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Review della letteratura internazionale
CHIRURGIA PROTESICA
Infarto dopo artroplastica:
è un rischio concreto?
Un aumento del rischio di
infarto del miocardio come
complicanza perioperatoria
di interventi di chirurgia
maggiore non cardiologica è
ampiamente descritto in letteratura.
La chirurgia ortopedica è
tipicamente gravata da un
alto rischio cardiovascolare,
come conseguenza delle
possibili complicanze trombo-emboliche, che riguardano buona parte degli interventi ma in particolare quelli che implicano l'invasione
di un canale midollare osseo,
come le sostituzioni protesiche di anca e di ginocchio.
Episodi di infarto miocardico acuto nell'immediato
postoperatorio di questi
interventi sono stati riportati in numerosi lavori, con
tassi di incidenza variabili,
dallo 0,1 fino all’1,8%, a
seconda della durata dei follow up.
La più recente indagine sull’argomento è uno studio di
coorte retrospettivo esteso
all'intera popolazione danese per un periodo di osservazione di dieci anni (gennaio
1998-dicembre 2007), studio
che è stato condotto in collaborazione dalle università
olandesi di Utrecht e di
Maastricht, dall'università
danese di Aarhus e dalla britannica
Università
di
Southampton.
Ciò che questa ricerca
aggiunge al dato già noto è
una più precisa caratterizzazione del rischio cardiovascolare associato alle artroprotesi di anca e di ginocchio, che per la prima volta è
stato confrontato con quello
di soggetti non sottoposti a
chirurgia (nella misura di tre
controlli comparabili per età
e sesso per ogni paziente
operato), valutato in un follow up di lungo periodo
(protratto fino all'eventuale
episodio di infarto miocardico o decesso o, in assenza
di tali eventi, fino alla fine
del periodo di osservazione),
e quantificato rispetto ad
alcuni fattori di confondimento, come eventuali pregressi disturbi cardiovascolari (infarto, insufficienza
cardiaca, ictus) o l'assunzione nei sei mesi precedenti
l'intervento di farmaci che
possono interferire con la
coagulazione o con i parametri cardiovascolari (antiaritmici, antianginosi, antitrombotici, antipertensivi,
ipolipemizzanti, ipoglicemizzanti, Fans).
I risultati, emersi da un campione totale di oltre 95.000
pazienti sottoposti ad artroplastica totale di anca
(66.524) o di ginocchio
(28.703), hanno confermato
l'esistenza di un aumento
significativo del rischio
postoperatorio di infarto
miocardico acuto, che nelle
prime due settimane ha
superato quello dei soggetti
di controllo di 25 volte nell'intervento sull'anca e di 31
volte nell'intervento sul
ginocchio. Questo aumentato rischio è rimasto però alto
nelle settimane successive
(fino alla sesta settimana
compresa) solo nei pazienti
con artroprotesi dell'anca.
Calcolato su un periodo
postoperatorio di sei settimane, il rischio assoluto è
risultato, infatti, pari a 0,51%
nelle artroprotesi di anca e
pari a 0,21% in quelle di
ginocchio.
Confrontato inoltre, in
un'analisi di sensitività su un
sottogruppo di controlli sottoposti a un altro tipo di chirurgia elettiva (intervento di
ernioplastica), il rischio cardiovascolare associato ad
artroprotesi di anca e ginocchio nelle prime due settimane postoperatorie è rimasto significativamente più
alto.
Per quanto riguarda le variabili considerate nell'analisi,
l'aumento del rischio di
infarto è stato condizionato
soprattutto dall'età dei soggetti, essendo massimo dopo
gli 80 anni e invece praticamente non rilevabile prima
dei 60 anni, e dalla presenza
nella storia clinica dei
pazienti di precedenti cardiovascolari, in misura
inversamente proporzionale
alla distanza di questi ultimi
rispetto all'intervento (fino
all'annullamento del rischio
aggiuntivo per eventi occorsi
più di un anno prima).
Di più complessa valutazione è stato, invece, il ruolo dei
trattamenti farmacologici
inclusi tra fattori confondenti, per i quali – considerate le
relative indicazioni terapeutiche – l'incremento del
rischio di infarto postoperatorio rilevato potrebbe in
realtà essere legato all'esistenza di un rischio di base
già più alto del normale nei
soggetti che li assumono.
In conclusione, quanto
emerso dallo studio si
dovrebbe tradurre, secondo i
suoi autori, in una serie di
indicazioni per ciò che concerne la gestione del rischio
COLONNA
Il titanio nell’osteosintesi vertebrale
In un articolo apparso sul
Giornale Italiano di Ortopedia
e Traumatologia, l’autore
Matteo Palmisani, chirurgo
vertebrale presso il Centro
scoliosi e malattie della colonna verte-brale, Ospedale
accreditato Hesperia Hospital
di Modena, offre una disamina sull’utilizzo del titanio e
delle sue leghe nella osteosintesi vertebrale, facendo un
confronto con l’acciaio e la
lega cromo-cobalto.
I progressi tecnologici nello
sviluppo di questi materiali
hanno dato un forte impulso alla chirurgia vertebrale,
come testimoniato dall’elevato numero di stabilizzazioni vertebrali (100mila) e
di revisioni (16mila) eseguite ogni anno. Le strumentazioni vertebrali in titanio
sono state introdotte per
ovviare ad alcuni inconvenienti degli impianti in
acciaio e lega cromo-cobalto, quali la formazione di
artefatti in sede di follow-up
post-operatorio con le tecniche diagnostiche a immagini di nuova concezione
(Tac e Rmn) e i problemi di
bio-compatibilità e di corrosione. Il titanio, rispetto
all’acciaio e alla lega cromocobalto, presenta inoltre
una migliore biocompatibilità (resistenza alla corrosione e minore incidenza di
infezioni tardive o dolori in
sede di intervento a distanza) e un’ottima osteointegrazione.
L’acciaio sembra inoltre
presentare vantaggi a livello di resistenza meccanica.
Infatti, quando le barre di
titanio devono essere
modellate (come nel caso
di deformità), presumibilmente si formano microdifetti superficiali che ne
peggiorerebbero, almeno in
parte, proprietà meccaniche quali il modulo di rigidezza e la resistenza alla
rottura in presenza di
intaccature sulla superficie.
Nel caso di deformità, le
barre devono essere modellate lungo le curve fisiolo-
giche sagittali ed è quindi
indispensabile che non
peggiorino le proprietà
meccaniche del materiale
della strumentazione di
osteosintesi. Pur tuttavia
l’autore riferisce che, in
base all’esperienza personale, l’utilizzo del titanio nelle
deformità non ha determinato un aumento apprezzabile dei cedimenti meccanici.
Domenico Lombardini
Palmisani M. L’utilizzo del
titanio nella osteosintesi vertebrale. Giot agosto 2011;
37(suppl.1):12-28.
cardiovascolare negli interventi di artroplastica di
anca e di ginocchio: un'allerta prolungata fino ad
almeno sei settimane
postoperatorie e maggiore
a partire dai 60 anni di età e
per i pazienti con pregressi
episodi ischemici occorsi
nell'anno precedente l'intervento.
Monica Oldani
Lalmohamed A, Vestergaard
P, Klop C, Grove EL, de Boer
A, Leufkens HG, van Staa TP,
de Vries F. Timing of acute
myocardial infarction in
patients undergoing total hip
or knee replacement: a nationwide cohort study. Arch Intern
Med 2012; 172:1229-35.
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orthoviews
Review della letteratura internazionale
BIOTECNOLOGIE
BIOTECNOLOGIE
Trapianto di condrociti
nelle lesioni cartilaginee
Ingegneria tissutale
e lesioni osteo-cartilaginee
Le lesioni cartilaginee sono
molto comuni nella popolazione, specie nei soggetti
adulti e anziani. Vista la natura biologica della cartilagine
ialina, ossia l’assenza di terminazioni nervose, vasi sanguigni e linfatici e la sua scarsa capacità rigenerativa (scarsi numeri di cellule indifferenziate), sono stati proposti
diversi approcci di trattamento, tra cui i riparativi e i ricostruttivi.
Tra i primi si annoverano le
microfratture procurate in
sede subcondrale: tali lesioni
favorirebbero il sanguinamento e quindi l’arrivo di cellule progenitrici che darebbero luogo ai condrociti.
Tra gli approcci ricostruttivi
troviamo il trapianto autologo di cellule cartilaginee prelevate dal soggetto in un’area
Giuseppe M. Peretti e collaboratori riportano in un articolo apparso sul Giornale
Italiano di Ortopedia e
Traumatologia lo stato dell’arte e i nuovi approcci basati su
ingegneria tissutale al trattamento delle lesioni osteocondrali. Viene offerta anche
una descrizione preliminare
della sede anatomica in cui
insorgono tali lesioni, ossia la
giunzione osteo-condrale.
Numerosi sono gli approcci
terapeutici al trattamento
delle osteoartrosi. Tra questi
si trovano le tecniche tradizionali (tecniche di stimolazione midollare, impianto di
autograft osteocondrali, alloimpianti e impianto di
protesi a rivestimento focale)
e le tecniche di ingegneria
tissutale, le quali prevedono
l’impianto di substrati (scaf-
di ridotto carico.
L’impianto di condrociti è
stato il primo approccio biologico al trattamento di lesioni condrali del ginocchio.
L’approccio di trapianto di
condrociti autologhi ha visto
un buon successo in termini
di outcome, come evidenziato
da numerosi studi e review in
materia, anche con follow-up
di buona durata. La riabilitazione prevede una precoce
mobilitazione dell’articolazione, con un carico completo raggiunto alle 6 settimane
post-intervento. Il ritorno
all’attività non avviene prima
delle 12 settimane.
Nonostante ciò, ancora non
risultano chiare le indicazioni
al trattamento né se vi sia un
reale vantaggio rispetto alle
altre tecniche, come le microfratture. Uno svantaggio di
tale tecnica è rappresentato
dai due tempi chirurgici, il
primo in artroscopia per isolare il tessuto cartilagineo, e il
secondo in artrotomia per
l’impianto delle cellule espanse in vitro per diverse settimane. Tale approccio impatta
anche negativamente sui
costi. La possibilità di eseguire anche il secondo intervento per via artroscopica ne
ridurrà l’invasività, con conseguente aumento delle possibili indicazioni.
D. L.
Causero A, Di Benedetto P,
Beltrame A, Mancuso F. Il
trattamento delle lesioni cartilaginee con impianto di condrociti autologhi. Giot agosto
2011; 37(suppl.1):113-116.
BIOTECNOLOGIE
all’inclusione di cellule condrali o di molecole portatrici
di informazioni biologiche, il
cui scopo è quello di dare uno
stimolo proliferativo alle cellule e di mantenerne il fenotipo desiderato nel tempo.
Essendo oramai ampiamente
stabilita l’importanza dell’unità morfo-funzionale del
complesso osso-cartilagine in
questo tipo di lesioni, l’utilizzo di materiali “intelligenti”
con ottima compatibilità
come gli scaffold cellulati o
acellulati potrebbe rappresentare realmente un approccio terapeutico efficace delle
lesioni cartilaginee.
Domenico Lombardini
Peretti GM, Pozzi A. Giot agosto 2011; 37(suppl.1):167-172.
SPALLA
Le biotecnologie
in chirurgia del rachide
In un articolo apparso sul
Giornale
Italiano
di
Ortopedia e Traumatologia,
Gianluca Vadalà e colleghi
riportano lo stato dell’arte
sull’utilizzo dei bioscaffold
nella chirurgia del rachide.
Come noto, l’artrodesi rappresenta un momento chirurgico di importanza fondamentale in questo genere
di interventi e il successo di
tale procedura è subordinata all’ottenimento di un’efficace fusione ossea.
Il gold standard è rappresentato ancora dall’espianto
autologo di osso dalla cresta
iliaca, tuttavia tale trattamento pone importanti problemi di morbidità al sito di
espianto. Onde superare tali
inconvenienti, sono stati
proposti gli approcci dell’impianto allogenico da
cadavere, l’uso di materiali
ceramici e derivati del sangue periferico e midollare
(concentrati di cellule progenitrici e di fattori di crescita da concentrato piastrinico) e l’uso di strutture
minerali oppure organiche
realizzate in vitro.
Tali bioscaffold dovrebbero
imitare le proprietà strutturali e di induzione osteogenica dell’osso naturale e
perciò sarebbe necessario
integrare tali materiali con
fold) inerti assorbibili (membrana di fosfato di calcio e
acido polilattico e poliglicolico, e altri), che possono
essere seminati o meno con
cellule autologhe o ete-rologhe.
Se, da una parte, l’esperienza
clinica dei materiali di ingegneria tissutale per la cura
delle lesioni osteo-cartilaginee è ancora limitata, la
buona compatibilità fra scaffold e osso subcondrale fa ben
sperare sul futuro utilizzo di
tali materiali nella clinica. Si
pensi, ad esempio, alla possibilità di associare gli scaffold a
materiali biologicamente attivi, quali il concentrato piastrinico e le molecole appartenenti alla famiglia delle
proteine morfogenetiche dell’osso, che potrebbero favorire
il processo di guarigione, o
agenti bioattivi (quali le
proteine osteogeniche dell’osso) e cellule osteogeniche autologhe espanse ex
vivo. Nonostante sia attraente la possibilità di utilizzare tali costrutti per i
motivi di morbidità associati all’espianto da cresta
iliaca di cui sopra, i bioscaffold rappresentano ancora
soltanto un adiuvante al
gesto chirurgico.
Inoltre è importante enfatizzare i costi e la sicurezza
di tali approcci biotecnologici, soprattutto laddove
vengano utilizzate cellule
staminali autologhe espian-
Per la riabilitazione
bisogna spettare?
tate, espanse ex vivo e poi
reimpiantate nell’ospite.
In sintesi, le nuove biotecnologie sono molto promettenti ma necessiteranno
di una sperimentazione e
un’implementazione ulteriori, e l’utilizzo dell’osso
autologo rappresenta ancora l’approccio di gran lunga
migliore per ottenere stabili artrodesi nella chirurgia
del rachide.
D. L.
Vadalà G, Papapietro N, Di
Martino A. Giot agosto
2011; 37(suppl.1):191-198.
Dopo un intervento chirurgico per il recupero di una
lesione tendinea, potrebbe
essere necessario un periodo
lungo di immobilizzazione
del paziente, maggiore di
quanto attualmente previsto,
prima di intraprendere la
riabilitazione. Secondo uno
studio presentato al congresso annuale dell'American
Orthopaedic Society for
Sports Medicine (Aossm),
che si è tenuto lo scorso
luglio a Baltimora, il periodo
di immobilizzazione potrebbe essere di alcune settimane
e non di qualche giorno.
Questo risultato potrebbe
essere applicato a molti casi,
come a quello di un intervento alla cuffia dei rotatori.
Lo studio, firmato da Scott
Rodeo e colleghi, è stato
condotto su un modello animale. Si è studiato il recupero della lesione del tendine
rotuleo nei ratti. In particolare, dopo una lesione e un
intervento, a un gruppo di
animali è stato applicato un
piccolo carico 50 volte al
giorno, a un secondo gruppo
un carico medio e a un terzo
gruppo nessun carico. Il
carico simulava l'estensione
della zampa. Gli animali
sono stati studiati a 4, 10, 21
e 28 giorni. Le migliori guarigioni, quelle che mostrava-
> «Dai dati di questo
studio, sembra che
dovremmo immobilizzare i nostri pazienti
sottoposti a riparazioni
tendinee, come quella
della cuffia dei rotatori,
per lunghi periodi di
tempo» ha detto Scott
Rodeo (nella foto qui
sopra), ricercatore principale dello studio e
direttore del servizio di
medicina dello sport
all'Hospital for Special
Surgery di New York
City
no meno fibrocartilagine o
tessuto cicatriziale, sono
state registrate nei topi
immobilizzati. Questo gruppo aveva anche la miglior
organizzazione del tessuto
connettivo e livelli migliori
di densità minerale ossea.
In generale, esistono ancora
pochi dati sul miglior processo di riabilitazione. Riguardo
ai pazienti con problemi alla
spalla, si sa che tra il 20 e il
40% non guarisce dopo l'intervento alla cuffia dei rotatori. Questi pazienti mostrano
una minore resistenza e un
range di movimento ridotto.
«Lo studio suggerisce che si
potrebbe immobilizzare i
pazienti più a lungo per permettere all'infiammazione
post operatoria di diminuire,
perché un eccesso di infiammazione può essere dannoso» ha detto Carolyn
Hettrich, una degli autori.
La ricerca ha vinto il Cabaud
Memorial Award ed è stata
proposta per la pubblicazione
sulla rivista American Journal
of Sports Medicine.
Claudia Grisanti
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Review della letteratura internazionale
ANCA
BIOTECNOLOGIE
ANESTESIA
Usura dei materiali protesici
una sfida per il futuro
Soluzioni
biotecnologiche
per le cisti ossee
Anestesia regionale
per le frattura dell’anca
In un articolo apparso sul
Giornale Italiano di Ortopedia
e Traumatologia si offre una
trattazione sull’usura dei
materiali protesici, con particolare riferimento alla sostituzione protesica dell'anca.
Come noto, la mobilitazione asettica della protesi
all’anca rappresenta ancora
la causa principale di fallimento degli impianti protesici. Tale evento avverso è
ascrivibile a numerose concause, ivi inclusa la formazione di detriti e di altro
materiale particolato di origine protesica e/o biologica.
Le altre possibili concause
possono essere lo stile di
vita del paziente (ad esempio un Bmi elevato), la
modalità e l’appropriatezza
dell’intervento chirurgico e
il disegno dell’impianto
stesso. Lo studio di nuovi
materiali e accoppiamenti e
il contributo fondamentale
della moderna tribologia
possono dare un forte
impulso a migliorare gli
outcome dei pazienti.
L’articolo descrive la correlazione tra usura e le diverse configurazioni protesi-
che, con particolare riferimento ai nuovi accoppiamenti e ai nuovi materiali,
con i pro e i contro di ogni
trattamento.
Nonostante l’ampia disponibilità di materiali e approcci
implantologici differenti, il
crescente
numero
di
impianti protesici (oltre un
milione l’anno), le sempre
maggiori esigenze funzionali e l’aumento della vita
media comporteranno in
futuro un preoccupante
aumento degli interventi di
revisione protesica. Tali
interventi, come è noto, presentano maggiori difficoltà
rispetto al trattamento primario, considerando l’estesa
osteolisi periprotesica, la
necessità di innesti ossei e la
corrispondente maggio-re
invasività dell’intervento,
l’uso di impianti di maggiori
dimensioni con possibili
esiti negativi, morbilità e
morbidità maggiori. Inoltre,
specie per i nuovi materiali,
mancano studi di follow-up
di lunga durata che stabili-
scano in modo attendibile la
sicurezza di alcuni impianti.
Lo studio di materiali e
approcci innovativi è quindi
una conditio sine qua non
per rispondere in modo
adeguato alle sfide del futuro.
Domenico Lombardini
Logroscino G, Maccauro G,
Fabbriciani C. Usura dei
materiali. Giot agosto 2011;
37(suppl.1):76-83.
ANCA
Rilascio di ioni
nelle protesi d’anca
In un articolo apparso sul
Giornale Italiano di Ortopedia
e Traumatologia viene offerta
una visione comparata fra i
diversi accoppiamenti di
materiali di protesi d’anca e il
rilascio sistemico di ioni.
Sebbene non sia noto l’effetto a lungo termine degli
ioni derivanti dalle protesi
d’anca sull’organismo, la
scelta dei materiali per un
approccio di trattamento
protesico dovrebbe tuttavia
considerare anche questa
variabile, almeno in determinati pazienti (ad esempio quelli più giovani, in
cui il tempo di residenza
dell’impianto sarà maggiore). È noto, ad esempio, che
tali ioni si accumulano nei
linfonodi, nel fegato, nella
milza e nel midollo osseo.
Un modo per diminuire la
diffusione degli ioni di
metallo è stato quello di
aumentare la dimensione
delle teste, con il vantaggio
aggiuntivo di una maggiore
stabilità e una maggiore
escursione articolare.
I diversi accoppiamenti
protesici mostrano diverse
quantità di ioni rilasciati
nell’organismo.
L’accoppiamento metallometallo presenta un rilascio
di ioni Cr, Co e Mo maggiore rispetto agli ac-coppiamenti ceramica-ceramica o
ceramica-metallo, e tale rilascio non sembra essere
influenzato dalla dimensione della testa protesica.
Mentre non esistono differenze apprezzabili tra gli
accoppiamenti ceramicaceramica e ceramica-polietilene, ciò per la mancanza di
Co e Cr in nessuna parte
della superficie dell’accoppiamento.
L’accoppiamento ceramicametallo, pur avendo un rilascio di ioni minore rispetto
alle protesi metal-lo-metallo, deve essere ancora validata in termini di prestazioni a lungo termine. È quindi
consigliabile il monitoraggio
nel tempo dei livelli sierici
degli ioni metallo, e l’accoppiamento metallo-metallo
rimane una scelta valida
specialmente nei soggetti
giovani candidati a una protesi di rivestimento e per cui
non si danno altre alternative di trattamento.
Domenico Lombardini
Giannini S, Cadossi M,
Romagnoli M, Luciani D,
Chiarello E. Il rilascio sistemici
di ioni metallo: biomateriali a
confronto. Giot agosto 2011;
37(suppl.1):87-89.
In un articolo apparso sul
Giornale
Italiano
di
Ortopedia e Traumatologia
gli autori, coordinati da
Giulio Maccauro, fanno una
revisione degli attuali
approcci al trattamento delle
cisti ossee e riportano
un’esperienza di trattamento
con l’utilizzo di sostituiti
ossei e gel piastrinici contenenti fattori di crescita.
La cisti ossea solitaria è una
lesione simil-tumorale che
colpisce l’osso immaturo, e
pertanto pazienti in epoca
pediatrica (3-14 anni). Tale
neoformazione si rinviene
più frequentemente in corrispondenza della metafisi,
giustapposta o vicino alla
fisi.
Sebbene la gran parte delle
cisti ossee solitarie mostri
una storia naturale asintomatica e una spontanea
evoluzione alla scomparsa,
si registrano casi sintomatici e fratture secondarie
all’indebolimento dell’osso
adiacente alla cisti. In questi casi è quindi opportuno
il tempestivo trattamento, il
quale può avvenire secondo
diversi approcci. Tra questi
troviamo le tecniche a iniezione, le tecniche chirurgiche e l’inchiodamento
endomidollare.
Le tecniche a iniezione prevedono l’aspirazione del
fluido interno alla cisti, il
lavaggio con soluzione salina e l’iniezione di differenti
agenti quali antinfiammatori steroidei, midollo
osseo autologo e matrice
ossea demineralizzata. A
prescindere
dall’agente
iniettato, tali tecniche
hanno mostrato efficacia in
ragione dell’interruzione
meccanica della parete
cistica, mettendo il canale
midollare in contatto con la
cavità.
L’approccio chirurgico prevede l’apertura di una finestra corticale, la rimozione
del fluido interno, il curettage della membrana fibrosa e il trapianto osseo. Sono
stati tuttavia riportati alti
tassi di recidiva, tra il 22 e il
64%.
L’inchiodamento midollare
prevede inoltre una tecnica
simile all’iniezione e ha il
difetto della necessità di
cambiare il chiodo man
mano che l’osso cresce in
un paziente in fase di crescita.
L’esperienza riportata dagli
autori sull’uso di sostituti
ossei e gel piastrinici, sulla
scia del curettage e decompressione della cisti, intende sfruttare l’azione o steoinduttiva delle sostanze
impiantate. Il limite di questo approccio è che deve
essere riservato a pazienti
molto selezionati, nei quali
si è avuto l’insuccesso dei
trattamenti percutanei.
D. L.
Maccauro G, Spinelli MS,
Perisano C, Graci C, Piccioli
A, Del Bravo V, Fabbriciani
C. Giot agosto 2011;
37(suppl.1):145-150.
Uno studio di Neuman e collaboratori, apparso recentemente sulla rivista internazionale Anesthesiology, riporta uno studio prospettico
condotto su circa 18.000
pazienti, da cui si evince che
l’anestesia regionale è migliore rispetto a quella generale
in termini di complicazioni
post-intervento e casi di
decesso in pazienti anziani
con frattura dell’anca sottoposti a intervento chirurgico.
«La frattura dell’anca –
dichiara il primo autore
dello studio – è un evento
comune e gravoso nei
pazienti anziani. La preva-
lenza di morte è pari a uno
su cinque pazienti con frattura dell’anca entro un anno
dal trauma. Vi è quindi un
urgente bisogno di indicazioni migliori per i pazienti
e i medici sull’anestesia da
utilizzare in caso di frattura
dell’anca, ma ad oggi soltanto pochi studi nella popolazione generale si sono
interessati a tale problema».
Il dottor Neuman e i suoi
collaboratori hanno esaminato una coorte retrospettiva di pazienti sottoposti a
intervento per frattura dell’anca in 126 ospedali a New
York nel 2007 e nel 2008, per
un totale di 18.158 pazienti.
I ricercatori hanno associato
l’anestesia regionale o l’anestesia generale con mortalità, importanti complicazioni
polmonari ospedaliere e
importanti complicazioni
cardiovascolari ospedaliere.
I ricercatori hanno quindi
trovato una notevole riduzione del tasso di mortalità
(29%) nei pazienti sottoposti
ad anestesia regionale rispetto a quelli sottoposti ad anestesia generale, oltre a trovare
una globale riduzione degli
eventi avversi post-intervento di cui sopra.
Tali risultati hanno impor-
tanti implicazioni nella
gestione di questi pazienti,
soprattutto considerando
l’elevata mortalità e morbidità
di tali pazienti e l’aumento
generalizzato di tali tipi di
pazienti nel prossimo futuro.
Domenico Lombardini
Neuman MD, Silber JH,
Elkassabany NM, Ludwig JM,
Fleisher LA. Comparative
Effectiveness of Regional versus General Anesthesia for
Hip Fracture Surgery in
Adults. Anesthesiology 2012
Jul;117(1):72-92.
IMAGING
Una tecnica di imaging ibrida
per la diagnosi dei tumori ossei
I casi di tumori ossei, siano
questi primari o secondari,
vengono diagnosticati con le
moderne strumentazioni di
imaging, come la tomografia
computerizzata (Tac) e la
tomografia ad emissione di
positroni (Pet). In particolare, la F-18 Fdg Pet/Ct viene
usata per rilevare e monitorare la risposta del tumore
alla terapia. Tuttavia, in
ragione delle variabili velocità di utilizzazione del glucosio, non tutti i tumori possono essere identificati in
maniera
affidabile.
Il
Na(18)F è già stato usato per
l’imaging dell’osso e può
essere usato come tracciante
Pet/Ct nell’osso.
In uno studio recentemente
apparso è stata valutata
retrospettivamente l’efficacia
dell’uso combinato di due
sonde di imaging, ossia
Na(18)F (una sonda di fluoruro di sodio con affinità per
l’osso) ed F-18 Fdg (un analogo del glucosio), nella diagnosi dei tumori ossei. «Lo
studio ha dimostrato –
dichiara il primo autore
Andrei Iagaru – che l’utilizzo
delle tecniche di imaging con
due differenti marcatori
migliora la potenza di queste
tecniche nella diagnosi del
cancro. La somministrazione simultanea degli agenti di
imaging F-18 NaF e F-18 Fdg
in una singola Pet/Tac presenta la potenzialità di
migliorare la precisione della
diagnosi. Ciò permetterebbe
anche – chiosa il ricercatore
– una potenziale riduzione
dei costi, proprio grazie a
una tecnica più robusta e
affidabile».
I risultati della ricerca dimostrano, infatti, che le immagini Pet/Cat NaF ed Fdg
composite portano all’identificazione di un numero
maggiore di metastasi
rispetto alle altre tecniche. Il
futuro utilizzo di tale
approccio diagnostico è
subordinato a ulteriori evidenze sul suo beneficio nell’imaging dei tumori ossei.
D. L.
A Iagaru A, Mittra E,
Yaghoubi SS, Dick DW,
Quon A, Goris ML, Gambhir
SS. J Nucl Med. Novel strategy for a cocktail 18F-fluoride
and 18F-FDG PET/CT scan
INFEZIONI DEL SITO CHIRURGICO
Fattori di rischio dell’infezione profonda
Un recente articolo apparso
sulla rivista Journal of Bone &
Joint Surgery rileva importanti fattori rimediabili, ossia
facilmente modificabili, coinvolti nell’infezione profonda
sottofasciale in pazienti sottoposti a intervento chirurgico per frattura dell’anca.
Lo studio, un’analisi retrospettiva su 6.905 pazienti, ha
rilevato che 50 soggetti, ossia
lo 0,7% della popolazione
complessiva, si presentavano
con un’infezione profonda
post-intervento. Il risultato
interessante e statisticamente significativo è stato che gli
interventi eseguiti da un chi-
rurgo senior esperto avevano un rischio di infezione
profonda pari a metà rispetto a quella degli interventi
eseguiti da un chirurgo
junior, meno esperto. Tale
risultato è in accordo con
precedenti studi nei quali,
tuttavia, mancava la significatività statistica.
Anche la durata dell’anestesia
correlava in maniera inversa
con il rischio di infezione
profonda: all’aumentare del
tempo tra l’induzione e l’estubazione corrispondeva un
aumento del rischio di infezione profonda. Tuttavia, la
durata dell’operazione di per
sé non aveva alcun effetto
statisticamente significativo
sul rischio di infezione o
complicazioni post-operatorie.
Lo studio ha anche enfatizzato un importante ruolo della
tecnica chirurgia utilizzata, e
ha mostrato che per le fratture intra ed extracapsulari il
metodo di fissaggio ha un
impatto significativo sullo
sviluppo di un’infezione profonda.
In sintesi, il lavoro di
Harrison e colleghi mostra
che l’esperienza del chirurgo,
la durata dell’anestesia e il
metodo di fissaggio sono tutti
associati allo sviluppo di
un’infezione profonda dopo
un intervento chirurgico per
una frattura dell’anca, quindi
gli autori auspicano che tali
interventi vengano eseguiti
da un team esperto che includa un chirurgo specialista
dedicato a tali procedure.
Domenico Lombardini
Harrison T, Robinson P,
Cook A, Parker MJ. Factors
affecting the incidence of
deep wound infec-tion after
hip fracture surgery. J Bone
Joint
Surg
Br.2012
Feb;94(2):237-40.
for evaluation of malignancy:
re-sults of the pilot-phase
study. J Nucl Med 2009
Apr;50(4):501-5.
orthoviews
Review della letteratura internazionale
<<
26
LAVORO ORIGINALE
Idrossiapatite di origine bovina
nelle revisioni di protesi d’anca
Vincenzo Salini, Andrea Pantalone, Daniele Vanni
Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti
Clinica ortopedica e traumatologica (Direttore: Prof. V. Salini)
Oggi le tecniche di prelievo, processazione e utilizzo di osso omologo sono in
continuo miglioramento.
Tuttavia la disponibilità e i
costi di elaborazione, il
rischio di trasmissione di
agenti infettivi e di reazioni immunomediate, rappresentano limiti concreti
per un loro utilizzo ordinario in sala operatoria.
Proprio per questi motivi
il trapianto di osso autologo rappresenta ancora il
gold standard nel trattamento chirurgico dei difetti ossei (1).
Pur costituendo l’optimum
in quanto a caratteristiche
di osteoconduttività, osteoinduttività e osteogenici-
>
tà, il trapianto autologo
non è scevro da complicanze anche gravi (aumento del tempo chirurgico,
ematomi in sede di prelievo, perdite ematiche, lesioni iatrogene neuro-vascolari e dei parenchimi, infezioni, fratture e instabilità
pelvica, dolore cronico nel
sito di prelievo).
Per ovviare a tali problematiche, negli ultimi
decenni si sono sviluppati
materiali biologici e sintetici alternativi all’osso
omologo (2).
Il sostituto osseo ideale
Il sostituto osseo ideale
dovrebbe essere osteocon-
>
duttivo, osteoinduttivo e
osteogenico (3).
La prima condizione si
realizza attraverso una
composizione, struttura e
ultrastruttura più simile
possibile a quella dell’osso
spongioso umano.
L’architettura tridimensionale di quest’ultimo, infatti, è caratterizzata da trabecole di materiale extracellulare che racchiudono
micropori tra loro interconnessi, di dimensioni
comprese tra i 200 e i 500
micron. Tale struttura permette la migrazione al proprio interno di cellule
midollari, capaci di costituire un substrato vascolare e un microambiente tali
Fig. 1: struttura dell’idrossiapatite di origine bovina
Fig. 3: mobilizzazione intrapelvica della componente acetabolare su
mesh metallica
Lo studio osservazionale
A partire dal gennaio
2010, presso la Clinica
ortopedica e traumatologica dell’Università “G.
d’Annunzio” di Chieti è
stato avviato uno studio
osservazionale relativo alla
gestione dei difetti ossei
nell’ambito delle revisioni
di protesi d'anca. Sono
stati reclutati 67 pazienti
(38 femmine e 29 maschi,
di età compresa tra i 68 e
gli 82 anni).
Per le sue caratteristiche
macro e microscopiche il
sostituto impiegato è stato
l’idrossiapatite di origine
bovina (Orthoss, Geistlich
Surgery) la cui matrice ossea
inorganica presenta una
struttura micro e macroporosa analoga all'osso spongioso umano (fig. 1). Grazie
alla struttura a pori interconnessi e all'estesa superficie interna, esso si comporta
come un'ottima matrice
osteoconduttiva che si integra strutturalmente all'osso
circostante, venendo omogeneamente incluso nel
naturale processo di rimodellamento. La sua elevata
porosità facilita l'angiogenesi e la migrazione degli
osteoblasti attraverso la
matrice, consentendo l'accesso ai nutrienti e l'eliminazione di prodotti metabolici
di scarto (8).
Nello specifico, Orthoss
presenta una struttura
> Fig. 2: struttura bimodale dei pori
di Orthoss.
Questa idrossiapatite presenta una
distribuzione dei pori simile a quella dell’osso naturale, sia nei macropori (**) che nei nanopori (*).
Misurazione: Geistlich Pharma AG,
Research Analysis Department
>
>
da consentire la proliferazione di cellule osteogeniche, con conseguente
rimodellamento e produzione di osso neoformato
(5).
Per osteoinduzione si
intende la capacità di
indurre differenziazione e
proliferazione
cellulare
attraverso fattori di crescita. Essi agiscono su cellule
mesenchimali midollari
multipotenti, inducendone
la differenziazione in
osteoblasti maturi (6).
La
terza
condizione,
l’osteogenesi, è specifica di
elementi cellulari vitali
(stem cells), in grado di
produrre matrice ossea
(7).
Vincenzo Salini
Fig. 4: valutazione angio-TC
> Fig. 5: gestione del bone defect con Orthoss e Burch-Schneider anti-protusio cage
(fase intraoperatoria)
27
<<
orthoviews
Review della letteratura internazionale
bimodale di nano e macropori (fig. 2).
I nanopori (10-20 nm),
unici nel loro genere, assicurano un'ottima idrofilia
e capillarità che, a loro
volta, consentono una
completa e spontanea
penetrazione dei fluidi
organici e, quindi, l'accesso dei nutrienti.
I macropori (100-300 µm)
consentono il passaggio
degli osteoblasti attraverso
la matrice facilitando la
loro adesione e l'apposizione di osso neoformato.
Le modalità di utilizzo
prevedevano: omogeneità
di applicazione, compattamento manuale mediante e
uso di sangue recuperato
intraoperatoriamente dal
sito di intervento.
La valutazione preoperatoria del bone defect è stata
effettuata utilizzando la classificazione di Paprosky (fig.
3). I sostituti ossei sono stati
utilizzati esclusivamente nei
gradi I, IIA, IIB e IIC sul
versante acetabolare e I e II
sul versante femorale. Il follow up è stato eseguito a 1, 3,
6, 12 e 24 mesi dopo l’intervento chirurgico, mediante
una valutazione clinica (sec.
Harris Hip Score) e radiografica (9).
Conclusioni
In base alla nostra esperienza, tendiamo al raggiungimento immediato della stabilità primaria attraverso mezzi
di sintesi e componenti protesiche tali da offrire una
ridistribuzione dei carichi e
un ancoraggio a una superficie ossea maggiore rispetto al
difetto cavitario (10-12). Il
ruolo del sostituto osseo consiste nel ripristino del bone
stock depauperato attraverso
un filling del difetto e successivo rimodellamento e quindi integrazione con l’osso
perilesionale (fig. 4). In questo modo è possibile garantire una buona stabilità a lungo
termine dell’impianto e rigenerare la maggior quantità di
patrimonio osseo possibile in
vista di eventuali interventi di
ri-revisione.
Le radiografie hanno dimostrato buoni e progressivi
livelli di integrazione con crescente attività di sostituzione,
riempimento e rimodellamento osseo (fig. 5). Tali
segni si colgono precocemente e in maniera meglio definita in soggetti trattati con carbonato-idrossiapatite nanocristallina naturale, rispetto ai
casi controllo in cui è stata
utilizzata bioceramica composita di idrossiapatite sinte-
>
Fig. 6: controllo radiografico post-operatorio
tica e collagene. Pertanto tali
risultati, sebbene a medio termine, incoraggiano fortemente l’utilizzo di tale sostituto nella gestione del difetto
osseo presente nel paziente
candidato a revisione di protesi di anca.
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orthoviews
Review della letteratura internazionale
LAVORO ORIGINALE
Uso del
PRP
nelle tendinopatie
Paolo Ghiggio*, Andrea De Vecchi
*Direttore S.O.C. Ivrea e Cuorgnè, Asl Torino 4
Specialista in ortopedia e traumatologia, medicina dello sport e chirurgia della mano,
si occupa prevalentemente di chirurgia dell’arto superiore
Titolare insegnamento di chirurgia dell'apparato locomotore al corso di laurea infermieristica dell'Università di Torino
Medico Volontario presso il Wamba Catholic Hospital in Kenia
La patologia tendinea rappresenta un argomento di
interesse quotidiano nella
pratica ortopedica in quanto
problemi a carico dei tendini
possono insorgere non solo
negli sportivi, ma anche nei
lavoratori manuali e nella
popolazione generale.
Si è soliti distinguere le lesioni tendinee in acute e croniche. Queste ultime sono solitamente dovute a sovraccarico funzionale (overuse) congiuntamente a fattori predisponenti intrinseci ed estrinseci.
Nel nostro lavoro ci occuperemo proprio delle lesioni
tendinee croniche, determinate da ripetute sollecitazioni
sottomassimali, la cui azione
lesiva finisce con l’usurare la
struttura tendinea, degenerandone la struttura istologica e modificandone le proprietà meccaniche.
Tendinosi, tenosinoviti croniche, tendiniti inserzionali e
peritendiniti, pur presentando differenze anatomopatologiche, vengono attualmente definite come tendinopatie, caratterizzate cioè da
alterazioni prevalentemente
di tipo degenerativo (disorganizzazione delle fibre di
collagene e alterazioni della
cellularità con aree di calcificazione) piuttosto che da
alterazioni di tipo infiammatorio (1-3).
Il fattore predisponente più
rilevante delle tendinopatie
croniche è probabilmente da
ricercarsi nella scarsa vascolarizzazione del tessuto tendineo, che ha una capacità di
guarigione molto lenta.
Questo determina il prevalere di fenomeni degenerativi
che comportano la perdita di
resistenza del tessuto e predispongono a nuove lesioni: un
circolo vizioso di difficile
soluzione (4, 5). La guarigione da tale patologia non
andrà dunque ricercata nella
riduzione dell'infiammazione ma piuttosto nella conversione del processo degenerativo verso la rigenerazione e
ristrutturazione tissutale.
Al momento il trattamento
di scelta iniziale per le tendinopatie è conservativo
(terapie fisiche, ortesi ed
esercizi eccentrici); la chirurgia è limitata ai casi non
responsivi.
I fattori di crescita:
considerazioni biologiche
L'utilizzo di infiltrazioni
tendinee con plasma arricchito di piastrine o sangue
autologo trova il suo razionale proprio sulla base del
concetto che la tendinopatia
è una patologia degenerativa
e non infiammatoria. Infatti
le piastrine contenute nel
sangue periferico contengono all'interno dei loro granuli alfa numerose proteine
bioattive (fattori di crescita)
come TGF (transforming
growth factor), PDGF (platelet
derived growth factor), EGF
(epidermal growth factor),
VEGF (vascular endothelial
growth factor) e IGF (insuline
like growth factor) che promuovono la proliferazione,
la migrazione cellulare e la
sintesi delle proteine della
matrice
extracellulare.
Inoltre alcuni fattori di crescita avrebbero un’azione
chemiotattica e citogenetica
in grado di attrarre macrofagi, cellule mesenchimali staminali e cellule con potenzialità angiogenetiche che
nell’insieme agiscono da stimolo per la rigenerazione
tissutale (6, 7).
La nostra esperienza si sviluppa proprio sulla base di
queste considerazioni biologiche e l’iniezione di un plasma con alta concentrazione
di piastrine avrebbe proprio
lo scopo di agire da innesco
del processo riparativo in un
tendine alterato, in cui prevalgono ormai fenomeni di
degenerazione.
Il plasma arricchito di piastrine autologo fu utilizzato
per la prima volta durante un
intervento cardiochirurgico
per ridurre la necessità di
trasfusioni omologhe (8).
Da allora l'applicazione di
Prp è stata utilizzata e documentata in molti campi della
medicina: in traumatologia e
ortopedia per favorire la
guarigione delle fratture e
delle artrodesi vertebrali (920), in odontostomatologia
(21), oftalmologia (22) e
nella cura delle ulcere cutanee (23, 24).
La letteratura
su PRP e tendinopatie
Da alcuni anni il PRP è stato
introdotto anche nella cura
delle tendinopatie; gli studi
condotti su pazienti e pubblicati in letteratura tuttavia
non sono ancora numerosi.
Il primo studio apparso in
letteratura risale al 2004 ed è
stato condotto da Barrett ed
Erredge (26). Gli autori
hanno utilizzato infiltrazioni
di PRP sotto guida ecografica
in 9 pazienti affetti da fascite
plantare refrattaria ai trattamenti conservativi. A distanza di un anno, il 77,9% dei
paziente non lamentava più
sintomi.
Per quanto a nostra conoscenza tre studi sono stati
condotti sulle epicondiliti
con buoni risultati.
Mishra e Pavelko (2) hanno
riportato uno studio casocontrollo non randomizzato
condotto su 20 pazienti: a
distanza di otto settimane il
60% dei pazienti trattati con
PRP riportava un miglioramento dei sintomi, contro il
16% dei soggetti di controllo.
A distanza di sei mesi dal
trattamento solo i pazienti
sottoposti a trattamento con
PRP erano disponibili al controllo e nell'81% dei casi riferivano un miglioramento dei
sintomi.
Peerbooms (26) e colleghi
hanno condotto uno studio
randomizzato caso-controllo
su 100 pazienti suddivisi in
due gruppi, uno trattato con
PRP e uno di controllo trattato con infiltrazione di corticosteroide. I pazienti sono
poi stati valutati con la Vas
(visual analog scale) e la scala
Dash (disabilities of the arm,
shoulder and hand). Un
risultato di successo era stabilito se era stato ottenuto un
miglioramento del 25% nella
Vas e nella scala di Dash e
non si era dovuto ricorrere al
trattamento
chirurgico.
Secondo la Vas il 49% dei
casi controllo aveva ottenuto
il successo mentre nei casi
trattati con PRP il successo era
stato ottenuto nel 79% dei
casi. Secondo la Dash il successo era stato ottenuto nel
51% dei casi controllo e nel
73% dei trattati con PRP. Gli
autori pertanto concludevano che il trattamento con PRP
superava il trattamento con
corticosteroidi locali per
quanto riguardava il controllo del dolore e il miglioramento del dolore, benché i
risultati fossero di meno
immediata osservazione.
Creaney (27) e colleghi
hanno invece condotto un
trial randomizzato in doppio
cieco, dividendo 150 pazienti
>
in due gruppi, uno sottoposto a due infiltrazioni con PRP
e uno sottoposto a due infiltrazioni con sangue autologo.
A sei mesi il gruppo del PRP
mostrava il 66% di successi
contro il 72% del gruppo del
sangue autologo. Ma la
necessità di eseguire un
intervento chirurgico era del
10% nel gruppo PRP e del
20% nel gruppo sangue autologo. Gli autori concludevano che sia l'infiltrazione di
PRP che di sangue autologo
erano terapie efficaci di
seconda scelta nel trattamento delle epicondiliti resistenti
ai trattamenti conservativi.
Per quanto riguarda il trattamento della tendinopatia
achillea con PRP abbiamo trovato due lavori, uno favorevole e uno sfavorevole.
De Vos e colleghi (28) hanno
condotto un trial clinico randomizzato in doppio cieco su
54 pazienti divisi in due
gruppi, uno sottoposto a
infiltrazione di PRP e l’altro a
infiltrazione con fisiologica.
Entrambi i gruppi avevano
proseguito con un programma di esercizi eccentrici. A
distanza di 24 settimane
entrambi i gruppi avevano
migliorato il loro punteggio
al Visa-A, ma non vi era
alcuna differenza significativa tra i due e gli autori concludevano che il PRP non
aveva maggiore efficia nel
miglioramento del dolore
rispetto a un’infiltrazione di
soluzione fisiologica.
Risultati più incoraggianti
sono stati osservati da
Gaweda e colleghi (29), che
hanno eseguito infiltrazioni
con PRP in 15 tendinopatie
non inserzionali dell’achille
(in 14 pazienti). I pazienti
sono stati rivalutati a tre, sei e
a 18 mesi sia ecograficamente che clinicamente con le
scale di valutazione Aofas e
Visa-A. A 18 mesi il punteggio medio della scala Aofas
era incrementato significativamente passando da 55 a
96, quello della scala Visa-A
da 24 a 96. Gli autori concludevano che le infiltrazioni
con PRP erano un metodo di
trattamento valido per il trattamento delle tendinopatie
non inserzionali dell’achille.
Kon e colleghi (30) hanno
invece utilizzato le infiltra-
Paolo Ghiggio
zioni di PRP sulla tendinosi
del rotuleo, il cosidetto “jumper knee” degli autori anglosassoni. Lo studio pilota è
stato condotto su 20 pazienti
sportivi, sottoposti a tre infiltrazioni consecutive con un
intervalllo di 15 giorni. A sei
mesi 6 atleti presentavano un
recupero completo, 8 un
marcato recupero, 2 un lieve
recupero e 4 nessun miglioramento. La conclusione era
che il PRP aveva permessso di
ottenere risultati incoraggianti.
Benchè esulino dal concetto
di infiltrazione come alternativa al trattamento chirurgico è doveroso segnalare che il
PRP è stato utilizzato anche
nella riparazione artroscopica dei tendini della cuffia dei
rotatori, con risultati discordanti, da due gruppi di lavoro italiani (31, 32).
Infine citiamo un altro studio italiano di Volpi e colleghi (33) effettuato su 15
pazienti (sportivi di vario
livello e di età compresa tra i
17 e i 68 anni) affetti da
diverse tendinopatie croniche con differenti localizzazioni, in tutto 20 tendini: 13
rotulei, 4 achille, 1 epitroclea,
1 tibiale anteriore, 1 quadricipite. Dopo 90 giorni il punteggio nella scala Visa era
significativamente migliorato da (range 21-64) a 74±17
(range 40-92). Una riduzione
delle irregolarità era osservabile nell’80% dei tendini (11
casi) riesaminati con la Rmn.
Dopo 24 mesi i pazienti
riportavano un punteggio
medio nella scala Visa di
73±16 (range 42-100). Gli
autori concludevano che l’infiltrazione con PRP era un
metodo valido nel trattamento delle tendinopatie
croniche.
Materiali e metodi
Dal dicembre 2009 a settembre 2011 abbiamo trattato
presso il nostro reparto 13
pazienti affetti da tendinopatie croniche.
I criteri per essere sottoposti
a tale trattamento erano la
persistenza di sintomatologia
dolorosa da almeno sei mesi,
la mancata risposta ai trattamenti conservativi fisioterpici, l’aver eseguito esami stru-
orthoviews
mentali che confermassero la
presenza di una tendinopatia
cronica nel sito interessato (la
maggior parte dei pazienti
era già in possesso di una
Rmn, gli altri sono stati sottoposti a controllo ecografico).
Criteri di eslusione erano
l’età superiore a 65 anni o
inferiore a 18, la presenza di
malattie sistemiche come
artrite reumatoide o diabete
e la presenza di disturbi della
coagulazione o a carico delle
piastrine.
Tutte le procedure sono state
seguite sotto il controllo di
un trasfusionista che lavora
presso il nostro Centro trasfusionale e previo consenso
informato del paziente.
Dati dei pazienti
5 pazienti erano affetti da
tendinopatia dell’achilleo, 5
da tendinopatia del rotuleo, 2
presentavano epicondilite e
uno fascite plantare. L’età
media era di 46,7 anni (6032). 5 pazienti erano sportivi,
di cui uno a livello professionistico; 6 pazienti erano lavoratori manuali e una paziente
era stata sottoposta circa due
anni prima a trapianto renale
e aveva da poco ripreso un’attività sportiva a livello amatoriale, subito sospesa a
causa del dolore.
In due casi erano documentate in Rmn delle rotture parziali nella compagine tendinea, che avevano esacerbato i
sintomi in un contesto di
dolore cronico trattato con
scarsi risultati con le abituali
metodiche conservative.
Tutti i pazienti affetti da tendinopatie del rotuleo e dell'achilleo erano stati sottoposti a una valutazione secondo
la scala Visa, quelli affetti da
epicondilite secondo la Mayo
Elbow Score, quello affetto
da fascite secondo la scala
Aofas.
Il trattamento è stato eseguito in regime di day hospital e
sono stati condotti esami
ematochimici prima della
procedura infiltrativa.
Procedura
di estrazione del PRP
Ad ogni paziente sono stati
prelevati 55 ml di sangue
periferico in una siringa da
60 ml a cui erano aggiunti 5
ml di anticoagulante (citrato
di sodio). Le dosi sono
dimezzate nei casi di epicondilite. Il sangue periferico è
stato immedatamente sottoposto a centrifugazione con
il sistema Gps II (Biomet).
Infine è stata estratta la componente di plasma arricchito
di piastrine (circa 6 cc per i
rotulei e gli achille e 3 cc per
le epicondiliti) e preparata in
una siringa da infiltrazione
con una piccola quantità di
sodio bicarbonato, per riportare il pH a livelli fisiologici.
Review della letteratura internazionale
Questo passaggio attiva le
piastrine e permette la loro
degranulazione nel sito di
infiltrazione.
Tecnica di infiltrazione
Alcuni minuti prima dell’infiltrazione è stata praticata
una iniezione sottocutanea
di anestetico locale (carbocaina 2%), quindi è stato allestito un piccolo campo sterile evidenziando l’area di
maggior dolore con penna
dermografica.
Attraverso 2 o 3 portali
cutanei sono quindi state
eseguite 7-8 infiltrazioni (34 nel caso caso delle epicondiliti) di PRP con una ago da
22 Gauge. Le infiltrazioni
sono state eseguite in sede
intratendinea e in sede peritendinea.
Dopo la rimozione dell’ago è
stata applicata una semplice
medicazione a piatto e il
paziente è rimasto circa 1520 minuti sdraiato sul lettino operatorio, quindi riportato in reparto e dimesso
dopo 2 ore.
Trattamento
post-infiltrativo
È stato prescritto riposo per
circa due giorni e sono stati
sconsilgiati i Fans. In caso di
dolore i pazienti hanno
assunto paracetamolo e/o
oppiacei.
A tutti i pazienti sono state
fornite precise indicazioni
per un programma giornaliero di esercizi di stretching,
da eseguire nei 15 giorni successivi ai due di riposo,
seguiti da un un programma
giornaliero di esercizi eccentrici di rinforzo.
I pazienti sono stati rivalutati
dopo un mese verificando la
congruenza al protocollo
ribilitativo e consigliando a
seconda del caso una graduale ripresa dell'attività sportiva
e lavorativa, eventualmente
sotto controllo fisaitrico. A
circa tre-quattro mesi sono
stati rivalutati utilizando il
questionario Visa-A e Visa-P
e il Mayo Elbow Score.
Risultati
Tutti i pazienti si sono presentati alle visite di followup.
I pazienti affetti da tendinopatia del rotuleo sono passati da un punteggio medio di
41,8 a un punteggio di 80,4.
Per quanto riguarda le tendinopatie del tendine di
Achille abbiamo registrato
un incremento da un valore
medio di 31,4 a uno di 63,8.
Il punteggio medio è pertanto incrementato in modo
leggermente maggiore nelle
tendinopatie rotulee, ma in
definitiva i risultati sono
sovrapponibili.
Sicuramente i risultati più
eclatanti si sono ottenuti nei
due pazienti (sportivi) che
presentavano lesioni parziali
concomitanti, in cui si è passati da punteggi molto bassi
(21 e 17) a un recupero quasi
completo dell'attività sportiva a circa quattro mesi. In
entrambi i casi il protocollo
riabilitativo si è svolto con
maggiore cautela e sotto
stretto controllo fisiatrico.
Altro buon risultato è stato
ottenuto nella paziente sottoposta a trapianto renale,
tanto che dopo tre mesi si
sentiva pronta a riprendere
una moderata attività sportiva.
I risultati meno positivi
sono stati ottenuti nelle tendinopatie inserzionali, con
incrementi del punteggio
Visa sotto la media (soltanto
di 15-20 punti), a conferma
di quanto riportato in letteratura.
Non abbiamo avuto effetti
collaterali, tranne in due
pazienti che hanno presentato un aumento di volume
persistente nel sito di inserzione, ancora rilevabile a
distanza di un mese, ma che
si è poi risolto al controllo
finale.
Infine vorremmo evidenziare che i lavoratori manuali
hanno ottenuto risultati massimi mediamente inferiori,
in quanto il questionario
Visa permette di assegnare i
punteggi più elevati solo a
pazienti che svolgono attività
sportive.
I due pazienti affetti da epicondilite sono stati valutati
con il Mayo Elbow Score,
erano entrambi lavoratori
manuali sottoposti a sforzi
ripetuti ed entrambi presentavano un punteggio iniziale
di 60. A tre mesi in un
paziente (antennista) abbiamo riscontrato una remissione completa dei sintomi con
ripresa della normale attività
lavorativa senza dolore di
rilievo: il punteggio è passato
dunque da 60 a 100. Nell’altro
paziente (operaio metalmeccanico) invece non è stato
riscontrato un miglioramento di rilievo e il punteggio è
passato da 60 a 70. In particolare abbiamo osservato un
lieve decremento del dolore e
la possibilità di svolgere alcune attività quotidiane senza
lamentare dolore, ma ha continuato ad avere forti limitazioni nell’attività lavorativa.
Il paziente affetto da fascite
plantare presentava un punteggio iniziale Aofas di 52. A
tre mesi il punteggio era
incrementato fino a 72 e il
paziente era moderatamente
soddisfatto dei miglioramenti.
Conclusioni
Ultimamente stanno trovando sempre più vasta applicazione d'impego i fattori di
crescita. I concentrati paistrinici (piccole quantità di sangue arricchito di trombociti e
quindi di fattori crescita) agirebbero attraendo cellule staminali nel sito d'iniezione.
Non solo. Anzi nel caso delle
tendinopatie sembra che il
ruolo dei fattori di crescita
sia quello antinfiammatorio
e immunomodulatorio (34).
I risultati, valutati sulla base
dei sintomi riferiti e delle tecniche di imaging, sono soddisfacenti, anche se non è
possible escludere che l'efficacia clinica di tale strategia
(come di tutte le tecniche
infiltrative) risieda nell'interruzione della vascolarizzazione patologica all'origine
della sintomatologia dolorosa, piuttosto che negli effetti
specifici della sostanza
impiegata, cui segue una fasa
infiammatoria seguita da
una rigenerativa.
In ogni caso in base alla
nostra (seppur limitata) casistica, i risultati sono buoni in
alcune patologie (tendinopatia achille e rotuleo) e meno
in altre (epicondilite).
La nostra esperienza pare
dunque confermare i dati
della letteratura che fanno di
questa tecnica un sistema
innovativo, che verosimilmente ha bisogno di tempo e
di altre esperienze per darne
una definitiva consacrazione.
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orthoviews
Review della letteratura internazionale
<<
34
LAVORO ORIGINALE
Nuovo sistema per inchiodamento
di fratture inter e sotto-trocanteriche
Achille Pellegrino, Gaetano Cervera
Ospedale "San Giuseppe Moscati" di Aversa (Caserta)
UOC di ortotraumatologia (Direttore: A. Pellegrino)
L’inchiodamento endomidollare rappresenta il gold
standard (1-5) nel trattamento delle fratture inter e
sotto-trocanteriche (fratture
31A2 e A3 secondo la classificazione AO (6) o fratture
del secondo gruppo di
Evans (7).
Studi biomeccanici, infatti,
hanno dimostrato che l’inchiodamento endomidollare
risulta più idoneo rispetto al
trattamento con placca (13). Sehat (8), in un lavoro
recente, ha confermato che
le fratture della regione inter
e sottotrocanterica sono da
trattare con chiodo endomidollare, in virtù di un braccio di leva più corto, con una
maggiore diminuzione della
forza tensile sull’impianto e
diminuzione del rischio di
cedimento dell’impianto e
una maggior resistenza
rispetto alla vite-placca in
compressione.
Metodica poco invasiva,
senza apertura del focolaio
di frattura e con scarse perdite ematiche intraoperatorie, offre una sintesi stabile e
rapidi tempi di guarigione,
consentendo così una rapida
mobilizzazione
dell’arto
operato e una veloce ripresa
del carico (3, 4, 9).
Al di là del device impiegato,
il bloccaggio distale è considerato lo step operatorio più
complesso (10-12) sia per i
pazienti (30-50% del complessivo tempo chirurgico
impiegato nel bloccaggio
delle viti distali), sia per i
chirurghi (dai 3 ai 30 minuti
di esposizione alle radiazio-
ni); Winqvist (10) nel 1993
lo definì l’aspetto più difficile della tecnica chirurgica.
La tecnica free-hand è la più
utilizzata, anche se è molto
difficile da attuare e non è
scevra da complicanze quali
bloccaggio inadeguato, malrotazioni, indebolimento
osseo dovuto a perforazioni
multiple e ad errori di perforazione, che possono causare fratture secondarie (12).
Altre metodi, come la
Gross/Lafforgue targeting
device (13) e la Granhed oblique technique (14), o recentissime tecniche computer
assistite, richiedono un’alta
capacità chirurgica, una
curva di apprendimento
molto lunga, oltrechè un
allungamento dei tempi dell’intervento.
>
Fig. 1: controllo ampliscopico del centraggio distale con possibilità di regolare l’altezza dei perforatori
>
Fig. 3: donna di 71 anni. 31A3.3, controllo pre e post operatorio
>
Materiali e metodi
Dall’aprile 2010 utilizziamo il
Distal Targeting System (Dts)
nel blocco delle viti distali del
chiodo gamma lungo.
Tale device, che permette di
centrare i fori distali con precisione (15), prevede una calibrazione
preoperatoria;
intraoperatoriamente, dopo il
tempo prossimale, si posiziona l’amplificatore di brillanza
a 30° di inclinazione, possibilmente con l’arto inferiore controlaterale su sostegno ginecologico, così da avere una proiezione più vicina possibile
alla corrispondenza tra fori
distali e perforatori. Il Dts
inoltre consente anche la possibilità di regolare con apposite rondelle l’altezza dei perforatori stessi (fig. 1). Quindi,
una volta trovata la corrispon-
> Fig. 2: donna di 78 anni.
31A3.3, controllo pre e post operatorio
Fig. 4: uomo di 35 anni. Frattura bifocale. Controllo pre e post operatorio
>
Fig. 5: donna di 41 anni. Frattura bifocale. Controllo pre e post operatorio
denza, si procede alla perforazione e al bloccaggio distale.
Tra aprile 2010 e aprile 2011
presso la nostra UOC 27 fratture inter e sottotrocanteriche
(figg. 2 e 3) e 4 bifocali di
femore con una rima di frattura a livello della regione trocanterica (figg. 4 e 5) sono
state stabilizzate con chiodo
gamma long utilizzando il
Distal Targeting System nel
centramento dei fori distali.
In tutti i casi il blocco distale
delle viti è stato eseguito in
tempi brevi, con minima
esposizione alle radiazioni
ionizzanti. Il tempo di esposizione alle radiazioni ionizzanti variava dagli 8 ai 26 secondi, la media era di 12 secondi;
la tensione variava dagli 80 ai
100 Kvolts e la corrente da 2 a
3 mA a seconda della corporatura del paziente. Il tempo
complessivo di questo step
operatorio variava dai 2
minuti e 40 secondi ai 6
minuti e 20 secondi, con un
tempo medio di 3 minuti e 10
secondi.
Non si sono verificate mai
complicanze intra-operatorie.
Conclusioni
La continua evoluzione e la
continua ricerca di miglioramento dello strumentario
hanno reso possibile eseguire
osteosintesi con tecniche sempre meno invasive in un
tempo medio ridotto e con un
tasso di complicanze intraoperatorie notevolmente diminuito.
Cardador nel 2006 (12), nel
bloccaggio distale dell’inchiodamento midollare, sottolineava la necessità di cercare
una soluzione che permettesse di ottenere un rapido
tempo chirurgico con una
minore esposizione ai raggi X.
Nel 2009 Taglang (15) comparava la tecnica free-hand con il
Distal Targeting System,
dimostrando una notevole
riduzione dell’esposizione alle
radiazioni quando veniva utilizzata tale metodica.
Gli autori ritengono molto
valido e affidabile tale device
nell’inchiodamento endomidollare con gamma long, in
quanto, dopo una rapida
curva di apprendimento per il
chirurgo, consente un immediato e preciso centraggio dei
fori distali, riduce notevolmente i tempi di procedura
chirurgica e di esposizione
alle radiazioni.
Fondamentale per il successo
della metodica è l’attento utilizzo del target-device e il corretto posizionamento dell’amplificatore di brillanza.
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Abstract from JFSR 2007, S41.
37
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orthoviews
Review della letteratura internazionale
LAVORO ORIGINALE
Follow-up clinico e radiografico
a nove anni del cotile Allofit
Giuseppe Sessa, Luciano Costarella, Salvatore Gioitta Iachino, Saverio Comitini, Andrea Sessa
Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele di Catania
Istituto di clinica ortopedica e traumatologica (Direttore: Prof. G. Sessa)
L’artroprotesi d’anca nasce
nei primi decenni del XX
secolo; nel 1920 Petersen
sviluppa i primi disegni protesici delle coppe cefaliche e
nel 1938 Marino Zuco
impianta il primo cotile in
lega cromo-cobalto-molibdeno (Vitallium).
Il grande impulso evolutivo
si ha però per merito di John
Charnley che negli anni
Sessanta introduce il concetto di protesi a basso attrito,
grazie all’utilizzo del cemento e del polietilene.
L’evoluzione scientifica offre
oggi una svariata possibilità
di scelta per quanto riguarda
la componente acetabolare,
sia in termini di materiali che
di design. Modelli molto diffusi sono quelli a forma ellittica, tronco-conica ed emisferica; nell’ambito dei materiali, il titanio e il più recente
tantalio rappresentano oggi
la scelta più frequente.
L’esperienza chirurgica e gli
studi di revisione dimostrano che il cotile è il “locus
minoris resistentiae” dell’impianto protesico, poiché le
forze di usura e di carico a
cui esso è soggetto sono di
entità nettamente superiore
rispetto agli stress che insistono sulle altre componenti,
e dunque più frequentemente va incontro a mobilizzazione e fallimento.
Le caratteristiche
del cotile Allofit
Il cotile Allofit nasce nel
1992 grazie all’intuizione di
due studiosi austriaci, i professori Nikolaus Böhler e
Wolfgang Schwagerl, che
ricercavano un cotile dall’alta stabilità primaria, in
grado di sfruttare tutte le
opzioni tribologiche e che
poteva essere adatto sia per
protesi di primo impianto sia
di revisione. Introdotto nel
mercato nel 1994, ad oggi
sono più di 300.000 gli
impianti effettuati. Gli
accoppiamenti tribologici
che questo impianto permette sono stati sviluppati negli
anni: infatti nel 1988 nasce
l’accoppiamento metallometallo (Metasul), nel 1995
viene associata l’allumina
(Biolox) per accoppiamenti
in ceramica e infine nel 1999
il polietilene altamente reti-
colato (Longevity).
Allofit è un cotile non
cementato, a design emisferico, ribassato polarmente di 1
mm rispetto al diametro
nominale per consentire il
trasferimento delle forze di
carico nella zona equatoriale.
È una coppa in titanio puro,
ha uno spessore totale di 4
mm e presenta sulla sua
superficie esterna 1200
micro cunei con forma a
uncino e dimensione 1 mm.
Essi hanno direzione variabile dal polo all’equatore e
garantiscono una maggiore
stabilità primaria riducendo i
micromovimenti di leva.
Inoltre, sei solchi equatoriali
a direzione verticale contribuiscono a incrementare la
stabilità rotazionale. Questi
accorgimenti tecnici incrementano dell’80% il contatto
osso-protesi.
Durante la produzione, la
superficie esterna del cotile
subisce un processo di sabbiatura mediante getto
corundico (polvere di corindone Al2O3) che garantisce
un coefficiente di rugosità Ra
di 5µm, favorendo ulteriormente il processo di osteointegrazione.
Esistono due modelli: Allofit
e Allofit/S. Quest’ultimo, in
relazione alle dimensioni
dell’impianto, è dotato di 5, 6
o 7 fori per l’inserimento di
altrettante viti che ne aumentano la tenuta e la stabilità
(vedi foto in alto).
Il design della superficie
interna permette inoltre il
bloccaggio stabile sia degli
inserti in PE sia degli inserti
duri (metallo-ceramica), con
una congruenza completa tra
inserto e cupola nella zona
equatoriale, favorendo così
una distribuzione uniforme
delle forze di carico e la riduzione dei processi di usura.
Il cotile Allofit, per evitare
l’instaurarsi della “malattia
dei detriti”, che con l’innesco
dell’infiammazione può portare alla mobilizzazione asettica dell’impianto, è dotato di
un tappo sul fondo della
cupola e tappi in corrispondenza dei fori per le viti, tutti
vincolati alla struttura
mediante avvitamento. Il
foro polare facilita il posizionamento del cotile tramite il
manico impattatore e fornisce un supporto visivo per
verificare che l’impianto sia
nella posizione corretta.
Allofit è indicato in soggetti
affetti da artrosi primaria e
secondaria, in esiti di anca
displasica o di necrosi avascolare. Non è particolarmente indicato l’utilizzo in
caso di osso sclerotico o
grave deficit di osso acetabolare.
I risultati clinici
Presso la Clinica ortopedica
di Catania, tra il 2003 e il
2011, sono stati effettuati 385
impianti protesici con componente acetabolare Allofit.
Le indicazioni sono state:
220 casi per coxartrosi primaria, 75 casi per esiti di
fratture mediali del collo
femore, 44 casi per displasia
congenita dell'anca (Dca); il
restante numero di pazienti è
stato protesizzato per altre
patologie a più bassa incidenza.
In 150 casi per raggiungere
una buona stabilità primaria
è stato necessario l’inserimento di viti bicorticali,
sfruttando la versione
Allofit/S (holed); mentre in
235 casi è stata impiantata la
versione non holed.
L’età media dei pazienti (226
donne e 159 uomini) è stata
di 67 anni. La via d’accesso
chirurgica è stata l’antero
laterale di Watson-Jones.
Dei 385 soggetti operati sono
stati richiamati a controllo 72
pazienti, di cui 24 maschi e
48 donne con età media di 64
anni (range 53-75); in tutte le
protesi è stato utilizzato l’inserto Alpha Durasul.
I cotili Allofit sono stati controllati con un follow-up
medio di 5 anni (range 9-2
anni), sia da un punto di
vista clinico che radiografico.
Per la valutazione clinica si è
optato per la scala a punti di
Merlè-D’Aubignè-Postel
(MDP), valutando così la
sintomatologia dolorosa, la
deambulazione e la motilità
articolare.
Per la valutazione radiografica si è utilizzata la scheda di
Charnley De Lee, che prende
in esame l’eventuale presenza
di radiolucenze (tipo I, II e
III) o aeree osteolitiche e
l’usura del polietilene.
I risultati clinici ottenuti
con la scheda di MDP sono
stati positivi: 35 casi hanno
raggiunto punteggio complessivo di 11 (valutazione
“ottima”), 20 casi un punteggio di 10 (valutazione
“buona”) e un esito discreto
in 17 casi.
Le immagini radiografiche
nelle due proiezioni ortogonali non hanno mostrato
segni di scollamento; in 12
casi si sono evidenziate
linee di radiolucenza di tipo
I e II all’interfaccia ossocotile, non evolutive nel
tempo e non associate a sintomatologia. I controlli
radiografici intra e post
operatori hanno evidenziato un’ottima stabilità primaria seguita da una buona
stabilità secondaria, confermata dai controlli seriati
negli anni. In nessun
paziente è stata riscontrata
l’usura dell’inserto. È stata
inoltre constatata la corretta
posizione del cotile, valutando l’angolo di inclinazione e l’angolo di antiversione
(compresi nei range di 35° e
45° nel primo caso e tra 5° e
20° nel secondo caso). Non
si sono registrati casi di fallimento.
In conclusione, l’esperienza
maturata presso la Clinica
ortopedica evidenzia, attraverso il riscontro clinico e
radiografico, l’ottima stabilità
a distanza dell’impianto,
frutto di un buon processo di
osteintegrazione. Tutti i
pazienti si sono ritenuti soddisfatti e la maggior parte di
essi ha ripreso le consuete
attività.
C’è però la necessità, per
poter arrivare a conclusioni
finali e a un sereno giudizio
prognostico, di tempi di attesa ancora più lunghi e quindi
di un follow up maggiore che
dia certezze definitive su questo impianto acetabolare.
>
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CASO CLINICO
Paziente di 71 anni affetto da coxartrosi primaria bilaterale.
Quadro radiografico preoperatorio, controllo a 5 e a 8 anni.
Protesi destra impiantata nel 2003, protesi sinistra nel 2009.
>
Immagine preoperatoria
>
Controllo a 5 anni
Controllo a 9 anni della protesi destra e a 3 anni della protesi sinistra
39
<< <<
FACTS&NEWS
Nei disturbi articolari dolorosi
PLUS
US
AMEDIAL
AM
EDIAL PL
™
.S\JVZHTPUHZVSMH[V*VUKYVP[PUHZVSMH[V
*VSSHNLULPKYVSPaaH[V4L[PSZ\SMVUPSTL[HUV4:4
=P[HTPUH*L3*HYUP[PUHM\THYH[V
Dal simulatore di volo
a quello artroscopico
La Società italiana di simulazione in medicina promuove l'utilizzo
di tecnologie avanzate applicate a manichini per simulare ambienti
e situazioni in ogni campo della medicina e chirurgia
ddestrare i medici e
il personale addetto
ai soccorsi d'emergenza attraverso il ricorso a
manichini, robot e software:
questa è la prospettiva offerta dalla simulazione per
addestrare i camici bianchi
in modo che siano preparati
ad affrontare situazioni particolari, impreviste, emergenziali o ad alto rischio. Il
primo congresso nazionale
in Italia su questo tema è
stato organizzato a Firenze,
il 18 e 19 maggio di quest'anno, dalla società scientifica Simmed, la prima associazione dedicata al sistema
di addestramento interattivo. Simmed intende fornire
tecniche avanzate per formare operatori sempre più
qualificati: oltre ai medici,
anche infermieri, fisioterapisti, volontari, addetti della
Protezione Civile.
Facendo pratica attraverso
la simulazione, si è in grado
di far fronte meglio sia alla
routine sia ai casi d'emergenza. Le esperienze sui
simulatori infatti possono
essere ripetute fino a conseguire un elevato livello di
competenza nelle manovre,
evitando il contatto diretto
con i pazienti e migliorando
notevolmente il livello di
sicurezza quando si deve
passare dalla formazione
specifica alla pratica clinica
quotidiana sul campo.
Durante il simposio tenutosi
al Palaffari il pensiero non
poteva non rivolgersi al tristemente noto caso di
Piermario Morosini, il giocatore del Livorno calcio
Pescara, dove è morto poco
dopo. Il calciatore avrebbe
avuto una crisi cardiaca con
un arresto cardiocircolatorio.
Indipendentemente dalle
polemiche su presunti ritardi
dell'ambulanza, è fondamentale che il personale sia pronto a far fronte a eventi nefasti
improvvisi e imprevedibili,
applicandosi attraverso l'uso
dei simulatori.
A
TÀ
I
V
O
N
1 bustina al dì da 1 a 3 mesi
a cicli ripetuti
* adattabile alle singole necessità
RAGGIUNTO!
R
AGGI
GIUN
I TO
TO
O!
Benessere articolare RA
morto durante una partita:
proprio la morte improvvisa
durante l'attività sportiva è
una delle sofisticate simulazioni che sono state proposte dagli operatori dalla
Simmed, in special modo ai
medici dello sport.
Morosini, 25 anni, vittima di
un malore in campo (si parlò
all'inizio di arresto cardiaco,
poi di un difetto congenito al
cuore) durante la partita di
serie B tra Livorno e Pescara,
si era accasciato al suolo al
31esimo minuto del primo
tempo, cadendo faccia a
terra, apparentemente in
preda a convulsioni. I primi
soccorsi sono stati immediati, così è stato detto: lo staff
medico presente allo stadio
ha praticato un massaggio
cardiaco al giocatore, che poi
è stato trasportato in ambulanza all’ospedale civile di
La simulazione
La macrosimulazione ricrea
un ambiente pienamente
attrezzato e, grazie all’utilizzo di un manichino animato
in scala 1:1, in grado di
simulare molteplici situazioni cliniche (pronto soccorso,
reparto ospedaliero, sala
operatoria, sala di emodinamica, ambiente radiologico,
ambulatorio, scene in esterno su luoghi di disastri
ambientali,
terremoto).
Questa situazione consente
al discente di vivere un'ambientazione clinica totalmente sovrapponibile alla
realtà. Gli operatori, le cui
attività sono filmate e registrate, trattano le condizioni
patologiche oggetto del
corso, non solo identificando i diversi quadri patologici e predisponendone l’approccio terapeutico, ma
anche coordinando le diverse figure professionali presenti sulla scena come
richiesto dalla situazione
contingente. Al termine
della prestazione, tutto
quanto accaduto durante la
simulazione viene riproposto agli operatori e discusso
in modo interattivo. Un
software sofisticato fa sì che
il manichino risponda in
modo realistico agli interventi, all’evoluzione della
patologia e ai farmaci. Nella
micro-simulazione una piattaforma software di simulazione clinica di terza generazione (DrSim), altamente
innovativa e sofisticata, consente la creazione di casi clinici in ambiente virtuale ma
ad elevato realismo. La
gestione del paziente virtuale avviene in modo totalmente interattivo e in tempo
reale il discente assiste alla
risposta fisiopatologica derivante dalle sue scelte diagnostico terapeutiche.
Al termine della prestazione, il percorso diagnosticoterapeutico-assistenziale
viene riproposto e tutte le
scelte effettuate possono
essere valutate e commentate insieme all’istruttore, fino
alla condivisione di un
piano d’intervento ottimale.
Il software può essere utilizzato in diverse aree terapeutiche e completamente personalizzato. La fruizione dei
percorsi didattici può avvenire in modalità remota (elearning) o residenziale
(blended-learning) con l’assistenza di tutor d’aula.
Una modalità didattica
in fase di sviluppo
La formula scelta dagli
organizzatori del congresso
ha rotto gli schemi tradizionali che caratterizza abitualmente i convegni: non le
solite fitte sequenze di rela-
zioni che si susseguono,
bensì il connubio fra teoria
e pratica attraverso sessioni
in plenaria sulla teoria della
simulazione e dimostrazioni pratiche durante le quali i
vari sistemi hardware e software sono stati applicati a
casi clinici e contesti decisionali anche imprevedibili
e ad alto rischio. A spiegare
la mission della simulazione
è il presidente della
Simmed, Gian Franco
Gensini, preside della
Facoltà
di
medicina
dell'Università di Firenze:
«Gli strumenti formativi ed
educativi innovativi utilizzati con la simulazione sono
inseriti in scenari che riproducono fedelmente le condizioni reali in cui si opera
nel settore sanitario. In
Italia questa attività è iniziata da qualche anno e stanno
nascendo numerosi centri
universitari e ospedalieri. In
Toscana, ad esempio, sono
attivi da anni centri di simulazione dedicati prevalentemente
alla
chirurgia
(Centro EndoCas di Pisa
creato e seguito dai professori Franco Mosca, Mauro
Ferrari e dalla loro équipe),
alle urgenze pediatiche
(Aou Meyer), all'ortopedia
(Centro di simulazione ad
Arezzo) e alla medicina di
emergenza-urgenza (Centro
di simulazione dell'Aou
Careggi di Firenze)».
Ed è sempre il presidente ad
illustrare la lacuna che
Simmed ha voluto colmare:
«Mancava una società
scientifica che mettesse in
contatto i vari operatori del
settore per confrontare le
diverse esperienze maturate». Del resto il rapido e
continuo avanzamento della
medicina e delle conoscenze
biomediche, oltre al costante sviluppo delle tecnologie
e dei modelli organizzativi,
rendono sempre più difficile per il singolo operatore
mantenersi aggiornato e
competente. Ecco perché
l'associazione scientifica
intende fornire strumenti e
conoscenze ad elevato contenuto scientifico e professionale, oltre che ad elevata
qualificazione tecnologica,
per stare sempre al passo
con i tempi, come precisa il
vice presidente Simmed
Augusto Zaninelli.
Durante il simposio la
Simmed, in collaborazione
con Accurate, ha offerto un
defibrillatore alla Società
Nuova Pallacanestro di
Firenze. La Simmed ha
anche ricordato due esempi
che distinguono tra un buon
addestramento e la sua
mancanza: da un lato l'impresa del comandante pilota
Chesley Sullenberger che,
nel gennaio 2009 a New
York, grazie all'attività continua di addestramento sui
simulatori di volo, è riuscito
a far ammarare sul fiume
Hudson il suo Airbus in avaria, salvando tutti i 150 passeggeri; dall'altro i 32 morti
della nave Costa Concordia
(naufragio avvenuto il 13
gennaio 2012 a poche centinaia di metri dalla costa dell'isola del Giglio).
Irene Giurovich
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CORSI E CONGRESSI
42
Al mercato della scienza
vincerà (di nuovo) la qualità
Una riflessione sul mondo della formazione: come difendersi da un’offerta
pletorica in una professione dove la formazione è tutto? È necessario
valutare indipendenza delle relazioni ed economia dell’organizzazione
Se dovessimo giudicare lo
stato di salute del nostro
Paese dal volume d’affari
che ruota intorno alla formazione ci sarebbe da dubitare che ci troviamo in una
fase di recessione economica. Tra corsi, congressi, convegni, meeting, seminari e
mille altre iniziative culturali sembra che i medici non
abbiano altro da fare che
studiare, aggiornarsi, formarsi: in una parola apprendere, con tutte le sue possibili declinazioni semantiche
e didattiche.
L’offerta formativa è oggi
così pervasiva che ci raggiunge con ogni mezzo
lecito e illecito, su ogni
tipo di piattaforma: cartacea, digitale, a distanza.
Quando sarà ancora possibile trascorrere una giornata di lavoro senza essere
sollecitati da un invito a
colmare le nostre lacune
culturali? Intorno a questo
fitto calendario di eventi
gravitano interessi enormi e
non solo di natura strettamente economica: si tratta
anche di potere rappresentativo, di comunicazione
globale.
Ci sono le società scientifiche, così numerose da aver
saturato tutti i possibili
acronimi e gli ambiti di
competenza. Ci sono le
aziende di settore, che si
stanno prepotentemente
impadronendo della formazione allo scopo di veicolare
contenuti finalizzati all’uti-
lizzo dei loro prodotti. Ci
sono anche i singoli professionisti, che approfittando
di moderni e più sofisticati
sistemi di recruitment
rispetto alla rete di contatti
tradizionale, avviano vere e
proprie attività di insegnamento parallele a quella clinica. È una giungla di accordi verbali e formali, di vincoli di esclusiva e patti di
non concorrenza, di aree di
influenza riservate o promesse, una spartizione precisa di tematiche e platee.
Molte carriere vengono
costruite su questi canali
con sapienti equilibri, sia
all’interno delle aziende che
nel mondo della professione, oramai dilatato ad altre
discipline (la tecnologia,
l’informatica, l’economia, il
diritto, il fisco). Una volta, a
scuola, la chiamavamo
interdisciplinarietà, ora si
chiama globalizzazione del
sapere.
La stessa globalizzazione
che ha portato mutamenti
radicali anche nel rapporto
tra medico e paziente, non
più fondato sul riconoscimento che il sapere sia identificabile con il professionista di fiducia, quanto piuttosto che il sapere sia parte
terza rispetto al rapporto: il
sapere risiede cioè nel web,
nei periodici divulgativi
della salute, nelle trasmissioni televisive e financo
nelle comunità virtuali
(moderna vox populi). Il
professionista è divenuto
solo un intermediario tra il
sapere astratto, ma accessibile da chiunque, e il bisogno reale del paziente.
Questa funzione di provider
ha colpito due volte in negativo i professionisti, se si
pensa, a parti invertite, al
loro rapporto con le istituzioni. Nel contesto appena
descritto il problema delle
informazioni non è più
quello di reperirle ma piuttosto quello di difendersi
da esse e dalla loro pervasività, ovvero quello di
poterle selezionare, vagliare e arginare, discriminando tra buono e cattivo, tra
vero e falso, tra adatto e
non adatto allo scopo. Per
questo motivo le istituzioni,
pubbliche o private, dovrebbero assolvere a un compito
di guida e discernimento,
prima ancora che di produzione di nuove informazioni, fungendo così da provider del sistema formazione.
In tutto ciò si inserisce,
come un volano, la normativa sugli accreditamenti
degli eventi e l’obbligo formale in materia di educazione continua. Il sistema
Ecm funge da catalizzatore
di interessi già vivaci in
partenza, sdoganando una
volta per tutte il ciclo economico connesso, mediante l’assioma, tipicamente
moderno e profondamente
errato, che qualità e denaro
siano intimamente legati,
anche quando il prodotto si
chiama cultura e non solo
quando è una protesi.
Come si esce da tutto ciò?
Quale strada sarà in grado
di ridare dignità e interesse
agli eventi culturali? Quali
saranno gli atteggiamenti
premianti in un sistema
“cultura” dominato anch’esso dalla competizione?
Le risposte, ancora una
volta, stanno nella qualità,
magari un concetto originale di qualità, ma pur sempre
qualità. In tutti i contesti
dominati da eccesso di
offerta e grande competizione (chiamiamoli pure “mercati” senza troppe ipocrisie!)
vi sono due linee di tendenza percorribili, strategicamente opposte tra loro. Da
una parte c’è chi cercherà di
vendere al mercato (appunto) un prodotto a basso
prezzo; anzi, a un prezzo
sempre più basso per essere
sempre più desiderabile dall’acquirente. Dall’altro chi,
invece, punterà sulla differenziazione dei contenuti,
sul loro portato innovativo e
di utilità. Da una parte i
congressi oramai gratuiti, a
invito aziendale, sponsorizzati nelle merci esposte ma
anche nei contenuti delle
relazioni, con relatori a stipendio. Dall’altro congressi
sostenuti interamente o
quasi dalle quote di iscrizione, dall’interesse genuino e
spontaneo a partecipare, sia
come uditore che come relatore, con contenuti indipendenti e non sempre ossequiosi.
Troppo spesso viene confuso il fine con il mezzo, la
forma con la sostanza, l’organizzatore con il finanziatore più o meno occulto.
Masse di persone spostate
da un evento all’altro inconsapevoli del fatto che è il
sistema economico a tirare
le fila dei singoli movimenti.
È così che il medico ha
smesso di andare ai congressi, privandosi di molte
opportunità di crescita e
richiudendosi nell’isolamento operativo di tutti i
giorni.
Nella fiduciosa attesa che le
istituzioni capiscano che
non si gioca né con la cultura né con la scienza, il medico saprà cogliere il senso
finale di questa trasformazione grossolana e irreversibile. Egli sarà in grado di
elaborare in proprio degli
indicatori di qualità, applicabili empiricamente agli
eventi formativi che saranno
davvero tali. Proviamo a
dirne qualcuno? Valutiamo,
per esempio, dove e quando
viene applicata la semplice
regola di obbligare i relatori
a una dichiarazione preliminare su eventuali conflitti di
interesse: molti relatori,
infatti, hanno veri e propri
contratti, come i cantanti o
gli scrittori di best-seller (e
se questo non vuol dire che
siano meno bravi è una
ragione in più perché ciò
venga preteso). Oppure
verifichiamo chi ci chiede di
sostenere in proprio l’iscri-
zione all’evento e chi invece
fa inviti gratuiti con grande
generosità: infatti è importante sapere che tipo di consenso ricerchino gli organizzatori dell’evento (il nostro o
quello degli sponsor?).
Ricordiamo anche che la
necessità di svolgere quotidianamente la professione
segna la differenza tra chi
vive di congressi e chi vive
di lavoro, e trae spunto dal
lavoro reale per elaborare
teorie e insegnamenti.
Quanti relatori si sono oramai persi nella rete dei circuiti internazionali e sono
in tournè forzata da anni,
senza mai vedere un paziente?
E ancora, per finire: la
sobrietà degli ambienti e
degli eventi collaterali consentono di separare chi
ricerca il momento culturale
e chi la mondanità congressuale. La kermesse conviviale non è inconciliabile con
contenuti di alta qualità, ma
quando la prima diviene la
ragione principale dell’aggregazione, spesso avviene a
spese della seconda, anche
solo per via di una selezione
progressiva dei partecipanti.
Indipendenza delle relazioni, economia nella organizzazione, credibilità dei
relatori: un metro di giudizio alla portata di tutti,
semplice ed efficace, per
dare un segno ai mercati
che è ora di cambiare.
G. V.
45
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CORSI E CONGRESSI
Ortopedia in 3D: didattica
con le nuove tecnologie
Video in 3D, ricostruiti attraverso i filmati di sala operatoria, mostreranno ai
chirurghi concetti di biologia e biomeccanica della spalla. È la prima volta
al mondo che si fa un uso didattico del 3D per le patologie della spalla
Il prossimo congresso medico? Al cinema.
È un evento insolito quello che riunirà a Roma il 24 novembre medici e fisioterapisti interessati ad approfondire alcune tra le più attuali tematiche relative al trattamento della
spalla. Il titolo è “La medicina in 3D” (per informazioni:
www.spalla.it) e, proprio per consentire la proiezione di filmati con modalità tridimensionale, si svolgerà allo Space
Cinema, noto nella capitale perché dispone delle attrezzature più adatte per i film in tre dimensioni.
Ma questa volta gli effetti speciali serviranno a scopi
medici e scientifici ed è al presidente del convegno,
Giovanni Di Giacomo, chirurgo ortopedico ed esperto in
chirurgia della spalla, che abbiamo chiesto di illustrarci gli
argomenti che verranno affrontati, per la prima volta in
Europa, in 3D.
Dottor Di Giacomo, il
primo tema è ormai un
classico in ortopedia: l’acido ialuronico. Cosa c’è di
nuovo nell’utilizzo di questa sostanza?
In questi ultimi anni ha trovato un largo spazio specialmente nel ginocchio, ma
l’uso dell’acido ialuronico ad
alto peso molecolare si sta
sempre più affermando nell’anca e nella spalla. Molti
colleghi lo utilizzano di routine e io lo trovo particolarmente utile nelle patologie
degenerative del ginocchio
prima di arrivare allo step
protesico o nelle condropatie femoro-rotulee, così
3D: UNA TECNOLOGIA INNOVATIVA
PER FARE FORMAZIONE
L’originalità del congresso romano è che alcune parti,
in modo particolare quelle dedicate alle infiltrazioni di
acido ialuronico e alla instabilità di spalla, si avvalgono di filmati in 3D: si tratta di ricostruzioni al computer
e di una re-live surgery.
Il convegno non è indirizzato solo ai chirurghi e ai clinici ortopedici, ma anche a fisioterapisti, medici dello
sport, fisiatri e medici di famiglia.
Con le immagini in 3D alcuni concetti particolarmente
complessi vengono resi di più facile comprensione
anche per categorie non specialistiche del settore.
«Il 3D ha soprattutto un valore didattico – dice il presidente del corso Giovanni Di Giacomo –. Io svolgo
un’attività prettamente chirurgica e lavoro molto in
artroscopia e devo dire che il 3D dal punto di vista
pratico, durante l’intervento, aiuta in modo relativo.
Diventa invece estremamente importante quando è
impiegato in ambito didattico, universitario e non, poiché offre agli studenti la possibilità di interpretare al
meglio alcuni concetti di ordine biologico, fisiologico
e biomeccanico. Inoltre, il 3D permette di approfondire argomenti in tempi brevi come sono quelli congressuali e in modo estremamente efficace».
La tecnologia è relativamente costosa e comporta un
certo impegno tecnologico. Servono un approccio di
tipo ingegneristico per ricostruire in 3D alcuni video
fatti al computer e una buona organizzazione in sala
operatoria, con un cameraman e telecamere specifiche. Il risultato è stato eccellente; lo dimostra il fatto
che tutti i video in 3D che vedremo a Roma sono stati
acquistati dai chirurghi statunitensi della American
Academy of Orthopaedic Surgeons (Aaos), che ne
sono rimasti affascinati e li proietteranno a Chicago
durante il congresso che si terrà nel prossimo mese di
marzo, il più importante evento ortopedico al mondo.
R. T.
come nelle artrosi glenoomerali di grado iniziale
della spalla.
Al congresso si parlerà
soprattutto di spalla, anche
perché è organizzato dal
Concordia Hospital di
Roma che ha una tradizione
nella chirurgia di questa
articolazione.
Quali risultati si ottengono
nel trattamento della spalla?
I risultati sono veramente
eccellenti se l’acido ialuronico viene associato a un buon
trattamento riabilitativo e se
il paziente è selezionato correttamente. L’obiettivo è
tenere sotto controllo il processo degenerativo e migliorare il quadro clinico, ma
alcuni colleghi usano l’acido
ialuronico nella spalla anche
per le tendiniti.
Viene solitamente impiegato in combinazione con altri
trattamenti, come la fisioterapia classica, la ginnastica
posturale, lo stretching, il
rinforzo muscolare, la laserterapia o la tecarterapia.
In pazienti anziani con gravi
difficoltà motorie lo utilizziamo soltanto a scopo
antalgico, ma in genere puntiamo anche al recupero
funzionale. Il ricorso alla
chirurgia viene rallentato e
rappresenta comunque un
tentativo lecito prima di sottoporre il paziente a interventi di protesi, che anche
nella peggiore delle ipotesi
non crea un quadro peggiorativo.
È chiaro che se il quadro clinico è importante e quello
radiografico
conferma
un’artrosi di grado avanzato,
questo trattamento è inutile
e si passa direttamente
all’intervento di protesi.
Comunque per motivi clinici non tutti i pazienti possono affrontare il trattamento
chirurgico protesico perché
possono esserci malattie
sistemiche che lo sconsigliano.
Si parlerà poi della tecnica
chirurgica di Latarjet. Per
quale motivo sta riscuotendo un rinnovato interesse?
È una tecnica che ha trovato
un nuovo spazio in questi
ultimi quattro o cinque anni
perché l’artroscopia ha avuto
talvolta delle percentuali di
insuccesso inaccettabili nel
trattamento dell’instabilità
di spalla. Con questo non
voglio dire che l’artroscopia
non sia più valida per questa
condizione patologica, ma è
importante fare una corretta
selezione del paziente. Nei
soggetti che non hanno
lesioni anatomiche complesse ma solo lesioni legamentose, l’artroscopia rimane la
regina degli interventi nel
trattamento dell’instabilità
gleno-omerale. Ma laddove
vi sia una scarsa qualità dell’apparato capsulo-legamentoso, o si abbiano dei deficit
ossei sul versante omerale o
scapolare, la tecnica di
Latarjet trova indicazione
assoluta perché gli insuccessi si misurano nell’ordine
dell’uno o due per cento.
Il ritorno all’utilizzo della
tecnica di Latarjet ha imposto ai chirurghi di spalla di
produrre qualche innovazione: noi per esempio,
abbiamo creato una piccola
placca di pochi millimetri
che, con due viti, permette
di ottenere risultati clinici
migliori e tempi di recupero
particolarmente rapidi; altri
colleghi si stanno impegnando per eseguire questa
tecnica per via artroscopica.
La nostra tecnica prevede
una piccola incisione di
circa cinque centimetri e
l’intervento ha una durata di
circa 25 minuti, mentre nell’artroscopia i tempi superano ancora l’ora e mezza, per
cui riteniamo più opportuno
per ora esporre i nostri
pazienti a un minor rischio
anestesiologico.
È un intervento complesso,
che esige esperienza e organizzazione del gesto per non
ricorrere in errori non più
correggibili. La tecnica
potrà essere spiegata molto
bene grazie al 3D.
Infine, si parlerà di protesi
inversa
Abbiamo invitato il professor
Habermayer
di
Heidelberg (Germania) per
discutere di questo tipo di
protesi, che ha preso piede
perché la protesi anatomica
ha scarso successo quando
la cuffia dei rotatori è lesionata o particolarmente
degenerata e i pazienti
lamentano non solo impotenza funzionale ma anche
> Giovanni Di Giacomo, respon-
sabile del reparto di chirurgia
artroscopica del Concordia
Hospital di Roma
UNA "APP" DI INFORMAZIONE
PER I PAZIENTI
“Spalla” è il nome di una “app” per iphone, sviluppata
da Giovanni Di Giacomo in collaborazione con la sua
équipe del Concordia Hospital. Il principale destinatario
è il paziente e il medico di medicina generale per facilitare la comprensione delle patologie di spalla e indicare i percorsi diagnostici appropriati.
«Il messaggio – spiega il dottor Di Giacomo – è di non fermarsi a un esame ecografico o di risonanza magnetica:
ecografia e risonanza magnetica non bastano per una
diagnosi. Spesso accade che un’ecografia sia effettuata
da una persona non specializzata; se su questa base si
improvvisa una diagnosi e si invia il paziente dal fisioterapista, si rischia un trattamento improprio. La diagnosi di
periartrite scapolo-omerale è ancora la più gettonata, ma
non ha alcun significato». L’app vuole fornire alcune informazioni di base e i consigli migliori per intraprendere una
diagnosi che dovrà essere confermata dallo specialista.
R. T.
importante dolore, perché
non essendoci la cuffia dei
rotatori, che è un depressore
della testa dell’omero, questa migra verso l’arco coraco-acromiale creando un
contatto anomalo.
La protesi inversa è nata in
Francia più di vent’anni fa e
prevede una inversione dell’anatomia, cioè la glena che
normalmente è concava
diventa convessa mentre la
testa dell’omero sul versante
omerale diventa concava.
Per cui, se i pazienti hanno
un’artrosi importante, un
buon deltoide e una cuffia
che non funziona possono
sottoporsi con la giusta
indicazione alla protesi
inversa.
Anche su pazienti ultrasettantenni che hanno fratture
poliframmentarie dell’estremo prossimale d’omero,
invece di provare a mettere
una protesi anatomica o sintetizzare con placche con
viti a stabilità angolare, si
darà direttamente indicazione alla protesi inversa.
A differenza delle protesi
d’anca e di ginocchio, i risultati clinici della protesi “anatomica” di spalla (è la protesi che ricostituisce la normale anatomia) dipendono
dallo stato dei tendini – in
particolare il sottoscapolare,
l’infraspinato e il sovraspinoso – e noi abbiamo imparato a sostituire osso e cartilagine ma purtroppo non i
tessuti molli.
I risultati delle protesi inverse sono discreti o buoni, sul
dolore e anche sulla funzio-
nalità: il paziente riprende
l’articolarità sul piano scapolare tra il 90 e i 130 gradi.
Indicazione per tale intervento viene data per pazienti con spalle molto degenerate. Spesso si tratta di persone non più giovani, con
disordini posturali importanti e una scadente qualità
dell’osso che a volte crea
qualche problematica all’impianto.
Anche in questo caso la
parola d’ordine è selezione
del paziente: la protesi
inversa funziona in modo
soddisfacente quando il
paziente è stato selezionato
correttamente.
Quanto spesso occorre
affrontare degli interventi
di revisione nella protesica
di spalla?
Le revisioni si fanno soprattutto in caso di protesi anatomiche impiantate in
pazienti con scarsa o assente funzione della cuffia dei
rotatori e sono relativamente frequenti, se paragonate a
quelle di ginocchio e anca.
Nelle protesi inverse la revisione diventa un grosso
problema e si aumentano
notevolmente le probabilità
di insuccesso; non è certo
l’opzione di routine, accade
invece più spesso di lasciare
la spalla senza protesi – che
non è ovviamente una cosa
positiva per il paziente – o
di ricorrere eventualmente
all’artrodesi.
Renato Torlaschi
47
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CORSI E CONGRESSI
Strategie per prevenire
gli infortuni nel calcio
Il congresso Isokinetic 2013 di Londra si concentrerà su prevenzione e
trattamento delle lesioni muscolari e tendinee nel calcio. Nel programma
anche le indicazioni chirurgiche, le tecniche operatorie e la riabilitazione
Il classico appuntamento con il congresso annuale di riabilitazione sportiva e traumatologia organizzato dal
Centro Studi Isokinetic è in programma per il 20 e 21 aprile 2013 (www.footballmedicinestrategies.com). Come lo
scorso anno, la rassegna scientifica si terrà all'estero, a
Londra, all'interno del Queen Elizabeth II Conference
Centre.
Il tema principale del congresso, ancora una volta incentrato sulle problematiche muscolo scheletriche del calciatore, sarà "Football medicine strategies for muscle and
tendon injuries" e rappresenterà ancora una volta un
importante momento di confronto tra tutti gli specialisti del
settore, dagli ortopedici ai medici dello sport, dai preparatori atletici ai fisioterapisti. Dopo la scorsa edizione del
congresso, interamente focalizzata sull'articolazione del
ginocchio, ci si concentrerà quindi su tendini e muscoli.
Il programma scientifico prosegue anche nella giornata
del 22 aprile, questa volta all'interno degli spazi del
nuovo stadio di Wembley, quando è prevista una sessio-
Dottor Della Villa, quali
saranno gli argomenti più
importanti trattati al
congresso?
Quest’anno focalizzando la
nostra attenzione solo su
muscoli e tendini sarà possibile approfondire argomenti molto specifici,
come il complesso legame
tra guarigione biologica,
fattori di crescita e stimoli
meccanici.
Altri argomenti che verranno affrontati durante la
manifestazione scientifica
sono i delicati rapporti che
intercorrono tra le tecniche chirurgiche e i protocolli di riabilitazione,
come avviene per gli atleti
operati al tendine rotuleo
o al tendine d’Achille, fino
ad arrivare alle correlazioni cliniche tra pubalgia e
conflitto femoro-acetabolare.
In quali sessioni il chirurgo ortopedico può trovare contenuti in grado di
migliorare la sua pratica
clinica?
Il panel internazionale e
l’approccio multidisciplinare apportano tanti stimoli per l’ortopedico che
intende sviluppare la propria carriera nella “sport
medicine” e in particolare
nel mondo del calcio.
In ognuna delle sessioni,
previste per i diversi
distretti anatomici, sono
sempre analizzate sia le
indicazioni chirurgiche,
sia le tecniche operatorie,
sia le modalità di rientro
allo sport agonistico.
Che tipo di aggiornamento fornirà il summit del 22
aprile? Come si svolgeranno le sessioni pratiche?
I NUMERI DEL CALCIO
DILETTANTISTICO IN ITALIA
In Italia solo la Lega nazionale dilettanti
(Lnd) organizza qualcosa come 700.000
partite l'anno per le squadre maschili
iscritte dal quinto livello del calcio italiano
fino all'ultimo, i campionati femminili e le
manifestazioni del beach soccer e del
calcio a 5. Gestisce anche l'attività di settore giovanile e scolastico.
Con 70.000 squadre e 15.000 società, la
Lnd rappresenta la più grande comunità
sportiva in Italia.
Complessivamente i tesserati sono
1.500.000: 800.000 dai 5 ai 16 anni;
500.000 oltre i 16 anni; 200.000 tra dirigenti e tecnici.
ne particolare, un summit che si occuperà di valutare con
attenzione le strategie di prevenzione degli infortuni. In
questa riunione numerosi esperti, attraverso presentazioni orali e sessioni pratiche, mostreranno i risultati del loro
lavoro quotidiano sul campo, sia in ambito professionistico che amatoriale. Il punto di partenza della discussione
sarà il cambiamento nel numero, nella modalità e nella
tipologia degli infortuni nel calcio a seguito dei principali
cambiamenti avvenuti in questi anni, almeno a livello professionistico: dall'aumentato numero di partite giocate al
sempre più frequente ricorso a terreni in erba sintetica.
Tabloid di Ortopedia ha intervistato il dottor Stefano Della
Villa, presidente del congresso e di Isokinetic Medical
Group, centro medico di eccellenza Fifa, una realtà sempre più diffusa sul territorio capace in questi anni di guadagnare la fiducia delle maggiori società sportive italiane,
a partire da quelle calcistiche, che affidano alla competenza dei centri riabilitativi i propri atleti alle prese con
infortuni più o meno gravi.
Aver aperto una nuova
sede Isokinetic a Londra ci
ha offerto l’opportunità di
costruire negli anni un
rapporto di stima con la
Football Association, che
ha sede all’interno dello
stadio di Wembley.
Da questa collaborazione è
nato lo stimolo a portare la
cultura medica del calcio
anche nel mondo degli
allenatori e dei preparatori
atletici, che hanno la
responsabilità finale di
rimettere in campo gli
atleti che noi medici operiamo e riabilitiamo.
Le sessioni pratiche saranno tenute contemporaneamente su più campi sportivi, perché la nuova struttura di Wembley offre, a lato
del cosiddetto “tempio del
calcio”, una location perfetta per questa iniziativa
scientifica.
La medicina dello sport
italiana può vantare livelli di eccellenza e gode di
grande credito all'estero.
In concreto però nel
nostro paese trova difficoltà a svilupparsi sul territorio. Quali sono i
motivi? Che ruolo ha la
medicina dello sport
all'estero?
La medicina dello sport
italiana è vista con grande
rispetto all’estero. Nel
mondo si parla del modello italiano come di un
esempio
da
seguire,
soprattutto per la lunga
esperienza nella prevenzione delle patologie cardiache attraverso il sistema
di certificazione agonistica
che abbiamo nel nostro
paese.
Ritengo invece che molto
debba essere fatto per crescere nella componente
>
Stefano Della Villa
> Qui sopra il nuovo stadio Wembley di Londra, che ospiterà la sessione scientifica del 22 aprile sulla prevenzione degli infortuni nel calcio.
Per partecipare al congresso è possibile registrarsi direttamente online
al sito www.footballmedicinestrategies.com; per informazioni si può
contattare telefonicamente la segreria Isokinetic allo 051.2986814 o
via email scrivendo a [email protected]
ortopedica e traumatologica della “sport medicine”.
La strada da seguire credo
che dovrà essere aumentare il numero di strutture
specializzate in tal senso,
come avviene per esempio
da tanti anni negli Stati
Uniti.
Come conciliare la necessità di potenziare l'aspetto preventivo, a tutti i
livelli, della medicina e le
sempre più ridotte risorse
economiche dei sistemi
sanitari?
In un’ottica di medio e
lungo termine la strategia
di prevenzione non solo è
vincente sul piano clinico,
ma anche su quello finanziario. Per realizzare questo obiettivo nel breve termine è però necessario
investire risorse in strutture e persone dedicate, una
scelta che per essere efficace dovrebbe essere soprattutto politica: investire
oggi per risparmiare
domani, più facile dirlo
che farlo...
Guardando al calcio di
casa nostra, negli ultimi
anni si può notare un
forte squilibrio nel numero di infortuni muscolari
tra le squadre. Napoli e
Juventus hanno una bassa
incidenza da almeno due
anni, mentre nello stesso
periodo Milan e Inter
hanno avuto parecchi
guai muscolari. La medicina dello sport può pog-
giarsi su solide evidenze
scientifiche e prevenire
gli infortuni o siamo
ancora lontani da questo
obiettivo?
Rispondere su situazioni
specifiche come quelle
delle squadre che ha citato
non è possibile perché i
dati raccolti dipendono da
dinamiche che solo il
medico di squadra può
conoscere.
In generale però le evidenze scientifiche sono molto
chiare: un semplice programma di prevenzione,
come l’11+ proposto dalla
Fifa, mostra una riduzione
del 30% degli infortuni,
come dimostrato in un
ampio studio dai ricercatori
dell’Oslo
Trauma
Centre. Risultati eccellenti
che si possono ottenere
con venti minuti di esercizi da ripetere con costanza,
sul campo da calcio, tre
volte alla settimana.
In Italia però è difficile
implementare questi programmi perché per storiche abitudini alla maggioranza dei nostri atleti
manca la costanza e la continuità necessarie. Si
dovrebbe educare un sistema e partire dai settori
giovanili.
Per chi volesse saperne di
più il programma e gli studi
a cui faccio riferimento si
possono trovare nel sito
www.fifa.com e saranno
ampiamente descritti nel
corso del prossimo congresso londinese.
Andrea Peren
49
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FOCUS ON
Lo sport è parte integrante
della medicina riabilitativa
A volte lo sport diventa una vera e propria terapia: per i diversamente
abili è un passaggio importante del percorso di riabilitazione, che è sia
mentale che fisico. E con tanto lavoro si può arrivare alle Paralimpiadi
Oggi riconosciuta come elemento chiave del processo di
recupero funzionale di individui diversamente abili, la sportterapia si è diffusa in Italia grazie ad Antonio Maglio, medico
pioniere di tale approccio riabilitativo che, nel settembre del
1960, organizzò i primi giochi paralimpici a Roma.
Reduce dalle Paralimpiadi 2012 di Londra, il capitano della
Nazionale italiana di basket in carrozzina, Matteo Cavagnini,
sottolinea come l’attività sportiva possa contribuire al raggiungimento di un soddisfacente livello di autonomia compatibile
con il livello di lesione, migliorare l’autostima e promuovere il
reinserimento sociale di un disabile.
Tuttavia, secondo l’atleta paralimpico, nel nostro Paese dovrebbe essere maggiore lo sforzo per far conoscere le strutture sportive in cui si lavora in tal senso e per avvicinare sempre più persone allo sport, indipendentemente dal loro grado di disabilità e
dalle loro capacità di raggiungere i massimi livelli.
Signor Cavagnini, come si è
avvicinato alla pallacanestro?
In modo casuale, incontrando in un ufficio pubblico due
membri della squadra di pallacanestro di Brescia che,
vedendomi zoppicare, mi
hanno subito coinvolto e mi
hanno invitato a provare a
giocare a basket. Non ho
impiegato molto ad amare
questo straordinario sport e
la passione è aumentata man
mano che mi allenavo e incominciavo a notare i miglioramenti.
Anche quando non vestivo i
panni dell’atleta mi sentivo
meglio. Il potenziamento
muscolare a seguito di allenamenti mirati mi ha infatti
dato maggiore sicurezza negli
atti di vita quotidiana, come
sollevare e trasportare pesi, e
anche una maggior fluidità di
movimento.
Che ruolo riveste lo sport
nella vita di un disabile?
Lo sport per un ragazzo disabile, così come per un atleta
normodotato, è una continua
opportunità. Ti consente di
conoscere sempre gente
nuova, fare molte amicizie.
Nella mia vita ha portato
tanta voglia di vivere e felicità, facendomi conoscere la
ragazza che poi ho sposato.
Inoltre, se visto nell’ottica
dell’agonismo, lo sport è
competizione, porsi obiettivi, voglia di lottare per raggiungere traguardi. In definitiva, praticare un’attività
sportiva significa provare a
superare i propri limiti in
ogni allenamento.
Cosa richiede la preparazione di una gara paralimpica?
L’esperienza paralimpica è
fantastica perché ti permette
di vedere lo sport e la vita da
un’altra angolazione.
Prepararsi a questo grande
evento significa fare immensi
sacrifici per raggiungere il
sogno di giocare contro i più
forti al mondo.
Il lavoro inizia almeno due
anni prima, perché il primo
scoglio è la qualificazione. Se
si è bravi, preparati e fortunati, incomincia l’anno paralimpico. Un periodo lunghissimo, ricco di appuntamenti,
raduni, tornei, mirati a far
crescere la squadra man
mano che si avvicina la data
della partenza.
Oggigiorno, grazie ai nuovi
mezzi di comunicazione,
quali internet e in particolare
i social network, è molto più
semplice venire a conoscenza
dello sport paralimpico, ma
sono convinto che i mass
media possano e debbano
fare ancora di più.
Quali sono le basi del programma terapeutico e riabilitativo che ha seguito per il
raggiungimento delle sue
performance sportive?
La mia società è il Santa Lucia
Sport di Roma, che oltre a
essere un centro d’eccellenza
in quanto a riabilitazione ha
impostato la sport-terapia
come fase principale per il
recupero sia mentale sia fisico.
All’inizio degli anni Sessanta
il concetto di riabilitazione,
nella sua accezione moderna,
era praticamente poco noto
se non addirittura sconosciuto. Esisteva pochissimo in
termini di risorse umane professionalizzate, metodologie e
cultura. L’Istituto Santa Lucia
si è fatto promotore di idee e
iniziative che suscitarono già
in quegli anni notevole interesse. Si è cominciato così a
parlare di metodiche di rieducazione funzionale, di
reinserimento sociale e lavorativo e, soprattutto, di sportterapia per gli individui
diversamente abili (paraplegici, polio, amputati, ipovedenti e cognitivi).
Mi sembra, quindi, importante ricordare che le tre squadre
(minibasket, Serie B, e Serie
A1) del Santa Lucia Sport
sono sempre a disposizione
per chiunque voglia provare.
Si tratta di una grande opportunità, soprattutto per i bambini disabili, che non necessariamente diventeranno grandi campioni ma che possono
sfruttare le proprietà riabilitative dello sport e da semplici
spettatori diventare protagonisti sportivi.
Lo specialista in medicina
sportiva è sicuramente il
primo punto di riferimento
dell’atleta. Qual è l’approccio alla disabilità da parte di
tale professionista rispetto
al medico di medicina generale?
Lo specialista in medicina
dello sport conosce in modo
più approfondito non solo la
disabilità, ma anche le diverse
condizioni che ne derivano,
quali ad esempio le piaghe da
decubito per un paraplegico,
oppure i problemi alla schiena per un amputato. Il suo
supporto è pertanto rilevante
per risolvere i problemi che
compaiono durante la pratica
dell’attività sportiva e la cui
gestione è ancora più critica
nella preparazione di un
appuntamento molto importante come le Paralimpiadi.
La nostra Nazionale ha avuto
la fortuna di frequentare il
Centro di preparazione
Olimpica dell’Acqua Acetosa
di Roma dove, oltre a foresteria e palestra, aveva a disposizione uno staff eccezionale di
medicina sportiva. Siamo
stati seguiti da professionisti
che, attraverso la gestione di
atleti ai massimi livelli, hanno
acquisito numerose competenze anche in ambito psicologico e hanno rappresentato
per tutti noi atleti un vero
sostegno.
Sono talmente tanti i dubbi e
le difficoltà che possono
insorgere durante la preparazione di una gara olimpica,
che è fondamentale avere a
fianco qualcuno in grado di
spronarti e assisterti con
grande professionalità.
In che misura lo staff tecnico è supportato anche da
altre figure professionali?
Sia nel club sia in Nazionale il
lavoro dei tecnici è costantemente affiancato da figure
specializzate, quali medici,
fisioterapisti e preparatori
atletici.
> Matteo Cavagnini, capitano della
Nazionale italiana di basket in
carrozzina che ha da poco concluso la sua patecipazione alle
Paralimpiadi di Londra 2012
Il basket in carrozzina, infatti,
è uno dei pochi sport per
disabili che schiera contemporaneamente in campo atleti con diversi tipi di disabilità
e soprattutto differenti potenzialità fisiche. È, pertanto, un
team multidisciplinare che
valuta le caratteristiche e le
problematiche individuali
degli atleti così da definire la
tempistica e l’appropriato
percorso di preparazione alla
gara.
Il lavoro congiunto di tutti
questi professionisti ci consente di scendere in campo
contando sul fatto di avere
una carrozzina con un’altezza
dello schienale e un’inclinazione del sedile che garantiscano un assetto ottimale per
sfruttare al meglio le nostre
capacità motorie. Abbiamo,
inoltre, la certezza di avere a
fianco persone qualificate per
la costante tutela della nostra
salute.
A fine Luglio, ad esempio,
sono rimasto bloccato per
un’acutissima forma di lombalgia, ma grazie al grande
impegno dei fisioterapisti
della Nazionale coadiuvati
dai medici e dallo staff tecnico ho potuto riprendere gli
allenamenti in breve tempo.
Lo sviluppo di nuove metodiche riabilitative nonché di
ausili tecnici sempre più
sofisticati, cui si è assistito
nell’ultimo decennio, quanto contribuisce al successo
del lavoro dello staff tecnico
e quindi dell’atleta?
La mia esperienza è molto
positiva: appena sono entrato
nella palestra del Santa Lucia
Sport ho capito che mi trovavo in un posto speciale.
All’interno di questa struttura i meccanici curano fin nei
minimi particolari le carrozzine che, grazie alle loro
caratteristiche di stabilità,
leggerezza e aerodinamicità,
rendono più rapidi e sicuri gli
spostamenti.
Anche in ambito riabilitativo,
l’utilizzo da parte del gruppo
di fisioterapisti di nuove terapie fisiche, quali il “taping
neuromuscolare” e la “tecarterapia”, è molto importante
per risolvere situazioni posttraumatiche.
Quali sono i principali
rischi dello sport che pratica
e come vengono gestiti?
Purtroppo tutti gli sport presentano dei rischi, in particolare quelli molto fisici. Per fortuna nella pallacanestro capitano di rado episodi degni di
nota. Succede di cadere e di
avere contatti fisici con gli
avversari, a volte anche molto
violenti, ma con l’esperienza si
impara a ricevere botte.
L’ausilio dei medici di medicina sportiva è fondamentale
per una corretta ripresa dell’attività agonistica dopo un
infortunio, in tempi più o
meno rapidi.
Luigia Atorino
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CORSI E CONGRESSI
LA SINDROME FEMORO-ROTULEA
A Milano, nell'aula magna dell'Istituto Ortopedico Gaetano
Pini, venerdì 14 dicembre si terrà un corso teorico e pratico sulla
sindrome femoro-rotulea: dall'instabilità alla protesi.
«Quando si parla di ginocchio si pensa immediatamente ai legamenti crociati, ai menischi, alla cartilagine – sottolinea il dottor
Massimo Berruto, presidente del corso e responsabile della
Struttura dipartimentale di chirurgia articolare del ginocchio
dell’Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano –. Esiste tuttavia
una parte dell’articolazione del ginocchio, l’articolazione femororotulea appunto, magari meno nota e con una minore visibilità
da un punto di vista mediatico, ma altrettanto importante. Se si
pensa che a tale parte del ginocchio si possono far risalire più del
40 per cento di tutti i dolori che interessano questa articolazione,
e che le instabilità rotulee, la tendenza cioè della rotula a sublussarsi o lussarsi, limitano in modo significativo il livello di attività, non solo sportiva, dei pazienti che ne soffrono, si può ben
capire quanto sia importante per un ortopedico saper inquadrare correttamente e trattare questa patologia molto complessa».
La qualità del percorso formativo è assicurato dalla grande esperienza dei chirurghi sull'argomento. Come spiega Amedeo
Tropiano, direttore generale dell’Istituto Ortopedico Gaetano
Pini, nell'ospedale milanese infatti la struttura di chirurgia articolare del ginocchio ha una casistica importante.
Il corso, patrocinato da Siot e Sigascot, non si limiterà a questo
incontro: «Il corso – spiega Berruto – fa parte di un percorso di
formazione sulla femoro-rotulea, i cui successivi appuntamenti prevedono nel 2013 un corso pratico di formazione chirurgica su cadavere e un secondo corso teorico pratico che si terrà a
Genova, sede operativa dell’altro organizzatore, il dottor
Claudio Mazzola».
«Vogliamo creare in questo modo, nell’ambito della comunità
ortopedica italiana, un linguaggio comune e una metodologia
omogenea nell’affrontare la patologia femoro-rotulea» spiega
Mazzola, che è primario presso l’Ospedale Galliera di Genova.
Il corso prevede relazioni di aggiornamento su tutte le patolo-
gie più importanti che possono colpire la rotula, dall’instabilità, al dolore, dalle lesioni
cartilaginee fino all’artrosi, e
dei video girati in diretta
mostreranno ai partecipanti
tutte le principali tecniche chirurgiche, dalle più semplici
alle più complesse, eseguite dai
migliori chirurghi ortopedici
nazionali e internazionali in
questo campo. Tra i relatori ci
sarà anche il noto David > Massimo Berruto
Dejour, principale esponente
di quella scuola lionese che ha insegnato a tutto il mondo come
valutare e trattare la patologia femoro-rotulea del ginocchio, e
a lui si affiancheranno i migliori chirurghi italiani in questo settore. Si parlerà ovviamente di cartilagine, con un aggiornamento su tutte le soluzioni biotecnologiche più moderne per trattare tali lesioni e di protesi mirate alla sola sostituzione dell’articolazione femoro-rotulea, un campo nuovo e molto stimolante, su cui si stanno concentrando molte risorse nel campo della
ricerca e dell’ingegneria biomeccanica.
Il corso sfrutterà anche le possibilità date dalle nuove frontiere
della comunicazione e dei social network. Attraverso un indirizzo twitter infatti, anche i chirurghi che non si iscriveranno direttamente, potranno inviare domande ai membri della faculty
durante il corso.
Per informazioni
Keyword Europa srl
Tel. 02.54122513/79 - Fax 02.54124871
[email protected]
www.gpini.it
CONGRESSO GISOOS
Da giovedì 29 novembre a sabato 1 dicembre si terrà a
Bergamo il congresso del Gruppo italiano di studio in ortopedia
dell'osteoporosi severa (Gisoos) fondato qualche anno fa dal
professor Umberto Tarantino. Il titolo del congresso sarà «Le
fratture da fragilità ossea nelle osteoporosi: la terapia medica e
chirurgica».
«Il Gisoos è un gruppo costituito esclusivamente da specialisti in
ortopedia e traumatologia, con lo scopo di definire nuove linee
di comportamento e di garantire un’adeguata formazione agli
specialisti che più spesso si trovano a gestire la malattia osteoporotica» ci ha spiegato
Tarantino.
La società scientifica fin
dalla sua nascita si pone
anche l’obiettivo di rendere più realistici i dati epidemiologici
relativi al nostro Paese, mediante una più stretta collaborazione tra le diverse divisioni di ortopedia e traumatologia di tutta
Italia e una sensibilizzazione capillare che coinvolga l’intero territorio nazionale.
Un approccio più consapevole a questa patologia potrà avere
come risultato anche la riduzione dell’incidenza delle ri-fratture,
che quasi inevitabilmente seguono al primo evento fratturativo.
Per informazioni
Dynamicom srl
Tel. 02.89693750
[email protected]
DALLE AZIENDE
Migliorare la perfusione per trattare le tendinopatie
Le tendinopatie sono condizioni patologiche innescate da
insulti di vario genere, in gran parte dei casi di origine meccanica, come traumi diretti o accumulo di microlesioni. La causa
principale delle tendinopatie è il sovraccarico funzionale che
provoca spesso una ridotta perfusione ematica del tendine.
Nell’ambito di una ridotta perfusione sanguigna, l’ossido
nitrico (NO) gioca un ruolo chiave nel migliorare il flusso ematico locale, agevolare l’apporto di ossigeno e nutrienti, favorire i processi di guarigione tissutale.
Tenosan (Agave Farmaceutici) permette di migliorare la perfusione ematica del tendine grazie all’aumento della produzione di ossido nitrico da parte delle cellule endoteliali. Gli
attivi che mediano questo processo
sono l’Arginina L-alfa Chetoglutarato,
precursore dell’ossido nitrico, e il
Vinitrox che, con l’azione diretta sull’enzima ossido nitrico sintetasi endoteliale, aumenta il rilascio di ossido
nitrico in circolo, con il conseguente
aumento della perfusione sanguigna
dei tendini.
Ma nel quadro fisiopatologico delle
tendinopatie non si può prescindere
dall’infiammazione, che è possibile
contrastare grazie all’impiego del
Metilsulfonilmetano (MSM), zolfo organico che migliora la permeabilità cellulare e favorisce l’eliminazione dei cataboliti
infiammatori, riducendo flogosi e dolore. Ad ogni processo
infiammatorio, poi, consegue inesorabilmente la formazione
di edema, che può comprimere i vasi e ridurre la perfusione;
la bromelina previene la formazione dell’edema e riduce il
decorso di quello già formato.
Infine, è fondamentale l’apporto di Collagene di tipo I con
spiccato tropismo per il tendine. Il Collagene di tipo I, nella
forma idrolizzata presente in Tenosan, stimola la sintesi di
collagene endogeno, migliora il trofismo e aumenta la resistenza e l’elasticità del tendine.
Tenosan, un’associazione di Arginina
L-alfa Chetoglutarato, Vinitrox, MSM,
Bromelina e Collagene di tipo I, è
indicato in tutti i casi di sovraccarico
funzionale dei tendini, di microtraumi
tendinei da lavoro e sport, nel periodo post-operatorio (in particolare
durante la fase di immobilità) e nella
fase riabilitativa. Il trattamento prevede la somministrazione di due bustine al giorno – una al mattino e una
alla sera – per due mesi a cicli ripetibili nel corso dell’anno.
CONVEGNO DI TRAUMATOLOGIA CLINICA E FORENSE
Venerdì 23 e sabato 24 novembre a Salsomaggiore
Terme, presso le Terme Zoja, si terrà il terzo convegno di
traumatologia clinica e forense. A presiedere i lavori
saranno Giuseppe Dell'Osso, Fabio M. Donelli e
Giorgio Varacca.
Il congresso si concentrerà sul tema delle complicanze in
ortopedia, passando dalle problematiche cliniche alle
considerazioni medico-legali.
«Le complicanze in ortopedia e traumatologia sono di
particolare attualità in quanto la responsabilità professionale ha assunto un rilievo sempre maggiore dal punto di
vista giuridico – riassumono bene i presidenti del congresso –. Infatti il diverso modo di percepire il concetto di
salute da parte del cittadino, la sempre più invadente
pressione mediatica e il prospettare di ottime soluzioni
diagnostiche e terapeutiche da parte dello stesso personale medico, ha portato a un aumento esponenziale delle
denunce e delle richieste di risarcimento in ambito ortopedico».
Gli stessi chirurghi sottolineano come è allo stesso
tempo necessario tenere
presente che in ortopedia e
traumatologia il rischio clinico è alto dovendosi operare sugli arti e sull’apparato locomotore, con problematiche anatomo-cliniche
che potrebbero provocare
limitazioni funzionali. A
maggior ragione allora la
condotta terapeutica dovrà
essere attenta e diligente,
dal planning pre-operatorio al decorso post-chirurgico, e altrettanto nella > Fabio Donelli
verifica del risultato, che
dovrà essere oggettivamente documentato. Non solo. Il
moderno approccio chirurgico multidisciplinare ha come
obiettivo di prevenire l’insorgenza delle complicanze nell’approccio pre-operatorio, riconoscendo l’eventuale presenza di condizioni clinico-patologiche che potrebbero
rappresentare contro-indicazioni all’intervento proposto.
«Fra le complicanze dovranno essere tenute in considerazione la tromboembolia e le complicanze settiche. In questa tipologia, la prevenzione assume particolare importanza e la diagnosi precisa e il trattamento adeguato
potranno essere determinanti nella risoluzione del caso»
sottolinea Fabio M. Donelli, uno dei presidenti del congresso.
All'interno della riunione scientifica è stato organizzato il
corso di aggiornamento “Dalla riabilitazione al gesto
sportivo”, con la partecipazione di medici sportivi e di
riabilitatori esperti, il corso “La riabilitazione del giovane
anziano”, che tratterà della prevenzione e delle problematiche posturali post-chirurgiche e un workshop sulle
patologie e sulla gestione nutrizionale e riabilitativa negli
sport da fatica.
Nella giornata di venerdì è previsto anche un importante
corso di formazione patrocinato dalla Società italiana di
ortopedia e traumatologia (Siot) sulla chirurgia mininvasiva dell'anca, tenuto dal professor Marco d'Imporzano.
Il congresso proseguirà il sabato, giornata interamente
dedicata agli aspetti medico-legali e caratterizzata dalla
partecipazione di rappresentanti della Siot e della Sismla.
La prima sessione avrà come tema “L’identificazione del
rapporto di causalità” e saranno trattati argomenti quali
la responsabilità del paziente e della ditta fornitrice dello
strumentario chirurgico. Nella seconda sessione, “La
valutazione del danno e il contenzioso”, si parlerà dell’identificazione delle aree grigie causalmente riconducibili e il risvolto assicurativo della responsabilità medica.
A seguire si discuterà di risarcimento in sede di mediazione, di responsabilità penale e dei recenti orientamenti
giurisprudenziali.
Per informazioni
Keyword Europa
Tel. 02.54122513
Fax 02.54124871
[email protected]
www.keywordeuropa.com
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XI CONGRESSO SICOST
Venerdì 23 e sabato 24
novembre si terrà a Pisa
l'undicesimo congresso della
Società italiana chirurgia
dell'osteoporosi
(Sicost),
fondata dieci anni fa dal
compianto professor N.
Marchetti, al quale è dedicata questa edizione del congresso.
«Per quanto riguarda i temi
congressuali ho voluto
riprendere gli argomenti che
erano stati presentati in
occasione del primo con- > Giulio Guido
gresso nazionale della
Sicost, che si svolse a Venezia nell'ottobre del 2002, per
vedere quali evoluzioni e quali progressi ci siano stati in
questi dieci anni nella fisiopatologia, diagnosi e trattamento medico e chirurgico dell'osteoporosi» ci ha spiegato il
professor Giulio Guido, presidente del congresso e direttore della II Unità operativa di ortopedia e traumatologia
dell'Azienda ospedaliero-universitaria Pisana.
Dopo aver "ripassato" la fisiopatologia dell'osteoporosi e
fatto il punto sull'epidemiologia ad oggi, verranno ricordati i fondamentali approcci diagnostici e i criteri della diagnosi differenziale. Si parlerà poi di osteoporosi giovanile,
dell'uso clinico della vitamina D e dei farmaci antifratturativi. Dopo aver preso in considerazione anche le complicanze della terapia medica, si analizzerà il contributo della
riabilitazione nella prevenzione e trattamento dell'osteoporosi e l'uso della stimolazione biofisica nel dolore cronico.
Il programma scientifico prevede anche un'interessante
tavola rotonda sulle fratture mediali dell’epifisi prossimale
del femore, che porterà a distinguere i criteri che portano
alle diverse scelte terapeutiche: quando protesizzare, quando ricorrere all'endoprotesi, quando al chiodo e quando
alla placca.
«Credo che questo incontro possa costituire un'importante occasione di scambio di conoscenze scientifiche e professionali su un argomento che negli ultimi anni ha ottenuto l'importanza che merita, specie nell'ambito dell'ortopedia e traumatologia» ha concluso Giulio Guido, che è
anche direttore della Scuola di specializzazione in ortopedia e traumatologia dell'Università di Pisa.
Per informazioni
Caracciolo eventi
Tel. 050.3143148
[email protected]
www.sicost2012.it
CORSI E CONGRESSI
MASTERCLASS SIGASCOT
CONGRESSO DI
SU PROTESICA DEL GINOCCHIO TRAUMATOLOGIA PEDIATRICA
Venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembe a Firenze si terrà il
Masterclass Complex Primery and Revision Total Knee
Arthroplasty: un incontro di live surgery sul trattamento di casi
complessi in chirurgia protesica del ginocchio organizzato da
Sigascot con il patrocinio di Siot.
L’intervento di protesi totale eseguito per patologia degenerativa
del ginocchio ha raggiunto un elevato livello di diffusione e
riproducibilità tecnica e di risultati. La risoluzione di deformità
moderate con l’intervento di artroprotesi è una pratica oramai
disponibile nell’armamentario di ogni ortopedico. «Numerosi e
dettagliati testi, monografie e materiale video hanno reso possibile la diffusione della conoscenza nel settore su vasta scala.
Restano però da divulgare le metodiche di gestione delle deformità più gravi e impegnative, tra cui anche quelle di revisione di
impianti falliti» spiegano i due direttori del Masterclass Andrea
Baldini (direttore di ortopedia alla Clinica Humanitas di
Milano) e Francesco Giron (Sod di traumatologia e ortopedia
generale dell'azienda ospedaliero universitaria Careggi).
L’evento ha insomma la finalità di approfondire ogni tema che
riguardi la protesica di ginocchio nei casi complessi e nelle revisioni e si avvarrà di relatori con riconosciuta esperienza nei vari
argomenti presi in esame. «Tutti gli aspetti verranno presi in
considerazione ponendo però in primo piano quanto è generalmente accettato e acquisito e facendo il punto delle nuove
tecniche e tecnologie a disposizione per migliorare ulteriormente i risultati clinici – sottolinea Paolo Adravanti, presidente del Masterclass –. I principali obiettivi di questo evento sono,
quindi, di trasmettere ai partecipanti le più recenti e affermate
opzioni diagnostiche e terapeutiche nel trattamento dei casi di
grave patologia degenerativa del ginocchio e di riprotesizzazione per fallimento meccanico o settico dell’impianto, consentendo all’uditore di apprendere tutto ciò che di più recente esiste sull’argomento» ha concluso Adravanti, che è responsabile
del reparto di ortopedia della Casa di cura Città di Parma.
In particolare verranno approfonditi i temi della biomeccanica
della protesi, i biomateriali, le indicazioni all’intervento, le
novità in tema di tecnica chirurgica, la correzioni di gravi
deformità, e le riprotesizzazioni.
I massimi esperti nazionali – un panel davvero di alto livello –
interverranno con relazioni e lezioni magistrali sui vari argomenti. Gli stessi esperti eseguiranno anche interventi, che
saranno trasmessi in diretta, e presenteranno filmati di interventi esemplari, commentando insieme agli uditori i gesti chirurgici eseguiti.
Per informazioni
Nico Congressi
Tel. 055.8797796 - Fax 055.8797843
[email protected]
www.nicocongressi.it - www.sigascot.com
IL PAZIENTE ANZIANO CON FRATTURE DA FRAGILITÀ
Sabato 26 gennaio 2013 a Milano, presso il Palazzo delle
Stelline, si terrà il convegno dal titolo “La gestione del
paziente anziano con frattura da fragilità: problematiche
chirurgiche, cliniche e considerazioni medico legali”.
Nella gestione del paziente anziano affetto da osteoporosi
la frattura del femore rappresenta la problematica clinica
più rilevante sia per lo specialista ortopedico, che si trova
ad agire per primo in urgenza, sia per gli altri specialisti e
per il medico curante che prendono in carico successivamente il paziente.
Il trattamento ortopedico delle fratture da fragilità è necessario e tecnicamente consolidato nella pratica chirurgica,
ma ciò nonostante mortalità e invalidità sono ancora elevate nel paziente anziano, in particolare per le fratture di
femore.
«Alcune problematiche ortopediche sono tuttora dibattute,
come ad esempio l'indicazione alla vertebroplastica del
paziente anziano e le problematiche annesse alla protesizzazione delle fatture femorali e omerali – spiegano Fabio
Maria Donelli e Fabio Massimo Ulivieri, presidenti del
convegno –. Anche la terapia farmacologica di prevenzione
e trattamento dell'osteoporosi nell'anziano richiede un
dibattito ad hoc, sia per le terapie innovative all'orizzonte,
sia per le specificità che contraddistinguono la gestione del
paziente anziano con fratture da fragilità. Scarsa aderenza
alle terapie croniche e condizioni di ipovitaminosi D sono
alcune delle principali cause che inficiano l'effetto antin-
fiammatorio dei farmaci per osteoporosi - sottolineano i
due chirurghi -. Una particolare attenzione va posta inoltre
all'effetto dei farmaci antinfiammatori sulla guarigione della
frattura e sul riassorbimento osseo periprotesico».
Non da ultimo, i chirurghi si trovano a confrontarsi con
sempre più numerose problematiche medico-legali connesse ai loro atti medici e chirurgici e, in particolare, con quella relativa al consenso informato per terapie innovative o
sperimentali, che assume rilievo specifico nell'anziano, gravato spesso da patologie cognitive. Anche di questo si parlerà al convegno di Milano, durante il quale «sarà simulato un
caso di contenzioso con l'obiettivo di identificare il rapporto di causalità fra una patologia lamentata e la terapia eseguita, con valutazione dell'eventuale danno subito» spiegano gli organizzatori.
L’obiettivo dell’incontro scientifico sarà quello di attivare un
confronto multidisciplinare su queste problematiche. «La
condivisione di un percorso comune di gestione del paziente anziano con frattura da fragilità – sottolineano Donelli e
Ulivieri – è auspicabile per una ottimizzazione degli interventi sanitari».
Per informazioni
VTB Congressi
Tel. 02.57506065 - Fax 02.57791204
[email protected]
A Torino, presso il centro
congressi Torino Incontra,
da giovedì 24 a sabato 26
gennaio si ripete l'appuntamento con il congresso di
traumatologia pediatrica,
giunto ormai alla sua quinta
edizione. Una manifestazione che non è espressione di
una società scientifica ma è
il frutto del lavoro delle
persone che operano in un
unico dipartimento ospedaliero: il reparto di ortopedia
pediatrica
dell'Ospedale
Infantile Regina Margherita
di Torino. Il primario,
Antonio Andreacchio, è
> Antonio Andreacchio
stato affiancato – come
nelle attività di tutti i giorni
– da Matteo Paonessa e Lorenza Marengo, arrivando a
definire un programma scientifico di alto livello, ancora
una volta premiato e riconosciuto da Sitop (la Società italiana di ortopedia e traumatologia pediatrica) e Siot, che
hanno concesso il loro patrocinio.
A spiegarci bene l'obiettivo didattico della manifestazione
scientifica è proprio il dottor Andreacchio: «il nostro
scopo è quello di offrire ai colleghi ortopedici che operano
in ospedali generali e che curano soprattutto gli adulti,
quegli strumenti atti a fornire ai loro piccoli pazienti le
cure più adeguate, dando loro un congresso che sia praticamente utile per “ripassare” vecchi concetti e “imparare”
moderni orientamenti del trattamento delle fratture in età
pediatrica».
Tra gli ospiti internazionali ci saranno il professor Pierre
Lascombes, ideatore del metodo dell’inchiodamento
endomidollare elastico in età pediatrica; il professor
Thomas Wirth, che è succeduto da qualche anno al celeberrimo professor Parsh alla guida del reparto di ortopedia
pediatrica dell’Olga Hospital di Stoccarda; il dottor
Vincenzo De Rosa, italiano che vive all'estero da oltre vent'anni e che oggi dirige l’unità di ortopedia pediatrica
dell’Ospedale di Bellinzona, nel Canton Ticino.
Per informazioni
Selene srl
Tel. 011.7499601 - Fax 011.7499576
[email protected]
www.seleneweb.com
SIGASCOT: PAOLO ADRAVANTI
ELETTO ALLA PRESIDENZA
Durante l’assemblea generale dei soci Sigascot che si
è svolta giovedì 11 ottobre a
Napoli durante il congresso
nazionale, Paolo Adravanti
è stato nominato presidente
della società scientifica per
il biennio 2012-2014.
Adravanti, che è responsabile del reparto di ortopedia
della Casa di cura Città di
Parma, è uno dei nostri
migliori chirurghi del ginocchio, soprattutto per quanto
riguarda la tecnica artroscopica, ed è molto apprezzato
anche all’estero.
A supportarlo nelle numerose
attività di Sigascot ci
> Paolo Adravanti
saranno i componenti del
consiglio direttivo:
Andrea Baldini, Giuseppe Milano, Luigi
Pederzini, Pietro Randelli, Stefano
Zaffagnini, Claudio Zorzi e tutti i presidenti dei vari comitati.
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CORSI E CONGRESSI
54
L’ A g e n d a d e l l ’ O r t o p e d i c o
2012
21-24 novembre
XLIX congresso Società italiana di reumatologia
Milano, MiCo
Segreteria Organizzativa: AIM Group International
Tel. 02.56601.1 - Fax 02.56609045
[email protected] - www.congressosir2012.com
23-24 novembre
Convegno di traumatologia clinica e forense
Le complicanze in ortopedia e traumatologia
Salsomaggiore Terme (PR), Terme Zoja
Segreteria Organizzativa: Keyword Europa
Tel. 02.54122513 - Fax 02.54124871
[email protected] - www.keywordeuropa.com
23-25 novembre
XI Congresso Nazionale della Società Italiana
di Chirurgia dell'Osteoporosi (SICOST)
L'osteoporosi dieci anni dopo: che cosa è cambiato
Pisa, Parco di San Rossore - Sala Giovanni Gronchi
Segreteria Organizzativa: Caracciolo Eventi
Cell. 346.5415119 - [email protected]
www.sicost2012.it
24 novembre
XI Congresso regionale SVOTO
La chirurgia di revisione protesica di anca oggi
Verona
Segreteria Organizzativa: Ad Arte srl
Tel. 051.19936160 - Fax 051.19936700
[email protected]
Tabloid di Ortopedia Anno VII - numero 7 - novembre 2012
Mensile di informazione, cultura, attualità
Direttore responsabile
Paolo Pegoraro [email protected]
Redazione
Andrea Peren [email protected]
Segreteria di redazione e traffico
Maria Camillo [email protected]
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Grafica e impaginazione
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Hanno collaborato in questo numero: Luigia Atorino,
Giorgio Castellazzi, Irene Giurovich, Claudia Grisanti,
Domenico Lombardini, Monica Oldani, Renato Torlaschi
PUBBLICITÀ
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Giuseppe Roccucci [email protected]
Vendite
Stefania Bianchi [email protected]
Sergio Hefti (Agente) [email protected]
Manuela Pavan (Agente) [email protected]
Fabrizio Rasori (Agente) [email protected]
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24-25 novembre
XVI Congresso Nazionale della Società Italiana
di Educazione Fisica (SIEF)
Imparare a muoversi. La necessità della
ginnastica come scienza e come educazione
Pisa, Centro Polifunzionale A. Maccarrone - Auditorium
Segreteria Organizzativa: Istituto Duchenne
Tel. e Fax 055.4360774 - [email protected]
29 novembre-1 dicembre
Congresso del Gruppo Italiano di Studio in
Ortopedia dell'Osteoporosi Severa (GISOOS)
Le fratture da fragilità nelle osteoporosi primitive
e secondarie: la terapia medica e chirurgica
Bergamo
Segreteria Organizzativa: Dynamicom srl
Tel. 02.89693770 - Fax 02.201176 - [email protected]
30 novembre-1 dicembre
Master Class Sigascot: Chirurgia protesica
di ginocchio primaria complessa e di revisione
Firenze, CTO Aula Scaglietti
Segreteria Organizzativa: Nico Congressi
Tel. 055.8797796 - [email protected]
30 novembre - 1 dicembre
Corso nazionale SIMFER
Tecnologie per promuovere attività e partecipazione
Prato, Hotel Datini
Segreteria Organizzativa: MediK
Tel. 049.8170700 - Fax 049.2106351
[email protected] - www.simfer.it - www.medik.net
1 dicembre
Congresso regionale ASOTO
Le fratture del ginocchio
Acicastello (Catania), Sheraton Catania Hotel
Segreteria Organizzativa: Fininvest Congressi,
Tel. 095.383412 - Fax 095.370419
[email protected]
[email protected]
1 dicembre
Congresso Regionale SOTOP
Infezioni osteoarticolari
Vercelli
Segreteria Organizzativa: Il Melograno Servizi
Tel. 011.505730 - [email protected]
3-5 dicembre
11° Corso di aggiornamento sulla chirurgia
protesica dell’arto inferiore
Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli
Segreteria Organizzativa: Symposia Organizzazione Eventi srl
Tel. 0584.430402 - [email protected]
10-12 dicembre
11° Corso di aggiornamento sulla chirurgia
protesica dell’arto inferiore
Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli
Segreteria Organizzativa: Symposia Eventi srl
Tel. 0584.430402 - [email protected]
13-15 dicembre
VII Congresso OrtoMed
Firenze, Palazzo degli Affari
Segreteria Organizzativa: Regia Congressi srl
Tel. 055.795421 - Fax 055.7954280 - [email protected]
14 dicembre
Corso teorico pratico
Femoro-rotulea: dall'instabilità alla protesi
Milano, Istituto Ortopedico G. Pini
Segreteria Organizzativa: Keyword Europa srl
Tel. 02.54122513/79 - [email protected]
14 dicembre
Congresso regionale ACOTO
Fratture da fragilità. Mininvasività in ortopedia
Napoli
Segreteria Organizzativa: Ble group srl
Tel. 0823.301653/361086 - Fax 0823.363828
www.ble-group.com
15 dicembre
XV Congresso regionale SLOTO
Le pseudoartrosi
Milano
Segreteria Organizzativa: Keyword Europa srl
Tel. 02.54122513 - [email protected]
2013
14-16 gennaio
1st European Congress
Defining a reconstruction ladder for the treatment
of musculoskeletal conditions using regenerative
approaches: a consensus conference.
1 Bone. 2 Cartilage. 3 Soft tissues
Milano, Aula Magna Università degli Studi di Milano
Segreteria Organizzativa: Keyword Europa srl
Tel. 02.54122513 - Fax 02.54124871
[email protected] - www.estrot2013.eu
24-26 gennaio
5° Congresso di Traumatologia Pediatrica
Torino, Ospedale Infantile Regina Margherita
Segreteria Organizzativa: Selene Eventi e Congressi
Tel. 011.7499601 - Fax 011.7499576
[email protected]
26 gennaio
La gestione del paziente anziano con frattura da
fragilità: problematiche chirurgiche, cliniche e
considerazioni medico legali
Milano, Palazzo delle Stelline
Segreteria Organizzativa: VTB Congressi
Tel. 02.57506065 - [email protected]
8 febbraio
La patologia del ginocchio nell’età
dell’accrescimento
Padova, Crowne Plaza Conference Center
Segreteria Organizzativa: MV Congressi
Tel. 0521.290191 - Fax 0521.291314
[email protected] - www.mvcongressi.it
15 febbraio
Corso Rome Elbow 2013
Protesi di gomito: stato dell'arte
Roma, Università La Sapienza
Segreteria Organizzativa: Zeroseicongressi srl
Tel. 06.8416681 - Fax 06.85352882
[email protected]
21-22 febbraio
5° Congresso dell'Accademia Universitaria di
Ortopedia e Traumatologia
Ancona, Clinica Ortopedica A.O.U. Ospedali Riuniti
Segreteria Organizzativa: Congredior
Tel. 071.2071411 - Fax 071.2075629
[email protected]
23 febbraio
Artroscopia gomito e polso nella traumatologia.
Passato, presente e futuro
Milano
Segreteria Organizzativa: Segreteria SIA
Tel. 051.380748 - Fax 051.3764173
[email protected]
18-20 marzo
Giornate di aggiornamento multiprofessionale
VII corso teorico-pratico
Riabilitazione, una scienza in cammino: il nuovo
in medicina fisica e riabilitativa
La Villa (BZ)
Segreteria Organizzativa: Medi K srl
Tel. 06.48913318 - Fax 06.89280089
[email protected]
www.simfer.it
ORTORISPOSTA
RISPOSTA AL QUESITO DIAGNOSTICO
La diagnosi esatta è cisti semplice del calcagno. Infatti:
u In questa lesione, non vi sono livelli fluido-fluido, come
accade invece nelle cisti aneurismatiche; solo dopo frattura vi possono essere livelli fluido-fluido nella cisti ossea
semplice.
u Nei tumori giganto-cellulari la densità tipica è quella dei
tessuti molli, mentre nelle cisti è liquida.
u Il segnale in T1 non è iperintenso, nè vi è calcificazione
centrale, reperti tipici per lipoma.
1-2 capsule al giorno
preferibilmente in unica
somministrazione
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