Letteratura italiana Corso di riallineamento a.a. 2012/13 Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Moderne Università degli Studi di Cagliari Docente: M.Lucia Sancassano Indice degli argomenti Test d’ingresso 1. Una visione diacronica d’insieme: tempi, luoghi e movimenti Test in itinere: “chi è chi?” 2. Letture d’Autore: momenti d’approfondimento (focalizzazione linguistica) Test finale Correzione collettiva Test d’ingresso (1) Chi è l’autore del Filocolo e del Filostrato? a) Cecco Angiolieri b) Giovanni Boccaccio c) Niccolò Machiavelli d) Agnolo Poliziano Test d’ingresso (2) Chi è l’autore del Conte di Carmagnola? a) Alessandro Manzoni b) Vittorio Alfieri c) Niccolò Machiavelli d) Ippolito Nievo Test d’ingresso (3) Il Rinascimento si caratterizza, tra gli altri aspetti, a) per l’affermazione della superiorità della letteratura moderna su quella classica b) per il fatto di costituire un’epoca di discontinuità culturale rispetto al Medio Evo c) per il culto dell’irrazionale, del mostruoso e del deforme d) per il rifiuto delle discipline filologiche Test d’ingresso (4) Indicare il corretto ordine cronologico: a) Barocco- Manierismo-UmanesimoRinascimento b) Manierismo-Barocco-RinascimentoUmanesimo c) Barocco-Manierismo-RinascimentoUmanesimo d) Umanesimo-Rinascimento-ManierismoBarocco Test d’ingresso (5) Indicare il corretto ordine cronologico: a) Scapigliatura-CrepuscolarismoRomanticismo-Postmodernismo b) Romanticismo-ScapigliaturaCrepuscolarismo-Postmodernismo c) Crepuscolarismo-RomanticismoScapigliatura-Postmodernismo d) Postmodernismo-CrepuscolarismoRomanticismo-Scapigliatura Test d’ingresso (6) Indicare il corretto ordine cronologico: a) Guittone d’Arezzo-Francesco PetrarcaTorquato Tasso-Luigi Pulci b) Luigi Pulci-Francesco Petrarca-Guittone d’Arezzo-Torquato Tasso c) Guittone d’Arezzo-Francesco PetrarcaLuigi Pulci-Torquato Tasso d) Torquato Tasso-Luigi Pulci-Francesco Petrarca-Guittone d’Arezzo Test d’ingresso (7) I versi dell’Alighieri: Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura,/ ché la diritta via era smarrita./ Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/ esta selva selvaggia e aspra e forte/ che nel pensier rinova la paura!” “ sono costruiti secondo lo schema metrico a) dell’ottava b) delle terzine a rima incatenata c) delle terzine a rima incrociata d) delle terzine a rima baciata Test d’ingresso (8) L’opera intitolata Le Grazie a) è un trattato rinascimentale sul canone classico della bellezza che si fonda sulle proporzioni b) è un’ode di Giuseppe Parini c) è un poemetto di Ugo Foscolo d) è un elegante poema di Gianbattista Marino Test d’ingresso (9) A quale corrente letteraria appartiene Giovanni Verga? a) Neorealismo b) Scapigliatura c) Romanticismo d) Verismo Test d’ingresso (10) Quale dei seguenti personaggi non compare ne I promessi sposi? a) Federigo Borromeo b) Fra’ Galdino c) Don Gesualdo d) Don Rodrigo Test d’ingresso (11) Il capolavoro di Ludovico Ariosto è a) La Gerusalemme liberata b) Il Principe c) Orlando innamorato d) Orlando Furioso Test d’ingresso (12) Un’anastrofe è a) l’inversione dell’ordine abituale di un gruppo di parole b) la ripetizione delle particelle congiuntive c) l’affermazione di un concetto attraverso la negazione del suo contrario d) l’unione di due parole che fanno riferimento a sfere sensoriali diverse Test d’ingresso (13) La metonimia consiste a) nel trasferimento di significato da una parola a un’altra per contiguità logica b) nella distribuzione incrociata degli elementi sintattici c) nell’estendere l’uso della parafrasi oltre i limiti del significato testuale d) nell’accostare in una locuzione due termini che esprimono significati opposti Test d’ingresso (14) L’entrelacement a) è una tipica ballata provenzale con accompagnamento musicale b) si ha quando la frase non termina con il verso, ma si protrae in quello successivo c) è il corrispettivo dell’ottava nella poesia francese d) è la tecnica narrativa ad incastro tipica dell’Orlando Furioso Test d’ingresso (15) Che cosa indica il termine “intertestualità”? a) i significati più profondi, non semplicemente il significato letterale, di un testo b) un ciclo di opere affini di uno stesso autore c) l’insieme delle relazioni che un’opera intrattiene con altri testi d) una pratica letteraria che ha come fine lo studio filologico dei testi manoscritti Una periodizzazione schematica Tempi, Autori e movimenti della letteratura italiana dalle Origini all’Ottocento Il Medio Evo (dal XIII al XIV) Siciliani (// poesia religiosa – S. Francesco) Siculo-Toscani Stilnovisti Dante Petrarca Boccaccio “Le tre Corone” L’Umanesimo (XV) Umanesimo Civile: Giovanni Pico della Mirandola Marsilio Ficino Lorenzo Valla Leon Battista Arberti Coluccio Salutati…. Umanesimo volgare: Lorenzo de’Medici Angelo Poliziano Jacopo Sannazaro… Il Rinascimento (XVI) La trattatistica Linguistica: Pietro Bembo (“Prose della volgar lingua” 1525) Etico-cortigiana: Baldassarre Castiglione Politica: Niccolò Machiavelli, Francesco Guicciardini Il poema epico-cavalleresco: Ludovico Arioso Torquato Tasso La lirica: il petrarchismo L’Antirinascimento: Pietro Aretino Il Barocco (XVII) La lirica: Giovan Battista Marino Gabriello Chiabrera Il poema epico-cavalleresco: Alessandro Tassoni La trattatistica: Poetica: Emanuele Tesauro Scientifica: Galileo Galilei Il primo Settecento (XVIII): Arcadia e Illuminismo La trattatistica: Ludovico Antonio Muratori Giambattista Vico La lirica e il melodramma: L’Arcadia > Pietro Metastasio Intorno al Caffè: Cesare Beccaria, Pietro e Alessandro Verri Goldoni Parini Alfieri Il secondo Settecento (XVIII): Neoclassicismo e Preromanticismo Neoclassicismo: Vincenzo Monti Tra Neoclassicismo e Preromanticismo: Ippolito Pindemonte Ugo Foscolo Il primo Ottocento (XIX): il Romanticismo Intorno al Conciliatore: Giovanni Berchet, Ludovico Di Breme, Pietro Borsieri, Silvio Pellico… Alessandro Manzoni Giacomo Leopardi Il romanzo post manzoniano: Ippolito Nievo Il secondo Ottocento (XIX): Il Tardo Romanticismo e la Scapigliatura Il Tardo Romanticismo: Giovanni Prati Giovanni Aleardi Gli “Scapigliati”: Emilio Praga Arrigo e Camillo Boito Iginio Ugo Tarchetti Il secondo Ottocento (XIX): l’età del Positivismo Il Verismo: Giuseppe Verga Luigi Capuana Federigo de Roberto Matilde Serao Grazia Deledda Giosue Carducci Il secondo Ottocento (XIX): il Decadentismo La narrativa: Antonio Fogazzaro Grazia Deledda Gabriele d’Annunzio Giovanni Pascoli Uno sguardo diacronico Le origini Esercizi di comprensione del testo e riscrittura Le origini (brano tratto da G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G. Zaccaria 2003, 1° p. 2) I primi testi letterari in volgare compaiono in Italia agli inizi del Duecento: a questa data dunque si può far risalire l’inizio della letteratura italiana. Ma questa letteratura non si origina certo dal nulla, non ha il vuoto alle spalle; al contrario, quei testi scaturiscono da un terreno già ricchissimo di esperienze e modelli culturali. La letteratura italiana non nasce dunque in forme “ingenue” o “primitive”, come piacque immaginare alla storiografia romantica dell’Ottocento, ma in forme estremamente adulte e sofisticate. Le origini (brano tratto da G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G. Zaccaria 2003, 1° p. 2) Alle spalle della nascente produzione in lingua volgare vi era innanzitutto la tradizione della cultura classica antica: il Medio Evo ne aveva conservata la memoria (anche se parzialmente e secondo prospettive molto diverse da quelle originarie). Il patrimonio classico faceva parte integrante del bagaglio culturale di chi componeva testi letterari, che era di necessità colto. Inoltre vi era tutto il ricchissimo patrimonio della cultura medievale elaborata nei secoli che corrono tra il VI e il XII secolo: questa cultura si era espressa anch’essa in latino (latino medievale o mediolatino). Le origini (brano tratto da G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G. Zaccaria 2003, 1° p. 2) Infine alle spalle della nascente letteratura italiana vi era la più recente tradizione delle letterature che, da più di un secolo, si erano sviluppate sul suolo francese, e che avevano già consacrato l’uso letterario dei linguaggi volgari: il provenzale (o lingua d’oc), il francese antico (o lingua d’oïl). Era una tradizione molto ricca, che aveva acquistato grande prestigio, diffondendosi in varie aree europee (tra cui l’Italia), ed esercitando forti influenze. Domande sul testo I primi testi letterari in italiano compaiono A) prima della nascita dell’Impero Romano B) ex abrupto C) in un’epoca successiva rispetto ad altre culture europee D) in forme semplici Domande sul testo Gli autori dei primi testi in volgare A) appartengono agli strati più umili della popolazione B) sono incolti C) usufruiscono di un complesso bagaglio culturale D) non conservano memoria del passato Domande sul testo La nascente letteratura italiana A) gode di grande prestigio B) si diffonde in tutta Europa C) subisce l’influsso delle letterature in lingua d’oc e in lingua d’oïl D) si esprime in mediolatino Uno sguardo diacronico: la lingua e i testi La poesia Dai Siciliani al Dolce Stil Novo La mappa della letteratura: il Duecento i primi testi letterari in volgare Poesia (ca. 1225): •“Cantico delle Creature” • Lirica Siciliana Prosa (seconda metà del XIII): Exempla; libri di viaggi; cronache; novelle Genere letterario: una definizione Cf. R. Saviano, E. Angioloni, L. Giustolisi, M.A. Mariani, G. Mueller Pozzebon, S. Panichi, Liberamente, vol. 1, Palumbo Palermo 2010) Insieme di opere che condividono determinati elementi espressivi (stile, lessico, metrica…) e di contenuto (temi, motivi, ideologia) aventi una funzione e un destinatario particolari. Le regole compositive di un genere letterario sono spesso codificate nei trattati di poetica, ma possono anche essere ricostruite a posteriori dagli studiosi. La poesia nel Duecento: generi e tradizioni La poesia comicoparodica La lirica: Dai Siciliani agli Stilnovisti La poesia popolare e giullaresca Generi e tradizioni Poesia religiosa: La Lauda La poesia didattica La poesia allegorica La poesia nel Duecento: La Lauda Umbria S. Francesco: “Il cantico delle creature” Jacopone da Todi:”Le laudi” (“Donna de Paradiso”) Al filone religioso rimandano pure gli scritti di Santa Caterina da Siena, in cui ricorre il tema dell’amore mistico, e le opere di S. Bernardino da Siena, Domenico Cavalca e Jacopo Passavanti La poesia nel Duecento: Dalla lirica Siciliana… Tra i generi letterari che giungono in questo periodo a più alta maturazione si pone la lirica, il cui primo momento significativo è dato dalla cosiddetta “Scuola Siciliana”, formatasi nell’Italia meridionale alla corte di Federico II nella prima metà del XIII secolo e ispirata ai modelli della lirica provenzale. Jacopo da Lentini, Pier della Vigna, Stefano Protonotaro, Guido delle Colonne, funzionari della Magna Curia fredericiana, sono poeti tra i più noti di tale scuola. La poesia nel Duecento: …ai Siculo-Toscani… Il modello siciliano, di grande prestigio, si diffonde in altre zone dell’Italia, in particolare in Toscana, dove viene ereditato e rielaborato dalla cosiddetta “Scuola toscana di transizione”, che, sullo sfondo di una realtà politico-sociale diversa dall’originaria siciliana, introducono, accanto alla tematica amorosa, centrale nell’esperienza della Magna Curia, temi di carattere morale e civile. Massimo esponente di tale scuola è Guittone d’Arezzo (“Rime”) La poesia nel Duecento: …agli Stilnovisti Alla fine del XIII secolo, a Firenze, avanguardia economica, sociale e politica dell’Italia duecentesca, si forma il “Dolce stil novo”, punto culminante – secondo il canone dantesco – di un’esperienza poetica legata alla lirica amorosa di ispirazione cortese. Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, Gianni Alfani, con Cino da Pistoia, prendono le distanze dalla generazione guittoniana ed individuano nel bolognese Guido Guinizzelli il modello del loro stesso poetare, caratterizzato da uno stile limpido e piano (“dolce”); da una visione più spiritualizzata della donna, vista come dispensatrice di salvezza; da un’analisi più approfondita degli effetti che l’amore produce sull’interiorità dell’amante. La canzone “Al cor gentil rempaira sempre amore” di G. Guinizzelli rappresenta il manifesto di questo movimento. Incontro con un testo: un sonetto dantesco (vv. 1-8) 1 Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua deven tremando muta, 4 e li occhi no l’ardiscon di guardare. 5 Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d’umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta 8 da cielo in terra a miracol mostrare. Incontro con un testo: un sonetto dantesco (vv. 9-14) 9 11 12 14 Mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che ‘ntender no la può chi no la prova: e par che da sua labbia si mova uno spirito soave pien d’amore, che va dicendo a l’anima: Sospira. La parafrasi di G. Contini Tale è l’evidenza della nobiltà e del decoro di colei ch’è mia signora, nel suo salutare, che ogni lingua trema tanto da ammutolirne, e gli occhi non osano guardarla. Essa procede, mentre sente le parole di lode, esternamente atteggiata alla sua interna benevolenza, e si fa evidente la sua natura di essere venuto di cielo in terra per rappresentare in concreto la potenza divina. Questa rappresentazione è, per chi la contempla, così carica di bellezza che per il canale degli occhi entra in cuore una dolcezza conoscibile solo per diretta esperienza. E dalla sua fisionomia muove, oggettivamente e fatta visibile, una soave ispirazione amorosa che non fa se non suggerire all’anima di sospirare. Note linguistiche v. 1, gentile = nobile v. 3, tremando = a causa, per il suo tremare v. 5, si va = moto euritmico v. 6, benignamente…. = manifestazione esteriore dell’interna “gentilezza” vv. 9-11 > enclisi (cf. legge di ToeblerMussafia) – qui si spiega la Entstehung dell’amore (Cf. Ovidio + Chrétien de Troyes) v. 12, labbia = volto Note metriche Rime incrociate nelle quartine (ABBA, ABBA) e invertite nelle terzine (CDE, EDC). A e C sono consonanti (“pare”/.. “mira”/”Sospira”). Gli enjambements sono tutti riferiti a Beatrice e creano un effetto di attesa. Le allitterazioni mirano a rafforzare legami semantici tra parole e a crearne di nuovi (t > saluto (“saluta”)> qualità (“tanto gentile…”) > effetti (“tremando muta”). Il nesso mo (“mova” “amore”) rafforza l’idea dell’amore come forza motrice dell’universo (cf. Par. XXXIII, 145: “L’amor che move il cielo e le altre stelle) Incontro con un’altra tradizione lirica duecentesca: Cecco Angiolieri, “S’i fosse fuoco…” 1 4 5 8 S’i’ fosse fuoco, arderei ‘l mondo; s’i’ fosse vento, lo tempesterei; s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; s’i’ fosse Dio, mandereil’ en profondo; s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo, ché tutti cristiani imbrigherei; s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei? a tutti mozzarei lo capo a tondo. Incontro con un testo: Cecco Angiolieri, “S’i fosse fuoco…” 9 11 12 14 S’i’ fosse morte, andarei da mio padre; s’i’ fosse vita, fuggirei da lui; similmente faria da mi’ madre. S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre: e vecchie e laide lasserei altrui. Esercizi su “S’i’ fosse fuoco…” Parafrasare il testo Quali temi vi vengono trattati? Che tono lo caratterizza? Come si presenta il testo da un punto di vista formale? A quale tradizione rimanda? La parafrasi Se io fossi fuoco, brucerei il mondo; se io fossi vento, lo tormenterei con le tempeste; se io fossi acqua, lo annegherei; se io fossi Dio, lo farei sprofondare; se io fossi papa, allora sarei allegro, perché metterei tutti i cristiani nei guai; s’io fossi imperatore, sai che farei? Taglierei la testa a tutti di netto. Se io fossi morte, andrei da mio padre; se fossi la vita, non starei con lui; mi comporterei nello stesso modo con mia madre. Se io fossi Cecco, come sono e fui, prenderei le donne giovani e piacenti; lascerei ad altri quelle vecchie e brutte. Temi, toni, tradizione Poesia comico realistica sviluppatasi a partire dal 1260 in varie città toscane. Nonostante l’apparente semplicità dei contenuti, la poesia comico-realistica è erudita e colta, che intenzionalmente rovescia le strutture e i valori della poesia stilnovista. Il sonetto richiama il plazer provenzale dedicato all’elenco delle cose piacevoli. D’altra parte, si elencano qui sogni e desideri di distruzione rivolti contro il mondo l’umanità, la famiglia. La poesia comico-realistica prosegue la pratica di un filone letterario di origine giullaresca, parallelo a quello alto e riconosciuto, che contrappone ciò che è basso e materiale alla dimensione idealizzata e spirituale della letteratura ufficiale. Uno sguardo diacronico La lingua delle “tre corone” Dante, Petrarca e Boccaccio La metrica e la lingua di Dante Un dato statistico: risale al Duecento il 56% del lessico italiano attualmente in uso, laddove il 15% rimanda a Dante, l’autore della Divina Commedia. in terzine a rima incatenata, molto spesso formate da un unico periodo in sé concluso. L’opera è formata da 14.233 endecasillabi riuniti Tale scelta strofica valorizza il momento logico-argomentativo e al tempo stesso mantiene in equilibrio la narrativa romanzesca e il rigore narrativo su cui poggia l’impianto di fondo dell’opera. La rima, collegando tra loro parole lontane, accresce lo spessore semantico del testo e ne forza la carica espressiva (sperimentalismo). Anche sul piano linguistico Dante cerca sempre nuovi registri espressivi > ricorso a tutti i dialetti italiani del tempo, in primis il fiorentino (allargamento in senso “sincronico”); > ricorso ad arcaismi, latinismi, provenzalismi (allargamento in senso “diacronico”); > formazione di neologismi. Se la lingua dantesca è sintetizzabile nell’espressione PLULINGUISMO DANTESCO, lo stile di Dante, analogamente caratterizzato dalla molteplicità, si definisce PLURISTILISMO. L’incipit della Divina Commedia: la selva oscura 1 Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. A B A 4 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! B C B 7 Tant’è amara che poco è più morte: ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. C D C 9 Inferno, XIII 1-9: il bosco di là dal Flegetonte 1 Non era ancor di là Nesso arrivato quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato. 4 Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti; non pomi v’eran ma stecchi con tosco. 7 Non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge ch ‘odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi colti. 9 Il mondo linguistico di Petrarca Il mondo linguistico di Francesco Petrarca si differenzia in maniera profonda da quello dantesco. Petrarca, ad esempio, non avrebbe mai adottato le “rime aspre e chiocce” scelte da Dante, secondo l’ideale stilistico della convenientia, per esprimere fedelmente la atrocità dell’Inferno. L’italiano del Petrarca è lingua ricordata, pensata, non legata ad eventi quotidiani: la scelta del poeta è a favore di un rigoroso monolinguismo. Nei suoi testi permangono sicilianismi (core, novo, foco senza il dittongo tipico invece del toscano); passati remoti del toscano arcaico in –ìo (morio, fuggio); ave accanto ad ha per la terza singolare del presente indicativo di avere; condizionali desueti in –ia (poria, faria, perderia) accanto ad altri correnti (sarei, avrei); parole colte e latineggianti (desvia; fenestra; mesuratamente, occide) o provenzalismi (dolzore, distruggitore, rimembranza,temenza). Il volgare è per Petrarca una lingua fissata in una condizione remota e astratta, mentre il latino classico, cui normalmente spetta tale condizione, è per lui lingua viva, realtà vicina e consueta. U. Foscolo, Parallel between Dante and Petrarch Questi due fondatori della lingua italiana ebbero doti di genialità assai diverse, per cui perseguirono scopi diversi, posero le basi di due lingue diverse e di due diverse scuole di poesia, esercitando sino ai giorni nostri opposte influenze. Invece di scegliere, come fa il Petrarca, le parole e le frasi più eleganti e armoniose, Dante crea sovente una nuova lingua, e chiama quanti dialetti ha l’Italia a raccolta onde dalle loro combinazioni sorga non solo la rappresentazione del sublime e del meraviglioso, ma quella altresì dei più comuni aspetti della natura, degli arditi concepimenti della sua fantasia, delle più astratte teorie filosofiche e dei più astrusi misteri religiosi.” Lettura e analisi del sonetto I,I del Canzoniere Boccaccio, il “mediatore” La lingua usata da Giovanni Boccaccio presenta un valore esemplare, in quanto concilia due realtà linguistiche, quella dantesca e quella petrarchesca, di per sé incompatibili. Nella Introduzione alla IV giornata Boccaccio scrive che le sue novelle sono scritte “in fiorentin volgare e in prosa”, con uno “istilo umilissimo e rimesso quanto il più si possono”, ma tali espressioni di modestia sono da intendere come topoi caratteristici della letteratura, in particolare medievale. Nonostante la dichiarata insufficienza del proprio ingegno, il Decameron costituisce un capolavoro. Il Decameron: rifondare il mondo con la parola Alla dissoluzione del mondo sociale e civile, al declino di ogni istituzione fino alla ristretta cerchia familiare nell’opera boccacciana fa riscontro, per rovesciamento, la fiducia e la “perfetta letizia” di una brigata laica di giovani cortesi, che decidono di rifondare il mondo con la parola e con la lingua delle loro 100 novelle. Alla lingua fiorentina umile e in stile leggero essi affidano il compito di opporre alle forze di disgregazione rappresentate dalla pestilenza una umanità nuova, pacifica, tollerante, lieta e cortese “senza trapassare in atto il limite della ragione” (intr. 65). Dal Proemio alla Conclusione è questo fluire incessante delle cose verso la morte a suscitare in Boccaccio, in luogo del cupio dissolvi di Petrarca, il carattere lieto e vitale della lingua del Decameron. Una lingua variegata Il Decameron presenta una natura “bifronte” e variegata: dal popolare e vernacolare fino a una prosa classicheggiante. Modi espressivi caratteristici della prosa di Boccaccio: misure di versi inserite nel ritmo della prosa; posposizione del verbo in fine di proposizione; anticipazione dell’attributo con intonazione aulica; forme verbali apocopate; uso di participi e gerundi con effetto latineggiante. Tra venature popolari e tono classicheggiante, la prosa del Boccacio esprime un’intera e variegata concezione della vita e della cultura, dello stile che talora dialoga con la storia e la società, talora ne rifugge. Dal Decameron, Introduzione alla IV giornata Lettura e analisi della “Novelletta delle papere” (vd. fotocopia) La novelletta si inserisce nella cosiddetta “autodifesa dello scrittore”, posta nell’introduzione alla IV giornata, dove l’autore interrompe l’azione della “cornice” per rispondere in prima persona alle critiche mossegli dai “morditori”, ovvero i detrattori della sua opera. Qui Boccaccio illustra le caratteristiche del genere praticato nel Decameron. Come nel Proemio e nella Conclusione dell’opera, le interlocutrici del discorso sono le donne, dedicatarie dell’opera, di cui si sottolineano le qualità e le virtù. I caratteri del genere “novella” “Novellette” In lingua volgare: “fiorentin volgare” In prosa: “in prosa scritte” Prive di titolo: “senza titolo” = per V. Branca allusione all’estrema varietà della materia che non consente un titolo unitario o anche alla diffusione dei testi singoli prima dell’opera integrale completa In stile basso: “in istilo umilissimo e rimesso quanto il più si possono” Le critiche dei “morditori” 1. Le donne piacciono troppo all’autore, che si 2. 3. 4. 5. impegna troppo a compiacerle, consolarle e persino elogiarle (par. 5); ciò è disdicevole alla sua età (par. 6); e al suo ruolo cui meglio si addice la frequentazione delle Muse in Parnaso (par. 6); egli farebbe meglio ad evitare questi temi sciocchi e inconsistenti (“frasche”), per dedicarsi a qualcosa di più serio e proficuo (procacciarsi il pane- par. 7); inoltre, le storie narrate nell’opera si sono svolte in modo diverso da come vengono raccontate (par. 7). Le risposte dell’autore 1. 2. 3. 4. 5. Amare le donne è naturale, come dimostra la vicenda del figlio di Filippo Balducci (parr. 12-32); Non è vergognoso voler “compiacere” per tutta la vita coloro a cui si dedicarono, anche da vecchi, grandi poeti quali Cino da Pistoia, Cavalcante e Dante insieme a molti “uomini antichi e valorosi” (parr. 32-34); Le donne non sono poi così diverse dalle Muse e più di queste sono state fonte di ispirazione poetica, senza contare che, quanto Boccaccio scrive – seppur appartenente al genere basso (“quantunque sieno umilissime”) – non è estraneo al magistero delle Muse e non è tanto lontano dal Parnaso (par. 35s.); Chi si occupa di “favole” sa, in genere, anche procurarsi il pane e vive a lungo, cosa che spesso non accade a chi è avido e comunque l’autore saprà sopportare con dignità ogni eventuale privazione (par. 37s.); L’accusa di falsità appare inconsistente e indegna di replica, a meno che i critici non siano in grado di esibire gli originali narrativi e dimostrare la loro discordanza con i testi del Decameron. La novelletta di Filippo Balducci (parr. 11-29) La risposta più ampia riguarda la prima accusa, che Boccaccio non respinge; egli confessa infatti il proprio amore per le donne e il suo desiderio di essere da loro ricambiato. L’argomentazione non è volta a negare la critica, bensì a confutarne il fondamento morale. A questo scopo l’autore narra in prima persona una novella INCOMPLETA (“non una novella intera”) che vuol dimostrare come la forza della natura sia incoercibile, come le ragioni dell’istinto prevalgano su ogni “innaturale” progetto educativo. Esercizio di comprensione del testo (V o F) Nell’introduzione alla IV giornata l’autore sostiene che: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Amore è un istinto innaturale V F È impossibile resistere alle sue forze V F Le donne sono assimilabili alle Muse V F Le Muse ispirano la poesia assai più delle donne V F Si scrive grazie all’ispirazione religiosa V F È disdicevole amare da vecchi V F Filippo Balducci è rappresentato come un padre saggio e avveduto V F 8. Il suo progetto educativo, approvato dall’autore, fallisce per l’avversità della sorte V F 9. L’appellativo “papere” riferito alle donne evidenzia la misoginia dell’autore V F 10. Alla fine di questa introduzione Boccaccio accetta le critiche dei “morditori” e si pente V F Gli antecedenti della “novelletta” (Cf. C. Riccardi, M. Bricchi, T. Giorgi, L. Milite, La memoria letteraria, 1 Le Monnier Firenze p. 568) Ne è quasi certa l’origine orientale: l’antichissimo poema epico indiano Ramayana contiene già una storia simile di un eremita e di suo figlio. Nel romanzo Vita di Barlaam e Josafat (una vita di Buddha del VI secolo tradotta dal sanscrito in ebraico e poi in arabo) si narra di un giovane principe che, tornato nel mondo dopo un lungo isolamento, mostra di desiderare e apprezzare sopra ogni cosa le donne, anche se gli è stato spiegato che esse sono demoni seduttori. L’apologo indiano ha avuto larga diffusione in Occidente attraverso le sue varie traduzioni e le raccolte di exempla (Exempla di Jacques da Vitry, Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, Speculum di Vincenzo di Beauvais) e si ritrova con qualche variante nel Novellino e nel Fiore di virtù. D’altra parte, mentre nelle versioni precedenti si cerca di dimostrare la pericolosità del fascino femminile, Boccaccio rovescia il significato della storia e ne alleggerisce la gravità morale con una battuta conclusiva estranea alle fonti: “Io non voglio; tu non sai donde elle s’imbeccano!”.