DI BARI
Acquaviva delle Fonti
Altamura
Andria
Bari
Barletta
Bisceglie
Bitetto
Bitonto
Canosa di Puglia
Chiesa Palatina (sec. XII e XVI)
Chiesa parr. di S. Nicola dei Greci (sec. XIII, con dipinti e
sculture del sec. XVII)
Chiesa di S. Domenico (sec. XVI)
Chiesa di S. Vito (sec. XVII)
Duomo (sec. XIII-XIV)
Grotta di S. Michele (sec. XIV)
Mura pelagiche dell’antica Petilia o Altilia
Castello del Monte (sec. XIII)
Chiesa parr. di S. Agostino (sec. XIII).
Chiesa Cattedrale e campanile (sec. XII e XIII)
Chiesa parr. di S. Domenico (sec. XIV)
Chiesa parr. di S. Francesco(costruita tra il 1230 e 1340)
Cripta di S. Croce (sec. IX, con affreschi del sec. XIV)
Basilica Palatina di S. Nicola (1087)
Castello di Federico II (sec. XIII)
Chiesa di S. Gregorio (sec. XII)
Chiesa Cattedrale (sec. XI e XIII)
Chiesa di S. Marco (facciata del sec. XII)
Chiesa di S. Chiara (sec. XIII e XVII)
Cripta nell’Ospedale della Consolazione
Casa già della Marra (sec. XVII)
Casetta Davino
Castello normanno (sec. XII)
Chiesa Cattedrale (sec. XII e XIII)
Chiesa del S. Sepolcro (sec. XI e XII)
Chiesa di S. Agostino (sec. XIII)
Chiesa parr. di S. Maria Maggiore (sec. XII e XIV)
Palazzo Bonelli (sec. XIII)
Chiesa di S. Margherita (sec. XII)
Chiesa Cattedrale (sec. XIV)
Chiesa di S. M. Annunziata
Castello (torre di difesa, sec. XV)
Chiesa Cattedrale (sec. XIII)
Chiesa di S. Leo (fine del sec. XIII)
Chiesa di S. Domenico (fine del sec. XIII)
Chiesa dei PP. Teatini (sec. XVII)
Convento di S. Leone (avanzi del porticato del chiostro, sec.
XVI)
Obelisco Carolino
Palazzo Sylos - Labini (loggia Vulpano).
Palazzo Sylos (loggia e porticato dell'atrio)
Arco Traiano (sec. I)
Battisterio di S. Giovanni (avanzi del sec. IV)
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Conversano
Gioia del Colle
Giovinazzo
Modugno
Mola
Molfetta
Monopoli
Noicattaro
Palo del Colle
Putignano
Rutigliano
Ruvo di Puglia
S. Nicandro
Terlizzi
Trani
Valenzano
(
)
Chiesa Cattedrale di S. Sabino (sec. VIII e XII)
Mausoleo di Boemondo (1112)
Ponte romano sull'Ofanto (sec. II)
Rocca dei Santi Quaranta (avanzi del sec. XIII)
Terme romane (avanzi) dette Bagnoli
Castello di Conversano (sec. XIII e XIV)
Chiesa Cattedrale (sec. XIII e XIV)
Castello normanno di Gioja del Colle (sec. XI)
Chiesa Cattedrale (sec. XII e XIII)
Badia di S. Maria di Balsignano (sec. XII)
Chiesa madre (sec. XVI)
Cattedrale vecchia (sec. XI e XII)
Duomo (1742 a 1770; avanzi, sec. XII)
Chiesa madre (facciata del sec. XIV)
Chiesa madre (campanile e facciata, sec. XVI)
Chiesa parr. di S. Pietro (sec. XII)
Chiesa parr. di S. Nicola (sec. XIII)
Torre normanna (sec. IX)
Casa Rocca (sec. XVII)
Castello di Ruvo (sec. XI e XIII)
Chiesa Cattedrale e campanile (sec. XII-XIII)
Chiesetta della SS. Annunziata (tombe ed iscrizioni del sec.
XIV)
Cripta di S. Cleto (sec. I)
Castello di S. Nicandro
Cappella e cortile di S. M. di Sovereto (sec. XII)
Chiesa del Rosario (sec. XVIII; porta, sec. XI)
Mausoleo (sec. XIV)
Casa, già de Agnete (avanzo del rione dei Lombardi, sec.
XIII)
Casa Liardi (finestra medioevale, sec. XII-XIV)
Casa Suppa Pagano (finestra medioevale)
Castello di Federico II (sec. XII-XIII)
Chiesa di S. Francesco, ora dell'Immacolata (sec. XII)
Chiesa di Ognissanti (sec. XII)
Chiesa di S. Andrea (sec. XII)
Chiesa di S. Giacomo (sec. XIII)
Chiesa di S. Maria di Colonna (sec. XI-XII)
Chiesa di S. Martino
Chiesa scavata nel tufo, in via delle Tufare (sec. III e IV)
Duomo (sec. XI a XIII)
Monumento dei Tredici, in contrada S. Elia, dove seguì la
sfida di Barletta (sec. XVI)
Opere antiche di arginatura al torrente
Palazzo Caccetta, ora Seminario
Chiesa di Ognissanti (sec. XI)
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PROVINCIA DI FOGGIA
Biccari
Bovino
Deliceto
Foggia
Lesina
Lucera
Manfredonia
Monte S. Angelo
Ortanova
S. Severo
Torre Maggiore
Troja
Vieste
Torre medioevale
Chiesa Cattedrale
Castello Aragonese
Porta medioevale con avanzi di torri e mura
Castello con torri, detto la Pianara
Chiesa Cattedrale
Palazzaccio di Ponte Albanito, in contrada omonima (1330)
Palazzo di Federico II (arco con iscrizione)
Castello di Ripalta, con chiesa e torre (sec. XIII)
Castello Svevo (sec. XII)
Chiesa di S. Maria della Spiga
Duomo (sec. XII e XIII)
Cappella della Maddalena (sec. XIII e XIV)
Castello di Manfredonia (sec. XIII)
Chiesa di S. Maria Maggiore di Siponto (sec. XII)
Portale superstite della distrutta chiesa di S. Leonardo di
Siponto
Chiesa parr. palatina, e campanile di S. Michele Arcangelo
(sec. XI)
Chiesa di S. Pietro
Grotta di S. Michele (sec. VIII-XIII)
Tomba di Rotari (sec. VIII-IX)
Castello medievale, nella frazione di Ordona
Chiesa parr. di S. Severino (sec. XIII)
Castello de Sangro (sec. XVII)
Chiesa Cattedrale (sec. XI-XII)
Chiesetta della Madonna delle Grazie (sec. XI)
Castello di Vieste
PROVINCIA DI LECCE
Brindisi
Acquedotto romano
Castel a mare
Castel Grande, ora bagno penale
Chiesa di S. Giovanni al Sepolcro (sec. VIII)
Chiesa di S. Maria del Casale (sec. XIII-XIV)
Chiesa di Cristo (sec. XIII)
Chiesa e chiostro di S. Benedetto (sec. VIII)
Chiesa parr. di S. Lucia (sec. XII)
Colonne romane (termini)
Cripta di S. Lucia
Cripta di S. Biagio, scavata nel tufo
Cripto-portico, presso l’Orfanotrofio di S. Chiara
Mura di cinta della città
Piscina limaria
Ponti di Plinio
Pozzo Traiano
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Casarano
Castellaneta
Castri di Lecce
Ceglie Messapica
Copertino
Erchie
Galatina
Galatone
Grottaglie
Lecce
Leverano
Massafra
Mesagne
Minervino di Lecce
Mottola
Tempietto e sotterraneo della chiesa della Trinità
Terme romane sul porto (avanzi)
Via Appia (avanzi a circa km. 12 dalla città)
Chiesa parrocchiale, detta Casaranello
Campanile della Cattedrale
Chiesa dell’Assunta (facciata)
Chiesa (ex) Cattedrale (avanzi, sec. XII)
Edicola, presso l’ex Cattedrale (sec. VII)
Castello del Duca
Palazzo dei Sanseverino (sec. XI)
Castello di Belmonte
Grotta dell'Annunziata
Chiesa di S. Caterina (sec. XIV e XV)
Castello di Fulcignano
Chiesa della madonna dell’Idria
Calvario, in tufo, nella vallata Foranese
Chiesa matrice (sec. XVI)
Grotta nella vallata di Casal piccolo (affreschi)
Palazzo Cicinelli (sec. XVI e XVII)
Santuario della Vergine della Mutata (affreschi)
Cappella di S. Marco dei Veneziani (sec. XV)
Chiesa parr. dei Ss. Niccolò e Cataldo (sec. XII)
Chiesa di S. Maria di Cervate
Palazzo del Seminario (facciata)
Palazzi Vernazzi ed Adorni (resti)
Porto Adriano sulla rada di S. Cataldo (resti)
Sedile dei Veneziani, ora Museo Civico
Torri di Belloluogo e del Parco
Torre di Federico II (sec. XIII)
Cappella - Cripta di S. Marco, in contrada S. Marco (sec. XIV)
Cappella - Cripta di S. Leonardo, in contrada S. Marco (sec.
XIV)
Cappella - Cripta della Candelora, in contrada S. Marco
(sec. XIII)
Castello Zuccaretti (sec. XVI)
Chiesa parr. di S. Lorenzo
Chiesa di S. Anna (facciata)
Porta Nuova
Torre del Castello di Mesagne (sec. XV)
Torre superstite delle mura di cinta (sec. XIII)
Dolmen
Cappella - Cripta di S. Nicola, di proprietà privata (sec. XI)
Cappella - Cripta di S. Margherita, di proprietà privata (sec.
XII)
Cappella - Cripta di S. Giorgio, di proprietà privata (sec. XIII)
Cappella - Cripta di S. Simeone, di proprietà privata (sec. XV)
Duomo (sec. XIV)
Mura greche (ruderi)
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Nardò
Oria
Ortelle
Ostuni
Otranto
Palagiano
Patù
Poggiardo
S. Cesario di Lecce
S. Vito dei Normanni
Soleto
Squinzano
Surbo
Taranto
Vernole
99
g
Chiesa Cattedrale
Chiesa di S. Domenico (facciata)
Castello di Federico II
Cripta scavata nel sasso
Chiesa Cattedrale (sec. XV)
Mura e Castello di Ostuni (sec. XIV)
Tombe ed ipogei
Chiesa Cattedrale (sec. XII)
Chiesa di S. Pietro (sec. VIII)
Acquedotto romano
Cappella - Cripta dei Ss. Eremiti, presso Palagianello (sec. XII)
Cappella - Cripta di S. Marco, presso Palagianello (sec. XIV)
Cappella - Cripta di S. Girolamo, presso Palagianello (sec. XIII)
Cappella - Cripta di S. Andrea, presso Palagianello (sec. XIII)
Castello del conte Stella - Caracciolo di S. Eramo, presso
Palagianello (sec. XVIII)
Chiesa della Madonna della Nova (sec. XVI)
Cappella o tomba, denominata Centopietre
Cripta di Santi Stefani, presso l'antica Vaste
Cappella di S. Giovanni
Torre di Boemondo
Guglia gotica di Soleto
Chiesa di S. Maria dell'Alto
Chiesa di Aurio
Castel S. Angelo
Chiesa Cattedrale di S. Cataldo e campanile
Chiesa di S. Domenico (facciata)
Chiesa di S. Maria della Giustizia
Tempietto funerario nel R. Arsenale
Tempio dorico (avanzi)
Castello di Acaja (1506)
L’Elenco dei monumenti nazionali medievali e moderni (1875) riporta – come si
vede – un numero esiguo di manufatti storici. Tale documento ha la consistenza di
un primo vaglio. La scelta dei monumenti sembra dipendere più dalla eco di quelli al tempo riconosciuti come i più rilevanti piuttosto che da perlustrazioni sistematiche del territorio. A parte qualche manufatto di pregevole architettura militare,
la selezione effettuata è pressoché monotematica a favore degli edifici religiosi e
lascia fuori interi territorî pure segnati da un patrimonio architettonico rilevante,
come Taranto o San Severo.
La compilazione degli elenchi era basata evidentemente su una grande discrezionalità nella scelta degli edifici da includere. Discrezionalità che dipendeva essenzialmente dal giudizio e dalle conoscenze personali dei membri delle Commissioni
Conservatrici, più che da una chiara definizione delle caratteristiche e del valore
che dovevano avere gli oggetti. Non a caso Giacomo Boni, nell’articolo Il catasto
STUDI BITONTINI 2008 - n. 85-86 - Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it
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dei monumenti in Italia, pubblicato a Roma nel 1892 (nel contesto dell’Archivio
Storico dell’Arte), ben espose il problema, evidenziando come potesse accadere che
per intere province non fossero elencati monumenti, mentre in altri casi venissero
inclusi edifici di importanza minore.
Nel secondo documento, Elenco degli Edifizi Monumentali in Italia (1902), le
segnalazioni assumono una configurazione decisamente più allargata e meno monotematica. Figurano, accanto agli edifici religiosi, anche architetture militari, civili,
monumenti commemorativi (obelischi, archi, opere funerarie), persino qualche infrastruttura (porte, ponti, segmenti stradali, argini). In questa catalogazione deve aver
avuto un ruolo importante la perlustrazione del territorio e le segnalazioni degli studiosi locali, anche se la mancanza di molti altri pregevoli edifici rimane a documentare una ricognizione ancora non sistematica del patrimonio architettonico.
Accanto a chiese e monasteri, che anche in questo elenco occupano la maggior
parte dello spazio, assume una presenza pressoché discriminante il monumento classico e medievale in quanto tale. Figurano così architetture di interesse archeologico di età classica e romana, castelli e persino case, allorché dotate di pur piccoli
elementi medievali. In tale orientamento generale, che non raccoglie esempi di architettura cinquecentesca, risulta eccezionale la segnalazione di alcuni edifici civili
tardo-rinascimentali, come Palazzo della Marra a Barletta, Palazzo Sylos-Labini
(Vulpano-Sylos) e Palazzo Sylos (Sylos-Calò) a Bitonto. Questi ultimi, in particolare, pur riportando segmenti murarî di fase medievale, vengono selezionati in relazione a parti specifiche (loggia e porticato) di classe formale eminentemente rinascimentale.
Altro aspetto degno d’attenzione è la presenza nell’elenco, seppure limitata, di
segmenti di mura urbane (Deliceto, Brindisi, Mottola, Ostuni), a documentare come,
già a quel tempo – non troppo distante e in alcuni casi coincidente con la fase di
rimozione delle cortine fortificate per l’ampliamento dei borghi –, vi fosse una sensibilità di fondo nel considerare ‘monumenti’ anche tali compagini architettoniche.
Nella preponderanza dell’architettura religiosa, il monumento barocco viene pressoché trascurato. Mancano in questo elenco, infatti, i più significativi esempi delle
splendide espressioni sei-settecentesche della Capitanata e del Salento, a tal punto
che la stessa Lecce appare come luogo con un numero non particolarmente rilevante di monumenti.
Pur nell’apprezzabile salto in avanti rispetto a quello precedente, l’elenco novecentesco appare informato a criterî di catalogazione piuttosto selettivi e basato su
una ricognizione ancora lacunosa del territorio pugliese.
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Studi Bitontini
Carmela MINENNA
85-86, 2008, 101-116
Il mercato del sesso.
Indagine sulla prostituzione di fine Ottocento
a Bitonto
Introduzione
La prostituzione. Un mestiere antico, qualcuno dirà, consolidato nell’affinamento di una pratica quotidiana, esente dalle sterili divagazioni di una formazione teorica. Non solo antico, però. È indubitabile, infatti, che il fenomeno pur diversamente
inquadrato entro le coordinate temporali, rimanga generalmente attuale tanto che
nella parabola evolutiva del sesso a pagamento, si dubita fortemente dell’avvento
di una fase conclusiva che induca a considerare la prostituzione definitivamente
archiviata.
In questa prospettiva nella quale anche la cronaca più recente assurge a dimensione storica con l’inquietante fenomeno sociale della tratta delle bianche 1, sarà
quanto mai sterile assumere un approccio moralista finalizzato alla mera valutazione del fenomeno o, sul versante opposto, alla spettacolarizzazione spesso enfatizzata dai mass media. Ciò che affascina e stimola la curiosità intellettuale è,
piuttosto, il segreto di questa ‘eterna giovinezza’, in nome della quale il sesso
mercenario calca le scene di qualsiasi epoca storica rivendicando a sé una perpetua attualità.
L’indagine, peraltro, potrà riservare ulteriori spunti di interesse qualora si esamini il fenomeno non solo entro le coordinate temporali, ma anche in una prospettiva spaziale in considerazione del fatto che realtà territoriali differenti e diversificate palesano una indubbia familiarità con la prostituzione.
È questo il fine indagativo della presente ricerca che, circoscritta alla realtà territoriale di Bitonto, si prefigge di monitorare la fenomenologia, le dinamiche, la
consistenza e le ricadute socio-sanitarie del sesso mercenario all’indomani del
Regolamento sulla prostituzione emanato da Camillo Benso di Cavour il 15 febbraio 1860.
1 Sulla prostituzione e sull’attuale sociologia della sessualità, C. Cipolla (a cura di), La sessualità come obbligo all’alterità, Milano 2005, 90 sgg.
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102
CARMELA MINENNA
La fenomenologia
La fenomenologia del sesso a pagamento conosce una varietà tipologica riconducibile alla gradazione sociale della donna cristallizzatasi già nella civiltà grecolatina. La sessualità ordinaria, legittimata dal rapporto coniugale e finalizzata, oltre
che alla ‘produzione’ di nuovi cittadini alla continuità del ghenos a seguito della
engye 2, convive, infatti, con manifestazioni secondarie di quasi esclusiva impronta
edonistica. In realtà, la prostituzione è attestata in Grecia sia nella sua forma più
comune di abitualità di prestazioni sessuali ai fini di lucro sia nella forma cultuale della ierodulia 3: «[…] fu consuetudine assai antica e diffusa presso innumerevoli
popoli, attestata in un’area vastissima compresa fra il Mediterraneo e il Gange, che
le giovani donne sacrificassero la propria verginità prostituendosi a sconosciuti all’interno o in prossimità di apposite aree cultuali (templi, boschi, tende, capanne, sorgenti, laghi, fiumi, litorali marini, ecc.) consacrate a possenti divinità dell’amore
[…] Abitualmente designata dagli studiosi col termine greco di ierodulèia [letteralmente, servizio sacro], questa singolare costumanza – nota anche come prostituzione sacra, cultuale, votiva, o templare – rappresenta, secondo alcuni autori, una forma
di sostituzione attenuata dei primitivi sacrifici umani» 4.
In questa diffusa ambiguità del rapporto erotico si rispecchia la multiforme identità della figura femminile, identificata ora nella gyné, la donna geneticamente e
sessualmente impegnata, ora nei suoi surrogati edonistici, riconducibili anch’essi ad
una gradazione sociale che oscilla tra la liceità della hetaira e della porne e la
depravazione sociale e morale della camaitype, la ‘battona’ del marciapiede 5. Peraltro,
anche la etaira e la porne, a cui si riconduce il vocabolario della prostituzione sintetizzato dalle forme verbali porneuein e hetairèin, inquadrano modelli antropologici ben definiti e differenti che implicano, l’uno, una «more long-term relationship
2 L’engye è una transazione in forma di accordo tra il padre della donna, o il suo tutore legale, e il pretendente; la consegna della donna, soggetto passivo della transazione, rappresenta, nel
mondo greco, il suggello dell’impegno tra i due uomini. Sulle forme del rapporto coniugale legittimo nella storia e nella letteratura greca, J. Redfield, L’uomo e la vita domestica, in J. Vernant
(a cura di), L’uomo greco, Roma-Bari 1993, 146 sgg.
3 In entrambe le forme non deve stupire la carenza di inequivocabili e dirette testimonianze
letterarie, atteso che la sociologia del sesso afferisce alla sfera privatistica entro una società che
si segnala, invece, per l’ostentata vocazione pubblicista. Una dettagliata cartografia degli usi leciti ed illeciti del sesso è illustrata in Cipolla (a cura di), La sessualità …cit., 34 sgg.
4 M. Duichin, Ieropornia: prostituzione rituale e sacrifici sessuali di fanciulle nella tradizione classica, nelle leggende e nei racconti di fiaba, Roma 1996, 27, 31.
5 Dell’ampia bibliografia sul fenomeno della prostituzione in Grecia e a Roma si segnalano i
seguenti contributi: V. Vanoyeke, La prostitution en Grece et à Rome, Parigi 1990; A. E. Laiou,
Consent and coercion to sex and marriage in ancient and medieval societes, Washington 1993;
Th. A. McGinn, Prostitution, sexuality and the law in ancient Rome, New York-Oxford 1998; B.
E. Stumpp, Prostitution in der römischen Antike, Berlino 1998; E. Cavallini, Le sgualdrine impenitenti, Milano 1999; M. Charageat, Matrimonio y sexualidad: normas, practicas y transgresiones en la edad media y de la epoca Moderna, Madrid 2003; M. Johnson, Sexuality in Greek and
Roman society and literature: a sourcebook, Londra 2005; Chr. A. Faraone, L.K. McClure,
Prostitutes and courtesans in the ancient world, Madison 2006.
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IL MERCATO DEL SESSO. INDAGINE SULLA PROSTITUZIONE DI FINE OTTOCENTO A BITONTO
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with one partner», e quindi un rapporto non meramente occasionale, l’altro, invece, un rapporto occasionale e di tipo lucrativo 6.
La stessa piramide identitaria della donna socialmente attiva nella civiltà greca
viene recepita dalla società moderna e contemporanea che, filtrata e superata la censura medievale, proietta la distribuzione sociale dei centri urbani nella graduatoria
delle prostitute: nell’Ottocento, infatti, il mercato sessuale di New York oscilla tra
Fifth Avenue e le modeste tabaccherie di Canal Street; a Londra, invece, le passeggiatrici si muovono con uguale disinvoltura tra le esclusive vie commerciali e i
vicoli mal illuminati dei bassi fondi della città.
Caratterizzata da un inferiore livello di complessità sociale, l’Italia meridionale
di fine Ottocento semplifica e dicotomizza il piacere mercenario nel dualismo della
prostituzione clandestina e di quella legittima.
Sebbene accertato – come poi si vedrà – il sesso clandestino sfugge a qualsiasi tentativo di indagine, in quanto le forme di latitanza attraverso le quali si è espresso ne fanno un fenomeno sotterraneo e di impossibile monitoraggio. Né, d’altro
canto, le cronache del passato concedono ampia visibilità ai gossip di impenitenti
meretrici. Tutt’altro. È accertato, piuttosto, un orientamento archivistico tendenzialmente epuratore che condanna al silenzio il tradizionale tabù 7. Cauti tentativi di
classificazione si possono avanzare solo a partire dal XIX secolo per le forme legittimate dall’osservanza del Regolamento cavouriano.
Si prenda in esame, tanto per cominciare, l’identitik della prostituta. Sicuramente,
giovane, anzi in alcuni casi giovanissima: solo al compimento del sedicesimo anno
di età è consentita l’iscrizione nel Registro delle pubbliche meretrici. Non mancano, naturalmente, le deroghe; nel campo della clandestinità, infatti, l’età minima può
scendere fino a tredici anni: è questo il caso della giovanissima Angela Melfi che
«[…] non ha pur anco compiuto il quattordicesimo anno di età […] e ha dichiarato di essere stata indotta alla prostituzione circa un mese dietro [la dichiarazione è
rilasciata il 27 ottobre 1881] dalla propria madre» 8. Il caso rimane comunque isolato, in quanto nella piazza di Bitonto l’età più fertile per il sesso mercenario è
compresa tra i 20 e i 30 anni.
Oltre che giovane, la prostituta è generalmente nubile; minima è la percentuale
di donne ‘maritate’ e quasi assente lo stato di vedovanza che sembra precludere la
scelta del sesso mercenario. In effetti, su 31 meretrici registrate nell’anno 1881 solo
6
Così E.E. Cohen, Free and unfree Sexual Work, in Faraone, McClure, Prostitutes … cit., 95
sgg.
7 Rarissime sono le eccezioni. Nel 1754, fa notizia la morte di Francesca Preziosa, detta
Sorgecchia (nomen omen?!), «donna libera e scandalosa […] impenitente e pubblica meretrice
[…] seppellita fuori le mura della città nel fosso della porta del Carmine». Ma prima della sepoltura la donna viene condannata a pubblico ludibrio per decreto del vescovo Nicola Ferri: il suo
corpo, adagiato su tavole, è trainato da un asino per alcune strade di Bitonto: così in Archivio
Diocesano ‘A. Marena’-Bitonto (d’ora in poi A.D.B.), mss. cc. vv.. Ed ancora: nel 1799, un’altra donna di ‘facili costumi’ viene prima lapidata, quindi trascinata da una giumenta; il suo corpo
viene poi scaraventato dal muro Pendile: si rimanda a A. Castellano, P. Cioce, M. Muschitiello,
Accadde a Bitonto e tradizioni, Bitonto 1994, qui 188.
8 Archivio Storico Comune di Bitonto (d’ora in poi A.S.C.B.), Preunitario, busta 369, c. 320.
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CARMELA MINENNA
per tre donne la prostituzione si combina con lo stato coniugale ed appena una
abbraccia la pratica sessuale dopo il decesso del coniuge.
È evidente, dunque, che l’uso illecito e venale della sessualità non è correlato
alla completa mancanza di parenti e di relazioni sociali, quanto ad una solitudine
relativa (non assoluta) riconducibile alla assenza di maschi adulti nel gruppo dei
conviventi che siano in grado di garantire dipendenza giuridica ed economica alle
donne 9.
Dati interessanti emergono con riferimento all’attività lavorativa svolta in concomitanza con la pratica prostitutiva: dal censimento, annotato sul Registro di prostituzione 1869-1880, si evince che delle complessive 108 meretrici una percentuale piuttosto alta pari al 60% svolge attività di filatrice; seguono, poi, in misura decisamente ridotta le domestiche (23%), le contadine (12%) e le tessitrici (5%). È
ragionevole ribadire – e i dati anagrafici di fine Ottocento, desunti per lo più dai
Registri di Matrimonio, ne offrono conferma – che l’ambito della prostituzione offra
una proiezione abbastanza attendibile delle specializzazioni professionali attestate a
Bitonto tra XIX e XX secolo: le più fiorenti possibilità impiegatizie sono riscontrabili nel settore specialistico della filatura e della tessitura, a conferma di una tradizione manifatturiera di comprovata qualità nella produzione di filati, maglieria,
calze di lana e tessuti.
Pregressa attività lavorativa
svolta dalle prostitute (1869-1880)
Filatrici
Contadine
Domestiche
Tessitrici
TOTALE
Valore
numerico
65
13
25
5
108
Valore
percentuale
60‰
12‰
23‰
5‰
Difficile, se non impossibile, risalire ai canoni estetici più richiesti dal mercato
del sesso mercenario. La circolare cavouriana del 1860 si prefigge, del resto, un
capillare monitoraggio del fenomeno finalizzato non tanto alla conoscenza dell’eziologia e al suo scardinamento, quanto alla regolamentazione della prostituzione
nel rispetto della vigente normativa statale.
Dal Registro delle prostitute operanti a Bitonto dal 1869 al 1880 si evince,
comunque, un identikit dai tratti somatici piuttosto ripetitivi, non eccezionalmente
appariscenti e riconducibili al modello di seguito riportato: statura giusta, capelli
castani, ciglia castane, fronte ovale, occhi cervoni, naso regolare, bocca giusta, mento
ovale, viso ovale. È ipotizzabile, dunque, il persistere di un canone estetico tipicamente mediterraneo che esclude caratteri somatici di tipo nordico e che fa appello
ad un mercato esclusivamente locale, di frequente rinnovato per i sopraggiunti limiti di età delle prostitute. Non si dimentichi, infatti, che «l’età è il nemico più spie-
9 L. Ferrante, Il valore del corpo, in A. Groppi (a cura di), Il lavoro delle donne, Bari 1996,
208-209.
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tato di un’amante […] e in epoche meno facili della nostra, questa verità si imponeva ancor più crudelmente» 10.
Quanto poi alle forme comportamentali e alle strategie professionali funzionali
all’ottimizzazione dell’attività lucrativa, è d’obbligo una estrema cautela di valutazione sebbene cenni sbiaditi si leggano, in filigrana, nella stesura dei divieti emanati dai sindaci delle città in ottemperanza all’art. 32 del Regolamento. Per cominciare, il fattore identificante delle meretrici è l’abbigliamento visto che il sindaco
di Bitonto G. Catucci, nel giugno del 1885, vieta loro di «uscire vestite in modo
poco decente o in uno stato di ubriachezza». Non rientrano, in effetti, nella comune decenza mutandoni e mutandine, copribusto e corpetti di pizzo, sottogonne e pettorine, la cui dilagante diffusione nella più licenziosa moda dell’epoca solo in parte
trova spiegazione nel ribasso del prezzo del cotone. Il sorprendente rigoglio della
biancheria femminile si riconduce, piuttosto, alle regole dello scambio amoroso che,
nell’atmosfera dei postriboli ottocenteschi, vagheggia un incontro più tenuo e più
lento veicolato dal rituale tradizionale del coprire e dello scoprire, dell’avvolgere e
del disvelare. Di qui, gli ammiccanti preliminari, spesso consumati per strada e affidati al codice dell’abbigliamento 11. Non meno frequente, come dimostra il divieto
del sindaco di Bitonto, anche l’alcol è un efficace strumento di strategie erotiche,
nel rispetto di una pratica simposiaca, che consacra un binomio indissolubile tra il
consumo del vino e la licenziosità del comportamento sessuale. Oltre che all’abbigliamento e all’estasi enologica, la strategia provocatoria è affidata ad una ammiccante gestualità consumata sul davanzale delle finestre, sull’uscio delle porte o, in
alternativa, in studiate ‘passeggiate di lavoro’, donde il divieto di «affacciarsi alle
finestre e di stanziare sulle porte anche della propria abitazione o fermarsi a frequentare le vie principali, le piazze o le pubbliche passeggiate». Non si esclude,
inoltre, che le prostitute si abbandonassero ad «atti indecenti nei luoghi pubblici»,
esibendosi talvolta in «discorsi osceni». Infine, nel rispetto di una inveterata tradizione che rinvia a modelli antropologici di matrice omerica – si ricordi l’atto sessuale consumato da Era e da Zeus nell’avvolgente atmosfera di una nube virtuale
appositamente ‘inventata’ nel famoso passo della Diós apate, l’inganno di Zeus,
quale surrogato della notte –, la pratica sessuale nella duplice forma coniugale e
mercenaria, trae ispirazione e complicità dalla suadente ambientazione notturna.
Pertanto, al fine di scoraggiare l’intraprendenza notturna nella città di Bitonto, il
ridetto sindaco Catucci emana una ordinanza che vieta di «rimanere fuori di casa
senza giusta causa dopo le ore otto di sera dal mese di ottobre al marzo inclusivamente e dopo le ore dieci negli altri mesi».
Si aggiunga, inoltre, che almeno a Bitonto la prostituzione sperimenta ampi margini di successo e di consenso per effetto della sorprendente iniziativa delle stesse
meretrici, particolarmente avvezze a «seguire i passeggeri per le vie o […] adescarli con parole o segni» 12. Atipiche antesignane di una imprenditorialità femmi10
E. Abbott, Storia delle altre. Concubine, amanti, mantenute, amiche, Milano 2006, 554.
Sul rinnovo della moda ottocentesca e sul valore socio-antropologico della biancheria femminile, Y. Knibiehler, Corpi e cuori, in Aa.Vv., Storia delle donne in Occidente. L’Ottocento,
Roma-Bari 1993, 312 sgg.
12 A.S.C.B, Preunitario, busta 369, c. 582.
11
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CARMELA MINENNA
nile efficace ‘nella invenzione’ di una attività lavorativa, furono due meretrici girovaghe, talmente provette da pagare con la reclusione in carcere la loro intraprendenza sul lavoro; in effetti, dal verbale di arresto sottoscritto dai ‘carabinieri a piedi’
si evince che le due professioniste «invece di starsene nella propria abitazione erano
solite uscire per il paese e girovagare ed unitesi a dei borghesi di tutte le classi
continuavano nelle loro escursioni sino a che, a scandalo dei cittadini, davano termine ai gogrovigli sfogando le loro voglie anche per le strade nei d’intorni dell’abitato» 13.
Quella di Bitonto è solo una testimonianza, non isolata nel panorama italiano ed
europeo 14, di una accezione fortemente trasgressiva della prostituzione quale fenomeno che implica un ruolo attivo e volontario, se non marcatamente intraprendente, da parte della donna, laddove a quest’ultima si tende a riconoscere una sessualità secondaria, indiretta e subordinata al piacere dell’uomo.
Le cause
È quanto mai complesso avanzare ipotesi sulle cause del fenomeno. Anche le
fonti tendono a minimizzare la conoscenza eziologia. Un minimo ma interessante
riferimento si evince dalla Statistica annuale sulla prostituzione che, con riferimento alla realtà bitontina, individua due cause diverse riconducibili, l’una alla «miseria cagionata per oziosità», l’altra alla «miseria cagionata per mancanza di lavoro» 15.
L’interpretazione proposta dal menzionato documento è quanto mai interessante
in quanto proietta il fenomeno prostituivo sulla panoramica del mondo lavorativo
che, nel caso dell’Ottocento, apre i battenti alla presenza femminile. Naturalmente
la donna lavoratrice esiste già da tempo e si guadagna da vivere come filatrice,
domestica, sarta, balia, bambinaia; ma solo nel XIX secolo acquisisce una rilevanza sociale, fino ad essere percepita come ‘problema’, in considerazione della recente compatibilità tra femminilità e salario 16. L’affermarsi di una diversa visione complessiva della differenza uomo-donna, anche a livello produttivo, approda ad una
asimmetria sessuale che non solo prevede nuove distinzioni fra le attività dei due
sessi sia nella sfera privata che in quella pubblica, ma pone i presupposti per una
nuova concezione della figura femminile, proiettata con esiti positivi nella sfera
impiegatizia, manifatturiera e, più in generale lavorativa 17. In effetti, la evoluzione
13
A.S.C.B, Preunitario, busta 369, c. 465.
J.R. Walkowitz, Sessualità pericolose, in Aa. Vv., Storia delle donne … cit., 405 sgg. Sulla
sessualità, la prostituzione e le sue implicazioni sociali nell’Italia ottocentesca, D. Gilmore, La
genesi del maschile: modelli culturali della virilità, Scandicci 1993; M. Pelaja, Matrimonio e sessualità a Roma nell’Ottocento, Roma-Bari 1994.
15 A.S.C.B, Preunitario, busta 369, c. 175.
16 Sul rapporto tra femminilità e salario, lavoro domestico e lavoro professionale, J.W. Scott,
La donna lavoratrice nel XIX secolo, in Aa.Vv., Storia delle donne… cit., 355 sgg.
17 A. Pescarolo, Il lavoro e le risorse delle donne in età contemporanea, in Groppi (a cura
di), Il lavoro … cit., 301-305.
14
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IL MERCATO DEL SESSO. INDAGINE SULLA PROSTITUZIONE DI FINE OTTOCENTO A BITONTO
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socio-economica del XIX secolo assicura alla donna prospettive di identificazione
professionale, insperate nei secoli precedenti. La manodopera femminile, più competitiva di quella maschile decisamente più costosa, non solo determina una metamorfosi professionale di alcuni settori lavorativi, ma soprattutto concorre alla definizione di una nuova identità sociale della donna, strappata all’esclusivismo delle
pareti domestiche e proiettata in campi lavorativi.
C’è ragione di ritenere che anche in Puglia, e a Bitonto in particolare, sia giunta l’eco di donne sempre più inquadrate in diversi ambiti occupazionali da quello
artigianale a quello manifatturiero, a quello dell’istruzione. Del resto, anche nella
locale realtà territoriale non mancano chiari sentori di questa svolta sociale che segna
l’ingresso della donna nel mondo del lavoro: i settori della tessitura, del manifatturiero, dell’arte pasticciera, dell’assistenza socio-sanitaria e, non ultimo, anche quello agricolo, garantiscono prospettive anche alle donne. D’altro canto, però, la forte
marginalità meridionale, anche nella svolta economica dell’Italia postunitaria, determina gravi problemi di inquadramento lavorativo con ricadute fortemente penalizzanti soprattutto per la manodopera femminile.
In un contesto in cui emerge la concezione patrilineare dell’economia produttiva, particolarmente radicata nella società contadina dell’Italia Meridionale, gli ambiti di manovra femminile valevoli a qualificare la presenza e la visibilità delle donne
si presentano piuttosto angusti: le presenze femminili sono alquanto scarse e molto
ristrette le possibilità di ‘carriere femminili’. In sostanza, all’interno del sistema corporato ottocentesco disponibile ad una apertura in senso femminile, ma non tanto
da assicurare alle donne anche i vertici organizzativi, è legittimo avanzare l’ipotesi che l’imprenditoria del sesso sia stata alimentata dalle esigenze compensative rivenienti da altri ambiti lavorativi non altrettanto remunerativi, né appaganti.
Queste considerazioni prendono corpo dai dati statistici afferenti il comune di
Bitonto. Sul Registro della Prostituzione si legge, infatti, che numerose prostitute si
sono accostate al sesso mercenario dopo aver esercitato l’attività di filatrice; la percentuale più consistente, invece, non vanta una precisa caratterizzazione professionale e si qualifica generalmente come domestica.
Non si esclude, d’altro canto, che la scelta della prostituzione sia stata abbracciata non tanto per ragioni ideologiche ma anche per condizioni di radicata miseria, non disgiunte da un’indole incline alla amoralità. Infatti se da un lato il risveglio economico ha consentito, nell’Ottocento, alla donna di inserirsi nel mondo del
lavoro dall’altro ella ha ben pagato il riscatto dalla sottomissione maschile soddisfacendo gli appetiti sessuali dell’imprenditore agricolo e del suo capo d’opera per
assicurarsi il lavoro. Non è, pertanto, difficile trovare lavoro in campagna per una
giovane donna che asseconda le voluttà ‘du chembratàure’, ossia del capo d’opera, favorito dall’isolamento delle lunghe trasferte stagionali in campagna ove la
donna è lontana dagli occhi e dalle dicerie altrui. Certamente questo disagio economico, unitamente ad una predisposizione al piacere, favorisce il «meretricio clandestino forzato» in stretta relazione con le condizioni di povertà e di miseria in cui
vivevano personalmente le donne o i loro genitori che avviavano le figlie minorenni alla prostituzione: è questo il caso di Rosina Cazzolla (1873) «la quale dal
bisogno e dall’abbandono in cui la lasciano i genitori era stata spinta al meretricio clandestino».
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CARMELA MINENNA
Non di raro, anche le meretrici legittime si abbandonano a reati di varia natura
che infondono grossi dubbi sulla moralità delle medesime. La più alta frequenza
concerne il reato di furto a carico delle tenutarie del postribolo: nel 1873 viene
emessa sentenza di arresto a carico di Maria Luigia Ragno per aver sottratto «due
camicie di filo, con sottanino bianco, due chaemises di magram, uno sciallo, un
paio di orecchini d’oro, due faccioletti bianchi, un paio di calzette» 18. Le prostitute, dunque, si dedicano al furto come attività più remunerativa di quella sessuale.
In ogni caso, comunque, è legittimo ravvisare forme di sessualità usata come risorsa economicamente rilevante in quanto nell’Ottocento «la sopravvivenza rischiava
di essere una scommessa quotidiana che aveva molte probabilità di essere perduta.
In queste condizioni l’uso della propria sessualità come risorsa, era, per moltissime
donne più che plausibile» 19.
2
23
6
31
27
3
1
31
29
2
31
6
25
Numero delle meretrici al 1° luglio 1881
(A.S.C.B., Preunitario, busta 369, c. 319)
Da 16 a 20 anni
ETÀ
Da 20 a 30 anni
Da 30 a 40 anni
totale
Nubili
Maritate
Vedove
CONDIZIONI
Contadine
Domestiche
ARTE O
MESTIERE
totale
totale
CAUSE che indussero alla prostituzione: miseria
Postribolo
ABITAZIONE
Abitazione privata
I postriboli
Nell’ottica della regolamentazione cavouriana, la pratica della sessualità mercenaria viene assimilata ad una qualsiasi attività professionale, codificata da un sistema normativo e, di conseguenza, sottoposta ad una regola di tassazione. Si assiste,
pertanto, al tentativo di sradicare e scoraggiare le manifestazioni clandestine della
prostituzione con l’obiettivo di circoscrivere il fenomeno ad una pratica ordinaria e
legittimata.
Aspetto prioritario nella regolamentazione del fenomeno è il monitoraggio del
postribolo, caratteristica che identifica il sesso mercenario e lo differenzia dal con-
18
19
A.S.C.B, Preunitario, busta 369.
Ferrante, Il valore … cit., 208.
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cubinato 20. Il postribolo, infatti, è sottoposto ad un rigido sistema normativo, nonché a periodici controlli amministrativi, fiscali e sanitari. Innanzi tutto qualsiasi sede
deputata al sesso a pagamento richiede una regolare licenza, rilasciata all’intestatario del postribolo. Suscita grande interesse verificare che la prostituzione assurge a
fenomeno tipicamente femminile non solo a livello operativo, ma anche a livello
gestionale. Questa forte matrice femminile emerge, in effetti, dalla titolarità delle
case di tolleranza, spesso intestate a prostitute, di cui si verifica tuttavia la legittimità di condotta. Proprio a Bitonto viene inoltrata richiesta di «aprire una casa di
tolleranza di seconda Categoria, terza Classe»; la richiedente è la prostituta Arcangela
Pice che, alla luce di indagini condotte «non fu mai condannata per reati di sorta
e gode buona condotta» 21. Come la menzionata Pice, risultano titolari di Patente
per gestione di postriboli: Ripaldi Giacoma, Palacchino M. Emanuella, Tedone Maria
Giuseppe, D’Ambrosio Caterina, Titonna Maria Giuseppe.
Di tenore nettamente contrario, l’esito della richiesta inoltrata da soggetto etichettato «ladro, ozioso e vagabondo»: la fedina penale e la condotta morale di Carlo
Antonio Rubino, interessato alla istituzione di un postribolo, vanificano la richiesta
esibita alla Prefettura Territoriale; d’altro canto l’iter, che per vie legittime, approda ad un esito negativo, non soffoca il progetto imprenditoriale del Rubini che troverà, comunque, concretizzazione nella forma di una palese clandestinità.
Altro aspetto non secondario, sottoposto anch’esso alla regolamentazione cavouriana, consiste nell’ubicazione del postribolo. Dalla localizzazione delle varie sedi
operanti a Bitonto alla fine dell’Ottocento si evince una topografia fortemente accentrata con indici di presenza localizzati nel centro storico. I postriboli, indicati nello
schema allegato, non presentano peculiarità strutturali né vincoli di altra natura, fatta
salva l’osservanza di una idonea distanza dai luoghi di culto insistenti nella medesima area. Proprio a Bitonto, il cui centro storico evidenzia una forte concentrazione di sedi parrocchiali, la tenutaria Ripaldi Giacoma incorre nella citata inosservanza, lamentata e reclamata dal parroco Attilio Dymitri; la casa di tolleranza viene
aperta il 1° luglio 1880, «a pochi metri di distanza dalla parrocchia di S. Silvestro» 22.
L’effetto del reclamo, inoltrato al Prefetto di Bari, è immediato: la patente, il 9 agosto dello stesso anno, viene ritirata e il postribolo trasferito in quanto «incompatibile per legge in vicinanza di un edificio destinato al culto» 23.
Si avanza, tuttavia, il ragionevole dubbio che tale prescrizione, afferente alla ubicazione del postribolo, si sia attenuata col trascorrere degli anni; infatti, dal riserbo quasi assoluto sull’argomento si è salvata una richiesta di chiusura di un postribolo sito, nella prima metà del ‘900 e già da tempo operante, in via arco Pinto 19
entro il circondario della chiesa parrocchiale di S. Paolo. Gestita da tale Lina
20 Il rifiuto della coabitazione e la conseguente frequentazione di ‘sedi specialistiche’ sono indice della natura meno ufficiale del ruolo di amante, rispetto a quello di concubina. Con la modernizzazione della società, infatti, il fenomeno del concubinaggio fa sempre meno proseliti a favore del sesso mercenario. Sul ruolo e sull’identità sociale delle concubine, Abbott, Storia delle altre
cit., passim.
21 A.S.C.B., Preunitario, busta 369, c. 169.
22 A.S.C.B., Preunitario, busta 369, c. 287.
23 A.S.C.B., Preunitario, busta 369, c. 313.
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CARMELA MINENNA
Montenegro, la casa di meretricio è frequentata «non solo da gente del posto, ma
anche da moltissimi giovani dei paesi viciniori»; questi «si fermano a lungo sulla
piazzetta che fiancheggia il locale di meretricio per fare commenti osceni, per canterellare canzoni indecenti e […] per soddisfare i propri bisogni personali orinando
lungo i muri […]». La struttura, dotata di doppio ingresso, di cui, quello posteriore «accanto all’abitazione della su nominata Montenegro [...] per fare entrare o uscire qualche assiduo cliente di riguardo, si presenta talmente “esposta”» che, attraverso una finestra priva di persiane, non è difficile scorgere – a detta del parroco
di San Paolo! – «tutte le scene scandalose che si svolgono all’interno della stanza». La casa di tolleranza è chiusa nel maggio del 1953 24.
I GESTORI DEL SESSO MERCENARIO
(1870-1880)
Postriboli legittimi
Postriboli clandestini
D’Ambrosio Caterina
Antonino Maddalena
Palacchino M. Emanuella
Cassano Maria
Pice Arcangela
Esposito Rosa
Ripaldi Giacoma
Rubino Carlo Antonio
Tedone Maria Giuseppe
Tursi Palma
Titonna Maria Giuseppa
Le implicazioni socio-sanitarie
La diffusa preoccupazione circa la prostituzione come pericolosa forma di attività sessuale porta nel decennio 1860-1870 all’approvazione di norme socio-sanitarie in quasi tutti i paesi d’Europa. In Italia, per esempio, l’esigenza cavouriana di
circoscrivere il fenomeno alle sole manifestazioni e forme legittime non solo è finalizzata a scoraggiare tentativi di evasione fiscale ad iniziativa di una categoria, professionale, difficile da monitorare e da tassare, ma sottende altresì la logica del risanamento sanitario diffusa nella seconda metà dell’Ottocento 25.
I pressanti solleciti inviati dalla Prefettura di Bari per la compilazione delle schede censitarie delle prostitute valgono, infatti, da efficace strumento di monitoraggio
sanitario. La preziosa documentazione consente, in effetti, di lumeggiare le condizioni sanitarie di una categoria sociale esposta al contagio da malattie infettive.
I dati statistici attinti dalle schede anagrafiche e dai Registri di Sifilicomio delineano una situazione sanitaria piuttosto variegata pur nella sostanziale omogeneità
delle condizioni patologiche 26. Infatti le problematiche sanitarie sono riconducibili
per lo più al campo infettivo di matrice venerea, per quanto le patologie censite
siano alquanto differenti. Le forme patologiche più gravi lasciano diagnosticare condizioni di precancerosi o, comunque, lesioni di tipo ulcerativo a carico dell’utero e,
24
A.D.B., busta ‘Parrocchia San Paolo’, cc. vv.
Sull’argomento si veda L, Valenzi, Donne, medici e poliziotti a Napoli nell’Ottocento: la
prostituzione tra repressione e tolleranza, Napoli 2000.
26 Sulle patologie veneree correlate al mercato del sesso, E. Tognotti, L’altra faccia di Venere:
la sifilide dalla prima età moderna all’avvento dell’AIDS (sec. XV-XX), Milano 2006.
25
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IL MERCATO DEL SESSO. INDAGINE SULLA PROSTITUZIONE DI FINE OTTOCENTO A BITONTO
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più in generale, dell’apparato genitale. Tutte le lesioni e le forme blenorragiche sono
variamente localizzate ed inducono ad ipotizzare un’intensa attività sessuale sia di
tipo vaginale che anale, con rapporti anche violenti sfociati in patologie ulcerative.
La consistenza numerica delle meretrici che, una o più volte all’anno, risultano
affette da patologie veneree, concede ampi margini di dubbio sull’eventuale applicazione di una idonea profilassi, nonché sull’efficacia terapeutica di appositi centri
sanitari. Escluso l’approccio preventivo che sembra esulare dalla mentalità e dalla
cultura sanitaria del tempo, la fase terapeutica esaurisce le uniche possibilità di intervento a carico delle malattie veneree.
Il prontuario farmaceutico di fine Ottocento, adottato negli ospedali di beneficenza, contempla un discreto campionario di antivenerei; sono segnalati, in particolare, il sublimato corrosivo, l’unguento mercuriale o napoletano, l’etiope minerale, il mercurio gommoso di Plenk, le pillole di Belloste, la salsa nostrale, il legno
santo e il legno visco quercino 27, quasi tutti ascrivibili alla categoria di cure palliative.
Peraltro la natura recidivante di alcune patologie che costringe le meretrici ad
un periodico ricovero presso il Sifilicomio è una spia indiscutibile delle modalità
di intervento medico, valevoli a curare la lesione, ma non la malattia. Ne sia conferma la cartella clinica di Castro Maria Agnese 28 che, nell’arco di tre anni (dall’agosto del 1880 all’ottobre del 1883) è costretta a sette ricoveri nel Sifilicomio
provinciale, quasi tutti della durata di un mese; a nome di questa meretrice si segnala, peraltro, uno dei ricoveri più duraturi: con la diagnosi di condiloni alle grandi
labbra la clinica accoglie Maria Agnese dal 28 novembre 1882 al 26 giugno 1883.
Si contano, quindi, sette mesi di ospedalizzazione, seguiti a breve distanza da un
ulteriore ricovero (l’ultimo documentato) il 6 luglio 1883 con diagnosi di bubbone:
è credibile, pertanto, che la vicenda patologica di questa meretrice abbia registrato
una fase di acutizzazione di cui è possibile ipotizzare un drammatico epilogo 29.
Questa forte limitazione rende ancor più restrittivo l’ambito di operatività di centri abitati che non dispongono di una adeguata struttura sanitaria. Il caso di Bitonto
è in tal senso emblematico: la città continua a fronteggiare le emergenze di origine venerea facendo appello alle strutture ospedaliere limitrofe, in particolare quelle
di Bari, o a strutture prive di alcuna specializzazione; qui pervengono non solo pubbliche meretrici, ma anche interi nuclei familiari che una dilagante indigenza rende
esposti alle malattie veneree e, di solito su indicazione di un parroco, confluiscono
in una virtuale lista di attesa funzionale ad affollare le stanze del locale nosocomio. È rimarchevole il ricovero collettivo della famiglia Gentile composta dal padre
27
A.D.B., Elenco delle medicine da usarsi negli Ospedali di Pubblica Beneficenza, cc. vv.
A.S.C.B., Preunitario, busta 373, Registro delle donne riconosciute infette 1879-1888.
29 La natura recidivante dei morbi sifilitici è una costante della storia sanitaria locale. Si segnala, infatti, un caso analogo nella seconda metà del XVIII secolo: Anna Canosa è costretta ad una
prima assunzione di «capi di robe mercuriali che teneano a guarire morbi gallici», nel dicembre
1783; ma fa ritorno nella ‘spezieria’ bitontina di Nicolangelo Panisco, per una richiesta analoga
a distanza di tre mesi: A.D.B., mss. 85 D 5/6, Processo criminale contro un laico professo di S.
Domenico, 1783-1784, c. 37. Per ulteriori dati sulla sifilide e sulla situazione sanitaria del Settecento
a Bitonto, C. Minenna, Medici e pratiche mediche nel XVIII secolo. Indagine sugli operatori sanitari di Bitonto, in Studi Bitontini 79, 2005, 47-67.
28
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CARMELA MINENNA
Pietro, dalla madre Carmela e dalla figlia Veneranda, ammessa in ospedale nel
1842 30.
In assenza di reparti specialistici, la risposta sanitaria del comune di Bitonto vede
l’istituzione di un Ufficio Sanitario che, lungi dall’assicurare assistenza terapeutica,
funziona esclusivamente da centro di monitoraggio e smistamento delle patologie.
Viene attivato nel 1872 presso i locali di S. Agostino, sotto la direzione del dott.
Francesco De Napoli, cui null’altro spetta se non il controllo medico: in quell’anno sono sottoposte a visita ginecologica 17 prostitute «delle quali 7 sono pulite, 8
sono rimaste assicurate in carcere in osservazione perché presentano dubbio d’infezione sifilitica, e 2 infette» 31. Al De Napoli viene corrisposta dalla Prefettura, Ufficio
di Sicurezza, la somma annuale di £. 200 «per servizio prestato in qualità di medico visitatore di prostitute».
Negli anni Ottanta del XIX secolo, in concomitanza con una forte espansione
del fenomeno, le strutture locali risultano, del tutto, inadeguate; la sala dell’Ufficio
Sanitario adibita a visita delle meretrici ed ubicata presso la sede comunale di S.
Domenico si presenta così attrezzata: «banchi per sedere, letto o sedia con manico
per la visita alle meretrici, tavolino di legno abete dipinto ad olio a tre passate con
tiretto, toppa e piedi semplici, tinozza per l’acqua lurida con cerchi di ferro, asciugamano di filo» 32.
A fronte della carenza strutturale si segnala, comunque, il tentativo di sopperire, a livello locale, mediante la frequenza delle visite sanitarie, annualmente calendarizzate in quattro trimestri. Il numero complessivo delle visite mediche annuali
oscilla fra 969, nell’anno 1875, e 1266, nell’anno 1872.
La frequenza delle visite mediche è altresì correlata ad un altro aspetto della
politica sanitaria ossia lo stretto monitoraggio delle patologie veneree finalizzato a
scongiurare la diffusione epidemica delle stesse. La necessità di questo intervento
indagativo si palesa in tutta la sua urgenza soprattutto in concomitanza con le frazioni temporali di impegno bellico in quanto la recrudescenza del fenomeno risulta attestata a latere dello stazionamento delle truppe militari: in sostanza le soldatesche non solo hanno ispirato i virtuosismi erotici delle meretrici, ma hanno, spesso, operato quale vettore di patologie veneree. È quanto emerge anche dalla Circolare
Ministeriale emanata nel 1916 dal Prefetto di Bari a tutti i comuni della provincia;
il documento, infatti, è valevole a lumeggiare il «crescente diffondersi delle malattie celtiche specie in quei comuni ove esiste agglomerato di truppe» 33. Si precisa,
anzi, che «il male venereo […] a larga mano viene diffuso tra i soldati i quali poi
vengono ammessi in cura presso l’ospedale militare per le seguenti malattie: ulcera molle del prepuzio, ulcera molle al glande» 34.
In tale circostanza il piano di intervento sanitario prevede esclusivamente la notificazione, da parte dei medici, chirurghi e levatrici, di «donne che esercitano il
30
31
32
33
34
M. Muschitiello, Hospitali, Medici e Speziali a Bitonto, Bitonto 1997, 130.
A.S.C.B., Preunitario, busta 369.
A.S.C.B., Preunitario, busta 369, c. 385.
A.S.C.B., Postunitario, busta 74, fasc. 4.
A.S.C.B., Preunitario, busta 369, cc. 109-111.
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IL MERCATO DEL SESSO. INDAGINE SULLA PROSTITUZIONE DI FINE OTTOCENTO A BITONTO
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meretricio anche clandestinamente e che le abbiano trovato infette» 35. L’atto di notifica viene rilasciato presso gli uffici di Pubblica Sicurezza e, qualora il centro abitato ne sia sprovvisto, gli Uffici Circondariali provvedono all’invio settimanale di
un funzionario investito della direzione dei servizi in materia celtica.
Manca, dunque, una specifica ed adeguata risposta sanitaria alle patologie veneree e persino dopo la emanazione del Regio Decreto del 25 marzo 1923 n. 846 che
tassativamente dispone «l’istituzione di un dispensario per la profilassi e cura gratuita della sifilide», il podestà di Bitonto rende noto al Prefetto di Bari che la città,
la cui popolazione conta 28.768 abitanti, ospita «un dispensario generico medicochirurgico, dove si curano anche morbi sifilitici» 36. Una terapia di tipo specialistico viene assicurata soltanto dopo il 1931 con l’istituzione di un Dispensario celtico allocato presso alcuni locali dell’Ospedale Civile. La struttura sanitaria, consistente in tre ambienti destinati uno a visite mediche, gli altri a sale di attesa femminile e maschile, accoglie personale medico e paramedico in grado di curare «manifestazioni contagiose, in atto, di blenoraggia, di ulcera semplice o contagiosa, di
infezione sifilitica e dermatosi parassitarie».
Il Dispensario degli anni Trenta rappresenta, invero, una svolta nella logica assistenziale di tali patologie in quanto per la prima volta concorre al processo di sensibilizzazione sanitaria in un’ottica preventiva visto che «il personale addetto al
Dispensario dovrà svolgere opera attiva di propaganda per la prevenzione delle malattie veneree» 37. Il Dispensario, istituito con Deliberazione comunale del 15 gennaio
1931, viene affidato alla direzione provvisoria del dott. Antonio Buquicchio che ne
garantisce la funzionalità «tutti i giorni meno i festivi» assicurando assistenza gratuita agli infermi.
Patologie veneree censite nel
Registro delle donne riconosciute infette 1879-1888
Blenoraggia all’ano
Blenoraggia utero-vaginale
Blenoraggia con vegetazioni sifilitiche
Bubbone
Bubboni inguinali
Bubbone venereo suppurale
Catarro uretrovaginale
Condiloni all’ano
Condiloni vaginali
Creste all’ano
Creste sifilitiche
Escoriazioni sifilitiche
Escrescenze sifilitiche
Fistola sifilitica
Fungosità al muso di Linen
Granulazioni all’utero
Granulazioni al muso di Tinca
Lacerazione anale con lue sifilitica
35
36
37
Valore
numerico
2
38
2
2
2
1
2
2
16
1
1
1
1
1
2
1
2
1
A.S.C.B., Postunitario, busta 74, fasc. 4.
A.S.C.B., Postunitario, busta 73, fasc. 31.
A.S.C.B., Postunitario, busta 73, fasc. 35.
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CARMELA MINENNA
Pustole sifilitiche
Ragade all’ano
Scabbia sifilitica
Scolo surrioso per piaga al muso di Linen
Ulcera
Ulcera all’ano
Ulcera al collo dell’utero
Ulcera del muso di Linen
Ulcera del muso di Tinca
Ulcera alle grandi labbra
Ulcera molle alle piccole labbra
Ulcera sifilitica
Ulcera sulle pareti addominali
Ulcera e blenoraggia
Ulcera e condiloni
1
4
3
1
35
1
2
1
4
10
3
1
1
4
4
Fuori dal tunnel
È legittimo chiedersi se il percorso umano e sociale che porta al meretricio sia
una strada a senso unico; è meno facile, però, ottenere risposte convincenti, soprattutto se si procede con l’interrogazione di documenti incompleti e parziali. Alla fine
dell’Ottocento, infatti, la prostituzione non assurge a scelta definitiva ed irrevocabile; gli strumenti del recupero e del riscatto della dignità umana sono assicurati
dalla organizzazione statale che contempla un pacchetto legislativo a tutela delle
prostitute per così dire redente. L’ente preposto alla restituzione di una identità
socialmente e moralmente sana è la Regia Prefettura cui compete l’incarico di indirizzare la meretrice che si dichiara una ex professionista del sesso mercenario, presso parenti e congiunti «onde abbiano a prestarle gli opportuni soccorsi e vegliare
soprattutto che viva onestamente». Anche a Bitonto sono accertate «carriere prostitutive» stroncate al culmine dell’esercizio professionale, come quella di Francesca
Giannini che nel 1872 ha 18 anni 38.
In caso, poi, di comprovato ravvedimento la meretrice può essere affidata ad un
«probo ed onesto cittadino, solito a spiegare aiuti in favore di persone tendenti al
male, per richiamarle al bene».
Questa soluzione di tipo privatistico, affidata all’iniziativa individuale di alcuni
benefattori, riscuote maggiore fortuna di quella semipubblica sperimentata a Bitonto
a metà Ottocento; il progetto di recupero, concretizzato nell’arco del quinquennio
1855-1861, è ascrivibile agli interventi di risanamento morale e sociale promossi
dal vescovo Materozzi che, in un locale attiguo alla chiesa di s. Maria delle Martiri 39,
38
A.S.C.B., Preunitario, busta 369.
La chiesa, con l’annesso conservatorio, sin dall’età tardomedievale ricade entro un progetto
socio-assistenziale a beneficio delle cosiddette ‘zitelle pericolose’ nel significato di fanciulle in
pericolo di perdere onestà e onore, I conservatorî, infatti, vengono instituiti per salvaguardare l’onore delle donne e per abilitarle ai lavori domestici in una prospettiva matrimoniale. Sull’operato
dei conservatorî, E. Sonnino, Precarietà sociale, fragilità familiare e ruoli delle istituzioni di assi39
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IL MERCATO DEL SESSO. INDAGINE SULLA PROSTITUZIONE DI FINE OTTOCENTO A BITONTO
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in un’area quindi a forte incidenza prostitutiva, istituisce un «asilo per donne di
liberi costumi». Ma carenze finanziarie condannano l’istituzione al declino.
La consistenza
È difficile proporre una stima attendibile del fenomeno. L’indeterminatezza dei
dati numerici, infatti, non riviene soltanto dalla frammentarietà dei dati censitarî
relativi alla cosiddetta popolazione ordinaria, non sempre completi e spesso affidati alla compilazione ecclesiastica che, attraverso la ‘conta delle anime’ ha integrato
per tutto l’Ottocento le aporie degli uffici anagrafici; qualsiasi ipotesi censitaria del
fenomeno risulta, poi, viziata dalla persistenza, anche all’indomani del 1860, di pratiche sessuali clandestine la cui latitanza costringe a tentativi di monitoraggio superficiali e fortemente lacunosi. Del sesso clandestino, infatti, deboli ma inequivocabili lumi si evincono dagli ‘stati d’anime’ delle comunità parrocchiali che, affidati alla
precisione e alla perizia calligrafica dei parroci, possono contemplare, in aggiunta
alle ordinarie indicazioni circa la consistenza, l’età, le differenze di genere e di professione della popolazione, anche osservazioni di natura sociale e/o morale. Sempre
più frequenti all’inizio del Novecento, queste osservazioni accertano, talvolta, l’operato clandestino di donne di dubbia moralità variamente classificate dal variegato patrimonio lessicale dei parroci: gli epiteti più frequenti sono ‘donna pubblica’,
‘bordello pubblico’, ‘meretrice’, ‘prostituta’ 40.
Pochi elementi orientativi emergono dalla documentazione sanitaria e dai censimenti. Innanzi tutto esistono prove indirette del fallimento del citato Regolamento
cavouriano: gli obiettivi di monitoraggio e progressiva riduzione del sesso mercenario sono disattesi visto che a distanza di dieci anni dall’applicazione del provvedimento censitario il fenomeno non solo è ben lontano dallo scardinamento, ma evidenzia un trend in crescita. Con riferimento a Bitonto si registra una escalation della
prostituzione che, nei primi anni Settanta del XIX secolo alimenta forti allarmismi
sociali e soprattutto sanitari: infatti nel dicembre del 1871 l’opinione pubblica è
investita da un consistente atteggiamento allarmistico «poiché si è aumentato il numero delle meretrici» 41.
Pur non supportata da dati numerici né da rilevazioni sistematiche, la dichiarazione è ampiamente confermata dalla documentazione indiretta, riconducibile prevalentemente alla tipologia del Verbale d’arresto. Questa serie archivistica consente
di monitorare un fenomeno sociale che, con riferimento alla realtà locale, oscilla
dalle poche unità regolarmente registrate alle numerose decine di unità coinvolte nel
meretricio clandestino: l’elenco nominativo delle prostitute ricostruito alla fine della
presente indagine solleva qualsiasi velo di dubbio circa la consistenza del fenomestenza ai poveri e alle orfane, in G. Da Molin (a cura di), La famiglia ieri e oggi, Bari 1992,
163 sgg.
40 Questa campionatura lessicale è documentata fino ai primi decenni del Novecento. Ne fa
uso il parroco Francesco Saverio Fornelli, compilatore dello Stato di popolazione della parrocchia di S. Giorgio (anno 1924), in A.D.B. mss. 102/A/3 (15).
41 A.S.C.B., Preunitario, busta 369.
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CARMELA MINENNA
no e, considerata la vocazione ‘urbana’ del fenomeno nel contesto europeo, proietta Bitonto verso una dimensione cittadina.
In definitiva, anche nella realtà provinciale di Bitonto, il fenomeno sociale della
prostituzione ricalca forme e manifestazioni ampiamente monitorate e documentate
a Parigi, capitale europea del piacere mercenario. L’apice di diffusione del sistema
prostituivo investe in Francia il primo trentennio dell’Ottocento, in concomitanza
con l’applicazione del provvedimento restrittivo del prefetto Mangin che riesce, solo
per alcune settimane del 1830, a segregare nelle case di tolleranza le prostitute di
Parigi. Il provvedimento francese, come quello analogo riproposto dal Cavour
nell’Italia postunitaria, «non funzionerà mai alla perfezione. Rete dalle maglie troppo larghe, non riesce ad impedire lo sviluppo di una prostituzione clandestina» 40.
Bitonto, come Parigi, offre campo libero a ‘battone’ non professioniste che si offrono per poche monete nei fossati delle mura, si aggirano per fornire un soddisfacente canale di scarico all’‘istinto genetico’ delle truppe o sanno inventare una via
di scampo alla ghettizzazione sessuale maschile imposta dal riserbo delle verginelle, ora dall’influenza raggelante del confessore, ora dai cicli biologici della donna
costretta quasi ininterrottamente alla maternità e all’allattamento.
40
Aa. Vv., La vita privata, l’Ottocento, Roma-Bari 1988, 428.
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SCHEDE
BIBLIOGRAFICHE
Ada Riccardi, Donne e Guerrieri da Ruvo e Bitonto. Le scoperte del III millennio. Catalogo della Fondazione De Palo-Ungaro. II. Catalogo di Annalaura Amatulli e Ada Riccardi.
Edipuglia, Bari 2008 - Pp. 110; illustrazioni b/n e colori.
A cinque anni dal precedente Gli antichi Peucezi a
Bitonto. Documenti e immagini dalla necropoli di Via
Traiana, Ada Riccardi fornisce ora un nuovo contributo
alla conoscenza e alla ricerca scientifica con questo volume, ‘Donne e Guerrieri da Ruvo e Bitonto. Le scoperte del III millennio’, che illustra, descrive ed esamina alcune scoperte archeologiche occorse negli ultimi
anni nei territori delle due cittadine, relative a contesti
tombali indigeni – fortunatamente inviolati nella maggior parte dei casi –.
Anche per questo lavoro lo spunto è tratto da una
mostra, organizzata dalla Fondazione De Palo-Ungaro
di Bitonto nei locali del Museo Archeologico, dove
sono appunto esposti i materiali più significativi rinvenuti nel corso delle operazioni di scavo; cosa, questa,
non da poco in un tempo e in un Paese in cui i reperti,
una volta ‘liberati’ dal sottosuolo, finiscono troppo
spesso dimenticati e nuovamente celati alla vista in qualche deposito.
In apertura del volume l’Autrice analizza in dettaglio le tombe oggetto d’esame, ricapitolando inoltre, per cenni essenziali, lo stato delle conoscenze circa i due insediamenti
– con maggiore attenzione per la ‘straniera’ Ruvo –, in questo ben coadiuvata da carte distributive crono-tipologiche.
L’esaustivo apparato illustrativo documenta non solo le attività di scavo delle sepolture,
ma anche la consistenza delle deposizioni e dei relativi corredi, accompagnando le spiegazioni scientifiche delle evidenze censite, agevolando il lettore nella comprensione del dato
archeologico e sottolineando quindi, con maggiore evidenza, le conclusioni dei ricercatori.
Pregevole appare, in particolar modo, lo sforzo compiuto dall’Autrice per ‘mettere a
frutto’ anche il più minuto ‘frustulo di informazione’ raccolta durante le ultime scoperte.
La Riccardi sottolinea peraltro come, da un numero relativamente esiguo e cronologicamente disomogeneo di sepolture – le ‘bitontine’ comprese in un orizzonte temporale che va
dal VI al II sec. a.C., le ‘ruvestine’ collocabili tra il V e il II sec. a.C. – appaia problematico trarre conclusioni generali. Tuttavia ritiene di poter rilevare delle linee di tendenza,
che permettano, seppur parzialmente, di aggiornare l’immagine dei due insediamenti nel
lasso di tempo considerato; con Bitonto maggiormente aperta a traffici commerciali e
scambi culturali – anche con popolazioni di area celtica – rispetto a quanto non si ritenesse, e Ruvo, dal canto suo, collegata – in quali forme e quanto strettamente solo ricerche successive potranno, forse, indicarlo – con i centri peucezio di Botromagno (Gravina
in Puglia) e daunio di Canosa. In particolare, una delle tombe ruvestine, pertinente a un
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SCHEDE BIBLIOGRAFICHE
giovane oplita, presenta il rito di deposizione analogo a quello testimoniato dalle riproduzioni ottocentesche della celeberrima Tomba delle Danzatrici e finora considerato – pur
con qualche sospetto – un unicum.
Nella seconda parte dell’opera il Catalogo, realizzato con Annalaura Amatulli, dà conto
della composizione e della ricchezza dei singoli corredi. Chiude il volume la bibliografia,
curata e non ridondante.
Federica Dentamaro
Maria Rosaria Depalo, Francesca Radina (a cura di), Bari, sotto la città. Luoghi della memoria.
Adda Editore, Bari 2008 - Pp. 148; illustrazioni b/n e colori.
Questo volume, curato dalla Soprintendenza per i
Beni Archeologici della Puglia, con il patrocinio del
Comune di Bari ed il contributo della Fondazione Cassa
di Risparmio di Puglia, fa il punto sullo stato delle ricerche svolte nel centro storico di Bari: in particolare,
negli ‘isolati’ 47, 48 e 56 – meglio noti come Palazzo
Sagges e Palazzo Simi –, dove oggi hanno sede la Soprintendenza per i Beni Archivistici ed il Centro Operativo di Bari della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia.
Le Soprintendenze, ‘inquilini’ qualificati e qualificanti degli immobili appena restaurati, ne hanno attivamente interpretato il ruolo di custodi valorizzando le
scoperte archeologiche realizzate in situ, promuovendone l’analisi scientifica e la fruizione da parte della
cittadinanza e – come ultimo atto, in ordine di tempo, di
questo processo virtuoso – realizzando questa pubblicazione. In essa gli autori, coordinati da Maria Rosaria Depalo e Francesca Radina, non si limitano a fare la cronistoria degli interventi di recupero e restauro, ma ripercorrono – alla
luce degli ultimi ritrovamenti – la sequenza diacronica degli insediamenti umani che, a
partire dal II millennio a.C., hanno occupato la penisola di ‘Bari Vecchia’.
I dati confermano l’antichità dei primi stanziamenti nelle aree di Santa Scolastica e San
Pietro; l’importanza assunta dalla città in età bizantina – con circa 50 chiese attestate dalle
fonti nella penisola, una decina delle quali individuata nel corso delle indagini archeologiche –; le straordinarie trasformazioni architettoniche ed urbanistiche dell’età rinascimentale, di cui gli stessi Palazzi Sagges e Simi portano i segni; e, infine, gli ambiziosi piani di
riqualificazione urbana progettati – ma, per fortuna, non realizzati! – a partire dal tardo Ottocento, fino agli scavi di emergenza e alle indagini esplorative dei giorni nostri.
Nel tentativo di ricomporre questo quadro articolato, pur lacunoso e assai complesso, i
contributi raccolti nel volume utilizzano di volta in volta tutti gli strumenti messi a disposizione dai diversi specialismi: l’archeologo, lo storico dell’arte, l’architetto, l’archivista
intrecciano un dialogo a più voci, con un gioco di rimandi e di echi che di certo chiede al
lettore uno sforzo supplementare di comprensione, ma lo ricompensa svelandogli ‘dall’interno’ i meccanismi ed i processi dell’analisi scientifica.
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SCHEDE BIBLIOGRAFICHE
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Ad aprire le porte alla storia è, al tempo stesso, un rimpianto e una speranza: la vicenda
del Museo Archeologico Provinciale, aperto nel 1890, chiuso nel 1994 e tuttora in attesa di
una sede degna per tornare ad essere ciò che deve essere, ovvero il fulcro, la colonna portante, il filo di Arianna per qualunque viaggio nel passato, remoto o recente, di Bari e del
suo territorio.
Federica Dentamaro
Jörg Riedlbauer (a cura di), Tommaso Traetta. Opere.
Palomar, Bari 2008 - Pp. 704.
Il valore artistico di Tommaso Traetta, celebre compositore della scuola napoletana, nato nel 1727 a Bitonto, è stato per molti decenni sminuito da una scarna
bibliografia sul suo conto.
Considerato unanimemente tra i più importanti riformatori del melodramma europeo, è tornato ad essere oggetto di interesse da parte di studiosi ed appassionati a
partire dagli anni Cinquanta del Novecento. Questo perché chi voleva cimentarsi in ricerche ed approfondimenti andava incontro ad una serie di difficoltà nel reperire le fonti documentarie, in ordine allo svolgersi
dell’attività di Traetta in un vastissimo panorama, italiano ed internazionale.
Le pubblicazioni dell’ultimo sessantennio, inoltre,
per quanto importanti e in numero rilevante (oltre 130)
restavano sempre incomplete e frammentarie, poiché
prendevano in esame soltanto ‘porzioni’ della produzione traettiana e davano scarsa importanza alla ricostruzione degli ambienti in cui il musicista aveva operato.
Il volume del musicologo tedesco, di fama internazionale, Jorg Riedlbauer, offre un’efficace visione d’insieme e va certamente a colmare questa lacuna. Basti pensare che nella
sua edizione originale del 1994 – come ci informa Nicola Sbisà nella prefazione al testo
italiano – compare una bibliografia che cita ben 316 opere. Non è un caso che l’Amministrazione Comunale di Bitonto, guidata dal Sindaco, prof. Nicola Pice, uomo particolarmente attento alle unicità culturali della propria città, abbia voluto la traduzione in lingua
italiana di questo corposo volume.
Proprio le dimensioni potrebbero, a prima vista, scoraggiare il potenziale lettore. Il volume non appartiene certamente alla categoria di testi fruibili dal ‘grande pubblico’, sebbene la veste editoriale curata dalla Palomar appaia accattivante.
Il testo è ben organizzato e si divide in due parti. La prima si concentra sulla vita di
Tommaso Traetta e può risultare avvincente per alcune appassionanti note biografiche; la
seconda è destinata agli ‘addetti ai lavori’, poiché vi si trova analizzato con puntualità
l’aspetto più squisitamente tecnico della partitura musicale delle opere del Nostro.
Il lavoro può essere a tutti gli effetti considerato una pubblicazione scientifica: non vi
è informazione riportata che non sia sostenuta e comprovata da citazioni di fonti di vario
tipo, rinvenute nei più remoti angoli del vecchio continente. Il contenuto è esposto chiaramente e tutte le informazioni riportate sono attendibilissime, in quanto frutto di ricerche
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SCHEDE BIBLIOGRAFICHE
ben condotte. Lo stile narrativo è curato, ma al tempo stesso agilmente fruibile dal lettore.
Assente una sezione dedicata alle illustrazioni, il cui inserimento avrebbe, con molta probabilità, agevolato la lettura. Con puntualità sono, invece, riportate molte pagine, opportunamente commentate, tratte dagli spartiti del musicista bitontino.
È sicuramente un volume, questo del Riedlbauer, che rende il giusto tributo ad un compositore di eccezionale spessore. È da considerarsi, senza dubbio, uno di quei testi che un
musicista o un musicologo o semplicemente un musicofilo dovrebbe avere nella biblioteca
personale. Appare, altresì, utilissimo ed indispensabile per chi intenda cimentarsi in ulteriori ricerche sul Traetta. Per quanto le informazioni raccolte sul Maestro siano esaustive,
resta tuttavia l’auspicio – così come dichiarato dal prof. Pice – che altri studiosi, prendendo le mosse da questo lavoro di ricerca, possano in futuro dar vita alla formazione di
un corpus delle varie opere del Traetta e che le stesse vengano divulgate a livello internazionale, con l’augurio di aggiungere sempre nuovi tasselli nell’azione di riscoperta di questo grande autore.
Vito Vittorio Desantis
Michele Muschitiello, Proverbi e modi di dire a Bitonto. Presentazione di Amedeo Urbano.
Illustrazioni a colori di Nicola Ancona. Cura grafica di Anna Maria Palladino e Chiara Muschitiello.
Secop Edizioni, Corato (BA) 2008 - Pp. 123; fotografie b/n e illustrazioni a colori.
Un catalogo di segni artistici della nostra
storia. Un album di foto e di ricordi del passato. Uno scrigno di saggezza racchiusa nell’arte della parola. Tutto questo è ‘Proverbi e
modi di dire a Bitonto’, ultima fatica di Michele Muschitiello.
L’Autore, attento alla tradizione, alla storia
ed all’evoluzione linguistica, ha colto nel segno, riuscendo a raccogliere meticolosamente
centinaia di modi di dire e proverbi bitontini.
In un contesto globalizzato, dove le nuove generazioni adottano slang stranieri o coniano
neologismi sintetici, l’attenzione al vernacolo e ai modi di dire dei nostri nonni costituisce
un atto doveroso di salvaguardia.
Muschitiello, da sempre sensibile alla policromia dei versi dialettali, lungi da sterili
rimpianti, traduce l’immenso patrimonio orale dei nostri avi in una preziosa fonte documentaria, scritta e iconografica. Le numerose fotografie, infatti, che costellano le pagine di
questo libro, mostrano persone e ‘modi vivendi’ di un passato di cui non si è nostalgici ripropositori, ma acuti e coraggiosi difensori. Tutto è testimonianza storica, tutto è segno
culturale che va tramandato.
Sembra di risentire, sfogliando le pagine del volume, odori e suoni di un tempo scandito da festività e da ricorrenze religiose, intervallato da nascite e morti, equamente accolte, con spirito francescano, segnato dall’alternarsi delle stagioni e dai colori multiformi
della natura. Sembra di rivivere un tempo in cui i ‘detti dei più anziani’ erano non solo materia di vita, ma materia per la vita.
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SCHEDE BIBLIOGRAFICHE
Le diverse sezioni (‘La famiglia’, ‘Il cibo’, ‘Le stagioni’, ‘Gli animali’, ecc.) raccolgono non solo frammenti di vita quotidiana, ma valori esistenziali fondanti di una società
che in circa trenta anni si è evoluta e trasformata in maniera impressionante, rinnegando
spesso le sue radici in nome di un progresso che proprio nel passato può trovare le risposte per proiettarsi con ‘sostenibilità’ nel futuro.
Per cittadini in cerca di un’identità la riscoperta stessa del dialetto può essere la chiave
per un approccio nuovo e vivo alla lingue latina e greca troppo spesso ‘dimenticate’ in un
processo di ingentilimento di forme ritenute erroneamente volgari.
«Usanze e credenze, modi di fare e pensare», scrive Muschitiello nell’Introduzione,
«che, all’occhio dell’uomo moderno possono indurre al sorriso, ma che in tempi non molto
remoti rappresentavano l’humus del vivere quotidiano dei nostri padri». Che sia un sorriso
fertile, dunque, a guidarvi nella lettura di questo volume.
Lucia Schiavone
Raffaella Cassano (a cura di), Sul filo di Lama. Catalogo della Mostra (Bitonto, Istituto
Maria Cristina di Savoia, 26 settembre-6 ottobre 2008).
Gelsorosso, Bari 2008 - Pp. 80; illustrazioni b/n e colori.
Il catalogo della mostra Sul filo di Lama, progettata e organizzata dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli Studi di Bari, rappresenta un ‘libro-dossier’ – così come lo definisce la curatrice Raffaella Cassano, che ha coordinato l’équipe
di giovani ricercatori composta da C. Cannito, V. Castagnlo, M. Cuccovillo, M. D. De Filippis, C. S. Fioriello – elaborato in una forma di sintesi, che ben si
adatta alle finalità didattiche delle attività di ricerca
svolte nell’ambito del ‘Progetto S.I.T.R.u.S.’ (Sistema
Innovativo per il Turismo Rurale e Sostenibile –
Nuove Tecnologie), progetto INTERREG IIIA ITALIA-ALBANIA, che vede coinvolte figure professionali e Istituzioni italiane e albanesi, impegnate nella
definizione di attività innovative nel campo dei beni
culturali, connesse a forme di ‘turismo sostenibile’.
Gli scenari di ricerca del progetto sono da un lato
il contesto pugliese di ‘Lama Balice’, individuato in seguito all’istituzione del ‘Parco Naturale Regionale’ – con legge n. 15 del 05.06.2007 –, e sul versante albanese il sito di Butrinto, tutelato dall’UNESCO dal 1992, che rappresenta un’area di forte interesse per il patrimonio storico-archeologico e paesaggistico.
La mostra è stata incentrata sul contesto di Lama Balice – in particolare, sul tratto che
lambisce da Sud il centro urbano di Bitonto e si estende fino ai limiti territoriali con il Comune di Bari – ed è articolata in quattro sezioni.
La prima definisce lo ‘spazio naturale’ della lama, comprensorio che ha origine nelle
Murge del Nord Barese e che termina in corrispondenza del quartiere Fesca di Bari, con
uno sviluppo pari a 54 km di lunghezza su un’area di 340 km2. Questo spazio-sistema è distinto anche sulla base della biodiversità animale e per le articolate forme di vegetazione.
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SCHEDE BIBLIOGRAFICHE
La seconda parte è dedicata al ‘paesaggio antico’ di Bitonto, proposto in maniera ‘coerente’
rispetto al contesto geografico del territorio pugliese: vengono presentate le caratteristiche
geo-morfologiche e dell’ambiente naturale, che hanno costituito lo scenario e contemporaneamente la risorsa economico-insediativa dei gruppi umani che si sono avvicendati. L’analisi si sviluppa in maniera diacronica, a partire dal periodo preistorico e protostorico, per poi
proseguire considerando gli insediamenti della Peucezia e l’organizzazione di età romana,
che modificò profondamente la maglia insediativa e le vie di attraversamento.
Il percorso conoscitivo della terza parte circoscrive l’attenzione sul paesaggio urbano di
Bitonto, ‘insediamento-campione’ in completa osmosi con il torrente Tifre, denominazione
assunta dalla medesima Lama Balice nel tratto che scorre presso la città. La storia di Bitonto è ricostruita attraverso il riferimento a fonti storiche, letterarie e archeologiche, a partire dalla fine del VII-inizî VI sec. a.C., quindi dalle prime forme di inurbamento agli spazi
definiti nel periodo medievale e riorganizzati progressivamente fino alle espansioni dei secoli successivi, per giungere alla forma dell’attuale abitato. Particolari approfondimenti
sono dedicati alla via Traiana, strada che attraversava in antico il centro di Bitonto e che
ha favorito il transito e la circolazione di merci, di persone, di idee. Le forme di utilizzo di
alcune aree gravitanti intorno alla periferia sud-occidentale della città, nonché a Nord e a
Sud della lama, come per esempio gli spazi riservati alle sepolture e le necropoli datate
dall’età arcaica all’età ellenistica, costituiscono un ulteriore percorso di approfondimento
che viene offerto al lettore. Sulla lama, inoltre, a partire dall’età medievale fino all’Ottocento, sono state realizzate una serie di strutture architettoniche che hanno cucito assieme
sia i bisogni pubblici sia quelli privati della popolazione locale: le mura di cinta della città,
gli argini artificiali, i ponti, i frantoi, le pescare, le chiese rurali, l’Antico Macello sono
censite ed opportunamente presentate nel catalogo.
La parte finale del libro – e della mostra – è dedicata alle forme ed alla tipologia delle
architetture medievali, che disegnano una fitta trama funzionale alla gestione delle campagne in rapporto con il percorso della lama, soprattutto tra Medioevo ed età moderna:
quindi casali e chiese, come quelle di Torre Santa Croce e dell’Annunziata, scelte come
esemplari della particolare identità delle tecniche, dei materiali, delle maestranze che definiscono ulteriormente i caratteri e l’unicità di questo ambito territoriale.
Il volume alterna al testo – lineare e gradevole, pur nel rigore scientifico dei dati forniti –, sostenuto da schede che permettono di sviluppare conoscenze integrate sui contesti
esaminati, l’apparato illustrativo – ben curato, con la consueta professionalità e capacità
compositiva, da Paolo Azzella per la QUORUM ITALIA s.r.l. di Bari –, proposto attraverso ottime immagini a colori, elaborate per sortire migliori finalità comunicative e sostenute da didascalie di approfondimento.
Giacomo Disantarosa
M. Stella, C.S. Fioriello, V. Santoliquido (a cura di), Lama Balice: studio, conservazione,
turismo sostenibile. Atti delle Giornate di Studio (Bari, Palazzo Ateneo, 28-29 novembre
2007).
Levante Editore, Bari 2008 - Pp. 238; illustrazioni b/n e colori.
A meno di un anno di distanza dalle Giornate di Studio ‘Lama Balice: studio, conservazione, turismo sostenibile’, celebrate a Bari presso il Palazzo Ateneo (28-29 novembre
STUDI BITONTINI 2008 - n. 85-86 - Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it
SCHEDE BIBLIOGRAFICHE
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2007), sono stati pubblicati gli Atti che costituiscono un
punto di riferimento per quanti vogliono approfondire
le tematiche di ricerca previste nell’ambito del ‘Progetto S.I.T.Ru.S.’ (Sistema Innovativo per il Turismo
Rurale e Sostenibile – Nuove Tecnologie) legato al
‘Programma di Iniziativa Comunitaria Interreg IIIA Italia-Albania – Asse IV - Misura 4.2’, promosso dalla
Regione Puglia.
Il ‘Progetto’ ha individuato come scenografia per la
ricerca alcune ‘aree-pilota’: il contesto di Bitonto-Lama
Balice in Puglia, e quello di Saranda-Butrinto in Albania, definendo – attraverso questi sistemi territoriali articolati – proposte per un percorso turistico alternativo
basato sulle risorse culturali e naturali locali.
Le ‘Giornate di Studio’ rappresentano quindi una prima fase del lavoro che è stato organizzato per settori disciplinari: il contesto storico-archeologico, quello territoriale, paesaggistico, insieme alla pianificazione sovraordinata ed agli aspetti di conservazione e sviluppo, come viene chiarito nella dotta nota introduttiva ai lavori rassegnata da N. Pice.
Le ‘linee-guida’ contenute nel più ampio ‘Progetto Europeo Minerva’-Ministerial Network for Valorising Activities in digitisation (coordinato dal nostro Ministero per i Beni e
le Attività Culturali) predispongono una comune piattaforma europea per l’accesso integrato al patrimonio culturale in una prospettiva di consultazione dei dati e dei servizi offerti dalle Istituzioni che operano per la conoscenza e la salvaguardia della ‘memoria’ (M.
Stella). In quest’ottica la scelta di aprire la prima sezione di questi Atti con il contributo
sulle forme della ricerca e della tutela archeologica in Albania: il caso-studio della missione archeologica coordinata dall’Università degli Studi di Bologna che da un decennio
svolge la sua attività nella città ellenistica, romana e poi bizantina, di Phoinike, a Nord-Est
di Saranda (S. De Maria).
Il gruppo di lavoro del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli
Studi di Bari, coordinato da R. Cassano, in collaborazione con il Comune di Bitonto – anche sulla base di una ‘Convenzione’ stipulata fra le due Istituzioni e la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia-Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia –, propone la raccolta, l’analisi, l’interpretazione e la ricostruzione dei
dati storici-archeologici con un approccio ‘globale’ al territorio: studio delle fonti letterarie
e archeologiche ed integrazione con le conoscenze di carattere naturalistico e geo-morfologico. Il censimento delle evidenze storiche diffuse sul territorio è stato avviato nell’ambito del ‘Progetto S.I.T.Ru.S.’ – relativamente al comparto esteso tra le anse della Lama
Balice che lambiscono a Sud il centro storico di Bitonto ed il confine con il Comune di
Bari, verso Est – e sarà svolto attraverso un programma di ricognizioni topografiche, con
lo scopo di comprendere la consistenza quantitativa e qualitativa delle componenti e degli
insiemi antropici che hanno caratterizzato le diverse stratificazioni storiche di questo ambito territoriale. Il potenziale delle informazioni deducibili attraverso l’archeologia dei paesaggi nella Lama Balice sono peraltro esemplificati attraverso la segnalazione di ambiti,
insiemi, aree, insediamenti, complessi architettonici, manufatti ed anche da elementi archeologici isolati, che costituiscono nell’insieme i punti di partenza per tracciare una tipologia insediativa e comprendere a pieno il ruolo dinamico svolto dalle infrastrutture. Le
strade, infatti, hanno permesso principalmente i collegamenti, ma anche la definizione
delle funzioni e dei ruoli degli spazi insediativi. I dati del censimento, insieme alla sche-
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SCHEDE BIBLIOGRAFICHE
datura e alla relativa georeferenziazione, sono stati inseriti all’interno di un ‘DBMS’, organizzato in schede differenziate in rapporto ai diversi livelli conoscitivi ed elaborato secondo il modello approntato nell’ambito del ‘Progetto Carta dei Beni Culturali’ avviato nel
2007 dalla Regione Puglia (R. Cassano).
Nonostante oggi il comprensorio della Lama Balice appaia in alcune aree urbanizzato e
caratterizzato da strutture legate a diverse forme di antropizzazione, è stato possibile, sulla
base delle ricerche svolte, proporre in maniera diacronica una storia esemplificata delle dinamiche del popolamento di questo ‘eco-sistema’: i siti tra Ruvo e Bitonto fra la prima età
del Ferro e l’età romana (A. Riccardi), il centro urbano ed il territorio di Bitonto, in rapporto con il contesto definito tra il Botontinus ager e il Varinus ager (C.S. Fioriello, A.
Mangiatordi), i dati di conoscenza e le prospettive di ricerca degli insediamenti dei Comuni di Terlizzi, Bitonto e Modugno, che la lama attraversa o lambisce, tra Tardoantico e
Medievo (M.R. Depalo). La prima sezione considera anche i temi sulla conservazione e
della salvaguardia, operazioni possibili solo se agganciate alla conoscenza e alla ‘ri-conoscenza’ dei beni: vengono quindi esaminati architetture definite ‘del paesaggio’ come i
ponti realizzati sul solco erosivo (T.M. Massarelli).
La seconda parte del volume è dedicata al contesto territoriale, agli aspetti geologici e
geomorfologici della lama (A. Reina), alla flora, alla fauna ed ai rapporti intercorrenti tra
questi micro-sistemi (C. Cannito, R. Masciale, P. Pice, A.M. Amendolagine, M. Cipriani).
Vengono quindi considerate le problematiche legate alla valutazione del rischio idrogeologico ed alla potenzialità ambientale (F. Selicato, G. Maggio), la pianificazione urbanistica
che deve essere bilanciata nella fase progettuale dai parametri previsti dalle esigenze
dell’Amministrazione, per la difesa del suolo e delle aree protette, oltre che per quelli relativi alla qualificazione del ‘verde in città’ (N. Martinelli). Il tema del ‘paesaggio’ come
bene patrimoniale, dotato di un ‘valore di esistenza’ oltre che di uso, è affrontato nell’ottica non più del territorio preso a campione, ma in una visione regionale ed attraverso un
approccio estetico, ecologico e storico del paesaggio stesso (M.R. Lamacchia).
L’ultima parte è sviluppata attorno agli aspetti di salvaguardia e di sviluppo turistico. Il
‘minimo comune multiplo’ è fornito dall’individuazione di elementi che consentano di definire o riutilizzare strutture ricettive per il turismo, capaci di garantire la ‘accoglienza di
qualità’ secondo una sostenibilità certificata dal regolamento ‘Ecolabel’ (CE n. 1980/2000)
(V. Santoliquido).
L’analisi delle trasformazioni degli elementi naturali e antropici del paesaggio (A.R.
Spinelli), le variazioni dell’uso del suolo nel bacino della Lama Balice (G. Ladisa), l’utilizzo di sistemi ‘GIS’ per il monitoraggio del territorio (N. Maiellaro), nonché per la programmazione del sistema degli agriturismi presenti o gravitanti attorno al Parco di Lama
Balice, considerati come veri e propri veicoli di conoscenza e diffusione della realtà circostante e, nello specifico, dell’ambiente, della storia, della cultura e delle tradizioni, sono gli
ultimi contributi prima di una sezione finale dedicata alle ‘Memorie del Convegno’: la riproposizione delle slides utilizzate come supporto ‘illustrato’ ai testi presentati durante il
convegno, che per le finalità di impiego con le quali sono state realizzate ben si adattano
alla trasmissione rapida e chiara dei contenuti affrontati.
Un volume quindi di ampio respiro e di alto profilo, ben curato nella veste grafica, che
salutiamo con grande interesse anche perché costituisce il primo, organico lavoro di studio
– storico, paesaggistico, urbanistico-territoriale – sulla Lama Balice.
Giacomo Disantarosa
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NOTIZIE
ED
EVENTI
Attività del CeRSA-Bitonto
Presentazione di ‘Come cangene re tèmbere’ di Mario Logrieco
È sempre più raro incontrarsi e ricordare. La vorticosa quotidianità che ci vede sempre
più spesso spettatori avari di emozioni, aridi nell’animo, lesinatori di tempo, viene fortunatamente spezzata da uomini come Mario Logrieco, capaci di evocare il passato attraverso
l’arte dei versi.
‘Come cangene re tèmbere’ è il nostalgico titolo del volume di poesie presentato sabato
20 ottobre 2007, presso la sede del CeRSA-Bitonto. Un titolo che «non cela nulla, che catapulta la mente in un passato permeato a volte da ristrettezze, ma scevro da ogni mistificazione odierna», come ha sottolineato il presidente del CeRSA-Bitonto, prof. Nicola Piglionica. La scelta del dialetto poi, nella sua forma ‘più ingentilita’ è stato l’aspetto affrontato con puntualità dal Sindaco di Bitonto, prof. Nicola Pice.
Tracce di un passato indelebile, trascorso tra momenti ludici ed eventi popolari, le rime
vernacolari di Mario Logrieco rifuggono da ogni tentazione di spettacolarizzazione, non
puntano i riflettori su persone o fatti di spicco, ma si abbandonano ad una genuina puerilità che trova e assapora il piacere, sfogliando l’album dei ricordi. Su questo si soffermano
gli altri illustri relatori, il prof. Stefano Milillo e il Senatore prof. Giovanni Procacci.
Quest’ultimo ha trasmesso ai presenti una sincera commozione nel leggere una poesia dal
tono vagamente ‘familiare’: Giuànne u grùusse.
Alla prof.ssa Marianna Carrara, autrice della Prefazione, il merito di aver diretto alcuni
Bitonto, chiesa di San Giorgio. I relatori intervenuti alla manifestazione per la presentazione del
volume ‘Come cangene re tèmbere’.
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NOTIZIE ED EVENTI
giovanissimi alunni della III A del Circolo Didattico ‘Nicola Fornelli’ nella lettura di alcune poesie: Re S ande Miìdece, La partète de pallone, Da re murte de re zambàne.
L’evento, accolto con entusiasmo dal CeRSA-Bitonto, ha richiamato un folto pubblico
che si è ovviamente immedesimato in molte poesie lette ed ha ancora una volta premiato
la meritoria opera del CeRSA-Bitonto, intesa a salvare quanto di materiale e immateriale
costituisce il patrimonio culturale della nostra comunità.
Nicola Bastiani
Escursione fuori porta: Lecce e il barocco salentino
Il 28 ottobre 2007 il CeRSA-Bitonto ha organizzato una ‘domenica in tour’ rientrante
nel progetto ‘Conoscenza della Puglia’. Meta del viaggio è stata la città di Lecce, considerata la capitale del barocco salentino per la ricchezza e la sontuosità dei monumenti che
l’hanno resa celebre nel mondo. Accolto e condotto da una guida specializzata, il gruppo
ha trascorso la prima parte del tour in pullman, ‘toccando’ i beni extra moenia – porte urbiche e mura aragonesi – che la guida ha inquadrato nel contesto storico-culturale locale.
La seconda parte del tour, a piedi, si è svolta nel centro storico, toccando la basilica di
Santa Croce, emblema del barocco leccese, e piazza Sant’Oronzo, dove coesistono straordinariamente l’Anfiteatro Romano – opera dell’imperatore Adriano –, il Sedile – antica sede
del municipio –, la colonna votiva dedicata al Santo patrono, la chiesetta di San Marco,
edificata dai Veneziani. Successivamente la guida ha condotto il gruppo per le strade del
borgo per la visita della chiesa di Santa Chiara, con gli splendidi soffitti in cartapesta, la
chiesa di San Matteo, unico esempio di edilizia barocca borrominiana, il Teatro romano, di
epoca augustea.
Lecce, basilica di Santa Croce. Il gruppo del CeRSA-Bitonto in visita.
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NOTIZIE ED EVENTI
I visitatori si sono quindi diretti presso l’agriturismo ‘Masseria Copertini’, dove hanno
consumato un lauto pranzo.
Nel pomeriggio il gruppo ha potuto ammirare due strade prestigiose, corso Vittorio
Emanuele e via Libertini, oltre che la Piazza del Duomo, la Cattedrale, l’Episcopio, l’ex
Seminario e il Campanile.
Italo Maggio
‘Credo’: ragionamenti della fede
Il giorno 7 novembre 2007, presso il teatro ‘Tommaso Traetta’ di Bitonto, ha avuto
inizio il ciclo di tre incontri sulla fede dei cristiani guidato dal rev.do sacerodte don Francesco Saracino.
L’iniziativa, promossa da KallisteArte, in collaborazione con il CeRSA-Bitonto, l’Associazione Agorà e La libreria del Teatro, ha visto la partecipazione di giovani e adulti, interrogati e stimolati a riflettere sulla propria e l’altrui appartenenza confessionale dall’illustre biblista bitontino.
‘Credere e comprendere, cos’è una fede ragionante’ è stato il tema del primo incontro,
cui sono seguiti, il 14 novembre, presso la ‘Sala polifunzionale Ex Cappuccini’, ‘La tradizione religiosa ebraico-cristiana’, quindi, il 21 dello stesso mese, nella medesima sede, ‘Il
credo dei cristiani’.
Nei dibattiti seguiti ad ogni intervento, si è sviluppato un denso dialogo tra lo studioso
e il suo uditorio: altrettanto ricca e coinvolgente l’esposizione, a conferma della capacità
comunicativa di don Saracino.
Chiara Cannito
Festa sociale 2007
Si è svolta il 16 dicembre 2007, presso l’Hotel ‘Riva del Sole’ a Giovinazzo, la festa
sociale che ha visto riuniti soci e simpatizzanti del sodalizio.
In un clima di cordiale amicizia, sono stati gustati ottimi piatti e buoni vini.
Convegno ‘Cultura e società in Puglia e a Bitonto nell’età del Rinascimento’
Dal 19 al 21 dicembre 2007, presso l’Auditorium della Fondazione Santi Medici, si è
celebrato il ‘VI Convegno Nazionale di Studi’, organizzato dal CeRSA-Bitonto, che questa
volta ha interessato l’età del Rinascimento.
Si trattava di chiudere il cerchio rispetto ad una serie di convegni organizzati in vari
momenti della quarantennale storia del sodalizio: convegni che hanno abbracciato in pratica
tutto l’arco della vicenda culturale pugliese e bitontina, in particolare.
Ben quarantacinque studiosi, italiani e stranieri, si sono avvicendati nelle tre giornate di
studio affrontando tematiche varie: dall’archivistica alla storia sociale e religiosa, dalla storia economica all’arte, dalla letteratura alla scultura, dall’architettura e dall’urbanistica alle
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NOTIZIE ED EVENTI
Bitonto, Auditorium della Fondazione Santi Medici. Un momento della celebrazione del ‘Convegno’.
arti minori. Gli studiosi hanno offerto uno spaccato interessante e spesso inedito sulla cultura e società bitontine e pugliesi nell’età del Rinascimento, come era negli intenti degli
organizzatori.
A margine del Convegno, che vedrà a breve la pubblicazione completa degli Atti – altra pietra miliare nella vita di questa associazione –, è stata organizzata una mostra fotografica curata da Lucia Anelli, Nicola Bastiani e Tommaso Maria Massarelli. Una visita
guidata alla città rinascimentale, curata dalla attuale presidente del CeRSA-Bitonto, Chiara
Cannito, ha concluso le giornate di studio.
Il Convegno, curato da Stefano Milillo, con la collaborazione di tutti gli amici frequentatori dell’associazione, con l’ufficio di segreteria coordinato da Nino Brandi, è stato celebrato grazie alla collaborazione del Comune di Bitonto, della Libera Università del Mediterraneo, della Ditta Cerin, dell’Impresa Arcangelo Abbatantuono e di altri sponsor.
Notevoli lo studio e l’ideazione grafica dell’invito – opera di Emanale Pastoressa, Vincenzo Sblendorio e Antonio Stellacci –, che ripropone, in maniera splendidamente trasfigurata, uno spaccato del loggiato del palazzo Sylos-Calò a Bitonto.
Alla cerimonia inaugurale, presieduta dal presidente del CeRSA-Bitonto, Nicola Piglionica, sono intervenuti l’arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci, il presidente
del Consiglio Regionale della Puglia, Pietro Pepe, il presidente della Provincia di Bari,
Vincenzo Divella, il sindaco di Bitonto, Nicola Pice, ed altre autorità civili e religiose.
Rimandiamo i lettori alla prossima pubblicazione degli Atti.
S tefano Milillo
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NOTIZIE ED EVENTI
‘Gran Concerto di Natale 2007’
Il 30 dicembre 2007, nella suggestiva cornice della chiesa di San Giorgio, si è tenuto
il ‘Gran Concerto di Natale’, patrocinato dal CeRSA-Bitonto e dall’Associazione Musicale
Culturale ‘Davide Delle Cese’, a cura della ‘Contorchestra Big Band’ diretta dal dott. Vito
Vittorio Desantis.
La manifestazione, che ha riscosso unanimi consensi tra i presenti, si pone nel solco
di una pluriennale collaborazione tra le due realtà culturali bitontine, che hanno avviato
proficui rapporti sin dal gennaio del 2000.
Il pubblico, che gremiva la chiesa, ha potuto apprezzare il fine repertorio proposto
dall’Orchestra leggera che spaziava dai grandi classici natalizi alle colonne sonore dei film
più celebri, fino a toccare grandi brani del panorama classico-leggero internazionale inerenti
il tema della pace e della solidarietà tra i popoli, tutti finemente arrangiati e strumentati dal
direttore artistico.
Il culmine del gradimento da parte del pubblico si è raggiunto quando sono stati eseguiti ‘Memory’ e ‘Il tempo delle cattedrali’, interpretate rispettivamente dal soprano Angela Drimaco – accompagnata al pianoforte da Vito Vittorio Desantis – e dalla voce calda
e travolgente di Nino Schettini. Tra la prima e la seconda parte, il poeta avv. Francesco
Baldassarre ha recitato due sue apprezzatissime composizioni sul tema dell’handicap, volte
all’abbattimento delle barriere culturali tra i diversamente abili ed i cosiddetti ‘normodotati’.
Il concerto si è concluso tra applausi ed apprezzamenti da parte di un pubblico soddisfatto per le pregevoli esecuzioni che ha richiesto ben due ‘bis’.
Nicola Bastiani
‘I portali delle chiese romaniche in Terra di Bari’
In collaborazione con il Touring Club Italiano, si è svolto sabato 19 gennaio, presso
la sede del CeRSA-Bitonto, l’incontro sul tema ‘I portali delle chiese romaniche in Terra
di Bari’.
Dopo l’introduzione del Console del Touring, prof. Filippo Rucci, e del presidente del
CeRSA-Bitonto, prof. Nicola Piglionica, la parola è passata alla dott.ssa Margherita Pasquale, direttrice storica dell’arte presso gli Uffici periferici in Puglia del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali.
La studiosa, dopo una efficacissima introduzione sul contesto storico, sociale e culturale del XII secolo, ha delineato i tratti essenziali dello stile romanico con l’ausilio di bellissime diapositive sugli elementi architettonici del romanico di tutta la Puglia.
Il freddo pungente della chiesa di San Giorgio non ha dissuaso gli ascoltatori, che
hanno potuto reinterpretare, guidati dalla dott.ssa Pasquale, l’apparato iconografico del portale della Cattedrale di Bitonto.
L’incontro si è concluso alle ore 20:30 con l’impegno di ripetere l’esperienza, poiché i
beni del passato non si stancano mai di parlare a orecchie che vogliono ascoltare.
Chiara Cannito
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NOTIZIE ED EVENTI
Assemblea Generale del CeRSA-Bitonto del 20 gennaio 2008: relazione del Presidente
Porgo un saluto affettuoso ad un nostro socio che oggi non ha potuto essere con noi
per motivi di salute: a Vito Scattaglia facciamo gli auguri più sinceri per una pronta guarigione. Un pensiero di riconoscenza a voi tutti che avete accolto l’invito a partecipare a
questo consesso, che vorrei fosse considerato come un ritrovarsi della grande famiglia del
CeRSA-Bitonto, innanzi tutto per rinsaldare i vincoli di amicizia e di appartenenza, poi per
fare il punto della situazione. Questo potrà offrire ai nuovi organi, che andremo ad eleggere
domenica prossima, 27 gennaio, spunti di riflessione che sapranno animare le proposte
operative del prossimo biennio.
La famiglia del CeRSA-Bitonto trova la sua prima ragione di essere nell’amicizia, che
nasce e si alimenta della comunanza di valori e di ideali, quali l’amore per il nostro paese,
la difesa del suo patrimonio di arte e di cultura, il senso civico. E amicizia significa comprendere l’altro, stimarlo e accoglierlo nella sua persona con le sue peculiarità, senza mai
prevaricarlo e strumentalizzarlo. È questo patrimonio di valori che spiega il nostro stare insieme, a prescindere dall’età, dalla professione, dai titoli, dalla condizione sociale; che
spiega la disponibilità all’impegno, al servizio di tanti che si sono prodigati in questi anni.
È in disarmonia con questo il socio che viene al CeRSA-Bitonto come ospite, dando per
scontato che siano gli altri a risolvere i problemi, dai più semplici e banali ai più complessi, che siano gli altri a prendere l’iniziativa, a definire i termini di un progetto, o ad
eseguire i comandi.
La mia presenza quinquennale al CeRSA-Bitonto, vissuta intensamente in qualità di
presidente, mi ha dato modo di conoscere cose e persone, di valutare la storia del sodalizio
nei suoi diversi momenti e nelle sue diverse manifestazioni, e capirne il valore e l’utilità,
le ragioni dei suoi momenti vitali e dei suoi momenti critici. Un fatto mi è chiaro: il
CeRSA-Bitonto ha bisogno di tutti, ognuno con le sue peculiarità e la sua sensibilità e anche con le sue fragilità: dico questo perché nessuno è perfetto e alieno da tendenze che si
discostano da idealità e valori che pur dichiariamo animatrici assolute del nostro operare.
Noi dobbiamo sempre impegnarci per non perdere nessuno della famiglia, recuperare chi si
è allontanato lungo gli anni, per capirne le ragioni e risolverle.
Per quanto mi riguarda, mi sono adoperato, nel mio possibile, a ricomporre i rapporti
tra i soci, a valorizzare le capacità e i pregi di ognuno, a far sentire il CeRSA-Bitonto
come luogo di accoglienza e di umanità, pur nel rispetto dei ruoli. Ci lascia perplessi e
mortifica i nostri entusiasmi e la nostra buona volontà lo scorgere, in persone che sono a
noi vicine, espressioni di presunzione, di malafede, di invidia, di irascibilità. Il male di una
comunità e della sua vita stentata sta tutto qui. Se stiamo bene fra noi, faremo bene i nostri progetti, le nostre iniziative e in questo senso faremo bene al paese e a chi è fuori del
nostro sodalizio; se tra noi non ci sono intesa, concordia, solidarietà, le nostre iniziative
segneranno il passo.
Questa riflessione di natura morale potrebbe sembrare fuori luogo nel nostro contesto,
ma non lo è, perché è il presupposto necessario per la vita del CeRSA-Bitonto, per il suo
futuro. Non siamo noi a salvare la città, ma siamo noi a salvaguardare il CeRSA-Bitonto,
dal quale noi riceviamo prestigio e credibilità, a prescindere dal nostro impegno e dalla nostra persona, umile o altolocata, intellettuale o lavoratore, professionista o operaio. L’autorevolezza del sodalizio sta unicamente nei fondamenti valoriali e ideali su cui si poggia
ed è soltanto quella che giustifica, illumina il nostro operare e spesso mitiga e fa perdonare le nostre asperità, eventuali conflitti e tensioni.
Ora rivolgiamo uno sguardo retrospettivo sull’anno appena trascorso e per certi aspetti
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NOTIZIE ED EVENTI
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sul quinquennio che mi ha visto come responsabile primo della vita del sodalizio. Sarà uno
sguardo cursorio, necessario per le conclusioni che ne trarrò.
Si esaurisce con questo incontro assembleare il calendario degli impegni assunti
nell’Assemblea di gennaio del 2007 e condivisi all’unanimità dallo stesso consesso.
Quell’Assemblea, collocata dopo l’inaugurazione della nuova sede, segnava l’inizio della
ordinarietà, dopo il momento forte del trasloco dalla vecchia sede e della sistemazione della
nuova; è stato quello un momento eroico, che per me ha assunto un valore paradigmatico,
sicché su quello ho misurato quanto si è fatto in questo anno, quali sono stati i nostri
comportamenti e la nostra disponibilità; forse il mio è stato un metro di misura sbagliato,
ma, pur con tutte le riserve, certamente ho avvertito che un po’ si è abbassata la guardia.
Questo non ci ha impediti nel realizzare una buona parte di quel programma di lavoro preventivato: qualche proposta operativa non ha trovato seguito, altre nuove si sono sostituite, suggerite da circostanze diverse verificatesi lungo l’anno, colte opportunamente o sollecitate da soggetti esterni, quali Istituzioni e Associazioni, o singoli cittadini.
1) Dal 27 gennaio al 25 aprile 2007 il CeRSA-Bitonto ha partecipato ai ‘Tempi della
memoria’, insieme al Comune di Bitonto, all’UNLA, ad ‘AGORÀ’, all’Università dell’Anziano, alle Associazioni Polaris e Misurecomposte di Bari.
2) Nel mese di febbraio, con il Comune di Bitonto e il Liceo Ginnasio ‘C. Sylos’ abbiamo presentato il libro del nostro socio Felice Moretti.
3) A marzo è stato pubblicato il numero 81-82 di S tudi Bitontini, di cui si è dato contezza nell’incontro culturale del 23 nella nostra chiesa di San Giorgio.
4) Il CeRSA-Bitonto ha vissuto intensamente la Settimana Santa 2007 con due iniziative:
a. la prima, insieme al Comune di Bitonto e all’Associazione ‘Davide delle Cese’, consistente nel concerto-studio ‘Passionis tempora’;
b. la seconda nell’approntamento del ‘sepolcro’ il Giovedì Santo, che ha consentito a
tanti bitontini, specie giovani, di visitare la chiesa di San Giorgio, per molti sconosciuta.
5) Nel mese di aprile si è realizzata una giornata culturale ‘extra moenia’ con la visita
alla Certosa di Padula e alle Grotte di Pertosa.
6) Sempre ad aprile, in collaborazione con la Pia Associazione San Francesco di Paola,
si è organizzato un concerto in onore di San Francesco, in occasione del V centenario della
morte, tenuto dalla Banda Territoriale della II Regione Aerea, diretta dal maestro Nicola Cotugno.
7) Dal mese di aprile al 24 maggio, il CeRSA-Bitonto, con la Fondazione Opera Santi
Medici e il Comune di Bitonto, ha partecipato alla ‘VIII School Cup: I giovani, le attività
produttive e lo sport’. Diverse scolaresche delle Scuole Medie cittadine si sono avvicendate
nella visita al Museo della Civiltà Contadina; sono stati con me a guidarle Augusto Garofalo e Paolo Salierno.
8) Il 30 marzo e l’11 maggio l’Università dell’Anziano, con il suo presidente, prof.
Marco Vacca, ha incontrato il CeRSA-Bitonto, visitando con partecipazione il Museo della
Civiltà Contadina.
9) L’11 maggio si è svolto l’incontro culturale su ‘I cattolici pugliesi in un secolo di
storia (1898-1973)’, problematica affrontata dal prof. Vincenzo Robles in una sua opera.
10) Il 30 maggio si è svolto l’incontro culturale su Vitale Giordano, tenuto dal prof.
Francesco Tampoia.
11) Ad ottobre c’è stata la visita guidata a Lecce.
12) Sempre ad ottobre si segnala la presentazione del libro del socio Mario Logrieco
‘Come cangene re tèmbere’.
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NOTIZIE ED EVENTI
13) A novembre, celebrazione della Santa Messa da parte di don Ciccio Acquafredda, per
ricordare i soci non più con noi.
14) A novembre, il CeRSA-Bitonto partecipa con Agorà, Associazione Docenti Bitontini, ‘da Bitonto’, La libreria del Teatro e Primo Piano alla organizzazione di tre incontri
su ‘Credo: ragionamenti della fede’, a cura di don Francesco Saracino.
15) Il 7 dicembre, Visita Pastorale del nostro arcivescovo, mons. Francesco Cacucci.
16) Il 16 dicembre, Festa Sociale presso l’Hotel Riva del Sole.
17) Il 19-21 dicembre, Convegno su ‘L’età del Rinascimento a Bitonto e in Puglia’, in
collaborazione con il Comune di Bitonto, la Regione Puglia, la Provincia di Bari, la LUM
(Libera Università Mediterranea) presso l’Auditorium della Fondazione Santi Medici: coordinatore Stefano Milillo, segretario Nino Brandi; nella stessa circostanza viene allestita una
mostra sul Rinascimento da parte di Lucia Anelli, Nicola Bastani, Tommaso M. Massarelli.
18) Il 27 dicembre, nell’ambito del Natale, in collaborazione con il Comune di Bitonto,
concerto sul tema ‘Et incarnatus est’.
19) Il 30 dicembre, in collaborazione con l’Associazione ‘Davide delle Cese’, Gran
Concerto di Natale.
20) Il 19 gennaio, in collaborazione con il Touring Club Italiano, conferenza su ‘I portali delle chiese romaniche in Terra di Bari’, tenuta dalla dott.ssa. Margherita Pasquale.
Non ha visto ancora la pubblicazione il numero 83-84 di S tudi Bitontini, che dovrebbe
essere pronto tra alcune settimane. Dal 2009, comunque, S tudi Bitontini dovrà riprendere
il corso regolare, a cadenza semestrale (gennaio-giugno, luglio-dicembre).
Il CeRSA-Bitonto si è attivato per inoltrare alla Regione, tramite la Curia Arcivescovile, un progetto di restauro della parte lignea dell’organo; ha approntato un progetto di restauro dell’organo, che a giorni andrà a completare il carteggio relativo alla prima operazione.
È stato poi inoltrato alle autorità competenti un progetto di impianto di allarme della
Chiesa e delle pertinenze, che, grazie all’interessamento della Curia, dovrebbe essere finanziato dalla CEI.
Il CeRSA-Bitonto ha dato la sua adesione alla realizzazione di un progetto culturale
proposto dal Liceo Scientifico ‘G. Galilei’ di Bitonto relativo alla valorizzazione del territorio, della civiltà contadina e della sua storia; il progetto dovrebbe essere finanziato dal
Ministero della P.I.
Il CeRSA-Bitonto è stato chiamato in causa, tramite il Comune di Bitonto, per la possibile realizzazione di un corso per guide turistiche e di una mostra itinerante di fotografie
relative ai beni culturali, alla storia del territorio e alle sue peculiarità. Il progetto dovrà essere finanziato con fondi europei, per il tramite della Regione Puglia. Ma di questo discuteranno con urgenza la nuova Presidenza e il nuovo Consiglio Direttivo.
La nostra biblioteca si è arricchita di donazioni librarie fatte dai soci prof. Vincenzo Robles, dott. Francesco Sannicandro, gen. Giuseppe Rella, preside prof. Pasquale Procacci,
prof. Fernando Fanelli, prof. Pasquale Modesto, arch. Vincenzo Sblendorio.
Un numero considerevole di acqueforti e di acquetinte sono state donate al CeRSA-Bitonto dal socio preside prof. Francesco P. Palmieri.
La nostra cineteca è stata ampliata grazie alla donazione di numerose ‘video-cassette’
fatta dal socio Italo Maggio.
Le pertinenze della Chiesa sono state fornite di impianto di emergenza, messo a punto
dal socio Paolo Salierno.
L’atrio è stato restaurato dal socio Francesco Carabellese; lo stesso si è prodigato per
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NOTIZIE ED EVENTI
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sanare situazioni di ripristino del lastrico solare del complesso monumentale di San Giorgio.
Due piante di pregio, donate dal socio Francesco Carabellese, ornano oggi gli ambienti
del Museo. Piante diverse, presenti nei nostri locali, sono dono dello stesso.
Il Museo si è arricchito di diverso materiale, donato da numerosi soci e cittadini. Tutto
è stato inventariato.
Quest’anno ci hanno lasciati diversi soci, di cui vogliamo fare memoria: il carissimo
Pasquale Robles, per tanti anni presidente del Collegio dei Revisori dei Conti; la sua perdita lascia un vuoto nel sodalizio: di lui vogliamo ricordare la disponibilità, la serietà, la
bonomia, l’affabilità, la signorilità. Non sono più con noi i soci Pietro Sicolo, Antonio
Vacca, il colonnello C. Zema: persone discrete, da anni vicini al sodalizio.
Una considerazione vorrei fare in merito al rapporto con le Istituzioni: in piena libertà
abbiamo cercato in ogni modo di instaurare un dialogo costruttivo, nel pieno rispetto degli ambiti di intervento. Questo dialogo è stato rispettato e ricambiato: diverse iniziative
sono state prese con la collaborazione delle Istituzioni e con l’appoggio finanziario delle
stesse; mi riferisco, in particolare, al Comune di Bitonto, e per esso al Sindaco, prof. Nicola Pice, ed all’Assessore all’Istruzione, prof. Vito Masciale, ai quali va la nostra gratitudine, perché hanno sostenuto e riconosciuto l’operato del sodalizio, testimoniandolo con
contributi che consentono di procedere nelle nostre politiche culturali. Alla luce di questo
lasciamo, al termine del mandato, nelle casse del CeRSA-Bitonto una buona disponibilità
finanziaria, che dovrà essere impegnata nelle opere museali, per le quali è stato elargito.
Colgo l’occasione per sottolineare all’Assemblea il senso del risparmio che ha caratterizzato il nostro operato e che ha visto diversi soci impegnati in tal senso: un ‘grazie’ sento
di rivolgere a chi si è prodigato in questa direzione: Augusto Garofalo, Peppino Lepore,
Gioacchino Deastis, Ciccio Lisi, Franco Stellacci, i postini del CeRSA-Bitonto. Il loro
impegno ha determinato il risparmio, che quindi ha consentito al CeRSA-Bitonto di impegnarsi in tante altre iniziative. Questo senso di economia deve continuare, anche se esso
comporta qualche fastidio.
Chiudo la relazione con l’affidare all’Assemblea alcune mie preoccupazioni, dovute a
mancate realizzazioni e attenzioni a problemi, che potranno esprimersi in impegni per il
prossimo biennio:
a. dare una diversa connotazione giuridica alla nostra Associazione, necessaria per farla
entrare in circuiti regionali e nazionali e fruire di finanziamenti legati a progetti;
b. dare una connotazione giuridica alla nostra Biblioteca;
c. dare una connotazione giuridica al ‘Museo della Civiltà Contadina’;
d. dare attenzione ai soci giovani e ai giovani, in generale, per i quali si dovranno studiare forme di impegno: sono loro il futuro del sodalizio;
e. provvedere all’impianto elettrico a norma nella chiesa: necessario per la sicurezza e
la serena fruizione dell’ambiente;
f. studiare forme di intervento per il restauro della chiesa: operazione complessa che ha
bisogno di essere avviata;
g. completare la sistemazione del Museo, provvedere al ritiro di materiale dal signor
Schiraldi, dalla famiglia Planelli, dalla signora Lozito; compilare la schedatura tecnico-storica dei reperti, che potrebbe essere oggetto di un cantiere di lavoro per i giovani; insomma, intorno al Museo va definito un ampio progetto che veda impegnato quel gruppo
di lavoro che con me ha realizzato quanto oggi è visibile e fruibile. Il Museo è la carta
vincente del CeRSA-Bitonto.
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NOTIZIE ED EVENTI
h. far conoscere la nostra Associazione con una pubblicazione snella, relativa alla sede,
alla chiesa, alla Biblioteca, al Museo;
i. incrementare il patrimonio librario della storia locale e regionale della nostra Biblioteca, per offrirle vera connotazione socio-culturale;
j.istituzionalizzare la celebrazione della messa almeno in tre momenti: la festa di San
Giorgio, la festa dei Santi Medici, la commemorazione dei defunti; questo servirà per rispettare la sacralità della chiesa.
Queste sono alcune urgenze che ritengo debbano essere affrontate e per le quali è necessario l’aiuto di tutti. Le ho lanciate sul tappeto per far cogliere a voi tutti quanto c’è da
fare.
Voglio congedarmi da voi ringraziandovi del grande onore che mi avete fatto affidandomi
il mandato di presidente in questi cinque anni; ho vissuto con voi momenti straordinari di
impegno, ma anche di belle realizzazioni, di conquiste impensabili conseguite con l’entusiasmo e l’aiuto indefesso di tanti di voi, che in altre circostanze ho additato all’attenzione
dell’Assemblea. Sono grato per la lezione di umiltà e di generosità da molti di voi espressa
in questi cinque anni: mi riferisco a Francesco Carabellese, Francesco Lisi, Italo Maggio,
Paolo Salierno, Giuseppe Lepore, Augusto Garofalo, Arcangelo Antuofermo, Piero Drimaco, Francesco Ricci, Francesco Stellacci ed altri che in questo momento mi sfuggono.
Gratitudine rivolgo al Direttore di S tudi Bitontini, dott. C. Silvio Fioriello, che in questo lustro si è affiancato a me con la sua signorilità e la indiscussa competenza, garantendo
al sodalizio momenti alti di consapevolezza critica ed autorevolezza culturale nell’ambito
nazionale.
Mi congedo da voi convinto della opportunità di un cambio di ‘guardia’, alla quale lasciamo una eredità di impegni e di beni, di cui mi auguro sappia fare tesoro.
Grazie.
Il Presidente
Nicola Piglionica
Assemblea Generale del CeRSA-Bitonto del 30 marzo 2008
Il giorno 30 marzo 2008, alle ore 10:00, in seconda convocazione, si riunisce l’Assemblea Generale del CeRSA-Bitonto, per discutere il seguente ordine del giorno:
- Relazione del Presidente
- Programma attività
- Relazione finanziaria e Bilancio preventivo
- Interventi.
Ad apertura di seduta prende la parola il Vicepresidente, dott. Francesco Stellacci, il
quale legge un documento nel quale plaude al ruolo di presidente della neoeletta Chiara
Cannito, segno dell’apertura ai giovani che il CeRSA-Bitonto persegue da anni; fa cenno
alla necessità di rivedere lo Statuto in vista dei ruoli di ciascun componente del Consiglio
Direttivo; invita tutti all’assunzione di specifiche responsabilità; rende omaggio al lavoro
svolto dal presidente uscente, prof. Nicola Piglionica; si augura che rientrino nell’Associazione anche soci che nel tempo per motivi varî si sono allontanati.
Prende quindi la parola la presidente, dott.ssa Chiara Cannito.
Relazione del Presidente del CeRSA-Bitonto
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NOTIZIE ED EVENTI
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Cari Soci,
il biennio 2007-2008 vede impegnati i diversi organi statutari che le votazioni del 27
gennaio 2008 hanno così espresso:
- Consiglio direttivo: Bastiani Nicola, Brandi Gioacchino, Carbone Bellisario, Deastis
Gioacchino, Milillo Stefano, Rutigliano Mariolina, Salierno Paolo, Stellacci Francesco;
- Collegio dei Probiviri: Donadio Pasquale, Garofalo Augusto, Vacca Marco;
- Collegio dei Revisori: Amendolagine Francesco, Cariello Vincenzo, Scattaglia Michele.
I tre organi si sono insediati definendo ognuno la carica di Presidenza: Augusto Garofalo per il Collegio dei probiviri e Michele Scattaglia per i Revisori.
Riguardo alla carica di presidente del Consiglio Direttivo, dopo l’insediamento il Consiglio Direttivo si è riunito più volte per eleggere il Presidente, che tutti concordemente
desideravano veder confermato nella figura del presidente uscente, Nicola Piglionica.
L’iniziale riconferma del socio emerito, prof. N. Piglionica, le sue dimissioni seguenti,
le successive remore dei membri del Consiglio Direttivo ad accettare questo importante
onere e onore, la decisione ampiamente discussa e concordemente condivisa di affidare alla
sottoscritta la presidenza hanno fatto luce su una mutata realtà del CeRSA-Bitonto che si
esplica, a mio parere, in questi tre punti essenziali:
1. Necessità di un ricambio generazionale: i soci operanti, a fronte dell’impegno profuso e dell’amicizia che da sempre li contraddistingue, lamentano un decadimento delle
energie e degli entusiasmi che solo i giovani possono restituire, non sostituendosi a loro,
ma affiancandoli, crescendo con loro e immagazzinando quel bagaglio di esperienze che anni
fa li ha visti protagonisti forse inesperti, ma fortemente motivati da un’idea, da un valore,
da un sogno – oserei dire –, che dura ancora dopo quaranta anni;
2. Mutata realtà del contesto operativo: rispetto al passato, come evidenziava già il presidente uscente, prof. N. Pilionica, il CeRSA-Bitonto conta oggi un insieme di ‘fatti
nuovi’, che porta il Presidente in primis, ma anche tutti i soci a farsi carico di un surplus
di responsabilità. In primo luogo la sede, distribuita su spazi molto diversi da quelli del
passato: gli ambienti sono numerosi, ognuno di questi ha una funzione d’uso che richiede
attenzione e cure amplificate. Ci sono gli spazi comuni per i soci, resi non solo vivibili,
ma esteticamente attraenti grazie all’impegno di alcuni dei nostri soci (Augusto Garofalo,
Ciccio Lisi, Ciccio Carabellese, Lilluccio Salierno, Italo Maggio, Arcangelo Antuofermo,
solo per citarne alcuni).
Poi gli ambienti in cui si dipana il ‘Museo della civiltà contadina’, che dopo essere
stato costituito nella parte dei contenuti grazie all’impegno di diversi soci – chi con la donazione, chi con la vendita delle teche, chi con il restauro, chi con la inventariazione, chi
con l’apparato elettrico – necessita oggi non solo di un intervento – direi – certosino
nell’opera della catalogazione, ma anche nella formalizzazione dell’aspetto giuridico e
nell’assicurazione dell’accessibilità/fruibilità dello stesso.
A seguire, la chiesa dove si svolgono le riunioni e dove è ubicata la Biblioteca. Necessita di interventi di restauro e di un servizio anche minimo di riscaldamento. Qui poi si
trova la Biblioteca, che pur avendo trovato collocazione in uno spazio sicuramente non felicissimo, riveste un valore enorme per la cittadinanza, ospitando un patrimonio librario
quantitativamente e qualitativamente pregnante che va salvaguardato, catalogato e valorizzato, soprattutto al fine di quella ricerca, di cui il CeRSA-Bitonto si fa promotore. Negare
o non assicurare degnamente l’accesso alle informazioni sarebbe una contraddizione inaccettabile;
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NOTIZIE ED EVENTI
3. Responsabilità del CeRSA-Bitonto: il prestigio del sodalizio e la stretta connessione
della sua storia e di quella della vita culturale della nostra città, uniti ai festeggiamenti che
ricorrono per il quarantennale della istituzione del CeRSA-Bitonto, richiamano tutti ad uno
sforzo in più per non tradire la missione proclamata quaranta anni fa nel momento della costituzione, di «ricercare, studiare e valorizzare il patrimonio storico-artistico-culturale e ambientale della città, promuovendo iniziative per la sua salvaguardia, conservazione e tutela»,
riprendendo dall’art. 2 dello statuto.
A fronte di tutto questo, con quale spirito il Consiglio Direttivo mi ha affidato l’incarico di presidente? E come ho accettato io questa carica?
Tento di rispondere alla prima domanda.
L’8 marzo ho partecipato alla messa in scena del ‘Le storie del signor Keuneur’, al
Traetta di Bitonto. «Quell’attrice ha successo perché è bella – diceva un passante al signor
Keuner –. E lui rispondeva: “Lei è bella perché ha successo”». Parafrasando questa affermazione del personaggio di Brecht, sento di poter e dover dire «non sono presidente perché
sono brava, ma sono brava perché sono presidente». Voglio dire, con un pizzico di presunzione, che sono brava per aver accettato. E consentitemelo, ci vuole coraggio. La carica
massima mi arricchisce, la vostra fiducia mi forma, il vostro consenso mi dà la forza, la
pluralità delle vostre competenze, la convivialità delle differenze – di quelle di tutti, non
solo dei membri del Consiglio direttivo – mi consentiranno di poter fare al meglio quello
che voi sperate io possa fare, o meglio, dirigere e guidare.
La prima volta di una presidenza al femminile, e per di più giovane – credo e mi auguro condividiate tutti –, indica un desiderio e un bisogno di novità.
Tra qualche remora e qualche pregiudizio, vi posso dire che numerosi sono stati e sono
gli augurî che ancor oggi chi mi ferma per strada mi fa con sincerità: io li accetto sempre
con un margine di timore e imbarazzo, perché vorrei che quegli auguri fossero accompagnati dall’assicurazione «Conta su di me» o dell’offerta «Come posso collaborare?». Che,
ad onor del vero, molti dei soci più vicini mi hanno fatto e mi reiterano con i fatti.
Per tentare di rispondere alla seconda domanda, vi racconto una breve storiella.
«San Giuseppe, Maria e Bambino attraversavano l’Egitto a cavallo di un asinello. Un
passante li nota ed esclama: “Ma guarda un po’ che tipo: costringe una donna, con suo figlio piccolo, ad andare a piedi e lui va sull’asino”. Allora San Giuseppe scende. Dopo un
po’ incontrano un altro passante: “Ma guarda tu che stupido quell’uomo, lui vecchio e col
bastone va a piedi e la moglie giovane va a cavallo”. Allora anche Maria e Gesù scendono.
Dopo un po’ incontrano un altro passante: “Ma che stupidi quei tre: hanno un asinello a
disposizione e vanno tutti e tre a piedi”».
Morale della favola: in qualunque modo io e noi si farà, ci saranno delle critiche.
Ben vengano, le accetterò, ma vi prego, e preghiamo, siano costruttive.
Ci giungono lamentele «Non organizzate più gite»: è in cantiere una, ma rischia di saltare poiché abbiamo solo dieci adesioni. Salvo poi recepire commenti in senso contrario:
«Ma il CeRSA-Bitonto è un’agenzia turistica?».
I soci Augusto Garofalo e Gioacchino Deastis – solo per citare alcuni – hanno raccolto
interrogativi reiterati: «Ma quando avremo il nuovo numero di S tudi Bitontini?».
Prima di accusare il ritardo, perché non proviamo a capire i motivi del ritardo? E a chiederci come possiamo dare una mano, perché ci siano – conservando il rigore scientifico,
l’interesse storico e la cura redazionale garantiti in questi anni da C. Silvio Fioriello – maggiore puntualità nella stampa e nella distribuzione?
Più di uno lamenta «Non ci sono le donne al CeRSA-Bitonto». Benissimo, concordo.
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Partiamo col proporre momenti di convivialità e attività ludico-ricreative, ma ci sia una
proposta da voi, da voi soci. Perché se avessimo bisogno di qualcuno che ci intrattiene, ci
iscriveremmo in palestra, non credete?
Mi sento quindi di invitarvi, tutti, ad abbandonare un atteggiamento magari lassista e
di lamentela sterile e di adottare un criticismo positivo, costruttivo.
Vi chiamo ad una responsabilità individuale che significhi sano e proficuo protagonismo e non inutile messa in mostra.
Vi esorto ad una responsabilità collettiva che però non scada in un’altra tipica sindrome
di noi bitontini, quella ‘dell’armiamoci e partite’.
Vi chiedo una collaborazione sincera, costante, disinteressata: ho forze ed energie, ma
ho un lavoro che mi assorbe anche nei weekend, per cui è fondamentale che non solo il
vicepresidente, ma tutti mi richiamino – sì – alle mie responsabilità, ma mi aiutino anche
a gestirle.
Vi invito ad un ottimismo realistico e non facilone, che sia foriero di una programmazione anche ambiziosa – come adesso vi enucleerò –, ma di certo arricchente.
Ecco, dunque, il significato profondo di quella frase incipitaria della lettera di convocazione.
«Istruitevi, abbiamo bisogno della forza intelligenza; organizzatevi, abbiamo bisogno
della vostra forza».
La trovo felicissima per significare un movimento individuale e collettivo di ‘messa in
moto’.
L’invito all’istruzione non va inteso come meramente nozionistico, ma straordinariamente umano, basato sulle relazioni tra giovani e meno giovani, fortificato dal colloquio
con quel passato che il CeRSA-Bitonto intende da sempre esplorare, conservare, raccontare.
Un passato che le nuove generazioni devono e possono tramandare ai posteri solo grazie
alla guida paziente dei meno giovani.
È l’invito all’organizzazione, al fare, al proporre: non va finalizzato a soddisfare un bisogno di notorietà o di altro poco qualificante, ma deve rispondere sempre ad un ‘must’,
che nei valori fondanti del sodalizio deve trovare stimolo vivificante: la ricerca e la promozione della cultura, tout court.
Programmazione
I principî che ispirano le linee programmatiche sono gli stessi che hanno animato
l’operato negli anni precedenti:
- coinvolgimento attivo di tutti i soci
- coinvolgimento del mondo della scuola
- coinvolgimento delle Istituzioni
- partenariato e progettazione partecipata con altre realtà culturali, associazioni, ecc.
- gratuità dell’impegno
- attenzione ai giovani
- attenzioni ai meno giovani.
Il Consiglio Direttivo ha intenzione di cooptare altri membri e in queste giornate si sta
procedendo a sondare le disponibilità di soci anziani e di nuovi soci.
Per quanto riguarda le attività nello specifico, facenti capo a tutto il Consiglio Direttivo:
1. Corso di guide turistiche, da organizzarsi nell’ambito dell’INTERREG IIIA Italia-Albania, Asse IV misura 4.2. ‘SITRuS’: il corso risulta di fondamentale importanza, poiché
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NOTIZIE ED EVENTI
mira a convogliare l’esperienza dei soci del sodalizio che svolgeranno le docenze e l’esperienza di altri soggetti del Terzo Settore operanti nell’ambito del turismo. Un settore su cui
si gioca il rilancio economico di Bitonto che avrà tra poco pronti una serie di contenitori
culturali, compreso il nostro Museo, da valorizzare e fruire in un sistema integrato dei beni
culturali bitontini. È in via di ratifica la convenzione tra il CeRSA-Bitonto e il Comune
di Bitonto, cui seguirà a breve la selezione dei corsisti.
2. Attività per il 40° di vita del CeRSA-Bitonto:
- raccolta ed esposizione della stampa locale
- manifesti del CeRSA-Bitonto nel quarantennio
- numero speciale di S tudi Bitontini con gli articoli che hanno fatto la storia di Bitonto
(due per ogni settore di pertinenza)
- incontri ‘A colloquio con’, in cui soci storici del CeRSA-Bitonto raccontano scoperte
eccezionali fatte a Bitonto nel settore storico e artistico (Santa Croce, Santa Caterina
d’Alessandria, ecc.) e fatti/aneddoti vissuti in quaranta anni di sodalizio
- realizzazione di un annullo filatelico con cartoline (magari un cofanetto) per ognuno
di questi eventi, a tiratura limitata, con foto inedite di N. Bastiani.
3. Seminario di studi sul Novecento, in occasione del 60° anniversario delle Costituzione.
4. Pubblicazione degli Atti del Convegno sul Rinascimento.
5. Seminario di studi per la presentazione degli Atti del Convegno sul Rinascimento.
6. Presentazione del volume su Felice Garibaldi, di Riccardo Riccardi.
7. Eventi legati all’anniversario (300° dalla morte) di Vitale Giordano.
8. Eventi legati all’anniversario (500° dalla nascita) di Cornelio Musso.
Per la Biblioteca, le cui attività sono ancora una volta coordinate dall’indefesso Gioacchinio Deastis, risultano necessarî:
- individuazione di un gruppo di lavoro che affianchi il responsabile (da vedersi di seguito all’interno delle attività per il ‘Gruppo Giovani’);
- acquisto di nuove scaffalature e scelta per il posizionamento degli stessi;
- catalogazione di nuovi volumi;
- rivalutazione degli spazi espositivi;
- ripresa contatti con altre Biblioteche ed Enti, al fine di rimpinguare la Biblioteca anche tramite scambi di volumi, così da favorire abbonamenti a S tudi Bitontini.
Per il ‘Museo delle tradizioni Contadine-Spazi della memoria’, coordinato da Nino
Brandi, si intende:
- continuare l’attività di inventariazione delle nuove donazioni;
- effettuare la catalogazione dei beni;
- effettuare interventi più urgenti di recupero/restauro degli oggetti e pianificare un’attività più capillare per tutti gli oggetti;
- approntare un Piano di sicurezza per gli ambienti museali;
- stipulare un’assicurazione per i visitatori e per i soci del CeRSA-Bitonto;
- predisporre un Regolamento del Museo;
- assicurare la fruibilità degli spazi museali;
- realizzare una brochure informativa.
Sandro Carbone, responsabile rapporti con gli Enti e altri Soggetti, coordinerà il Con-
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siglio Direttivo – allargato ai soci che vorranno parteciparvi – con l’intento di proporre
modifiche allo statuto, che dovrà contemplare anche la realtà nuova del Museo e rilanciare
in maniera più strutturata la Biblioteca. Sarà poi l’Assemblea a ratificare le decisioni in
merito a tali proposte di modifiche.
Una volta risolta l’empasse relativa alla forma giuridica del CeRSA-Bitonto – che concordemente il Consiglio intende trasformare in ONLUS – il Consiglio Direttivo si interesserà alla partecipazione a misure regionali che possano assicurare fondi da investire nelle
attività del CeRSA-Bitonto.
Nicola Bastiani si occuperà del ‘Gruppo Giovani’ e, nello specifico, di organizzare:
- attività di ricerca nel settore musicale, artistico e architettonico con la collaborazione
di giovani soci che hanno già manifestato la loro volontà a collaborare con il sodalizio;
- attività culturali nel settore della fotografia, in primis mostre itineranti del CeRSABitonto che possano girare nei paesi limitrofi e pubblicizzare il CeRSA-Bitonto. Le mostre, oltre che a creare momento di apertura verso l’esterno, varranno come momento per
creare nuove relazioni nell’ottica di un lavoro in rete con altri soggetti ‘no profit’ che si
occupano di tutela e valorizzazione dei beni culturali;
- attività di volontariato trasversali a quelle della Biblioteca e del Museo come catalogazione dei volumi, degli oggetti, ecc.;
- sostegno al segretario nella comunicazione delle attività del CeRSA-Bitonto. A questo proposito, oltre ad attivare un canale preferenziale con la stampa locale, cui comunicare
tempestivamente le iniziative, si prevede di riorganizzare il sito del CeRSA-Bitonto e di
cominciare a spostare sul canale elettronico buona parte della comunicazione delle attività
del CeRSA-Bitonto;
- gestione di attività, in comune accordo con il responsabile delle attività ricreative, con
serate a tema per i soci del CeRSA-Bitonto, come ‘Invito all’opera’, con proiezione di
‘dvd’ delle più importanti opere liriche e relativa sinossi; ‘Cinemaincentro’, con rassegna
cinematografica a tema.
Mariolina Rutigliano curerà le attività ricreative interne ed esterne al CeRSA-Bitonto,
in collaborazione con Augusto Garofalo e altri.
Attività ricreative interne:
- mostra di presepi artistici a Natale
- concerto natalizio
- concerto lirico a ottobre
- manifestazioni teatrali all’aperto
- corso di educazione teatrale con messa in scena (è aperta la selezione per gli attori)
- tornei di burraco
- serate gastronomiche.
Attività esterne, quali escursioni artistico-naturalistiche fuori porta:
- domenica 20 aprile, visita all’Orto Botanico-Località Giugianello (Lecce) e ad Otranto;
- ponte del 1-2 giugno a Perugia, Spello, Assisi e Norcia, per visitare la mostra del
Pinturicchio;
- uscite a tema (periodo delle castagne, dei funghi carboncelli, ecc.);
- maggio: Trekking Sulla Murgia;
- giugno: Castelmezzano e Dolomiti Lucane;
- Bosco Pianelle e Martina Franca;
- Castello di Copertino e Galatina.
- Escursioni artistico-naturalistiche, per Bitonto e:
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NOTIZIE ED EVENTI
- in bicicletta nel contado alla scoperta delle chiesette e torri rurali, con la guida di Pasquale Fallacara. Si pensa anche a seminari propedeutici alle visite. Si ricorda il successo
degli eventi in bici organizzati per via Traiana e via Megra;
- a piedi per Bitonto, con la guida del presidente (si registra grande successo dell’escursione inserita nell’ambito del Convegno del Rinascimento).
Per quanto riguarda S tudi Bitontini, entro la prossima primavera sarà pronto il numero
annuale 83-84, 2007. I ritardi della stampa sono stati dovuti ad una serie di motivi legati
in ultimis anche al Convegno di studi sul Rinascimento.
Prima di lasciare la parola a voi, a nome anche del Consiglio Direttivo, vorrei chiedervi
un impegno concreto in merito alle seguenti attività:
- rinnovare la tessera per l’annualità 2008;
- impegnarsi a favorire l’iscrizione di nuovi soci;
- portare a conoscenza dei propri figli la realtà del CeRSA-Bitonto, perché si possa arricchire il ‘Gruppo Giovani’ proprio partendo dalle esperienze di voi genitori;
- portare alla conoscenza del Consiglio Direttivo iniziative o proposte che possano costituire momento di crescita culturale o di sano edonismo;
- indire un concorso, che porti questa Presidenza e l’Assemblea dei soci a decidere insieme un motto del CeRSA-Bitonto, che possa essere inserito come incipitaria nelle lettere
di convocazione e che possa contraddistinguere questo 40° compleanno del CeRSA-Bitonto.
Sarà tra poco messa a disposizione una cassetta, in cui ognuno potrà inserire la sua proposta e saranno anche accettate proposte via email. Entro settembre sarà istituzionalizzata
una Commissione che valuterà le proposte giunte.
Al termine della relazione si apre un dibattito che vede gli interventi di diversi soci.
Interviene nel dibattito il prof. Stefano Milillo, il quale rivolge gli auguri alla nuova
Presidente, auspicando che ci sia un effettivo ringiovanimento del CeRSA-Bitonto e gradualmente un avvicendamento generazionale. Fa riferimento ai quaranta anni di vita del
CeRSA-Bitonto, ai suoi successi, alle non poche difficoltà incontrate, alla necessità che si
prosegua speditamente sul cammino intrapreso. Interviene la prof.ssa Carmela Minenna,
che suggerisce di continuare e approfondire l’attività di ricerca. Per quanto riguarda il patrimonio museale è necessario stanziare adeguati fondi per la catalogazione e inventariazione dello stesso, per una sua migliore fruizione.
Il prof. Vincenzo Cariello ritiene doveroso ringraziare il presidente uscente, prof. Nicola Piglionica e il Consiglio Direttivo uscente per l’attività svolta. Tanto più meritoria,
perché ha permesso il trasferimento della sede in un luogo più ampio e dignitoso e, inoltre, ha dato vita al Museo della Civiltà Contadina. Interviene la socia V. Verriello che rivolge voti augurali alla nuova presidente dando la sua disponibilità per la collaborazione.
Prende quindi la parola il dott. C. Silvio Fioriello, il quale ringrazia N. Piglionica per il
suo onesto e diuturno impegno qinquennale e lamenta la ipocrita incapacità dell’Assemblea a riflettere seriamente sulle motivazioni che hanno indotto Piglionica alle dimissioni
ex abrupto. Quindi illustra ai soci le motivazioni del ritardo dell’uscita di S tudi Bitontini.
Nel contempo chiede di esser sostituito a conclusione del mandato relativo al biennio
2007-2008, sia perché oberato di impegni professionali, sia perché costretto a reggere in
solitudine la cura editoriale e redazionale della Rivista, sostenuto quasi esclusivamente e
in maniera desultoria dai soci, tra i quali ringrazia per il sostegno N. Piglionica, C. Minenna, T.M. Massarelli, C. Cannito.
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NOTIZIE ED EVENTI
A questo punto il dott. Francesco Stellacci presenta ai soci la relazione relativa al bilancio preventivo.
Tale relazione allegata al presente verbale è approvata alla unanimità.
La seduta si scioglie alle ore 12:30.
Chiara Cannito
Concerto per la festività in onore di San Francesco da Paola
Il 7 di aprile 2008, nell’austera chiesa di San Giorgio, si sono librate note musicali
della banda cittadina ‘Tommaso Traetta’, diretta dal maestro Simone Mezzapesa.
Il concerto è stato voluto e patrocinato dall’Opera Pia San Francesco da Paola e accolto
dal CeRSA-Bitonto, che ha reso disponibile un contenitore ideale, per capienza ed acustica,
a questo tipo di eventi. La notorietà della banda ‘Tommaso Traetta’ ha richiamato un nutrito pubblico, sempre attento e sensibile, il quale ha occupato tutti gli spazi disponibili.
Il repertorio, vario e orecchiabile, ha spaziato da Verdi a Bizet, passando per Rossini a Bellini, attraverso le più belle arie dell’opera italiana. Apostrofare come ‘consolidata realtà locale’ la compagine musicale è doveroso, dato che questa ha sfoderato una prestazione superba, mai banale, alternando sonorità granitiche a finezze di rara poesia. Da encomio è
stata la kermesse di Antonella Giovine e di Gianfranco Capelluti, rispettivamente soprano
e baritono, i quali hanno dimostrato maturità artistica e notevole potenzialità vocale.
Nicola Bastiani
Gita a Otranto
Il giorno 20 aprile 2008, il CeRSA-Bitonto si è recato in visita ad Otranto.
Alle 10:30, presso il punto d’incontro prestabilito, il gruppo ha incontrato la guida
idruntina che con molta competenza ha diretto la visita della città.
Otranto, per il suo ruolo strategico, fu centro di primaria importanza durante il periodo
bizantino e, successivamente, in età normanna, angioina e aragonese, fino a quando, nel
1480, subì il sacco da parte dei Turchi che ne decimarono la popolazione.
Prima tappa presso la chiesetta bizantina di San Pietro, riccamente affrescata. A seguire
la Cattedrale romanica, famosa per il suo mosaico pavimentale che affascina per la sintesi
del sapere classico-medievale e che interseca episodi biblici e cavallereschi con la cultura figurativa invalsa nel Salento nel dodicesimo secolo. Ultima tappa il poderoso castello a
pianta pentagonale, fatto erigere da Ferdinando d’Aragona su una precedente struttura fortificata del periodo normanno-svevo. Di là, lungo i bastioni, si è percorso un tratto che ha
offerto la vista incantevole di un mare cristallino.
Alle 13:30, spostamento presso il ristorante ‘La Cutura’, in località Giuggianello, dove
i visitatori hanno gustato ottime pietanze all’insegna della genuinità dei sapori salentini,
pasteggiando con generoso vino locale. Al lauto pranzo è seguita una passeggiata ristoratrice lungo i viali del giardino botanico ‘La Cutura’, dove si sono osservate numerose
piante, alcune delle quali secolari. Particolarmente suggestive alcune piante grasse, di
enormi dimensioni, distinte a seconda del continente d’origine. Il gruppo è ripartito alla
volta di Bitonto alle 18:00 circa, sotto la guida attenta dell’autista ‘Nino’ della Ditta ‘Pellegrini’ di Terlizzi.
L’impegno è quello di ripetere con maggiore frequenza l’esperienza delle visite guidate
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NOTIZIE ED EVENTI
Otranto, Castello. Il gruppo del CeRSA-Bitonto in visita.
‘in’ ed ‘extra regionem’, che hanno la finalità di arricchire il nostro patrimonio culturale e
di cementare la coesione dei soci del sodalizio.
Mariolina Rutigliano
Festa di San Giorgio
Il 23 aprile 2008, in ricorrenza della festa dedicata a San Giorgio Martire, è stata celebrata nell’omonima chiesa, la cui cura è affidata al nostro CeRSA-Bitonto, la messa in
onore del Santo che risulta particolarmente venerato in varie località del Sud d’Italia – Locorotondo, Vieste e Chieuti –, per esserne il Santo Patrono.
Alla celebrazione, officiata dal rev.do don Ciccio Acquafredda, oltre ai nostri soci hanno
partecipato molte persone del vicinato, che hanno espresso apprezzamenti per l’iniziativa
voluta dal Consiglio Direttivo. La manifestazione è stata allietata – per l’occasione – da
una luninaria, esposta all’esterno della chiesa dal socio Lilluccio Salierno, e dal rintocco
delle campane da tempo inutilizzate. Hanno elevato, tra gli altri, preghiere a Dio durante la
messa i soci Domenico Saracino, Michele Noviello e Stefano Milillo, che hanno voluto
ricordare la recente scomparsa in Verona del caro socio Antonio Scaraggi. È stata avanzata
richiesta da parte dei partecipanti del vicinato per una più frequente celebrazione di messe
in questa chiesa, cui sono particolarmente legati avendo qui ricevuto diversi sacramenti. Ci
si augura di accogliere tale richiesta, una volta ottenuta la disponibilità per la celebrazione,
oltre che di don Ciccio Acquafredda, anche di altri sacerdoti.
Francesco S tellacci
Workshop ‘Diventare guide turistiche’
Si è svolto, da aprile a maggio 2008, il workshop ‘Diventare guide turistiche’, organizzato dal CeRSA-Bitonto, dopo sottoscrizione di apposita Convenzione con il Comune
di Bitonto, nell’ambito del ‘Progetto S.I.T.Ru.S’ (‘Sistema Innovativo per il Turismo Ru-
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NOTIZIE ED EVENTI
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Bitonto, chiesa di San Giorgio. I corsisti partecipano al seminario su tematiche archeologiche
tenuto dalla dott.ssa Maria Rosaria Depalo.
rale e Sostenibile - Nuove Tecnologie), finanziato dal ‘Programma d’Iniziativa INTERREG
III A Italia-Albania - Asse IV - Misura 4.2’.
Il corso è stato teso a formare un team di guide turistiche che collaborino con Enti Locali, Musei, Istituzioni specifiche, Fondazioni e Aziende operanti nel settore dei Beni Culturali e della valorizzazione del territorio. Distribuito su 10 giorni, ha avuto una durata di
80 ore complessive, di cui 52 in aula e 28 sul campo ed è stato diviso in 5 moduli.
Ad ospitare il corso proprio la sede del CeRSA-Bitonto: scelta dimostratasi felice se è
vero che quasi tutte le 20 guide, a fine corso, hanno deciso di entrare nel sodalizio attraverso la sottoscrizione della tessera sociale.
I contenuti del corso hanno riguardato: legislazione e organizzazione turistica; tecnica
professionale e tecniche di comunicazione; lingua straniera; tecniche di primo soccorso; conoscenza del territorio e delle sue risorse. Quest’ultimo modulo ha compreso il numero
maggiore di ore ed è stato costituito da lezioni teoriche e sul campo riguardanti lo studio
e della storia di Bitonto attraverso i secoli e dei ‘segni’ – archeologici, architettonici, artistici, demo-etno-antropologici, archivistici – presenti sul territorio. Le lezioni sono state
tenute da esperti del settore, tra i quali molti soci del sodalizio, soprattutto per la parte relativa alle risorse del territorio. Il corso ha trovato un buon riscontro: sono stati occupati
tutti i 20 posti disponibili.
I corsisti, provenienti tutti da Bitonto e con curriculum studiorum declinato nel settore umanistico – corsi di laurea in Storia, Storia dell’Arte, Scienze dei Beni Culturali,
Restauro, Lingue Straniere – hanno seguito con interesse e partecipazione le lezioni teoriche e quelle sul campo. A conclusione del workshop saranno pronti a mettersi a disposizione dell’Ente pubblico e di Enti privati, per dare avvio a quel progetto di sviluppo
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NOTIZIE ED EVENTI
integrato del settore turistico che urge per favorire lo sviluppo economico del nostro territorio.
Chiara Cannito
Presentazione del numero 83-84 di Studi Bitontini
Si è svolta il 19 maggio 2008 la presentazione del numero 83-84 di S tudi Bitontini,
alla presenza di un discreto pubblico presso la sede del CeRSA-Bitonto.
Per l’occasione è stato presentato uno dei contributi accolti nel numero, lo studio del
dott. Giuseppe Marella dal titolo ‘Il
portale maggiore della Cattedrale di Bitonto’.
Giuseppe Marella ha affascinato
l’uditorio attraverso un focus sulle raffigurazioni sacre dei portali delle cattedrali romaniche pugliesi. Si è soffermato in particolar modo sul portale
della cattedrale di Bitonto, stabilendo
una relazione tra la presenza dei Magi,
come soggetto iconografico più ricorrente, e finalità mistico-religiose del
viaggio compiuto dai pellegrini verso
la Terrasanta, lungo l’arteria adriatica
pugliese.
L’intervento è stato preceduto dal
saluto del presidente, Chiara Cannito,
che ha invitato i presenti a non tacciare di ripetitività gli studi sul patrimonio storico e artistico di Bitonto,
ma ad apprezzare la capacità di quegli
stessi beni di saper affascinare «ancora» e «in modo sempre diverso» gli
studiosi. In chiusura C. Silvio Fioriello, direttore della rivista, ha passato
in rassegna tutti i contributi proposti
Bitonto, chiesa di San Giorgio. Un momento della
conferenza del dott. Giuseppe Marella
nel nuovo numero di S tudi Bitontini ed
ha ‘raccontato’ la consistenza del lavoro
– spesso solitario, nonostante le promesse di collaborazione rassegnate da parte di alcuni
soci, purtroppo quasi sempre disattese – connesso alla cura redazionale della rivista, dal
quale talora originano inevitabili i ritardi nella stampa.
Chiara Cannito
Per la riscoperta delle chiese rurali di Bitonto
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NOTIZIE ED EVENTI
Il 6 giugno 2008, presso la sede del CeRSA-Bitonto, si è svolto l’incontro culturale
sul tema ‘Torre Santa Croce e le chiese rurali di Bitonto’.
Nel segno della riscoperta dei nostri Beni storico-artistici, attraverso le voci dei meno
giovani che hanno fondato il sodalizio quaranta anni fa e dei più giovani che si accostano
entusiasti al CeRSA-Bitonto, l’incontro ha visto affiancarsi Antonio Castellano, memoria
storica fertilissima sugli avvenimenti che riguardano Bitonto, e tre giovani laureandi del
Politecnico di Bari, Domenico Sasanelli, Silvia Sabbatini, Raffaella Sanseverino.
Nel segno della continuità, pur nell’innovazione, gli spettatori hanno visto alternarsi un
vecchio, caro dia-proiettore, grazie al quale A. Castellano ha proiettato alcune delle sue diapositive, raccolte in maniera certosina in tanti anni, ed un video-proiettore moderno, che ha
permesso di visualizzare slides frutto di ricostruzioni virtuali o di vedute prospettiche elaborate secondo modalità tecnologiche altamente avanzate.
Passato e presente, anche nella mostra allestita nella parte anteriore della chiesa di San
Giorgio, dove coabitavano articoli di stampa degli anni Settanta del Novecento e tavole realizzate con i più sofisticati softwares di disegno tecnico usati oggigiorno dagli studenti universitarî.
Ancora una volta l’incontro ha avvalorato l’idea che le numerosissime chiese del contado sono ancora capaci di affascinare, ma allo stesso tempo ha evidenziato la necessità di
una cura, una dedizione – meglio – una vera e propria ‘adozione’ di queste testimonianze,
che non possono ulteriormente procrastinarsi, pena il rischio di veder depauperato, se non
completamente distrutto, un patrimonio a torto considerato secondario.
Chiara Cannito
Presentazione del volume ‘L’impresa di Felice Garibaldi fratello dell’eroe dei due mondi’
Il 12 giugno scorso, presso l’antico ‘Frantoio Oleario Mancazzo’ a Bitonto, il CeRSABitonto ha presentato alla cittadinanza il volume del giornalista e scrittore barese, nonché
socio del CeRSA-Bitonto, Riccardo Riccardi, ‘L’impresa di Felice Garibaldi fratello
dell’eroe dei due mondi’, edito per i tipi di Congedo Editore.
Un’interessante serata, che ha visto la partecipazione di un folto e colto pubblico, il
quale con vivo interesse ha seguito le vicende inedite del fratello di Giuseppe Garibaldi,
ospite per molti anni (1835-1852) nella nostra Bitonto, dove avviò una redditizia attività
imprenditoriale nell’ambito della produzione olearia.
L’incontro è stato moderato dalla giornalista di Telenorba, Antonella Rondinone, la
quale era accompagnata da Riccardo Riccardi, autore del libro e dai relatori Chiara Cannito
– presidente del CeRSA-Bitonto –; Domenico Damascelli – vicesindaco di Bitonto –; Emanuele Tarantino – preside della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Foggia –;
Giuseppe Poli – docente di Storia Moderna all’Università degli Studi di Bari –; Stefano
Milillo – direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Bari-Bitonto –.
La conversazione, che ha trattato i molteplici temi vagliati nel volume, ha evidenziato
l’aspetto più rilevante che traspare dalle pagine del libro: non solo una semplice monografia sul fratello di Giuseppe Garibaldi, ma una storia che si interseca con le problematiche
economiche, politiche e sociali di Bitonto e di Bari a metà dell’Ottocento.
Felice Garibaldi, infatti, si trasferì in Puglia grazie al successo acquisito, in quegli anni
in tutta Europa, dai nuovi impianti oleari ideati da Pierre Ravanas, che dettero all’olio bi-
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NOTIZIE ED EVENTI
Bitonto, Frantoio Oleario Mancazzo. Un momento della manifestazione di presentazione del volume ‘L’impresa di Felice Garibaldi fratello dell’eroe dei due mondi’.
tontino la fama dell’olio extra vergine di ‘buona qualità’. Partendo da questo punto fondamentale, Riccardi attraverso fatti, documenti, lettere e testimonianze ha inseguito le tracce
di Felice Garibaldi, il quale si inserì con grande padronanza in quella intraprendente borghesia mercantile della Terra di Bari, capace di notevoli imprese economiche e di accumulazione di capitali, sulle quali presero corpo le fasi più importanti delle lotte risorgimentali pre- e post-unitarie.
S tefano Milillo
Incontro culturale ‘La ricostruzione virtuale del ciborio duecentesco della Cattedrale di Bitonto’
Il programma di incontri culturali voluti dal CeRSA-Bitonto, sotto l’impulso del rinnovato Consiglio Direttivo e, in particolare, del suo giovane neo-presidente, la dott.ssa
Chiara Cannito, pone fattiva attenzione agli esiti di studi riguardanti l’architettura.
Il 27 giugno 2008, presso la sede del CeRSA-Bitonto, si è tenuto l’incontro culturale
dal titolo ‘La ricostruzione virtuale del ciborio duecentesco della Cattedrale di Bitonto’. Relatore è stato l’ing. Nicola Milella, Primo Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per le Tecnologie della Costruzione, Sezione di Bari – coordinatore dell’apposito gruppo di studio costituito anche dalla dott.ssa Raffaella Santo, dagli arch. Gianpio
De Meo e Francesco Lojudice, e dal dott. Salvatore Capotorto.
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NOTIZIE ED EVENTI
Ipotesi ricostruttiva virtuale del ciborio della Cattedrale di Bitonto.
Dopo una introduzione sul ruolo di questi incontri nell’attività del CeRSA-Bitonto da
parte della dott. Cannito ed un discorso propedeutico, proposto da chi scrive, riguardante
l’utilità degli studi ricostruttivo-virtuali nel panorama scientifico della conoscenza per la
conservazione dei monumenti, l’ing. Milella ha illustrato, con metodo e dovizia di particolari, l’articolato percorso di analisi elaborate per pervenire al corpus di informazioni sulle
caratteristiche della piccola architettura.
La ricostruzione dell’immagine del ciborio – assente da secoli dalla sua collocazione
originaria nella Cattedrale bitontina – era già stata oggetto di interesse di altri studiosi, che
avevano prodotto ipotesi fondate peraltro sulla consapevolezza di un minor numero di
pezzi. Dopo un attento studio delle fonti bibliografico-archivistiche e, soprattutto, attraverso rilievi puntuali dei residui di alcuni componenti (68 pezzi di riconosciuta attribuzione, conservati presso il Museo Diocesano di Bitonto o riutilizzati in altri manufatti),
l’immagine del ciborio e la sua collocazione nel presbiterio vengono ricostruiti attraverso
la modellazione virtuale-tridimensionale.
Il pregevole studio conferma l’utilità delle tecnologie avanzate e delle specializzazioni
scientifico-professionali per la conoscenza delle caratteristiche, anche le più distanti nel
tempo, dei nostri monumenti, aggiungendo un importante tassello alla conoscenza della civiltà dei luoghi.
Tommaso Maria Massarelli
‘Itinerario tra le cupole’
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NOTIZIE ED EVENTI
In occasione dell’incontro culturale promosso dal CeRSA-Bitonto, il 6 giugno 2008,
sul tema ‘Torre S anta Croce e le chiese rurali di Bitonto’, il socio A. Castellano ha donato
ai fondi della Biblioteca dell’Associazione il film-documentario ‘Itinerario tra le cupole’.
Sono passati circa venti anni dalla realizzazione di questo documentario, premiato al ‘VI
Festival del Film Turistico’ di Montecatini Terme, nel 1989, e voluto per iniziativa del
‘CRSEC di Bitonto’, con il contributo della Regione Puglia, per la regia di Tommaso Lapegna e la consulenza storica di Antonio Castellano.
Il titolo invero già incuriosisce e rivela in parte l’oggetto di studio: sono le cupole
delle decine di chiese che circondano Bitonto, chiesette che affondano le loro radici nella tradizione della Puglia pietrosa e nel rapporto ancestrale che questa terra ha con l’ulivo. Tutto
nasce dall’entusiasmo che tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento si alimentava attorno a questi edifici, da sempre conosciuti al mondo contadino e al popolo, ma dimenticati dal mondo scientifico.
Tutto cambia, però, con la nascita di realtà associative quali il ‘Centro Ricerche di Storia
e Arte-Bitonto’ o la realizzazione di mostre e convegni come ‘Puglia secolo XI – Alle sorgenti
del Romanico’. Tutti gli studiosi fino ad allora avevano concentrato la loro attenzione sulle
grandi cattedrali, non considerando questi edifici minori. Proprio dagli anni Settanta si inizia a
comprendere come queste chiese siano, invece, il primordio di quello che sarà il romanico pugliese. Si giunge quindi al 1989, anno di realizzazione di ‘Itinerario tra le cupole’.
Perché rivedere un filmato datato, dalle immagini sbiadite, dalla musica certo non accattivante, e dati i venti anni trascorsi, anche con notizie sugli edifici da aggiornare? Si
tratta di un importantissimo documento che serve a conoscere lo stato di conservazione
delle chiesette rurali, quanto è stato fatto – molto poco, invero –, ma soprattutto quanto è
stato distrutto. Per una strana combinazione il documentario si apre proprio con la chiesa
di Santa Aneta, che la sacrilega mano dell’uomo ha spazzato via alcuni anni fa. Si prosegue con l’Annunziata di Campagna, che è in agro di Bari, e durante le riprese era in restauro. C’è quindi Torre S. Croce: qui le immagini sono importantissime, perché si vedono
bene gli affreschi presenti all’interno della chiesa e che oggi sono quasi del tutto scomparsi. Seguono le chiese di S. Valentino e del Crocifisso, che sono da considerarsi chiese
rurali, visto che quando furono edificate erano fuori della cinta muraria di Bitonto. Tutto si
chiude con il Dolmen di Giovinazzo, simbolo di quella millenaria cultura della pietra che
contraddistingue la Terra di Bari e che oggi, con gli spietramenti e la cementificazione dei
muretti a secco, rischia di scomparire.
Vito Carlo Castellana
Corso di restauro
Si è tenuto per tutto il mese di ottobre 2008 il corso su ‘Teoria e tecnica del restauro’, curato dalla giovane socia, dott.ssa Lucia Schiavone. Il corso è stato articolato in cinque moduli che hanno focalizzato le seguenti tematiche: ‘Il restauro e il mondo dei Beni Culturali,
‘Forme di degrado per tipologie di manufatti’, ‘Tipologie di manufatti e classificazione materica’, ‘Tecniche artistiche: la scultura’, ‘Manutenzione e conservazione dei manufatti’.
Le lezioni hanno visto la partecipazione di più di trenta fruitori, tra soci e simpatizzanti,
che si sono avvicinati all’evento formativo con molta curiosità. La giovane docente e coordinatrice dell’iniziativa ha trasmesso le tecniche e i ‘segreti’ per poter conservare ed even-
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NOTIZIE ED EVENTI
tualmente intervenire correttamente su oggetti antichi e di antiquariato. Gli incontri sono
stati organizzati in maniera seminariale: i corsisti hanno potuto formulare domande alla
giovane socia L. Schiavone, restauratrice di professione, ed affrontare casi topici che si verificano nel quotidiano lavoro di conservazione dei manufatti antichi.
Chiara Cannito
Assemblea Generale Straordinaria del CeRSA-Bitonto del 26 ottobre 2008
In data 26 ottobre 2008, alle ore 10:00, si è tenuta l’Assemblea Generale Straordinaria,
convocata dalla presidente, Chiara Cannito, sia per illustrare ai soci le iniziative che si
stanno organizzando per il 40° anniversario della fondazione del sodalizio, sia per fare incontrare i soci e tutti i presidenti del CeRSA-Bitonto, che si sono avvicendati dal 1968 ad
oggi.
Alla presenza di un discreto numero di invitati, ha preso la parola la presidente, che ha salutato i presenti invitandoli a seguire da vicino e con convinzione le iniziative che sono in
cantiere.
Si stanno effettuando, infatti, incontri che ricordano gli impegni più significativi del
CeRSA-Bitonto nella scoperta e ricerca dei Beni Culturali della città, come pure nel restauro di monumenti quali le chiese di S. Leucio vecchio, di S. Caterina d’Alessandria, di
S. Giovanni, di S. Francesco della Scarpa.
Nel prossimo mese di dicembre, sarà organizzato un momento conviviale, in cui saranno
consegnati attestati ai fondatori del CeRSA-Bitonto ed ai soci più anziani; nell’occasione
ai presenti sarà offerto un dono che ricordi i quaranta anni di vita dell’associazione. È stato
preparato, infatti, a cura di Nicola Bastiani, un cofanetto di foto-cartoline con soggetti che
hanno interagito con la storia del CeRSA-Bitonto.
È in preparazione altresì una mostra ed un Convegno di studi sulla editoria locale, dal secondo dopoguerra ad oggi, come primo momento di un lavoro più ampio, che sarà compiuto nell’anno 2009.
Gli Atti del ‘Convegno sul Rinascimento’ sono ormai in corso di stampa e saranno pronti
nel mese di gennaio del 2009. Si sta concludendo un corso di restauro, riservato ai soci,
tenuto dalla socia Lucia Schiamone.
Presentati quindi dal Vicepresidente, Francesco Stellacci, si sono succeduti a discutere del
periodo del loro mandato gli ex presidenti: Stefano Milillo, Gaetano Muschitiello, Mario
Moretti, Antonio Castellano, Franco Sannicandro, Nicola Pice, Felice Moretti, Giuseppe
Paciullo. Tutti hanno auspicato, nella memoria del passato, una ripresa di intenti e di
ideali, perché il CeRSA-Bitonto possa continuare ad essere promotore di coscienza civica e
di appartenenza per l’intera comunità. Un ringraziamento corale è pure stato rivolto agli attuali presidente e componenti il Consiglio Direttivo del CeRSA-Bitonto per l’impegno che
stanno mostrando in momenti anche difficili.
Sono dunque intervenuti nel dibattito i soci Michele Scattaglia e Gianna Sammati, nonché
due nuove socie, Lucia Schiamone e Liliana Tangorra, che hanno discusso dei futuri impegni del CeRSA-Bitonto e del modo di coinvolgere i soci giovani.
La riunione si è conclusa alle ore 12:30.
Chiara Cannito
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NOTIZIE ED EVENTI
Donazioni
Il dott. Simone Mezzapesa, nell’aprile del 2008, ha donato al CeRSA-Bitonto: un quadro ad olio su tela del pittore N. Bara; 47 volumi de ‘Il Borghese’; l’enciclopedia ‘Il Tesoro’; 8 volumi, con atlanti ludici; una macchina per scrivere ‘Everest’; un’oliera in latta;
2 librerie in metallo, con ripiani in legno.
Il socio Pasquale Fallacara, maresciallo CC, nel maggio del 2008, ha fatto dono di 50
copie del volume ‘Antiche chiesette rurali nel contado di Bitonto’, di cui è autore.
Il sig. Giovanni Sicolo, nel maggio del 2008, ha fatto dono di una serie di preziosi oggetti in oro e di alcuni utensili usati dal maestro orafo: un’effige di dama; un cammeo; una
spilla in oro ‘8 k’ perlinata; un calibro per misurazione di anelli; un anello con pietra minerale ‘8 k’; un saldatore a petrolio; una collana in argento; un anello a spoletta in oro ‘8
k’, con ametista e perla; una lingottiera per fusione in oro con 4 orecchini in oro ‘8 k’;
un saldatore a piastra; un crogiolo in amianto; una medaglia d’oro smaltato; orechini in oro
‘8 k’; 2 ciondoli in oro ‘8 k’; una fede-crocifisso per suore; un martelletto; un paio di orecchini, con gemello, in oro ‘8 k’; una pinza; un anello in oro bianco; un anello con turchese; un paio di orecchini in oro ‘8 k’; un anello in oro ‘8 k’ con rubino; un paio di orecchini in oro ‘8 k’ a gomitolo; una spilla di smeraldo con perline; un crogiolo per fusione
in oro; una pinza; un lucida anelli; un ciondolo, con pietra minerale; un motorino lucida
anelli; un bracciale madreperlato; un’incudine; un calibro misura anelli; un cannello saldatore; punte metalliche per estrazione di bilanciere; 4 movimento orologio per donna; un
movimento ad orologio uomo laminato in oro; 2 orologi da donna in laminato di oro; un
movimento cronometro in oro; una punta in acciaio; un seghetto; una lima tonda; un morsetto; un servizio ‘da 6’ in argento; una mazzola in legno; una trafilatrice per la lavorazione
in oro; una coppia di coltelli; un crogiolo per argento; un estrattore per bilanciere; un quadro ‘collage’ di Bitonto; un pettine con placca in argento.
Augusto Garofalo
L’Abbazia della SS. Trinità di Monte Sacro in restauro
Restauri in vista per il nucleo originario della celebre quanto ‘misteriosa’ Abbazia della SS.
Trinità di Monte Sacro, nel Parco Nazionale del Gargano. Il concorso di progettazione è stato
vinto dal gruppo di architetti Tommaso Maria Massarelli (capogruppo), Francesco Dicarlo,
Luigi Guerriero (docente universitario), Giuseppe Riccardo, collaborati dagli architetti Marika
Ciocia, Valentina Pontrelli, Nicola D’Agostino, dall’ingegnere Francesco D’Alessandro e dal
perito industriale Gianpaolo Laera. Il complesso della grande abbazia benedettina si trova in
vetta al Monte Sacro, a circa 850 metri sul livello del mare, quasi completamente nascosta
nella folta vegetazione, occupando un’area di oltre cinquemila metri quadrati, divisa in due insediamenti da una valle a prevalente destinazione necropolare.
Abitate dall’XI secolo per un arco di vita di circa quattrocento anni, le architetture si sostanziano di mura di difesa, volumi ad uso abitativo e religioso, varie cisterne, tutti caratterizzati da esuberanti forme gotiche ove la costruzione in opera muraria di sublima in colonnati ed affreschi miracolosamente sopravissuti al tempo e alle depredazioni.
Già oggetto in passato di campagne di scavo archeologico, l’area è definita nel Piano
Urbanistico Territoriale Tematico tra le più importanti di Puglia e sottoposta a particolare
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Parco Nazionale del Gargano, Abbazia della SS. Trinità di Montesacro (FG). In alto, una parte del
complesso; in basso, restituzione grafica tridimensionale della struttura integrativa insediata in
un corpo di fabbrica del complesso minore (disegno Nicola D’Agostino).
tutela architettonica, archeologica, paesaggistica, idrogeologica e biotipica, insistendo peraltro in zona a sismicità significativa.
L’intervento proposto, che mira alla riattivazione del sito come eremo di vita religiosa
e stazione occasionale di turismo culturale, risulta complesso in relazione alla qualità
dell’insediamento – confermata dall’arcigno regime vincolistico –, allo stato generale – che
articola compagini relativamente integre ad altre semiruderizzate, crollate o sommerse –,
all’ubicazione del sito – raggiungibile solo in condizioni di semiscalata.
Le intenzioni dell’Ente Parco del Gargano, committente del progetto, sono ferme e dirette alla restituzione alla collettività di un complesso monumentale di valore straordinario
per il territorio nazionale e regionale in particolare. All’uopo la direzione dell’Ente ha specificamente richiesto un ‘progetto pilota’ ad alto contenuto specialistico. Il progetto – redatto dal gruppo di professionisti in premessa – si articola in relazione alle risposte ai problemi di accesso e di approvvigionamento dell’energia proponendo sistemi all’avanguardia
(trasporto meccanico lungomonte a monorotaia, cavidotti semiaerei a basso impatto ambientale, ecc.), alle opzioni impiantistiche (reimpiego di cisterne storiche con dispositivi di
depurazione, ecc.) ed alle soluzioni restaurative che, nel promuovere la conservazione asso-
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luta delle architetture, cristallizzano i dissesti reintegrando in modo critico e minimale le
lacune. La riattivazione di una chiesa a funzioni religiose avviene con sistema costruttivo
completamente staccato dal suolo, dialetticamente separato dalle murature e aperto alla lettura stratigrafica delle parti più significative.
Il progetto rende abitabile il sito attraverso la rifunzionalizzazione di un manufatto
oblungo, parte del quale accoglierà una struttura integrativa, avente configurazione allusiva
alle parti perdute del manufatto, realizzata con sistema costruttivo (acciaio, legno, vetro,
rame) particolarmente sottile, leggero, rispondente a tutte le normative, a caratterizzazione
integralmente removibile, autoportante, sismoresistente e presidiante le parti labili della
compagine di interesse archeologico.
L’esito formale globale dell’intervento previsto si adegua in modo contestualizzato ai
valori paesaggistici del sito naturale-archeologico, del quale viene favorita la lettura con la
musealizzazione delle unità murarie, la sistemazione di percorsi interni e le indicazioni didascaliche strategiche.
Marika Ciocia
‘Inside’. Identità-storia-corpo-mente
Il progetto ‘Luoghi d’arte’, avviato nel 2006, approda a Bitonto con la mostra Inside,
accolta nell’anello principale del Torrione Angioino: l’evento è stato curato da chi scrive e
patrocinato dal Comune di Bitonto, con il sostegno del Sindaco, prof. N. Pice, e la convinta adesione della nuova Amministrazione Comunale guidata dal dott. R. Valla.
Come programma culturale, ‘Luoghi d’arte’ mira alla valorizzazione di ambienti naturalistici e architettonici di pregio, attraverso lavori realizzati site specific, risultato di suggestioni plurime. Un’occasione che intende dedicare la massima attenzione ai diversi linguaggi della contemporaneità, dando visibilità a ricerche artistiche professionali. Ancora
una volta generazioni, sensibilità, appartenenza, linguaggi distanti, un piccolo spaccato
dell’attuale ricerca artistica, che sottolinea una complessa, contrastata, ma quanto mai fascinosa e imprevedibile condizione esistenziale.
‘Dentro’ la storia, ‘dentro’ la vita, oltre l’immediata sembianza.
Il Torrione Angioino, roccaforte medievale attualmente in fase di restauro, si conferma
come un ‘luogo’ che esalta le azioni performative e permette agli artisti di studiare un progetto per lo spazio, dentro lo spazio, e di concretizzarlo in situ.
‘Inside-dentro’, infatti, è una sentita appropriazione del contesto in cui germina l’idea,
parte inscindibile dell’opera stessa. La mostra è un percorso alla scoperta di ciò che non si
vede, tra gli annosi recessi, ‘dentro’ i più remoti segreti. L’ingombro che ognuno cela dentro, dunque, finisce con l’esibirsi, sfidando pregiudizi e sguardi troppo severi.
Rifugio, nido, gabbia, nascondiglio. Ma anche assoluzione, riscatto, evasione.
La torre con la sua riscoperta pelle si presta ad essere plasmata, vissuta, sfidata, in qualche caso quasi bonariamente oltraggiata.
Diventa scrigno prescelto per i lavori degli artisti che ne indagano, con tecniche e materiali diversi, interni, cavità, fessure, passaggi.
Un silenzioso lavoro di autoanalisi, non scevro da ironia e paradossi.
Ogni territorio possiede un’anima, un respiro.
Questa volta gli artisti sono chiamati a confrontarsi con l’interno di una torre, ma soprattutto con i meandri oscuri dell’io e con le sue radicate contraddizioni.
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‘Inside’ vuole esplorare i labirinti dell’essere a contatto con stimoli sensoriali multipli,
‘dentro’ un luogo pregno di storia e di insospettate vibrazioni.
Tutto appare rinnovato, vivo, rispettosamente reinterpretato. Un’allegra combriccola di
burloni, poeti, filosofi osservano, azzardano, suggeriscono l’ascolto del non detto, del negato, dell’intimamente protetto.
Franco Altobelli elabora un’ibrida presenza che scruta intensamente, ma si lascia discretamente varcare. La forza dello sguardo appassiona e necessita un ingresso, uno scavo,
per svelarne l’inganno apparente. L’ammasso iconografico assordante e ossessivamente
multiplo da cui l’artista trae linfa si assottiglia, fino a risolversi nel binomio oppositivocreativo uomo/donna. Liberamente ispirato alle liriche di A. M. Farabbi, l’artista cerca la
spinta chiarificatrice e salvifica che superi l’accumulo di illusioni. L’identità scivola
nell’identificazione, l’individuo nell’intricata e rattoppata apparenza, l’urlo strozzato nel
soffio. Per ordinare, scindere e riappacificare tumulti e necessità. L’installazione fotografica
di Patrizia Piccinni – essenziale, purista, quasi zen – rompe la continuità della nuda pietra
coprendo la parete con un innocente drappo. Reperti di una vita, assemblati in modo mai
casuale, con la solita cura e poesia che la caratterizzano. Ogni oggetto è singolo protagonista, ma non vuole svelarsi. C’è, è stato, non si dichiara. La nenia del carillon che gira,
le mani ancora troppo bambine, le risate ingenue. Piccole cose che dimorano dentro, come
sfumato esistenziale. Balocchi, melodie, tagli si ricompongono in un racconto delicato, pudico, inesorabilmente passato, ma prepotentemente presente.
Lara Urso prosegue il lavoro sulla libertà negata, l’approdo agognato e il disincanto ludico, con le sue larve-alloggi del desiderio. La fitta installazione, però, nonostante l’accattivante texture, risulta soprattutto uno spietato auto-esame, un transito per mostrasi dentro,
aprendo i delicati e controversi involucri della mente. Un’edulcorata via di fuga – nascita,
evoluzione – con farfalle multicolor invischiate nella cera (memore della tecnica batik di
cui è maestra), che tendono verso la luce, oppresse da un buio esistenziale pressante. Il fashion kitch, che rende riconoscibili i suoi manufatti artigianali, scopre ancora una volta visioni apparentemente briose, che hanno come unico e imprevisto messaggio: «le fiabe non
esistono … svegliati, baby!».
Ancora l’indagine conoscitiva del sé al centro del trittico di Guillermina De Gennaro.
Sguardi, volti, storie. Da sfogliare, intendere, attendere. Donne che riemergono dalla pietra,
cercate, imbrigliate, silenziose ma partecipi. Echi lontani che ancora si ascoltano, oggi
come ieri. La parola non serve, gli occhi completano e seducono. I tagli sghembi, la luce
intensa accendono di glamour un’intimità appena accennata, sfuggente, sospesa. Poesia e
incanto nei lineamenti abbozzati, che comunicano, cercano, chiamano. Sempre nell’attesa
che qualcosa accada.
A questo si oppone l’intervento deciso e fortemente provocatorio di Franco Sannicandro, che accoglie dentro la torre esseri ambigui, animali fiabeschi e inquietanti che non
sono lì per spaventare. Anzi, quasi nascondono le loro membra tra la roccia, proteggendo
un’essenza perduta. Vagando tra le stanze, queste creature di boschiana memoria ammoniscono, alludono, loro malgrado prendono parte alla lucida e amara messinscena dell’umana
miseria. L’uomo-animale-bestia si mostra in tutto il suo fulgore, vittima di se stesso, perduto per sempre.
Dissolvenze e mutazioni negli audaci tarocchi acrobatici di Maria Martinelli. Un inedito
progetto multimediale che traspone in fotografia l’immagine autoritratta, interprete di un’ironica e ascetica traduzione delle carte sibilline attraverso posture ginniche e asana (posizioni
yoga). La percezione di ciò che accade all’esterno, la parcellizzazione temporale, la cultura dello
spirito influenzano gli stati di coscienza e percorrono dall’interno l’anima di ogni essere. Il
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corpo dell’artista si moltiplica in un intero mazzo di carte, con il retro arricchito da mandala
da lei realizzati. Il gioco si fa meditazione, l’elaborazione mentale svago.
La canzonatura di Paolo De Santoli, come sempre, va ben oltre la veloce interpretazione. Sono arruolati per l’occasione i fedelissimi e neonati cavalieri Rodo e Dendro, che
animatamente se la ridono e proteggono la fortezza. Facendo il verso alla storica torre, i
gemellini dal ciuffo smerlato sono in realtà un’ingentilita elaborazione del gergo popolare
relativo al connaturato sentimento d’invidia, insano malanno che cova dentro l’uomo
d’ogni tempo. Il doppio nome, poi, lascia intendere l’accostamento rosa/spina, in un continuo avvicendamento di dualità semantica. L’artista richiama la memoria collettiva e legge
in chiave meravigliosa e surreale i pittoreschi vezzi del volgo.
Il motto di Giulio Giancaspro è, invece, ‘divertirsi e spiazzare’, invitando, ancora una
volta, a condividere il suo maxi gioco. Quasi promoter di se stesso, si traveste e replica la
sua effige in atipici oblò, indossando i panni di ben noti sponsor del grande consumo. La
persuasione propagandistica diventa simulazione e sollazzo, destrutturando il certo e il prevedibile. Attracca, così, la vivace nave-clone, cerniera tra realtà e virtuale, orientamento
pop e intima ricognizione di se stesso.
Guardarsi dentro implica l’inesorabile caduta di maschere, lo scioglimento di falsità e
truffe. Questo lo sa bene Magda Milano, che nella caducità di ogni cosa trova il senso
della vita. Tutto ciò che pulsa, fiorisce, muta inesorabilmente in cenere. Il Bello avvizzisce e lascia il posto a un patetico ricordo. Ecco spiegata l’alternanza di germogli e pietre,
uno specchio dell’altro, nel naturale evolversi della vita. L’installazione è completata da
una sfera di coloratissimi fiori freschi che lasceranno in pochi giorni il posto a grigi steli
appassiti. L’artista non si ferma alla progettazione digitale, verifica empiricamente la fuggevolezza di ogni presenza vitale. Tutto può renderci felici, nulla ci appartiene.
Lucia Anelli
Il restauro della Chiesa Madre di Cerignola
Si sono conclusi i lavori di restauro della Chiesa Madre di Cerignola, che hanno interessato in particolare il corpo posteriore. Proponendo il resoconto sulle premesse e sugli esiti
dell’intervento ne hanno parlato in una apposita conferenza – che si è tenuta a Cerignola,
l’11 giugno 2008, nella Chiesa di San Francesco d’Assisi – il parroco, prof. don Nunzio
Galantino, il Vescovo, S.E. mons. Felice Di Molfetta, e il progettista e direttore dei lavori, arch. Tommaso Maria Massarelli.
L’articolato e grande organismo della Chiesa Madre, Cattedrale fino al 1934, costituisce
uno dei palinsesti architettonici più densi di Puglia. Tra pilastri, murature pluriformi e
complessi sistemi di archi, tamburi e cupole, conserva ?residui? classici, elevati medievali
e altari barocchi, incastonati nelle fabbriche cinquecentesche e sette-ottocentesche.
L’importanza di questo edificio, anche nel contesto sociale della ‘terra vecchia’ di Cerignola,
nonché il pregresso e perdurante quadro di dissesto della sua struttura, peraltro insistente in
una zona ad elevata sismicità, aveva indotto la locale autorità religiosa a procedere al restauro.
Tale edificio era stato peraltro oggetto di danni strutturali derivanti da una storia di fallimenti di precedenti tentativi di soluzione al dissesto, a tal punto che negli anni Settanta
del Novecento si dovette procedere ad un intervento di messa in sicurezza che portò alla ri-
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Cerignola. Chiesa Madre. Il complesso sistema delle coperture e l’interno dell’abside maggiore a restauro effettuato.
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NOTIZIE ED EVENTI
mozione della copertura absidale e dei suoi apparati decorativi, per sostituirli con elementi
in cemento armato. L’abside maggiore fu chiusa al pubblico con un grande muro e, nel
frattempo, ampiamente dimenticata.
Nel corso della conferenza, che è stata preceduta da un incontro analogo – 16 giugno 2006
– in cui si illustravano le premesse al restauro, i relatori hanno potuto descrivere i diversi
aspetti dell’iniziativa, fino alla conclusione. Il parroco, prof. Galantino, ha illustrato gli
aspetti che avevano motivato il restauro e che ne giustificavano l’apporto nel contesto sociale cerignolano e nella storia architettonica dei luoghi. Il Vescovo, mons. Di Molfetta, si
è soffermato sulle caratteristiche del rinnovato spazio liturgico e su quella sinergia tra committenza, progettista ed impresa, che aveva condotto ai risultati positivi del restauro.
L’arch. Massarelli, progettista del restauro, con la collaborazione dell’ing. Francesco
D’Alessandro e dell’arch. Maria Carmela Ciocia, ha illustrato le scelte progettuali e l’avventura operativa del cantiere. Dal consolidamento strutturale e presidi antisismici con tecnologie d’avanguardia, ai derestauri, alla realizzazione di una nuova copertura absidale con
un complesso sistema reticolare in legno lamellare ad andamento semistellare e contatti
stereotomici armati, alla sistemazione di un diaframma orizzontale in acciaio per musealizzare il ritrovato soccorpo dell’antica cattedrale, alla riapertura delle finestre storiche, alle
opere di finitura fortemente rapportate alla rivelazione degli aspetti della stratificazione storica ed alla caratterizzazione del nuovo spazio liturgico.
L’occasione si è conclusa con lo spostamento simbolico di un grande telo che ha reso visibile l’esito generale dell’intervento ed ha restituito ufficialmente alla collettività il corpo
posteriore della monumentale chiesa.
Marika Ciocia
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I Collaboratori di questo numero
Lucia ANELLI – docente di Italiano e Latino negli Istituti di Istruzione Secondaria, esperta
di storia dell’arte ([email protected]).
Nicola BASTIANI – esperto di storia e tradizioni musicali ([email protected]).
Maria Rita CAMPA – architetto ([email protected]).
Chiara CANNITO – dottoressa in Lettere; esperta di didattica dei Beni Culturali e Ambientali presso il ‘Centro Comunale di Educazione Ambientale Elaia’ di Bitonto (BA);
presidente del CeRSA-Bitonto ([email protected]; [email protected]).
Rosanna CARLUCCI – dottoressa in Lettere; esperta di storia delle tradizioni religiose.
Vito Carlo CASTELLANA – docente di Italiano e Latino negli Istituti di Istruzione Secondaria; cultore di storia locale ([email protected]).
Marika CIOCIA – architetto.
Federica DENTAMARO – archeologa; redattore responsabile presso Laterza Editore-Bari
([email protected]).
Vito Vittorio DESANTIS – dottore in Scienze dei Beni Culturali; esperto di storia della
musica.
Giacomo DISANTAROSA – archeologo; borsista presso l’Università degli Studi di Bari
([email protected]).
Vittorio FORAMITTI – architetto; ricercatore di ‘Restauro architettonico’ e docente della
medesima disciplina presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di
Udine ([email protected]).
Marianna GNONI – architetto.
Italo MAGGIO – cultore di tradizioni popolari bitontine ([email protected]).
Tommaso M. MASSARELLI – architetto; docente di ‘Direzione e attuazione del progetto
di restauro’ presso la Facoltà di Architettura ‘Luigi Vanvitelli’ della Seconda Università
degli Studi di Napoli ([email protected]).
Stefano MILILLO – docente di Filosofia e Storia nei Licei, in congedo; direttore della Biblioteca diocesana ‘A. Marena’ di Bitonto.
Carmela MINENNA – docente di Italiano e Latino negli Istituti di Istruzione Secondaria;
esperta di storia delle tradizioni popolari.
Felice MORETTI – esperto di storia medievale, già direttore di S tudi Bitontini.
Francesca NITTI – architetto.
Margherita PASQUALE – direttore storico dell’arte presso gli Uffici periferici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Nicola PIGLIONICA – ordinario di Italiano e Latino nei Licei, già presidente del ‘CeRSABitonto’.
Mariolina RUTIGLIANO – ordinario di Italiano e Storia negli Istituti di Istruzione Secondaria, in congedo.
Lucia SCHIAVONE – dottoressa in Scienze dei Beni Culturali; restauratrice.
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Vito SIVO – ordinario di Letteratura Latina Medievale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Foggia ([email protected]).
Francesco STELLACCI – cultore di tradizioni popolari bitontine.
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Finito di stampare nel mese di novembre 2008
da LA NUOVA TECNOGRAFICA in Modugno (Ba)
per conto di EDIPUGLIA srl, Bari-S.Spirito
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Studi Bitontini n° 85 - Centro Ricerche di Storia e Arte