Caro Pacifì, siamo felicissimi che tu ti sia messo in contatto con noi, e così, per farti conoscere meglio Treviso…abbiamo messo fuori il naso dalla finestra della Scuola in Pigiama. Anna e Paola ti hanno disegnato una cartolina con il fiume Sile che “avvolge” il nostro ospedale. Degli asparagi questo è quello bianco che vive sottoterra ed è molto diffuso nel Veneto, nel Belgio e in Africa settentrionale. Quello verde selvatico è il Bruscandolo; esso cresce ovunque e avanza fuori terra una quindicina di centimetri, è molto gustoso e si trova in primavera nei campi, nei boschi e lungo i sentieri. Poi c’è quello viola che si raccoglie qualche centimetro sopra la terra ed è presente nel Veneto (Verona), in Francia e in Liguria. L’asparago è una pianta poliennale, cioè vive e fruttifica molti anni e muore verso i 15. La vita dell’asparago si svolge sottoterra; è lì infatti che si pone a vivere la “zampa” cioè l’insieme di “rizoma”, radici e gemme. Il rizoma è un fusto sotterraneo, orizzontale e fibroso, con molte gemme al centro e con grosse radici cilindriche; ma la parte che ci interessa di più è il “turione”, il germoglio che tende verso l’alto, la parte che si mangia, ricca di sostanze nutritive e sali minerali. I turioni si raccolgono prima che fuoriescano dal terreno e si tagliano alla zampa usando un attrezzo chiamato “sgorbia”. E’ così che il nostro asparago vive sottoterra e muore nel piatto. Ti piacerebbe conoscere una ricetta veneta veloce e gustosa? Sparasi fritti Si fanno bollire per 5 minuti delle punte di asparago piuttosto grosse, poi si lasciano asciugare e si mettono a marinare in olio, limone, pepe e sale. Si immergono poi all’ultimo momento in una pastella e si friggono nell’olio caldo. Il vegetale, il cui vero nome è “Asparagus Officinalis” appartiene alla famiglia delle liliacee, la stessa dei gigli e dei mughetti. Ha origine nell’Asia (forse in Mesopotamia) ma furono i Romani a scoprirne le virtù gastronomiche. Nel Veneto, sebbene presente fin dal Medioevo, la coltivazione sistematica è assai recente datata dopo l’ultima guerra in concomitanza con l’abbandono degli allevamenti del baco da seta. Il terreno ideale per l’asparago è quello leggero e sabbioso ma senza sassi, non acido e tendente al neutro, e deve lasciar filtrare facilmente l’acqua. Va mantenuto soffice, per favorire l’accrescimento di radici, rizomi e soprattutto turioni che devono rimanere sottoterra fino a quando raggiungono i 25-28 cm. Il terreno va preparato con una profonda aratura autunnale e un’abbondante distribuzione di letame. E’ in primavera che si preparano le fosse dove si depositano le zampe coperte da un leggero strato di terra. I turioni andranno raccolti un attimo prima che fuoriescano. Il periodo di produzione va da marzo a metà giugno, ma attenzione: ci vogliono tre anni dopo la piantagione per ottenere i primi turioni. Il radicchio di Treviso (il fiore che si mangia) Il radicchio, re delle tavole invernali, ha una storia antica. La sua coltivazione risale a epoche assai remote. Il radicchio è una pinta erbacea delle “Cichoriae”. I suoi fiori sono di un bel colore azzurro. Di “Cicochorium” ne esistono 8 specie, due di queste si trovano in Italia sia allo stato spontaneo che coltivato. Secondo Plinio la pianta sarebbe di origine egiziana e lo storico romano aggiunge che in Egitto se ne faceva grande uso, segno che già in epoca preistorica essa era presente in tutta la “Mezza Luna fertile”, attorno al bacino del Mar Mediterraneo. A partire dal XVIII secolo il radicchio è andato via via assumendo l’importanza attuale nell’alimentazione e ciò grazie soprattutto all’introduzione dell’arte dell’imbiancamento, che consente di avere radicchi di altissimo pregio gastronomico. Il radicchio rosso di Treviso è detto “lo spadone”. Ha un ciclo annuale di produzione: la semina avviene a metà luglio e la pianta dura fino a giugno successivo. Le file delle piantine sono ben distanziate tra loro di poco più di mezzo metro e ogni piantina dall’altra 25 cm. Il terreno deve essere ben fresato e rullato e quando nascono le piantine, dopo aver eliminato quelle superflue, si bagnano e si lasciano crescere. C’è anche la varietà tardiva che si raccoglie da novembre fino a marzo. Per la raccolta vengono fatti dei mazzi di 25-30 piante per un peso totale di 10-12 Kg che a lavorazione finita danno una resa di 3-4 Kg. I mazzi sono “messi a dormire” e coperti con teli neri. I mazzi vengono interrati e coperti con teli neri per la “prefozatura” e poi raccolti per la “forzatura” ossia l’imbianchimento vero e proprio. I cespi sono collocati in vasche con acqua corrente in locali a temperatura costante (20 gradi e alto tasso di umidità), al buio. In questa fase il radicchio assume il suo colore definitivo, la sua consistenza croccante e le caratteristiche organolettiche finali. E’ l’ora della “toelettatura” cioè della preparazione commerciale: vengono eliminate tutte le foglie esterne, viene pulita la radice che non deve superare i 5-7 cm e il diametro al colletto non deve essere superiore a 2,5 cm. Ora il radicchio è pronto. La rosa dai tanti gusti Ambasciatore in tutto il mondo, insieme allo spadone, della tipica produzione veneta di radicchi, la “Rosa di Chioggia”, così detta per la conformazione e il colore che ricordano la regina del giardino, trova le proprie origini negli orti che cingono la città marinara e che tanta parte hanno avuto e continuano ad avere nel prestigio e nei sapori della cucina veneta. A differenza di altri radicchi, presenti sul mercato soltanto stagionalmente, la “Rosa” è un prodotto che l’ortolano può offrire tutto l’anno, essendo la maturazione in campo molto diversificata. Non c’è alcun dubbio che il radicchio ha scelto come terra d’elezione il Veneto perché la terra è buona e ricca d’acqua. Ne esistono vari tipi: Radicchio rosso di Treviso classico, sicuramente il migliore, Radicchio rosso di Treviso precoce, Radicchio variegato di Castelfranco, davvero ottimo, Radicchio rosso di Chioggia, il più prodotto e presente tutto l’anno, il Radicchio di Verona, anche questo rosso, e infine il variegato di Lusia, il Polesine. Radicchio alla griglia Tagliato a metà per la lunghezza, si intinge in una salsa di olio, pepe e sale. Poi si mette su una griglia e si cuoce a fuoco lento ungendolo di tanto in tanto con una penna d’oca. Caro Pacifì, se vuoi altre ricette con il radicchio, ti consigliamo di andare a guardare il nostro progetto “Aggiungi un posto a tavola”. E questa è la famosa “ Grappa trevisana”, grappa di prosecco al radicchio rosso. LA REGINA DELLE ANGUANE (Dalla tradizione orale Altopiano di Asiago-Piove di Sacco) Ghe giera na volta “un scarpareto” e “na scarpareta”, che avevano sei figlie, una più bella dell’altra. Vogliono anche una settima figlia, ma siccome non hanno più roba, la fanno con i ritagli delle prime sei. Vien fuori così una putina più piccola di una gattina, e proprio per questo destinano di chiamarla Moma. Passano gli anni e quest’ultima cresce pochino, è gracile, piccola e minuta. Ma quando passa Moma, tutti si voltano a guardarla, perché è bianca come l’opale, ha i capelli d’oro e gli occhi così celesti da incantare. Delle sette sorelle, è certo la più capricciosa. Molti signori chiedono la sua mano ai genitori, ma lei fa rispondere che è ancora piccola e che questo non lo vuole, quest’altro meno ancora e che a sposarsi insomma non ci pensa neanche in sogno. La Moma passa giorni e giorni sulla sponda del Brenta, un fiume celeste come i suoi occhi. Spesso risale con lo sguardo la corrente, sente le voci e le sembra che il suo destino sia proprio in quel fiume. Bisogna sapere che nel Brenta ci sono le anguàne: le più bionde, snelle e avvenenti sirenette dell’onda. Si sa bene che le anguàne non si sposano mai; piuttosto si innamorano o fanno innamorare, infatti dell’amore e dell’acqua sanno tutti gli incantesimi. Hanno però una paura matta del fuoco, per mezzo del quale, sono state scacciate da tanti luoghi, per via delle loro magie. Insomma, le voci che la Moma sente sono quelle delle sirenette. E un giorno vede apparir sott’acqua tre anguane in una volta; la chiamano e le dicono: - Vieni con noi, bella Moma. Ormai ti conosciamo e sappiamo bene quello che ci vuole per te! Sarai la nostra regina, potrai innamorarti e farti amare, senza per questo doverti sposare! La fanciulla risponde che vuol pensarci su; ci riflette tre giorni e tre notti, dopodichè si reca al fiume per dare la sua risposta. Strada facendo incontra un bel pittore, il quale le propone: - Sei così incantevole, che vorrei farti un ritratto! Ed ella risponde: - Se non è che per questo, fallo pure! Ma in fretta perché ho premura! Ed ella risponde: - Se non è che per questo, fallo pure! Ma in fretta perché ho premura! Eseguito il ritratto, ciascuno se ne va per la sua strada; a dire il vero la Moma va avanti piano, perché si è già innamorata di quel giovane. Arrivata sulla sponda, emergono le anguane, le quali rinnovano la loro domanda. - Vuoi essere o no la nostra regina? Risponde la Moma: Non lo so più, perché mi sono innamorata. Che cosa devo fare? Replicano le anguàne: Ciò che ti sembra amore, domani è disamore. Scegli il fiume, vedrai che ti converrà. Ma più quelle insistono, più la Moma si incapriccia, ostinata com’è. Per chiudere la discussione, le anguàne dicono: Ebbene, sappi che in fondo al Brenta c’è una barca affondata, si dice che sia fatata. Quel ch’è sicuro è questo: l’acqua della barcaccia febbre d’amore scaccia A queste parole la Moma si tuffa nel Brenta e beve un po’ di quell’acqua. Passato il mal d’amore, si accorge che fare la regina delle anguàne è il mestiere più bello del mondo: si fanno malie con spruzzi d’acqua, collane di conchiglie fatate, giochi coi pesci. Insomma si mangia, si dorme e non si lavora mai; e soprattutto si è amate da ogni pescatore, marinaio o capitano che passi da quelle parti. Intanto quel pittore, a ritrovarsi sempre accanto il ritratto di Moma, finisce con l’innamorarsene. Cerca dovunque, chiede di lei ad ogni persona che incontri; della Moma nessuno sa più niente. Alla fine va a bussare alla porta dello “scarpareto” e della “scarpareta” e chiede loro: Fatemi la grazia di dirmi se sapete dov’è la fanciullina, bellissima e piccina, col nome di gattina. I vecchi rispondono: Magari lo sapessimo. Un tempo era solita andare sul Brenta, altro non sappiamo! Allora il pittore va sulla sponda del fiume. Passano in fretta le stagioni, ma il suo amore non passa mai; anzi più trascorre il tempo, più gli cresce la febbre d’amore. Una notte che c’è la luna ed egli se ne sta sulla riva, pieno di malinconia, vede la Moma nell’acqua trasparente. Allora si mette a chiamare, a invocarla e a dirle che sta consumandosi d’amore per lei. Intenerita la fanciulla esce dalle onde e gli dice: - - Povero amico! Ormai sono la regina delle anguàne, però posso curare il tuo mal d’amore… Chiede il giovane spasimante: -Cos’è che mi vuoi dar da bere? E la Moma risponde: L’acqua delle barcaccia Febbre d’amore scaccia Allora il giovane le dice che è meglio morire che vivere senza amore e che gli basta vederla ad ogni luna piena. E su quella sponda egli costruisce una casetta, e chi passa da queste parti, sente a volte cantare cosi: Tute le cose piccole xe bele, chi no me crede a mi varda le stele tolé l’esempio del gelsomin: profumo grande e fiore picinin. (Un grazie speciale a mamma Daniela che ci ha fatto conoscere questa bella storia, dai bambini della scuola in pigiama).