La verdura più musicale?
La zucca: se la svuoti,
diventa una percussione
Dialoghi con
Giorgio Gaslini e
Patrizia Laquidara
Davide Ielmini
La verdura più musicale? La zucca: se la svuoti, diventa una percussione
Dialoghi con Giorgio Gaslini e Patrizia Laquidara
Udito, olfatto e gusto: esiste un rapporto fra musica
e cibo?
Come definire l’invisibile filo che lega questi due
piaceri della vita umana? Possono il gusto e l’udito
influenzarsi reciprocamente, nella creazione e percezione musicale?
Davide Ielmini ha esplorato le sovrapposizioni tra
questi due temi nelle sue interviste ad alcuni grandi
interpreti del panorama musicale contemporaneo.
Noi abbiamo scelto di iniziare proponendovi il suo
dialogo con Giorgio Gaslini, in una sorta di omaggio al grande musicista da pochissimo scomparso.
Al dialogo con Gaslini abbiamo poi voluto affiancare l’incontro con Patrizia Laquidara, fra le migliori
voci italiane delle ultime generazioni: l’abbinamento tra questi due Artisti non è casuale.
Il grande maestro e la giovane interprete hanno infatti numerosi punti in comune: Gaslini ha sempre
guardato al Sud del mondo, Laquidara – una fra le
migliori voci italiane delle ultime generazioni – è di
origini meridionali. Per entrambi vale la curiosità
di uscire dai recinti della musica, sia della tradizione italiana che del folklore del mondo.
Vi proponiamo infine l’ascolto di due brani scelti
insieme all’Autore per conoscere più da vicino i due
protagonisti.
Per Gaslini, da sempre un talent scout infaticabile,
si tratta di una breve traccia di un concerto a Genova dedicato ai giovani talenti.
Per Patrizia Laquidara proponiamo invece Senza
Pelle: un’interpretazione mirata che ben rappresenta il lavoro di questa giovane artista nel panorama
musicale di oggi.
Cassoeula: perché il grasso non manchi neppure
nella musica.
Giorgio Gaslini nasce a Milano nel 1929; durante i bombardamenti della capitale lombarda nel
secondo conflitto mondiale, ancora bambino, si
ritrova a Lecco con il fratello e la governante. La
sua formazione gustativa riflette le ricette tipiche
di lago e quelle della tradizione della Milano di
ringhiera. Proprio come lo è la Cassoeula, che Gaslini definisce come “prelibatezza di una cucina
senza la quale non potrei vivere” e “integrazione
gastrica a quella musica senza la quale non potrei
esistere”. Suo piatto preferito che fa da ponte tra
Lecco e Milano: povero ma abbondante in quantità, calorie, gusto. Al pari di quei leccorniosi
capponi che Renzo, nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, dona al dottor Azzeccagarbugli:
a Lecco li si farcia con prugne, castagne e uvetta. Gaslini è un artista di respiro internazionale:
musicista totale e creatore di suoni che nascono
dalla somma di scuole, intuizioni ed elaborazioni
delle culture del mondo. Non si tratta di eclettismo ma di sincretismo. Proprio come accade
nelle migliori cucine, negli spartiti di Gaslini si
trovano sapori densi (come la pasta di mandorle)
alternati a suggestioni leggere (come una tempura giapponese). La Cassoeula è musicalmente
indicata per coloro che vogliono affrontare un
percorso sonoro-sensoriale molteplice, ricco, forte e senza dubbio impegnativo perché composto
da gusti e retrogusti, sfumature, accenni e scoppi di armonie improvvise. Proprio come lo sono
le opere del Maestro milanese: perché nascere a
Milano non è solo un onore, ma anche una responsabilità. È per questo che Gaslini predilige
“quel piatto di origine popolare, caro ai lavoratori
e agli artigiani d’epoca, ma anche non disdegnato
dalla borghesia del Novecento. Per queste ragioni,
e anche perché mi piace assai, dico: la Cassoeula”.
Una portata largamente diffusa in Lombardia ma
con un ricettario vasto e a volte alquanto originale. La Cassoeula, come numerosi piatti tipici
regionali, nel tempo ha registrato ‘variazioni sul
tema’, ma il periodo ottimale per prepararla è
sempre l’inverno, durante le grandi gelate perché
le verze – colte ancora con la brina – cuociono
prima. “La tradizione vuole che la Cassoeula si
prepari nel giorno di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali”, incalza Gaslini: “È in
questo periodo che, solitamente, si macellavano
i maiali”. Quegli animali tanto cari a Rossini e i
cui scarti servivano proprio nella preparazione di
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Dialoghi con Giorgio Gaslini e Patrizia Laquidara
Giorgio Gaslini
Concerto straordinario di apertura Genova
quel piatto succulento, ipercalorico, spregiudicato attacco all’apparato digerente e coronarico. Ma
il Maestro come se la cucina, questa golosità? È
plausibile che il nome derivi da ‘casseruola’. “Di
fatto” – interviene ancora Gaslini – “viene colmata una pentolona posta a bollire con spezzatino
di maiale, zampone, cotechino, verdure miste al
tegame, aromi vari naturali. Niente di origine industriale. Cottura lunga e lenta. No sale, sì pepe.
Servita e gustata in piattoni capaci e preferibilmente in buona compagnia di amici, perciò con
l’accompagnamento di vini rossi di qualità”. Ovviamente, per entrare nel dettaglio, non devono
mancare le cipolle, il vino con il quale insaporire
le costine, le cotenne e la verza. Per mantenere
intatta la lunga e preziosa tradizione del pranzo
con accompagnamento musicale – come si faceva
durante i banchetti rinascimentali – Gaslini propone di abbinare al piatto “Banana Boat di Harry
Belafonte, perché sa di popolare, di collettivo e
di caldo come la banana flambè. In quell’arsura
danzante necessitano grosse bevute di sollievo”. E
il piatto che più si abbina all’idea di musica? “Più
che razionale, questa è una domanda intestinale”,
suggerisce il Maestro. “Quindi, inutile arrovellarsi nella risposta: lascio spazio all’impulso intuitivo ma non irrazionale. Ebbene, quando ascolto
quel piccolo capolavoro di raffinatezza, leggerezza
e sense of humour che è la Création du Monde
(1923) di Darius Milhaud – che esprime con
garbo l’idea di musica pura – il piatto che per
me vi si abbina meglio è un vassoio di amaretti e
dolcetti (che non manchino cannoncini alla crema!) con un calice di champagne Veuve Clicquot
di annata felice”. “Il piatto che, invece, sprigiona
musicalità al gusto” prosegue il musicista “è una
mia trovata subito adottata, a richiesta, dai ristoranti che a volte frequento: una coppa colma di
gelato alla panna sulla quale si versano abbondanti ciliegie cotte a caldo. Aggiungere cucchiaiate di
zucchero. È come una delicata canzone d’amore”.
Musica dolce o salata? “Si tratta di una questione
personale: la mia musica è al 90% salata e per il
10% dolce”.
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Gli occhi neri, di una notte sposa del mare.
E la voce che tutte le donne vorrebbero avere
quando chiedono, pregano, amano. Patrizia Laquidara nasce a Catania nel 1972, ed è una fra
le scoperte musicali più avvincenti di questi ultimi dieci anni: Targa Tenco 2011, nella sezione
canto dialettale, per Il canto dell’Anguana, il suo
ultimo cd in alto vicentino con gli Hotel Rif. In
quella Catania, che ha dato i natali – tra i tanti artisti – anche a Vincenzo Bellini e Carmen
Consoli, Patrizia consuma i suoi primi peccati
di gola: “La parmigiana siciliana della mia nonna paterna”, ci dice con il tono generoso di chi
considera il mondo troppo piccolo. E così ha
deciso di costruirsene uno proprio fatto di voli
funambolici, di esseri mitologici e credenze popolari (l’Anguana, nella tradizione veneta, è la
donna-serpente nella quale si ritrovano il Bene e
il Male) dove l’incontro si gioca tanto nelle canzoni quanto a tavola.
È anche per questo che Patrizia non ha un suo
“piatto preferito: i miei gusti cambiano in base
alle stagioni, ai luoghi in cui mi trovo, al clima
e all’umore con cui mi alzo la mattina. Così, accanto alla parmigiana della nonna non posso non
ricordare le uova dei cent’anni cinesi, gli ovos moles
portoghesi e la salsa agrodolce della mia nonna
materna; nonna veneta”.
Parmigiana a parte, Patrizia nasce in una terra
dove il cibo – proprio come la musica – nutre
anche l’anima: gli occhi di bue (i molluschi che
si servono con polpi e gamberi) fanno rima con
i masculini marinati, le acciughe salate servite
nel cugnetto (il recipiente di terracotta), u mauru
(l’alga cruda), u zuzzu (la gelatina di maiale) e u
sangeli (il sanguinaccio). Da qui alla “pasta alla
Norma” (Bellini, ovvio), il passo è breve.
Ma il Veneto, la Laquidara se lo porta dentro con
la stessa intensità: si fa complice dei suoi accenti,
vive la sua durezza vocale, si dondola alla teatralità di parole che affrontano la vita di petto anche
quando si culla un bimbo. Perché Il canto dell’Anguana raccoglie tutti i Sud e tutti i Nord della
terra. Va dall’Africa ai Balcani, lungo le direttrici
che gli uomini percorrono, spesso, senza sapere
del loro rituale di tolleranza e condivisione. È qui,
in questo alfabeto di cuori e sapori, che Patrizia
premia la salsa in agrodolce: “Fegatini di pollo,
pinoli, uvetta, brodo, amaretti e cipolla rossa. La
ricetta è semplice: fare il soffritto con la cipolla,
far rosolare i fegatini, aggiungere vino bianco e
uvetta già bagnata. Ricoprire il tutto con brodo o
acqua e far andare a fuoco lento. A metà cottura
aggiungere gli amaretti schiacciati bene e servire,
possibilmente, abbinando carne d’anatra o altra
carne bianca”.
Un piatto che, proprio come la musica di questa poetessa di estrazione maudit (così l’avevamo
definita anni fa), supera i confini per avvicinare
il pubblico a quel gusto della riscoperta, e dell’assaggio, che nulla richiede se non il recupero di
una lentezza vitale. Ma sull’abbinamento musicale alla salsa, Patrizia non nasconde una scelta
difficile: “ci suonerei un blues che possa far risaltare l’agrodolce, ma sarebbe più adatto per le
carni rosse. I fegatini, diciamocelo, sono più jazz.
Allora meglio Chet Baker, con quella sua tromba
che agrodolce lo è davvero”. Meglio il cool, che
tutti pensavano fosse musica fredda e, invece, ci
pensò Lennie Tristano a rimettere ordine nelle teste parlando di jazz “rilassato, serio e impegnato”.
Caldo come lo era il be-bop. Questo è ciò che
piace a Patrizia. E se tra gli ingredienti ci mettiamo anche un pizzico di improvvisazione – come
il pepe nei piatti – tutto potrebbe muoversi in
quella dimensione fatata che sta tra la spiritualità
e la carnalità. Patrizia lo sa bene, perché è questo
che fa nei suoi dischi di cucina etnica, nei quali
l’Europa latina (ha vissuto alcuni anni anche a
Lisbona) si affianca alla canzone d’autore più spigolosa e croccante.
Una figlia di un tempo lontano, la Laquidara, ancora legata alla poetica dei sentimenti e a quella
parte di gioco innocente, ma a volte drammatico,
che è la vita.
È forse per questo che, per lei, la verdura più musicale è la zucca: “se la svuoti diventa una percussione”. Perché il ritmo è un’altra componente, e
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La verdura più musicale? La zucca: se la svuoti, diventa una percussione
Dialoghi con Giorgio Gaslini e Patrizia Laquidara
deve essere del tutto naturale: acquisirlo è difficile, inventarlo e controllarlo – se non sai come fare
– quasi impossibile. Eppure Patrizia canta con
questa idea in testa: aleggia sul palco, pestando
i brutti ricordi a piedi nudi. Un rito tribale che
conduce ad una musica che è amalgama: “Piccante come il peperoncino, amara come il radicchio,
aspra come il limone e melliflua come il miele”.
Ma uno solo, infine, è il piatto fatto appositamente per le note: “Quello del giradischi”.
Patrizia Laquidara
Senza Pelle
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Musica, Art de vivre, Cibo, Arte,
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