Il contratto di franchising secondo la legislazione italiana ed internazionale:
il problema di una corretta scelta della legge applicabile
1. Premessa
In via generale, con il termine “franchising” (o affiliazione commerciale) si individua una
particolare tipologia di contratto mediante la quale un soggetto, detto franchisor (o affiliante),
conferisce ad un altro soggetto giuridicamente ed economicamente indipendente, detto franchisee (o
affiliato), la disponibilità, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o
intellettuale inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti su un
dato territorio, allo scopo di commercializzare beni o servizi.
Pertanto, com’è agevole notare, il fine ultimo del contratto di franchising è, per il franchisor, quello
di creare una efficace rete distributiva dei propri prodotti e/o servizi senza dovere sostenere i costi e
gli sforzi connessi alla creazione ed allo sviluppo di una propria rete distributiva; invece, per il
franchisee, il fine ultimo è quello di entrare a far parte di una rete distributiva collaudata di beni e/o
servizi, che godono già di una certa rinomanza e fiducia presso gli utilizzatori finali, mantenendo al
tempo stesso la propria indipendenza economica e giuridica.
Questo è il motivo del successo di una siffatta tipologia contrattuale che, nata negli Stati Uniti nella
seconda metà dell’800, si è successivamente diffusa in tutto il mondo ed oggi rappresenta una delle
tipologie distributive più usate tanto che, oggigiorno, si distinguono almeno tre grandi categorie di
franchising, ovvero, il franchising di produzione o industriale1, il franchising di distribuzione2 ed il
franchising di servizi3, ai quali si affiancano numerose altre fattispecie specifiche di franchising4.
Con il presente scritto si intende porre in evidenza le problematiche legate alla scelta della legge
applicabile ad un contratto di franchising stipulato tra parti di nazionalità diversa; a tal fine si
effettuerà una breve disamina dei tratti caratteristici della Legge 6 maggio 2004, n. 129, che ha
recentemente disciplinato il contratto di franchising inserendolo tra i c.d. contratti “tipici” 5 (la
“Legge 129/2004”), nonché di quanto previsto dalle normative UE e USA, oltre che
dall’UNIDROIT6.
1
Nel franchising di produzione, o industriale, l’affiliato si impegna a produrre, secondo le indicazioni dell’affiliante ed
utilizzando le materie prime e l’assistenza tecnica fornite da quest’ultimo, un determinato prodotto che in seguito lo
stesso affiliato vende con il marchio dell’affiliante; a tale riguardo, si noti come questa tipologia di franchising preveda
la combinazione di licenze di marchio e di licenze di produzione basate su brevetti e/o su know-how tecnico, che la
rendono molto simile ai contratti di subfornitura ed ai contratti c.d. OEM (Original Equipment Manufacturer).
2
Il franchising di distribuzione è la forma più diffusa di affiliazione commerciale (particolarmente utilizzata nel settore
dell’abbigliamento, della pelletteria, e dei prodotti cosmetici) dove il franchisor fornisce al franchisee i propri prodotti
(fabbricati o fatti fabbricare a terzi dallo stesso franchisor) affinché il franchisee li distribuisca al consumatore finale.
3
Questa tipologia di franchising rappresenta la “trasposizione” del franchising di distribuzione al mondo dei servizi;
infatti, con il franchising di servizi (molto usato dalle catene di autonoleggi, ristoranti, alberghi, agenzie di viaggio ed
istituti di bellezza) non si distribuisce un prodotto bensì si presta un servizio che l’affiliato eroga nel rispetto delle
istruzioni operative fornite dall’affiliante.
4
Esistono, infatti, anche il corner franchising; il master franchising, il franchising bancario, il franchising finanziario e
così via. Per una disamina completa delle diverse tipologie di franchising cfr., tra gli altri, G. Zuddas, Somministrazione
Concessione di Vendita Franchising, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Vincenzo Buonocuore, Sezione II,
tomo 3. II, Torino, 2003, pagg. 296-300.
5
In precedenza, infatti, il contratto di franchising era classificato come contratto “atipico”, in quanto privo di una
disciplina ad hoc, alla quale si applicavano per analogia le disposizioni previste dal codice civile e dalla legislazione
speciale per i contratti distributivi affini.
6
Come noto, l’UNIDROIT è una organizzazione intergovernativa indipendente il cui scopo principale è quello di
ammodernare e armonizzare il diritto privato (ed in particolare il diritto commerciale) dei singoli Stati aderenti e non
all’UNIDROIT.
2. Il franchising nella Legge 129/2004
Ai sensi dell’art. 1, comma 1, Legge 129/2004, “l’affiliazione commerciale (franchising) è il
contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente
indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un
insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni
commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o
consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di
affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”; il
secondo comma prosegue stabilendo che “il contratto di affiliazione commerciale può essere
utilizzato in ogni settore di attività economica”.
Da questa definizione, emergono i tratti caratteristici del contratto di franchising; in particolare il
contratto di affiliazione commerciale deve (i) essere stipulato tra due soggetti economicamente e
giuridicamente indipendenti; (ii) comportare la concessione di una licenza, dal franchisor al
franchisee, dei diritti di proprietà industriale o intellettuale che sono nella disponibilità del
franchisor; e (iii) prevedere l’utilizzo di una rete distributiva già costituita, funzionante e,
soprattutto, sperimentata in precedenza dall’affiliante (come si evince dal combinato disposto degli
artt. 1, comma 1, e 3, comma 2).
Si deve precisare da subito che la Legge 129/2004 non intende disciplinare la “vita” di un contratto
di franchising bensì le fasi che precedono la “nascita” di questo contratto; infatti, i 9 articoli di cui
si compone la Legge 129/2004 pongono per lo più una serie di obblighi precontrattuali di
comportamento tra le parti lasciando all’autonomia di quest’ultime il compito di regolamentare i
rapporti contrattuali nascenti dal rapporto di affiliazione commerciale.
Pertanto, dopo aver fornito alcune definizioni chiave come quelle di know-how7, diritto di ingresso
(o entry fee)8, royalties9 e beni dell’affiliante10 e dopo avere precisato all’art. 2 che le disposizioni
relative al contratto di affiliazione commerciale si applicano anche ai contratti di master
franchising 11 e corner franchising 12 , la Legge 129/2004 negli artt. da 3 a 6 pone una serie di
obblighi precontrattuali in capo a ciascuna delle due parti.
7
Ai sensi dell’art. 1, comma 3, lett. a) per “know-how” si intende “un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate
derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; per
segreto, che il know-how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei
suoi elementi, non è generalmente noto né facilmente accessibile; per sostanziale, che il know-how comprende
conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita, la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o
servizi contrattuali; per individuato, che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da
consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità”.
8
Ai sensi dell’art. 1, comma 3, lett. b) per “diritto di ingresso” si intende “una cifra fissa, rapportata anche al valore
economico e alla capacità di sviluppo della rete, che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto di
affiliazione commerciale”.
9
Ai sensi dell’art. 1, comma 3, lett. c) per “royalties” si intende “una percentuale che l’affiliante richiede all’affiliato
commisurata al giro d’affari del medesimo o in quota fissa, da versarsi anche in quote fisse periodiche”.
10
Ai sensi dell’art. 1, comma 3, lett. d) per “beni dell’affiliante” si intende “i beni prodotti dall’affiliante o secondo le
sue istruzioni e contrassegnati dal nome dell’affiliante”.
11
L’art. 2, Legge 129/2004, indirettamente definisce il master franchising come il “contratto di affiliazione
commerciale principale con il quale un’impresa concede all’altra, giuridicamente ed economicamente indipendente
dalla prima, dietro corrispettivo, diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un’affiliazione commerciale allo scopo di
stipulare accordi di affiliazione commerciale con terzi”; in altri termini, con questa particolare tipologia di affiliazione
commerciale, l’affiliante concede all’affiliato la possibilità di stipulare ulteriori contratti di sub-franchising all’interno
di un determinato territorio (di solito coincidenti con il territorio di uno Stato, cosa che rende questo tipo di franchising
particolarmente adatto alle reti di affiliazione commerciale di dimensione internazionale).
Innanzitutto, l’art. 3 stabilisce quello che deve essere il contenuto minimo (di forma e di sostanza)
del contratto di franchising, che deve prevedere:
(i)
la forma scritta a pena di nullità;
(ii)
se a tempo determinato, una durata non inferiore a tre anni (fatta in ogni caso salva la
possibilità di risoluzione anticipata per inadempimento di una delle parti);
(iii) l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve
sostenere prima dell’inizio dell’attività;
(iv)
le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, e l’eventuale indicazione di un
incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato;
(v)
l’ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in
relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante;
(vi)
la specifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato;
(vii) le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato;
(viii) le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e
commerciale, progettazione ed allestimento, formazione; e
(ix)
le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.
Si noti che soltanto la forma scritta è richiesta a pena di nullità del contratto, mentre le altre
previsioni non prevedono una simile sanzione; tuttavia, si potrebbe ritenere che, poiché l’art. 3
individua quello che è il contenuto minimo obbligatorio del contratto di franchising (il comma 4
stabilisce che “il contratto deve inoltre espressamente indicare…”), la mancanza o l’incompletezza
di uno o più degli elementi obbligatori previsti dall’art. 3, potrebbe determinare la nullità del
contratto per indeterminatezza dell’oggetto ovvero per mancanza della causa negoziale,
conformemente ai principi generali in materia di nullità dei negozi giuridici.
L’art. 4 indubbiamente caratterizza la Legge 129/2004 come una normativa che impone particolari
obblighi precontrattuali in capo all’affiliante; tale articolo, infatti, impone all’affiliante una vera e
propria obbligazione di disclosure poichè, almeno 30 giorni prima della sottoscrizione del contratto
di franchising, l’affiliante deve consegnare all’aspirante affiliato (a) una copia completa del
contratto da sottoscrivere, e (b) i seguenti documenti informativi:
(i)
i principali dati relativi all’affiliante, tra cui ragione e capitale sociale e, previa richiesta
dell’aspirante affiliato, copia del suo bilancio degli ultimi tre anni o dalla data di inizio
della sua attività, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni;
(ii)
l’indicazione dei marchi utilizzati nel sistema, con gli estremi della relativa registrazione
o del deposito, o della licenza concessa all’affiliante dal terzo, che abbia eventualmente
la proprietà degli stessi, o la documentazione comprovante l’uso concreto del marchio;
(iii) una sintetica illustrazione degli elementi caratterizzanti l’attività oggetto dell’affiliazione
commerciale;
(iv)
una lista degli affiliati al momento operanti nel sistema e dei punti vendita diretti
dell’affiliante;
(v)
l’indicazione della variazione, anno per anno, del numero degli affiliati con relativa
ubicazione negli ultimi tre anni o dalla data di inizio dell’attività dell’affiliante, qualora
esso sia avvenuto da meno di tre anni;
(vi)
la descrizione sintetica degli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali, promossi nei
confronti dell’affiliante e che si siano conclusi negli ultimi tre anni, relativamente al
12
Sempre l’art. 2 definisce indirettamente anche il corner franchising come il “contratto con il quale l’affiliato, in
un’area di sua disponibilità, allestisce uno spazio dedicato esclusivamente allo svolgimento dell’attività commerciale di
cui al comma 1 dell’articolo 1”; è il caso dei centri commerciali i quali, in veste di affiliati, stipulano con l’affiliante un
contratto di franchising che li autorizza ad allestire all’interno dello stesso centro commerciale un angolo (ovverosia il
corner) in cui distribuire i prodotti e/o i servizi dell’affiliante, come una sorta di negozio nel negozio.
sistema di affiliazione commerciale in esame, sia da affiliati sia da terzi privati o da
pubbliche autorità, nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy.
Tale disclosure obligation (per certi versi molto simile a quelle attività di due diligence che
normalmente precedono le operazioni di acquisizione societaria in cui il potenziale acquirente
raccoglie tutte le informazioni necessarie per valutare gli aspetti contabili, fiscali, finanziari, legali,
previdenziali, ambientali e così via dell’entità che si intende acquisire al fine di valutare la
convenienza di una simile acquisizione) può essere mitigata solo ove sussistano comprovate
esigenze di segretezza e riservatezza di cui, in ogni caso, l’affiliante deve dare atto nella copia del
contratto consegnata all’aspirante affiliato.
Va da sé che tutti i summenzionati obblighi informativi hanno chiaramente l’obiettivo di mettere
l’aspirante franchisee nella condizione di valutare al meglio l’opportunità e la convenienza
dell’ingresso nella rete distributiva del franchisor, nonché le prospettive future di guadagno e la
rinomanza del marchio e dei prodotti dell’affiliante.
A fronte di un così ampio obbligo di informazione imposto all’affiliante in favore dell’aspirante
affiliato, il successivo art. 5 impone in capo a quest’ultimo semplicemente (a) l’obbligo di non
trasferire la sede, qualora questa sia indicata nel contratto, senza il preventivo consenso
dell’affiliante (eccezion fatta per i casi di forza maggiore) e (b) l’obbligo di osservare e fare
osservare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo scioglimento del contratto, la massima
riservatezza in ordine al contenuto dell’attività oggetto dell’affiliazione commerciale.
Da questo sbilanciamento di obbligazioni in favore dell’aspirante affiliato, emerge chiaramente
l’intento del legislatore di tutelare il franchisee, ovvero il contraente debole, nella fase delle
trattative e quindi la vocazione pro affiliato della Legge 129/2004.
Infine, l’art. 6 prevede tanto in capo al franchisor quanto in capo all’aspirante franchisee, l’obbligo
di tenere, in qualsiasi momento, un comportamento ispirato a lealtà, correttezza e buona fede e di
fornire tempestivamente all’altra parte ogni dato o informazione necessario ai fini della stipulazione
del contratto di franchising.
Gli artt. 7 e 8 della Legge 129/2004 prevedono inoltre (i) la facoltà per le parti di prevedere, per
tutte le controversie relative al contratto di franchising, un tentativo obbligatorio di conciliazione
(preventivo ad ogni ricorso all’autorità giudiziaria o alle camere arbitrali) presso la CCIAA del
luogo dove ha sede l’affiliato; e (ii) l’annullabilità del contratto ed il risarcimento del danno (se ne
sussistono le condizioni) qualora una delle parti abbia fornito all’altra parte informazioni false.
3. Il franchising nella normativa internazionale
3.1 La normativa UE
In ambito comunitario il contratto di franchising è disciplinato esclusivamente ai fini della
normativa a tutela della concorrenza (antitrust)13; il quadro normativo di riferimento, pertanto, è
dato (i) dal Regolamento (CE) n. 2790/1999 relativo all’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del
trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate (il “Reg. 2790/1999”); e (ii) dalle
Linee direttrici sulle restrizioni verticali (c.d. Guidelines) che accompagnano il Reg. 2790/1999.
13
Preme precisare da subito che la normativa comunitaria antitrust si applica a tutti i contratti di franchising che hanno
esecuzione all’interno del mercato UE, a prescindere dalla legge applicabile al contratto stesso; ad esempio, un contratto
di franchisng tra un franchisor statunitense ed un franchisee francese, anche se le parti hanno scelto di assoggettare tale
contratto alla legge USA, deve sempre e comunque rispettare la normativa antitrust UE, stante il carattere imperativo di
tale normativa.
In forza dei punti 42-45 e 199-201 delle Guidelines, gli accordi di franchising sono accordi verticali
(ovvero accordi tra soggetti che si collocano ad un diverso livello della catena
produttiva/distributiva) che comportano, da una parte, la licenza, dall’affiliante in favore
dell’affiliato, di un insieme di diritti di proprietà intellettuale ed industriale (che riguardano in
particolare marchi, insegne e know-how) per l’uso e la distribuzione di beni o servizi e, dall’altra
parte, l’assistenza tecnica e/o commerciale, da parte dell’affiliante in favore dell’affiliato, per tutta
la durata dell’accordo di franchising.
Secondo la normativa comunitaria, quindi, la licenza e l’assistenza sono parti integranti della
formula commerciale oggetto del franchising.
Pertanto, in considerazione dei potenziali effetti anticoncorrenziali che gli accordi di franchising
possono comportare (quali, ad esempio, la distribuzione selettiva, la distribuzione esclusiva e gli
obblighi di non concorrenza), il Reg. 2790/1999 e le relative Guidelines dettano una serie di
disposizioni volte a neutralizzare tali restrizioni oppure a controbilanciarle con effetti benefici verso
gli utilizzatori finali; in particolare, le Guidelines stabiliscono che:
(a) quanto maggiore è il trasferimento di know-how dall’affiliante all’affiliato, tanto più è
probabile che le restrizioni verticali eventualmente presenti in un accordo di franchising
siano ammissibili; e
(b) un obbligo di non concorrenza imposto dall’affiliante in capo all’affiliato è ammissibile (e
può durare per tutta la vigenza del contratto di franchising nonché per tutto l’anno
successivo alla conclusione dello stesso accordo) quando tale obbligo di non concorrenza è
necessario a mantenere l’identità comune e la reputazione della rete di franchising.
A quest’ultimo riguardo, si ritiene che i seguenti obblighi (astrattamente anticoncorrenziali) siano
generalmente ammissibili in quanto necessari a proteggere i diritti di proprietà immateriale
dell’affiliante:
(i)
l’obbligo, per l’affiliato, di non intraprendere, direttamente o indirettamente, attività
simili;
(ii)
l’obbligo, per l’affiliato, di non acquisire partecipazioni nel capitale di un’impresa
concorrente, nel caso in cui ciò gli darebbe il potere di influenzare il comportamento
economico di tale impresa concorrente;
(iii) l’obbligo, per l’affiliato, di non rivelare a terzi il know-how fornito dall’affiliante finché
tale know-how non sia divenuto di dominio pubblico;
(iv)
l’obbligo, per l’affiliato, di comunicare all’affiliante qualsiasi esperienza acquisita
sfruttando il franchising e concedere all’affiliante e agli altri affiliati una licenza non
esclusiva per il know-how che risulta da tale esperienza;
(v)
l’obbligo, per l’affiliato, di segnalare all’affiliante le violazioni dei diritti di proprietà
immateriale sotto licenza, intraprendere azioni legali contro i trasgressori o assistere
l’affiliante in qualsiasi azione legale intentata contro gli stessi;
(vi)
l’obbligo, per l’affiliato, di non utilizzare il know-how concesso in licenza dall’affiliante
a fini diversi dallo sfruttamento del franchising;
(vii)
l’obbligo, per l’affiliato, di non cedere i diritti e gli obblighi derivanti dall’accordo di
franchising senza il consenso dell’affiliante.
Alla luce di quanto precede, si deve necessariamente concludere che i contratti di franchising in
Italia (o soggetti alla legge italiana), non solo devono rispettare le disposizioni della Legge
129/2004, ma anche quelle del Reg. 2790/1999 (e delle relative Guidelines) ed in particolare
devono avere un contenuto conforme alle prescrizioni della normativa comunitaria.
3.2 La legislazione USA
Negli Stati Uniti, in materia di franchising esistono due livelli di normative: a livello federale la
Federal Trade Commission (FTC) ha adottato nell’ottobre 1979 la Disclosure Requirements and
Prohibitions Concerning Franchising and Business Opportunity Ventures (più comunemente nota
come FTC Rule)14, mentre a livello statale 15 Stati hanno adottato proprie leggi nazionali in materia
di franchising15.
Posto che la FTC Rule, in quanto legge federale direttamente applicabile in tutti i 50 Stati USA,
prevale sulle singole leggi statali, il rispetto delle disposizioni della FTC Rule assicura pertanto ad
un franchisor straniero il rispetto delle varie disposizioni nazionali.
Un esempio per tutti: la legislazione di alcuni Stati USA richiede che prima ancora che l’affiliante
offra il proprio franchising agli aspiranti affiliati, i vari documenti informativi che devono essere
forniti all’aspirante affiliato, dovranno essere registrati in un apposito registro; tuttavia, qualora tali
prospetti informativi siano redatti secondo le regole della FTC Rule (c.d. Offering Circular) ciò
esonera il franchisor dal rispetto dell’obbligo di registrazione previsto dalla legislazione statale
poiché la FTC Rule non impone alcun obbligo di registrazione.
Anche la FTC Rule (così come la Legge 129/2004 e la legge modello UNIDROIT) è una disclosure
law che pone l’accento sull’obbligo dell’affiliante di fornire all’aspirante affiliato (al primo incontro
con l’aspirante affiliato o al più tardi almeno 10 giorni prima della firma del contratto o del
pagamento dal parte dell’aspirante affiliato di qualsiasi spesa o onere connessa al contratto di
franchising) una lunga serie di informazioni riguardanti l’affiliante stesso e la propria formula di
franchising.
In ogni modo, sia la FTC Rule che la legislazione dei 15 Stati che hanno disciplinato il franchising,
si sono astenuti dal regolamentarne il contenuto lasciando questo compito all’autonomia
contrattuale delle parti.
3.3 La legge modello UNIDROIT
Fatta eccezione per la normativa antitrust UE, non esiste alcuna regolamentazione internazionale in
materia di franchising; infatti, tale fattispecie contrattuale è stata regolamentata solamente a livello
nazionale, mentre manca una normativa convenzionale internazionale in materia di franchising.
Soltanto l’istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato (UNIDROIT), nel settembre
2002 ha adottato il “Model Franchise Disclosure Law” al fine di creare una legge modello in
materia di franchising (ovvero una legge priva di efficacia vincolante e volta unicamente a fornire,
appunto, un modello ai legislatori nazionali).
Come è agevole notare dalla stessa denominazione di tale legge modello (Disclosure Law), si tratta
di un testo che, come la Legge 129/2004, non si occupa della “vita” del contratto di franchising
bensì della sua “nascita” imponendo al franchisor (e solo a quest’ultimo, non richiedendosi invece
alcuna disclosure obligation in capo all’aspirante franchisee16) una lunga serie di informazioni (di
14
Si noti che la FTC Rule è attualmente oggetto di riforma da parte della stessa FTC.
Il primo Stato americano ad avere adottato una normativa ad hoc in materia di franchising è stata la California con la
California Franchise Investment Law del 1970 e la California Franchise Rergistration and Disclosure Act del 1971.
16
Ciò che rappresenta una prima differenza con la Legge 129/2004 che invece all’art. 6 prevede anche in capo
all’aspirante affiliato l’obbligo di fornire all’affiliante “ogni informazione e dato la cui conoscenza risulti necessaria o
opportuna ai fini della stipulazione del contratto di affiliazione commerciale, anche se non espressamente richiesti
dall’affiliante” .
15
gran lunga maggiori e dettagliate rispetto agli obblighi di disclosure imposti dalla Legge 129/2004)
che devono essere fornite all’aspirante franchisee almeno 14 giorni prima della firma del contratto o
del pagamento da parte dell’aspirante franchisee di qualsiasi spesa o onere collegato al contratto di
franchising.
Inoltre, questa legge modello è completamente priva di qualsiasi riferimento al contenuto minimo
obbligatorio del contratto di franchising, ciò che accentua ulteriormente il suo carattere di
disclosure law.
4. La scelta della legge applicabile al contratto di franchising stipulato tra parti di nazionalità
diversa
Dalla sommaria analisi della legislazione italiana ed internazionale in materia di franchising
effettuata nei paragrafi precedenti, si possono trarre alcune considerazioni sulla legge applicabile ad
un contratto di franchising da stipularsi tra parti di nazionalità diversa.
Si è visto che la Legge 129/2004 è chiaramente una legge che prevede un notevole favor verso
l’aspirante affiliato, imponendo in capo all’affiliante l’obbligo di comunicare all’aspirante affiliato,
almeno 30 giorni prima della firma del contratto, una notevole serie di dati riguardanti lo stesso
affiliante e la propria rete di franchising.
Pertanto, nel caso in cui si sia in trattative con un franchisor straniero per la stipulazione di un
contratto di affiliazione commerciale sul territorio italiano, potrebbe essere opportuno assoggettare
il contratto di franchising alla legge italiana e quindi alla Legge 129/2004 (a tutto vantaggio
dell’aspirante affiliato17).
Diversamente, qualora “si vestano i panni del franchisor”, nelle trattative con un franchisee
straniero, per i motivi suddetti potrebbe essere preferibile non assoggettare il contratto di
franchising alla legge italiana (che, come appena detto, prevede un contenuto minimo obbligatorio
del contratto di franchising), bensì ad una legge straniera che preveda obblighi precontrattuali meno
stringenti in capo al franchisor.
Infine, si deve considerare che la Legge 129/2004 consente solamente l’uso di reti di franchising già
collaudate e sperimentate, ciò che pertanto potrebbe costituire un problema per il franchisor
straniero che intenda assoggettare alla legge italiana un agreement, stipulato con un aspirante
franchisee italiano, volto alla sperimentazione di una rete di affiliazione commerciale.
Queste considerazioni (e molte altre di carattere commerciale), devono essere necessariamente
effettuate quando ci si trova di fronte al problema della scelta della legge applicabile ad un contratto
di franchisng fra parti di nazionalità diversa.
Giacomo Pescatore
17
Stefano Angione
Si pensi all’obbligo di indicare “espressamente” (i) l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di
ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività; (ii) le modalità di calcolo e di pagamento delle
royalties, e l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato; (iii) la specifica del knowhow fornito dall’affiliante all’affiliato; le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica
e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione; e (iv) le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale
cessione del contratto stesso.
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(il contratto di franchising secondo la legislazione italia–)