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Polizia, declaratoria e risarcimento danni per MOBBING
T.A.R.
PER LA REGIONE ABRUZZO
Sezione staccata di Pescara
SEZIONE PRIMA
Sentenza del 12 ottobre 2012
N. 00405/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00051/2009 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale =51= del =2009=, proposto da Settimio PETRUZZI, rappresentato e
difeso dall'avv. Massimo Ciafré, con domicilio eletto presso il medesimo in Pescara, piazza Garibaldi, 35;
contro
Ministero dell'INTERNO, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato de L'Aquila;
per la declaratoria ed il risarcimento dei danni
subiti dal ricorrente in seguito alla condotta mobbizzante posta in essere dall’Amministrazione, nell’ambito
del rapporto di lavoro;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
o Regionale del Lazio
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Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 settembre 2012 il cons. Dino Nazzaro e uditi per le parti i difensori:
l'avv. Massimo Ciafrè per il ricorrente e l'avv. distrettuale dello Stato Luigi Simeoli per il Ministero resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
il ricorrente ha prestato servizio in Polizia dal 23.12.1987 al 1.4.2008, presso il compartimento postale di
Pescara, ed assume che dal 15.4.1998 (insediamento del dirigente V.Q.A. Alessandro Grilli) avrebbe subito
continue vessazioni, prevaricazioni e persecuzioni per il fatto di aver segnalato, come suo dovere, varie
irregolarità amministrative che venivano perpetrate nell’ufficio di servizio (ore di lavoro straordinario
segnate e non fatte, ma retribuite; buoni pasto ed indennità di viaggio non dovute).
I singoli episodi sono analiticamente indicati da pag. 2 (n.4 in poi) a pag. 17 (n. 105 finale) e l’interessato parla
di illegittimo comportamento datoriale, qualificabile come “mobbing”, che avrebbe causato danni alla
propria integrità psico-fisica, sia sul piano biologico, sia sulla sua capacità lavorativa, allegando perizia di
parte, nonché varia documentazione elencata a pag. 29 del ricorso (n.n. 1/46) e depositata in data 27.1.2009.
Viene, pertanto, chiesto il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 e/o 2087 c.c., quale responsabilità
contrattuale (artt. 1375 e 2087 c.c.) e/o extracontrattuale (artt. 2043 e 2059 c.c.), richiamandosi anche il D.
Lgs. n. 216/2003 (art.4, comma 5°), nonché ponendo una correlazione tra l’art. 2059 c.c. e gli artt. 2, 32, 35,
41 cost..
Il danno viene quantificato in complessivi €320.143,60= (danno biologico, €62.766,32=; ridotta capacità
lavorativa, €26.455,17=; danno morale, €20.922,11=, oltre al danno esistenziale), ovvero nella misura ritenuta
dalla giustizia, chiedendosi, comunque, l’ammissione di una C.T.U. medico-legale.
Sul piano istruttorio il Tribunale, precisata la giurisdizione del G.A. (art. 30 c.p.a.), ha disposto una
verificazione, con assunzione, da parte dell’incaricato, delle testimonianze scritte sul modello ministeriale
(artt. 63 cpa e 244/253 cpc), in merito ai fatti elencati in ricorso ed in parte documentati, da parte del
Comando regionale dei Carabinieri Abruzzo e Molise di Pescara (ordinanza n. 19/2012 e decreto pres. n.
26/2012).
Gli esiti sono stati depositati in data 24.5.2012, con nota prot. 240/2 del 23.5.2012, mentre il Ministero non ha
esibito i documenti (valutazioni ricevute dal dipendente, rapporti informativi annuali con scheda di
valutazione), richiesti.
La difesa dell’Amministrazione ha depositato memoria (10.1.2012) e ritiene il gravame inammissibile ed
infondato, essendo stata la vicenda già oggetto di valutazione disciplinare, senza alcun seguito giurisdizionale.
La stessa é ritenuta peculiare, ma che non concretizzerebbe una situazione di “mobbing” (isolamento sul piano
lavorativo da parte dei colleghi “m. orizzontale”, ovvero dei superiori gerarchici “m. verticale”) e/o “bossing”
(precisa strategia aziendale finalizzata all’estromissione del dipendente dall’ambiente di lavoro), in quanto i
fatti rientrerebbero nell’ambito di un rapporto gerarchico molto rigoroso.
Viene eccepita, in relazione all’art. 2043 c.c., la prescrizione quinquennale e comunque la inammissibilità
delle istanze risarcitorie congiunte e cumulative (artt. 2043 e 2087 c.c.), nonché le voci del danno per ridotta
capacità lavorativa specifica, morale ed esistenziale.
Alla pubblica udienza la causa é stata assunta in decisione.
DIRITTO
In punto di ammissibilità del gravame, va osservato come il dato che gli eventi elencati dal ricorrente,
verificatisi in attività di servizio, siano stati anche oggetto di valutazione in sede amministrativa disciplinare,
non determina alcuna preclusione all’esercizio di un’azione giurisdizionale che, previa qualificazione unitaria
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e complessiva dei comportamenti specificati come “mobbing”, sia tesa ad ottenere un risarcimento dei danni
da parte del dipendente, ancorché cessato dal servizio, in base alla responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale dell’Amministrazione. Ciò sia per la tipicità degli elementi caratteristici del “mobbing”, sia per la
natura progressiva e duratura della fattispecie, da valutare ex post.
Gli stessi singoli provvedimenti punitivi (richiamo scritto, pena pecuniaria), ancorché non contestati, possono
assumere un loro valore particolare in un contesto diversamente prospettato e storicamente ridisegnato.
Il concetto giuridico di “mobbing”, tipico dell’ambiente lavorativo, può avere il contenuto più vario e va ben
oltre i conflitti interpersonali (antipatia, rivalità, ambizione), per trasmodare in comportamenti persecutori
finalizzati alla emarginazione e/o isolamento di un dipendente, indebolendo la sua stessa posizione
lavorativa, attraverso forme di accerchiamento sistematico che, nel caso di specie avrebbero portato al
pensionamento anticipato del Petruzzi.
La giurisprudenza ha individuato la figura del “mobber” nel datore di lavoro e/o nel superiore gerarchico che,
attraverso una condotta sistematica e duratura, tenuta sul luogo di lavoro, pone in essere reiterati atti ostili
che vengono ad assumere una forma di prevaricazione e di persecuzione psico-fisica, da cui consegue una
mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con lesione della personalità, secondo il giudizio di
merito che é possibile dedurre dalla singola fattispecie esaminata (Cass. Lav. n.12048/31.5.2011).
Le condotte stigmatizzate vanno comprovate mediante indicazione specifica, senza peraltro cadere in alcuna
probatio diabolica, onde ricavare la finalità illecita e l’aspetto soggettivo negativo; non sono tali, pertanto, i
meri episodi di inurbanità, scortesia e maleducazione, ma solo quei comportamenti concretamente idonei,
per la loro intrinseca ratio, a ledere la dignità della persona e, quindi, possono integrare anche forme di reati.
La fattispecie, pertanto, si connota per: a) una pluralità di atti, anche leciti, che, per la loro sistematicità
durevole, assumono un carattere persecutorio per il dipendente, di cui viene demolita la personalità e
professionalità; b) il verificarsi per il medesimo di un evento dannoso a livello psico-fisico; c) la sussistenza di un
nesso causale materiale e dell’elemento soggettivo da parte del mobber.
L’esame della copiosa documentazione e la espletata istruttoria evidenziano la presenza di elementi
sintomatici del “mobbing verticale ascendente”; i comportamenti non trovano alcuna giustificazione nella
struttura fortemente gerarchizzata della P.S., né nelle rigide norme del proprio ordinamento (Dpr. n.
335/24.4.1982; Dpr. n. 782/28.10.1985; Dpr. n. 737/25.10.1981), bensì nella precisa e persistente condotta
del dirigente del Compartimento P.S. e delle Comunicazioni Abruzzo di Pescara (V.Q.A. A. Grilli), che, dopo
l’interessamento della Procura della Repubblica di Pescara ed un’ispezione ministeriale, é stato trasferito
presso la Questura di Teramo, il che ha un suo significato probante.
Non é possibile accedere alla tesi dell’Avvocatura che parla di episodi singoli e sporadici, ovvero di situazione
di incompatibilità e/o opportunità ambientale, rimossa mediante trasferimento da un settore ad altro, che
possono essere giustificate per svariate ragioni, in un contesto formalmente valido di avvicendamenti e di
controllo; nel caso in esame i fatti si sono verificati nel periodo decennale di gestione da parte del V.Q.A. A.
Grilli, le cui continue e ripetute contestazioni fatte al Petruzzi, non hanno trovato alcuna convalida da parte
degli organi superiori e/o centrali.
Il lungo ed analitico elenco dei fatti rapportati sono stati puntualmente verificati con adeguata istruttoria, nel
cui ambito si é anche proceduto all’acquisizione delle testimonianze scritte.
La valutazione degli esiti istruttori non può comunque sfuggire al dato temporale continuativo e duraturo
(1998/2008), connesso alla presenza del medesimo dirigente di Compartimento.
I dati che il Tribunale ritiene essenziali sono: 1) la denuncia predisposta dal V.Q. A. A. Grilli e mai presentata
all’A.G.O. (n. sub-11; all.to 1), che evidenzia esclusivamente uno scopo intimidatorio, perché se vi erano
elementi validi, si dovrebbe dedurre una omissione in atti d’ufficio, ovvero il valore meramente simbolico della
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stessa; 2) l’episodio immediatamente successivo (n. sub-12, 13, 14, 15, 16; all.to 4), del malore con ricovero
all’O. C. di Pescara per “lipotimia” (mancamento improvviso per insufficiente afflusso di sangue al cervello) con
visita del superiore in ospedale per scopi meramente fiscali e di autotutela; 3) a ciò aggiungasi (n. sub-17, 18) la
richiesta, da parte dello stesso superiore, diretta al Ministero ed al medico della P.S. (che conferma la diagnosi
ospedaliera con mod. 650/A/5 del 24.6.1998), di una inidoneità al servizio del dipendente ricoverato; richiesta
che non trova adesione nella consulenza psichiatrica la quale esclude ogni elemento degno di rilievo (Centro
militare di medicina legale di Chieti, 30.6.1998); vi é, quindi, la conseguente querela da parte del Petruzzi nei
confronti del V.Q.A. A. Grilli (verbale 29.9.1998 presso Procura Repubblica c/o Pretura di Pescara), che il
dipendente afferma di aver ritirato perché costretto dal suo superiore; 4) l’isolamento fisico (n.n. sub-19, 20,
21,22) del dipendente per la dislocazione del suo ufficio lontano dagli altri e su altro piano, con la scrivania
collocata nel corridoio tra le due entrate dei bagni; fatto rientrato dopo l’intervento del legale di parte (nota
13.10.1998); 5) la segnalazione della assenza dal servizio del Petruzzi, nel mentre questi é impegnato in indagini
presso l’ufficio postale di S. Silvestro (n. sub-26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36), facendo seguire la
immediata contestazione formale e l’intervento del sovraintendente Zulli, che chiarisce come non vi é stata
alcuna assenza ingiustificata (nota del 14.5.2002), proprio per l’incarico affidato; il tutto, invero, era evitabile a
mezzo di una prudente preventiva informativa da parte del V.Q.A. A. Grilli, che, persistendo, provvedeva a
qualificare (nota del 17.7.2002) il Petruzzi “scarsamente idoneo ai servizi di polizia” (n. sub-38), pur risultando
giudicato ottimo dalla Commissione di esame della scuola di Polizia postale di Genova, cui il Petruzzi aveva
partecipato insieme al collega Vincenzo Leonzio (n. sub-39).
Tutti gli altri episodi, elencati da sub-41 a sub-47 e da sub-51 a sub-57 (il richiamo scritto del 21.1.2004, la
reiterata richiesta di trasferire il Petruzzi “con non limpidi precedenti disciplinari e di servizio”, la vicenda
Petaccia che ha visto condannare questi e riconoscere al Petruzzi un risarcimento del danno, il negato
permesso per una donazione urgente di sangue), fanno da chiaro contorno ad una situazione di avversione
frontale da parte del superiore gerarchico, coadiuvato da altri funzionari, nei confronti del ricorrente.
La stessa vicenda del maresciallo G. Teani (concorrente di una gara di cinofilia), di cui ai nn. sub-58 e
successivi, é significativa del persistente comportamento persecutorio da parte del V.Q.A. A. Grilli, che torna
alla carica per il trasferimento del Petruzzi e ciò nonostante che la Questura avesse restituito il fascicolo
“Petruzzi”, non rilevando elementi per l’applicazione di sanzione disciplinare più grave della deplorazione, nel
mentre il dr. Grilli viene a comminare una pena pecuniaria.
L’ispezione del 2006, da parte della Direzione interregionale della P.S., é altro motivo di comportamento
minaccioso da parte superiore gerarchico, avendo il Petruzzi risposto, andando in contrario al volere del
superiore, alle domande dell’ispettore; vi sono stati, infatti, gli episodi della chiusura a chiave del suo ufficio, la
mancanza d’incarichi, la nuova richiesta di trasferimento del Petruzzi per incompatibilità ambientale (n.n. sub66/ n. sub-79), nonché una serie continuativa di controlli ad personam e non generaliter, con interessamento
del Direttore della Polizia postale che rinvia gli atti alla Polpost di Pescara (n. sub-80/n. sub-95).
Dopo una nuova denuncia presso la Procura della Repubblica di Pescara, nel 2008 il Ministero procede ad
altra ispezione presso gli uffici della Polizia postale di Pescara, che porta al trasferimento del V.Q.A. A. Grilli
presso la Questura di Teramo.
La verificazione istruttoria (n.240/2 del 23.5.2012- Legione Carabinieri, Comando di Pescara ed allagati vari)
conferma la gran parte dei comportamenti tenuti, nei confronti del Petruzzi, dal superiore dr. Grilli; essi sono,
per la loro continuità e persistenza da qualificare come vessatori e tesi ad isolare il Petruzzi sul posto di lavoro,
colpevole di aver segnalato “anomalie ed irregolarità commesse dal dott. Grilli”, in punto di concessione di ore
straordinarie segnate e pagate solo a coloro che si erano piegati alle direttive del medesimo.
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E da chiedersi, infine, come é possibile che il Petruzzi, pur avendo l’incarico di effettuare i controlli, non é in
possesso delle chiavi dell’armeria che gli vengono consegnate solo in data 5.12.2003, e che i permessi,
sempre dati ai dipendenti, sono rifiutati solo al Petruzzi, anche in occasione dell’episodio della donazione di
sangue del 1.3.2006?
Non é opportuno dilungarsi nell’analisi dei fatti relazionati, sia perché gli eventuali aspetti disciplinari e/o penali
non interessano questo giudizio, sia perché non vi é alcuna contestazione sulla oggettività dei fatti avvenuti dal
1998 al 2008, che avvalorano un’esperienza lavorativa alienante e sofferente, con sicuri riflessi sul piano
esistenziale, inquadrabile nella citata figura concettuale del “mobbing verticale ascendente”.
Vi é stata, da parte del superiore gerarchico, una costante pressione sulla sfera giuridica del dipendente e
non un semplice rapporto conflittuale interpersonale, quale rilevato da questo Tribunale in altra causa
similare (Tar Pe n. 300/2012; C.S., VI, n. 3648/15.6.2011; IV, n.14/10.1.2012).
Nella presente fattispecie gli atti gerarchici, formalmente possibili, vengono utilizzati come un sistema di
persecuzione sul luogo di lavoro, con l’unico scopo di emarginare il sottoposto, costringendolo a cambiare,
volente o meno, l’ufficio di servizio. Trattasi di una consapevole strategia vessatoria, incidente nell’ordinaria
dinamica del rapporto di lavoro, che é idonea a causare al soggetto posto sotto pressione, disturbi psico-fisici
(umore, relazioni esterne), che fanno sentire il dipendente vittima di un vero e proprio terrorismo
psicologico.
La menomazione attiene alla sfera morale- esistenziale ed a quella biologica del dipendente; essa va ben al di
là della “discriminazione” di cui al D. Lgs. n. 216/9.7.2003 (art. 2, comma 3°), anche se gli stessi atti
discriminatori sono comportamenti indesiderati che possono rilevare ai fini del “mobbing”, in quanto violano
la dignità di una persona e creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.
Accertati i fatti rapportati, resta da stabilire il tipo di responsabilità rinvenibile nel caso in esame.
L’art. 2087 c.c., integrato dagli artt. 1175, 1374 e 1375 c.c., contiene un principio generale di tutela delle
condizioni di lavoro che devono essere tali da garantire la integrità fisica e la personalità morale del
dipendente e si pone quale obbligo contrattuale da osservare (presunzione di colpa: art. 1218 c.c.); la relativa
responsabilità civile ex contractu ha prescrizione decennale.
Il carattere aperto della clausola generale di cui all’art. 2087 c.c. ha portato a collocare la norma nell’ambito
della “buona fede oggettiva”, con responsabilità di inadempimento per inosservanza degli obblighi di
protezione del dipendente, anche quando i comportamenti siano riconducibili ad altro dipendente; la colpa del
datore di lavoro é nell’aver permesso la sussistenza di una situazione pregiudizievole sul luogo di lavoro, ovvero
nella inerzia nel rimuoverla; questi, invero, per liberarsi di ogni responsabilità deve provare di aver posto in
essere tutti i rimedi utili a prevenire e/o ad evitare la situazione di “mobbing” (Tar Lazio, Rm, III-bis, n.
1201/5.4.2004).
Sul datore di lavoro potrebbe gravare anche una responsabilità in base all’art. 2049 c.c. (comportamento
tenuto nell’esercizio delle mansioni d’ufficio), con assunzione del rischio istituzionale, quale dominus.
La responsabilità contrattuale non esclude, sempre per il datore di lavoro, che sia chiamato, in alternativa, a
rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c. (neminem laedere) per una condotta direttamente imputabile al
medesimo; con l’art. 2043 c.c. concorrono anche gli artt. 32 e 41, comma 2°, cost. (cd. diritti primari). In tale
ipotesi la prescrizione é quinquennale e l’onere probatorio grava sulla parte mobbizzata (artt. 2697 c.c. e 99
cpc), senza arrivare, come detto, ad alcuna probatio diabolica, dovendo il dipendente fornire gli oggettivi fatti
costitutivi dell’evento lesivo (prolungati comportamenti molteplici persecutori, danno alla salute ed alla propria
personalità, nesso eziologico), con l’elemento psicologico (persecutorio), desumibile ex post (C. cost. n.
359/2003; Cass. civ. n. 7382/2010; C. S. IV, 1991/2010 e n. 856/2012).
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Nella presente fattispecie il ricorrente ha convenuto in giudizio la sola Amministrazione di servizio e, quindi,
é univoco il riferimento all’art. 2087 c.c., ovvero alla responsabilità contrattuale del Ministero con
prescrizione decennale.
Essa non può essere disconosciuta alla stregua di quanto già illustrato e mancando ogni prova liberatoria.
La dinamica dei fatti denunciati e verificati evidenzia come la situazione fosse ben nota agli organismi
centrali della P.S., che, invero, sono intervenuti, ponendo fine alla situazione solo nel 2008, col trasferimento
d’ufficio per il dr. Grilli, lasciando incancrenire nel tempo la vicenda a danno di Petruzzi.
Al di là della perizia di parte (medico legale dr. G. Murmura), é palese la lesività degli atti subiti dal Petruzzi,
che, dopo il fatto episodico del ricovero per “lipotimia”(19.6.1998), si é ricoverato (O.P. di Chieti- 2007) con
dolori precordiali e rialzi pressori, tanto da esser dichiarato temporaneamente non idoneo al servizio
(certificazione 25.1.2007, cart. n. 2007011860 e 22.6.2007), lamentando una situazione di accerchiamento (to
mob) con tutti i possibili riflessi psico-fisici.
Sul piano lavorativo il Petruzzi non ha, invero, subito alcuna dequalificazione funzionale, bensì é stato
oggetto di continua ostilità da parte del suo superiore; il suo patrimonio professionale risulta essere stato
comunque salvaguardato ed il medesimo é andato in pensione con la propria qualifica funzionale; l’intento
del superiore é, infatti, quello di ottenere il trasferimento del dipendente altrove.
Il danno biologico e/o neurologico, in assenza di documentazione sanitaria specifica, in punto di malattie
sviluppatesi eziologicamente e di danni permanenti valutabili, va collegato al generale stato di ansietà
psicologica, determinata dai comportamenti del suo superiore gerarchico e, quindi, per quanto rilevato nel
ricovero del 2007, allo stato di agitazione con rialzo pressorio (170/100).
La valutazione, considerato anche l’avvenuto pensionamento, anticipato e volontario, non può che avvenire in
termini equitativi (artt. 1226 e 2056 c.c.) sia per gli aspetti patrimoniali, sia quelli non patrimoniali (2059 c.c.),
mancando ogni possibile parametro di concreto riferimento; non risulterebbe utile alcuna CTU, che non
potrebbe nulla aggiungere a quanto già rilevato dall’O.C. di Chieti e dalla perizia di parte, stante la genericità
degli elementi caratteristici del “mobbing” e la stessa complessità del danno psico-fisico, specie quando non
risultano individuabili puntuali patologie, medicalmente accertate nel contesto ed ex post.
Sul piano patrimoniale (demansionamento, dequalificazione professionale), non sono evidenziate ripercussioni
sullo svolgimento delle personali possibilità lavorative, rimaste intatte fino al pensionamento, né vi é stato
alcun minor guadagno per una ridotta capacità lavorativa, conservando sempre l’interessato la sua
professionalità e retribuzione; manca, invero, un danno da lucro cessante (minor percezione di reddito da
lavoro, licenziamento ingiurioso), mentre, per l’aspetto medico, non é provato alcun danno emergente (spese
sostenute in proprio per cure particolari).
Il danno non patrimoniale consegue alla lesione, anche contrattuale e nell’ambito applicativo dell’art. 2087
c.c., del diritto, costituzionalmente garantito, di tutela della personalità del dipendente (Cass. Lav. n.
238/10.1.2007), sussistendo o meno un reato (Cass. civ III, n.n. 8827 e 8828/31.5.2003), secondo una lettura
costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (C. Cost. n. 233/11.7.2003) che ha superato i limiti dello stesso
art. 185 del c.p..
Tale danno, unitariamente inteso, ha natura omnicomprensiva e si sostanza sulla base di un danno morale,
che é presente nella sofferenza psico-fisica del dipendente nel dover lavorare con la spada di Damocle
puntata su di lui (insoddisfazione e depressione), e nel correlato riflesso esistenziale (vita familiare e di
relazione incrinate: cd. doppio mobbing).
In assenza di conclamate malattie fisiche e psichiche, la monetizzazione dei valori di personalità lesi terrà
conto della durata della condotta mobbizzante e della sofferenza lavorativa del mobbizzato, quale attestata
dalla documentazione probatoria in atti (Cass. civ. SS. UU. n. 6572/14.3.2006).
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La liquidazione risarcitoria equitativa non può essere quella ipotizzata dalla parte che distingue tra danno
biologico, non rinvenibile nella fattispecie, danno morale e danno esistenziale, collegabili unicamente ad una
situazione generale e non a precise circostante patologiche; essa, comunque, non vuole assumere neppure un
semplice valore simbolico.
Se aequitas vuol significare bilanciamento della giustizia in senso etico, appare adeguata la liquidazione di
€500,00= per ciascuno dei dieci anni di servizio resi nella situazione di disagio e di chiara sofferenza morale
(art. 115 c.p.c.), per un totale di €5000,00=, con maturazione degli interessi legali e della svalutazione
monetaria, a far data dal deposito del ricorso (9.1.2009), considerati gli effetti sostanziali della sentenza che
attua la legge dal momento della domanda, in base al principio di effettività (art. 1 c.p.a.).
Le spese seguono la soccombenza, quale delineata in motivazione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Unica),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo ACCOGLIE nei termini precisati e
CONDANNA l’Amministrazione convenuta al pagamento della somma di €5000,00=, con interessi legali e
svalutazione monetaria, come da statuizione;
CONDANNA l’Amministrazione convenuta al pagamento delle spese di causa, complessivamente liquidate, in
base ai parametri indicativi di cui al D.M. (Giustizia) n. 140/20.7.2012, in vigore dal 23.8.2012, in €3000,00=,
oltre al rimborso degli accessori di legge (Iva e Cpa).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Michele Eliantonio, Presidente
Dino Nazzaro, Consigliere, Estensore
Ugo De Carlo, Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/10/2012
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