orthoviews Review della letteratura internazionale CHIRURGIA PROTESICA Infarto dopo artroplastica: è un rischio concreto? Un aumento del rischio di infarto del miocardio come complicanza perioperatoria di interventi di chirurgia maggiore non cardiologica è ampiamente descritto in letteratura. La chirurgia ortopedica è tipicamente gravata da un alto rischio cardiovascolare, come conseguenza delle possibili complicanze trombo-emboliche, che riguardano buona parte degli interventi ma in particolare quelli che implicano l'invasione di un canale midollare osseo, come le sostituzioni protesiche di anca e di ginocchio. Episodi di infarto miocardico acuto nell'immediato postoperatorio di questi interventi sono stati riportati in numerosi lavori, con tassi di incidenza variabili, dallo 0,1 fino all’1,8%, a seconda della durata dei follow up. La più recente indagine sull’argomento è uno studio di coorte retrospettivo esteso all'intera popolazione danese per un periodo di osservazione di dieci anni (gennaio 1998-dicembre 2007), studio che è stato condotto in collaborazione dalle università olandesi di Utrecht e di Maastricht, dall'università danese di Aarhus e dalla britannica Università di Southampton. Ciò che questa ricerca aggiunge al dato già noto è una più precisa caratterizzazione del rischio cardiovascolare associato alle artroprotesi di anca e di ginocchio, che per la prima volta è stato confrontato con quello di soggetti non sottoposti a chirurgia (nella misura di tre controlli comparabili per età e sesso per ogni paziente operato), valutato in un follow up di lungo periodo (protratto fino all'eventuale episodio di infarto miocardico o decesso o, in assenza di tali eventi, fino alla fine del periodo di osservazione), e quantificato rispetto ad alcuni fattori di confondimento, come eventuali pregressi disturbi cardiovascolari (infarto, insufficienza cardiaca, ictus) o l'assunzione nei sei mesi precedenti l'intervento di farmaci che possono interferire con la coagulazione o con i parametri cardiovascolari (antiaritmici, antianginosi, antitrombotici, antipertensivi, ipolipemizzanti, ipoglicemizzanti, Fans). I risultati, emersi da un campione totale di oltre 95.000 pazienti sottoposti ad artroplastica totale di anca (66.524) o di ginocchio (28.703), hanno confermato l'esistenza di un aumento significativo del rischio postoperatorio di infarto miocardico acuto, che nelle prime due settimane ha superato quello dei soggetti di controllo di 25 volte nell'intervento sull'anca e di 31 volte nell'intervento sul ginocchio. Questo aumentato rischio è rimasto però alto nelle settimane successive (fino alla sesta settimana compresa) solo nei pazienti con artroprotesi dell'anca. Calcolato su un periodo postoperatorio di sei settimane, il rischio assoluto è risultato, infatti, pari a 0,51% nelle artroprotesi di anca e pari a 0,21% in quelle di ginocchio. Confrontato inoltre, in un'analisi di sensitività su un sottogruppo di controlli sottoposti a un altro tipo di chirurgia elettiva (intervento di ernioplastica), il rischio cardiovascolare associato ad artroprotesi di anca e ginocchio nelle prime due settimane postoperatorie è rimasto significativamente più alto. Per quanto riguarda le variabili considerate nell'analisi, l'aumento del rischio di infarto è stato condizionato soprattutto dall'età dei soggetti, essendo massimo dopo gli 80 anni e invece praticamente non rilevabile prima dei 60 anni, e dalla presenza nella storia clinica dei pazienti di precedenti cardiovascolari, in misura inversamente proporzionale alla distanza di questi ultimi rispetto all'intervento (fino all'annullamento del rischio aggiuntivo per eventi occorsi più di un anno prima). Di più complessa valutazione è stato, invece, il ruolo dei trattamenti farmacologici inclusi tra fattori confondenti, per i quali – considerate le relative indicazioni terapeutiche – l'incremento del rischio di infarto postoperatorio rilevato potrebbe in realtà essere legato all'esistenza di un rischio di base già più alto del normale nei soggetti che li assumono. In conclusione, quanto emerso dallo studio si dovrebbe tradurre, secondo i suoi autori, in una serie di indicazioni per ciò che concerne la gestione del rischio COLONNA Il titanio nell’osteosintesi vertebrale In un articolo apparso sul Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia, l’autore Matteo Palmisani, chirurgo vertebrale presso il Centro scoliosi e malattie della colonna verte-brale, Ospedale accreditato Hesperia Hospital di Modena, offre una disamina sull’utilizzo del titanio e delle sue leghe nella osteosintesi vertebrale, facendo un confronto con l’acciaio e la lega cromo-cobalto. I progressi tecnologici nello sviluppo di questi materiali hanno dato un forte impulso alla chirurgia vertebrale, come testimoniato dall’elevato numero di stabilizzazioni vertebrali (100mila) e di revisioni (16mila) eseguite ogni anno. Le strumentazioni vertebrali in titanio sono state introdotte per ovviare ad alcuni inconvenienti degli impianti in acciaio e lega cromo-cobalto, quali la formazione di artefatti in sede di follow-up post-operatorio con le tecniche diagnostiche a immagini di nuova concezione (Tac e Rmn) e i problemi di bio-compatibilità e di corrosione. Il titanio, rispetto all’acciaio e alla lega cromocobalto, presenta inoltre una migliore biocompatibilità (resistenza alla corrosione e minore incidenza di infezioni tardive o dolori in sede di intervento a distanza) e un’ottima osteointegrazione. L’acciaio sembra inoltre presentare vantaggi a livello di resistenza meccanica. Infatti, quando le barre di titanio devono essere modellate (come nel caso di deformità), presumibilmente si formano microdifetti superficiali che ne peggiorerebbero, almeno in parte, proprietà meccaniche quali il modulo di rigidezza e la resistenza alla rottura in presenza di intaccature sulla superficie. Nel caso di deformità, le barre devono essere modellate lungo le curve fisiolo- giche sagittali ed è quindi indispensabile che non peggiorino le proprietà meccaniche del materiale della strumentazione di osteosintesi. Pur tuttavia l’autore riferisce che, in base all’esperienza personale, l’utilizzo del titanio nelle deformità non ha determinato un aumento apprezzabile dei cedimenti meccanici. Domenico Lombardini Palmisani M. L’utilizzo del titanio nella osteosintesi vertebrale. Giot agosto 2011; 37(suppl.1):12-28. cardiovascolare negli interventi di artroplastica di anca e di ginocchio: un'allerta prolungata fino ad almeno sei settimane postoperatorie e maggiore a partire dai 60 anni di età e per i pazienti con pregressi episodi ischemici occorsi nell'anno precedente l'intervento. Monica Oldani Lalmohamed A, Vestergaard P, Klop C, Grove EL, de Boer A, Leufkens HG, van Staa TP, de Vries F. Timing of acute myocardial infarction in patients undergoing total hip or knee replacement: a nationwide cohort study. Arch Intern Med 2012; 172:1229-35. 23 << orthoviews Review della letteratura internazionale BIOTECNOLOGIE BIOTECNOLOGIE Trapianto di condrociti nelle lesioni cartilaginee Ingegneria tissutale e lesioni osteo-cartilaginee Le lesioni cartilaginee sono molto comuni nella popolazione, specie nei soggetti adulti e anziani. Vista la natura biologica della cartilagine ialina, ossia l’assenza di terminazioni nervose, vasi sanguigni e linfatici e la sua scarsa capacità rigenerativa (scarsi numeri di cellule indifferenziate), sono stati proposti diversi approcci di trattamento, tra cui i riparativi e i ricostruttivi. Tra i primi si annoverano le microfratture procurate in sede subcondrale: tali lesioni favorirebbero il sanguinamento e quindi l’arrivo di cellule progenitrici che darebbero luogo ai condrociti. Tra gli approcci ricostruttivi troviamo il trapianto autologo di cellule cartilaginee prelevate dal soggetto in un’area Giuseppe M. Peretti e collaboratori riportano in un articolo apparso sul Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia lo stato dell’arte e i nuovi approcci basati su ingegneria tissutale al trattamento delle lesioni osteocondrali. Viene offerta anche una descrizione preliminare della sede anatomica in cui insorgono tali lesioni, ossia la giunzione osteo-condrale. Numerosi sono gli approcci terapeutici al trattamento delle osteoartrosi. Tra questi si trovano le tecniche tradizionali (tecniche di stimolazione midollare, impianto di autograft osteocondrali, alloimpianti e impianto di protesi a rivestimento focale) e le tecniche di ingegneria tissutale, le quali prevedono l’impianto di substrati (scaf- di ridotto carico. L’impianto di condrociti è stato il primo approccio biologico al trattamento di lesioni condrali del ginocchio. L’approccio di trapianto di condrociti autologhi ha visto un buon successo in termini di outcome, come evidenziato da numerosi studi e review in materia, anche con follow-up di buona durata. La riabilitazione prevede una precoce mobilitazione dell’articolazione, con un carico completo raggiunto alle 6 settimane post-intervento. Il ritorno all’attività non avviene prima delle 12 settimane. Nonostante ciò, ancora non risultano chiare le indicazioni al trattamento né se vi sia un reale vantaggio rispetto alle altre tecniche, come le microfratture. Uno svantaggio di tale tecnica è rappresentato dai due tempi chirurgici, il primo in artroscopia per isolare il tessuto cartilagineo, e il secondo in artrotomia per l’impianto delle cellule espanse in vitro per diverse settimane. Tale approccio impatta anche negativamente sui costi. La possibilità di eseguire anche il secondo intervento per via artroscopica ne ridurrà l’invasività, con conseguente aumento delle possibili indicazioni. D. L. Causero A, Di Benedetto P, Beltrame A, Mancuso F. Il trattamento delle lesioni cartilaginee con impianto di condrociti autologhi. Giot agosto 2011; 37(suppl.1):113-116. BIOTECNOLOGIE all’inclusione di cellule condrali o di molecole portatrici di informazioni biologiche, il cui scopo è quello di dare uno stimolo proliferativo alle cellule e di mantenerne il fenotipo desiderato nel tempo. Essendo oramai ampiamente stabilita l’importanza dell’unità morfo-funzionale del complesso osso-cartilagine in questo tipo di lesioni, l’utilizzo di materiali “intelligenti” con ottima compatibilità come gli scaffold cellulati o acellulati potrebbe rappresentare realmente un approccio terapeutico efficace delle lesioni cartilaginee. Domenico Lombardini Peretti GM, Pozzi A. Giot agosto 2011; 37(suppl.1):167-172. SPALLA Le biotecnologie in chirurgia del rachide In un articolo apparso sul Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia, Gianluca Vadalà e colleghi riportano lo stato dell’arte sull’utilizzo dei bioscaffold nella chirurgia del rachide. Come noto, l’artrodesi rappresenta un momento chirurgico di importanza fondamentale in questo genere di interventi e il successo di tale procedura è subordinata all’ottenimento di un’efficace fusione ossea. Il gold standard è rappresentato ancora dall’espianto autologo di osso dalla cresta iliaca, tuttavia tale trattamento pone importanti problemi di morbidità al sito di espianto. Onde superare tali inconvenienti, sono stati proposti gli approcci dell’impianto allogenico da cadavere, l’uso di materiali ceramici e derivati del sangue periferico e midollare (concentrati di cellule progenitrici e di fattori di crescita da concentrato piastrinico) e l’uso di strutture minerali oppure organiche realizzate in vitro. Tali bioscaffold dovrebbero imitare le proprietà strutturali e di induzione osteogenica dell’osso naturale e perciò sarebbe necessario integrare tali materiali con fold) inerti assorbibili (membrana di fosfato di calcio e acido polilattico e poliglicolico, e altri), che possono essere seminati o meno con cellule autologhe o ete-rologhe. Se, da una parte, l’esperienza clinica dei materiali di ingegneria tissutale per la cura delle lesioni osteo-cartilaginee è ancora limitata, la buona compatibilità fra scaffold e osso subcondrale fa ben sperare sul futuro utilizzo di tali materiali nella clinica. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di associare gli scaffold a materiali biologicamente attivi, quali il concentrato piastrinico e le molecole appartenenti alla famiglia delle proteine morfogenetiche dell’osso, che potrebbero favorire il processo di guarigione, o agenti bioattivi (quali le proteine osteogeniche dell’osso) e cellule osteogeniche autologhe espanse ex vivo. Nonostante sia attraente la possibilità di utilizzare tali costrutti per i motivi di morbidità associati all’espianto da cresta iliaca di cui sopra, i bioscaffold rappresentano ancora soltanto un adiuvante al gesto chirurgico. Inoltre è importante enfatizzare i costi e la sicurezza di tali approcci biotecnologici, soprattutto laddove vengano utilizzate cellule staminali autologhe espian- Per la riabilitazione bisogna spettare? tate, espanse ex vivo e poi reimpiantate nell’ospite. In sintesi, le nuove biotecnologie sono molto promettenti ma necessiteranno di una sperimentazione e un’implementazione ulteriori, e l’utilizzo dell’osso autologo rappresenta ancora l’approccio di gran lunga migliore per ottenere stabili artrodesi nella chirurgia del rachide. D. L. Vadalà G, Papapietro N, Di Martino A. Giot agosto 2011; 37(suppl.1):191-198. Dopo un intervento chirurgico per il recupero di una lesione tendinea, potrebbe essere necessario un periodo lungo di immobilizzazione del paziente, maggiore di quanto attualmente previsto, prima di intraprendere la riabilitazione. Secondo uno studio presentato al congresso annuale dell'American Orthopaedic Society for Sports Medicine (Aossm), che si è tenuto lo scorso luglio a Baltimora, il periodo di immobilizzazione potrebbe essere di alcune settimane e non di qualche giorno. Questo risultato potrebbe essere applicato a molti casi, come a quello di un intervento alla cuffia dei rotatori. Lo studio, firmato da Scott Rodeo e colleghi, è stato condotto su un modello animale. Si è studiato il recupero della lesione del tendine rotuleo nei ratti. In particolare, dopo una lesione e un intervento, a un gruppo di animali è stato applicato un piccolo carico 50 volte al giorno, a un secondo gruppo un carico medio e a un terzo gruppo nessun carico. Il carico simulava l'estensione della zampa. Gli animali sono stati studiati a 4, 10, 21 e 28 giorni. Le migliori guarigioni, quelle che mostrava- > «Dai dati di questo studio, sembra che dovremmo immobilizzare i nostri pazienti sottoposti a riparazioni tendinee, come quella della cuffia dei rotatori, per lunghi periodi di tempo» ha detto Scott Rodeo (nella foto qui sopra), ricercatore principale dello studio e direttore del servizio di medicina dello sport all'Hospital for Special Surgery di New York City no meno fibrocartilagine o tessuto cicatriziale, sono state registrate nei topi immobilizzati. Questo gruppo aveva anche la miglior organizzazione del tessuto connettivo e livelli migliori di densità minerale ossea. In generale, esistono ancora pochi dati sul miglior processo di riabilitazione. Riguardo ai pazienti con problemi alla spalla, si sa che tra il 20 e il 40% non guarisce dopo l'intervento alla cuffia dei rotatori. Questi pazienti mostrano una minore resistenza e un range di movimento ridotto. «Lo studio suggerisce che si potrebbe immobilizzare i pazienti più a lungo per permettere all'infiammazione post operatoria di diminuire, perché un eccesso di infiammazione può essere dannoso» ha detto Carolyn Hettrich, una degli autori. La ricerca ha vinto il Cabaud Memorial Award ed è stata proposta per la pubblicazione sulla rivista American Journal of Sports Medicine. Claudia Grisanti orthoviews Review della letteratura internazionale << 24 25 << orthoviews Review della letteratura internazionale ANCA BIOTECNOLOGIE ANESTESIA Usura dei materiali protesici una sfida per il futuro Soluzioni biotecnologiche per le cisti ossee Anestesia regionale per le frattura dell’anca In un articolo apparso sul Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia si offre una trattazione sull’usura dei materiali protesici, con particolare riferimento alla sostituzione protesica dell'anca. Come noto, la mobilitazione asettica della protesi all’anca rappresenta ancora la causa principale di fallimento degli impianti protesici. Tale evento avverso è ascrivibile a numerose concause, ivi inclusa la formazione di detriti e di altro materiale particolato di origine protesica e/o biologica. Le altre possibili concause possono essere lo stile di vita del paziente (ad esempio un Bmi elevato), la modalità e l’appropriatezza dell’intervento chirurgico e il disegno dell’impianto stesso. Lo studio di nuovi materiali e accoppiamenti e il contributo fondamentale della moderna tribologia possono dare un forte impulso a migliorare gli outcome dei pazienti. L’articolo descrive la correlazione tra usura e le diverse configurazioni protesi- che, con particolare riferimento ai nuovi accoppiamenti e ai nuovi materiali, con i pro e i contro di ogni trattamento. Nonostante l’ampia disponibilità di materiali e approcci implantologici differenti, il crescente numero di impianti protesici (oltre un milione l’anno), le sempre maggiori esigenze funzionali e l’aumento della vita media comporteranno in futuro un preoccupante aumento degli interventi di revisione protesica. Tali interventi, come è noto, presentano maggiori difficoltà rispetto al trattamento primario, considerando l’estesa osteolisi periprotesica, la necessità di innesti ossei e la corrispondente maggio-re invasività dell’intervento, l’uso di impianti di maggiori dimensioni con possibili esiti negativi, morbilità e morbidità maggiori. Inoltre, specie per i nuovi materiali, mancano studi di follow-up di lunga durata che stabili- scano in modo attendibile la sicurezza di alcuni impianti. Lo studio di materiali e approcci innovativi è quindi una conditio sine qua non per rispondere in modo adeguato alle sfide del futuro. Domenico Lombardini Logroscino G, Maccauro G, Fabbriciani C. Usura dei materiali. Giot agosto 2011; 37(suppl.1):76-83. ANCA Rilascio di ioni nelle protesi d’anca In un articolo apparso sul Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia viene offerta una visione comparata fra i diversi accoppiamenti di materiali di protesi d’anca e il rilascio sistemico di ioni. Sebbene non sia noto l’effetto a lungo termine degli ioni derivanti dalle protesi d’anca sull’organismo, la scelta dei materiali per un approccio di trattamento protesico dovrebbe tuttavia considerare anche questa variabile, almeno in determinati pazienti (ad esempio quelli più giovani, in cui il tempo di residenza dell’impianto sarà maggiore). È noto, ad esempio, che tali ioni si accumulano nei linfonodi, nel fegato, nella milza e nel midollo osseo. Un modo per diminuire la diffusione degli ioni di metallo è stato quello di aumentare la dimensione delle teste, con il vantaggio aggiuntivo di una maggiore stabilità e una maggiore escursione articolare. I diversi accoppiamenti protesici mostrano diverse quantità di ioni rilasciati nell’organismo. L’accoppiamento metallometallo presenta un rilascio di ioni Cr, Co e Mo maggiore rispetto agli ac-coppiamenti ceramica-ceramica o ceramica-metallo, e tale rilascio non sembra essere influenzato dalla dimensione della testa protesica. Mentre non esistono differenze apprezzabili tra gli accoppiamenti ceramicaceramica e ceramica-polietilene, ciò per la mancanza di Co e Cr in nessuna parte della superficie dell’accoppiamento. L’accoppiamento ceramicametallo, pur avendo un rilascio di ioni minore rispetto alle protesi metal-lo-metallo, deve essere ancora validata in termini di prestazioni a lungo termine. È quindi consigliabile il monitoraggio nel tempo dei livelli sierici degli ioni metallo, e l’accoppiamento metallo-metallo rimane una scelta valida specialmente nei soggetti giovani candidati a una protesi di rivestimento e per cui non si danno altre alternative di trattamento. Domenico Lombardini Giannini S, Cadossi M, Romagnoli M, Luciani D, Chiarello E. Il rilascio sistemici di ioni metallo: biomateriali a confronto. Giot agosto 2011; 37(suppl.1):87-89. In un articolo apparso sul Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia gli autori, coordinati da Giulio Maccauro, fanno una revisione degli attuali approcci al trattamento delle cisti ossee e riportano un’esperienza di trattamento con l’utilizzo di sostituiti ossei e gel piastrinici contenenti fattori di crescita. La cisti ossea solitaria è una lesione simil-tumorale che colpisce l’osso immaturo, e pertanto pazienti in epoca pediatrica (3-14 anni). Tale neoformazione si rinviene più frequentemente in corrispondenza della metafisi, giustapposta o vicino alla fisi. Sebbene la gran parte delle cisti ossee solitarie mostri una storia naturale asintomatica e una spontanea evoluzione alla scomparsa, si registrano casi sintomatici e fratture secondarie all’indebolimento dell’osso adiacente alla cisti. In questi casi è quindi opportuno il tempestivo trattamento, il quale può avvenire secondo diversi approcci. Tra questi troviamo le tecniche a iniezione, le tecniche chirurgiche e l’inchiodamento endomidollare. Le tecniche a iniezione prevedono l’aspirazione del fluido interno alla cisti, il lavaggio con soluzione salina e l’iniezione di differenti agenti quali antinfiammatori steroidei, midollo osseo autologo e matrice ossea demineralizzata. A prescindere dall’agente iniettato, tali tecniche hanno mostrato efficacia in ragione dell’interruzione meccanica della parete cistica, mettendo il canale midollare in contatto con la cavità. L’approccio chirurgico prevede l’apertura di una finestra corticale, la rimozione del fluido interno, il curettage della membrana fibrosa e il trapianto osseo. Sono stati tuttavia riportati alti tassi di recidiva, tra il 22 e il 64%. L’inchiodamento midollare prevede inoltre una tecnica simile all’iniezione e ha il difetto della necessità di cambiare il chiodo man mano che l’osso cresce in un paziente in fase di crescita. L’esperienza riportata dagli autori sull’uso di sostituti ossei e gel piastrinici, sulla scia del curettage e decompressione della cisti, intende sfruttare l’azione o steoinduttiva delle sostanze impiantate. Il limite di questo approccio è che deve essere riservato a pazienti molto selezionati, nei quali si è avuto l’insuccesso dei trattamenti percutanei. D. L. Maccauro G, Spinelli MS, Perisano C, Graci C, Piccioli A, Del Bravo V, Fabbriciani C. Giot agosto 2011; 37(suppl.1):145-150. Uno studio di Neuman e collaboratori, apparso recentemente sulla rivista internazionale Anesthesiology, riporta uno studio prospettico condotto su circa 18.000 pazienti, da cui si evince che l’anestesia regionale è migliore rispetto a quella generale in termini di complicazioni post-intervento e casi di decesso in pazienti anziani con frattura dell’anca sottoposti a intervento chirurgico. «La frattura dell’anca – dichiara il primo autore dello studio – è un evento comune e gravoso nei pazienti anziani. La preva- lenza di morte è pari a uno su cinque pazienti con frattura dell’anca entro un anno dal trauma. Vi è quindi un urgente bisogno di indicazioni migliori per i pazienti e i medici sull’anestesia da utilizzare in caso di frattura dell’anca, ma ad oggi soltanto pochi studi nella popolazione generale si sono interessati a tale problema». Il dottor Neuman e i suoi collaboratori hanno esaminato una coorte retrospettiva di pazienti sottoposti a intervento per frattura dell’anca in 126 ospedali a New York nel 2007 e nel 2008, per un totale di 18.158 pazienti. I ricercatori hanno associato l’anestesia regionale o l’anestesia generale con mortalità, importanti complicazioni polmonari ospedaliere e importanti complicazioni cardiovascolari ospedaliere. I ricercatori hanno quindi trovato una notevole riduzione del tasso di mortalità (29%) nei pazienti sottoposti ad anestesia regionale rispetto a quelli sottoposti ad anestesia generale, oltre a trovare una globale riduzione degli eventi avversi post-intervento di cui sopra. Tali risultati hanno impor- tanti implicazioni nella gestione di questi pazienti, soprattutto considerando l’elevata mortalità e morbidità di tali pazienti e l’aumento generalizzato di tali tipi di pazienti nel prossimo futuro. Domenico Lombardini Neuman MD, Silber JH, Elkassabany NM, Ludwig JM, Fleisher LA. Comparative Effectiveness of Regional versus General Anesthesia for Hip Fracture Surgery in Adults. Anesthesiology 2012 Jul;117(1):72-92. IMAGING Una tecnica di imaging ibrida per la diagnosi dei tumori ossei I casi di tumori ossei, siano questi primari o secondari, vengono diagnosticati con le moderne strumentazioni di imaging, come la tomografia computerizzata (Tac) e la tomografia ad emissione di positroni (Pet). In particolare, la F-18 Fdg Pet/Ct viene usata per rilevare e monitorare la risposta del tumore alla terapia. Tuttavia, in ragione delle variabili velocità di utilizzazione del glucosio, non tutti i tumori possono essere identificati in maniera affidabile. Il Na(18)F è già stato usato per l’imaging dell’osso e può essere usato come tracciante Pet/Ct nell’osso. In uno studio recentemente apparso è stata valutata retrospettivamente l’efficacia dell’uso combinato di due sonde di imaging, ossia Na(18)F (una sonda di fluoruro di sodio con affinità per l’osso) ed F-18 Fdg (un analogo del glucosio), nella diagnosi dei tumori ossei. «Lo studio ha dimostrato – dichiara il primo autore Andrei Iagaru – che l’utilizzo delle tecniche di imaging con due differenti marcatori migliora la potenza di queste tecniche nella diagnosi del cancro. La somministrazione simultanea degli agenti di imaging F-18 NaF e F-18 Fdg in una singola Pet/Tac presenta la potenzialità di migliorare la precisione della diagnosi. Ciò permetterebbe anche – chiosa il ricercatore – una potenziale riduzione dei costi, proprio grazie a una tecnica più robusta e affidabile». I risultati della ricerca dimostrano, infatti, che le immagini Pet/Cat NaF ed Fdg composite portano all’identificazione di un numero maggiore di metastasi rispetto alle altre tecniche. Il futuro utilizzo di tale approccio diagnostico è subordinato a ulteriori evidenze sul suo beneficio nell’imaging dei tumori ossei. D. L. A Iagaru A, Mittra E, Yaghoubi SS, Dick DW, Quon A, Goris ML, Gambhir SS. J Nucl Med. Novel strategy for a cocktail 18F-fluoride and 18F-FDG PET/CT scan INFEZIONI DEL SITO CHIRURGICO Fattori di rischio dell’infezione profonda Un recente articolo apparso sulla rivista Journal of Bone & Joint Surgery rileva importanti fattori rimediabili, ossia facilmente modificabili, coinvolti nell’infezione profonda sottofasciale in pazienti sottoposti a intervento chirurgico per frattura dell’anca. Lo studio, un’analisi retrospettiva su 6.905 pazienti, ha rilevato che 50 soggetti, ossia lo 0,7% della popolazione complessiva, si presentavano con un’infezione profonda post-intervento. Il risultato interessante e statisticamente significativo è stato che gli interventi eseguiti da un chi- rurgo senior esperto avevano un rischio di infezione profonda pari a metà rispetto a quella degli interventi eseguiti da un chirurgo junior, meno esperto. Tale risultato è in accordo con precedenti studi nei quali, tuttavia, mancava la significatività statistica. Anche la durata dell’anestesia correlava in maniera inversa con il rischio di infezione profonda: all’aumentare del tempo tra l’induzione e l’estubazione corrispondeva un aumento del rischio di infezione profonda. Tuttavia, la durata dell’operazione di per sé non aveva alcun effetto statisticamente significativo sul rischio di infezione o complicazioni post-operatorie. Lo studio ha anche enfatizzato un importante ruolo della tecnica chirurgia utilizzata, e ha mostrato che per le fratture intra ed extracapsulari il metodo di fissaggio ha un impatto significativo sullo sviluppo di un’infezione profonda. In sintesi, il lavoro di Harrison e colleghi mostra che l’esperienza del chirurgo, la durata dell’anestesia e il metodo di fissaggio sono tutti associati allo sviluppo di un’infezione profonda dopo un intervento chirurgico per una frattura dell’anca, quindi gli autori auspicano che tali interventi vengano eseguiti da un team esperto che includa un chirurgo specialista dedicato a tali procedure. Domenico Lombardini Harrison T, Robinson P, Cook A, Parker MJ. Factors affecting the incidence of deep wound infec-tion after hip fracture surgery. J Bone Joint Surg Br.2012 Feb;94(2):237-40. for evaluation of malignancy: re-sults of the pilot-phase study. J Nucl Med 2009 Apr;50(4):501-5. orthoviews Review della letteratura internazionale << 26 LAVORO ORIGINALE Idrossiapatite di origine bovina nelle revisioni di protesi d’anca Vincenzo Salini, Andrea Pantalone, Daniele Vanni Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti Clinica ortopedica e traumatologica (Direttore: Prof. V. Salini) Oggi le tecniche di prelievo, processazione e utilizzo di osso omologo sono in continuo miglioramento. Tuttavia la disponibilità e i costi di elaborazione, il rischio di trasmissione di agenti infettivi e di reazioni immunomediate, rappresentano limiti concreti per un loro utilizzo ordinario in sala operatoria. Proprio per questi motivi il trapianto di osso autologo rappresenta ancora il gold standard nel trattamento chirurgico dei difetti ossei (1). Pur costituendo l’optimum in quanto a caratteristiche di osteoconduttività, osteoinduttività e osteogenici- > tà, il trapianto autologo non è scevro da complicanze anche gravi (aumento del tempo chirurgico, ematomi in sede di prelievo, perdite ematiche, lesioni iatrogene neuro-vascolari e dei parenchimi, infezioni, fratture e instabilità pelvica, dolore cronico nel sito di prelievo). Per ovviare a tali problematiche, negli ultimi decenni si sono sviluppati materiali biologici e sintetici alternativi all’osso omologo (2). Il sostituto osseo ideale Il sostituto osseo ideale dovrebbe essere osteocon- > duttivo, osteoinduttivo e osteogenico (3). La prima condizione si realizza attraverso una composizione, struttura e ultrastruttura più simile possibile a quella dell’osso spongioso umano. L’architettura tridimensionale di quest’ultimo, infatti, è caratterizzata da trabecole di materiale extracellulare che racchiudono micropori tra loro interconnessi, di dimensioni comprese tra i 200 e i 500 micron. Tale struttura permette la migrazione al proprio interno di cellule midollari, capaci di costituire un substrato vascolare e un microambiente tali Fig. 1: struttura dell’idrossiapatite di origine bovina Fig. 3: mobilizzazione intrapelvica della componente acetabolare su mesh metallica Lo studio osservazionale A partire dal gennaio 2010, presso la Clinica ortopedica e traumatologica dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti è stato avviato uno studio osservazionale relativo alla gestione dei difetti ossei nell’ambito delle revisioni di protesi d'anca. Sono stati reclutati 67 pazienti (38 femmine e 29 maschi, di età compresa tra i 68 e gli 82 anni). Per le sue caratteristiche macro e microscopiche il sostituto impiegato è stato l’idrossiapatite di origine bovina (Orthoss, Geistlich Surgery) la cui matrice ossea inorganica presenta una struttura micro e macroporosa analoga all'osso spongioso umano (fig. 1). Grazie alla struttura a pori interconnessi e all'estesa superficie interna, esso si comporta come un'ottima matrice osteoconduttiva che si integra strutturalmente all'osso circostante, venendo omogeneamente incluso nel naturale processo di rimodellamento. La sua elevata porosità facilita l'angiogenesi e la migrazione degli osteoblasti attraverso la matrice, consentendo l'accesso ai nutrienti e l'eliminazione di prodotti metabolici di scarto (8). Nello specifico, Orthoss presenta una struttura > Fig. 2: struttura bimodale dei pori di Orthoss. Questa idrossiapatite presenta una distribuzione dei pori simile a quella dell’osso naturale, sia nei macropori (**) che nei nanopori (*). Misurazione: Geistlich Pharma AG, Research Analysis Department > > da consentire la proliferazione di cellule osteogeniche, con conseguente rimodellamento e produzione di osso neoformato (5). Per osteoinduzione si intende la capacità di indurre differenziazione e proliferazione cellulare attraverso fattori di crescita. Essi agiscono su cellule mesenchimali midollari multipotenti, inducendone la differenziazione in osteoblasti maturi (6). La terza condizione, l’osteogenesi, è specifica di elementi cellulari vitali (stem cells), in grado di produrre matrice ossea (7). Vincenzo Salini Fig. 4: valutazione angio-TC > Fig. 5: gestione del bone defect con Orthoss e Burch-Schneider anti-protusio cage (fase intraoperatoria) 27 << orthoviews Review della letteratura internazionale bimodale di nano e macropori (fig. 2). I nanopori (10-20 nm), unici nel loro genere, assicurano un'ottima idrofilia e capillarità che, a loro volta, consentono una completa e spontanea penetrazione dei fluidi organici e, quindi, l'accesso dei nutrienti. I macropori (100-300 µm) consentono il passaggio degli osteoblasti attraverso la matrice facilitando la loro adesione e l'apposizione di osso neoformato. Le modalità di utilizzo prevedevano: omogeneità di applicazione, compattamento manuale mediante e uso di sangue recuperato intraoperatoriamente dal sito di intervento. La valutazione preoperatoria del bone defect è stata effettuata utilizzando la classificazione di Paprosky (fig. 3). I sostituti ossei sono stati utilizzati esclusivamente nei gradi I, IIA, IIB e IIC sul versante acetabolare e I e II sul versante femorale. Il follow up è stato eseguito a 1, 3, 6, 12 e 24 mesi dopo l’intervento chirurgico, mediante una valutazione clinica (sec. Harris Hip Score) e radiografica (9). Conclusioni In base alla nostra esperienza, tendiamo al raggiungimento immediato della stabilità primaria attraverso mezzi di sintesi e componenti protesiche tali da offrire una ridistribuzione dei carichi e un ancoraggio a una superficie ossea maggiore rispetto al difetto cavitario (10-12). Il ruolo del sostituto osseo consiste nel ripristino del bone stock depauperato attraverso un filling del difetto e successivo rimodellamento e quindi integrazione con l’osso perilesionale (fig. 4). In questo modo è possibile garantire una buona stabilità a lungo termine dell’impianto e rigenerare la maggior quantità di patrimonio osseo possibile in vista di eventuali interventi di ri-revisione. Le radiografie hanno dimostrato buoni e progressivi livelli di integrazione con crescente attività di sostituzione, riempimento e rimodellamento osseo (fig. 5). Tali segni si colgono precocemente e in maniera meglio definita in soggetti trattati con carbonato-idrossiapatite nanocristallina naturale, rispetto ai casi controllo in cui è stata utilizzata bioceramica composita di idrossiapatite sinte- > Fig. 6: controllo radiografico post-operatorio tica e collagene. Pertanto tali risultati, sebbene a medio termine, incoraggiano fortemente l’utilizzo di tale sostituto nella gestione del difetto osseo presente nel paziente candidato a revisione di protesi di anca. Bibliografia 1. Bone graft substitutes: What are the options? Dinopoulos H, Dimitriou R, Giannoudis PV. Surgeon. 2012 Aug;10(4):2309. 2. Bone grafts and bone graft substitutes in prosthetic hip surgery replacement. Vanni D, Pantalone A, Colucci C, Andreoli E, Salini V. Int J Immunopathol Pharmacol 2011 Jan-Mar;24(1 Suppl 2):51-4. 3. Effects of granule size on the osteoconductivity of bovine and synthetic hydroxyapatite: a histologic and histometric study in dogs. Carvalho AL, Faria PE, Grisi MF, Souza SL, Taba MJ, Palioto DB, Novaes AB, Fraga AF, Ozyegin LS, Oktar FN, Salata LA. J Oral Implantol 2007;33(5):267-76. 4. Trends in biomedical engineering: focus on Regenerative Medicine. Asnaghi MA, Candiani G, Farè S, Fiore GB, Petrini P, Raimondi MT, Soncini M, Mantero S. 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Ivrea e Cuorgnè, Asl Torino 4 Specialista in ortopedia e traumatologia, medicina dello sport e chirurgia della mano, si occupa prevalentemente di chirurgia dell’arto superiore Titolare insegnamento di chirurgia dell'apparato locomotore al corso di laurea infermieristica dell'Università di Torino Medico Volontario presso il Wamba Catholic Hospital in Kenia La patologia tendinea rappresenta un argomento di interesse quotidiano nella pratica ortopedica in quanto problemi a carico dei tendini possono insorgere non solo negli sportivi, ma anche nei lavoratori manuali e nella popolazione generale. Si è soliti distinguere le lesioni tendinee in acute e croniche. Queste ultime sono solitamente dovute a sovraccarico funzionale (overuse) congiuntamente a fattori predisponenti intrinseci ed estrinseci. Nel nostro lavoro ci occuperemo proprio delle lesioni tendinee croniche, determinate da ripetute sollecitazioni sottomassimali, la cui azione lesiva finisce con l’usurare la struttura tendinea, degenerandone la struttura istologica e modificandone le proprietà meccaniche. Tendinosi, tenosinoviti croniche, tendiniti inserzionali e peritendiniti, pur presentando differenze anatomopatologiche, vengono attualmente definite come tendinopatie, caratterizzate cioè da alterazioni prevalentemente di tipo degenerativo (disorganizzazione delle fibre di collagene e alterazioni della cellularità con aree di calcificazione) piuttosto che da alterazioni di tipo infiammatorio (1-3). Il fattore predisponente più rilevante delle tendinopatie croniche è probabilmente da ricercarsi nella scarsa vascolarizzazione del tessuto tendineo, che ha una capacità di guarigione molto lenta. Questo determina il prevalere di fenomeni degenerativi che comportano la perdita di resistenza del tessuto e predispongono a nuove lesioni: un circolo vizioso di difficile soluzione (4, 5). La guarigione da tale patologia non andrà dunque ricercata nella riduzione dell'infiammazione ma piuttosto nella conversione del processo degenerativo verso la rigenerazione e ristrutturazione tissutale. Al momento il trattamento di scelta iniziale per le tendinopatie è conservativo (terapie fisiche, ortesi ed esercizi eccentrici); la chirurgia è limitata ai casi non responsivi. I fattori di crescita: considerazioni biologiche L'utilizzo di infiltrazioni tendinee con plasma arricchito di piastrine o sangue autologo trova il suo razionale proprio sulla base del concetto che la tendinopatia è una patologia degenerativa e non infiammatoria. Infatti le piastrine contenute nel sangue periferico contengono all'interno dei loro granuli alfa numerose proteine bioattive (fattori di crescita) come TGF (transforming growth factor), PDGF (platelet derived growth factor), EGF (epidermal growth factor), VEGF (vascular endothelial growth factor) e IGF (insuline like growth factor) che promuovono la proliferazione, la migrazione cellulare e la sintesi delle proteine della matrice extracellulare. Inoltre alcuni fattori di crescita avrebbero un’azione chemiotattica e citogenetica in grado di attrarre macrofagi, cellule mesenchimali staminali e cellule con potenzialità angiogenetiche che nell’insieme agiscono da stimolo per la rigenerazione tissutale (6, 7). La nostra esperienza si sviluppa proprio sulla base di queste considerazioni biologiche e l’iniezione di un plasma con alta concentrazione di piastrine avrebbe proprio lo scopo di agire da innesco del processo riparativo in un tendine alterato, in cui prevalgono ormai fenomeni di degenerazione. Il plasma arricchito di piastrine autologo fu utilizzato per la prima volta durante un intervento cardiochirurgico per ridurre la necessità di trasfusioni omologhe (8). Da allora l'applicazione di Prp è stata utilizzata e documentata in molti campi della medicina: in traumatologia e ortopedia per favorire la guarigione delle fratture e delle artrodesi vertebrali (920), in odontostomatologia (21), oftalmologia (22) e nella cura delle ulcere cutanee (23, 24). La letteratura su PRP e tendinopatie Da alcuni anni il PRP è stato introdotto anche nella cura delle tendinopatie; gli studi condotti su pazienti e pubblicati in letteratura tuttavia non sono ancora numerosi. Il primo studio apparso in letteratura risale al 2004 ed è stato condotto da Barrett ed Erredge (26). Gli autori hanno utilizzato infiltrazioni di PRP sotto guida ecografica in 9 pazienti affetti da fascite plantare refrattaria ai trattamenti conservativi. A distanza di un anno, il 77,9% dei paziente non lamentava più sintomi. Per quanto a nostra conoscenza tre studi sono stati condotti sulle epicondiliti con buoni risultati. Mishra e Pavelko (2) hanno riportato uno studio casocontrollo non randomizzato condotto su 20 pazienti: a distanza di otto settimane il 60% dei pazienti trattati con PRP riportava un miglioramento dei sintomi, contro il 16% dei soggetti di controllo. A distanza di sei mesi dal trattamento solo i pazienti sottoposti a trattamento con PRP erano disponibili al controllo e nell'81% dei casi riferivano un miglioramento dei sintomi. Peerbooms (26) e colleghi hanno condotto uno studio randomizzato caso-controllo su 100 pazienti suddivisi in due gruppi, uno trattato con PRP e uno di controllo trattato con infiltrazione di corticosteroide. I pazienti sono poi stati valutati con la Vas (visual analog scale) e la scala Dash (disabilities of the arm, shoulder and hand). Un risultato di successo era stabilito se era stato ottenuto un miglioramento del 25% nella Vas e nella scala di Dash e non si era dovuto ricorrere al trattamento chirurgico. Secondo la Vas il 49% dei casi controllo aveva ottenuto il successo mentre nei casi trattati con PRP il successo era stato ottenuto nel 79% dei casi. Secondo la Dash il successo era stato ottenuto nel 51% dei casi controllo e nel 73% dei trattati con PRP. Gli autori pertanto concludevano che il trattamento con PRP superava il trattamento con corticosteroidi locali per quanto riguardava il controllo del dolore e il miglioramento del dolore, benché i risultati fossero di meno immediata osservazione. Creaney (27) e colleghi hanno invece condotto un trial randomizzato in doppio cieco, dividendo 150 pazienti > in due gruppi, uno sottoposto a due infiltrazioni con PRP e uno sottoposto a due infiltrazioni con sangue autologo. A sei mesi il gruppo del PRP mostrava il 66% di successi contro il 72% del gruppo del sangue autologo. Ma la necessità di eseguire un intervento chirurgico era del 10% nel gruppo PRP e del 20% nel gruppo sangue autologo. Gli autori concludevano che sia l'infiltrazione di PRP che di sangue autologo erano terapie efficaci di seconda scelta nel trattamento delle epicondiliti resistenti ai trattamenti conservativi. Per quanto riguarda il trattamento della tendinopatia achillea con PRP abbiamo trovato due lavori, uno favorevole e uno sfavorevole. De Vos e colleghi (28) hanno condotto un trial clinico randomizzato in doppio cieco su 54 pazienti divisi in due gruppi, uno sottoposto a infiltrazione di PRP e l’altro a infiltrazione con fisiologica. Entrambi i gruppi avevano proseguito con un programma di esercizi eccentrici. A distanza di 24 settimane entrambi i gruppi avevano migliorato il loro punteggio al Visa-A, ma non vi era alcuna differenza significativa tra i due e gli autori concludevano che il PRP non aveva maggiore efficia nel miglioramento del dolore rispetto a un’infiltrazione di soluzione fisiologica. Risultati più incoraggianti sono stati osservati da Gaweda e colleghi (29), che hanno eseguito infiltrazioni con PRP in 15 tendinopatie non inserzionali dell’achille (in 14 pazienti). I pazienti sono stati rivalutati a tre, sei e a 18 mesi sia ecograficamente che clinicamente con le scale di valutazione Aofas e Visa-A. A 18 mesi il punteggio medio della scala Aofas era incrementato significativamente passando da 55 a 96, quello della scala Visa-A da 24 a 96. Gli autori concludevano che le infiltrazioni con PRP erano un metodo di trattamento valido per il trattamento delle tendinopatie non inserzionali dell’achille. Kon e colleghi (30) hanno invece utilizzato le infiltra- Paolo Ghiggio zioni di PRP sulla tendinosi del rotuleo, il cosidetto “jumper knee” degli autori anglosassoni. Lo studio pilota è stato condotto su 20 pazienti sportivi, sottoposti a tre infiltrazioni consecutive con un intervalllo di 15 giorni. A sei mesi 6 atleti presentavano un recupero completo, 8 un marcato recupero, 2 un lieve recupero e 4 nessun miglioramento. La conclusione era che il PRP aveva permessso di ottenere risultati incoraggianti. Benchè esulino dal concetto di infiltrazione come alternativa al trattamento chirurgico è doveroso segnalare che il PRP è stato utilizzato anche nella riparazione artroscopica dei tendini della cuffia dei rotatori, con risultati discordanti, da due gruppi di lavoro italiani (31, 32). Infine citiamo un altro studio italiano di Volpi e colleghi (33) effettuato su 15 pazienti (sportivi di vario livello e di età compresa tra i 17 e i 68 anni) affetti da diverse tendinopatie croniche con differenti localizzazioni, in tutto 20 tendini: 13 rotulei, 4 achille, 1 epitroclea, 1 tibiale anteriore, 1 quadricipite. Dopo 90 giorni il punteggio nella scala Visa era significativamente migliorato da (range 21-64) a 74±17 (range 40-92). Una riduzione delle irregolarità era osservabile nell’80% dei tendini (11 casi) riesaminati con la Rmn. Dopo 24 mesi i pazienti riportavano un punteggio medio nella scala Visa di 73±16 (range 42-100). Gli autori concludevano che l’infiltrazione con PRP era un metodo valido nel trattamento delle tendinopatie croniche. Materiali e metodi Dal dicembre 2009 a settembre 2011 abbiamo trattato presso il nostro reparto 13 pazienti affetti da tendinopatie croniche. I criteri per essere sottoposti a tale trattamento erano la persistenza di sintomatologia dolorosa da almeno sei mesi, la mancata risposta ai trattamenti conservativi fisioterpici, l’aver eseguito esami stru- orthoviews mentali che confermassero la presenza di una tendinopatia cronica nel sito interessato (la maggior parte dei pazienti era già in possesso di una Rmn, gli altri sono stati sottoposti a controllo ecografico). Criteri di eslusione erano l’età superiore a 65 anni o inferiore a 18, la presenza di malattie sistemiche come artrite reumatoide o diabete e la presenza di disturbi della coagulazione o a carico delle piastrine. Tutte le procedure sono state seguite sotto il controllo di un trasfusionista che lavora presso il nostro Centro trasfusionale e previo consenso informato del paziente. Dati dei pazienti 5 pazienti erano affetti da tendinopatia dell’achilleo, 5 da tendinopatia del rotuleo, 2 presentavano epicondilite e uno fascite plantare. L’età media era di 46,7 anni (6032). 5 pazienti erano sportivi, di cui uno a livello professionistico; 6 pazienti erano lavoratori manuali e una paziente era stata sottoposta circa due anni prima a trapianto renale e aveva da poco ripreso un’attività sportiva a livello amatoriale, subito sospesa a causa del dolore. In due casi erano documentate in Rmn delle rotture parziali nella compagine tendinea, che avevano esacerbato i sintomi in un contesto di dolore cronico trattato con scarsi risultati con le abituali metodiche conservative. Tutti i pazienti affetti da tendinopatie del rotuleo e dell'achilleo erano stati sottoposti a una valutazione secondo la scala Visa, quelli affetti da epicondilite secondo la Mayo Elbow Score, quello affetto da fascite secondo la scala Aofas. Il trattamento è stato eseguito in regime di day hospital e sono stati condotti esami ematochimici prima della procedura infiltrativa. Procedura di estrazione del PRP Ad ogni paziente sono stati prelevati 55 ml di sangue periferico in una siringa da 60 ml a cui erano aggiunti 5 ml di anticoagulante (citrato di sodio). Le dosi sono dimezzate nei casi di epicondilite. Il sangue periferico è stato immedatamente sottoposto a centrifugazione con il sistema Gps II (Biomet). Infine è stata estratta la componente di plasma arricchito di piastrine (circa 6 cc per i rotulei e gli achille e 3 cc per le epicondiliti) e preparata in una siringa da infiltrazione con una piccola quantità di sodio bicarbonato, per riportare il pH a livelli fisiologici. Review della letteratura internazionale Questo passaggio attiva le piastrine e permette la loro degranulazione nel sito di infiltrazione. Tecnica di infiltrazione Alcuni minuti prima dell’infiltrazione è stata praticata una iniezione sottocutanea di anestetico locale (carbocaina 2%), quindi è stato allestito un piccolo campo sterile evidenziando l’area di maggior dolore con penna dermografica. Attraverso 2 o 3 portali cutanei sono quindi state eseguite 7-8 infiltrazioni (34 nel caso caso delle epicondiliti) di PRP con una ago da 22 Gauge. Le infiltrazioni sono state eseguite in sede intratendinea e in sede peritendinea. Dopo la rimozione dell’ago è stata applicata una semplice medicazione a piatto e il paziente è rimasto circa 1520 minuti sdraiato sul lettino operatorio, quindi riportato in reparto e dimesso dopo 2 ore. Trattamento post-infiltrativo È stato prescritto riposo per circa due giorni e sono stati sconsilgiati i Fans. In caso di dolore i pazienti hanno assunto paracetamolo e/o oppiacei. A tutti i pazienti sono state fornite precise indicazioni per un programma giornaliero di esercizi di stretching, da eseguire nei 15 giorni successivi ai due di riposo, seguiti da un un programma giornaliero di esercizi eccentrici di rinforzo. I pazienti sono stati rivalutati dopo un mese verificando la congruenza al protocollo ribilitativo e consigliando a seconda del caso una graduale ripresa dell'attività sportiva e lavorativa, eventualmente sotto controllo fisaitrico. A circa tre-quattro mesi sono stati rivalutati utilizando il questionario Visa-A e Visa-P e il Mayo Elbow Score. Risultati Tutti i pazienti si sono presentati alle visite di followup. I pazienti affetti da tendinopatia del rotuleo sono passati da un punteggio medio di 41,8 a un punteggio di 80,4. Per quanto riguarda le tendinopatie del tendine di Achille abbiamo registrato un incremento da un valore medio di 31,4 a uno di 63,8. Il punteggio medio è pertanto incrementato in modo leggermente maggiore nelle tendinopatie rotulee, ma in definitiva i risultati sono sovrapponibili. Sicuramente i risultati più eclatanti si sono ottenuti nei due pazienti (sportivi) che presentavano lesioni parziali concomitanti, in cui si è passati da punteggi molto bassi (21 e 17) a un recupero quasi completo dell'attività sportiva a circa quattro mesi. In entrambi i casi il protocollo riabilitativo si è svolto con maggiore cautela e sotto stretto controllo fisiatrico. Altro buon risultato è stato ottenuto nella paziente sottoposta a trapianto renale, tanto che dopo tre mesi si sentiva pronta a riprendere una moderata attività sportiva. I risultati meno positivi sono stati ottenuti nelle tendinopatie inserzionali, con incrementi del punteggio Visa sotto la media (soltanto di 15-20 punti), a conferma di quanto riportato in letteratura. Non abbiamo avuto effetti collaterali, tranne in due pazienti che hanno presentato un aumento di volume persistente nel sito di inserzione, ancora rilevabile a distanza di un mese, ma che si è poi risolto al controllo finale. Infine vorremmo evidenziare che i lavoratori manuali hanno ottenuto risultati massimi mediamente inferiori, in quanto il questionario Visa permette di assegnare i punteggi più elevati solo a pazienti che svolgono attività sportive. I due pazienti affetti da epicondilite sono stati valutati con il Mayo Elbow Score, erano entrambi lavoratori manuali sottoposti a sforzi ripetuti ed entrambi presentavano un punteggio iniziale di 60. A tre mesi in un paziente (antennista) abbiamo riscontrato una remissione completa dei sintomi con ripresa della normale attività lavorativa senza dolore di rilievo: il punteggio è passato dunque da 60 a 100. Nell’altro paziente (operaio metalmeccanico) invece non è stato riscontrato un miglioramento di rilievo e il punteggio è passato da 60 a 70. In particolare abbiamo osservato un lieve decremento del dolore e la possibilità di svolgere alcune attività quotidiane senza lamentare dolore, ma ha continuato ad avere forti limitazioni nell’attività lavorativa. Il paziente affetto da fascite plantare presentava un punteggio iniziale Aofas di 52. A tre mesi il punteggio era incrementato fino a 72 e il paziente era moderatamente soddisfatto dei miglioramenti. Conclusioni Ultimamente stanno trovando sempre più vasta applicazione d'impego i fattori di crescita. I concentrati paistrinici (piccole quantità di sangue arricchito di trombociti e quindi di fattori crescita) agirebbero attraendo cellule staminali nel sito d'iniezione. Non solo. Anzi nel caso delle tendinopatie sembra che il ruolo dei fattori di crescita sia quello antinfiammatorio e immunomodulatorio (34). I risultati, valutati sulla base dei sintomi riferiti e delle tecniche di imaging, sono soddisfacenti, anche se non è possible escludere che l'efficacia clinica di tale strategia (come di tutte le tecniche infiltrative) risieda nell'interruzione della vascolarizzazione patologica all'origine della sintomatologia dolorosa, piuttosto che negli effetti specifici della sostanza impiegata, cui segue una fasa infiammatoria seguita da una rigenerativa. In ogni caso in base alla nostra (seppur limitata) casistica, i risultati sono buoni in alcune patologie (tendinopatia achille e rotuleo) e meno in altre (epicondilite). La nostra esperienza pare dunque confermare i dati della letteratura che fanno di questa tecnica un sistema innovativo, che verosimilmente ha bisogno di tempo e di altre esperienze per darne una definitiva consacrazione. Bibliografia 1. Amstrom M, Rausing A. Chronic achilles tendinopathy: a survey of surgical and histopatological findings. Clin orthop 1995; 316:151. 2. 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Plateletrich plasma: new clinical application: a pilot study for the treatment of jumper's knee. Injury 2009;40:598-603 31. Randelli PS, Arrigoni P, Cabitza P, et al. Autologous platelet rich plasma for arthroscopic rotator cuff repair: a pilot study. Disabil Rehabil 2008;30:1584-1589. 32. Castricini R, Longo UG, De Benedetto M, et al. Plateletrich plasma augmentation for arthroscopic rotator cuff repair: a randomized controlled trial. Am J Sports Med 2011;39:258265. 33. Volpi P, Quaglia A, Schoenhuber H, Melegati G, Corsi MM, Banfi G, de Girolamo L. Growth factors in the management of sportinduced tendinopathies: results after 24 months from treatment. A pilot study. J Sports Med Phys Fitness 2010 Dec;50(4):494-500. 34. Cole BJ, Seroyer ST, Filardo G, Bajaj S, Fortier LA. Plateletrich plasma: where are we now and where are we going? Sports Health 2010 May;2(3):203-10. orthoviews Review della letteratura internazionale << 34 LAVORO ORIGINALE Nuovo sistema per inchiodamento di fratture inter e sotto-trocanteriche Achille Pellegrino, Gaetano Cervera Ospedale "San Giuseppe Moscati" di Aversa (Caserta) UOC di ortotraumatologia (Direttore: A. Pellegrino) L’inchiodamento endomidollare rappresenta il gold standard (1-5) nel trattamento delle fratture inter e sotto-trocanteriche (fratture 31A2 e A3 secondo la classificazione AO (6) o fratture del secondo gruppo di Evans (7). Studi biomeccanici, infatti, hanno dimostrato che l’inchiodamento endomidollare risulta più idoneo rispetto al trattamento con placca (13). Sehat (8), in un lavoro recente, ha confermato che le fratture della regione inter e sottotrocanterica sono da trattare con chiodo endomidollare, in virtù di un braccio di leva più corto, con una maggiore diminuzione della forza tensile sull’impianto e diminuzione del rischio di cedimento dell’impianto e una maggior resistenza rispetto alla vite-placca in compressione. Metodica poco invasiva, senza apertura del focolaio di frattura e con scarse perdite ematiche intraoperatorie, offre una sintesi stabile e rapidi tempi di guarigione, consentendo così una rapida mobilizzazione dell’arto operato e una veloce ripresa del carico (3, 4, 9). Al di là del device impiegato, il bloccaggio distale è considerato lo step operatorio più complesso (10-12) sia per i pazienti (30-50% del complessivo tempo chirurgico impiegato nel bloccaggio delle viti distali), sia per i chirurghi (dai 3 ai 30 minuti di esposizione alle radiazio- ni); Winqvist (10) nel 1993 lo definì l’aspetto più difficile della tecnica chirurgica. La tecnica free-hand è la più utilizzata, anche se è molto difficile da attuare e non è scevra da complicanze quali bloccaggio inadeguato, malrotazioni, indebolimento osseo dovuto a perforazioni multiple e ad errori di perforazione, che possono causare fratture secondarie (12). Altre metodi, come la Gross/Lafforgue targeting device (13) e la Granhed oblique technique (14), o recentissime tecniche computer assistite, richiedono un’alta capacità chirurgica, una curva di apprendimento molto lunga, oltrechè un allungamento dei tempi dell’intervento. > Fig. 1: controllo ampliscopico del centraggio distale con possibilità di regolare l’altezza dei perforatori > Fig. 3: donna di 71 anni. 31A3.3, controllo pre e post operatorio > Materiali e metodi Dall’aprile 2010 utilizziamo il Distal Targeting System (Dts) nel blocco delle viti distali del chiodo gamma lungo. Tale device, che permette di centrare i fori distali con precisione (15), prevede una calibrazione preoperatoria; intraoperatoriamente, dopo il tempo prossimale, si posiziona l’amplificatore di brillanza a 30° di inclinazione, possibilmente con l’arto inferiore controlaterale su sostegno ginecologico, così da avere una proiezione più vicina possibile alla corrispondenza tra fori distali e perforatori. Il Dts inoltre consente anche la possibilità di regolare con apposite rondelle l’altezza dei perforatori stessi (fig. 1). Quindi, una volta trovata la corrispon- > Fig. 2: donna di 78 anni. 31A3.3, controllo pre e post operatorio Fig. 4: uomo di 35 anni. Frattura bifocale. Controllo pre e post operatorio > Fig. 5: donna di 41 anni. Frattura bifocale. Controllo pre e post operatorio denza, si procede alla perforazione e al bloccaggio distale. Tra aprile 2010 e aprile 2011 presso la nostra UOC 27 fratture inter e sottotrocanteriche (figg. 2 e 3) e 4 bifocali di femore con una rima di frattura a livello della regione trocanterica (figg. 4 e 5) sono state stabilizzate con chiodo gamma long utilizzando il Distal Targeting System nel centramento dei fori distali. In tutti i casi il blocco distale delle viti è stato eseguito in tempi brevi, con minima esposizione alle radiazioni ionizzanti. Il tempo di esposizione alle radiazioni ionizzanti variava dagli 8 ai 26 secondi, la media era di 12 secondi; la tensione variava dagli 80 ai 100 Kvolts e la corrente da 2 a 3 mA a seconda della corporatura del paziente. Il tempo complessivo di questo step operatorio variava dai 2 minuti e 40 secondi ai 6 minuti e 20 secondi, con un tempo medio di 3 minuti e 10 secondi. Non si sono verificate mai complicanze intra-operatorie. Conclusioni La continua evoluzione e la continua ricerca di miglioramento dello strumentario hanno reso possibile eseguire osteosintesi con tecniche sempre meno invasive in un tempo medio ridotto e con un tasso di complicanze intraoperatorie notevolmente diminuito. Cardador nel 2006 (12), nel bloccaggio distale dell’inchiodamento midollare, sottolineava la necessità di cercare una soluzione che permettesse di ottenere un rapido tempo chirurgico con una minore esposizione ai raggi X. Nel 2009 Taglang (15) comparava la tecnica free-hand con il Distal Targeting System, dimostrando una notevole riduzione dell’esposizione alle radiazioni quando veniva utilizzata tale metodica. Gli autori ritengono molto valido e affidabile tale device nell’inchiodamento endomidollare con gamma long, in quanto, dopo una rapida curva di apprendimento per il chirurgo, consente un immediato e preciso centraggio dei fori distali, riduce notevolmente i tempi di procedura chirurgica e di esposizione alle radiazioni. Fondamentale per il successo della metodica è l’attento utilizzo del target-device e il corretto posizionamento dell’amplificatore di brillanza. Bibliografia 1. Curtis et Al. Proximal femoral fractures: a biomechanical study to compare intramidullary and extramidullary fixation. Injury 1944, 25, 99. 2. Heyse Moore GH et al. Treatment of intertrocantheric fractures of the femur. Comparison of the Richards screw-plate with the Jewett nail-plate. J Bone J Surg 1983; 65, 262. 3. Tencer AF et al. A biomechanical comparison of various methods of stabilization of subtrocantheric fractures of the femur. J Orthop Res 1984; 2, 297. 4. Boriani S et al. Results of the multicentric italian experience on the gamma nail: a report of 648 cases. Orthopedics 1991; 14, 1307. 5. Barquet A et al. Intertrocantheric subtrochanteric fractures: treatment with the long gamma nail. J Orthop Trauma 2000; 5, 324. 6. Muller ME et al. The comprensive classification of fracture of long bone. Heidelberg, Sprinter-Verlag 1990, 120. 7. Evans EM. Trochanteric fractures. J Bone Joint Surg 1951; 33B 192. 8. Sehat K et al. The use of the long gamma nail in proximal femoral fractures. Injury 2005 Nov;36(11):1350-4. 8. Kukla C et al. The standard Gamma nail: a critical analysis of 1000 cases. J Trauma 2001; 51, 77. 9. Winquist RA et al. Locked femoral nailing. J Am Acad Orthop Surg 1993; Nov, 1(2), 95. 10. Barrick EF. Distal locking screw insertion using a cannulated drill bit: technical note. J Orthop Trauma 1993; 7(3):248-51. 11. Cardador L et Al. Review of excisting, mounted targeting devices for distal locking of intramedullary nails. In: Kempf I, Leung KS, eds. Practice of intramedullary locked nails: scientific basis and standard techniques recommended by Aiod. Berlin Heidelberg. New York: Springer-Verlag 2006. 12. Kempf I et Al. L’apport de verrouilage dans l’enclouoger centro-midollaire des os long. Rev Chir Irthop 1978; 74, 635. 13. Granhed HP. A new tecnique of distal screw insertion for locked nail. Acta Orthop Scand 1998; 69 (3), 320. 14. Taglang G. The operative technique for the latest generation Gamma nail (the Gamma3). In: Kempf I, Leung KS, eds. Practice of intramedullary locked nails: scientific basis and standard techniques recommended by Aiod. Berlin Heidelberg. New York: Springer-Verlag 2006. 15. Yokoyama M et al. The evolution of distal targeting device for femoral fractures. Abstract from JFSR 2007, S41. 37 << orthoviews Review della letteratura internazionale LAVORO ORIGINALE Follow-up clinico e radiografico a nove anni del cotile Allofit Giuseppe Sessa, Luciano Costarella, Salvatore Gioitta Iachino, Saverio Comitini, Andrea Sessa Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele di Catania Istituto di clinica ortopedica e traumatologica (Direttore: Prof. G. Sessa) L’artroprotesi d’anca nasce nei primi decenni del XX secolo; nel 1920 Petersen sviluppa i primi disegni protesici delle coppe cefaliche e nel 1938 Marino Zuco impianta il primo cotile in lega cromo-cobalto-molibdeno (Vitallium). Il grande impulso evolutivo si ha però per merito di John Charnley che negli anni Sessanta introduce il concetto di protesi a basso attrito, grazie all’utilizzo del cemento e del polietilene. L’evoluzione scientifica offre oggi una svariata possibilità di scelta per quanto riguarda la componente acetabolare, sia in termini di materiali che di design. Modelli molto diffusi sono quelli a forma ellittica, tronco-conica ed emisferica; nell’ambito dei materiali, il titanio e il più recente tantalio rappresentano oggi la scelta più frequente. L’esperienza chirurgica e gli studi di revisione dimostrano che il cotile è il “locus minoris resistentiae” dell’impianto protesico, poiché le forze di usura e di carico a cui esso è soggetto sono di entità nettamente superiore rispetto agli stress che insistono sulle altre componenti, e dunque più frequentemente va incontro a mobilizzazione e fallimento. Le caratteristiche del cotile Allofit Il cotile Allofit nasce nel 1992 grazie all’intuizione di due studiosi austriaci, i professori Nikolaus Böhler e Wolfgang Schwagerl, che ricercavano un cotile dall’alta stabilità primaria, in grado di sfruttare tutte le opzioni tribologiche e che poteva essere adatto sia per protesi di primo impianto sia di revisione. Introdotto nel mercato nel 1994, ad oggi sono più di 300.000 gli impianti effettuati. Gli accoppiamenti tribologici che questo impianto permette sono stati sviluppati negli anni: infatti nel 1988 nasce l’accoppiamento metallometallo (Metasul), nel 1995 viene associata l’allumina (Biolox) per accoppiamenti in ceramica e infine nel 1999 il polietilene altamente reti- colato (Longevity). Allofit è un cotile non cementato, a design emisferico, ribassato polarmente di 1 mm rispetto al diametro nominale per consentire il trasferimento delle forze di carico nella zona equatoriale. È una coppa in titanio puro, ha uno spessore totale di 4 mm e presenta sulla sua superficie esterna 1200 micro cunei con forma a uncino e dimensione 1 mm. Essi hanno direzione variabile dal polo all’equatore e garantiscono una maggiore stabilità primaria riducendo i micromovimenti di leva. Inoltre, sei solchi equatoriali a direzione verticale contribuiscono a incrementare la stabilità rotazionale. Questi accorgimenti tecnici incrementano dell’80% il contatto osso-protesi. Durante la produzione, la superficie esterna del cotile subisce un processo di sabbiatura mediante getto corundico (polvere di corindone Al2O3) che garantisce un coefficiente di rugosità Ra di 5µm, favorendo ulteriormente il processo di osteointegrazione. Esistono due modelli: Allofit e Allofit/S. Quest’ultimo, in relazione alle dimensioni dell’impianto, è dotato di 5, 6 o 7 fori per l’inserimento di altrettante viti che ne aumentano la tenuta e la stabilità (vedi foto in alto). Il design della superficie interna permette inoltre il bloccaggio stabile sia degli inserti in PE sia degli inserti duri (metallo-ceramica), con una congruenza completa tra inserto e cupola nella zona equatoriale, favorendo così una distribuzione uniforme delle forze di carico e la riduzione dei processi di usura. Il cotile Allofit, per evitare l’instaurarsi della “malattia dei detriti”, che con l’innesco dell’infiammazione può portare alla mobilizzazione asettica dell’impianto, è dotato di un tappo sul fondo della cupola e tappi in corrispondenza dei fori per le viti, tutti vincolati alla struttura mediante avvitamento. Il foro polare facilita il posizionamento del cotile tramite il manico impattatore e fornisce un supporto visivo per verificare che l’impianto sia nella posizione corretta. Allofit è indicato in soggetti affetti da artrosi primaria e secondaria, in esiti di anca displasica o di necrosi avascolare. Non è particolarmente indicato l’utilizzo in caso di osso sclerotico o grave deficit di osso acetabolare. I risultati clinici Presso la Clinica ortopedica di Catania, tra il 2003 e il 2011, sono stati effettuati 385 impianti protesici con componente acetabolare Allofit. Le indicazioni sono state: 220 casi per coxartrosi primaria, 75 casi per esiti di fratture mediali del collo femore, 44 casi per displasia congenita dell'anca (Dca); il restante numero di pazienti è stato protesizzato per altre patologie a più bassa incidenza. In 150 casi per raggiungere una buona stabilità primaria è stato necessario l’inserimento di viti bicorticali, sfruttando la versione Allofit/S (holed); mentre in 235 casi è stata impiantata la versione non holed. L’età media dei pazienti (226 donne e 159 uomini) è stata di 67 anni. La via d’accesso chirurgica è stata l’antero laterale di Watson-Jones. Dei 385 soggetti operati sono stati richiamati a controllo 72 pazienti, di cui 24 maschi e 48 donne con età media di 64 anni (range 53-75); in tutte le protesi è stato utilizzato l’inserto Alpha Durasul. I cotili Allofit sono stati controllati con un follow-up medio di 5 anni (range 9-2 anni), sia da un punto di vista clinico che radiografico. Per la valutazione clinica si è optato per la scala a punti di Merlè-D’Aubignè-Postel (MDP), valutando così la sintomatologia dolorosa, la deambulazione e la motilità articolare. Per la valutazione radiografica si è utilizzata la scheda di Charnley De Lee, che prende in esame l’eventuale presenza di radiolucenze (tipo I, II e III) o aeree osteolitiche e l’usura del polietilene. I risultati clinici ottenuti con la scheda di MDP sono stati positivi: 35 casi hanno raggiunto punteggio complessivo di 11 (valutazione “ottima”), 20 casi un punteggio di 10 (valutazione “buona”) e un esito discreto in 17 casi. Le immagini radiografiche nelle due proiezioni ortogonali non hanno mostrato segni di scollamento; in 12 casi si sono evidenziate linee di radiolucenza di tipo I e II all’interfaccia ossocotile, non evolutive nel tempo e non associate a sintomatologia. I controlli radiografici intra e post operatori hanno evidenziato un’ottima stabilità primaria seguita da una buona stabilità secondaria, confermata dai controlli seriati negli anni. In nessun paziente è stata riscontrata l’usura dell’inserto. È stata inoltre constatata la corretta posizione del cotile, valutando l’angolo di inclinazione e l’angolo di antiversione (compresi nei range di 35° e 45° nel primo caso e tra 5° e 20° nel secondo caso). Non si sono registrati casi di fallimento. In conclusione, l’esperienza maturata presso la Clinica ortopedica evidenzia, attraverso il riscontro clinico e radiografico, l’ottima stabilità a distanza dell’impianto, frutto di un buon processo di osteintegrazione. Tutti i pazienti si sono ritenuti soddisfatti e la maggior parte di essi ha ripreso le consuete attività. C’è però la necessità, per poter arrivare a conclusioni finali e a un sereno giudizio prognostico, di tempi di attesa ancora più lunghi e quindi di un follow up maggiore che dia certezze definitive su questo impianto acetabolare. > Bibliografia 1. Sessa G, Costarella L, Evola FR, Pavone V. Highly crosslinked polyethylene in total hip replacement: clinical results over 10 year follow-up. J Orthopaedics and Traumatology 2010 (supp 1) vol 11:56. 2. Sessa G, Costarella L, Privitera M, D'arrigo A, Mollica Q. Cotili emisferici. Atti Sotimi. Volume LXVII. n°1-2004. 3. Schroeder K, Moehlenbruch A, Zimmermann-Stenzel M, Parsch D. Five year survival rate of the Allofit titanium press-fit cup. Orthopaede 2010 Jan; 39(1):87-91. 4. Zenz P, Stiehl JB, Knechtel H, Tizter-Hochmaier G, Schwagerl. Ten year followup of the non porous Allofit cementless acetabular component. J Bone Joint Surg Br 2009 Nov; 91(11):1443-7. CASO CLINICO Paziente di 71 anni affetto da coxartrosi primaria bilaterale. Quadro radiografico preoperatorio, controllo a 5 e a 8 anni. Protesi destra impiantata nel 2003, protesi sinistra nel 2009. > Immagine preoperatoria > Controllo a 5 anni Controllo a 9 anni della protesi destra e a 3 anni della protesi sinistra 39 << << FACTS&NEWS Nei disturbi articolari dolorosi PLUS US AMEDIAL AM EDIAL PL ™ .S\JVZHTPUHZVSMH[V*VUKYVP[PUHZVSMH[V *VSSHNLULPKYVSPaaH[V4L[PSZ\SMVUPSTL[HUV4:4 =P[HTPUH*L3*HYUP[PUHM\THYH[V Dal simulatore di volo a quello artroscopico La Società italiana di simulazione in medicina promuove l'utilizzo di tecnologie avanzate applicate a manichini per simulare ambienti e situazioni in ogni campo della medicina e chirurgia ddestrare i medici e il personale addetto ai soccorsi d'emergenza attraverso il ricorso a manichini, robot e software: questa è la prospettiva offerta dalla simulazione per addestrare i camici bianchi in modo che siano preparati ad affrontare situazioni particolari, impreviste, emergenziali o ad alto rischio. Il primo congresso nazionale in Italia su questo tema è stato organizzato a Firenze, il 18 e 19 maggio di quest'anno, dalla società scientifica Simmed, la prima associazione dedicata al sistema di addestramento interattivo. Simmed intende fornire tecniche avanzate per formare operatori sempre più qualificati: oltre ai medici, anche infermieri, fisioterapisti, volontari, addetti della Protezione Civile. Facendo pratica attraverso la simulazione, si è in grado di far fronte meglio sia alla routine sia ai casi d'emergenza. Le esperienze sui simulatori infatti possono essere ripetute fino a conseguire un elevato livello di competenza nelle manovre, evitando il contatto diretto con i pazienti e migliorando notevolmente il livello di sicurezza quando si deve passare dalla formazione specifica alla pratica clinica quotidiana sul campo. Durante il simposio tenutosi al Palaffari il pensiero non poteva non rivolgersi al tristemente noto caso di Piermario Morosini, il giocatore del Livorno calcio Pescara, dove è morto poco dopo. Il calciatore avrebbe avuto una crisi cardiaca con un arresto cardiocircolatorio. Indipendentemente dalle polemiche su presunti ritardi dell'ambulanza, è fondamentale che il personale sia pronto a far fronte a eventi nefasti improvvisi e imprevedibili, applicandosi attraverso l'uso dei simulatori. A TÀ I V O N 1 bustina al dì da 1 a 3 mesi a cicli ripetuti * adattabile alle singole necessità RAGGIUNTO! R AGGI GIUN I TO TO O! Benessere articolare RA morto durante una partita: proprio la morte improvvisa durante l'attività sportiva è una delle sofisticate simulazioni che sono state proposte dagli operatori dalla Simmed, in special modo ai medici dello sport. Morosini, 25 anni, vittima di un malore in campo (si parlò all'inizio di arresto cardiaco, poi di un difetto congenito al cuore) durante la partita di serie B tra Livorno e Pescara, si era accasciato al suolo al 31esimo minuto del primo tempo, cadendo faccia a terra, apparentemente in preda a convulsioni. I primi soccorsi sono stati immediati, così è stato detto: lo staff medico presente allo stadio ha praticato un massaggio cardiaco al giocatore, che poi è stato trasportato in ambulanza all’ospedale civile di La simulazione La macrosimulazione ricrea un ambiente pienamente attrezzato e, grazie all’utilizzo di un manichino animato in scala 1:1, in grado di simulare molteplici situazioni cliniche (pronto soccorso, reparto ospedaliero, sala operatoria, sala di emodinamica, ambiente radiologico, ambulatorio, scene in esterno su luoghi di disastri ambientali, terremoto). Questa situazione consente al discente di vivere un'ambientazione clinica totalmente sovrapponibile alla realtà. Gli operatori, le cui attività sono filmate e registrate, trattano le condizioni patologiche oggetto del corso, non solo identificando i diversi quadri patologici e predisponendone l’approccio terapeutico, ma anche coordinando le diverse figure professionali presenti sulla scena come richiesto dalla situazione contingente. Al termine della prestazione, tutto quanto accaduto durante la simulazione viene riproposto agli operatori e discusso in modo interattivo. Un software sofisticato fa sì che il manichino risponda in modo realistico agli interventi, all’evoluzione della patologia e ai farmaci. Nella micro-simulazione una piattaforma software di simulazione clinica di terza generazione (DrSim), altamente innovativa e sofisticata, consente la creazione di casi clinici in ambiente virtuale ma ad elevato realismo. La gestione del paziente virtuale avviene in modo totalmente interattivo e in tempo reale il discente assiste alla risposta fisiopatologica derivante dalle sue scelte diagnostico terapeutiche. Al termine della prestazione, il percorso diagnosticoterapeutico-assistenziale viene riproposto e tutte le scelte effettuate possono essere valutate e commentate insieme all’istruttore, fino alla condivisione di un piano d’intervento ottimale. Il software può essere utilizzato in diverse aree terapeutiche e completamente personalizzato. La fruizione dei percorsi didattici può avvenire in modalità remota (elearning) o residenziale (blended-learning) con l’assistenza di tutor d’aula. Una modalità didattica in fase di sviluppo La formula scelta dagli organizzatori del congresso ha rotto gli schemi tradizionali che caratterizza abitualmente i convegni: non le solite fitte sequenze di rela- zioni che si susseguono, bensì il connubio fra teoria e pratica attraverso sessioni in plenaria sulla teoria della simulazione e dimostrazioni pratiche durante le quali i vari sistemi hardware e software sono stati applicati a casi clinici e contesti decisionali anche imprevedibili e ad alto rischio. A spiegare la mission della simulazione è il presidente della Simmed, Gian Franco Gensini, preside della Facoltà di medicina dell'Università di Firenze: «Gli strumenti formativi ed educativi innovativi utilizzati con la simulazione sono inseriti in scenari che riproducono fedelmente le condizioni reali in cui si opera nel settore sanitario. In Italia questa attività è iniziata da qualche anno e stanno nascendo numerosi centri universitari e ospedalieri. In Toscana, ad esempio, sono attivi da anni centri di simulazione dedicati prevalentemente alla chirurgia (Centro EndoCas di Pisa creato e seguito dai professori Franco Mosca, Mauro Ferrari e dalla loro équipe), alle urgenze pediatiche (Aou Meyer), all'ortopedia (Centro di simulazione ad Arezzo) e alla medicina di emergenza-urgenza (Centro di simulazione dell'Aou Careggi di Firenze)». Ed è sempre il presidente ad illustrare la lacuna che Simmed ha voluto colmare: «Mancava una società scientifica che mettesse in contatto i vari operatori del settore per confrontare le diverse esperienze maturate». Del resto il rapido e continuo avanzamento della medicina e delle conoscenze biomediche, oltre al costante sviluppo delle tecnologie e dei modelli organizzativi, rendono sempre più difficile per il singolo operatore mantenersi aggiornato e competente. Ecco perché l'associazione scientifica intende fornire strumenti e conoscenze ad elevato contenuto scientifico e professionale, oltre che ad elevata qualificazione tecnologica, per stare sempre al passo con i tempi, come precisa il vice presidente Simmed Augusto Zaninelli. Durante il simposio la Simmed, in collaborazione con Accurate, ha offerto un defibrillatore alla Società Nuova Pallacanestro di Firenze. La Simmed ha anche ricordato due esempi che distinguono tra un buon addestramento e la sua mancanza: da un lato l'impresa del comandante pilota Chesley Sullenberger che, nel gennaio 2009 a New York, grazie all'attività continua di addestramento sui simulatori di volo, è riuscito a far ammarare sul fiume Hudson il suo Airbus in avaria, salvando tutti i 150 passeggeri; dall'altro i 32 morti della nave Costa Concordia (naufragio avvenuto il 13 gennaio 2012 a poche centinaia di metri dalla costa dell'isola del Giglio). Irene Giurovich << << CORSI E CONGRESSI 42 Al mercato della scienza vincerà (di nuovo) la qualità Una riflessione sul mondo della formazione: come difendersi da un’offerta pletorica in una professione dove la formazione è tutto? È necessario valutare indipendenza delle relazioni ed economia dell’organizzazione Se dovessimo giudicare lo stato di salute del nostro Paese dal volume d’affari che ruota intorno alla formazione ci sarebbe da dubitare che ci troviamo in una fase di recessione economica. Tra corsi, congressi, convegni, meeting, seminari e mille altre iniziative culturali sembra che i medici non abbiano altro da fare che studiare, aggiornarsi, formarsi: in una parola apprendere, con tutte le sue possibili declinazioni semantiche e didattiche. L’offerta formativa è oggi così pervasiva che ci raggiunge con ogni mezzo lecito e illecito, su ogni tipo di piattaforma: cartacea, digitale, a distanza. Quando sarà ancora possibile trascorrere una giornata di lavoro senza essere sollecitati da un invito a colmare le nostre lacune culturali? Intorno a questo fitto calendario di eventi gravitano interessi enormi e non solo di natura strettamente economica: si tratta anche di potere rappresentativo, di comunicazione globale. Ci sono le società scientifiche, così numerose da aver saturato tutti i possibili acronimi e gli ambiti di competenza. Ci sono le aziende di settore, che si stanno prepotentemente impadronendo della formazione allo scopo di veicolare contenuti finalizzati all’uti- lizzo dei loro prodotti. Ci sono anche i singoli professionisti, che approfittando di moderni e più sofisticati sistemi di recruitment rispetto alla rete di contatti tradizionale, avviano vere e proprie attività di insegnamento parallele a quella clinica. È una giungla di accordi verbali e formali, di vincoli di esclusiva e patti di non concorrenza, di aree di influenza riservate o promesse, una spartizione precisa di tematiche e platee. Molte carriere vengono costruite su questi canali con sapienti equilibri, sia all’interno delle aziende che nel mondo della professione, oramai dilatato ad altre discipline (la tecnologia, l’informatica, l’economia, il diritto, il fisco). Una volta, a scuola, la chiamavamo interdisciplinarietà, ora si chiama globalizzazione del sapere. La stessa globalizzazione che ha portato mutamenti radicali anche nel rapporto tra medico e paziente, non più fondato sul riconoscimento che il sapere sia identificabile con il professionista di fiducia, quanto piuttosto che il sapere sia parte terza rispetto al rapporto: il sapere risiede cioè nel web, nei periodici divulgativi della salute, nelle trasmissioni televisive e financo nelle comunità virtuali (moderna vox populi). Il professionista è divenuto solo un intermediario tra il sapere astratto, ma accessibile da chiunque, e il bisogno reale del paziente. Questa funzione di provider ha colpito due volte in negativo i professionisti, se si pensa, a parti invertite, al loro rapporto con le istituzioni. Nel contesto appena descritto il problema delle informazioni non è più quello di reperirle ma piuttosto quello di difendersi da esse e dalla loro pervasività, ovvero quello di poterle selezionare, vagliare e arginare, discriminando tra buono e cattivo, tra vero e falso, tra adatto e non adatto allo scopo. Per questo motivo le istituzioni, pubbliche o private, dovrebbero assolvere a un compito di guida e discernimento, prima ancora che di produzione di nuove informazioni, fungendo così da provider del sistema formazione. In tutto ciò si inserisce, come un volano, la normativa sugli accreditamenti degli eventi e l’obbligo formale in materia di educazione continua. Il sistema Ecm funge da catalizzatore di interessi già vivaci in partenza, sdoganando una volta per tutte il ciclo economico connesso, mediante l’assioma, tipicamente moderno e profondamente errato, che qualità e denaro siano intimamente legati, anche quando il prodotto si chiama cultura e non solo quando è una protesi. Come si esce da tutto ciò? Quale strada sarà in grado di ridare dignità e interesse agli eventi culturali? Quali saranno gli atteggiamenti premianti in un sistema “cultura” dominato anch’esso dalla competizione? Le risposte, ancora una volta, stanno nella qualità, magari un concetto originale di qualità, ma pur sempre qualità. In tutti i contesti dominati da eccesso di offerta e grande competizione (chiamiamoli pure “mercati” senza troppe ipocrisie!) vi sono due linee di tendenza percorribili, strategicamente opposte tra loro. Da una parte c’è chi cercherà di vendere al mercato (appunto) un prodotto a basso prezzo; anzi, a un prezzo sempre più basso per essere sempre più desiderabile dall’acquirente. Dall’altro chi, invece, punterà sulla differenziazione dei contenuti, sul loro portato innovativo e di utilità. Da una parte i congressi oramai gratuiti, a invito aziendale, sponsorizzati nelle merci esposte ma anche nei contenuti delle relazioni, con relatori a stipendio. Dall’altro congressi sostenuti interamente o quasi dalle quote di iscrizione, dall’interesse genuino e spontaneo a partecipare, sia come uditore che come relatore, con contenuti indipendenti e non sempre ossequiosi. Troppo spesso viene confuso il fine con il mezzo, la forma con la sostanza, l’organizzatore con il finanziatore più o meno occulto. Masse di persone spostate da un evento all’altro inconsapevoli del fatto che è il sistema economico a tirare le fila dei singoli movimenti. È così che il medico ha smesso di andare ai congressi, privandosi di molte opportunità di crescita e richiudendosi nell’isolamento operativo di tutti i giorni. Nella fiduciosa attesa che le istituzioni capiscano che non si gioca né con la cultura né con la scienza, il medico saprà cogliere il senso finale di questa trasformazione grossolana e irreversibile. Egli sarà in grado di elaborare in proprio degli indicatori di qualità, applicabili empiricamente agli eventi formativi che saranno davvero tali. Proviamo a dirne qualcuno? Valutiamo, per esempio, dove e quando viene applicata la semplice regola di obbligare i relatori a una dichiarazione preliminare su eventuali conflitti di interesse: molti relatori, infatti, hanno veri e propri contratti, come i cantanti o gli scrittori di best-seller (e se questo non vuol dire che siano meno bravi è una ragione in più perché ciò venga preteso). Oppure verifichiamo chi ci chiede di sostenere in proprio l’iscri- zione all’evento e chi invece fa inviti gratuiti con grande generosità: infatti è importante sapere che tipo di consenso ricerchino gli organizzatori dell’evento (il nostro o quello degli sponsor?). Ricordiamo anche che la necessità di svolgere quotidianamente la professione segna la differenza tra chi vive di congressi e chi vive di lavoro, e trae spunto dal lavoro reale per elaborare teorie e insegnamenti. Quanti relatori si sono oramai persi nella rete dei circuiti internazionali e sono in tournè forzata da anni, senza mai vedere un paziente? E ancora, per finire: la sobrietà degli ambienti e degli eventi collaterali consentono di separare chi ricerca il momento culturale e chi la mondanità congressuale. La kermesse conviviale non è inconciliabile con contenuti di alta qualità, ma quando la prima diviene la ragione principale dell’aggregazione, spesso avviene a spese della seconda, anche solo per via di una selezione progressiva dei partecipanti. Indipendenza delle relazioni, economia nella organizzazione, credibilità dei relatori: un metro di giudizio alla portata di tutti, semplice ed efficace, per dare un segno ai mercati che è ora di cambiare. G. V. 45 << << CORSI E CONGRESSI Ortopedia in 3D: didattica con le nuove tecnologie Video in 3D, ricostruiti attraverso i filmati di sala operatoria, mostreranno ai chirurghi concetti di biologia e biomeccanica della spalla. È la prima volta al mondo che si fa un uso didattico del 3D per le patologie della spalla Il prossimo congresso medico? Al cinema. È un evento insolito quello che riunirà a Roma il 24 novembre medici e fisioterapisti interessati ad approfondire alcune tra le più attuali tematiche relative al trattamento della spalla. Il titolo è “La medicina in 3D” (per informazioni: www.spalla.it) e, proprio per consentire la proiezione di filmati con modalità tridimensionale, si svolgerà allo Space Cinema, noto nella capitale perché dispone delle attrezzature più adatte per i film in tre dimensioni. Ma questa volta gli effetti speciali serviranno a scopi medici e scientifici ed è al presidente del convegno, Giovanni Di Giacomo, chirurgo ortopedico ed esperto in chirurgia della spalla, che abbiamo chiesto di illustrarci gli argomenti che verranno affrontati, per la prima volta in Europa, in 3D. Dottor Di Giacomo, il primo tema è ormai un classico in ortopedia: l’acido ialuronico. Cosa c’è di nuovo nell’utilizzo di questa sostanza? In questi ultimi anni ha trovato un largo spazio specialmente nel ginocchio, ma l’uso dell’acido ialuronico ad alto peso molecolare si sta sempre più affermando nell’anca e nella spalla. Molti colleghi lo utilizzano di routine e io lo trovo particolarmente utile nelle patologie degenerative del ginocchio prima di arrivare allo step protesico o nelle condropatie femoro-rotulee, così 3D: UNA TECNOLOGIA INNOVATIVA PER FARE FORMAZIONE L’originalità del congresso romano è che alcune parti, in modo particolare quelle dedicate alle infiltrazioni di acido ialuronico e alla instabilità di spalla, si avvalgono di filmati in 3D: si tratta di ricostruzioni al computer e di una re-live surgery. Il convegno non è indirizzato solo ai chirurghi e ai clinici ortopedici, ma anche a fisioterapisti, medici dello sport, fisiatri e medici di famiglia. Con le immagini in 3D alcuni concetti particolarmente complessi vengono resi di più facile comprensione anche per categorie non specialistiche del settore. «Il 3D ha soprattutto un valore didattico – dice il presidente del corso Giovanni Di Giacomo –. Io svolgo un’attività prettamente chirurgica e lavoro molto in artroscopia e devo dire che il 3D dal punto di vista pratico, durante l’intervento, aiuta in modo relativo. Diventa invece estremamente importante quando è impiegato in ambito didattico, universitario e non, poiché offre agli studenti la possibilità di interpretare al meglio alcuni concetti di ordine biologico, fisiologico e biomeccanico. Inoltre, il 3D permette di approfondire argomenti in tempi brevi come sono quelli congressuali e in modo estremamente efficace». La tecnologia è relativamente costosa e comporta un certo impegno tecnologico. Servono un approccio di tipo ingegneristico per ricostruire in 3D alcuni video fatti al computer e una buona organizzazione in sala operatoria, con un cameraman e telecamere specifiche. Il risultato è stato eccellente; lo dimostra il fatto che tutti i video in 3D che vedremo a Roma sono stati acquistati dai chirurghi statunitensi della American Academy of Orthopaedic Surgeons (Aaos), che ne sono rimasti affascinati e li proietteranno a Chicago durante il congresso che si terrà nel prossimo mese di marzo, il più importante evento ortopedico al mondo. R. T. come nelle artrosi glenoomerali di grado iniziale della spalla. Al congresso si parlerà soprattutto di spalla, anche perché è organizzato dal Concordia Hospital di Roma che ha una tradizione nella chirurgia di questa articolazione. Quali risultati si ottengono nel trattamento della spalla? I risultati sono veramente eccellenti se l’acido ialuronico viene associato a un buon trattamento riabilitativo e se il paziente è selezionato correttamente. L’obiettivo è tenere sotto controllo il processo degenerativo e migliorare il quadro clinico, ma alcuni colleghi usano l’acido ialuronico nella spalla anche per le tendiniti. Viene solitamente impiegato in combinazione con altri trattamenti, come la fisioterapia classica, la ginnastica posturale, lo stretching, il rinforzo muscolare, la laserterapia o la tecarterapia. In pazienti anziani con gravi difficoltà motorie lo utilizziamo soltanto a scopo antalgico, ma in genere puntiamo anche al recupero funzionale. Il ricorso alla chirurgia viene rallentato e rappresenta comunque un tentativo lecito prima di sottoporre il paziente a interventi di protesi, che anche nella peggiore delle ipotesi non crea un quadro peggiorativo. È chiaro che se il quadro clinico è importante e quello radiografico conferma un’artrosi di grado avanzato, questo trattamento è inutile e si passa direttamente all’intervento di protesi. Comunque per motivi clinici non tutti i pazienti possono affrontare il trattamento chirurgico protesico perché possono esserci malattie sistemiche che lo sconsigliano. Si parlerà poi della tecnica chirurgica di Latarjet. Per quale motivo sta riscuotendo un rinnovato interesse? È una tecnica che ha trovato un nuovo spazio in questi ultimi quattro o cinque anni perché l’artroscopia ha avuto talvolta delle percentuali di insuccesso inaccettabili nel trattamento dell’instabilità di spalla. Con questo non voglio dire che l’artroscopia non sia più valida per questa condizione patologica, ma è importante fare una corretta selezione del paziente. Nei soggetti che non hanno lesioni anatomiche complesse ma solo lesioni legamentose, l’artroscopia rimane la regina degli interventi nel trattamento dell’instabilità gleno-omerale. Ma laddove vi sia una scarsa qualità dell’apparato capsulo-legamentoso, o si abbiano dei deficit ossei sul versante omerale o scapolare, la tecnica di Latarjet trova indicazione assoluta perché gli insuccessi si misurano nell’ordine dell’uno o due per cento. Il ritorno all’utilizzo della tecnica di Latarjet ha imposto ai chirurghi di spalla di produrre qualche innovazione: noi per esempio, abbiamo creato una piccola placca di pochi millimetri che, con due viti, permette di ottenere risultati clinici migliori e tempi di recupero particolarmente rapidi; altri colleghi si stanno impegnando per eseguire questa tecnica per via artroscopica. La nostra tecnica prevede una piccola incisione di circa cinque centimetri e l’intervento ha una durata di circa 25 minuti, mentre nell’artroscopia i tempi superano ancora l’ora e mezza, per cui riteniamo più opportuno per ora esporre i nostri pazienti a un minor rischio anestesiologico. È un intervento complesso, che esige esperienza e organizzazione del gesto per non ricorrere in errori non più correggibili. La tecnica potrà essere spiegata molto bene grazie al 3D. Infine, si parlerà di protesi inversa Abbiamo invitato il professor Habermayer di Heidelberg (Germania) per discutere di questo tipo di protesi, che ha preso piede perché la protesi anatomica ha scarso successo quando la cuffia dei rotatori è lesionata o particolarmente degenerata e i pazienti lamentano non solo impotenza funzionale ma anche > Giovanni Di Giacomo, respon- sabile del reparto di chirurgia artroscopica del Concordia Hospital di Roma UNA "APP" DI INFORMAZIONE PER I PAZIENTI “Spalla” è il nome di una “app” per iphone, sviluppata da Giovanni Di Giacomo in collaborazione con la sua équipe del Concordia Hospital. Il principale destinatario è il paziente e il medico di medicina generale per facilitare la comprensione delle patologie di spalla e indicare i percorsi diagnostici appropriati. «Il messaggio – spiega il dottor Di Giacomo – è di non fermarsi a un esame ecografico o di risonanza magnetica: ecografia e risonanza magnetica non bastano per una diagnosi. Spesso accade che un’ecografia sia effettuata da una persona non specializzata; se su questa base si improvvisa una diagnosi e si invia il paziente dal fisioterapista, si rischia un trattamento improprio. La diagnosi di periartrite scapolo-omerale è ancora la più gettonata, ma non ha alcun significato». L’app vuole fornire alcune informazioni di base e i consigli migliori per intraprendere una diagnosi che dovrà essere confermata dallo specialista. R. T. importante dolore, perché non essendoci la cuffia dei rotatori, che è un depressore della testa dell’omero, questa migra verso l’arco coraco-acromiale creando un contatto anomalo. La protesi inversa è nata in Francia più di vent’anni fa e prevede una inversione dell’anatomia, cioè la glena che normalmente è concava diventa convessa mentre la testa dell’omero sul versante omerale diventa concava. Per cui, se i pazienti hanno un’artrosi importante, un buon deltoide e una cuffia che non funziona possono sottoporsi con la giusta indicazione alla protesi inversa. Anche su pazienti ultrasettantenni che hanno fratture poliframmentarie dell’estremo prossimale d’omero, invece di provare a mettere una protesi anatomica o sintetizzare con placche con viti a stabilità angolare, si darà direttamente indicazione alla protesi inversa. A differenza delle protesi d’anca e di ginocchio, i risultati clinici della protesi “anatomica” di spalla (è la protesi che ricostituisce la normale anatomia) dipendono dallo stato dei tendini – in particolare il sottoscapolare, l’infraspinato e il sovraspinoso – e noi abbiamo imparato a sostituire osso e cartilagine ma purtroppo non i tessuti molli. I risultati delle protesi inverse sono discreti o buoni, sul dolore e anche sulla funzio- nalità: il paziente riprende l’articolarità sul piano scapolare tra il 90 e i 130 gradi. Indicazione per tale intervento viene data per pazienti con spalle molto degenerate. Spesso si tratta di persone non più giovani, con disordini posturali importanti e una scadente qualità dell’osso che a volte crea qualche problematica all’impianto. Anche in questo caso la parola d’ordine è selezione del paziente: la protesi inversa funziona in modo soddisfacente quando il paziente è stato selezionato correttamente. Quanto spesso occorre affrontare degli interventi di revisione nella protesica di spalla? Le revisioni si fanno soprattutto in caso di protesi anatomiche impiantate in pazienti con scarsa o assente funzione della cuffia dei rotatori e sono relativamente frequenti, se paragonate a quelle di ginocchio e anca. Nelle protesi inverse la revisione diventa un grosso problema e si aumentano notevolmente le probabilità di insuccesso; non è certo l’opzione di routine, accade invece più spesso di lasciare la spalla senza protesi – che non è ovviamente una cosa positiva per il paziente – o di ricorrere eventualmente all’artrodesi. Renato Torlaschi 47 << << CORSI E CONGRESSI Strategie per prevenire gli infortuni nel calcio Il congresso Isokinetic 2013 di Londra si concentrerà su prevenzione e trattamento delle lesioni muscolari e tendinee nel calcio. Nel programma anche le indicazioni chirurgiche, le tecniche operatorie e la riabilitazione Il classico appuntamento con il congresso annuale di riabilitazione sportiva e traumatologia organizzato dal Centro Studi Isokinetic è in programma per il 20 e 21 aprile 2013 (www.footballmedicinestrategies.com). Come lo scorso anno, la rassegna scientifica si terrà all'estero, a Londra, all'interno del Queen Elizabeth II Conference Centre. Il tema principale del congresso, ancora una volta incentrato sulle problematiche muscolo scheletriche del calciatore, sarà "Football medicine strategies for muscle and tendon injuries" e rappresenterà ancora una volta un importante momento di confronto tra tutti gli specialisti del settore, dagli ortopedici ai medici dello sport, dai preparatori atletici ai fisioterapisti. Dopo la scorsa edizione del congresso, interamente focalizzata sull'articolazione del ginocchio, ci si concentrerà quindi su tendini e muscoli. Il programma scientifico prosegue anche nella giornata del 22 aprile, questa volta all'interno degli spazi del nuovo stadio di Wembley, quando è prevista una sessio- Dottor Della Villa, quali saranno gli argomenti più importanti trattati al congresso? Quest’anno focalizzando la nostra attenzione solo su muscoli e tendini sarà possibile approfondire argomenti molto specifici, come il complesso legame tra guarigione biologica, fattori di crescita e stimoli meccanici. Altri argomenti che verranno affrontati durante la manifestazione scientifica sono i delicati rapporti che intercorrono tra le tecniche chirurgiche e i protocolli di riabilitazione, come avviene per gli atleti operati al tendine rotuleo o al tendine d’Achille, fino ad arrivare alle correlazioni cliniche tra pubalgia e conflitto femoro-acetabolare. In quali sessioni il chirurgo ortopedico può trovare contenuti in grado di migliorare la sua pratica clinica? Il panel internazionale e l’approccio multidisciplinare apportano tanti stimoli per l’ortopedico che intende sviluppare la propria carriera nella “sport medicine” e in particolare nel mondo del calcio. In ognuna delle sessioni, previste per i diversi distretti anatomici, sono sempre analizzate sia le indicazioni chirurgiche, sia le tecniche operatorie, sia le modalità di rientro allo sport agonistico. Che tipo di aggiornamento fornirà il summit del 22 aprile? Come si svolgeranno le sessioni pratiche? I NUMERI DEL CALCIO DILETTANTISTICO IN ITALIA In Italia solo la Lega nazionale dilettanti (Lnd) organizza qualcosa come 700.000 partite l'anno per le squadre maschili iscritte dal quinto livello del calcio italiano fino all'ultimo, i campionati femminili e le manifestazioni del beach soccer e del calcio a 5. Gestisce anche l'attività di settore giovanile e scolastico. Con 70.000 squadre e 15.000 società, la Lnd rappresenta la più grande comunità sportiva in Italia. Complessivamente i tesserati sono 1.500.000: 800.000 dai 5 ai 16 anni; 500.000 oltre i 16 anni; 200.000 tra dirigenti e tecnici. ne particolare, un summit che si occuperà di valutare con attenzione le strategie di prevenzione degli infortuni. In questa riunione numerosi esperti, attraverso presentazioni orali e sessioni pratiche, mostreranno i risultati del loro lavoro quotidiano sul campo, sia in ambito professionistico che amatoriale. Il punto di partenza della discussione sarà il cambiamento nel numero, nella modalità e nella tipologia degli infortuni nel calcio a seguito dei principali cambiamenti avvenuti in questi anni, almeno a livello professionistico: dall'aumentato numero di partite giocate al sempre più frequente ricorso a terreni in erba sintetica. Tabloid di Ortopedia ha intervistato il dottor Stefano Della Villa, presidente del congresso e di Isokinetic Medical Group, centro medico di eccellenza Fifa, una realtà sempre più diffusa sul territorio capace in questi anni di guadagnare la fiducia delle maggiori società sportive italiane, a partire da quelle calcistiche, che affidano alla competenza dei centri riabilitativi i propri atleti alle prese con infortuni più o meno gravi. Aver aperto una nuova sede Isokinetic a Londra ci ha offerto l’opportunità di costruire negli anni un rapporto di stima con la Football Association, che ha sede all’interno dello stadio di Wembley. Da questa collaborazione è nato lo stimolo a portare la cultura medica del calcio anche nel mondo degli allenatori e dei preparatori atletici, che hanno la responsabilità finale di rimettere in campo gli atleti che noi medici operiamo e riabilitiamo. Le sessioni pratiche saranno tenute contemporaneamente su più campi sportivi, perché la nuova struttura di Wembley offre, a lato del cosiddetto “tempio del calcio”, una location perfetta per questa iniziativa scientifica. La medicina dello sport italiana può vantare livelli di eccellenza e gode di grande credito all'estero. In concreto però nel nostro paese trova difficoltà a svilupparsi sul territorio. Quali sono i motivi? Che ruolo ha la medicina dello sport all'estero? La medicina dello sport italiana è vista con grande rispetto all’estero. Nel mondo si parla del modello italiano come di un esempio da seguire, soprattutto per la lunga esperienza nella prevenzione delle patologie cardiache attraverso il sistema di certificazione agonistica che abbiamo nel nostro paese. Ritengo invece che molto debba essere fatto per crescere nella componente > Stefano Della Villa > Qui sopra il nuovo stadio Wembley di Londra, che ospiterà la sessione scientifica del 22 aprile sulla prevenzione degli infortuni nel calcio. Per partecipare al congresso è possibile registrarsi direttamente online al sito www.footballmedicinestrategies.com; per informazioni si può contattare telefonicamente la segreria Isokinetic allo 051.2986814 o via email scrivendo a [email protected] ortopedica e traumatologica della “sport medicine”. La strada da seguire credo che dovrà essere aumentare il numero di strutture specializzate in tal senso, come avviene per esempio da tanti anni negli Stati Uniti. Come conciliare la necessità di potenziare l'aspetto preventivo, a tutti i livelli, della medicina e le sempre più ridotte risorse economiche dei sistemi sanitari? In un’ottica di medio e lungo termine la strategia di prevenzione non solo è vincente sul piano clinico, ma anche su quello finanziario. Per realizzare questo obiettivo nel breve termine è però necessario investire risorse in strutture e persone dedicate, una scelta che per essere efficace dovrebbe essere soprattutto politica: investire oggi per risparmiare domani, più facile dirlo che farlo... Guardando al calcio di casa nostra, negli ultimi anni si può notare un forte squilibrio nel numero di infortuni muscolari tra le squadre. Napoli e Juventus hanno una bassa incidenza da almeno due anni, mentre nello stesso periodo Milan e Inter hanno avuto parecchi guai muscolari. La medicina dello sport può pog- giarsi su solide evidenze scientifiche e prevenire gli infortuni o siamo ancora lontani da questo obiettivo? Rispondere su situazioni specifiche come quelle delle squadre che ha citato non è possibile perché i dati raccolti dipendono da dinamiche che solo il medico di squadra può conoscere. In generale però le evidenze scientifiche sono molto chiare: un semplice programma di prevenzione, come l’11+ proposto dalla Fifa, mostra una riduzione del 30% degli infortuni, come dimostrato in un ampio studio dai ricercatori dell’Oslo Trauma Centre. Risultati eccellenti che si possono ottenere con venti minuti di esercizi da ripetere con costanza, sul campo da calcio, tre volte alla settimana. In Italia però è difficile implementare questi programmi perché per storiche abitudini alla maggioranza dei nostri atleti manca la costanza e la continuità necessarie. Si dovrebbe educare un sistema e partire dai settori giovanili. Per chi volesse saperne di più il programma e gli studi a cui faccio riferimento si possono trovare nel sito www.fifa.com e saranno ampiamente descritti nel corso del prossimo congresso londinese. Andrea Peren 49 << << FOCUS ON Lo sport è parte integrante della medicina riabilitativa A volte lo sport diventa una vera e propria terapia: per i diversamente abili è un passaggio importante del percorso di riabilitazione, che è sia mentale che fisico. E con tanto lavoro si può arrivare alle Paralimpiadi Oggi riconosciuta come elemento chiave del processo di recupero funzionale di individui diversamente abili, la sportterapia si è diffusa in Italia grazie ad Antonio Maglio, medico pioniere di tale approccio riabilitativo che, nel settembre del 1960, organizzò i primi giochi paralimpici a Roma. Reduce dalle Paralimpiadi 2012 di Londra, il capitano della Nazionale italiana di basket in carrozzina, Matteo Cavagnini, sottolinea come l’attività sportiva possa contribuire al raggiungimento di un soddisfacente livello di autonomia compatibile con il livello di lesione, migliorare l’autostima e promuovere il reinserimento sociale di un disabile. Tuttavia, secondo l’atleta paralimpico, nel nostro Paese dovrebbe essere maggiore lo sforzo per far conoscere le strutture sportive in cui si lavora in tal senso e per avvicinare sempre più persone allo sport, indipendentemente dal loro grado di disabilità e dalle loro capacità di raggiungere i massimi livelli. Signor Cavagnini, come si è avvicinato alla pallacanestro? In modo casuale, incontrando in un ufficio pubblico due membri della squadra di pallacanestro di Brescia che, vedendomi zoppicare, mi hanno subito coinvolto e mi hanno invitato a provare a giocare a basket. Non ho impiegato molto ad amare questo straordinario sport e la passione è aumentata man mano che mi allenavo e incominciavo a notare i miglioramenti. Anche quando non vestivo i panni dell’atleta mi sentivo meglio. Il potenziamento muscolare a seguito di allenamenti mirati mi ha infatti dato maggiore sicurezza negli atti di vita quotidiana, come sollevare e trasportare pesi, e anche una maggior fluidità di movimento. Che ruolo riveste lo sport nella vita di un disabile? Lo sport per un ragazzo disabile, così come per un atleta normodotato, è una continua opportunità. Ti consente di conoscere sempre gente nuova, fare molte amicizie. Nella mia vita ha portato tanta voglia di vivere e felicità, facendomi conoscere la ragazza che poi ho sposato. Inoltre, se visto nell’ottica dell’agonismo, lo sport è competizione, porsi obiettivi, voglia di lottare per raggiungere traguardi. In definitiva, praticare un’attività sportiva significa provare a superare i propri limiti in ogni allenamento. Cosa richiede la preparazione di una gara paralimpica? L’esperienza paralimpica è fantastica perché ti permette di vedere lo sport e la vita da un’altra angolazione. Prepararsi a questo grande evento significa fare immensi sacrifici per raggiungere il sogno di giocare contro i più forti al mondo. Il lavoro inizia almeno due anni prima, perché il primo scoglio è la qualificazione. Se si è bravi, preparati e fortunati, incomincia l’anno paralimpico. Un periodo lunghissimo, ricco di appuntamenti, raduni, tornei, mirati a far crescere la squadra man mano che si avvicina la data della partenza. Oggigiorno, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, quali internet e in particolare i social network, è molto più semplice venire a conoscenza dello sport paralimpico, ma sono convinto che i mass media possano e debbano fare ancora di più. Quali sono le basi del programma terapeutico e riabilitativo che ha seguito per il raggiungimento delle sue performance sportive? La mia società è il Santa Lucia Sport di Roma, che oltre a essere un centro d’eccellenza in quanto a riabilitazione ha impostato la sport-terapia come fase principale per il recupero sia mentale sia fisico. All’inizio degli anni Sessanta il concetto di riabilitazione, nella sua accezione moderna, era praticamente poco noto se non addirittura sconosciuto. Esisteva pochissimo in termini di risorse umane professionalizzate, metodologie e cultura. L’Istituto Santa Lucia si è fatto promotore di idee e iniziative che suscitarono già in quegli anni notevole interesse. Si è cominciato così a parlare di metodiche di rieducazione funzionale, di reinserimento sociale e lavorativo e, soprattutto, di sportterapia per gli individui diversamente abili (paraplegici, polio, amputati, ipovedenti e cognitivi). Mi sembra, quindi, importante ricordare che le tre squadre (minibasket, Serie B, e Serie A1) del Santa Lucia Sport sono sempre a disposizione per chiunque voglia provare. Si tratta di una grande opportunità, soprattutto per i bambini disabili, che non necessariamente diventeranno grandi campioni ma che possono sfruttare le proprietà riabilitative dello sport e da semplici spettatori diventare protagonisti sportivi. Lo specialista in medicina sportiva è sicuramente il primo punto di riferimento dell’atleta. Qual è l’approccio alla disabilità da parte di tale professionista rispetto al medico di medicina generale? Lo specialista in medicina dello sport conosce in modo più approfondito non solo la disabilità, ma anche le diverse condizioni che ne derivano, quali ad esempio le piaghe da decubito per un paraplegico, oppure i problemi alla schiena per un amputato. Il suo supporto è pertanto rilevante per risolvere i problemi che compaiono durante la pratica dell’attività sportiva e la cui gestione è ancora più critica nella preparazione di un appuntamento molto importante come le Paralimpiadi. La nostra Nazionale ha avuto la fortuna di frequentare il Centro di preparazione Olimpica dell’Acqua Acetosa di Roma dove, oltre a foresteria e palestra, aveva a disposizione uno staff eccezionale di medicina sportiva. Siamo stati seguiti da professionisti che, attraverso la gestione di atleti ai massimi livelli, hanno acquisito numerose competenze anche in ambito psicologico e hanno rappresentato per tutti noi atleti un vero sostegno. Sono talmente tanti i dubbi e le difficoltà che possono insorgere durante la preparazione di una gara olimpica, che è fondamentale avere a fianco qualcuno in grado di spronarti e assisterti con grande professionalità. In che misura lo staff tecnico è supportato anche da altre figure professionali? Sia nel club sia in Nazionale il lavoro dei tecnici è costantemente affiancato da figure specializzate, quali medici, fisioterapisti e preparatori atletici. > Matteo Cavagnini, capitano della Nazionale italiana di basket in carrozzina che ha da poco concluso la sua patecipazione alle Paralimpiadi di Londra 2012 Il basket in carrozzina, infatti, è uno dei pochi sport per disabili che schiera contemporaneamente in campo atleti con diversi tipi di disabilità e soprattutto differenti potenzialità fisiche. È, pertanto, un team multidisciplinare che valuta le caratteristiche e le problematiche individuali degli atleti così da definire la tempistica e l’appropriato percorso di preparazione alla gara. Il lavoro congiunto di tutti questi professionisti ci consente di scendere in campo contando sul fatto di avere una carrozzina con un’altezza dello schienale e un’inclinazione del sedile che garantiscano un assetto ottimale per sfruttare al meglio le nostre capacità motorie. Abbiamo, inoltre, la certezza di avere a fianco persone qualificate per la costante tutela della nostra salute. A fine Luglio, ad esempio, sono rimasto bloccato per un’acutissima forma di lombalgia, ma grazie al grande impegno dei fisioterapisti della Nazionale coadiuvati dai medici e dallo staff tecnico ho potuto riprendere gli allenamenti in breve tempo. Lo sviluppo di nuove metodiche riabilitative nonché di ausili tecnici sempre più sofisticati, cui si è assistito nell’ultimo decennio, quanto contribuisce al successo del lavoro dello staff tecnico e quindi dell’atleta? La mia esperienza è molto positiva: appena sono entrato nella palestra del Santa Lucia Sport ho capito che mi trovavo in un posto speciale. All’interno di questa struttura i meccanici curano fin nei minimi particolari le carrozzine che, grazie alle loro caratteristiche di stabilità, leggerezza e aerodinamicità, rendono più rapidi e sicuri gli spostamenti. Anche in ambito riabilitativo, l’utilizzo da parte del gruppo di fisioterapisti di nuove terapie fisiche, quali il “taping neuromuscolare” e la “tecarterapia”, è molto importante per risolvere situazioni posttraumatiche. Quali sono i principali rischi dello sport che pratica e come vengono gestiti? Purtroppo tutti gli sport presentano dei rischi, in particolare quelli molto fisici. Per fortuna nella pallacanestro capitano di rado episodi degni di nota. Succede di cadere e di avere contatti fisici con gli avversari, a volte anche molto violenti, ma con l’esperienza si impara a ricevere botte. L’ausilio dei medici di medicina sportiva è fondamentale per una corretta ripresa dell’attività agonistica dopo un infortunio, in tempi più o meno rapidi. Luigia Atorino 51 << << CORSI E CONGRESSI LA SINDROME FEMORO-ROTULEA A Milano, nell'aula magna dell'Istituto Ortopedico Gaetano Pini, venerdì 14 dicembre si terrà un corso teorico e pratico sulla sindrome femoro-rotulea: dall'instabilità alla protesi. «Quando si parla di ginocchio si pensa immediatamente ai legamenti crociati, ai menischi, alla cartilagine – sottolinea il dottor Massimo Berruto, presidente del corso e responsabile della Struttura dipartimentale di chirurgia articolare del ginocchio dell’Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano –. Esiste tuttavia una parte dell’articolazione del ginocchio, l’articolazione femororotulea appunto, magari meno nota e con una minore visibilità da un punto di vista mediatico, ma altrettanto importante. Se si pensa che a tale parte del ginocchio si possono far risalire più del 40 per cento di tutti i dolori che interessano questa articolazione, e che le instabilità rotulee, la tendenza cioè della rotula a sublussarsi o lussarsi, limitano in modo significativo il livello di attività, non solo sportiva, dei pazienti che ne soffrono, si può ben capire quanto sia importante per un ortopedico saper inquadrare correttamente e trattare questa patologia molto complessa». La qualità del percorso formativo è assicurato dalla grande esperienza dei chirurghi sull'argomento. Come spiega Amedeo Tropiano, direttore generale dell’Istituto Ortopedico Gaetano Pini, nell'ospedale milanese infatti la struttura di chirurgia articolare del ginocchio ha una casistica importante. Il corso, patrocinato da Siot e Sigascot, non si limiterà a questo incontro: «Il corso – spiega Berruto – fa parte di un percorso di formazione sulla femoro-rotulea, i cui successivi appuntamenti prevedono nel 2013 un corso pratico di formazione chirurgica su cadavere e un secondo corso teorico pratico che si terrà a Genova, sede operativa dell’altro organizzatore, il dottor Claudio Mazzola». «Vogliamo creare in questo modo, nell’ambito della comunità ortopedica italiana, un linguaggio comune e una metodologia omogenea nell’affrontare la patologia femoro-rotulea» spiega Mazzola, che è primario presso l’Ospedale Galliera di Genova. Il corso prevede relazioni di aggiornamento su tutte le patolo- gie più importanti che possono colpire la rotula, dall’instabilità, al dolore, dalle lesioni cartilaginee fino all’artrosi, e dei video girati in diretta mostreranno ai partecipanti tutte le principali tecniche chirurgiche, dalle più semplici alle più complesse, eseguite dai migliori chirurghi ortopedici nazionali e internazionali in questo campo. Tra i relatori ci sarà anche il noto David > Massimo Berruto Dejour, principale esponente di quella scuola lionese che ha insegnato a tutto il mondo come valutare e trattare la patologia femoro-rotulea del ginocchio, e a lui si affiancheranno i migliori chirurghi italiani in questo settore. Si parlerà ovviamente di cartilagine, con un aggiornamento su tutte le soluzioni biotecnologiche più moderne per trattare tali lesioni e di protesi mirate alla sola sostituzione dell’articolazione femoro-rotulea, un campo nuovo e molto stimolante, su cui si stanno concentrando molte risorse nel campo della ricerca e dell’ingegneria biomeccanica. Il corso sfrutterà anche le possibilità date dalle nuove frontiere della comunicazione e dei social network. Attraverso un indirizzo twitter infatti, anche i chirurghi che non si iscriveranno direttamente, potranno inviare domande ai membri della faculty durante il corso. Per informazioni Keyword Europa srl Tel. 02.54122513/79 - Fax 02.54124871 [email protected] www.gpini.it CONGRESSO GISOOS Da giovedì 29 novembre a sabato 1 dicembre si terrà a Bergamo il congresso del Gruppo italiano di studio in ortopedia dell'osteoporosi severa (Gisoos) fondato qualche anno fa dal professor Umberto Tarantino. Il titolo del congresso sarà «Le fratture da fragilità ossea nelle osteoporosi: la terapia medica e chirurgica». «Il Gisoos è un gruppo costituito esclusivamente da specialisti in ortopedia e traumatologia, con lo scopo di definire nuove linee di comportamento e di garantire un’adeguata formazione agli specialisti che più spesso si trovano a gestire la malattia osteoporotica» ci ha spiegato Tarantino. La società scientifica fin dalla sua nascita si pone anche l’obiettivo di rendere più realistici i dati epidemiologici relativi al nostro Paese, mediante una più stretta collaborazione tra le diverse divisioni di ortopedia e traumatologia di tutta Italia e una sensibilizzazione capillare che coinvolga l’intero territorio nazionale. Un approccio più consapevole a questa patologia potrà avere come risultato anche la riduzione dell’incidenza delle ri-fratture, che quasi inevitabilmente seguono al primo evento fratturativo. Per informazioni Dynamicom srl Tel. 02.89693750 [email protected] DALLE AZIENDE Migliorare la perfusione per trattare le tendinopatie Le tendinopatie sono condizioni patologiche innescate da insulti di vario genere, in gran parte dei casi di origine meccanica, come traumi diretti o accumulo di microlesioni. La causa principale delle tendinopatie è il sovraccarico funzionale che provoca spesso una ridotta perfusione ematica del tendine. Nell’ambito di una ridotta perfusione sanguigna, l’ossido nitrico (NO) gioca un ruolo chiave nel migliorare il flusso ematico locale, agevolare l’apporto di ossigeno e nutrienti, favorire i processi di guarigione tissutale. Tenosan (Agave Farmaceutici) permette di migliorare la perfusione ematica del tendine grazie all’aumento della produzione di ossido nitrico da parte delle cellule endoteliali. Gli attivi che mediano questo processo sono l’Arginina L-alfa Chetoglutarato, precursore dell’ossido nitrico, e il Vinitrox che, con l’azione diretta sull’enzima ossido nitrico sintetasi endoteliale, aumenta il rilascio di ossido nitrico in circolo, con il conseguente aumento della perfusione sanguigna dei tendini. Ma nel quadro fisiopatologico delle tendinopatie non si può prescindere dall’infiammazione, che è possibile contrastare grazie all’impiego del Metilsulfonilmetano (MSM), zolfo organico che migliora la permeabilità cellulare e favorisce l’eliminazione dei cataboliti infiammatori, riducendo flogosi e dolore. Ad ogni processo infiammatorio, poi, consegue inesorabilmente la formazione di edema, che può comprimere i vasi e ridurre la perfusione; la bromelina previene la formazione dell’edema e riduce il decorso di quello già formato. Infine, è fondamentale l’apporto di Collagene di tipo I con spiccato tropismo per il tendine. Il Collagene di tipo I, nella forma idrolizzata presente in Tenosan, stimola la sintesi di collagene endogeno, migliora il trofismo e aumenta la resistenza e l’elasticità del tendine. Tenosan, un’associazione di Arginina L-alfa Chetoglutarato, Vinitrox, MSM, Bromelina e Collagene di tipo I, è indicato in tutti i casi di sovraccarico funzionale dei tendini, di microtraumi tendinei da lavoro e sport, nel periodo post-operatorio (in particolare durante la fase di immobilità) e nella fase riabilitativa. Il trattamento prevede la somministrazione di due bustine al giorno – una al mattino e una alla sera – per due mesi a cicli ripetibili nel corso dell’anno. CONVEGNO DI TRAUMATOLOGIA CLINICA E FORENSE Venerdì 23 e sabato 24 novembre a Salsomaggiore Terme, presso le Terme Zoja, si terrà il terzo convegno di traumatologia clinica e forense. A presiedere i lavori saranno Giuseppe Dell'Osso, Fabio M. Donelli e Giorgio Varacca. Il congresso si concentrerà sul tema delle complicanze in ortopedia, passando dalle problematiche cliniche alle considerazioni medico-legali. «Le complicanze in ortopedia e traumatologia sono di particolare attualità in quanto la responsabilità professionale ha assunto un rilievo sempre maggiore dal punto di vista giuridico – riassumono bene i presidenti del congresso –. Infatti il diverso modo di percepire il concetto di salute da parte del cittadino, la sempre più invadente pressione mediatica e il prospettare di ottime soluzioni diagnostiche e terapeutiche da parte dello stesso personale medico, ha portato a un aumento esponenziale delle denunce e delle richieste di risarcimento in ambito ortopedico». Gli stessi chirurghi sottolineano come è allo stesso tempo necessario tenere presente che in ortopedia e traumatologia il rischio clinico è alto dovendosi operare sugli arti e sull’apparato locomotore, con problematiche anatomo-cliniche che potrebbero provocare limitazioni funzionali. A maggior ragione allora la condotta terapeutica dovrà essere attenta e diligente, dal planning pre-operatorio al decorso post-chirurgico, e altrettanto nella > Fabio Donelli verifica del risultato, che dovrà essere oggettivamente documentato. Non solo. Il moderno approccio chirurgico multidisciplinare ha come obiettivo di prevenire l’insorgenza delle complicanze nell’approccio pre-operatorio, riconoscendo l’eventuale presenza di condizioni clinico-patologiche che potrebbero rappresentare contro-indicazioni all’intervento proposto. «Fra le complicanze dovranno essere tenute in considerazione la tromboembolia e le complicanze settiche. In questa tipologia, la prevenzione assume particolare importanza e la diagnosi precisa e il trattamento adeguato potranno essere determinanti nella risoluzione del caso» sottolinea Fabio M. Donelli, uno dei presidenti del congresso. All'interno della riunione scientifica è stato organizzato il corso di aggiornamento “Dalla riabilitazione al gesto sportivo”, con la partecipazione di medici sportivi e di riabilitatori esperti, il corso “La riabilitazione del giovane anziano”, che tratterà della prevenzione e delle problematiche posturali post-chirurgiche e un workshop sulle patologie e sulla gestione nutrizionale e riabilitativa negli sport da fatica. Nella giornata di venerdì è previsto anche un importante corso di formazione patrocinato dalla Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot) sulla chirurgia mininvasiva dell'anca, tenuto dal professor Marco d'Imporzano. Il congresso proseguirà il sabato, giornata interamente dedicata agli aspetti medico-legali e caratterizzata dalla partecipazione di rappresentanti della Siot e della Sismla. La prima sessione avrà come tema “L’identificazione del rapporto di causalità” e saranno trattati argomenti quali la responsabilità del paziente e della ditta fornitrice dello strumentario chirurgico. Nella seconda sessione, “La valutazione del danno e il contenzioso”, si parlerà dell’identificazione delle aree grigie causalmente riconducibili e il risvolto assicurativo della responsabilità medica. A seguire si discuterà di risarcimento in sede di mediazione, di responsabilità penale e dei recenti orientamenti giurisprudenziali. Per informazioni Keyword Europa Tel. 02.54122513 Fax 02.54124871 [email protected] www.keywordeuropa.com 53 << << XI CONGRESSO SICOST Venerdì 23 e sabato 24 novembre si terrà a Pisa l'undicesimo congresso della Società italiana chirurgia dell'osteoporosi (Sicost), fondata dieci anni fa dal compianto professor N. Marchetti, al quale è dedicata questa edizione del congresso. «Per quanto riguarda i temi congressuali ho voluto riprendere gli argomenti che erano stati presentati in occasione del primo con- > Giulio Guido gresso nazionale della Sicost, che si svolse a Venezia nell'ottobre del 2002, per vedere quali evoluzioni e quali progressi ci siano stati in questi dieci anni nella fisiopatologia, diagnosi e trattamento medico e chirurgico dell'osteoporosi» ci ha spiegato il professor Giulio Guido, presidente del congresso e direttore della II Unità operativa di ortopedia e traumatologia dell'Azienda ospedaliero-universitaria Pisana. Dopo aver "ripassato" la fisiopatologia dell'osteoporosi e fatto il punto sull'epidemiologia ad oggi, verranno ricordati i fondamentali approcci diagnostici e i criteri della diagnosi differenziale. Si parlerà poi di osteoporosi giovanile, dell'uso clinico della vitamina D e dei farmaci antifratturativi. Dopo aver preso in considerazione anche le complicanze della terapia medica, si analizzerà il contributo della riabilitazione nella prevenzione e trattamento dell'osteoporosi e l'uso della stimolazione biofisica nel dolore cronico. Il programma scientifico prevede anche un'interessante tavola rotonda sulle fratture mediali dell’epifisi prossimale del femore, che porterà a distinguere i criteri che portano alle diverse scelte terapeutiche: quando protesizzare, quando ricorrere all'endoprotesi, quando al chiodo e quando alla placca. «Credo che questo incontro possa costituire un'importante occasione di scambio di conoscenze scientifiche e professionali su un argomento che negli ultimi anni ha ottenuto l'importanza che merita, specie nell'ambito dell'ortopedia e traumatologia» ha concluso Giulio Guido, che è anche direttore della Scuola di specializzazione in ortopedia e traumatologia dell'Università di Pisa. Per informazioni Caracciolo eventi Tel. 050.3143148 [email protected] www.sicost2012.it CORSI E CONGRESSI MASTERCLASS SIGASCOT CONGRESSO DI SU PROTESICA DEL GINOCCHIO TRAUMATOLOGIA PEDIATRICA Venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembe a Firenze si terrà il Masterclass Complex Primery and Revision Total Knee Arthroplasty: un incontro di live surgery sul trattamento di casi complessi in chirurgia protesica del ginocchio organizzato da Sigascot con il patrocinio di Siot. L’intervento di protesi totale eseguito per patologia degenerativa del ginocchio ha raggiunto un elevato livello di diffusione e riproducibilità tecnica e di risultati. La risoluzione di deformità moderate con l’intervento di artroprotesi è una pratica oramai disponibile nell’armamentario di ogni ortopedico. «Numerosi e dettagliati testi, monografie e materiale video hanno reso possibile la diffusione della conoscenza nel settore su vasta scala. Restano però da divulgare le metodiche di gestione delle deformità più gravi e impegnative, tra cui anche quelle di revisione di impianti falliti» spiegano i due direttori del Masterclass Andrea Baldini (direttore di ortopedia alla Clinica Humanitas di Milano) e Francesco Giron (Sod di traumatologia e ortopedia generale dell'azienda ospedaliero universitaria Careggi). L’evento ha insomma la finalità di approfondire ogni tema che riguardi la protesica di ginocchio nei casi complessi e nelle revisioni e si avvarrà di relatori con riconosciuta esperienza nei vari argomenti presi in esame. «Tutti gli aspetti verranno presi in considerazione ponendo però in primo piano quanto è generalmente accettato e acquisito e facendo il punto delle nuove tecniche e tecnologie a disposizione per migliorare ulteriormente i risultati clinici – sottolinea Paolo Adravanti, presidente del Masterclass –. I principali obiettivi di questo evento sono, quindi, di trasmettere ai partecipanti le più recenti e affermate opzioni diagnostiche e terapeutiche nel trattamento dei casi di grave patologia degenerativa del ginocchio e di riprotesizzazione per fallimento meccanico o settico dell’impianto, consentendo all’uditore di apprendere tutto ciò che di più recente esiste sull’argomento» ha concluso Adravanti, che è responsabile del reparto di ortopedia della Casa di cura Città di Parma. In particolare verranno approfonditi i temi della biomeccanica della protesi, i biomateriali, le indicazioni all’intervento, le novità in tema di tecnica chirurgica, la correzioni di gravi deformità, e le riprotesizzazioni. I massimi esperti nazionali – un panel davvero di alto livello – interverranno con relazioni e lezioni magistrali sui vari argomenti. Gli stessi esperti eseguiranno anche interventi, che saranno trasmessi in diretta, e presenteranno filmati di interventi esemplari, commentando insieme agli uditori i gesti chirurgici eseguiti. Per informazioni Nico Congressi Tel. 055.8797796 - Fax 055.8797843 [email protected] www.nicocongressi.it - www.sigascot.com IL PAZIENTE ANZIANO CON FRATTURE DA FRAGILITÀ Sabato 26 gennaio 2013 a Milano, presso il Palazzo delle Stelline, si terrà il convegno dal titolo “La gestione del paziente anziano con frattura da fragilità: problematiche chirurgiche, cliniche e considerazioni medico legali”. Nella gestione del paziente anziano affetto da osteoporosi la frattura del femore rappresenta la problematica clinica più rilevante sia per lo specialista ortopedico, che si trova ad agire per primo in urgenza, sia per gli altri specialisti e per il medico curante che prendono in carico successivamente il paziente. Il trattamento ortopedico delle fratture da fragilità è necessario e tecnicamente consolidato nella pratica chirurgica, ma ciò nonostante mortalità e invalidità sono ancora elevate nel paziente anziano, in particolare per le fratture di femore. «Alcune problematiche ortopediche sono tuttora dibattute, come ad esempio l'indicazione alla vertebroplastica del paziente anziano e le problematiche annesse alla protesizzazione delle fatture femorali e omerali – spiegano Fabio Maria Donelli e Fabio Massimo Ulivieri, presidenti del convegno –. Anche la terapia farmacologica di prevenzione e trattamento dell'osteoporosi nell'anziano richiede un dibattito ad hoc, sia per le terapie innovative all'orizzonte, sia per le specificità che contraddistinguono la gestione del paziente anziano con fratture da fragilità. Scarsa aderenza alle terapie croniche e condizioni di ipovitaminosi D sono alcune delle principali cause che inficiano l'effetto antin- fiammatorio dei farmaci per osteoporosi - sottolineano i due chirurghi -. Una particolare attenzione va posta inoltre all'effetto dei farmaci antinfiammatori sulla guarigione della frattura e sul riassorbimento osseo periprotesico». Non da ultimo, i chirurghi si trovano a confrontarsi con sempre più numerose problematiche medico-legali connesse ai loro atti medici e chirurgici e, in particolare, con quella relativa al consenso informato per terapie innovative o sperimentali, che assume rilievo specifico nell'anziano, gravato spesso da patologie cognitive. Anche di questo si parlerà al convegno di Milano, durante il quale «sarà simulato un caso di contenzioso con l'obiettivo di identificare il rapporto di causalità fra una patologia lamentata e la terapia eseguita, con valutazione dell'eventuale danno subito» spiegano gli organizzatori. L’obiettivo dell’incontro scientifico sarà quello di attivare un confronto multidisciplinare su queste problematiche. «La condivisione di un percorso comune di gestione del paziente anziano con frattura da fragilità – sottolineano Donelli e Ulivieri – è auspicabile per una ottimizzazione degli interventi sanitari». Per informazioni VTB Congressi Tel. 02.57506065 - Fax 02.57791204 [email protected] A Torino, presso il centro congressi Torino Incontra, da giovedì 24 a sabato 26 gennaio si ripete l'appuntamento con il congresso di traumatologia pediatrica, giunto ormai alla sua quinta edizione. Una manifestazione che non è espressione di una società scientifica ma è il frutto del lavoro delle persone che operano in un unico dipartimento ospedaliero: il reparto di ortopedia pediatrica dell'Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino. Il primario, Antonio Andreacchio, è > Antonio Andreacchio stato affiancato – come nelle attività di tutti i giorni – da Matteo Paonessa e Lorenza Marengo, arrivando a definire un programma scientifico di alto livello, ancora una volta premiato e riconosciuto da Sitop (la Società italiana di ortopedia e traumatologia pediatrica) e Siot, che hanno concesso il loro patrocinio. A spiegarci bene l'obiettivo didattico della manifestazione scientifica è proprio il dottor Andreacchio: «il nostro scopo è quello di offrire ai colleghi ortopedici che operano in ospedali generali e che curano soprattutto gli adulti, quegli strumenti atti a fornire ai loro piccoli pazienti le cure più adeguate, dando loro un congresso che sia praticamente utile per “ripassare” vecchi concetti e “imparare” moderni orientamenti del trattamento delle fratture in età pediatrica». Tra gli ospiti internazionali ci saranno il professor Pierre Lascombes, ideatore del metodo dell’inchiodamento endomidollare elastico in età pediatrica; il professor Thomas Wirth, che è succeduto da qualche anno al celeberrimo professor Parsh alla guida del reparto di ortopedia pediatrica dell’Olga Hospital di Stoccarda; il dottor Vincenzo De Rosa, italiano che vive all'estero da oltre vent'anni e che oggi dirige l’unità di ortopedia pediatrica dell’Ospedale di Bellinzona, nel Canton Ticino. Per informazioni Selene srl Tel. 011.7499601 - Fax 011.7499576 [email protected] www.seleneweb.com SIGASCOT: PAOLO ADRAVANTI ELETTO ALLA PRESIDENZA Durante l’assemblea generale dei soci Sigascot che si è svolta giovedì 11 ottobre a Napoli durante il congresso nazionale, Paolo Adravanti è stato nominato presidente della società scientifica per il biennio 2012-2014. Adravanti, che è responsabile del reparto di ortopedia della Casa di cura Città di Parma, è uno dei nostri migliori chirurghi del ginocchio, soprattutto per quanto riguarda la tecnica artroscopica, ed è molto apprezzato anche all’estero. A supportarlo nelle numerose attività di Sigascot ci > Paolo Adravanti saranno i componenti del consiglio direttivo: Andrea Baldini, Giuseppe Milano, Luigi Pederzini, Pietro Randelli, Stefano Zaffagnini, Claudio Zorzi e tutti i presidenti dei vari comitati. << << CORSI E CONGRESSI 54 L’ A g e n d a d e l l ’ O r t o p e d i c o 2012 21-24 novembre XLIX congresso Società italiana di reumatologia Milano, MiCo Segreteria Organizzativa: AIM Group International Tel. 02.56601.1 - Fax 02.56609045 [email protected] - www.congressosir2012.com 23-24 novembre Convegno di traumatologia clinica e forense Le complicanze in ortopedia e traumatologia Salsomaggiore Terme (PR), Terme Zoja Segreteria Organizzativa: Keyword Europa Tel. 02.54122513 - Fax 02.54124871 [email protected] - www.keywordeuropa.com 23-25 novembre XI Congresso Nazionale della Società Italiana di Chirurgia dell'Osteoporosi (SICOST) L'osteoporosi dieci anni dopo: che cosa è cambiato Pisa, Parco di San Rossore - Sala Giovanni Gronchi Segreteria Organizzativa: Caracciolo Eventi Cell. 346.5415119 - [email protected] www.sicost2012.it 24 novembre XI Congresso regionale SVOTO La chirurgia di revisione protesica di anca oggi Verona Segreteria Organizzativa: Ad Arte srl Tel. 051.19936160 - Fax 051.19936700 [email protected] Tabloid di Ortopedia Anno VII - numero 7 - novembre 2012 Mensile di informazione, cultura, attualità Direttore responsabile Paolo Pegoraro [email protected] Redazione Andrea Peren [email protected] Segreteria di redazione e traffico Maria Camillo [email protected] Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 Grafica e impaginazione Minù Art • boutique creativa - www.minuart.it Hanno collaborato in questo numero: Luigia Atorino, Giorgio Castellazzi, Irene Giurovich, Claudia Grisanti, Domenico Lombardini, Monica Oldani, Renato Torlaschi PUBBLICITÀ Direttore commerciale Giuseppe Roccucci [email protected] Vendite Stefania Bianchi [email protected] Sergio Hefti (Agente) [email protected] Manuela Pavan (Agente) [email protected] Fabrizio Rasori (Agente) [email protected] Nadia Santini (Agente) [email protected] TIRATURA DI QUESTO NUMERO: 8.000 copie EDITORE: Griffin srl P.zza Castello 5/E - 22060 Carimate (Co) Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 www.griffineditore.it - [email protected] www.dentaljournal.it - [email protected] TESTATA ASSOCIATA L’Editore dichiara di accettare, senza riserve, il Codice di autodisciplina pubblicitaria. Dichiara altresì di accettare la competenza e le decisioni del Comitato di controllo e del Giurì dell’autodisciplina pubblicitaria, anche in ordine alla loro eventuale pubblicazione. Stampa Reggiani spa - Divisione Arti Grafiche Via Alighieri, 50 - Brezzo di Bedero (VA) Tabloid di Ortopedia, periodico mensile - Copyright© Griffin srl Registrazione del Tribunale di Como N. 17/06 del 26.10.2006 Iscrizione Registro degli operatori di comunicazione N. 14370 del 31.07.2006 Tutti gli articoli pubblicati su Tabloid di Ortopedia sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. La pubblicazione o ristampa degli articoli della rivista deve essere autorizzata per iscritto dall’Editore. Ai sensi della legge in vigore, i dati dei lettori saranno trattati sia manualmente sia con strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dalla legge. 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Maccarrone - Auditorium Segreteria Organizzativa: Istituto Duchenne Tel. e Fax 055.4360774 - [email protected] 29 novembre-1 dicembre Congresso del Gruppo Italiano di Studio in Ortopedia dell'Osteoporosi Severa (GISOOS) Le fratture da fragilità nelle osteoporosi primitive e secondarie: la terapia medica e chirurgica Bergamo Segreteria Organizzativa: Dynamicom srl Tel. 02.89693770 - Fax 02.201176 - [email protected] 30 novembre-1 dicembre Master Class Sigascot: Chirurgia protesica di ginocchio primaria complessa e di revisione Firenze, CTO Aula Scaglietti Segreteria Organizzativa: Nico Congressi Tel. 055.8797796 - [email protected] 30 novembre - 1 dicembre Corso nazionale SIMFER Tecnologie per promuovere attività e partecipazione Prato, Hotel Datini Segreteria Organizzativa: MediK Tel. 049.8170700 - Fax 049.2106351 [email protected] - www.simfer.it - www.medik.net 1 dicembre Congresso regionale ASOTO Le fratture del ginocchio Acicastello (Catania), Sheraton Catania Hotel Segreteria Organizzativa: Fininvest Congressi, Tel. 095.383412 - Fax 095.370419 [email protected] [email protected] 1 dicembre Congresso Regionale SOTOP Infezioni osteoarticolari Vercelli Segreteria Organizzativa: Il Melograno Servizi Tel. 011.505730 - [email protected] 3-5 dicembre 11° Corso di aggiornamento sulla chirurgia protesica dell’arto inferiore Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli Segreteria Organizzativa: Symposia Organizzazione Eventi srl Tel. 0584.430402 - [email protected] 10-12 dicembre 11° Corso di aggiornamento sulla chirurgia protesica dell’arto inferiore Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli Segreteria Organizzativa: Symposia Eventi srl Tel. 0584.430402 - [email protected] 13-15 dicembre VII Congresso OrtoMed Firenze, Palazzo degli Affari Segreteria Organizzativa: Regia Congressi srl Tel. 055.795421 - Fax 055.7954280 - [email protected] 14 dicembre Corso teorico pratico Femoro-rotulea: dall'instabilità alla protesi Milano, Istituto Ortopedico G. Pini Segreteria Organizzativa: Keyword Europa srl Tel. 02.54122513/79 - [email protected] 14 dicembre Congresso regionale ACOTO Fratture da fragilità. Mininvasività in ortopedia Napoli Segreteria Organizzativa: Ble group srl Tel. 0823.301653/361086 - Fax 0823.363828 www.ble-group.com 15 dicembre XV Congresso regionale SLOTO Le pseudoartrosi Milano Segreteria Organizzativa: Keyword Europa srl Tel. 02.54122513 - [email protected] 2013 14-16 gennaio 1st European Congress Defining a reconstruction ladder for the treatment of musculoskeletal conditions using regenerative approaches: a consensus conference. 1 Bone. 2 Cartilage. 3 Soft tissues Milano, Aula Magna Università degli Studi di Milano Segreteria Organizzativa: Keyword Europa srl Tel. 02.54122513 - Fax 02.54124871 [email protected] - www.estrot2013.eu 24-26 gennaio 5° Congresso di Traumatologia Pediatrica Torino, Ospedale Infantile Regina Margherita Segreteria Organizzativa: Selene Eventi e Congressi Tel. 011.7499601 - Fax 011.7499576 [email protected] 26 gennaio La gestione del paziente anziano con frattura da fragilità: problematiche chirurgiche, cliniche e considerazioni medico legali Milano, Palazzo delle Stelline Segreteria Organizzativa: VTB Congressi Tel. 02.57506065 - [email protected] 8 febbraio La patologia del ginocchio nell’età dell’accrescimento Padova, Crowne Plaza Conference Center Segreteria Organizzativa: MV Congressi Tel. 0521.290191 - Fax 0521.291314 [email protected] - www.mvcongressi.it 15 febbraio Corso Rome Elbow 2013 Protesi di gomito: stato dell'arte Roma, Università La Sapienza Segreteria Organizzativa: Zeroseicongressi srl Tel. 06.8416681 - Fax 06.85352882 [email protected] 21-22 febbraio 5° Congresso dell'Accademia Universitaria di Ortopedia e Traumatologia Ancona, Clinica Ortopedica A.O.U. Ospedali Riuniti Segreteria Organizzativa: Congredior Tel. 071.2071411 - Fax 071.2075629 [email protected] 23 febbraio Artroscopia gomito e polso nella traumatologia. Passato, presente e futuro Milano Segreteria Organizzativa: Segreteria SIA Tel. 051.380748 - Fax 051.3764173 [email protected] 18-20 marzo Giornate di aggiornamento multiprofessionale VII corso teorico-pratico Riabilitazione, una scienza in cammino: il nuovo in medicina fisica e riabilitativa La Villa (BZ) Segreteria Organizzativa: Medi K srl Tel. 06.48913318 - Fax 06.89280089 [email protected] www.simfer.it ORTORISPOSTA RISPOSTA AL QUESITO DIAGNOSTICO La diagnosi esatta è cisti semplice del calcagno. Infatti: u In questa lesione, non vi sono livelli fluido-fluido, come accade invece nelle cisti aneurismatiche; solo dopo frattura vi possono essere livelli fluido-fluido nella cisti ossea semplice. u Nei tumori giganto-cellulari la densità tipica è quella dei tessuti molli, mentre nelle cisti è liquida. u Il segnale in T1 non è iperintenso, nè vi è calcificazione centrale, reperti tipici per lipoma. 1-2 capsule al giorno preferibilmente in unica somministrazione