le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Introduzione
FAN FICTION NAGAIANE
Cari amici del Gonagai.net,
- Fleed ( Goldrake) Autore: Runkirya
pag 4
- Notte prima della partenza ( Goldrake)
Autore: Isotta72
pag 10
- Chi è più forte? (Jeeg e il Grande Mazinga)
Autore: H. Aster
pag 12
- Il Re delle nevi (Goldrake)
Autore: Joe7
pag 16
- Tetsuya e Jun ( Grande Mazinga)
Autore: Reika76
pag 17
- Rivelazioni ( Devilman)
Autore: Reika76
pag 19
- Terapia d’urto ( Goldrake)
Autore: Reika76
pag 21
- Partenza ( Goldrake)
Autore: Rubina71
pag 22
considerate questa raccolta un omaggio a tutti gli utenti del forum da parte di chi scrive e disegna popolando la Fan Section di
questo splendido posto.
Perchè con l’estate e l’avvento delle ferie forse c’è meno occasione per collegarsi, ma più occasione per leggere.
Abbiamo raccolto in questo libro le espressioni di quasi tutti, cercando di proporre generi ed argomenti diversi, compresi racconti
originali e di ottimo livello, che non prendono spunto altrove se non dalla fantasia degli scrittori.
Ringraziamo gli autori dei racconti e dei disegni, ma soprattutto chi , scaricandosi e leggendo queste pagine, vorrà dirci, al rientro,
che cosa ne pensa..
Isotta72
FAN FICTION NON NAGAIANE
- Tragiche necessità (Daitarn)
Autore: H. Aster
pag 23
- La nuda verità (Gundam) Autore: H. Aster
pag 25
CREATIVE COMMONS
2
- Ad Astra Attollo Autore: Grande Blu
pag 26
- Apollo 11.a.c.
Autore: Dhrdhr
pag 41
- La Leggenda del robot sepolto
Autore: Icarius
pag 45
3
le letture estive di Gonagai.net
Fleed
Autore: Runkirya
Goldrake
Fan art By Runkirya
Pomeriggio
Il comandante veghiano guardò nervosamente il re.
- Te la sei lasciata sfuggire!- La sua rabbia era contenuta come sempre, non lo
aveva mai visto lasciarsi andare alla collera.
- C’è stato un attimo di confusione e deve averne approfittato.- suonava come la
giustificazione di uno sprovveduto , ma era la semplice verità.
- Confusione?- rimarcò gelido.
- Avevo a tiro la nave …- Cosa? ti avevo dato un ordine, non dovevi interferire!- Il volto del sovrano si tese
ed impallidì, Haddish si rendeva conto che una azione del genere gli poteva costare cara, era stato imprigionato per molto meno, in passato.
- Ho cercato di riattivare le comunicazioni, ma il capitano Kabuto, si è intromesso
e credo si sia allontanata in quel momento …Negli attimi di silenzio che seguirono, la tensione cominciò a sciogliersi, il re sorrise
fra se e se, scuotendo leggermente la testa.
Il veghiano, si rilassò e accennò un inchino,una inutile formalità, ma prima di congedarsi si girò e guardò l’amico.
- Duke, non spegnere più le comunicazioni.- lo ammonì.
Mattina
Si alzò dal letto con i muscoli, come sempre negli ultimi giorni, doloranti. Aveva dormito come un sasso, ma non si sentiva del tutto
riposata. Allungò una mano sul comodino per prendere la piccola capsula bianca e la ingoiò senza neanche un sorso d’acqua, ne
desiderava immediatamente il benefico effetto. Le avevano detto che il disagio sarebbe diminuito con il passare dei giorni, lo era
, ma rimanevano i dolori ad ogni movimento,con quella gravità, era come fare ginnastica di continuo, sperava solo di non finire per
somigliare a qualche grottesco culturista.
Seduta ai piedi del letto ammirava il panorama oltre la parete trasparente, se non fosse stato per le due lune che occupavano il
cielo, avrebbe potuto immaginare d’essere sulla Terra, la vegetazione del suo giardino aveva una dominante verde anche se qua e
là digradava nella più consueta colorazione azzurro-violacea, ma l’illusione era quasi convincente.
Maria, aveva dato disposizioni affinché gli alloggi, dell’equipaggio della Cosmo Discovery, fossero più simili possibili a quelli del
pianeta di provenienza. Erano un piccolo angolo di Terra incastonato nel palazzo reale.
Dopo una doccia rinfrescante, si apprestò a fare colazione.
Un altro degli svantaggi era la fame: con i muscoli che lavoravano molto, per gesti semplici, le energie che consumava le mettevano
sempre un grande appetito.
Le porzioni erano abbondanti e soprattutto varie, alcuni cibi avevano strane mescolanze di gusti, mentre altre, avrebbe giurato ,
fossero senza sapore. Solo ora si rendeva conto che non aveva mai chiesto a Daisuke se il cibo che mangiava alla fattoria gli fosse
gradito, aveva intuito alcune sue preferenze, ma non si era mai preoccupata di chiedere. Eppure da buona padrona di casa, quando
aveva invitato qualcuno dei suoi amici, si era sempre informata su eventuali abitudini alimentari da rispettare, così come avevano
fatto con lei , anche ora che si trovava su Fleed. Una sua mancanza, ma si perdonò, era una ragazzina allora e solo dopo molto tempo
aveva scoperto che Daisuke non era terrestre, ma Duke Fleed per lei aveva un aspetto fin troppo umano per pensare, o concepire,
differenze.
L’anta scorrevole dell’armadio si aprì silenziosa e automaticamente; al suo avvicinarsi, si materializzò una immagine 3d specchio di
se stessa.
Hikaru guardò i suoi vestiti: pochi, ordinati e soprattutto terrestri. Accanto ad essi erano appesi un discreto numero di abiti, dai colori
e fogge, per lei, insoliti. Esitando un attimo decise che quel giorno avrebbe indossato un chitone fleediano. Scelse in base al taglio simile a quelli che aveva visto indossati da Maria. Chiuse la cintura in vita ed abbinò al tutto un paio di stivali dal colore in accordo.
4
http://gonagai.forumfree.it
Neanche per i vestiti aveva mai pensato a delle differenze così rilevanti, dava per scontato che Daisuke trovasse comodo il suo abbigliamento sulla Terra e che la differenza di foggia degli abiti, che gli aveva visto indossare in qualche video messaggio, si limitasse
solo ad un semplice gusto estetico, ma c’era di più. La stoffa aveva una qualità tattile simile al velluto ed il peso era quello della
seta, anche gli stivali li sentiva diversi.
Erano così tante le differenze che ora saltavano all’occhio………
Mentre il piccolo automa sferico, si attivava, allungando i suoi esili bracci meccanici, per riordinare quanto lasciato dietro di se dalla
ragazza, Hikaru completò il suo abbigliamento indossando il bracciale e l’auricolare.
Uscì dalle sue stanze incamminandosi per un corridoio noto, girando verso uno degli ingressi-uscite che non aveva ancora attraversato.
Ogni giorno provava una nuova uscita dai suoi quartieri, ogni giorno prendeva una direzione diversa per esplorare una parte del
palazzo reale e ormai sapeva che, quel complesso di nuclei abitativi, con giardini , vie di superficie e strade sotterranee, aveva solo
il nome convenzionale di palazzo reale. La struttura architettonica non possedeva nulla in comune con il concetto terrestre di edificio
o città. Dall’alto appariva come un reticolo di forme organiche, culle di micro-ecosistemi in crescita e costruzioni artificiali; al suo
interno, senza una mappa, lei si sarebbe persa. Fuori dal suo complesso si estendeva un giardino, solo in parte curato, che sfumava
con una rigogliosa boscaglia, lasciata crescere senza interferire con il suo andamento; un bilanciamento accurato di due sistemi di
vita, che mediava con le esigenze di un pianeta che doveva tornare a respirare e una civiltà che richiedeva i suoi naturali spazi di
aggregazione.
Scelse a caso uno dei sentieri e si diresse verso il successivo gruppo di dimore. Il bracciale che aveva al polso emise un delicato trillo
e al suo comando, davanti a lei, si compose uno schermo di luce che visualizzò un volto sorridente. Hikaru salutò Koji continuando a
camminare.
- Sei già uscita?! Stavamo pensando di andare al fiume nel settore ovest, dopo colazione. – la informò l’amico. Nella schermata si
insinuò il volto radioso di Maria che precisò quanto appena detto.
- Non è un fiume, ma una cascata ai margini della costa. La giornata è limpida ed i livelli di vegatron sono così bassi che possiamo
stare fuori durante la mattinata. Veniamo a prenderti?Lei li osservò, sembravano talmente felici d’essere assieme che sarebbe stata di troppo. Erano arrivati su Fleed da pochi giorni ed
era il primo in cui i due finalmente si dedicavano del tempo assieme. Declinò l’invito, aveva voglia di una giornata tranquilla, senza
spostamenti o funzionari fleediani, equipaggio da coordinare, biologi da informare…..
- ….poi voglio raggiungere il dottor Umon all’osservatorio.- concluse.
- Come vuoi, ma andiamo a provare anche le moto.- aggiunse Koji con entusiasmo- Sono velocissime, dovresti vederle e poi al fiume….Maria si intromise nella frase - Non è un fiume e quelle non sono moto.- disse fingendo irritazione.
- Bhe… quello che è. Qui tutto non è come dovrebbe essere - ridacchiò Koji, ricevendo una gomitata dalla ragazza. Hikaru si unì alla
risata prima di salutarli. Li invidiava un po’, nonostante tutto i due avevano sempre avuto un modo leggero di affrontare gli eventi
ed il loro ritrovarsi era la cosa più naturale che si potesse immaginare.
Il nuovo nucleo abitativo a cui era giunta comprendeva anche una piazza in cui si trovavano diverse persone. Qualcuno l’adocchiò nel
suo passeggiare; sia lei che Koji, erano inconfondibili, tutti sapevano esattamente chi fossero, tanto da avere, su Fleed, una visibilità
sociale simile agli stessi regnanti, ma c’era una peculiarità che rendeva, parte dei membri della Cosmo Discovery, unici e riconoscibili: il nero corvino dei loro capelli. Una caratteristica banale per Hikaru, ma su quel pianeta risultava assolutamente straordinario,
nessuno aveva capelli così scuri.
Però i fleediani erano discreti e si limitavano, quando la incontravano, ad un sorriso o un cenno di saluto. Daisuke e Maria, sulla Terra
avevano vissuto nell’anonimato. Inizialmente erano riusciti a nascondersi, ma con l’avvento del conflitto, militari e governo svolsero
indagini accurate sui due, guardandosi bene però dall’interferire con le loro vite. I due profughi alieni erano una difesa preziosa per
il pianeta. Koji Kabuto non suscitava molto interesse era già noto per i suoi trascorsi di pilota e anche nel suo caso non si interferì in
alcun modo, vennero prese alcune informazioni su di lei, vista un po’ come una anomalia, attraverso il dottor Umon e Koji, ma nessuno
disturbò mai la squadra di Grendizer o cercò di sapere più del dovuto …la situazione era così delicata che le autorità cercavano di
essere collaborative e protettive. Quell’ anonimato divenne preziosissimo quando la guerra finì ed i due fratelli lasciarono la Terra
per fare ritorno sul loro pianeta d’orgine. Il terzo pilota della squadra rimase solo un insieme di congetture fantasiose di qualche
giornalista intraprendente e la tranquillità della fattoria Makiba, dove viveva con suo padre e suo fratello, era salvaguardata.
Hikaru continuò a frequentare l’osservatorio del dottor Umon, che ormai era il centro focale di vere e proprie rivoluzioni tecnologiche.
Le notizie del ritorno su Fleed cominciarono ad arrivare dopo mesi, puntuali ma scarne, la ricostruzione era complessa, a tratti incomprensibile per chi non la viveva.
A sei mesi dalla partenza di Duke e Maria le cose cominciarono a diventare difficili anche per lei. Le mancava terribilmente Daisuke;
c’era stato qualcosa fra loro, mai pienamente espresso per le circostanze problematiche vissute durante il conflitto con Vega. Hikaru
era convinta che, una volta tornata la pace, avrebbero avuto una possibilità, invece…solo ricordi, sentimenti inespressi e un senso di
abbandono che più volte l’aveva piegata e le faceva rabbia.
Ma Duke Fleed aveva fatto di più: in qualche modo aveva svelato, nel piccolo mondo della fattoria, una realtà che cominciava a
desiderare quanto quell’uomo distaccato, ma non indifferente.
Così, lei si era ritrovata a guardare i luoghi in cui era vissuta con occhi diversi, le apparivano un pò più piccoli e sentiva di dover
estendere i suoi orizzonti.
Poi ci si erano messe di mezzo le autorità.
Cominciata la costruzione della Cosmo Discovery, per il viaggio interplanetario, i militari, l’avevano esclusa dall’area del centro ricer5
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
che; la mediazione del dottor Umom e le sfuriate di Koji Kabuto non erano servite a ridarle l’accesso, ma solo a strappare una vaga
promessa d’ integrarla nell’equipaggio al momento della partenza.
L’allontanamento dal centro ricerche fu un duro colpo , ma non si arrese. Non lo aveva mai fatto.
Su consiglio del dottor Umon si dedicò a studi scientifici che la portarono a trasferirsi a Tokyo.
Lei voleva far parte della spedizione per Fleed, non più solo per rivedere Daisuke. Furono anni difficili, in cui la sua vita prese direzioni impreviste, ma lontana dai luoghi e dalle persone che conosceva cominciò a condividere i suoi sogni con altri e Duke Fleed
cominciava a diventare un ricordo che le faceva meno male.
Maria comunicava con regolarità e soprattutto lo faceva in forma privata con Koji, che ebbe un bel da fare per tenere militari e
autorità fuori da quei messaggi, sotto minaccia di qualche incidente diplomatico. Ma Duke Fleed era sempre meno presente e non
le aveva mai inviato alcuna comunicazione riservata…però la sua decisione era presa, sarebbe partita, perché lo voleva. Quella
spedizione era importante per lei, rendeva orgogliosi suo padre e suo fratello, si sentiva importante per la sua gente e per se stessa
e questo le bastava ad affrontare anche l’indifferenza dell’uomo che continuava ad amare.
Ma quella scelta ebbe un impatto non indifferente su Hajime…. Lui le diede mille motivi diversi per rimanere sulla Terra e non tentare
un viaggio che presentava numerose incognite e quando nulla sembrava convincerla arrivò anche la proposta di matrimonio. Hikaru
si sentì terribilmente in colpa per la piega che la loro relazione aveva preso, non era stata sincera con Hajime, non lo aveva mai
informato del fatto che lei aveva sempre saputo che sarebbe partita e aveva lasciato che fosse lui a far funzionare tutto fra loro.
L’anonimato che tanto gelosamente manteneva, alla fine, cadde nel modo peggiore e con chi meno lo meritava, mostrando una foto
in cui la squadra di Grendizer era al completo….nei giorni che seguirono certe ‘nuvole’ del passato si schiarirono al punto da farle
apprezzare il comportamento distaccato di Duke che non l’aveva mai usata per sopperire ad una sua mancanza affettiva…. mentre
lei si preparava alla partenza con una buona scorta di sensi di colpa.
L’arrivo su Fleed fu percepito come un evento epocale per i terrestri e la sovrana, Maria condivideva il titolo con suo fratello Duke,
era lì ad accoglierli nel migliore dei modi. Nel tempo di pochi passi il capitano Koji Kobuto e la regina di Fleed mandarono all’aria
ogni formalità abbracciandosi con la naturalezza di chi si conosceva bene, ma suo fratello non era lì ad accoglierli, impegnato in una
missione di ricerca profughi…
- Una scelta coraggiosa.- intervenne il dottor Umon comprendendo le implicazioni.
- Una guerra sbagliata che ha segnato la fine di un grande impero.- c’era amarezza nella voce del veghiano.
- Fleed…?- disse Hikaru incredula. Hadish riprese a sorridere davanti alle occhiate perplesse degli ospiti terrestri.
Un militare avvisò: -Signore, è iniziata la procedura per il salto nell’iperspazio.- Unità di rinforzo, tenersi pronti.- ordinò il comandante.
Alcune schermate si disattivarono automaticamente al comparire di nuove che visualizzavano settori di orbita fleediana in cui era più
probabile la riemersione.
Alcuni sedili si composero, emergendo compatti dal pavimento, in corrispondenza del comandante Hadish, Maria e di altri quattro addetti alla sicurezza; il dottor Umon, Hikaru e Koji fecero qualche passo indietro mentre i militari si apprestavano a coordinare il rientro.
Richiamò dal bracciale una schermata con una mappa e consultò il modo più efficiente per raggiungere l’osservatorio: prendere i
mezzi sotterranei per uscire dal palazzo e dalla città, era la soluzione più rapida, ma optò per lo spostamento di superficie, voleva
potersi guardare attorno, le differenze con la Terra erano così tante che non intendeva perdersene alcuna.
Un attimo prima di chiamare un trasporto, il suo traduttore simultaneo si mise in funzione con la fredda voce artificiale che la caratterizzava.
-Hikaru Makiba, dovrebbe seguirci.- disse uno dei due agenti di sicurezza che sorrise alla terrestre. Indossavano la divisa con il simbolo di Fleed: due ali nere su un pettorale dal fondo blu.
- Quando avete ricevuto il segnale?- Chiese immediatamente Maria .
- Pochi attimi prima d’avvisarti. Appena abbiamo capito chi ci contattava ci siamo mobilitati per il rientro.- il volto del veghiano si
ricompose in fattezze femminili.
- Chi stà riportando?- Stiamo cercando di focalizzare sul quadrante, ma la cintura d’asteroidi non lascia vedere chiaramente.- Con destrezza e senza
perdere una parola delle informazioni che gli venivano passate, il comandante Hadish continuò a spostare i quadranti luminosi nel
tentativo di mettere a fuoco chi stava rientrando nel sistema solare fleediano.
- Lo troverete un po’ cambiato.- disse Maria con un sorriso, guardando velocemente Koji ,Hikaru e Umon.
- E’ uno dei centri di Altair!- annunciò improvvisamente il veghiano. Nella sala controllo dello spazioporto militare ci fu esultanza.
- Ci è riuscito!- Maria si unì alla gioia che aveva investito tutti, abbracciando Koji che non aveva del tutto chiara l’importanza dell’
evento.
- E’ una nave profughi?- chiese il dottor Umon.
- Molto di più, terrestre, è un intero centro di detenzione!- spiegò Hadish, mentre una luce nuova brillava nei suoi occhi, illuminandolo
di una speranza che mitigava i tratti marcati, caratteristici della sua razza.
- Ma… un intero carico di detenuti…?- Koji diede voce alle perplessità che avevano anche il dottor Umon e Hikaru. Per quanto capissero, che tendere una mano amichevole a chiunque fosse in difficoltà, era la politica corrente del governo fleediano, non vedevano
il vantaggio di una azione del genere.
- Non sono semplici detenuti, Koji.- cercò di chiarire Maria.- Quei centri di detenzione, ce ne sono tanti come questo, sono stati creati
da Vega per imprigionare dissidenti, rivoltosi, oppositori, ci sono anche dei detenuti ordinari, ma la maggioranza, se non la totalità,
è fatta dai primi. Fleed ha bisogno, per tornare a vivere, anche di loro.- Un oppositore di Vega non è necessariamente un alleato di Duke Fleed- puntualizzò il capitano ed il comandante scoppiò in una
risata.
- Duke ha buoni argomenti per convincere un oppositore.Koji la guardò di traverso mentre Hadish continava a sorridere.
- Ne parli con una certa esperienza….- lo punzecchiò il capitano.
- Tutta l’esperienza di chi si è opposto a una guerra…- disse continuando a trafficare con le schermate.
- Daisuke non ha mai voluto combattere…- intervenne Hikaru perplessa.
- Infatti, parlavo di Vega…sono stato un ‘ospiti’ delle sue prigioni.- precisò il militare senza guardarla.
6
Per un attimo ogni azione apparve congelata dal balzo nell’iperspazio, appena la materia dei viaggiatori si fu stabilizzata, le loro
azioni ripresero a fluire nel tempo e nello spazio che li circondava, in orbita fleediana.
La visione che raccolsero gli schermi della sala comando, non aveva nulla di rassicurante.
I tre terrestri ebbero un sussulto nel vedere Grendizer posato sullo spacer, in una modalità tipica di combattimento, alle spalle del
robot altre sei navi incassavano il fuoco nemico, formando una cortina inamovibile a difesa del centro di detenzione , ma impossibilitati ad un contrattacco efficace.
Nessuno di loro aveva ben chiare, tutte le implicazioni di una ricostruzione planetaria. Sulla Terra avevano saputo che, seppure Vega
fosse ormai scomparso ed il suo regno rapidamente si sgretolava, le lotte non erano cessate. In alcuni casi c’erano interi settori stellari
da evitare,come avevano constatato durante il viaggio. Fleed si era dotata di sistemi di difesa, ma aveva reso il pianeta un porto
sicuro per tutti i profughi che avevano perso ogni speranza di fare ritorno sui pianeti d‘origine. Il prestigio e la volontà non belligerante di Duke Fleed e di Maria Grace Fleed li aveva aiutati a ristabilire rapporti commerciali e di collaborazione anche con piccoli
frammenti, ormai indipendenti, del regno che fu di Vega.
Ora si rendevano pienamente conto di un’altra questione: i profughi preziosi per ricostruire e ripopolare un pianeta, erano merce
buona per trafficanti, che usavano senza alcuna preoccupazione o riguardo milioni di malcapitati per affari di ogni tipo.
Duke Fleed non aveva mai smesso di combattere.
- Unità di rinforzo decollata.- informò un militare.
-Allertate le unità mediche, batteriologice e i centri mobili di primo soccorso….- ordinò Maria, il suo sguardo era perso a fissare il
vuoto, chiaro segno di una premonizione…Koji le si avvicinò cingendole le spalle con un braccio, la ragazza si sforzò di sorridergli.
- E’ quasi sempre così quando rientra.Grendizer e le sei navi di supporto della flotta rimanevano sotto il tiro dell’ astronave pesantemente armata ed a breve distanza.
- Formazione?- con quella richiesta fu visualizzato il pilota a capo dei rinforzi.
La nuova schermata che si attivò in quell’istante diede un brivido di dejà vue ai terrestri. La tuta biomeccanica, il pilota e l’abitacolo
di Grendizer non potevano essere confusi.
- Laterali. Toglieteceli di dosso, ma non abbattete la nave, parte dell’equipaggio si è ammutinato e chiedono asilo. Trasbordo in
orbita.Hikaru riconobbe la nota di tensione negli ordini impartiti, ma nient’altro.. Il traduttore con il suo tono impersonale le permetteva di
capire il fleediano ma lasciava sentire chi parlava. Per lei fu una strana sorpresa ascoltare Daisuke esprimersi nella sua lingua madre,
stentò quasi a riconoscerne la voce…
Le navi di rinforzo a tutta velocità si tuffarono fuori dall’atmosfera, disponendosi in due squadre a ventaglio, attorno alla nave nemica
e cominciarono a bersagliare i motori principali. Le armi impiegate erano leggere, per non causare danni che avrebbero pregiudicato l’intera struttura.
Parte dell’ offensiva nemica fu deviata sui nuovi attaccanti. Grendizer a quel punto smise di fare da scudo, lasciando alle sei unità
della sua flotta il compito di parare i nuovi attacchi e si spostò rapidamente verso il gruppo di cannoni più pesanti, posti a corona
della nave da guerra. Prese in pieno e assorbì colpi, ma con una ridotta potenza di fuoco riuscì a muoversi e usando l’alabarda troncò
l’ offensiva. Pochi movimenti precisi e rapidi portarono i nemici a rimanere inoffensivi ed immobili con i motori in avaria.
Il robot, infine, con una fluida giravolta si alloggiò nell’abitacolo dello spacer.
Duke impartì nuovi ordini e i sei dischi della flotta assieme alle unità di rinforzo attivarono i raggi traenti per guidare la prigione
verso l’atteraggio su Fleed.
Nell’orbita bassa la nave cominciò gradatamente a perdere stabilità e quota.
La massa enorme ci mise qualche attimo ad entrare nell’atmosfera e parve incendiarsi lentamente, in quella fiammata, le navi fleediane aumentarono la potenza dei loro raggi traenti.
La velocità cominciò ad incrementare; appena il primo contatto in atmosfera terminò, frammenti della struttura esterna si staccarono
e continuarono solitari a precipitare verso il suolo.
- Rotta presunta?- chiese Hadish ad un dei tecnici, un istante dopo un uomo preoccupato rispose - Settore ovest, signore…torre
climatica.- Devi correggere la rotta!- ordinò il comandante, rivolgendosi al re.
- Possiamo solo frenarla, i motori sono andati!- quella notizia sconcertò i presenti.
- Puntate dritti sulla torre ovest!-informò rapido Hadish
- Evacuate la zona.- l’ordine impartito da Duke gelò tutti. Nella sala si mossero per dare l’allarme.
- Velocità di caduta in aumento!- informò uno dei militari
7
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
- Duke, dovete frenarla immediatamente!- Siamo al limite con i raggi, ma la faremo atterrare.Il comandante Hadish richiamò una nuova schermata con un quadrante di simboli in rapida esecuzione. Le conoscenze di fleediano, per
Hikaru, erano poche ma riconobbe i simboli numerici che decrescevano rapidamente, segnando l’avvicinarsi dell’impatto al suolo.
Il veghiano con il pugno attraversò gli schermi di luce e colpì nervosamente il piano di proiezione.
- Dovete correggere la rotta!- tuonò. Duke ignorò le proteste mentre gli attimi passavano.
- Velocità di caduta stabilizzata.- informò ancora un militare.
- Pericolo impatto ancora in corso- informò un altra coordinatrice militare.
- Duke, sganciatevi immediatamente- senza perdere tempo il comandante attivò una nuova schermata - Sistemi di difesa attivi.
Agganciate il bersaglio!- Hadish che cosa fai? – chiese con rabbia Maria.
- Voglio la nave a tiro.- spiegò gelido il veghiano.
- Non aprire il fuoco, la faremo atterrare.- ribadì il sovrano.
- Così vi schianterete!- rispose teso.
- Non aprire il fuoco!- la schermata che inquadrava Duke si disattivò.
- Sganciatevi! Duke, Duke- Hadish lo richiamò rabbioso.
-Ci ha esclusi!- informò un militare che continuava a richiedere l’accesso alle comunicazioni.
Il comandante della sicurezza rapidamente inquadrò diversi punti su cui fare fuoco per spezzare la nave in più parti, senza colpire
la squadra di rientro e per minimizzare i danni da impatto.
-Hadish, non puoi.- tentò di imporsi Maria.
-Al mio comando!- ordinò gelido.
-Hadish sei impazzito!- Maria lo guardò disperata
- Non puoi farlo!- Koji era agghiacciato.
- Sotto la torre ci sono i reattori, nell’impatto si porteranno via mezza città!- Nave prigione a tiro, signore.In quell’istante Koji scattò colpendo il comandante, con una gomitata al volto; un militare, ricevette una ginocchiata in pieno stomaco,
ma non riuscì a bloccare un terzo uomo che intervenne colpendolo con un pugno e bloccandolo per terra, mentre altre due guardie
si adoperavano per tenerlo fermo.
- La farà atterrare non colpitelo!- disse rabbioso
- Lasciatelo immediatamente .- ordinò Maria.
In quell’attimo d’agitazione lo schermo principale continuò a inquadrare ciò che stava accadendo. Grendizer si sganciò nuovamente
dallo spacer, i booster alla base dei piedi impressero una nuova spinta verso il suolo, in un battere di ciglia la torre climatica in parte
esplose colpita da un onda d’urto provocata dalla sola velocità del robot e dal polverone di macerie emerse un fascio di luce multicolore. Così il comandante realizzò ciò che era già chiaro al pilota terrestre: la gittata del raggio antigravitazionale, era limitata, e
Duke aveva atteso fino all’ultimo momento per usarlo, proiettandolo a breve distanza per sfruttarla al massimo.
Il fascio di luce multicolore cominciò a schiarirsi fino a diventare bianco mentre la polvere dell’impatto retrocedeva. Ancora pochi
attimi e la potenza ,emanata dal petto di Grendizer incrementò nuovamente segnata da una luminosità rossa, incupendosi e digradando in un blù accecante, mentre le piastre toraciche cominciavano a brillare di luce vermiglia, diffondendo calore che deformava
l’aria attorno a sé.
L’ombra della nave che si allargava rapidamente cominciò ad estendersi con minore velocità, ma inesorabilmente inghiotti anche
Grendizer.
Pomeriggio
Era stato ingiusto con il comandante Hadish, ma fra tutti gli imprevisti di quella missione la conclusione era quanto meno inattesa. Pensava d’aver avuto una allucinazione vedendola lì, poi l’esplosione di una paratia della nave prigione li aveva colpiti. Fortunatamente
non c’erano state conseguenze, solo un brutto colpo per l’onda d’urto.
Allontanandosi dalla zona dell’atterraggio, ancora preda di forti tensioni, aveva convocato immediatamente Hadish chiedendo
spiegazioni, nel frattempo Maria gli aveva dato la notizia dell’arrivo della Cosmo Discovery. L’ultima volta che aveva sentito parlare
di quella nave era ancora in fase di collaudo, doveva capire da quanto era lontano dal pianeta. Perdere la cognizione del tempo
era normale nelle missioni, i ritmi di vita venivano bruscamente alterati e quella missione era durata più del dovuto, con tutti gli accidenti sorti, c’erano stati momenti in cui nessuno più credeva che sarebbero arrivati su Fleed, poi ci si erano messi di mezzo anche i
trafficanti…
Il comandante aveva ragione a voler abbattere la nave, se la potenza scatenata da Grendizer non fosse stata sufficiente avrebbe
potuto causare un disastro, ma Koji aveva reso possibile l’azzardo. Il capitano e progettista della Cosmo Discovery, conosceva bene
il suo modo di fare e come sempre lo aveva sostenuto, tutti loro lo avevano sempre sostenuto ….
Non sarebbe sopravvissuto senza la forza di volontà dell’uomo che aveva considerato un padre per anni, la lotta contro Vega sarebbe stata più dura e desolante senza Koji e Hikaru…. sarebbe stato tutto più difficile. Ma Hikaru era speciale: salda, silenziosa, vicina
nei momenti critici …sin da quando cercava di adattarsi alla sua vita sulla Terra ed era arrivato per la prima volta nella fattoria.
In quei giorni si forzava a raccogliere i resti di una identità in frantumi, diviso fra ciò che era e ciò che doveva essere, una dualità
difficile da gestire che più volte aveva rischiato di travolgerlo. Nel tentativo di sopravvivere a se stesso aveva inizialmente ignorato
la ragazza. Poi il baratro di un nuovo conflitto lo aveva inghiottito trascinandosi dietro chi gli era più vicino. Nonostante tutto la sua
presenza era diventata necessaria e si tramutava in desiderio …ma si guardò bene dall’ incoraggiarla, egoisticamente, lo faceva
per se stesso. Per paura di rimpiangerla, come aveva fatto con Naida, con Rubina, con un mondo intero di persone che aveva amato
in tanti modi. La verità era che il suo passato lo aggrediva costantemente e riusciva a difendersi da quelle incursioni impedendo
nuovi rimpianti.
Se riusciva a negarsi qualcosa, per lui , quel qualcosa non poteva ferire o rimanerne ferito, ed in quel modo, non era stato onesto con
lei. Non le aveva mai voluto concedere nulla, né l’aveva resa partecipe della sua vita.
Infine la speranza di tornare sul suo pianeta era stato l’ultimo e imprevisto atto, di un legame che si era saldato nonostante tutto, ma
a quel punto era impossibile chiederle di seguirlo.
Era vissuto nella nostalgia per la sua gente , della sua civiltà, non voleva sottoporre Hikaru a quel genere di separazione. Non poteva
chiederle di lasciare tutto, per un mondo che era, ormai ,sconosciuto anche per lui. Così si allontanò nuovamente.
La ricostruzione, poi, era un eufemismo, non bisognava solo riedificare le città distrutte, ma impedire che le conoscenze venissero perse
e che i pochi superstiti originari del pianeta tornassero a livelli pre tecnologici e facili prede dei tumulti di un impero in disgregazione.
Il pianeta che lui tanto amava non era più neanche paragonabile ai suoi ricordi, la maggior parte della superficie era una landa
desertica da bonificare, il clima era violento e instabile; al di fuori delle poche città, che facevano da nido a ecosistemi-embrionali,
ci si poteva muovere per periodi limitati. Il ripopolamento era diventato una priorità per assicurare braccia e menti necessarie alla
sopravvivenza di una civiltà in rapido declino. Si era dedicato con tutte le sue forze a quel compito , tanto che il tempo passato alla
ricerca di profughi era maggiore del tempo che trascorreva sul pianeta, ma ogni volta che rientrava assaporava la sua vittoria: osservando le città in crescita, con l’ecosistema che sanava gradatamente i mali di quel mondo , i siti industriali, inizialmente insignificanti
cominciarono a prosperare e garantivano commerci preziosi e relazioni con altri pianeti. Soprattutto si stava ricostituendo un popolo,
dalla provenienza eterogenea ma unitario nello spirito.
Così erano passati gli anni, le distanze si erano moltiplicate, non riusciva a vedere come in quelle condizioni potesse sperare di recuperare una relazione che desiderava, ma non aveva mai realizzato. Conscio, che nuovi legami e vite distanti potevano sciogliere ciò
che era stato lasciato per strada nel passato e che alcuni suoi desideri erano inconciliabili con le necessità del momento non chiese
mai, pur sapendo dei progetti della Cosmo Discovery. Così, ancora una volta, si allontanò, giustificando quel comportamento con le
missioni, lasciò che Maria seguisse gli sviluppi del viaggio dei terrestri.
A detta di tanti Duke Fleed era un combattente, un ottimo stratega, un avversario temibile ma lasciato a se stesso, sapeva stare solo
sulla difensiva ...
Il fumo fu mischiato alla polvere mentre le folate di vento si agitavano attorno ai soccorritori portando al suo traduttore frammenti
di ordini con direzioni da prendere, procedure d’emergenza e modalità di soccorso da rispettare. I rombi di motori fotonici si susseguirono e sulla sua testa sfrecciarono i mezzi della flottiglia in rientro che finalmente si erano sganciati dalla nave prigione.Osservò
smarrita i dischi bianchi dalla prua e pinna rossa, simili nella forma alla nave madre di Grendizer. Le immagini confuse viste nello
spazioporto assalirono la sua mente con una morsa d’angoscia.
Quella nave, decine di volte più grande del robot lo aveva schiacciato!
Improvvisamente sentì un peso opprimerle il petto, non poteva neanche concepire un evento simile, non dopo tutti quegli anni e le
distanze percorse, era una beffa crudele.
Il bracciale continuava ad emettere il segnale di una chiamata in entrata, se lo sfilò lasciandolo cadere a terra, non riusciva a pensare in modo coerente, le sembrava d’essersi sdoppiata con una parte di sé che era rimasta insensibile al dolore; spinta via da una
guardia che tentava di spiegarle il pericolo che correva a stare lì. Hikaru, stizzita, si strappò via dall’orecchio il traduttore e cercò
inutilmente di opporre resistenza.
Il militare,ora, cercava di farsi comprendere in una lingua senza senso, come la mole inconcepibile della nave, come l’irragionevole
volontà che l’aveva fatta atterrare. Una frenesia concitata vorticava attorno a lei e cominciò a sentirsi sempre più estranea da se,
poi il dolore la colpì. La consapevolezza la travolse e non seppe come farvi fronte.
Tentò di concentrarsi sulle strane parole che pronunciava l’uomo che le stava accanto, diede la sua attenzione ad altri che parlavano
e urlavano ordini, al sibilo delle navette in aria ed in tutto questo sentì una voce, l’unica a chiamarla per nome.
- Hikaru…?Si girò e una deflagrazione, con l’immediato spostamento d’aria, la scaraventò nell’incoscienza.
8
Uscì dalla serpentina del corridoio che collegava le sale pubbliche alle sue abitazioni private, Hikaru, si era ripresa ed era in giardino, la luce pastosa del tramonto rendeva quella figura del tutto irreale. Non aveva avuto la possibilità di abituarsi all’idea del
viaggio dei terrestri che erano già su Fleed. Maria gli stava concedendo il tempo che serviva...
Si osservarono per un attimo e annullarono le distanze nel loro abbraccio, dimentico della separazione, nella naturalezza di un bacio
scoprirono l’immediata fame dalla presenza l’uno dell’altra.
Quei brevi attimi allontanarono i sentimenti contrastanti del passato e i rimpianti si sciolsero in lacrime che finalmente condividevano.
Erano stati anni difficili per entrambi e Duke aveva rinunciato e messo da parte se stesso, ma ora c’era la possibilità di recuperare
ciò che si era negato, perché alcune ferite dell’anima aveva imparato a sopportarle.
Hikaru gli accarezzò la guancia dove una cicatrice aveva inciso un solco che spariva nella pistagna della tuta, era un segno delle
difficoltà di cui non sapeva nulla, il rientro di quel giorno spiegava tanto. Ma comprendeva al di là delle parole che Daisuke era un
uomo difficile da trattare perché non era mai stato del tutto in pace con se stesso…
9
le letture estive di Gonagai.net
Notte prima della partenza
Autore: Isotta72
Goldrake
http://gonagai.forumfree.it
“Sei tu…cosa ci fai qui, è tardi..” disse lui, asciugandosi gli occhi col palmo della mano.
Lei si sedette accanto, in silenzio. Lo guardò. L’aria muoveva piano l’erba e i suoi capelli. La luna illuminava i suoi lineamenti, forti e
sottili allo stesso tempo..
Era bellissimo.
Fan art By Runkirya
Era piena estate, l’aria tiepida e profumata di erba appena tagliata entrava nella stanza
insieme al frinire delle cicale..tutte queste cose le avevano sempre trasmesso grande serenità,
insieme alle note di quella chitarra che l’avevano accompagnata verso il sonno in tante serate
spensierate.. ma questa volta no, l’angoscia era opprimente, e quello che aveva dentro strideva inesorabilmente con le sensazioni che i rumori e gli odori volevano trasmetterle.
Il giorno dopo sarebbero partiti. Via, per sempre.
La sua vita sarebbe cambiata. Per sempre.
Gli uomini non sono fatti per immaginare l’eternità.
Per sempre, era un concetto troppo pesante da sopportare..
Il cielo blu, pieno di stelle, dove avevano volato insieme per tante volte, lo avrebbe inghiottito
per non restituirglielo più..
Glielo aveva detto qualche giorno prima, in modo perfetto, come solo lui avrebbe saputo
fare. Le aveva tenuto la mano, in una delle sue rare manifestazioni di affetto.
I suoi occhi blu, belli da star male, le avevano frugato l’anima, per capire quali fossero le sue
reazioni. E lei si era sentita dilaniare dentro, un dolore tanto forte da provocarle la nausea,
ma aveva mantenuto il controllo, mentre si sentiva annientare.
Era cresciuta, in quegli anni, non era più la ragazzina piagnucolona e testarda di un tempo.
Aveva imparato, soprattutto grazie a lui, a controllare le sue emozioni, ad acquisire fiducia
nelle proprie capacità, a reagire più velocemente..caspita, era passata da mungere le capre
a pilotare un potentissimo mezzo da combattimento..proprio lei!
E aveva imparato a rassegnarsi all’idea che non sarebbe mai stato suo.
Non sarebbe mai stato di nessuno in quel mondo..era diventato sempre più chiaro col passare del tempo.
I suoi modi gentili, la sua generosità senza limiti, il suo essere sempre disponibile ad aiutare ed ascoltare..tutte queste cose erano la
più solida barriera che avesse potuto erigere nei confronti di un mondo in cui non poteva, non voleva fondersi . Il velo di tristezza che
non voleva andarsene dai suoi occhi era la proiezione di questa distanza..
La sua amicizia con Koji, profonda ma senza confidenze, l’equilibrio perfetto tra rispetto e complicità che caratterizzava il suo rapporto con Procton, i modi gentilii e delicati che aveva con lei, senza mai sfiorarla, nemmeno con le parole..non era mai appartenuto
veramente a nessuno di loro.
E questo lo aveva imparato.
Per sempre..
Actarus appoggiò la chitarra, le sue dita sfiorarono inavvertitamente la mano di Venusia, ed istintivamente la strinse, girandosi verso
di lei.
Cosa gli stava succedendo? Era come se vedesse quella ragazza per la prima volta. Era attratto inesorabilmente da lei, aveva bisogno di contatto fisico, del calore di un altro corpo, di dispensare e ricevere carezze, una sensazione che stava esplodendo dentro di
lui e che gli ricordava momenti lontani..
Aveva mantenuto un cordiale distacco per tutti quegli anni. Inizialmente era stato un comportamento istintivo e solo col passare del
tempo aveva capito il perché.
Il suo sentimento per quella ragazza era cresciuto lentamente.
I primi mesi, dopo il suo arrivo alla fattoria, si sentiva ancora troppo legato ai ricordi dolorosi di quello che aveva passato.. poi,
quando il dolore si era attenuato, e aveva cominciato a capire che poteva vivere di nuovo, era arrivato Vega, e lui doveva battersi,
mettere in gioco la sua vita..
Se avesse amato avrebbe rischiato di provocare di nuovo dolore..il distacco emotivo era diventato a quel punto il frutto di un costante
esercizio di disciplina ed autocontrollo.
Ma in quel momento la disciplina e l’autocontrollo erano solo un mucchio di cocci in fondo alla sua anima.
Voleva toccarla..aveva bisogno di lei!
Le sfiorò una guancia con la punta del naso. Vide le sue labbra schiudersi leggermente, sentì il suo respiro tiepido e umido.
La baciò, tirandola a sé in un abbraccio delicato..
Venusia si sentì inondare da un calore piacevolissimo.. era ..eccitazione? Non aveva mai provato nulla di simile. Si coricarono nell’erba
alta, senza smettere di baciarsi, e lei fece quello che da anni desiderava fare: gli accarezzò la schiena, infilando la mano sotto la
maglietta, e sorrise, sentendo che a lui veniva la pelle d’oca.
La sua pelle era così morbida, i muscoli definiti si contraevano al passaggio delle sue dita, la schiena si inarcava per il piacere di
quelle carezze..
I suoi capelli, morbidi e profumati, le inondavano il viso, le labbra tiepide le regalavano sensazioni indescrivibili. Lui le prese una
mano e se la mise sul petto..voleva farle sentire come il cuore battesse all’impazzata.
Sentiva il gradevole peso del suo corpo su di lei, la sua eccitazione premerle sull’addome..
Continuarono ad accarezzarsi, nessuno dei due si voleva fermare, le mani di Actarus la esploravano delicatamente, le baciava il collo,
il seno, ogni passo avanti era fatto con una delicatezza ed un timore, che rendevano quelle esplorazioni ancora più inebrianti, e lei
lo incoraggiava guidandolo dove forse lui non avrebbe osato..
Era felicità, esaltazione,desiderio,passione che travolgeva entrambi..
E mentre i loro corpi finalmente si fondevano diventando un tutt’uno, le loro emozioni vibravano come le corde della chitarra..
Per sempre..
Quell’uomo aveva fatto nascere in lei tutti i sentimenti che una donna possa provare..il desiderio, l’attrazione, ma si era sentita anche sorella, amica, figlia e poi, quel tipo di amore che non sapeva definire, forse ..materno..un groviglio di sensazioni che l’aveva
accompagnata per tutti quegli anni..
Quante volte lo aveva desiderato, quando lo spiava di nascosto mentre lui si rinfrescava alla fontana davanti al fienile, a torso nudo,
dopo aver lavorato sotto il sole..
Quante volte aveva provato una tenerezza infinita, quando lo aveva visto rannicchiato dietro alla stalla, con gli occhi lucidi, lo sguardo perso nei colori del tramonto..dovevano essere così anche i tramonti di Fleed..
E quante volte aveva provato gioia, mentre cavalcavano insieme, liberi, nella prateria..o quanto orgoglio aveva sentito montarle
dentro, quando finalmente, in battaglia, anche lei aveva potuto aiutarlo.
Non era vissuta prima del suo arrivo, ed avrebbe smesso di vivere il giorno della sua partenza..
Per sempre..
Si alzò dal letto. Questa volta sarebbe andata da lui. Non lo aveva mai fatto, per non violare quei momenti di solitudine che erano
tanto cari ad Actarus.
Lo raggiunse in cima alla collina. Lui aveva i piedi nudi, affondati nell’erba alta, le dita lunghe si muovevano lente sulle corde.
10
11
le letture estive di Gonagai.net
Chi è più forte?
Autore. H.Aster
Jeeg e il Grande Mazinga
Fan art By Joe7
In piedi l’uno accanto all’altro, immobili, imperituri monumenti a loro stessi, i due
robot domina-vano l’intero parco pubblico.
Jeeg e il Grande Mazinga.
La gente passava, osservava affascinata i colossi di metallo; qualche bimbo
chiedeva, nonni rin-verdivano i loro ricordi rispondendo e citando nomi astrusi, alieni… l’Imperatore delle Tenebre, la Regina Himika… antichi avversari,
ormai dimenticati.
Sulla panchina esattamente di fronte ai due giganti sedevano due anziani: più
di centottant’anni in due, bastone l’uno e stampella l’altro. Occhi che avevano
visto di tutto osservavano attraverso le spesse lenti quelle due immense vestigia
d’un glorioso passato.
– C’è una cosa che mi sono sempre chiesto – borbottò uno dei due.
– Non dirmelo…
– Chi è più forte tra Jeeg e il Grande Mazinga?
– Ancora con questa storia? – sbuffò l’altro – Sono anni che ti fai sempre la
stessa domanda, e…
– Perché, tu non te lo sei mai chiesto?
Troppo onesto per negare, l’altro assentì: – Certo. Molte volte. Ma ormai è un
po’ troppo tardi perché possiamo provare a saperlo, no?
– Sai che ti dico, Hiroshi? Avremmo dovuto pensarci allora – ringhiò Tetsuya.
– Hai ragione! – esclamò improvvisamente Hiroshi, battendo a terra la stampella – Avremmo do-vuto farlo allora, così almeno con il mio Jeeg te le avrei
suonate di santa ragione e adesso non stare-sti qui a scocciarmi con questa
storia di chi è più forte!
Punto sul vivo, Tetsuya drizzò la schiena, occhiali baluginanti: – Stai insinuando che quel tuo ba-rattolo avrebbe battuto il Grande
Mazinga? – profferì, e in quelle ultime due parole risuonavano gli alleluia.
– Io non insinuo – ribatté Hiroshi – Io ASSERISCO che il mio Jeeg con quel tuo Grande Mazin-coso avrebbe fatto scatolette per sardine!
Tetsuya serrò la dentiera, mentre la pressione cominciava a salirgli verso preoccupantissimi pic-chi: – Sei sempre stato un enorme
sbruffone!
– E tu un insopportabile gradasso!
– Ma piantala, o ti scoppierà il pannolone!
– Parli tu, che hai il catetere fisso…
Ringhio. Uno a uno, fine del primo tempo.
Silenzio.
– Comunque – riprese Tetsuya, gli occhi fissi sui due robot – Vorrei davvero sapere chi è il più forte tra Jeeg e Mazinga…
– Di nuovo! Tetsuya, ti stai rincitrullendo!
– Ah, io sarei rimbecillito? E chi è che ieri s’è infilato nel magazzino della biancheria convinto che fosse il bagno?
– Perché al pensionato le porte sono tutte uguali! – sbuffò Hiroshi – E poi, avevo dimenticato in camera gli occhiali.
– Al punto in cui sei, più che gli occhiali dovresti avere il cane guida!
– Ah, sì? E ti ricordi di quando credevi di dare un pizzicotto all’infermiera e hai beccato il fondo-schiena del garzone del macellaio?
– Capirai… camice bianco lei, camice bianco lui… – minimizzò Tetsuya.
– Sì, proprio la stessa cosa! – rimbeccò Hiroshi.
– Avevo gli occhiali a riparare dall’ottico – Tetsuya rabbrividì: mai avrebbe ammesso di essersela davvero vista brutta, quella volta… aveva adocchiato da un pezzo la graziosissima infermiera dai riccioli rossi, e quel giorno non aveva resistito… zac! Ed era il
garzone del macellaio!
Sì, se l’era vista davvero brutta.
Soprattutto, quando si era reso conto che il garzone del macellaio aveva tentato di baciarlo.
– Per fortuna, sono intervenuto io in tempo per salvarti – asserì Hiroshi.
– Un momento – tagliò corto Tetsuya, pericolosamente calmo – Mettiamo bene in chiaro una cosa una volta per tutte: io avevo la
situazione perfettamente sotto controllo, e me la sarei cavata benis-simo da me.
12
http://gonagai.forumfree.it
– Ma se quel tizio t’aveva incantonato in un angolo…
– In realtà, tu hai salvato lui. Io stavo per…
– Tu stavi per perdere la tua virtù, caro mio.
– No, lui stava per perdere un po’ di premolari. Ripeto, anche senza di te io…
– Sei il solito testone! Cosa ti ci vuole per ammettere che eri nei guai?
– E tu, la vuoi capire o no che non ero affatto nei guai?
– Stai per dire che venire baciato dal garzone del macellaio non era un guaio? Scusami se quella volta ho interrotto qualcosa!
– …!!! – fu tutto ciò che riuscì ad esprimere Tetsuya, troppo allibito per riuscire a replicare in modo un pochino più concettoso.
– Non ho mai conosciuto un testone più ingrato di te! – continuò Hiroshi, furibondo – Perché devi sempre voler fare tutto da solo,
piuttosto che chiedere aiuto a…
– Io NON HO bisogno d’aiuto da NESSUNO! – urlò Tetsuya.
– E chi vuoi che voglia aiutare uno zuccone fetente come te? Nessuno, appunto!
A questo punto, seguono insulti vari che, per quanto coloriti e vivaci, se riportati per intero risulte-rebbero insopportabilmente noiosi.
Saltiamo perciò questa fase e veniamo a quando i due, abbando-nato ogni tentativo diplomatico, passarono alla fase successiva,
cominciando cioè a suonarsele di santa ragione.
Esiste una legge non scritta, circa il pestarsi in un parco pubblico: si può star sicuri che qualcuno assisterà alla scena e, non sapendo
proprio farsi i fatti propri, comincerà a strillare chiamando aiuto. A questo punto, è inevitabile che un qualche impiccione s’attacchi
al cellulare per informare chi di dovere. Seguono sirene spiegate, spiegamento di forze dell’ordine e soprattutto un gran rifluire di
folla richiamata da tanto trambusto.
Nel frattempo i due contendenti, perfettamente indisturbati, hanno avuto agio di continuare a pe-starsi come nulla fosse.
Dalla macchina scesero quattro poliziotti, che osservarono attentamente la scena (folla – due non-ni che continuavano a suonarsele),
prima di decidere il da farsi.
Yasuko, la poliziotta dal grado più alto presente in quel momento, era una donna pratica: avuto un chiaro quadro della situazione, e
soprattutto riconosciuti i due contendenti, come prima cosa chiamò rinforzi.
Nessuno dei suoi compagni ebbe a far notare che loro erano in quattro e i due pugilatori erano due appunto: il fatto è che avevano
i loro motivi per esitare ad intervenire.
Innanzitutto, i due erano molto anziani, e quindi degni di rispetto.
In secondo luogo, erano due eroi di fama mondiale, per cui degni d’un rispetto ancora maggiore.
Infine, nonostante l’età veneranda i due menavano, e di brutto: questo li rendeva degni della mas-sima considerazione.
Fu per questo che, accertatisi che la folla di curiosi fosse a distanza di sicurezza dai due, i poliziotti si limitarono ad aspettare l’arrivo
dei loro compagni.
Altre sirene, luci baluginanti, frenate improvvise.
Poliziotti scesero dalle auto, disponendosi in cerchio attorno ai due contendenti, gli occhi fissi su Yasuko in attesa di ordini… e in quel
momento, si udì un’altra sirena.
Una nuova auto arrivò a tutta velocità, eseguendo un’azzardata manovra e concludendo con una frenata di quelle, per capirci, che
ti fanno lasciare un dito di battistrada sull’asfalto.
Un mormorio si levò dai poliziotti: quell’auto, e soprattutto quello stile di guida, era inconfondibi-le.
Era arrivato lui.
La portiera si aprì e ne emerse un uomo: il terrore della malavita, il poliziotto-Terminator, il più famoso (e famigerato) tra i tutori
dell’ordine di quella città. In confronto a lui, l’ispettore Callaghan era la Vispa Teresa.
Si chiamava Bunjiro, ma era conosciuto con tanti altri nomi, molti dei quali decisamente irriferibi-li; è curioso notare che alcuni dei
nomignoli meno gentili gli erano stati affibbiati non tanto dai de-linquenti, ma da qualche collega.
Yasuko fece una smorfia: era lei il poliziotto di grado maggiore, ma sicuramente quel tipo avreb-be…
– Qual è il problema? – sgridazzò infatti Bunjiro, che non era molto rispettoso con i suoi superio-ri, specie se donne – Non mi avrete
fatto venire qui solo per quei due cadaveri che si pestano, spero!
– Io non ho fatto venire TE – puntualizzò Yasuko, con calma ammirevole – Io avevo chiesto dei rinforzi perché…
– Per quei due residuati dell’ospizio? – Bunjiro scoppiò a ridere – Ma per piacere!
Yasuko si eresse nel suo metro e sessanta, affrontando a testa alta il metro e novantacinque per centodieci chili che aveva davanti:
differenza di corporatura o meno, il capo era lei. Punto.
– Forse non li hai riconosciuti – rispose seccamente – Quei due non sono due normali vecchietti… sono Tetsuya Tsurugi e Hiroshi Shiba.
– E con ciò? – rispose Bunjiro, strafottente.
Yasuko era una donna gentile, educata, generosa, altruista e fondamentalmente buona: se provocata, raramente poteva però avere
un guizzo di autentica cattiveria.
Questa fu appunto una di quelle volte.
– Molto bene, Bunjiro – rispose, zuccherosa – Se la pensi così, occupatene pure tu.
– E che ci vuole? – Bunjiro si batté contro il palmo il pugno pesante come un maglio; lanciò ai colleghi un’occhiata di ammonimento
(“Non osate intervenire! Quei due sono miei!”) e si fece a-vanti.
I colleghi si scambiarono un’occhiata speranzosa: che fosse finalmente la volta buona…?
13
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Bunjiro fece una smorfia.
Vecchi.
Sputò, schifato.
Detestava le cose che riteneva inutili, e gli anziani erano ai primi posti della sua personale classi-fica, assieme alle pulci, le zanzare
e i libri.
A suo parere, una volta non più in grado di essere produttivi, bang! Una pallottola nella zucca, e morta lì.
Vedere ora quei due vecchietti intenti a tentare di distruggersi, lo incollerì.
bolle di sapone gonfiate con le cannule dei cateteri… quei due ne avevano sempre una di nuova. Il più agguerrito era Tsurugi, che
avendo avuto un’infanzia decisamente infelice, stava riprendendosi tutti gli arretrati.
Gli infermieri si erano arrestati a guardare quelle loro due vecchie conoscenze, e sorrisero dandosi di gomito l’un l’altro. Turbolenti o
meno, a loro quei due indomabili nonni erano molto simpatici: vivaci, ribelli, pieni di vita e mai lamentosi. Tremendi, certo: ma bastava
non dar loro troppo peso. Prenderli sul serio come faceva il direttore significava ridursi prima o poi come lui, costretto a in-gollare
pillole su pillole di calmanti assortiti.
Accanto a loro, il direttore s’asciugò il viso con un fazzolettone a bolli arancioni e sospirò. Ades-so era costretto a riportarseli via, ma
una volta tornati a Casa Serena, i suoi due indisciplinati ospiti sarebbero tornati liberi, pronti a nuocere.
Il fatto è che lui mai li avrebbe contrastati… mai.
L’aveva fatto, in passato. Una volta.
Li aveva beccati mentre facevano gare di velocità con i girelli, e li aveva rimproverati aspramente davanti a tutti, privandoli del
dolce, della televisione e delle uscite per una settimana.
Qualche giorno dopo, mani ignote avevano cosparso di pepe bianco la sua carta igienica persona-le… il ricordo era ancora bruciante.
– Ci pensiamo noi, dottore? – chiese uno degli infermieri, un tipo dalla mascella quadra e il piglio calmo ma deciso.
– Buona fortuna, ragazzi – assentì l’uomo, distrutto.
– Andiamo! – l’infermiere aveva la stoffa del vero leader; balzò in avanti, e gli altri lo seguirono da presso.
La lotta fu durissima ma impari, e non durò a lungo. Alla fine, quando furono debitamente impac-chettati, inermi ma assolutamente
non domi, con un sospiro il direttore li fece caricare sui furgonci-ni per riportarli a quella Casa che, da quando erano arrivati loro
due, non era e non sarebbe mai sta-ta Serena.
Ripensò ancora a quel che gli avevano combinato in quegli anni… duelli con le stampelle, gavet-toni fatti con i pappagalli, corse
sfrenate sulle poltrone a rotelle… e rabbrividì.
L’unica cosa che lo consolava, era il fatto che gli mancavano solo due anni alla pensione.
Poi, a quei due ci avrebbe pensato qualcun altro.
– Bene, bene! – Che sta succedendo, qui? – esclamò con voce stentorea.
Bunjiro si fece avanti: era alto, il corpo talmente muscoloso che pareva scoppiare, e aveva l’aria sicurissima del macho super palestrato che con la sua semplice presenza ottiene subito calma e or-dine.
Disgraziatamente per lui, sia Tetsuya che Hiroshi in vita loro avevano visto ben di peggio, e un semplice Mister Superfusto non era
certo cosa da impressionarli. Impassibili, continuarono a pestar-si senza nemmeno degnarlo d’un’occhiata il che, si capisce, mandò in
bestia il Muscolone. Non era certo tipo da accettare di passar inosservato, lui.
Furioso, Bunjiro si rimboccò le maniche, mettendo in mostra avambracci grossi come barilotti ed abbondantemente tatuati: – Allora,
nonnetti! Vogliamo farla finita?
I suoi colleghi si tirarono immediatamente indietro, guardandolo come si guarda un perfetto defi-ciente.
– Io sarei un po’ più gentile, se fossi in te – si sentì in dovere d’avvertirlo Yasuko.
– Gentile con quei due che continuano a pestarsi e disturbano l’ordine pubblico? Ma vogliamo scherzare?
– Io t’ho avvisato – aggiunse Yasuko.
– Ma sono due vecchi fracichi! – rise il fustacchione, facendo schioccare le dita grosse come sal-sicce – Che volete che possano farmi?
Con una scrollata di spalle, Bunjiro si fece avanti ed afferrò per le collottole i due contendenti, se-parandoli immediatamente; poi li
scosse fino a far ticchettare le dentiere e li batté con le teste l’uno contro l’altro: – Allora, la vogliamo far finita?
Si trattava di ossa decisamente stagionate, e il cozzo che produssero fu notevole.
Semisoffocati, intontiti, i due rivali smisero finalmente di pestarsi e rimasero in silenzio ad osser-vare quel loro nuovo, inaspettato
avversario.
Il poliziotto scoppiò a ridere: ecco fatto, era finito tutto! Che c’era voluto? Possibile che i suoi colleghi non avessero avuto nemmeno il
coraggio di intervenire contro due ultranovantenni mezzi andati?
Un’occhiata d’intesa, e i due ultranovantenni di cui sopra agirono in perfetta sincronia come una squadra magnificamente collaudata.
Mentre Tetsuya, impugnato il bastone come una stecca da bi-liardo, sferrava al Bunjiro un terrificante colpo all’ombelico, Hiroshi,
prontissimo, con un’unica stampellata mandava in frantumi uno dei più perfetti, candidi sorrisi di cui si fosse mai fregiato il Corpo di
Polizia.
L’uomo finì a terra mentre i due rimanevano in piedi… appoggiati a bastone e stampella ma pur sempre in piedi… occhiali baluginanti, dentiere digrignanti e le facce feroci di chi è prontissimo ad agire ancora.
Folla e cordone di poliziotti fecero un istintivo passo indietro.
C’è qualcun altro che vuole provarci?, chiesero in silenzio Tetsuya e Hiroshi.
No-o-o!, fu l’unanime risposta che ottennero.
Una specie di gorgoglio alle loro spalle informò i due combattenti che il loro avversario non era ancora del tutto fuori combattimento.
Sputazzando sangue, denti e parolacce, il poliziotto si rimise in piedi, deciso a fare un macello.
Stavolta, non si sarebbe fermato a pensare che si trattava di fragili nonnini: stavolta, avrebbe pic-chiato duro.
Se poi ci fosse pure scappato il morto, tanto meglio. Un vecchio inutile in meno.
Balzò in avanti con un ruggito, mentre i suoi impressionabili colleghi si voltavano da una parte per non vedere quel che sarebbe
accaduto…
La folla si disperse, il poliziotto dagli stinchi masticati venne portato al Pronto Soccorso.
La vista di Bunjiro ululante portato via dagli infermieri diede un gran buonumore ai poliziotti; in pieno raptus di benevolenza, Yasuko
pagò un gelato alla sua pattuglia.
Nel parco scese finalmente il silenzio.
Rimasero solo loro due: Jeeg e il Grande Mazinga.
Erano immobili, impassibili… pure, osservandoli bene si sarebbe potuto vedere qualcosa… una sorta di… possibile? sorriso…
Ancora con questa storia su chi è più forte tra noi due.
Possibile che in tutti questi anni non abbiate ancora capito che, per quanto sia potente un robot, per quanto siano micidiali le sue armi,
la sua forza, la sua VERA forza è solo ed unicamente nel suo pilota?
Possibile che non abbiate ancora compreso che la domanda giusta è “Chi è più forte tra Hiroshi e Tetsuya”?
E… in fatto di forza, di coraggio, di determinazione…
…siete entrambi tostissimi…
Un paio di furgoncini candidi, con sui fianchi “Casa Serena” scritto in un tenue azzurro, arrivaro-no a tutta velocità, frenando bruscamente proprio sul limitare di un’aiola di petunie. Ne scesero su-bito il direttore, piccolo, tondo ed agitatissimo, e una dozzina
d’infermieri alti e massicci.
Si fecero avanti fendendo la folla che ormai era davvero imponente, arrivarono al cordone di poli-ziotti che circondavano l’aiola in
cui stazionavano i due giganti d’acciaio…
– Andate via, non è posto per voi! – gridò Yasuko.
– Quei due li conosco! – ansimò il direttore, allargandosi il colletto della camicia – Sono due dei miei ospiti… sono venuto a prenderli…
Fu un attimo. Visto che un altro si stava assumendo il compito di pelare la patata bollente, i poli-ziotti si fecero subito da parte, lasciando che il direttore e i suoi infermieri vedessero con i loro oc-chi quello che stava accadendo… e soprattutto, se la sbrigassero
da soli.
La scena era orrenda. A terra, Bunjiro, Mister Supermacho, urlava a spaccapolmoni mentre i due indomabili combattenti gli azzannavano un polpaccio ciascuno, dando oltretutto prova dell’eccellenza delle rispettive dentiere.
– Lo sapevo, lo sapevo! – gemette il direttore, aprendo con mani tremanti una scatolina e cavan-done una pillola – Shiba e Tsurugi!
Quei due mi faranno morire… – singhiozzò, la mente piena di atroci ricordi: battaglie spruzzando acqua con le perette dei clisteri,
14
15
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Il Re delle nevi
Autore: Joe7
Goldrake
Tetsuya & Jun
Autore:Reika76
Grande Mazinga
Fan art By Joe7&Nivalis70
Fan art By Nivalis70
La torre di Fleed si staglia sul tramonto sul mare. Non è ancora venuta la sera,
perché è chiaro, e non è più giorno, perché il sole sta finendo il suo giro. La mamma
chiamava questo il momento magico della giornata, pensa Venusia, con una punta
di malinconia. Dall’alto della torre, osserva lo spettacolo, così simile a quello che
aveva visto tante volte sulla Terra.
Tra pochi giorni si sposerà con Actarus e diventerà regina di Fleed. Ma per un
momento, vuole ancora essere la ragazzina del ranch Makiba, la “Betulla Bianca”.
Ricorda le continue cavalcate fatte per tenere a bada gli animali. La fatica di lavorare i campi. Le grida di suo padre, le prime difficoltà di Mizar. Quanta fatica
aveva fatto per insegnargli come si prende il latte dalle mucche!
A quei tempi, Actarus non era ancora stato presentato al ranch. Quando lei era piccola e trovava qualche momento libero, se c’era bel tempo, andava sotto la betulla
grande, che chiamava Re delle nevi, perché, quando cadeva la neve, si stagliava
su tutti gli altri fusti, coperto di bianco in modo così maestoso che sembrava un re.
Ogni volta leggeva lì i libri che le piacevano di più, in cui c’era un re o un principe
che si innamorava di una ragazza comune: le piaceva molto la storia di Ester, per
esempio, che era poi riuscita salvare il suo popolo. Oppure quella di Shererazade,
della Mille e una notte, che alla fine l’aveva vinta sul sultano. Oppure la classica
Biancaneve che il Principe alla fine portava nel castello. O la classicissima Cenerentola che ballava col principe.
Non avrebbe mai immaginato che alla fine un principe sarebbe davvero venuto a casa sua. E quando aveva visto Actarus la prima
volta le era sembrato più un ragazzo sperduto, che un principe. La sua semplicità e gentilezza avevano conquistato Venusia quasi da
subito: solo più avanti si era accorta che il suo modo di comportarsi aveva qualcosa del principe che si immaginava. Più volte fantasticava senza volerlo l’immagine di Actarus vestito da principe azzurro su un cavallo bianco che la svegliava con un bacio.
Stranamente, le sue fantasie finirono proprio quando scoprì che Actarus era davvero un principe. Quello che c’era dietro la storia
di Actarus non era un mondo di boschi fatati e uccellini cinguettanti, ma una storia di sangue, violenza, guerra, simboleggiata da un
gigantesco robot di combattimento e da una lista senza fine di mostri terribili e spietati.
La sua innocenza finì nel giorno in cui i suoi sogni si erano avverati.
Venusia continua a guardare il tramonto: ormai si fa più buio e il globo di fuoco del sole si sta spegnendo pian piano nel mare. I suoi
lunghi capelli accompagnano la brezza della sera, ondeggiando. Prova felicità e tristezza nello stesso tempo, osservando la scena.
“Prenderai freddo se resti lì, Venusia”
Lei si volta, osservando la figura sorridente di Actarus che la fissa divertito: porta una tunica blu lunga e aperta davanti, che gli dà
un’aria slanciata. Venusia si osserva un momento: porta ancora il bikini e il pareo di oggi pomeriggio legato alla vita. Si era dimenticata di andare a cambiarsi. Imbarazzata, dice:
“Oh…è già ora di cena? Adesso mi cambio, faccio in un attimo”
Actarus sa quanto durano gli “attimi“ di Venusia: meglio dirle subito la notizia.
“Aspetta un momento. Volevo dirti che ho ricevuto conferma da tuo padre: lui e Mizar arriveranno dopodomani per la cerimonia. Però
non capisco una cosa del messaggio…cosa significa questo? L’ha scritto tuo fratello…”
Venusia legge la scritta di Mizar e trattiene a stento un sorriso.
Poche parole: Il Re delle Nevi ti manda i suoi saluti, Ester!
Aveva letto mille volte quella storia a Mizar. Ha voluto fare lo spiritoso come al solito, il ragazzo!
“Chi sarebbe questa Ester?” chiede Actarus
“Cose nostre. Lascia stare, vado a cambiarmi” risponde lei, con aria misteriosa, dirigendosi verso la sua camera, lasciando sul balcone
un perplesso Actarus. All’improvviso, Venusia non prova più malinconia, anzi, si sente più leggera.
ESTER, o ESTHER: regina di Babilonia, capitale dell’impero persiano. Di umili origini ebraiche, sposò il re Assuero, o Serse, e sventò un
complotto di corte del malvagio Aman che tramava per lo sterminio del suo popolo. La sua storia divenne molto famosa. Il suo nome
significa “stella”; inoltre, è affine a quello di Ishtar, dea dell’amore e della guerra.
16
Il boato di lamiere divelte cancella per un istante qualsiasi altro suono, rendendoti
sorda persino all’implosione del cristallo della carlinga.
Le scheggie saettano ovunque come impazzite, cerchi di riparare gli occhi con le braccia, offrendole al loro freddo morso tagliente.
Poi la lama torna a colpire di nuovo, riesci a coglierne il sinistro scintillio per un istante,
prima che si abbatta con violenza su Venus e su di te, un ‘altra volta.
Il dolore ti attraversa per un solo attimo, rapido come lo schicco di una frustata, chiedi
a te stessa, se è questa la carezza gelida della morte.
Tutto diventa buio, e quando cerchi di riaprire gli occhi qualcosa te lo impedisce, è
il sangue che si è coaugulato tra le ciglia, lo stesso che diffonde nell’abitacolo il suo
disgustoso odore metallico.
Ripulisci come puoi il viso con una mano.
Fuori ancora rieccheggiano le grida della battaglia, scariche ionizzate attraversano
l’aria,crepitando con forza.
Il Mazinkaiser sta per dare il colpo di grazia al Generale Nero.
Abbassi gli occhi e non puoi trattenere un singhiozzo alla vista dello scempio che ti
circonda.
Tanto Venus che il Grande Mazinga sono stati fatti a pezzi e , c’è una nuova cicatrice
che adorna il tuo torace, un’unica linea retta lo attraversa per intero, passando nel
solco tra i seni.
Per fortuna non sembra profonda, anche se a guardarla non puoi trattenere un singhiozzo.
Respiri lentamente provando a calmarti, con una mano cerchi di tenere uniti i lembi dell’ormai inservibile corpetto.Con l’altra provi ad
azionare i comandi della Regina delle stelle, senza successo, i danni ai sistemi elettronici ,probabilmente sono troppo gravi.
Resti immobile sul sedile per un istante, cercando di raccogliere le idee, quando qualcosa entra nel tuo campo visivo periferico.
E’ una mano scura e guantata la cosa successiva che riesci a mettere a fuoco.
Appartiene a Tetsuya che si sporge oltre il vetro infranto:”Jun tutto bene?”
Con un salto penetra all’interno dell’abitacolo, facendosi largo tra i resti del cristallo blindato.
Lo fissi negli occhi prima di rispondere:”Qualche ferita superficiale” Mentre lo dici non riesci a nascondere nè il tremito nella voce nè
quello della mano che tiene insieme i lembi della divisa, ricacci indietro le lacrime, non vuoi che ti veda piangere, penserebbe che sei
debole, e non c’è nulla egli odi di più.
Tetsuya se ne avvede:”Tieni metti questo” Ti porge il giubbetto protettivo della propria tuta, dopo esserselo rapidamente sfilato.
Lo ringrazi con un cenno silenzioso prima di indossarlo, è caldo al tatto e conserva ancora una fuggevole traccia del suo profumo.
Indossarlo infonde sicurezza.
I rumori esterni sono cessati, dopo l’ultima devastante esplosione il Mazinkaiser si erge in tutta la sua potenza, Tetsuya ancora non
accenna ad andarsene, ti porge invece una mano: “Useremo il Brain condor per rientrare alla base”.
La carlinga è stata progettata per un solo pilota, per questo guardi attorno spaesata non sapendo bene dove metterti, è ancora
Tetsuya a toglierti d’imbarazzo, spostandosi sul sedile ti fa spazio, il suo è un abbraccio caldo e gentile, la tensione finalmente lascia
il tuo corpo.
Quando le vostre mani si appoggiano insieme sulla cloche, capisci, senza alcuna possibilità d’errore che qualcosa sta per cambiare.
Per sempre.
Stringi lentamente la sua mano, e alzi il volto a fissare le iridi scure.
Stupore e desiderio vi scorrono , le labbra di Tetsuya si spianano in un sorriso, prima che ricambi la stretta.
Pilotate insieme, vicini come mai lo siete stati.
Non ti importa più di nulla, se non del suo respiro dolce che ti accarezza il collo.
Dorme, vedi il suo torace alzarsi ed abbassarsi con assoluta regolarità.Lasci scorrere un dito con delicatezza sui fasci muscolari che
lo attraversano. Non riesci a trattenere un piccolo sussulto quando due braccia muscolose ti intrappolano.Tetsuya è ora sopra di te e
sorride malizioso: “Non sappiamo resistere eh?”
17
le letture estive di Gonagai.net
Baci lievemente quelle labbra volitive ed al contempo incredibilmente sensuali.
La stretta si allenta, permettendoti di assumere una posizione più comoda su un torace tanto duro.Resti lì immobile , per quanto continuerà ancora questo gioco?
“Dai è presto” Sussurri con espressione tentatrice, puoi restare ancora.
Tetsuya si solleva su un gomito e ti fissa con espressione corrucciata:”Il Great ha bisogno di riparazioni urgenti”.
Mentre lo dice nascondi il volto nell’incavo della sua spalla, godendo dell’inaspettata sensazione di pace che vi avvolge.
Il rimbombare sonoro di uno schiaffo, seguito da strilli e invettive richiama la vostra attenzione sulla finestra.
E’ Tetsuya, ormai in piedi a chiuderla: “Hanno cominciato presto questa mattina eh?” Anche attraverso lo schermo dei vetri le grida
isteriche di Sayaka si sentono benissimo.
Scoppiate entrambi a ridere.
“E’ meglio che vada”.
Tetsuya esce dalla stanza offrendoti una gradevole visione di spalle possenti e glutei scolpiti.
Sospiri rassegnata, mentre la porta si chiude.
Il vostro piccolo segreto è al sicuro dalla luce del giorno, sorridi compiaciuta sdraiandoti là dove il letto ancora conserva il suo calore.
Per chi ha saputo attendere così a lungo qualche altra settimana non fa differenza...dopotutto....
L’inverno è alle porte con le sue lunghe, lunghe notti..
http://gonagai.forumfree.it
Rivelazioni
Autore: Reika76
Devilman
Fan art By Kojimaniaca
Il soffio del vento vi accarezza lieve,Miki ha ormai rinunciato a cercare di tenere in ordine i capelli, Dei tuoi invece non ti sei mai curato in modo particolare.
Siete entrambi assorti in silenziosa contemplazione, vicini ma incommensurabilmente lontani.
Il sole dopo avervi avvolti per un attimo nel suo fuoco rosseggiante è tramontato oltre la barriera delle onde.
La luna illumina placida un cielo che non riconosci, le stelle in miliardi di anni hanno cambiato il
loro posto , ma brillano liete come mai prima.
Il tempo della menzogna è finito.
L’odore del mare pervade i tuoi sensi con le sue sfumature salmastre, mischiato al lieve profumo
di fiori che viene da Miki.
mentre si avvicina a te la senti rabbrividire, la stringi di piu’ tra le braccia perchè non avverta
la morsa del gelo ma solo il calore che si irradia da te.
Non avresti mai creduto possibile che un demone potesse amare altro che la lotta, il sangue, dal
sapore ferrigno e salato.
Eppure una debole umana ti ha cambiato così tanto, che neppure sai dare un nome a cio’ che
provi.
E’ banale ed abusato ma in realtà sai molto bene di cosa si tratta : Amore.
Un demone che ama : ridicolo!
Il firmamento sopra di te è cambiato, ma anche tu lo sei.
Fondendoti con Akira Fudo hai acquisito una consapevolezza di cui ignoravi l’esistenza.
Qualcuno la chiama anima,qualsiasi cosa sia è profondamente radicata in te.
Miki solleva lo sguardo e ti fissa negli occhi, allenti la presa, un abbraccio troppo vigoroso e potresti stritolarla.
Ti sorride ora: “Akira, è tardi andiamo a casa”.
Dai gas alla moto, lo strillo compiaciuto di Miki accompagna la tua risata, si stringe a te per non cadere, l’eco dei vostri respiri si
perde nel vento alle vostre spalle.
IL giallo faro della moto, è l’unico occhio che si apre sul buio della notte.
Lei sa cosa sei, alla fine l’ ha scoperto e l’ha accettato,ma non sai fino a che punto, vivi ancora nel terrore ti guardi con occhi disgustati
e si allontani da te da un momento all’altro, eppure sembra serena.
Imbocchi volutamente la panoramica, nel tentativo di godere piu’ a lungo del contatto con lei, della curva delicata dei seni premuta
contro la schiena.
Vorresti poter permeare i suoi pensieri, ma non puoi.
Casa Makimura è ormai in vista, lasci la moto in garage, mentre Miki dopo averti dato la buonanotte si avvia lungo le scale. Presto
la casa diventa silenziosa, anche per te è stata una giornata lunga, rilassi i muscoli contratti e t’abbondoni al sonno.L’umano dorme
mentre il demone veglia.
Sono i tuoi sensi a farti rientrare bruscamente nello stato di veglia, segnalano che qualcosa non è come dovrebbe: Il quadrante digitale della sveglia indica che sono le 3,00.
Attendi con la tensione che pervade ogni singola fibra del tuo essere che il pericolo si manifesti, qualsiasi forma assuma lo affronterai.
Un rumore di passi strascicati viene dal corridoio, le zanne già sporgono dalle labbra, pronte a colpire, micidiali e silenziose come i
tuoi artigli .
La porta scivola lenta sui cardini, sei pronto a spiccare il balzo quando: resti impietrito al tuo posto.
E’ Miki quella che ti si para davanti, scalza e scarmigliata, con gli occhi gonfi di pianto.
La voce trema tra un singhiozzo e l’altro, mentre ascolti parole che mai avresti voluto udire.
“Oh Akira, dimmi che è stato solo un brutto sogno, che i demoni non esistono, che non ci sono mostri che vogliono ghermirmi nell’oscurità”
18
19
le letture estive di Gonagai.net
Vorresti mentire, dirle che ha solo sognato, ridere di lei come già hai fatto in passato, ma non puoi non questa volta: è tardi ormai
...troppo.
Lasci che il potere del Devilman ti pervada, assumi davanti ai suoi occhi sbarrati le tue vere fattezze.
Sollevi le iridi rosse a fissare le sue.
“E’ tutto vero Miki, io sono Devilman della tribù dei demoni”
http://gonagai.forumfree.it
Terapia d’urto
Autore: Reika76
Goldrake
Fan art By Kojimaniaca
Non è rabbiosa, idrofoba rende meglio l’idea, del suo attuale stato d’animo. Ha destinato
l’ampio soggiorno ad unico spettatore, di una situazione che disgraziatamente si ripete con
una certa frequenza.
La radio diffonde in sottofondo le note di una canzone dolce, scocciata cambia stazione fino
a trovare un rock assordante.
Perfetto, decisamente più in linea con la sua momentanea indole.
Digrigna i denti con forza,facendo schioccare le otturazioni.
Per un istante lo spazio tra voi sembra dilatarsi all’infinito.
E’ immobile, come pietra davanti a te, muove esitante un passo dopo l’altro fino a gettarti le braccia al collo e a stringersi contro il
tuo torace.
Lo sbalordimento più completo ti dipinge il volto.
Parla nascondendo il viso nel tuo petto.
Vorresti abbracciarla ma non osi.
Deve stare calma,questo non giova certo all’ottimo lavoro del suo dentista.
“Allora non è stato un incubo, è tutto vero” Le sue parole hanno il gusto amaro delle verità troppo a lungo celate.
Fa due,tre, quattro respiri profondi, nel tentativo vano, di non andare in iperventilazione.
Al diavolo tutti gli stupidi suggerimenti delle riviste rosa, con cui ammazza il tempo ultimamente.
Saprebbe lei chi uccidere e non solo metaforicamente!
Si allontana da te quel tanto che basta a fissarti in viso.
“Akira o Devilman, non importa, per me tu sei la sola cosa importante, ti prego abbracciami e non lasciarmi “
La stringi a te mentre recuperi rapidamente le tue fattezze umane.Ci vorra del tempo perchè accetti del tutto anche quelle demoniache.
Restate a lungo così,prima che qualcuno rompa il silenzio.
“Ho paura a dormire sola, lasciami restare con te.”
Sussulti lievemente, soffocando a stento una risatina, zio Makimura per quanto liberale, di certo non approverebbe, ma non importa.
Le fai spazio sul letto,e ti stendi accanto a lei.
E’ la dolce fragranza del suo respiro a guidarti verso il sonno.
Verso i sogni.......
Voli in alto con Miki al tuo fianco,e sono ali d’angelo quelle che adornano la tua schiena.
Eccolo lì, fonte di tutti i suoi guai, la fissa dalla parete,incredibile a dirsi, trova il suo sorriso
addirittura irritante.
Deve darsi una calmata, non ci sono alternative se non vuole esplodere, si era ripromessa di smettere con il vizio, un po’ come quando
ci si mangia le unghie, ma l’astinenza forzata la sta facendo impazzire.
Quello che le serve è nel secondo cassetto, accarezza compiaciuta la piccola scatola metallica e ne ammira, per la millesima volta ,
gli ipnotici colori iridescenti.
Prima che la mente controlli l’istinto e fermi il braccio, il rumore sordo di un oggetto scagliato con forza rimbomba nell’aria.
Questa è per te , che ti ricordi che esiste il sesso femminile solo quando si fanno vive le tue ex.
Troppo a destra
Un secondo scricchiolio, accompagna il lancio successivo.
Questo è perchè loro sono sempre: spendide creature dai colori sgargianti come pesci tropicali, che nulla hanno lontanamente a che
vedere con le donne normali! Si chiede malignamente se condividano anche il livello cerebrale dei suddetti animali acquatici.
Leggermente a sinistra
La fattoria nelle prime ore del pomeriggio sembra deserta. il calore sale in ampie volute dallo sterrato, deformando i contorni delle
costruzioni . Parcheggia la jeep vicino alla stalla , dove Mizar è intento ad accarezzare un puledrino.
Il ragazzino brucia sul tempo le sue domande, rispondendogli senza neppure sollevare lo sguardo dal cavallino baio.
“ Se cerchi Venusia è in casa, ma se fossi in te tornerei più tardi....”
Alcor solleva le spalle, con l’afa opprimente , l’unica cosa che desidera è tornare all’aria condizionata del centro ricerche.
La porta del soggiorno è socchiusa, la apre disinvolto, prima di bloccarsi poco oltre la soglia. Un missile metallico acuminato e tagliente, fischia a pochi millimetri dal suo orecchio, prima di infiggersi nella parete con uno schiocco .
Centro perfetto.
Resta immobile , letteralmente pietrificato, mentre Venusia si rivolge verso di lui con un’espressione angelica: “ Alcor non ti ho sentito
entrare...”
Il coraggioso pilota , non può che biascicare: “ Procton” mentre cerca disperatamente di recuperare il controllo neuromotorio sulle
sue non più ferme ginocchia.
La furia spaventosa che si è trovato davanti all’apertura della porta, si è di colpo trasformata, nella più innocua delle creature. Non
può reprimere un brivido davanti al suo disarmante sorriso.
“Vado subito a prenderti il mio rapporto, immagino il professore lo stia aspettando”.
Si ferma un istante sulla soglia e prima di uscire, estrae con un gesto disinvolto, l’ultima freccetta, quella rossa.
E’ piantata esattamente tra gli occhi di Actarus.
Alcor incapace di restare ulteriormente in piedi, si lascia cadere sulla sedia più vicina...
Accidenti...La sua mira è incredibilmente migliorata!!!
20
21
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Partenza
Autore: Rubina71
Goldrake
Fan art By Isotta72&Nivalis70
Aveva creduto che avrebbe trascorso la sua vita sulla terra, ma da quando Rubina gli
aveva rivelato che Fleed stava tornando alla vita, all’improvviso tutto era cambiato, lui
era cambiato!
Era come se con la mente fosse ormai rivolta a quel suo pianeta martoriato, Duke Fleed
il principe, l’erede al trono con le sue responsabilità aveva poco a poco sopraffatto
Actarus il garzone della fattoria Betulla Bianca.
Era come se in lui convivessero due persone, Duke e Actarus e doveva fare una scelta,
decidere quale delle due far prevalere.
Al suo arrivo sul pianeta blu, era stato curato con affetto, l’affetto di un padre.
Procton con quel suo fare pacato, ma al contempo sicuro, gli ricordava quel padre che
aveva perduto e subito tra loro si era instaurato un vero rapporto- padre figlio così
aveva deciso di vivere come un terrestre, di fare della terra la sua seconda casa.
I ricordi iniziarono a turbinare nella sua mente, i giorni immediatamente successivi al suo
arrivo sulla terra, le crisi, le difficoltà ad adattarsi ad un mondo tanto diverso dal suo e
Procton sempre accanto a lui per aiutarlo ad ambientarsi, per sostenerlo!
Quel suo padre terrestre era riuscito con dolcezza ad abbattere le sue barriere, la sua
iniziale diffidenza, come gli avrebbe detto che aveva deciso di tornare su Fleed? Come
avrebbe reagito alla notizia della sua partenza? Avrebbe capito?
Poi c’era Alcor, un’amicizia nata facendo a pugni, diventata ogni giorno più forte, più
vera! Avrebbero dato la vita l’uno per l’altro! Avevano combattuto e sofferto insieme!
Compagni d’armi ormai.
Impulsivo com’era, Alcor non avrebbe accettato facilmente la notizia della sua partenza, quando poi gli avrebbe detto che Maria
sarebbe partita con lui le cose sarebbero andate anche peggio, sapeva che tra loro due stava nascendo un tenero legame.
Dulcis in fundo Venusia! Gli era rimasta accanto nonostante tutto, nonostante sapere di Rubina le avesse spezzato il cuore!
Ricordò il giorno in cui le aveva rivelato la sua vera identità,Venusia era in collera con lui perché non voleva dirle dove fosse stato la
sera precedente, ad un tratto lei perse il controllo del cavallo e iniziò una terribile caduta nel precipizio.
Sarebbe morta se non avesse fatto qualcosa, e quel qualcosa comportava rivelarle chi era!
Ricordò gli occhi color nocciola di lei che lo fissavano increduli e impauriti, fu costretto a darle uno schiaffo per calmarla!
Che vergogna aveva provato in quel momento! Come aveva potuto essere tanto vile da picchiare una donna?
Ma da quel momento erano stati inseparabili, e lui non aveva più il peso di dover nascondere chi era.
Amava Venusia? Aveva pensato di sì, almeno fino a quando quella ragazza dalla pelle candida e folti capelli rosso fuoco non era
ritornata nella sua vita!
Rubina c’era rimasta per poco, ma era riuscita a sconvolgergli la vita, gli aveva ricordato chi era,
gli aveva restituito la sua “casa”, la sua storia e poi era morta per salvarlo!
Fissò ancora una volta la foto di Fleed che lei gli aveva dato, la testa gli girava vorticosamente per le forti emozioni che provava
in quel momento; la fotografia gli scivolò dalle mani andandosi a posare su di un fiore rosso ed improvvisamente udì una voce nella
mente” Voglio che tu mi faccia una promessa Duke, quando sarai su Fleed chiama il primo fiore che nascerà con il mio nome.....diventerò un fiore rosso e sarò sempre vicina a te!” Calde lacrime rigarono il suo volto!
22
Tragiche necessità
Autore: H.Aster
Daitarn
Fan art By Handesigner
– Sono davvero spiacente, signor Banjo, ma i tempi cambiano – disse Garrison, ossequioso, compostamente assiso su una delle poltrone del salotto – Purtroppo, abbiamo
bisogno di fondi per poter garantire una buona manutenzione al Daitarn, e sinceramente non vedo in quale altro modo… onesto… si possa ottenere una simile somma
di denaro.
– Non mi piace – brontolò Banjo.
– Si tratta di un mucchio di soldi – esclamò allegramente Toppi, sdraiato di traverso su
una poltrona – Prova a pensare a questo, e non ti sembrerà poi così brutto.
Banjo scosse la testa: – Non mi piace lo stesso! È… umiliante.
– Ma per piacere! – esclamò allegramente Beauty, allungando con voluttà il suo 9560-95 sul divano – Umiliante? La pubblicità è l’anima del commercio, non lo sai?
– Beauty, che frase originale! – esclamò Reika; la sua voce era ad alto tasso d’arsenico, ma naturalmente il gallinaceo cervellino della sua compagna non era in grado di
cogliere un sarcasmo.
Con un risolino di autocompiacimento, Beauty si raggomitolò sui cuscini: – Comunque, io
dico che è un’occasione d’oro, e rinunciare a tutti quei soldi è follia pura.
Banjo gemette. Era evidente che Beauty era favorevole, come Garrison e Toppi; si girò
verso Reika, sperando che lei si schierasse dalla sua parte, che muovesse opposizioni
a quel… quel…
– Odio dirlo – rispose Reika alla muta domanda di lui – ma per una volta tanto sono d’accordo con Beauty.
– …Anche tu…! – mormorò Banjo, sconfortato.
– Banjo, guardiamo le cose in faccia – disse lei in tono pratico – I soldi ci servono. Abbiamo la possibilità di averne tanti e, cosa non
trascurabile, di averli in maniera assolutamente limpida e onesta… dire di no sarebbe veramente assurdo.
Banjo chinò il capo, passando con lo sguardo uno per uno sui suoi compagni, radunati nel salotto della loro villa. Erano tutti d’accordo,
quattro contro uno… doveva cedere. Però gli bruciava…
– Non è una cosa seria! – disse, tanto per tentare un’ultima protesta.
– Perché, andare a fare sfracelli pilotando un robot gigante è serio? – chiese Beauty, con insospettabile buon senso.
– E va bene! – Banjo alzò le mani in gesto di resa – Va bene! Facciamo come volete!
– Evviva! – gridò Toppi.
– Finalmente un po’ di buon senso! – esclamò Reika.
– Signore, mi permetta di congratularmi con lei – aggiunse Garrison.
– È la cosa più intelligente che potessi decidere – ridacchiò Beauty, mentre Reika la guardava storto masticando sarcasticamente un
“intelligente…!” tra i denti.
– Però… – cominciò Banjo, troncando grida di giubilo e congratulazioni.
– Cosa c’è che non va? – chiese Reika.
Banjo rifletté, scegliendo con cura le parole: – Sentite, capisco che quei soldi ci servono, e so che essere… uh… sponsorizzati è normalissimo, ma… insomma…
– Ma certo che lo è! – esclamò Toppi – Tutti gli sportivi hanno i loro sponsor.
– Resta il fatto che noi siamo dei combattenti, non degli sportivi – osservò Banjo.
– Quanto la fai lunga! I soldi sono soldi – osservò Beauty, controllando rapidamente nel vetro della portafinestra lo status delle sue
chiome.
– Non potresti sparare una delle tue solite sciocchezze? – sbottò Reika.
– Ma se ti lamenti sempre per le mie stupidaggini, dici che non le sopporti…
– Sopporto ancora meno doverti dare ragione!
– Smettetela! – sbottò Banjo, seccato – Va bene, oggigiorno lo sponsor è essenziale; se poi è più di uno, tanto meglio. D’accordo…
per cui, passi il fatto che d’ora in poi Daitarn dovrà girare sempre con attorno alla fronte una fascia con su scritto “Bevete CacaLoca”.
– Mi piace tanto, la Caca-Loca! – esclamò allegramente Beauty – Quelle bollicine sembra che ti frizzino nella testa!
– Così non avrai il cranio vuoto come al solito – osservò Reika, soave.
23
le letture estive di Gonagai.net
– E poi – continuò in fretta Banjo – passi anche il dover avere sul petto la scritta “con Aiace pulito sicuro”…
– Eccellente prodotto – osservò Garrison – Impagabile per le superfici del bagno, se il signore mi consente.
– Passi anche il dover portare una cintura con la scritta “Vispident, chewing gum senza zucchero”.
– Non è male il Vispident – osservò Toppi – In effetti, da quando lo uso il dentista non mi ha trovato più carie.
– Che non sia perché invece i denti te li ha già trapanati tutti? – osservò serafica Beauty.
– Passi anche – esclamò Banjo, il tono sufficientemente alto da stroncare le proteste di Toppi – passi anche la scritta sulla schiena…
– inspirò – …“Pimpi, pannolini per bimbi”…
– In effetti, è dura – mormorò Reika.
– Ne convengo – aggiunse Garrison.
– Pensate ai soldi… – canterellò Beauty.
– Lo so! – sbottò Banjo – I soldi! Continuo a pensare a quei maledetti soldi, per questo ho accettato tutto questo… ma quel che è
troppo, è troppo!
– Che volete dire, signor Banjo? – chiese Garrison.
- Dico che accetto la Caca-Loca, l’Aiace, il Vispident, persino i pannolini Pimpi… ma mai, ed è la mia ultima parola, MAI a fine combattimento acconsentirò a dire “Ed ora vincerò con la forza di Sole Panni!”
http://gonagai.forumfree.it
La nuda verità
Autore: H.Aster
Gundam
Fan art By Toshia76
Esci dalla mia vita, si disse Scia.
Tolse finalmente la maschera con cui per anni aveva occultato le sue
fattezze: basta con le bugie, basta con la faccenda del viso deturpato, basta con le finzioni… d’ora in poi, lui avrebbe affrontato la
realtà a volto scoperto. Niente più menzogne nella sua esistenza. Gli
Zabi erano stati definitivamente spazzati via, l’onore era salvo, papà
era stato vendicato. Se Zeon avesse pure vinto la guerra, sarebbe
stato perfetto; disgraziatamente non si può avere tutto, ma il segreto
della felicità è sapersi accontentare, e in quel momento lui era ben
deciso ad essere felice. Almeno per ora.
In ogni caso, il non dover più tenere quell’affare sul viso era già un
bel cambiamento in meglio.
Con un sorriso soddisfatto, Scia si guardò in uno specchio: vide un
volto giovane, attraente. Con quel viso scoperto avrebbe affrontato
il futuro, con quei lineamenti finalmente liberi dalla maschera quella
sera avrebbe partecipato alla grande festa in suo onore.
Impettito, elegantissimo, il viso che finalmente affrontava il mondo restando scoperto, Scia si diresse con passo deciso verso l’ingresso;
sulla porta, un vasto usciere dall’uniforme tutta galloni si fece avanti: – Un momento, signore.
– Ecco il mio invito – con un ampio gesto, Scia gli porse il rettangolo di cartoncino.
L’usciere tossicchiò: – Grazie, signore, ma…
– È tutto in regola, no? – Scia fece per entrare, ma i molti galloni dell’usciere continuavano a frapporsi tra lui e l’ingresso del salone.
– Sì, signore, l’invito è in perfetta regola – rispose l’usciere, che continuava a riempire con la sua ampia massa la porta d’ingresso.
Dall’interno, voci, risate, musica: la festa era iniziata. Un gradevole profumino annunciava che i rinfreschi stavano per l’appunto venendo serviti.
– Allora? – chiese Scia – Posso entrare?
– Veramente, signore… – l’usciere tacque, imbarazzato.
Tacitando i brontolii che provenivano dal suo stomaco desolatamente vuoto, Scia si permise un sorrisetto: – Capisco… non sei sicuro
della mia identità. Sono il maggiore Scia, e suppongo anche di essere l’ospite d’onore di questo ricevimento che è stato dato per
festeggiare la caduta degli Zabi; per cui, se tu volessi farti da parte…
Il portiere sospirò: – Non posso farlo, signore. Ho avuto ordini severi.
Scia cominciò a spazientirsi: non amava certo l’atteggiamento lei non sa chi sono io, ma come diceva un antico proverbio terrestre,
“quando ci vuole, ci vuole”: – Capisco che tu faccia fatica a riconoscermi, uomo, ma t’assicuro che sono davvero il maggiore Scia
Aznabul… o Casbal Rem Daikun, se preferisci! Se proprio ci tieni, puoi identificarmi attraverso le impronte digitali, o della retina, o
le vibrazioni della voce, o…
– No, no – rispose conciliante il portiere – So benissimo chi siete, Maggiore. Vi ho riconosciuto subito.
– Bene – Scia parlava con il tono perfettamente calmo di chi sta per perdere le staffe e dare il via ai ruggiti – Se sai chi sono io,
allora sai anche che là dentro mi aspettano, visto che guardacaso la festa è in mio onore. Vuoi toglierti finalmente di torno e farmi
passare, una buona volta?
Il portiere chinò la testa e sospirò nuovamente: – Signore… non posso. Non posso proprio.
Scia trattenne a fatica l’ululato selvaggio che stava per salirgli alle labbra; con gli ultimi, scarsissimi residui di pazienza che ancora gli
restavano, si sforzò di parlare con il tono più calmo e ragionevole che poté trovare: – Sentimi bene, tu: dopo anni e anni di paziente
lavoro, sono riuscito a far fuori tutti gli Zabi, dal primo all’ultimo: finalmente ho vendicato papà. Vengo qui su Axis. Viene data una
grande festa in mio onore. Mi lavo collo e orecchie come un bravo bambino. Mi lucido gli stivali, mi metto la mia uniforme di gala,
arrivo con il regolamentare ritardo tipico dell’ospite d’onore. L’invito è regolare. Tu stesso sai che io sono io.
L’usciere spostò nervosamente da un piede all’altro il proprio considerevole peso: – Sì, signore.
– Bene. Allora, per favore, dimmi: perché non vuoi farmi entrare? Perché, maledetto te?
L’usciere si strinse nelle ampie spalle, con la punta del piede raschiò un imprecisato punto del pavimento: – Perché, signore… questa
è una festa in maschera.
24
25
le letture estive di Gonagai.net
“Oh, carissima …” disse una morbida voce baritonale alle mie spalle. Una voce che era sempre un piacere ascoltare.
“Ma tu guarda chi s’incontra …” dissi girandomi.
Di fronte a me c’era la figura imponente dell’Avvocato Francesco Buccinotti, Cicciù per gli amici. E accanto a lui c’era l’assistente
sociale che stavo cercando.
Cicciù è uno dei giuristi più insigni di tutta la Calabria e se avesse esercitato l’avvocatura, sarebbe stato il Perry Mason italiano. Ero
fermamente convinta che avrebbe dovuto lottare di più con l’università di Messina per essere nominato professore associato, ruolo cui
aveva diritto. Ma il soffio al cuore, riscontrato in età adulta, lo aveva spinto fuori da atenei e aule giudiziarie, per approdare agli
uffici del coordinamento dell’assistenza sociale, con speciale attenzione ai casi che coinvolgevano abusi sulle donne e sui minori.
Ad Astra Attollo
Autore: Grande Blu
1 settembre 2009
Dedicato a Rubina 71 e Icarius
Prefazione
Informo i lettori che nel racconto non prendo minimamente
in considerazione la Teoria dell’Impatto Gigante che ora i
fisici ci propongono come origine della formazione della
Luna.
Non si tratta quindi di un’inesattezza scientifica, ma del rifiuto di una teoria che, pur con gli evidenti successi in simulazione, lascia ancora dei quesiti insoluti.
Inoltre, per esigenze narrative, propongo una teoria, non
suffragata da prove scientifiche, che suppone i pianeti del
sistema solare interno e la Luna di quattro miliardi di anni
più antichi della Terra.
Ad Astra Attollo 1 settembre 2009
Introduzione
Questo racconto nasce da una discussione sugli alieni iniziata dal nostro webmaster.
A un mio commento, Icarius rispose che sarebbe stato bello immaginare che intelligenze aliene ci avessero aiutato a evolverci ai
primordi dell’avventura umana sulla Terra, e ancor più bello se un giorno l’umanità avesse visitato altri mondi, aiutando altri popoli
nel loro cammino verso la civiltà.
Rubina richiamò la nostra attenzione sul fatto che gli alieni sono sempre rappresentati brutti, ma sarebbe bello se invece fossero
attraenti come Kal El o Duke Fleed …
Il mio racconto ha questi due punti fermi: contributo alla civilizzazione e alieni di bell’aspetto …
Come anticipato ai due dedicatarii, in questo racconto non ci sono riferimenti a personaggi di anime o comics.
Nei cognomi dei personaggi – sempre fonte di preoccupazione, per evitare di citare persone realmente esistenti – troverete i nomi
di alimenti.
La protagonista, l’avvocato Eva Arborio, fa alcune scoperte sbalorditive nel più insolito dei modi.
Ricordate il suo nome, ed anche quello esotico di Suura Mee.
Ad Astra Attollo
Capitolo I
Quando si batte la testa, in genere ci viene un bernoccolo. Se è grave, ci mettono dei punti di sutura, e si parla di trauma cranico.
Io non ho avuto né bernoccoli né punti di sutura, ma un’esperienza incredibile. Solo che se lo racconto in giro, prima mi licenziano e
poi m’internano in clinica psichiatrica.
Io so di non essere per niente pazza.
Tutto è successo per colpa di Saverio Ostrica. Non scherzo, si chiama proprio così. Un caso classico di violenza domestica. Cresciuto
in una famiglia con padre alcolista e single, non aveva avuto modelli positivi cui riferirsi.
A vent’anni mette incinta la fidanzata, si sposano. I genitori della ragazza hanno un brutto presentimento, che purtroppo si avvera.
Bevitore abituale, ha “il vino cattivo”, come si dice dalle mie parti, per indicare le persone che quando hanno bevuto diventano violente. Lui picchia la moglie, procurandole un primo aborto spontaneo.
Non si ferma neanche quando rimane incinta la seconda volta, a rischio di farla abortire ancora. E lei, che crede davvero che questo
comportamento sia solamente dovuto al suo nervosismo, e di meritare quelle percosse, non lo denuncia. Hanno una bambina, Ada. Lui
continua, ma quando la manda all’ospedale con la mandibola rotta, l’assistente sociale è sul posto. E sporge denuncia.
Io lavoro al Tribunale per i minorenni. E la giudice Elisa Pepe mi ha mandato a occuparmi di questa storia, a sentire le prime impressioni e vedere di incominciare a istruire un caso di violenza su minore.
Entrai al pronto soccorso, e mi misi a cercare la stanza dove la signora Ostrica era medicata, nella speranza di trovare nelle vicinanze
l’assistente sociale.
26
http://gonagai.forumfree.it
Diceva sempre che voleva creare un mondo migliore per tutte le donne, per sua moglie, la madre, le sorelle … Ma soprattutto per
Matilde e Samantha, le sue piccole.
Grande fortuna, per me, questo incontro … I resoconti di Francesco erano così accurati, e già raccolti in forma di atti, che in pratica
da soli costituivano la base delle indagini preliminari.
Mentre mi guidava attraverso gli ambulatori, mi aggiornò rapidamente sull’accaduto.
Improvvisamente sentimmo un bussare ai vetri, mi girai e mi trovai di fronte, oltre la lastra di vetro di una finestra, un viso noto, e una
manona che si agitava in un ciao-ciao … Che ricambiai aprendo e chiudendo la mano in un cenno di saluto, mentre una bimbetta magra dal visetto sparuto si aggrappava al braccio di Sasà, probabilmente per farlo tornare a giocare. Sorrisi e girai l’indice nell’aria,
e con la bocca mimai “a dopo”, senza proferire parola.
“Quella è Ada Ostrica”, disse Francesco.
“Lo avevo immaginato. Con Sasà è in buone mani”, risposi sorridendo, e Francesco annuì.
Tutti i napoletani sono simpatici. E questo non è un luogo comune. Ma Salvo Cocchia, detto Sasà, era il più simpatico. Oltretutto buono
come il pane. Infermiere professionale, aveva scelto di lavorare al pronto soccorso, e spesso anche come sostituto sulle ambulanze.
Con i suoi numeri, Sasà avrebbe potuto lavorare in qualsiasi ospedale o clinica, addirittura scegliersi il reparto.
Invece aveva scelto il pronto soccorso. Diceva sempre: “Da chi il paziente si trova davanti al pronto soccorso, dipende il 70 per cento
delle probabilità di cavarsela con un danno minimo”.
Finalmente arrivammo alla stanza, dove si trovava la signora Lucia Ostrica. Come misi piede sulla soglia, una voce tenorile squillante
e allegra mi salutò:
“Oh, ciao, lo sapevo che avrebbero mandato te.”. Quell’inconfondibile accento veneto poteva appartenere solo a una persona, difatti, l’alta figura di Riccardo Soave apparve nel mio campo visivo.
Cicciù e Sasà sono alti sul metro e ottanta, dalla costituzione robusta che incute rispetto al solo guardarli. Ric supera di poco i due
metri, ed ha praticato pugilato come dilettante, per la categoria pesi medi. Veronese, giovane medico davvero brillante, subissato
da offerte di lavoro di ospedali prestigiosi e cliniche private su tutto il territorio nazionale. Aveva però deciso di lavorare al pronto
soccorso di un ospedale cittadino, convinto che un medico dovesse stare dove maggiore era il bisogno.
“Le hai viste le ultime foto delle mie piccoline?” Feci cenno con la testa di no.
Solo allora mi accorsi che la donna piena di lividi che stava curando aveva in mano uno di quei mini raccoglitori per le foto e lo stava
sfogliando, tempestando Ric di domande su Edvige e Brigitta, e persa in quella contemplazione non faceva neppure caso alle abili
mani del medico che faceva il suo lavoro.
Le mani. Non potei fare a meno di pensare che quei tre uomini, oltre ad essere miei carissimi amici avevano in comune una caratteristica. Le mani grandi.
Mani che la povera donna doveva aver guardato con terrore … mi riscossi dai miei pensieri, quando mi porse le foto … guardai solo
le ultime, commentando, mentre il suo sguardo mi scrutava. Le sorrisi. Restituii le foto a Ric, e le tesi la mano.
“Sono Eva Arborio, sono venuta a vedere come sta”. Ric e Cicciù si scambiarono un’occhiata. Non era opportuno nominare il tribunale
per minorenni a quella donna contusa dallo sguardo terrorizzato. Almeno per il momento. Dopotutto, io volevo solo capire se era
disposta a denunciare il marito e se Ada era mai stata picchiata …
“Signora, dov’è la mia bambina?”
“È con un infermiere al momento. Non si preoccupi” dissi sorridendo, “Ho visto sua figlia, e stava giocando serena. Conosco quell’infermiere personalmente, e le garantisco che è davvero molto bravo con i bambini. Oltretutto è papà di tre bimbe, con cui gioca ogni
volta che può.”.
“Tre bambine … “ mi fece eco lei, con l’aria stralunata di chi crede impossibile che un uomo possa aver voglia di intrattenere, giocando, una bambina sola, figuriamoci tre.
“Esatto: si chiamano Michela, la più grande e le gemelline Nadia e Natasha. Sono certa che sarà felice di farle vedere le foto …”
mi avvicinai a lei “… sa, anche lui come il dottor Soave porta sempre dietro le foto delle sue cucciole …”.
Finalmente un sorriso illuminò il volto della povera donna.
In quell’istante, un rumore di oggetti rovesciati e uno strillo femminile attrassero la nostra attenzione, la porta fu spalancata sbattendo, e un energumeno con la barba lunga, gli abiti stropicciati e che puzzava di vino come se ci avesse fatto il bagno si stagliò sulla
soglia.
“Sei qui, a sparlare di me, vedo!” disse con voce incespicante, ma non per questo meno minacciosa.
Prima che qualcuno potesse fermarlo, si avventò per colpire sua moglie, ed io, che mi trovavo proprio davanti a lei, fui spinta da uno
sganassone vibrato con il massimo della forza violentemente contro il muro.
Battei così forte che potei sentire il cervello sussultare nel cranio, e chiusi gli occhi.
Fu un attimo, riaprii gli occhi per vedere Cicciù, Sasà e Ric, che agguantavano Ostrica e lo immobilizzavano. Poi persi i sensi.
27
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Capitolo II
Di norma, quando si perdono i sensi, si dovrebbe sprofondare in una sorta di sonno senza sogni.
Per me non fu così.
Ebbi l’impressione di galleggiare nel vuoto, in uno spazio strano, fluido … Improvvisamente vidi davanti a me il mio specchio. Un’imitazione assolutamente falsa di uno splendido specchio veneziano, dove era possibile specchiarsi per intero.
Nondimeno, la figura riflessa nello specchio non era la mia. Era indubbiamente una donna, ma molto alta, 180 centimetri come minimo
… Slanciata, con polsi e caviglie sottili, indossava una tunica di foggia strana, ma di ottimo taglio.
Il cranio era arrotondato, la scatola cranica era insolitamente grande, pur rimanendo longilineo nel complesso … il mento era sfuggente … il naso abbozzato e quasi incassato nella faccia, con narici verticali in bella vista. Non era un insieme sgradevole a vedersi.
Con mia grande sorpresa scoprii di sapere, non avevo la più pallida idea del come, che quelle narici potessero fremere più delle
nostre sull’onda delle emozioni. La bocca aveva le labbra sottili ma ben disegnate, e sapevo che erano più mobili delle nostre.
I capelli erano lunghi, ma straordinariamente fini e privi di volume, sembravano quasi impomatati per quanto erano schiacciati sulla
testa. Ma era un’impressione. Sapevo che potevano ondeggiare a ogni alito di vento.
Capitolo III
Mi trovai a galleggiare per un secondo nello stesso spazio fluido che avevo percepito prima di vedere lo specchio …
Aprii gli occhi e mi trovai comodamente seduta in una poltrona che sapevo trovarsi nell’ufficio del più illustre studioso di Astronomia
Bifocale, rettore dell’università di Soonthym, la terza maggiore città delle Lande.
Mi portai la mano alla fronte, quando capii improvvisamente dove mi trovavo, ma prima che avessi modo di manifestare il mio stupore in qualche modo, qualcuno bussò discretamente alla porta.
“Avanti, ” dissi con voce dolcissima in una lingua che sembrava musica.
Nessuno entrò. Fissai la porta, e improvvisamente capii che i miei occhi vedevano attraverso i corpi solidi. Vidi chiaramente chi era
dietro alla porta, un uomo maturo con i capelli rossi come la barba del granturco, spolverati di bianco sulle tempie e gli occhi dall’iride incolore e trasparente come il cristallo.
“Professor Kaa, la prego, entri …” dissi mentre le mie parole erano un trillo divertito “ … uno scienziato come lei che si diverte a
provare l’acutezza dell’infraspettro dei suoi ospiti!”
La prova dell’infraspettro era un gioco molto comune fra i bambini delle Lande, degli Altopiani e perfino delle Creste.
Osservai che non erano né lisci, né mossi, né ricci, né crespi … Ma semplicemente perfetti, con un’ondulazione frisée che sapevo
essere naturale.
La figura era composta, le braccia distese lungo i fianchi e le mani unite in un gesto solenne.
La carnagione era rosea, con una leggera abbronzatura, i capelli … non erano né biondi né platino, ma avevano il colore delle foglie
che avvolgevano le pannocchie di mais rosso che mio nonno mi faceva sgranare quando ero bambina.
Gli occhi erano particolari, molto grandi ma non bulbosi, anzi erano perfettamente incastonati in quel viso, rendendolo straordinariamente bello. Pupilla e iride riflettevano straordinariamente ogni minimo raggio di luce al buio, ancor più degli occhi dei gufi. Il colore
non lo avevo mai visto … turchesi, erano turchesi … le ciglia folte e le sopracciglia sottili ...
Avete mai incontrato per strada una persona, che siete sicuri di avere già visto, anche se non sapreste dire dove?
Io avevo questa sensazione.
Improvvisamente, senza accorgermene incominciai a scrutarla con attenzione, a occhi spalancati per la sorpresa, mentre lei faceva
altrettanto.
Appoggiammo una mano allo specchio, la sua contro la mia, e osservammo le differenze. Le sue dita erano lunghe quasi il doppio
delle mie, mentre il mio metacarpo era identico al suo.
Ma impossibile da descrivere fu l’attimo in cui capimmo chi eravamo. Non riuscivo a parlare, ma il mio pensiero divenne voce:
“Suura …” mormorai.
“Eva …” il suono che udii erano parole, ma sembrava musica, dolce e carica di emozione.
“Io … allora è vero che si vivono altre vite …” Suura sorrise e annuì con la testa, mentre io cercavo confusamente di mettere insieme
i pezzi di un puzzle che avevo appena capito esser di gigantesche proporzioni.
“Quanto … Quanto tempo fa sei vissuta?”
“In che anno vivi tu?”
“Siamo nell’anno 2009 dopo Cristo. Noi contiamo il tempo dalla nascita di Gesù Cristo”.
Suura arricciò le labbra in un’espressione pensierosa, poi mi chiese:
“Che età ha ora il Terzo Pianeta?”
Capii immediatamente che con “terzo pianeta” intendeva la posizione della Terra nel sistema solare.
“Il terzo pianeta si chiama Terra, ora.”
“E’ un bel nome, Terra.”
“Piace molto anche a me … Per tornare all’età della Terra, in base alle ultime stime, si tratta di 4.5 miliardi di anni.”
“Bene, allora se i calcoli degli scienziati sono esatti, io sono vissuta esattamente quattro miliardi di anni fa”.
“Ma è impossibile! Non c’era vita sulla Terra, allora!”
Suura sorrise dolcemente, e uscì dallo specchio con la stessa disinvoltura di chi varca la soglia di una stanza, con un lunghissimo e fluido
movimento. Prima che potessi sbattere le palpebre, era accanto a me, e mi sfiorava la guancia con le sue lunghe dita.
“Forse è meglio che ci sediamo, Eva.”
Lo specchio da cui Suura era uscita si trovava in ingresso ma ora, non so come, ci trovavamo nel mio soggiorno, ed io automaticamente
mi sedetti sul divano, e lei si accomodò sui cuscini accanto a me.
“Spiegarti con un discorso sarebbe troppo lungo, Eva …” disse dolcemente. “… e probabilmente molte delle cose che dico suonerebbero strane. L’unica cosa che posso fare perché tu comprenda è dividere la mia vita con te.”.
Non mi opposi, e lasciai che prendesse le mie mani nelle sue e fissasse quei suoi occhi straordinari nei miei. Sentii le palpebre pesanti,
e feci solo in tempo a dirle …
“Tu non vivevi sulla Terra, vero?”
Non sentii la risposta, ed ebbi una sensazione strana. Il mio corpo si allungava in ogni singolo segmento, solo i metacarpi delle mani,
e la parte ossea dei piedi escluse le dita rimanevano uguali. Il cranio s’ingrandì e allungò, e tutta una serie di nuove capacità si affacciarono alla mia mente. A questo punto compresi che mi stavo trasformando in Suura.
Si potrebbe dire che era il gioco infantile più diffuso, anche se nell’età adulta spesso era comune come scherzo fra amici di lunga
data.
In pratica, per un motivo o per l’altro, accomunava ogni abitante della Luna.
Perché quell’ufficio ricco di strumenti ottici per guardare le stelle, anche molto antichi, in una città millenaria ricca di storia e cultura,
si trovava proprio sulla Luna.
Finalmente il Professor Kaa si decise a entrare. Aveva un’espressione soddisfatta sul volto.
“Bravissima, vedo che la tua vista è acuta come quando studiavi in quest’università … E ora guardati … La mia brillante allieva è
diventata il Presidente Planetario …”.
“Anche grazie al suo sostegno, mentore.”
Mi alzai con un movimento rapido come un battere d’ali e pochi secondi dopo la mano di quell’uomo alto due metri era nella mia e
la portavo alla fronte, segno di grande rispetto.
Myele Kaa era uno scienziato di fama interplanetaria, e i suoi studi erano ben noti nei pianeti interni del Sistema Solare.
“È importante per me averti qui. Voglio che tu riveda i miei calcoli …” disse rabbuiandosi. “… e voglio che tu li faccia vedere a
Kieme.”
“Ma professore, nella sua posizione può tranquillamente far pervenire alla sede dell’Alta Comunicazione dello Spirito Lunare tutto
ciò che vuole …”.
“No! Troppi vedrebbero, e voglio che solo la Prima Voce veda i miei risultati! E poi tutto è pubblico a questo mondo, tranne l’alcova.”.
Questa frase si riferiva al fatto che ogni cosa su Luna poteva esser resa pubblica con un semplice ordine amministrativo, tranne l’intimità che richiedeva autorizzazioni specifiche.
Doveva essere qualcosa di davvero importante se, per raggiungere la Prima Voce, un uomo riservato e timido come Myele Kaa mi
usava come tramite, servendosi del mio legame matrimoniale come protezione.
“E poi, …” continuò “… quando avrete visto, voglio che tu esponga i miei calcoli al Concilio Solare. Non temere, …” disse vedendo
il mio stupore “… i miei colleghi stranieri stanno facendo lo stesso sui loro mondi di appartenenza. I tuoi colleghi arriveranno consapevoli degli stessi risultati che io fornisco a te.”.
Stavo per parlare, ma egli sollevò imperiosamente un dito, come faceva quando ero studente per ottenere il silenzio o la nostra
attenzione.
“Ora va, gli allievi aspettano il tuo intervento. Avrai un’aula gremita e un uditorio attento.”.
“Bene, sarà come tornare a insegnare” dissi con un grande sorriso. Ma il mio antico mentore aveva un’espressione triste, e il mio infraspettro lo percepiva come avvolto da una fluida massa scura ripiegata su se stessa … Dopo aver messo la busta rigonfia che mi
aveva dato nell’ampia borsa che avevo con me, feci un lieve inchino e presi congedo.
Arrivai all’antica aula magna della facoltà di Astronomia Bifocale. Imponente e fastosa, come tutta l’architettura di Soonthym, sembrava fatta per mostrare ricchezza e potere.
Le pietre più rare, le decorazioni più complicate e fantasiose erano presenti.
Davanti alla porta mi aspettava un giovane assistente, terribilmente nervoso. Aveva il compito di introdurmi nella sala, appena il
docente avesse finito la lezione, per rispondere alle domande degli studenti.
Per la prima volta da quando avevo incontrato Suura, feci caso alle sue orecchie. Mi sorprese che erano come le mie, solo leggermente allungate come dimensioni e più sviluppate nella parte alta, rispetto ai lobi che erano appena accennati. Normale per una razza
che viveva su un pianeta con poche alture, dove i rumori potevano giungere anche da grandi distanze.
E nonostante la porta fosse di spesso legno vermiglio, che lontanamente ricordava la nostra radica, ma di un colore straordinariamente acceso, potevo sentire abbastanza distintamente le parole pronunciate dal docente.
Ciò nonostante, feci finta di non udire nulla.
Sulla Luna era buona creanza fingere di non sentire, anche quando non si perdeva una parola.
Quel giovanotto era incredibilmente teso, e probabilmente terrorizzato all’idea di farmi entrare fuori tempo.
Si rilassò solo quando mi disse “Prego, Presidente, ora l’uditorio è pronto.”
E mentre entravo, potei udire la fine della mia presentazione:
“… già docente in quest’università e ora Presidente Planetario, il dottor Suura Mee Rill!”
28
29
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Capitolo IV
Un lungo applauso si levò dall’aula. Appoggiai la borsa su una sedia e la mia sopratunica sopra di essa.
“Grazie a tutti. E’ bellissimo essere di nuovo fra voi. Ma avrò bisogno del vostro aiuto. Cominciamo con la prima domanda. Perché
questa disciplina si chiama Astronomia Bifocale?”.
“Perché si basa sul presupposto che l’orbita del nostro pianeta abbia due fuochi, uno è la stella Sol, l’altro è in posizione diametralmente opposta ma non percepibile agli strumenti ottici.” Disse una giovane dall’aria saputella.
“La signorina ha ragione. Il nostro pianeta si muove nello spazio generando un’ellisse. Uno dei fuochi di questa ellisse è la stella Sol,
l’altro non è rilevabile, ma gli studi fatti finora hanno dimostrato che, nonostante sia solo un punto gravitazionale, ossia qualcosa
che genera gravità, pur non essendo un pianeta o una stella visibili, esso è indispensabile per mantenere stabile l’orbita del nostro
pianeta.
Ora tocca a voi, chiedete.”
“Cosa s’intende per orbita eccentrica?” Chiese un bimbetto dall’aria attenta, tenendo stretta la mano di quello che probabilmente
era il fratello maggiore.
“Buona domanda. Partiamo da questo concetto: s’ipotizza che le orbite dei pianeti attorno a Sol siano, pure con le dovute variazioni,
all’interno di una fascia di spazio definita e, in un certo qual senso, con delle dimensioni ben precise. Pensate, esistono molti documenti
sul fatto che, anticamente, gli astronomi credessero le orbite tutte collocate sullo stesso piano orizzontale, e separate fra loro solo
dalle varie distanze dei singoli pianeti da Sol.
L’orbita di Luna fa eccezione, poiché essa si sviluppa perpendicolarmente alle orbite degli altri pianeti, ed entra nel Sistema Solare
solo per un periodo limitato di tempo.”.
“Il Festival dei Mondi!” esclamò il piccolo, con grande entusiasmo.
Sorrisi all’astronomo in erba.
“Esatto. Il nostro ingresso nel Sistema Solare è celebrato con il Festival dei Mondi, che ha luogo quando, avvicinandoci alla parte più
interna del sistema, incominciamo a vedere alcuni degli altri pianeti ingrandirsi a vista d’occhio, e riflettendo la luce di Sol, illuminare
le nostre notti.
Poiché la nostra orbita è perpendicolare, interseca quella di altri pianeti, per primo Opulus, situato fra Nergal e Tiwaz, e poi lo
stesso Nergal.
Ma questo è solo l’inizio del nostro viaggio nel sistema … Quali sono i pianeti ai quali passiamo più vicino?
Calma, risponderete tutti … Lei, prego.”
“Il Terzo Pianeta e Tioumoutiri!”
“Esatto. Ed è proprio in prossimità di Tioumoutiri che l’orbita del nostro pianeta inizia a dirigersi in una posizione molto vicina a Sol,
poi per cinquanta giorni la nostra orbita è? Prego, risponda pure …”
“Interseca quella di Hermes, diventa stabile e inizia il suo percorso intorno alla stella. Oramai è certo che si assesta nella stessa orbita di Hermes, per questo motivo dopo cinquanta giorni, con l’avvicinarsi di Hermes, più grande di circa 1400 chilometri del nostro
pianeta, Luna è respinta dalla prossimità di Sol e riprende il suo viaggio solitario nel cosmo.”.
Il professor Dree non aveva resistito alla tentazione di partecipare al dibattito.
“Ben detto, professore. Proprio grazie al sopraggiungere di Hermes, che rompe l’equilibrio creato dall’attrazione di Sol, il nostro
pianeta è scalzato dall’orbita condivisa. Grazie a questo gioco di forze gravitazionali, Luna può riprendere la corsa verso il suo
secondo fuoco.
Tuttavia il nostro pianeta, in questo suo avventuroso viaggio, è spettatore privilegiato di … quale spettacolo naturale? Prego, risponda pure”
“Compiendo l’orbita, passiamo molto vicini al Terzo Pianeta, avendo un’opportunità unica per studiarlo comodamente per un lasso di
tempo piuttosto lungo. E questo privilegio non ha eguali nel sistema”.
Anche se non avessi riconosciuto la voce, il commento poteva venire da una sola persona; il caro collega Soo e il Terzo Pianeta, al cui
studio aveva votato la vita.
“Non avrei potuto dir meglio, professor Soo. Ma ora sentiamo qualcun altro …” dissi sollevando il dito indice e fissando l’uditorio, “…
perché il Terzo Pianeta è così particolare?”
“Perché è un pianeta giovane, ancora in formazione, un inferno di terremoti, tempeste magnetiche, montagne che s’innalzano e il
giorno dopo spariscono in laghi di magma.”
“Proprio così, e osservarlo ci da un’idea di come doveva essere il nostro pianeta ai suoi inizi. L’occasione di osservare la vita sorgere
su un mondo così vicino al nostro non può che essere fonte di meraviglia e d’ispirazione.
Ricordate sempre che ogni scienziato deve provare meraviglia e sentirsi ispirato alla ricerca dai prodigi che ci circondano, scoprirne
le cause e manifestazioni.”.
Capitolo V
Terminato il mio intervento, ci furono le domande, i ringraziamenti, i saluti commossi dei colleghi e le chiacchiere tutti insieme di fronte
al famoso „infuso delle Creste’ del preside di facoltà.
Mi godetti ogni attimo, ma quando li salutai, chiesi al mio seguito di essere condotta allo spazioporto.
Avevo progettato di fermarmi a Soonthym per la notte, ma il plico che avevo in borsa era un pensiero che non mi dava pace. Sarei
tornata a casa.
Mi fecero trovare una navetta orbitale pronta.
“Dove, Signora?” disse il pilota militare mettendosi sull’attenti.
“Mi porti a Khonsu, per cortesia, devo rientrare.”
Fortunatamente una telefonata del mio segretario, ricevuta lungo la strada per lo spazioporto mi forniva un magnifico pretesto per
rientrare senza suscitare sospetti.
Mi fece il saluto e andò a riferire in cabina al primo pilota.
Quello che mi spiaceva, in tutta questa storia, era non poter avvertire Kieme.
Khonsu era la capitale, ed anche la città più grande del pianeta. Si trovava al centro di quella zona che sarebbe diventata il Mare
della Serenità, e che durante la vita di Suura era un altopiano basso e sconfinato, rotto soltanto da ruscelli poco profondi e da un
piccolo lago.
L’hovercraft magnetico era pronto a lato della pista, e ci dirigemmo insieme alla scorta verso il palazzo presidenziale, l’Artemis. L’hovercraft non era ancora entrato nel cortile interno, che vibrazioni dense di agitazione dalla mente del mio segretario mi raggiunsero,
e difatti il dottor Raak mi aspettava nel cortile.
Congedai l’autista ringraziandolo, poi come fummo nell’androne anche la scorta, augurando loro la buona notte. M’incamminai verso
la camera esagonale, il mio studio di rappresentanza, con il mio segretario che mi tallonava e non riuscì a calmarsi finché non lo feci
accomodare in poltrona e gli offrii un’acqua tonica. Ma questo non servì a molto, avrebbe ingollato il contenuto del bicchiere in una
sorsata, se non gli avessi imposto di berlo in almeno tre sorsate. Che furono le più veloci che avessi mai visto. Poi continuò a mettermi
al corrente agitatissimo, una cosa che secondo lui era gravissima.
“Capisce Presidente? Il lago Diana, la fonte d’acqua più importante per Khonsu sta perdendo la sua portata abituale!”.
Raak si occupava d’impatto ambientale delle attività umane, ed era un segretario scrupoloso e affidabile. Faceva parte di quel
gruppo protetto della popolazione che pur non avendo particolari carenze organiche aveva una memoria limitata – le capacità
mnemoniche dei lunari erano eccellenti. Spesso riuscivamo a ricordare gli avvenimenti di più vite – e nessuna capacità di vedere
attraverso i solidi e i liquidi o empatia verso i suoi simili.
“Capisco, Shir … Ora è tardi, ma avvertirò i rabdomanti e domani mattina al levar del sole li manderò a fare una perlustrazione
lungo tutto il lago, e poi al suo interno. Sono certa che per il tardo pomeriggio avremo dati attendibili. E ora vada, si è fatto tardi,
la sua famiglia la starà aspettando. Grazie per avermi avvertito tempestivamente.”.
Il luminoso sorriso che il mio segretario mi rivolse e la sua gioia nel sentirsi apprezzato e utile non potevano essere descritti …
Chiamai il capo dei rabdomanti, ed egli mi promise che avrebbe controllato per sicurezza, poi avrebbe steso un rapporto in cui spiegava per filo e per segno che l’acqua del lago Diana, come il 99 per cento dell’acqua sulla Luna era interna al pianeta, e affiorava
in ruscelli, polle e laghi poco profondi. La sorgente che alimentava il lago era situata in fondo, e pur avendo una portata costante,
man mano che la temperatura saliva avvicinandoci a Sol evaporava, creando le nubi del mattino e, nella stagione calda, le piogge
di mezzanotte.
Raak si dimenticava di questo fenomeno ogni anno, e ogni primavera lanciava un allarme per la perdita di portata del lago. Ciò
nonostante non volevamo farlo sentire a disagio …
Esaurita quest’emergenza quanto mai opportuna, aprii la porta nascosta delle scale interne per accedere agli appartamenti presidenziali, dove io e Kieme abitavamo da quando ero stata eletta Presidente della Luna.
Avrei potuto usare l’ascensore, ma era tardi, e non volevo svegliare nessuno, e soprattutto non vedevo l’ora di controllare i documenti
affidatemi da Kaa.
Scivolai nell’appartamento, chiusi bene la porta e mi rintanai nel mio studio privato … e armata di calcolatore e simulatore aprii
finalmente la busta.
Non poteva essere vero … mi accinsi a un secondo controllo, ricalcolando tutto almeno due volte e poi simulando … i risultati erano
inesorabilmente esatti, ed erano confermati ogni volta …
Improvvisamente, un ricciolo castano apparve davanti ai miei occhi, distogliendo il mio sguardo dai calcoli.
“Ma cosa fai alzata così tardi, mancano due ore al sorgere del sole!” e una testa si appoggiò alla mia spalla.
“Kieme …” Improvvisamente sentii un brivido.
“Kieme, per favore, devi controllare queste carte con me. Me le ha consegnate il professor Myele Kaa a Soonthym.”.
“Sei gelata, alzati da quella poltrona, che ora esaminiamo quelle carte.”
Mi alzai, e solo allora, girandomi, mi accorsi che Kieme era avvolto in una coperta del nostro letto. Raccogliendo la coperta con le
mani fece in modo di averne il centro esatto dietro alle spalle, si sedette sulla poltrona, a gesti mi fece sedere sulle sue ginocchia e
avvolse entrambi nella coperta.
“Ora mostrami cosa ti tiene sveglia con i pipistrelli.” Disse con voce divertita.
Non mi ero accorta di sentire freddo. Aveva ragione, ero gelata, me ne accorsi solo quando mi avvolse nella coperta. Mostrai a
Kieme le carte, i calcoli di Kaa e le mie verifiche. Tutte portavano alla stessa terribile conclusione.
Il sistema solare interno stava per affrontare la più immane catastrofe della sua storia.
Guardai nelle profondità degli occhi nocciola di mio marito.
30
31
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
“Devo parlare con i miei colleghi degli altri mondi.” Dissi, poi appoggiai la testa sulla sua spalla.
Quando avevo paura, mi stringevo a Kieme e mi rannicchiavo contro di lui. Era sempre stato così, fin da quando eravamo fidanzati.
Mi abbracciò, senza commenti o domande.
Bisognava agire, quindi alzai la testa e lo guardai seria.
“Pensi che lo Spirito Lunare parlerà di fronte ai rappresentanti di altri mondi?”
Kieme sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso.
“Non credo che i pianeti abbiano segreti fra loro. Questa è una triste prerogativa degli uomini.”.
“Allora domani mi metterò in contatto i miei colleghi, convocherò un Concilio a porte chiuse cui saranno ammesse solo le Prime Voci.”
“Bene, ma intanto devi riposare un po’ … Ti sveglierò io appena il giorno ti permetterà di prendere contatto con altri mondi a un’ora
decente”.
E senza attendere risposta, si alzò sollevandomi di peso e sempre avvolti nella coperta, ci avviammo verso la stanza da letto.
Ma l’era dei viaggi interplanetari aveva riservato delle inaspettate quanto ghiotte sorprese. Su Nergal la poligamia era stata abolita da millenni, perché poco pratica, a favore della monogamia.
Le donne non erano discriminate per legge, ma talvolta prigioniere di vecchi pregiudizi. Tuttavia se mostravano coraggio, e affrontavano l’avversario lealmente e a muso duro, ottenevano quanto desiderato.
Un’unica tradizione era rimasta. Che fossero congedate all’atto del matrimonio.
Ma il più alto grado del pianeta aveva sovvertito anche questa tradizione. Per non trovarsi in un Concilio composto solo da donne,
come l’attuale, il presidente in carica alla prima convocazione dell’assemblea interplanetaria aveva emanato un decreto abolendo la
tradizione. Aveva ritirato il congedo della moglie e l’aveva promossa sul campo, decretando che partecipasse ai concili in sua vece.
L’attuale Presidente non faceva eccezione. Essendo vedovo, aveva scelto la figlia come sua rappresentante e l’aveva promossa al
grado di maggiore.
Dopo brevi convenevoli, io e Amila concordammo alcune possibili date e luoghi.
Lasciata la rappresentante nergali, impostai la frequenza di Opulus. L’apparecchio trillò per tre volte.
“Osindra Sameli Ariden”
“Suura Mee Rill. Buongiorno Presidente. Devo parlarle di gravi notizie.”
“Buongiorno, Suura.”
“Giusto ieri il Professor Kaa mi ha messo al corrente di una situazione tanto critica da richiedere una seduta del Concilio Solare.”
“Anche il professor Myrner mi ha comunicato notizie di notevole gravità. Approvo la convocazione.”
Seran Myrner era il massimo esperto di Gravitazione dei Sistemi Stellari. A dire il vero, era anche l’unico, perché i mezzi tecnologici
necessari a tale studio erano disponibili solo su Opulus, il pianeta più avanzato del sistema, che per questo era chiamato il pianeta
della conoscenza.
Opulus era la realizzazione di ogni utopia: la casa della giustizia, della medicina etica, della tecnologia a misura d’uomo.
Secoli prima era stato proprio il Presidente di Opulus a promuovere il Concilio Solare. E da allora il suo presidente era anche, di
diritto, Presidente del Concilio.
Osindra era una donna dall’età indefinibile. Il volto, segnato da poche rughe, era austero e nobile. La pelle era opalescente, gli occhi
dalle iridi grigio bluastro, i capelli completamente incolori. Questa caratteristica era comune a tutta la sua razza, come il naso che
sembrava scolpito e le labbra perfette, né sottili né carnose.
Le comunicai le date e i luoghi già esaminate con Amila. Osindra confermò alcune date ma pose una sola condizione. Il concilio si
sarebbe tenuto su Opulus.
Avevo appena terminato la conversazione, quando il videocomunicatore rosso trillò ancora.
“Suura Mee Rill”
“Esyane Zomir Tenak. I cigni del fulmine stanno addensando gravi nubi su nostri mondi, sorella mia”.
“Ne sono al corrente, sorella mia. Myele Kaa mi ha avvertito ieri.”
Solo due fra le mie colleghe mi chiamavano “sorella”. Il presidente di Tioumoutiri era una di queste.
“Esattamente come Zondare Ter Smarick.”
Il professor Smarick era il più famoso esperto di Spostamenti Assiali planetari. Era l’unica donna fra gli scienziati che godevano di
fama interplanetaria. E ovviamente proveniva da Tioumoutiri.
“Il professor Kaa è ancora vedovo? Pensi che andrebbe d’accordo con il professor Smarick?”.
Sorrisi. Anche nelle circostanze più drammatiche le tioumoutiri conservavano il loro brio. Faceva bene al cuore la spontaneità impudente di Esyane, spumeggiante e inconfondibile come il rame dorato dei suoi capelli.
“Lo ignoro Esyane … Tuttavia può sempre prendere contatto con lui presso l’università di Soonthym.”
Non potei evitare di sorridere … La pressione atmosferica al suolo di Tioumoutiri era notevole, almeno 85 volte quella di Luna.
Ignoravo se la bassa pressione di Luna avesse contribuito a rendere i nostri fisici slanciati e longilinei, mentre quelli degli abitanti
di Tioumoutiri erano piacevolmente solidi e ben costruiti, ma di bassa statura … Con il risultato che Myele era alto poco più di due
metri e Zondare un metro e cinquanta.
“Glielo suggerirò”, disse la mia collega strizzando l’occhio destro in segno d’intesa. “Ma ora parliamo di cose serie.”
Tiomoutiri aveva massa e dimensioni di poco inferiori a quelle del Terzo pianeta ed era il maggior esportatore di acido solforico nel
sistema. Questo era ricavato da un’attività vulcanica incessante, che immetteva nell’atmosfera enormi quantità di biossido di carbonio,
mentre l’acido solforico era convogliato all’origine in tubi ignifughi e raffreddato in serpentine. Data l’enorme quantità di anidride
carbonica disponibile, la vegetazione era più di tipo erbaceo che arboreo, con fogliame di enormi dimensioni.
Si pensava che l’acido solforico fosse all’origine delle iridi cobalto della popolazione. Infatti, tutti avevano gli occhi di quel colore.
Su Tioumoutiri il potere era interamente in mani femminili, e il segno più caratteristico era che i mariti prendevano il cognome della
moglie, perdendo il proprio, e i figli avevano il cognome della madre.
Fino all’epoca dei viaggi interplanetari si era ritenuto che su quel pianeta i cigni avessero maggiori diritti degli uomini, si praticasse
la poliandria, e gli uomini fossero impiegati solo come bassa manovalanza, oltreché per la ragione più ovvia.
Invece la società tioumoutiri aveva una legislazione raffinata che non discriminava alcuno, neppure gli animali.
La poliandria non era mai stata praticata, semplicemente quando uno dei due non trovava più soddisfacente il legame si divorziava,
dividendo i beni in parti uguali e lasciandosi senza drammi.
Per legge i figli conservavano il cognome del padre anteposto a quello della madre.
Gli uomini su quel pianeta erano molto amati, coccolati, vezzeggiati, viziati e tenuti in uno stato protetto da eterni adolescenti.
Oltretutto non erano per niente bassa manovalanza, ma potevano accedere a ogni grado dell’istruzione e a ogni carriera lavorativa,
comprese le cariche pubbliche. Avevano grande cultura e modi raffinati e accattivanti.
Capitolo VI
Tutti i pianeti hanno uno spirito e una voce.
E un popolo saggio, appena la sua evoluzione spirituale glielo consente, deve cercare fra i suoi cittadini qualcuno abbastanza sensibile da percepire questa voce.
E trasformarla in parole umane.
Le persone con questa particolare abilità erano chiamate Voci, godevano in tutti i mondi dello stesso rispetto portato ai sacerdoti e
facevano lo stesso tipo di studi all’interno dei templi. Ogni segreto della mistica era rivelato loro fino alla sapienza più inviolabile.
Un unico dettaglio li differenziava. Non pronunciavano i voti.
Alle Voci era imposto un unico obbligo, quello di sposarsi e avere discendenti. Da secoli si era a conoscenza che la predisposizione
alla comunicazione con i pianeti era ereditaria.
La Voce con la sensibilità più acuta, certificata da prove scientifiche che ne quantificavano il potere, assumeva il ruolo di Prima Voce,
e svolgeva unitamente al compito d’interprete quello d’insegnante presso le giovani Voci.
Usando il canale audiovisivo protetto, potevo entrare in comunicazione diretta con lo studio presidenziale dei miei colleghi.
Colleghe, a dire il vero. I Presidenti dei pianeti interni erano quasi tutte donne.
Un trillo distolse la mia attenzione. Una luce rossa si diffondeva da un videocomunicatore da tavolo che solo io, e nessun altro, potevo
usare. Avviai la comunicazione.
“Suura Mee Rill”
“Bene, lunara, dobbiamo parlare di cose serie”. Quella voce baritonale secca era proprio del generale Kyel.
Uomo testardo e volitivo, data la sua età, spesso ci trattava con i modi di un padre. Non ci sarebbe mai stato verso di fargli capire
che non esisteva un femminile di lunare, perché era un sostantivo invariato, sia indicasse un uomo o una donna.
“Buongiorno, Esar. Il pipistrello vola con la civetta, vedo. Stavo per chiamarla.” L’unico modo per trattare con quel brusco nergali era
di affrontarlo apertamente senza salamelecchi.
Il volto abbronzato e segnato da cicatrici di Esar Kyel si aprì a un sorriso. Nergal era un pianeta di militari, e avevano il coraggio in
somma considerazione.
“Ma ho chiamato io per primo, quindi spetta a me la precedenza.”.
Su Nergal la parola “cavalleria” indicava solo una sezione dell’esercito che combatteva a cavallo.
“Bene, Esar. Parli, ha la mia attenzione.”
Esar aveva un’espressione cupa, e conoscendo la carriera militare di quell’uomo, per essere preoccupato doveva avere delle ottime
ragioni.
“Conosci il professor Faran?”
“E’ il più grande esperto di Astronomia Stellare del sistema interno. Anche su Luna è molto noto.”.
“Ho avuto modo di parlarci, recentemente. E mi ha riferito notizie preoccupanti.”
“Conosci il professor Kaa?”
“Sì, ha grandi idee e coraggio, per essere un lunare”.
“Ha riferito notizie preoccupanti anche a me.”
“Per i cavalli del carro del Sole! Allora sai!”
“Si Esar, so. Volevo parlarti per organizzare un Concilio Solare.”.
“Concordo Suura. Vedete di non perdervi in chiacchiere e organizzare una data davvero prossima. A presto, ragazza!”
E con la sfacciataggine tipica dei maschi nergali, si alzò abbandonando la poltrona. Ma fu sostituito immediatamente da una giovane
donna dai capelli ricci castano scuro, il naso largo e un po’ schiacciato e le labbra carnose.
“Buongiorno, Suura. Sii comprensiva, la diplomazia non fa parte delle doti richieste a un generale.”.
“Buongiorno, Amila. E’ un piacere vederti.”
Amila Kyel Zarbir era l’unica figlia di Esar Kyel e gli assomigliava molto fisicamente, ma non nel carattere. Nergal, il pianeta ricco di
ferro, con la vegetazione più verde dell’intero sistema, principale fornitore di vegetali a scopi curativi per le carenze alimentari, era
una repubblica formata da guerrieri, dove non esistevano civili, ma tutti erano arruolati alla nascita.
Una repubblica dove il potere era interamente in mano maschile.
Era sempre stato luogo comune che su Nergal le donne avessero meno diritti dei cavalli e fosse praticata la poligamia.
32
33
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Risi fino alle lacrime quando, in seguito al mio primo viaggio ufficiale su Tioumoutiri, Esyane mi raccontò quest’aneddoto: le tioumoutiri
non avevano alcun problema nel fare il primo passo in amore, anzi erano impertinenti e allegramente sfacciate. Non di rado capitava
che un uomo avesse parecchie corteggiatrici, e spesso e volentieri i signori si crogiolavano in questo loro successo, e avrebbero potuto
portarlo avanti per anni, tenendo tutte sulla corda.
Consapevoli di ciò, le legislatrici erano intervenute, imponendo agli uomini del loro pianeta un tempo massimo per farsi corteggiare.
Due mesi. Scaduti i quali dovevano scegliere una pretendente, congedare le aspiranti respinte con un piccolo regalo in segno di apprezzamento per le attenzioni ricevute e concedersi alla prescelta in esclusiva per un tempo non inferiore alle tre settimane.
Se non rispettavano i termini fissati per legge, (due mesi – tre settimane) erano multati con un’ammenda pari alla metà esatta del
loro patrimonio personale, che era versato nelle casse statali, e i loro nomi incisi sulle pietre dell’edificio sede dell’Alta Comunicazione
dello Spirito Tioumoutiri. In questo modo erano consegnati al pubblico biasimo.
Feci partecipe Esyane di quanto detto e concordato con le altre, della richiesta di Osindra e dopo aver ascoltato le sue proposte,
mi congedai.
Mancava solo Hermes, ora, il pianeta che ci ospitava nella sua orbita per cinquanta giorni e con il quale c’era un legame speciale.
Attivai la comunicazione.
“Ilako Shin Huang Kalakaua”
“Suura Mee Rill. Cara sorella minore, ti porto gravi nuove.”.
“Ho ascoltato il videomessaggio che mi hai lasciato”.
“E’ stata mia premura inviartelo appena scesa nel mio studio, prima di parlare con le altre.”
“E’ bello che la mia sorella maggiore abbia imitato il gallo.”
“E’ sempre una gioia, Ilako. Nonostante le circostanze”
“Il professor Sarmus mi ha illustrato la situazione”.
Zila Sarmus era il massimo esperto di Variazione Orbitale, e non era un caso che fosse originario di Hermes, la cui vicinanza a Sol
era monitorata attentamente.
Su Hermes, i nomi maschili terminavano solitamente con la e, la i o la a, mentre sugli altri mondi erano rari. I nomi femminili terminavano con o oppure u … Ilako era molto divertita da questa diversa considerazione delle vocali nei vari mondi.
Carnagione ambrata, bellissimi occhi scuri allungati dalle lunghe ciglia, capelli neri lisci e lucenti, la principessa Ilako Shin Huang
Kalakaua era la più giovane fra i presidenti dei pianeti, eletta soprattutto perché membro della famiglia reale, anche se da secoli
i monarchi avevano abdicato a favore di una repubblica. Sposina novella aveva celebrato pochi giorni prima le nozze con il suo
promesso, il principe Enka Iyo Itihasa, suo coetaneo e Prima Voce di Hermes.
In base alla legge hermesi doveva passare un mese intero prima che alle nozze private, riservate solo alla famiglia, seguissero le
nozze di stato, e solo allora sarebbe diventata Ilako Kalakaua Itihasa.
Orfana di madre in tenera età, Ilako aveva trovato in noi la presenza femminile che era mancata nella sua vita, ed essendo entrata
nel Concilio quando era diventata Presidente di Hermes a soli diciassette anni, era trattata da tutte noi con maggiore affetto che
una normale collega.
L’orbita condivisa per un breve periodo e gli ottimi rapporti fra i nostri mondi ci aveva unito in un affetto sororale, probabilmente
favorito dal fatto che come lei avevo sposato una Prima Voce. Conoscendo la sua grande sensibilità, spesso la facevo oggetto di
piccole premure, come il messaggio vocale.
Hermes era il pianeta più vicino a Sol, e il clima era caldo con inverni freschi. Le splendide aurore e gli infuocati tramonti, con la stella
enorme e facilmente osservabile, erano goduti da nativi e turisti per tutto l’anno.
La vegetazione era tropicale, con i colori più accesi che si potessero immaginare, la frutta e i fiori crescevano in una miriade di varietà
ed erano esportati in tutto il sistema.
Fino all’epoca dei viaggi interplanetari si riteneva che la società hermesi fosse rigidamente suddivisa in nobili e popolani e che la
classe nobiliare fosse potente e conservatrice, ancorata saldamente ai propri privilegi. Uno di questi era la suddivisione della nobiltà
in gradi immodificabili, dal basso verso l’alto: barone, visconte, conte, marchese, duca, arciduca, granduca, principe e infine re. Immodificabili perché, per conservare il proprio potere, le unioni con gradi superiori o inferiori erano scoraggiate.
In realtà la classe nobiliare su Hermes era solo un retaggio del passato, conservata per nostalgia. Più che la nobiltà di nascita si
teneva in sommo conto l’intelligenza, l’affidabilità e la responsabilità.
Tutto questo era stato favorito dal fatto che l’attività principale degli hermes era la cattura delle comete, sviluppata con successo dall’era
spaziale. La vicinanza del pianeta alla stella gli forniva un clima invidiabile, ma le acque superficiali tendevano a evaporare, e le fonti
a essiccarsi. A differenza di Luna, che si avvicinava a Sol per soli cinquanta giorni l’anno, con le riserve ben celate nel sottosuolo, salvo
affioramenti di modesta entità, su Hermes, se non si fosse provveduto, le riserve interne sarebbero state altamente compromesse.
Riferii a Ilako ciò che era stato detto con le altre, ascoltai le sue proposte, e le annotai.
Tuttavia in questo Concilio c’era qualcosa di speciale: un legame affettivo tra noi e le Voci. Mio marito era la Voce di Luna e quello
di Ilako la Voce di Hermes. L’unico cugino di Amila, figlio della sorella del generale, era la Voce di Nergal. Il figlio di Osindra era la
Voce di Opulus. Infine il gemello di Esyane era la Voce di Tioumoutiri.
Le Voci, accompagnate ognuna dal proprio officiante, si recarono nella sala. Noi attendemmo in anticamera, in un silenzio che si
poteva tagliare con il coltello.
“Presidente del Concilio, Rappresentanti dei Mondi, ora potete entrare.”
Seguendo un cerimoniale che si perdeva nella notte dei tempi ogni officiante prese una di noi per mano, come fossimo bambine
sperdute e ci condusse a sedere nel posto che avevano deciso di attribuirci. Ci sedemmo senza fare rumore.
Le Voci erano al centro della sala, disposte a cerchio, e tutte levitanti nell’aria.
Il manifestarsi delle voci dei pianeti era uno spettacolo indescrivibile. Le fisionomie degli uomini erano profondamente distorte.
Non solo per la levitazione, ma perché un’energia immensa sembrava bruciarli dall’interno. Senza camicia, con pantaloni bianchi informi lunghi fino al ginocchio, una fascia bianca assicurata alla cintura che attraversava petto e schiena. La fascia, respinta dall’energia stessa, svolazzava di qualche centimetro sopra la pelle senza scivolare. I muscoli apparivano consumati, la pelle aderiva alle
costole con un effetto inquietante. Le loro bocche erano spalancate e da esse fuoriusciva un chiarore ben percepibile nella penombra
della sala. Dagli occhi iridi e pupille sembravano cancellate.
La prima a parlare doveva essere la rappresentante del mondo dove il Concilio aveva luogo. Con uno sforzo considerevole, con la
preoccupazione per il figlio che si rifletteva nel suo sguardo, Osindra si alzò:
“Mondi del Sistema Solare interno, abbiamo bisogno di consiglio.” Non poté evitare che la sua voce tremasse.
Un chiarore pulsò dalla gola di Dral, il figlio di Osindra.
“Non abbiate paura, …” il chiarore pulsava, intermittente, dalla bocca spalancata senza che Dral muovesse un muscolo. E parole
umane risuonavano nelle nostre menti.
“… siete tutte preoccupate per i vostri cari. Non temete, stanno bene, e faremo in modo che non corrano alcun pericolo.”.
Sospirammo tutte, e le Voci sorrisero. Osindra incominciò.
“Opulus, amato pianeta, i nostri scienziati hanno fatto degli studi e …”.
“Abbiamo udito le scoperte degli scienziati.”
“Opulus, cosa accade?”
“Il mio tempo è quasi terminato, non vedrò la fine di quest’orbita. Il mio nucleo è instabile. Una reazione a catena sta portandomi al
collasso.”.
“Imploderai o esploderai?”
“Esploderò, generando un’onda gravitazionale d’immane portata, e frammenti di varie dimensioni che saranno proiettati ad altissima
velocità verso Sol. Non può essere evitato. La mia esplosione, purtroppo, coinvolgerà tutto il sistema solare interno. Solo Tiwaz, con la
sua mole immensa, non subirà danni.”.
“Che cosa sarà di te?”
“Di me rimarrà una fascia irregolare di asteroidi orbitanti intorno a Sol.”
Osindra si accasciò sulla sedia, senza un gesto. In base al protocollo, ora toccava ad Amila.
“Nergal, amato pianeta, cosa ne sarà di te?” La voce tremava, ma si alzò in piedi con fierezza.
Il chiarore pulsò dalla bocca di Shilol, suo cugino.
“L’onda gravitazionale creata dall’esplosione di Opulus modificherà la mia orbita e sposterà il mio asse. Le temperature si abbasseranno nei valori minimi a livelli insopportabili per la vita attuale. I venti stagionali diventeranno bufere impetuose che spazzeranno
la superficie senza controllo. Una pioggia di meteoriti originati dall’esplosione di Opulus cadrà fitta come grandine e colpirà la mia
superficie per parecchi mesi, distruggendo ogni cosa.”.
Amila si sedette composta, con le mani in grembo serrate a pugno. Ora era il turno di Esyane.
“Tioumoutiri, amato pianeta, quale invece il tuo destino?”
Il chiarore pulsò dalla bocca di suo fratello Irmis.
“Anche la mia orbita sarà modificata dall’onda gravitazionale, e l’inclinazione del mio asse quasi azzerata. Lo spostamento spezzerà
le fragili barriere rocciose che imprigionano grandi quantità di diossido di zolfo sotto la mia superficie, ed esso fuoriuscirà, avvelenando ogni forma di vita presente. Anche l’anidride carbonica fuoriuscirà senza controllo.”.
Esyane si sedette mordendosi il labbro inferiore. La prossima ero io.
“Luna, amato pianeta, quali cambiamenti affronterai?”
Il chiarore pulsò dalla gola di Kieme.
“La mia orbita anomala sarà cancellata dall’onda gravitazionale, e inizierò una corsa senza ritorno verso Sol. Il Terzo Pianeta si assesterà su un’orbita favorevole a un buon irraggiamento solare, traendo beneficio da questo disastro. Sarò catturato dalla sua nuova
orbita, divenendo per sempre il suo satellite. Ma questo non mi salverà dalla pioggia di meteoriti che mi colpiranno, e date le mie
ridotte dimensioni faranno danni devastanti.”.
Asciugandomi con il dorso della mano lacrime silenziose che rigavano il mio volto, rimasi in piedi, tesi il braccio e afferrai la mano di
Ilako, che si alzava in piedi in quel momento.
“Hermes, amato pianeta, cosa avverrà di te?”
Il chiarore pulsò dalla gola di Enka.
“L’onda gravitazionale avvicinerà la mia orbita a Sol. Meno di un migliaio di chilometri, ma sufficienti per rendere la mia superficie
inadatta alla vita attuale. La pioggia di meteoriti non mi risparmierà neppure così vicino alla stella, e sarò colpito pesantemente.”.
Ilako si sedette, pallidissima. Osindra si rialzò.
Capitolo VII
Dopo il lavoro diplomatico più difficile e serrato della mia vita, in capo a due giorni partivo con Kieme per Opulus.
Pace fra le Stelle, il gigantesco complesso dove eravamo ospitati e nella cui Sala Alta si teneva il concilio, ci aprì le sue straordinarie
porte basculanti del peso di 4 tonnellate ciascuna, dalla tecnica costruttiva straordinaria, che potevano essere aperte o chiuse toccandole con una piuma.
È noto che i rappresentanti dei mondi erano tutte donne. Le Voci, invece, erano tutti uomini.
E stranamente, in tutta la storia solare, le Voci erano sempre stati uomini.
34
35
le letture estive di Gonagai.net
“Grazie, Mondi del Sistema Solare interno, per la vostra benevolenza. Faremo tesoro delle vostre parole.”
Prese per mano dagli officianti, lasciammo in silenzio la sala.
Capitolo VIII
Chiusa a chiave la porta della Stanza degli Specchi, il suo studio presidenziale, Osindra ruppe il silenzio per prima.
“A quanto pare, il Terzo Pianeta beneficerà da questa catastrofe, mentre tutti gli altri mondi saranno sacrificati.”
“Che cosa faremo? Non ci sono astronavi perché tutti fuggano.”. Aggiunse Amila. “e non si può atterrare sul Terzo Pianeta senza
rischio …”.
“Noi siamo abituati a gas tossici e alte pressioni,” rincarò Esyane. “ma anche per noi il Terzo Pianeta allo stato attuale è impraticabile.”
“Gran parte della popolazione morirà … Non c’è tempo per salvare tutti!” Esclamò Ilako abbattendo la sua mano guantata di flessibile acciaio al tungsteno sulla scrivania di Osindra, lasciando una lieve ammaccatura.
“Perdono, madre!”, si affrettò a scusarsi.
Osindra le sorrise. Venir chiamata „madre’ dai membri della famiglia reale era l’onore più alto che una donna potesse ricevere nella
società hermesi, e Osindra ne era lusingata.
“Non preoccuparti.” Osindra toccò la superficie, chiuse gli occhi e l’ammaccatura sparì.
In silenzio, io le osservavo. Le nostre società stavano per disperdersi. Anche le nostre culture, le leggi, le tradizioni, la tecnologia.
Nondimeno tutto questo, guardato in un’ottica più ampia, era poca cosa. I veri successi delle nostre civiltà erano l’intima conoscenza
delle leggi naturali, il sapere mistico e la padronanza delle facoltà extrasensoriali raggiunte dai nostri cittadini.
Questa catastrofe avrebbe precipitato di nuovo nella barbarie i pochi di noi che fossero sopravvissuti, e la necessità avrebbe spento
le nostre facoltà superiori, a favore d’istinti più primordiali … perché Ilako e Amila avevano ragione, non c’era tempo … ma neanche
i mezzi per salvare tutti … Ma forse c’era una possibilità.
Salvare tutti a dispetto della mancanza di tempo e di astronavi … tanto alla barbarie dovevamo tornare … ma c’era modo e modo
…
Mi sentii osservata, e solo allora mi accorsi d’essere fissata da tutte le mie colleghe, che sorridevano …
“Allora, Suura, hai trovato il modo per salvare il drago d’oro assieme al drago nero?” Mi chiese Osindra.
“Forse sì, Presidente … ma prima di tutto … il motto „io levo alle stelle’ vi suona familiare?”
Annuirono.
“E, dite un po’ … vi siete fatta un’idea del significato di questo motto?”
Ci scambiammo un altro cenno di assenso.
“Un’ ultima cosa. Sapete anche chi ne fa parte?”
Ancora un cenno d’assenso.
“Come si dice sul pianeta di Amila, una fine in battaglia è preferibile a una fine senza combattere. E aggiungerei un detto del pianeta
di Ilako, che una fine onorevole è una fine gloriosa. Ognuna di noi conosce le potenzialità del proprio mondo e sappiamo bene cosa
possiamo o non possiamo ottenere con i mezzi a nostra disposizione … io vi propongo di cambiare ottica e di sostituire a una fine
certa, un principio altrettanto certo …”.
Capitolo IX
Finalmente gli accordi erano presi, e potevamo tornare a casa.
Kieme mi aveva preceduto, ritornando al nostro pianeta appena in condizione di viaggiare. Doveva recuperare le forze, e voleva
anche metter su qualche chilo. Ogni volta che lo spirito di Luna s’impadroniva di lui, perdeva un quarto del suo peso corporeo …
oltretutto, con la sua statura di due metri e mezzo … la magrezza eccessiva certo non gli donava.
A dire il vero, io lo amavo così com’era, e lo trovavo attraente anche pelle e ossa. Lui lo sapeva, nondimeno detestava, essere tanto
spigoloso, e si sentiva a disagio, soprattutto nell’intimità. Di conseguenza, ogni volta che prestava il proprio corpo allo spirito del
nostro pianeta, lasciavo che restasse alcuni giorni alla sede dell’Alta Comunicazione dello Spirito Lunare, prima di tornare nel nostro
appartamento all’Artemis.
L’estate esplodeva in tutto il suo splendore, e le piogge di mezzanotte non bastavano a rinfrescare l’aria. Faceva caldo, troppo, e
dormire era difficile. A differenza di Kieme, che nonostante i suoi complessi non aveva difficoltà a dormire senza nulla indosso, io
non riuscivo ad affrontare le notti torride senza almeno un pigiamino leggero, composto di canotta e pantaloncini. Il mio pudore era
per lui fonte di grande divertimento, e non esitava a punzecchiarmi e stuzzicarmi. Dimenticava tutte le sue insicurezze, quando era
impegnato a convertirmi al concetto del “nulla indosso” durante le notti non solo estive, ma di tutto l’anno.
Tentavo di dormire, quando rientrò, in punta di piedi per non svegliarmi …
“Sono sveglia, non preoccuparti di non far rumore, ” dissi girandomi verso di lui.
La stanza era illuminata solo dal chiarore di Tioumoutiri, più piccolo e lontano e da Hermes, nella cui orbita ci stavamo assestando.
Era tuttavia sufficiente per illuminare Kieme, che si era appena tolta la camicia, e stava cercando di posarla da qualche parte. Senza rendermene conto, incollai lo sguardo al suo torace, seguendo i giochi d’ombre che la luce riflessa dei mondi disegnava sulla sua
pelle. Se ne accorse, e incominciò a pavoneggiarsi, spogliandosi con incredibile lentezza, sempre ben attento che continuassi a guardarlo. Detestavo l’ascendente che aveva sempre avuto su di me, del quale approfittava senza mezze misure … ma ero una persona
36
http://gonagai.forumfree.it
pratica, che non negava mai l’evidenza … quindi poiché voleva attenzioni, perché no, era una bella notte per giocare, e non avevo
per nulla sonno … E lui mi sembrava in ottima forma.
Non so se qualcosa cambiò nella mia espressione, o se era solo sorpreso di un successo tanto rapido, ma s’irrigidì per una frazione di
secondo … tuttavia ci sono tuffi che, una volta lanciati, non è più possibile tornare al sicuro sul trampolino …
Riaprii gli occhi con Hermes allo zenith e Tiomoutiri basso sull’orizzonte. Sollevai la testa dalla sua spalla. Sentendomi muovere girò
la testa verso di me, mi sorrise e sfiorò rapidamente le mie labbra con le sue. Ero desolata di rompere l’incanto, ma non avevo scelta.
Con un movimento repentino, mi posi accucciata sulle ginocchia, e prima che capisse le mie intenzioni, si accorse che mi ero seduta
cavalcioni delle sue cosce, poi facendo leva sulle ginocchia, con le braccia distese appoggiai al cuscino le mani aperte, il polso che
gli sfiorava le spalle, e lo guardai dritto negli occhi, il mio viso a quindici centimetri dal suo.
Aggrottò le sopracciglia, e m’inviò la sensazione di non gradire avances troppo aggressive. Io gli inviai la sensazione di qualcosa
d’importante da comunicargli, e si calmò.
“Per tutti gli animali notturni, deve essere qualcosa di serio …”.
“Qualcosa di veramente serio, Kieme, perdona la mossa teatrale.”
Non disse nulla, ma lasciò scivolare mollemente le mani sui miei fianchi e le cosce. Segno che tutto era a posto.
“Conosci il motto „Ne Nebli Neweli’?”
“Ne Nebli Neweli … tradotto dall’antico lunare, sarebbe „io levo alle stelle’. Che cosa significa?”
Kieme era una persona sincera. Sarebbe bastato il suo eludere la domanda, anche senza l’inquietudine che provava, a dimostrarmi
che ero sulla buona strada. Gl’inviai una sensazione di tenero affetto.
“Ascolta Kieme, ora ti racconterò una storia. Una storia di cui compaiono testimonianze fin dai primordi della nostra civiltà. La frase
„io levo alle stelle’ ricorre spesso nelle cronache, fin dall’inizio della scrittura. E tutte le testimonianze portano a un’unica conclusione.
La nostra civiltà è autonoma, certo, nata dalle proprie esperienze e dai propri errori. Tuttavia, nella nostra preistoria, abbiamo ricevuto aiuto da entità che abbiamo rappresentato nei modi più fantasiosi.
Non solo, ma quando siamo diventati un popolo civile, ci sono stati frangenti in cui le cose si sono svolte nel modo meno probabile
secondo le statistiche, e pur tuttavia anche l’unico che poteva garantire un cammino di progresso etico.
Mettendo insieme tutti i documenti, è da molto tempo che il governo è a conoscenza che tutti questi fenomeni possono essere accomunati dal ricorrere del motto „io levo alle stelle’.
E ti assicuro che a questo buon genio che veglia su Luna e i suoi abitanti dobbiamo esser grati. Abbiamo spesso fatto simulazioni, su
come sarebbero andate le cose in caso di scelte diverse compiute nei momenti chiave della nostra storia. I risultati fanno rabbrividire.
Luna sarebbe un pianeta morto da un pezzo.
Ma ora viene il bello. Abbiamo scoperto che queste entità interagiscono con noi. Nel modo che solo una civiltà molto più avanzata
della nostra può attuare.
Immagina che io voglia far costruire un edificio. Un edificio uguale a qualsiasi altro presente su Luna, costruito in modo identico.
Tuttavia i mattoni sono stati preparati con materiali grezzi provenienti da Tioumoutiri. Anche la malta che unisce i mattoni è stata
preparata con materiali provenienti da Tioumoutiri …”.
Kieme cominciò ad agitarsi.
“… quindi potremmo dire che, anche se infissi, stucchi e decorazioni appartengono a Luna, in realtà l’origine più segreta dell’edificio
è Tioumoutiri.”
A questo punto, lui aggrottò le sopracciglia. Io gli accarezzai il viso e lo avvolsi con una sensazione di piena comprensione e totale
accettazione.
“Sì, Kieme, so tutto. Tu sei in tutto e per tutto lunare, ma al livello subatomico, uno stadio cui la nostra scienza non è ancora arrivata,
la tua origine è aliena. La famiglia di Kieme Rill ebbe un gravissimo incidente quando lui aveva pochi giorni, dal quale egli solo
sopravvisse.
In realtà il piccolo Kieme morì con i suoi genitori, e tu fosti sostituito a lui.”.
“Se pensi che io sia un alieno, perché non hai paura?” disse sollevando un angolo della bocca con fare beffardo.
“Non ho motivo di temerti.” Appoggiai sulle sue labbra un bacio leggero. Lui spalancò gli occhi per la sorpresa, e ancor più quando
gli inviai ogni tenero sentimento che provavo nei suoi confronti.
“La tua gente ci aiuta da tempo immemore, nell’ombra, senza fasti o ricompense. E noi, grati, facciamo finta di non sapere nulla. Ma
ora, ”
Gli presi il viso fra le mani.
“Ora io ho bisogno di parlare con il tuo popolo. Scegliete voi il modo. Ho piena fiducia nella decisione dei tuoi simili.”.
Detto questo tornai ad accucciarmi sui talloni, restando però seduta sulle sue gambe.
“Immagino tu abbia finito.” Ahia, sembrava seccato.
“Sì.” Risposi rassegnata a occhi bassi.
“Allora mi vuoi spiegare perché mi pesi ancora addosso?” mentre il tono scherzoso di queste parole mi raggiungeva, sollevai lo
sguardo, e vidi un largo sorriso sul suo volto.
Me la faceva ogni volta. Ed io, da anni, continuavo a cascarci in quel suo fingersi seccato o indispettito. Ma adesso ti sistemo io …
“Non so, sono in attesa di suggerimenti …” dissi abbassando le palpebre fino a far divenire i miei occhi una fessura, fissandolo intensamente.
Peccato che come attore, fosse molto più bravo di me, quindi rimase inespressivo fino al momento opportuno per poi assumere con
estrema facilità il controllo della situazione …
Ci addormentammo mentre Hermes tramontava.
37
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Capitolo X
Una notte vissi una strana esperienza. Appena addormentata mi trovai a fluttuare in uno spazio fluido, dalla luminescenza diffusa,
che crebbe fino a una luce dorata.
Allora mi accorsi che, in quello stesso spazio fluttuavano Amila, Osindra, Esyane e Ilako.
Capii che era tutto vero. L’impalpabile camicia da notte di Ilako era un mio dono privato per il suo matrimonio a porte chiuse con
Enka. Il pigiama di Amila lo avevamo scelto insieme, come ricordo del suo primo viaggio ufficiale su Luna.
Qualcosa ci dispose in cerchio e fra noi comparve una luce, simile a una stella splendente e pulsante, che adattò la sua luce ai nostri
occhi e proiettò parole nelle nostre menti.
“Ho ricevuto il vostro messaggio. Cosa volete?”
Ci guardammo l’una l’altra e capimmo a chi eravamo di fronte. Osindra ruppe il silenzio.
“Ci occorre il vostro aiuto”
“Per cosa?”
“Il mio pianeta, Opulus, non terminerà quest’orbita, ma esploderà portando distruzione e morte in tutto il sistema solare interno.”
“Ne siamo a conoscenza.”
“Non esistono i mezzi tecnologici per salvare la popolazione.”
“Ne siamo a conoscenza.”
“A questo punto abbiamo preso una drastica decisione”
Amila sollevò la mano, richiamando l’attenzione, e disse.
“Una fine in battaglia necessaria per iniziare un’epica impresa.”
Ora fu Ilako ad alzare la mano.
“Una fine onorevole per un glorioso inizio.”
Ora Esyane.
“Non ha senso salvare i frammenti perdendo il vaso intero.”
Osindra riprese la parola.
“Nobili benefattori, il favore che vi chiediamo è tale che solo voi avete la tecnologia per realizzarlo. Ci abbiamo riflettuto a lungo,
ed è davvero l’unica strada.”
Tacque, e assieme alle altre fissò lo sguardo su di me. Per quanto fossimo d’accordo, la soluzione che proponevamo era talmente
estrema da far vacillare le persone più risolute. Poi, l’idea era mia, e toccava a me esporla.
Alzai la mano.
“Nobili benefattori, noi miriamo a salvare non solo i nostri popoli, ma anche ogni forma di vita sui nostri mondi.”
“Non ci avete ancora spiegato come”
“Rinunciando all’egoismo dei pochi in nome dell’altruismo per tutti.”
La luce rimase fissa per un po’, poi riprese a pulsare.
“Spiegati.”
“Vi chiediamo che ogni forma di vita sui nostri mondi sia convertita in atomi viventi dalla grande riserva di energia, tale da mantenerli vitali anche per milioni di anni, in attesa delle condizioni propizie per svilupparsi. Vi chiediamo inoltre di prelevare dai nostri
mondi ogni goccia d’acqua in essi contenuta, disciogliervi gli atomi e inviarci sul Terzo Pianeta, unico mondo del sistema solare interno
a beneficiare della nuova situazione.”.
Io stessa ero sorpresa della pacatezza con cui avevo esposto una decisione tanto estrema …
“Sperate un giorno di risorgere?”
“Il nostro cammino termina qui. La materia vivente dei nostri mondi si fonderà con i minerali del Terzo pianeta, che ci assorbirà adattandoci a esso,” disse Osindra.
“Quando produrrà forme di vita, queste saranno autoctone, in quanto mutate ed elaborate dal pianeta stesso,” aggiunse Esyane.
“Senza contare che la presenza contemporanea del materiale genetico dei nostri cinque mondi sarà essa stessa fonte di combinazione e variazione, quindi di una pluralità di forme di vita,” rincarò Amila.
“Se per salvare tutti, animali e piante compresi, dobbiamo rinunciare alla nostra particolarità di individui e popolo, è una piccola
rinuncia per la certezza che nessuno sarà sacrificato,” intervenne Ilako, fiera dei nostri sguardi di approvazione.
Ma intuivo che toccava a me concludere.
“Chi può stabilire chi deve morire e chi vivere? In questo modo morremo tutti, ma sopravvivremo tutti.
E forse in un futuro lontano il ricordo di un remoto passato ci porterà a levare lo sguardo verso i nostri antichi mondi, e sentiremo il
desiderio di rimettervi piede. Allora il cerchio sarà chiuso, e torneremo a casa.”
La stella iniziò a brillare di una luce accecante, ci riparammo gli occhi con le mani.
Improvvisamente mi alzai a sedere sul letto, con il respiro affannoso.
“Brutto sogno, eh? Su, torna a dormire” disse Kieme con la voce impastata di sonno, tese una mano e mi tirò delicatamente accanto
a lui, avvolgendo la mia mano nella sua, in modo da tenermi premuta contro di sé. Avevo le palpebre pesanti, e mio malgrado mi
addormentai.
Capitolo XI
Mi svegliai con la consapevolezza che una notte, mentre i mondi dormivano, saremmo stati trasformati in atomi e inviati con tutta
l’acqua del nostro mondo in forma di meteoriti sul Terzo Pianeta.
Non era solo una sensazione. Ma una certezza di tutte.
Continuammo la vita di sempre, ma ogni momento sembrava avere più sapore, mentre il tempo passava e salutavamo ogni giorno
come un dono.
Tempo che mi aspettavo di trascorrere da sola. Immaginavo che Kieme sarebbe stato richiamato su … beh, da qualsiasi parte provenisse.
Una notte fui svegliata dallo stridio acuto di una sedia trascinata sul pavimento.
“Scusa, Suura. Sono inciampato”.
“Ti sei fatto male?”
“No … Solo tanto rumore.” Si sdraiò al mio fianco, vestito com’era.
“Kieme …”
“Sì?”
“La nostra proposta è stata accettata.”
“Lo so.”
“Allora … perché non sei stato richiamato?”
Accese la luce per guardarmi in faccia, io sbattei le palpebre e coprii gli occhi con le mani. Quando gli occhi si furono abituati vidi
che aveva un’espressione fra il sorpreso e il divertito. Abbassai le mani e lui mi chiese:
“Richiamato?!”
“Certo … avrebbero dovuto … richiamarti alla base o avresti dovuto fare ritorno … sul tuo pianeta d’origine. Se rimani qui, sarai
trasformato anche tu in atomi viventi, disciolto in acqua e inviato sul Terzo Pianeta.”
“Per tutti i gufi, che avventura! Da ragazzino avrei dato qualsiasi cosa per essere della partita, e a quanto pare lo sarò”.
Mentre parlava incominciò a togliersi gli abiti. Poi s’infilò sotto le lenzuola, si girò verso di me rimanendo sdraiato su un fianco.
“Io non posso essere richiamato, Suura. E meno che mai essere riassegnato. La tua metafora dell’edificio lunare costruito con materiali
grezzi tioumoutiri è esatta. I miei protoni e i miei elettroni sono alieni. Ma tutto ciò in me che è più grande di loro è completamente
lunare. Io appartengo a questo mondo e non potrei vivere altrove, né vorrei farlo.”
Mi strinsi a lui. Ero preparata ad aspettare l’atomizzazione da sola. Visto che la missione di Kieme, quale fosse, era conclusa, mi
aspettavo che svanisse da un giorno all’altro, quindi avevo escogitato delle giustificazioni da addurre per la scomparsa della Prima
Voce.
In verità, non essere sola ad affrontare il futuro mi toglieva un enorme peso dal cuore.
38
Capitolo XII
Vi siete mai immersi nelle profondità marine, e poi avete nuotato lentamente, risalendo verso la luce?
Qualcosa di molto simile mi stava accadendo. Improvvisamente capii che la mia sovrapposizione con Suura era terminata, ed ero
tornata a essere Eva.
Ma Eva non avrebbe mai più guardato il mondo con gli stessi occhi.
Cinque pianeti abitati ci avevano donato ogni loro stilla di vita e ogni goccia d’acqua.
Aprii gli occhi. Mi trovavo in una stanzetta d’ospedale, con un flebo attaccata al braccio.
Suonai. Sasà e Ric arrivarono di corsa. Mi sommersero di parole, felici che mi fossi svegliata e mandarono a chiamare Cicciù che
aspettava in corridoio.
“Spiacente di interrompere la vostra gioia, signori, ma ora dovrei visitare la paziente.” Disse una voce maschile sconosciuta.
Dopo avermi promesso di tornare più tardi, uscirono.
“Meno male che si è svegliata … Credo che chi l’ha strapazzata avrebbe passato un brutto quarto d’ora, se avesse tardato 5 minuti
ad aprire gli occhi.”
Avevo un occhio contuso e semichiuso e la mandibola gonfia e dolorante, quindi a fatica misi a fuoco chi mi stava parlando, alzando
la testa per vedere meglio. Ma lui me l’abbassò nella posizione di prima.
“Non si sforzi. Se fa la brava la dimetto per domani mattina, altrimenti la tengo qui per una settimana.” Disse con tono allegro.
Io non avevo voglia di sorridere.
“Mi scusi, lei è?”
Dottor Morellino. Mauro Morellino. Neurologo specializzato in traumi. Al suo servizio.”
Rimasi in silenzio per tutto il resto della visita. Un po’ per il dolore al volto, un po’ perché ero ancora scombussolata da quanto avevo
vissuto durante lo stato d’incoscienza.
“Ho finito, Signora Arborio”. Istintivamente cercai di alzare la testa dal guanciale per guardarlo in faccia, ma lui me la bloccò con le
mani e la riadagiò sul cuscino. Aveva mani dal palmo snello e dita lunghe.
Scoppiai in lacrime e singhiozzi. Lui rimase fermo, con il mio viso tra le mani, e aspettò che mi calmassi.
“Si ricordi di non muoverla troppo, né in alto né in basso, questa testolina … Non abbiamo riscontrato lesioni a carico del collo, neppure in radiografia, ma è meglio non correre rischi.”
“Ma così non so con chi sto parlando!”
Tirò vicino al letto uno sgabello e si sedette. Mi trovai davanti al viso di un uomo dalla carnagione molto chiara, quasi quanto la mia
39
le letture estive di Gonagai.net
che definivo sempre come “color del latte”, gli occhi ed i capelli castano scuro, un naso importante e l’aria da simpatica canaglia.
“Contenta, ora? Mi promette limitare i movimenti della testa fino a domani?”
“Sì.”
“Brava. Ora le chiamo un’infermiera che le dia qualcosa per dormire. A domani.”.
Arrivata l’infermiera mi salutò, ed uscì dalla stanza. Era appena uscito dalla porta quando sentii la voce di Ric che lo chiamava, poi
sprofondai in un sonno senza sogni.
Solo tempo dopo mi raccontarono che Ric lo aveva preso da parte e lo aveva affrontato. Mauro Morellino aveva la fama di donnaiolo impenitente, anche se, uscito illeso da un gravissimo incidente stradale, in cui aveva davvero visto la morte in faccia, il suo
atteggiamento verso la vita in generale era cambiato.
Aveva spiegato a Ric di essere stato assolutamente professionale, e quando ero scoppiata in lacrime si era limitato a tenermi ferma
la testa, senza altre intenzioni.
Tuttavia Ric lo informò che non ero una delle compagnie femminili che era abituato a frequentare, e qualsiasi cosa gli frullasse per
la testa, di tenerne conto.
Mauro gli giurò sulla professione medica che se ne sarebbe ricordato e sarebbe stato un perfetto gentiluomo.
Fu di parola. Perfino oltre le più rosee aspettative. Un anno dopo diventavo Eva Morellino.
Non avevo più pensato a Suura, ma un giorno tutto mi tornò in mente, vivido come se lo vivessi in quello stesso istante.
In un vecchio codice regio che stavo consultando in cerca di una norma trovai la scritta “Ad Astra Attollo”, ossia, „io levo alle stelle’ in
latino. Spinta da uno strano presentimento incominciai a consultare ogni codice della storia, compresa la raccolta di Giustiniano e il
codice di Hammurabi, insomma qualsiasi cosa parlasse di leggi e regolamenti.
La frase ricorreva. Ed ero certa che fosse presente anche in lingue a me sconosciute.
Poi, improvvisamente, mi ricordai un dettaglio, e tornai difilato a casa. Chiusa a chiave la porta alle mie spalle, mi precipitai nella
stanza che io e Mauro utilizzavamo come studio, e guardai sulla sua scrivania. Sollevai una busta, tolsi il foglio che conteneva.
A lettere d’oro intrecciate, nell’angolo sinistro, si leggeva chiaramente “Ad Astra Attollo”.
“Cerchi qualcosa?” Mi chiese Mauro.
“Vieni, sediamoci un momento”. Gli indicai il divanetto a due posti contro la parete. Quando ci fummo seduti, presi fiato ed incominciai.
“Mauro, sto per raccontarti qualcosa che ti sembrerà incredibile, ma ti giuro è tutto vero, e qualsiasi cosa succeda non trattarmi come
fossi pazza. Piuttosto chiedimi il divorzio, ma non trattarmi da pazza!”
“Non ti tratterò da pazza, lo prometto.”
Sospirai, e gli raccontai tutto. Di Ostrica, di come mi aveva sbattuto contro un muro, di avere incontrato Suura e la scoperta di avere
già vissuto un’altra vita, della condivisione della vita di Suura, come avessi sentito per la prima volta il motto “io levo alle stelle”, di
come Suura ne avesse parlato con il marito, che era lunare ed alieno al tempo stesso.
Dopo aver raccontato tutto quanto rimasi in silenzio, aspettando una sua reazione.
“Com’era la frase detta da Suura?”
“Ne Nebli Neweli”
“Uhm, hai davvero un’ottima memoria. E’ proprio una frase in antico lunare.” Lo guardai per un secondo a bocca spalancata, poi mi
ripresi.
“Allora è vero!”
“Cosa è vero, cara?” Disse con espressione assente a cui io, nel mio entusiasmo, non badai.
“Suura è davvero esistita! Ed è a lei, e ad Amila, Esyane, Ilako e Osindra che dobbiamo la vita su questo pianeta! Gli scienziati dicono
che la vita è giunta dallo spazio con le comete. Ma non immaginano certo che provenga da così vicino!
Ci sono riuscite!”
“Cosa pensi della loro decisione?”
“Mauro, io non oso nemmeno immaginare cosa sia dover prendere una decisione in circostanze del genere. Preferisco astenermi dai
giudizi. Posso dirti solo questo. Io non ho mai creduto alla reincarnazione. Ma sono fiera e felice di avere anche solo un atomo a
spartire con una donna tanto straordinaria come Suura!”
Mauro si stirò pigramente, allungando ogni muscolo. Poi divenne malinconico e disse:
“Aveva ragione lui … Kieme Rill ha lasciato pagine e pagine sul raro dono di sua moglie, che pur non vedendo il futuro riusciva ad
intuirlo, e i fatti gli hanno dato ragione.
Vedremo se Suura ha visto giusto anche sulla voglia di ritornare ad abitare i pianeti che per primi generarono la vita.”
Guardavo Mauro ad occhi spalancati.
“Mauro, allora tu … Proprio come successe per Kieme … Nel tremendo incidente d’auto che hai avuto tre anni fa, il vero Mauro
Morellino perse la vita, e tu hai preso il suo posto!”
Mi guardò con un sorriso beffardo, senza negare o confermare. Allungando un braccio sulla spalliera del divano mi cinse le spalle e
mi guardò dritto negli occhi.
“Tu cosa pensi degli alieni?”
“Ogni bene possibile. E sono felicissima di averne sposato uno.”
“Sei in errore, tesoro, …” disse calmo godendosi il mio sguardo sconcertato, poi appoggiò la bocca ad un mio orecchio.
“… io sono terrestre in qualsiasi elemento che sia più grande di un protone o di un elettrone …”
Scoppiai a ridere e lo abbracciai.
Siamo invasi, signore e signori. E con buona pace di chi crede nella cospirazione aliena il tutto è avvenuto nel modo più incruento,
40
http://gonagai.forumfree.it
meno invasivo e assolutamente pacifico che si possa immaginare.
Guardate le testimonianze di antichissime popolazioni, ed i loro inspiegabili disegni.
Osservate attentamente la storia: mille sono le tragedie che trovarono una soluzione positiva decisamente improbabile.
Se non mi credete, cercate. Troverete infiniti esempi.
Tutti legati al motto “Ad Astra Attollo”.
Apollo 11 a.c.
Autore: Dhrdhr
Disegno di Dhrdhr
Non c’era nessuno lì intorno a segnalare: “Oggetto volante non identificato in avvicinamento!”. La sua era un’impresa
mozzafiato ma senza testimoni. A compierla non ci sarebbe
mai riuscito nessun terrestre, né al presente né in futuro. Non
sarebbe stata possibile nemmeno ai Grigi o a qualunque forma aliena ancora più avanzata tecnologicamente, sviluppatasi a milioni o miliardi di anni luce di distanza da noi. Neppure la letteratura fantascientifica avrebbe mai osato tanto.
La sua impresa non era un astro-volo dalla Terra a Marte, o
dalla Terra ad Alpha Centauri, o da Alpha Centauri ai confini
del cosmo.
La sua impresa era visitare l’universo visibile a partire dal di
fuori dell’universo stesso.
Quello che per le civiltà evolute sarebbe stato un pazzesco
punto di arrivo, per lui era un semplice punto di partenza.
--“Lui”? Lui / lei / esso, il protagonista di questa storia, non aveva un nome pronunciabile dalle labbra umane. Per comodità lo chiameremo JeeMee, rendendo alla bell’e meglio le prime due note del suo vero nome che, per esteso, somigliava a una toccata e fuga
musicale.
Per convenzione, accodandoci a uno sciovinismo tuttora imperante, ci riferiremo a JeeMee come a una creatura maschile. Anche perché, tutto sommato, il suo ruolo è da cattivo del cinema; il suo fine è la distruzione; e nella letteratura terrestre i peggiori sentimenti
di solito vengono attribuiti ai maschi.
La distruzione di cosa, di chi… lo scopriremo presto.
Sempre per abitudine letteraria, useremo i verbi al passato: JeeMee “era”, “faceva” questo o quello. Sebbene, a quanto risulti,
JeeMee è ancora vivo e vegeto.
— Ci siamo! — disse JeeMee, notando in lontananza la prima tappa del suo viaggio.
Stava volando a corpo libero, senza astronave. Si perdoni l’ennesima convenzione: di per sé “volare” indica un tipo di spostamento
che sfrutta la pressione atmosferica. Ovviamente non esiste aria nello spazio esterno, né tantomeno all’esterno dello spazio, quindi
è scorretto affermare che lui volasse. Comunque in fantascienza il verbo significa qualunque movimento in cui il corpo non appoggia
a terra.
— Ecco il famoso universo di cui si parla tanto — continuò JeeMee, che in quel momento si trovava ancora all’esterno del cosmo
visibile, in una “terra di nessuno” che, a parte lui, non avrebbe potuto ospitare letteralmente nessun organismo. Perché lì non solo
mancava l’ossigeno indispensabile alla vita, ma non c’era traccia di materia solida, né di luce, e neppure di qualsiasi altra forma di
radiazione.
(Quel “si parla tanto”, nella frase di JeeMee, si riferiva a discorsi ascoltati nella Dimensione da cui lui proveniva. Approfondire questo
aspetto del problema ci porterebbe troppo fuori strada).
Il viaggiatore diede, metaforicamente, un colpo d’ala per accelerare.
Il fatto che lì non esistessero materia, luce, radiazioni, non implica che non ci fosse assolutamente nulla. Qualcosa c’era eccome. Solo
che, trovandosi al di là dell’universo visibile, per definizione nessun Osservatorio avrebbe mai potuto scorgere niente.
A questo punto l’unico modo per avere notizie su quel non-luogo sarebbe stato dalle labbra di JeeMee, il quale però di mestiere non
faceva l’ambasciatore.
Eppure!
41
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Eppure, scartabella scartabella, qualche indiscrezione è filtrata chissà come. Addirittura un referto di medicina legale, datato XVII
secolo, compilato nei pressi di Londra. Un incontro ravvicinato del terzo… anzi del quarto… anzi, facciamo del quinto tipo: non un
umano rapito dagli alieni a scopo di studio, ma una cartella clinica scritta da umani a proposito di un alieno. Niente riprese video,
ovviamente, trattandosi del Seicento. Del resto, i filmati sulle autopsie eseguite su extraterrestri sono sempre state ben lontane dall’essere conclusive. Se ne può fare a meno: con o senza filmati, chi vuole crederci, ci crede; chi no, no.
Ora, dal documento seicentesco appare senza ombra di dubbio che JeeMee era ciò che oggi definiremmo una EBE, Entità Biologica
Extraterrestre; sebbene, come accennato, l’aggettivo “extraterrestre” sia troppo povero per rendere la profonda alienità di JeeMee
rispetto a noi.
Da quanto emerge dal referto, il suo organismo era <i>not tied or manacled with joint or limb, nor founded on the brittle strength of
bones, like cumbrous flesh</i>: “privo dei limiti e degli impedimenti costituiti dalle giunture o da membra articolate; né si reggeva sulla fragile impalcatura di uno scheletro, come invece avviene alla massa della nostra carne”. In base allo stesso testo, oggi facilmente
consultabile su Internet, il corpo di JeeMee era costituito da una <i>liquid texture</i>, un tessuto fluido, continuo, auto-rigenerante.
All’interno, al posto del sangue scorreva un siero color ambra.
Nelle rare occasioni in cui fu visto da occhi umani, le sue dimensioni variavano da una decina di centimetri a un paio di metri, di forma
compatta o allungata. Tuttavia la sua altezza standard era di alcune decine di metri; a quanto sembra, era in grado di estendere la
propria superficie fisica fino a qualche chilometro.
dotati di tecnologie adatte. Non le avevamo; però in questo caso è valsa la legge di Maometto e della montagna: noi non eravamo
in grado di individuare la presenza di JeeMee nel cosmo, in compenso lui stava per venire da noi.
— Il peggio è fatto — disse JeeMee voltandosi a guardare il “periglioso passo” che aveva appena attraversato. Poi scosse la testa:
— No, il peggio deve ancora venire.
Un’ultima delucidazione (l’ultima, giuro). Riferendosi al protagonista di questo racconto, espressioni come “disse” e perfino “pensò”
hanno valore solo vagamente analogico. È vero, JeeMee possedeva l’intelligenza, ma funzionava in modo tutto diverso rispetto alla
nostra. Come recita ancora il referto del XVII secolo: l’esemplare era all heart […], all head, all eye, all intellect, all sense. In pratica,
non aveva organi deputati a questa o quell’attività, ma l’intero corpo svolgeva qualunque funzione, dalla vista al tatto, al pensiero.
Siccome non ci capiterà più in vita nostra di poter osservare da lontano, non la Terra, non il sistema solare, ma addirittura l’intero
universo, vale la pena segnarsi le impressioni che ne ricavò JeeMee.
Il vuoto infinito che si estendeva oltre i confini dell’universo visibile era immerso nelle tenebre più fitte, ma in effetti non era vuoto al
100%. Era il regno del caos, di tutto ciò che non aveva forma, non aveva sostanza, non aveva consistenza, non aveva durata. Era
l’opposto dell’“universo”, che significa “una realtà con un punto di convergenza”; qui non c’era nessun punto di convergenza. Era il
contrario del “cosmo”, parola greca che indica ordine e bellezza; qui turbinavano il disordine e la deformità, o meglio l’assenza di
forma definita.
Ciò che JeeMee percepì attraversando il caos non erano schegge di materia, bensì infiniti tentativi di dare origine a materia, che
però abortivano un istante prima di ottenere lo scopo. Non – ad esempio – mucchietti di cellule, ma interrelazioni astratte che si dissolvevano all’improvviso: il bit “segmento AB” incontrava il numero “3” e la configurazione “elettroni”, e poi non ne veniva fuori niente.
Ne sarebbe venuto fuori qualcosa, un giorno o l’altro? Il caos, o parti di quel caos si sarebbero trasformate in nuovi universi? Impossibile prevederlo. A JeeMee la questione non interessava, perché era venuto a invadere proprio quel cosmo, quello che già c’era,
quello che conosciamo noi.
Ed ecco la “mirabile visione”. Ancora immerso nel caos, bombardato da ogni parte da frammenti di non-materia che quasi gli provocano abrasioni e scorticamenti, JeeMee aveva l’opportunità impagabile di osservare l’universo a distanza. L’immenso contenitore di
galassie, nebulose, buchi neri, nei suoi contorni esterni. “Che cosa vedi, JeeMee?” avremmo tanta voglia di chiedergli. E lui, se fosse
in vena, risponderebbe non con paroloni, ma con immagini molto semplici, perché più sintetiche e quindi più ricche, come gli suggerirebbe la sua intelligenza superiore.
Direbbe qualcosa del tipo: “Da lontano sembrava un globo. Ora, da vicino, sembra un continente senza confini, oscuro, deserto e
selvaggio, esposto all’ira della notte senza stelle”.
Effetto, senza dubbio, dell’andirivieni irregolare dei raggi di luce lungo la superficie dell’universo visibile, in parallelo a quanto avviene (secondo Stephen Hawking) sul margine esterno dei buchi neri.
Ma JeeMee non aveva tempo per la poesia delle sfere celesti. Compì una manovra di atterraggio, poi per qualche istante camminò
su quell’involucro vibratile esterno. Con un potentissimo telescopio, dall’interno del cosmo sarebbe forse stato possibile notare le impronte dei suoi “piedi” dal basso, come strane macchie ai limiti estremi dell’universo visibile. Un piccolo passo per JeeMee, un grande
passo per… già, per chi?
Per la verità la superficie non era completamente oscura. C’era una vasta area, proprio davanti a JeeMee, che baluginava in modo
soprannaturale, come un oceano percorso da un banco di microrganismi luminosi o un prato attraversato dalle fate. A guardare
meglio, ci si accorgeva che si trattava di luce riflessa. Riflessa dall’esterno! Paradosso incredibile. Se le fonti di luce (le stelle) si trovavano tutte dentro l’universo, quale sorgente poteva proiettarvi i suoi raggi <i>da fuori</i>? Quale sole, per così dire, baciava la
pelle del creato?
JeeMee lo sapeva bene: era la zona da cui proveniva lui stesso. Si voltò verso la misteriosa sorgente extra-cosmica e mormorò: — Ti
saluto, Iper-luce, raggio co-eterno a ciò che è eterno. Sei lo splendore del non-creato, o piuttosto puro flusso etereo la cui fonte resta
ineffabile. Tu esistevi prima di tutte le galassie. Sei stata tu, all’origine, a investire il nascente universo, liquido, oscuro e profondo,
strappandolo al vuoto e all’assenza di forma. E io ora sono qui, a guardarti mentre volo su ali temerarie.
Detto, fatto. JeeMee si tuffò dentro il nostro universo. Da quel momento avremmo potuto seguire la sua traiettoria, se fossimo stati
42
--Quanto tempo passò? A velocità della luce, ad attraversare il firmamento sarebbero occorsi miliardi di anni; e forse JeeMee li aveva
a disposizione, chi può negarlo. Oppure, si mosse più veloce della luce? O sfruttando qualche astuto varco tra le dimensioni? Fosse
come fosse, spostandosi su e/o giù e/o in direzione centripeta e/o eccentricamente e/o longitudinalmente, alla fine JeeMee adocchiò
la stella “Sol” (il sole) che forniva luce e calore a una serie di pianeti.
Sapeva che aspetto avessero le sue future prede, e sapeva che la sua meta finale si trovava all’interno di quel sistema, però gli
mancavano dati più precisi. Per sua fortuna, nel tragitto tra le galassie si era accorto dell’esistenza di numerosi mondi abitati; non
sarebbe stato difficile incontrare anche qui qualche “nativo” per chiedergli ulteriori indicazioni.
I suoi bio-sensori percepirono vita proprio sul sole; si fiondò in picchiata verso la sua massa incandescente. Un eventuale astronomo,
dalla Terra, avrebbe potuto scorgere un’insolita macchia solare in rapido movimento.
L’habitat emanava una luce intensissima, ma non era identico ovunque: si distinguevano aree dallo sfolgorio metallico dorato o argenteo, e altre con netti riflessi rossi o gialli come pietre preziose. Sebbene JeeMee non fosse una sorta di Plinio il Vecchio in cerca
di curiosità scientifiche, non poté fare a meno di notare un inatteso fenomeno fisico: tutta quella luce, anziché abbagliare, affinava
la vista. A qualunque distanza, gli oggetti gli apparivano chiari e dettagliati. Ben presto individuò un abitante del luogo, che per
semplicità chiameremo Elionita; un’altra forma di EBE.
L’Elionita gli rivolgeva la schiena. Aveva una testa come un lampadario a boccia, sormontata da un’alta struttura giallo oro. Dalla
nuca una serie di escrescenze a viticcio gli scendevano sulle spalle, dalle quali si estendevano all’infuori due lunghe membrane affusolate. Altissimo.
Il suo aspetto fisico escludeva che fosse quella la preda di cui JeeMee era in caccia, comunque poteva rivelarsi un buon informatore.
JeeMee attivò la metamorfosi per diventare il più simile possibile all’Elionita. Non intendeva dare inizio a un contatto alieno; semplicemente a una conversazione.
Restava il problema di imitare il linguaggio dell’EBE solare: una faccenda molto più complessa che imitarne la forma esteriore. Nel
momento in cui JeeMee avesse acquisito il vocabolario locale, avrebbe assunto una serie di informazioni fondamentali: il modo di
suddividere un oggetto da un altro, i nomi degli oggetti, le azioni compiute, eccetera. Tutto però stava nel riuscire a impadronirsene
in fretta. Aspettare che l’Elionita parlasse, e man mano tesaurizzarne gli elementi comunicativi, poteva rivelarsi una buona strategia
per un contatto tra specie diverse, ma non per una conversazione tra uguali. Quindi occorreva un approccio più efficace.
Si avvicinò all’Elionita, che presto percepì il nuovo venuto. Torse il volto luminoso verso di lui, e…
… Rimase paralizzato. JeeMee, che apparteneva a una razza molto più evoluta, in un attimo aveva bloccato tutte le facoltà dell’EBE
solare; una specie di ipnosi alla ennesima potenza. Rapidamente, per non dare il tempo di sopraggiungere a nessun altro alieno,
JeeMee assorbì un mare di informazioni dall’organismo ipnotizzato. Non solo singole “parole” o “idee” ma una fitta rete di dati interconnessi che riguardavano esperienze sensoriali, metabolismo, associazioni mentali, reazioni inconsce e tanto altro. In questo modo,
collegando ad esempio un determinato suono a una determinata immagine nonché a ricordi, impressioni, stati fisici, secrezioni, con
una serie di verifiche incrociate, era possibile ricostruire il mondo vitale e concettuale dell’Elionita.
Con qualche ora di tempo, JeeMee avrebbe potuto estrarre dall’organismo della creatura qualunque dato volesse, ma i tempi stretti
lo costrinsero ad accontentarsi delle nozioni base e di qualche informazione random. Con un po’ di fortuna, già la selezione casuale
gli avrebbe fornito la risposta alla domanda: “Su quale pianeta si trovano gli esseri che cerco?”.
Non fu fortunato. All’interruzione dell’ipnosi quel dato mancava; non restava che chiederlo direttamente all’Elionita. L’unico effetto
collaterale sarebbe stato che, al risveglio, l’abitante del sole si sarebbe sentito un po’ stordito, indebolito, o con un senso di nausea,
o l’equivalente.
Pochi secondi, e JeeMee e l’Elionita si trovarono uno di fronte all’altro come se nulla o quasi fosse accaduto. Il visitatore extra-stellare,
che aveva anche imparato il nome dell’interlocutore, gli si rivolse così: — Oor’l, primo dei sette Attendenti del Supremo e primo interprete dei suoi decreti, sono venuto da te per ricevere informazioni sull’ultima specie senziente comparsa nel sistema solare…
Ovviamente una traduzione letterale del discorso suonerebbe piuttosto diversa, ma qui si è ridotto all’essenziale.
— Il Supremo — proseguì JeeMee — mi ha incaricato di organizzare una spedizione esplorativa su quel pianeta, ma devo valutare
le forze in base al fatto se la popolazione è ancora interamente residente là, oppure si è già dispersa sui pianeti vicini.
— Questa è una buona notizia — rispose Oor’l. — Finora ci siamo limitati a raccogliere resoconti a distanza, ma sono convinto
anch’io che una visita diretta ci riserverà molte magnifiche sorprese. Tuttavia tu sopravvaluti la loro rapidità evolutiva! Sono estremamente più lenti di noi. Prima che gli abitanti della Terra — e d’istinto la indicò tramite una mappatura mentale — possano spostarsi
fisicamente su altri pianeti, trascorreranno millenni. Se le stime sono affidabili, e lo sono.
— Eppure — obiettò JeeMee osservando meglio la psico-mappa — mi pare di intravedere segni di vita negli immediati paraggi
della Terra, sul satellite Luna.
— Quella è una specie simile ma diversa — spiegò Oor’l. — Un po’ più evoluta, diciamo a metà strada tra i terrestri e noi1. Però
gli abitanti della Terra, in questo momento, non hanno alcuna possibilità di stabilire contatti con i loro “fratelli maggiori” della luna.
Se le stime sono affidabili, e lo sono.
A questo punto JeeMee aveva raccolto l’unica informazione che gli interessava, ma per non destare sospetti non poteva piantare a
metà il colloquio. — Bene — disse. — L’opportunità di scoprire “molte magnifiche sorprese”, come dici, mi compensa per il dispiacere
di interrompere gli studi sull’origine del sistema solare. Era ciò a cui stavo lavorando.
43
le letture estive di Gonagai.net
— L’origine del sistema solare… Tu sei giovane, ma io c’ero — disse Oor’l, con un sentimento a metà strada tra il legittimo orgoglio
e la commozione. — Per quanto nessuna mente limitata sia in grado di circoscrivere il numero delle cose esistenti né il progetto che le
ha prodotte, perché le cause ultime restano nascoste. Tuttavia, sì, ho visto come la massa informe di questo mondo si sia raccolta. Dove
prima c’era la confusione, vennero segnati dei confini; finché le tenebre furono squarciate da un lampo di luce, e per azione della luce
dal disordine si creò l’ordine. Oh, lode, lode al Grande Realizzatore del Possibile, che… Ma, fratello, ti senti male?
L’alta, sottile sagoma di JeeMee infatti si stava contorcendo in maniera inquietante, scuotendo la sfera luminosa della testa e vibrando istericamente le membrane dorsali.
— Fratello? — ripeté Oor’l.
— N… n… non… — ringhiò JeeMee tra gli spasimi, poi si interruppe. Il suo corpo fittizio sembrava sul punto di strapparsi, facendo esplodere all’esterno la sostanza originaria. Barcollò all’indietro; le scosse che lo attraversavano diminuirono gradualmente di
intensità.
L’Elionita allungò un’appendice anteriore verso l’ospite. JeeMee indietreggiò di colpo per evitare il contatto. — Tutto… bene… —
disse. — Adesso… mi riprendo. — Se l’EBE solare lo avesse toccato, i suoi raffinati recettori avrebbero scoperto la frode.
Pur ancora percorso da brividi, JeeMee fece del suo meglio per mettersi dritto con la schiena. L’Elionita lo osservava perplesso, ma
non aggiunse nulla. Aveva ancora l’appendice estesa; la ritirò lungo il fianco.
— È che… — disse il visitatore, facendo turbinare dentro di sé le idee per inventare una scusa plausibile entro un secondo — … per
i miei studi mi sono addentrato verso il nucleo del sole. Temo che le reazioni chimiche in quel punto siano troppo violente. Spero di non
aver danneggiato il mio metabolismo in modo irreparabile. Mi sembrava di aver superato la crisi, ma…
— Grande Realizzatore — mormorò Oor’l, che nella sua lingua corrispondeva a “Dio mio”.
JeeMee si piegò in due come attraversato da una spada. Stavolta gridò: — <i>G-g-ggg-hhh-rrrr-ggg-hhh!</i>
— Fratello! — Stavolta, d’istinto, Oor’l arrivò quasi a toccare l’interlocutore. E d’istinto, con uno scatto, JeeMee volò all’indietro di
una decina di metri, costringendosi ad assumere una posizione autoritaria, addirittura aumentando di poco la propria statura per
accrescere l’effetto.
— Nulla! — esclamò. — Sono stato temerario… — gli venne da ridere all’allusione autobiografica, che modificò ad hoc: — Sono
stato temerario a scendere nelle viscere del sole, ma non accadrà più. Spero che il mio esempio — gli venne di nuovo da ridere —
tenga lontani i futuri ricercatori da imprese le cui conseguenze sul fisico possono dimostrarsi letali. Tantopiù — e qui sogghignò davvero, cioè variò la luminescenza del volto — che adesso mi attende una nuova, diversa missione, e non nell’inferno — sogghignò ancora
di più — del nucleo solare, ma laggiù, sulla Terra: pianeta verde, fresco, brulicante di graziose forme di vita. — Rise apertamente.
Oor’l era strabiliato. Non tanto per l’infermità fisica dell’ospite: eventualità rara da quelle parti, ma non impossibile. A lasciarlo di
stucco era soprattutto la sua instabilità psicologica. Un atteggiamento molto poco elionita.
Per lunghi minuti nessuno dei due aggiunse nulla.
Oor’l era immerso nelle proprie valutazioni. Era indeciso se avvertire il Supremo di quello strano incidente; o, se non il Supremo, qualche autorità inferiore. Aveva anzi la mezza tentazione di spiare di persona l’ospite quando fosse partito per il viaggio sulla Terra.
JeeMee, che manteneva la postura verticale di sfida, continuava però a essere travolto da un uragano interiore che gli spazzava
le membra da cima a fondo. “Distruzione…” pensava. “Distruzione…”. Ne sentiva un desiderio pazzo. Avrebbe voluto strangolare
l’Elionita. Divorarne i visceri. Far esplodere il sole, e con esso tutti i pianeti che ne dipendevano, abitati e disabitati.
Nello stesso tempo si sentiva debole, affranto. Una parte di lui provava l’impulso di crollare in ginocchio e dare sfogo ai singhiozzi
che gli salivano su per gli organi vocali. Voleva allontanarsi di lì. Doveva allontanarsi di lì.
Subito.
— Ti ringrazio delle informazioni, Attendente Oor’l — disse — e della tua comprensione. Non temere: è tutto passato, grazie al…
grazie alla metafarmacologia. Ora vado a prepararmi per la missione Terra. Grazie ancora. — Ebbe un pensiero improvviso. —
Dimenticavo. È già stato computato con esattezza il numero delle creature senzienti terrestri?
L’Elionita era indeciso se continuare a fornire dati all’estraneo o denunciarlo. Tuttavia pensò che quella richiesta fosse sostanzialmente
innocua, perciò rispose, lentamente, soppesando la reazione di JeeMee: — Un conteggio facile, fratello. Per ora sono solo in due,
maschio e femmina, com’è normale per gli animali della Terra. Abbiamo perfino intercettato i loro nomi: la femmina si chiama Hewa,
il maschio Adam
44
http://gonagai.forumfree.it
La Leggenda del Robot Sepolto
Autore: Icarius
Capitolo I
Il cielo.
Immenso, indefinito, imperscrutabile.
Attraversato da inquiete e smisurate nuvole, rese bianchissime e luminose
dai vigorosi raggi del Sole che scolpivano sul loro manto contorni da sogno, quel cielo copriva l’inquieta terra tra il deserto roccioso e le mura di
Nuova Nolah.
Le pietre di quella smisurata distesa arsa dall’inclemente Sole rendevano
spettrale ed immutabile quel desolante scenario.
Sareste riusciti a percorrere km e km senza incontrare nessuno e senza arrivare a comprendere come riuscissero quelle strane forme di vita a vivere
nel sottosuolo di quell’inospitale landa pietrificata.
Roditori mutati dalle radiazioni delle ultime guerre, rettili striscianti e informi capaci di cibarsi delle carcasse dei loro simili, insetti
assetati del sangue di chiunque attraversasse senza precauzioni quel luogo maledetto ed altri innumerevoli esemplari, perlopiù sconosciuti, pullulavano quel mondo di pietre e sabbia.
La strada, qualsiasi direzione si fosse scelta, mostrava sempre lo stesso desolante scenario.
L’unica fortuna per chi avesse la sventura di perdersi in quello sterile orizzonte, sarebbe quella di trovare una delle rare stazioni di
energia solare disseminate in km e km di dune.
Queste erano gli unici posti in cui la civiltà sembrava aver toccato quei luoghi.
Solo in esse infatti si sarebbe potuto trovare acqua e cibo. Insieme ovviamente agli indispensabili pezzi di ricambio, essenziali per
spostarsi in quello sterminato Inferno incandescente.
Ecco perché, di tanto in tanto, in queste stazioni si fermavano carovane di mercanti o squadriglie di militari.
I pezzi di ricambio sono rari nel deserto. Come l’acqua e la speranza.
E fu per questo motivo che quella mattina, alla stazione solare di Thety, gli abitanti del posto videro giungere tre Mech pesantemente
armati.
Veloci e silenziosi come avvoltoi che hanno fiutato la loro preda, giunsero alle prime luci dell’alba, forse nascosti tra la foschia che la
notte appena trascorsa aveva lasciato in quella landa.
Ebbero facilmente la meglio sulla debole squadriglia di mercenari che difendeva svogliatamente la base e raccolsero tutti i pezzi
di ricambio possibili.
Ma mentre stavano per andar via, dalle dune emerse l’ultimo Mech della squadriglia.
Era danneggiato e disarmato, ma possedeva ancora una discreta mobilità.
“Prendete ciò che vi occorre e andatevene da qui!” Intimò il pilota di quel Mech superstite. “Siete feccia... e qui non ne vogliamo di
gente come voi!”
“Non scaldarti troppo, amico!” Rispose uno dei tre. “Del resto non è morto nessun civile! Quanto ai tuoi uomini, beh, avresti dovuto
addestrarli meglio!” E rise di gusto, seguito dai suoi due compagni.
“Maledetti!” Ringhiò il pilota superstite. “ Io, capitano Karlyon, giuro che vi darò la caccia fino in capo al mondo!”
“Karylon?” Ripetè colui che sembrava essere il capo dei tre criminali. “Typ Karylon? Il famoso mercenario? Quelli che molti definiscono
il pilota più abile della frontiera Nolahana?”
“Se conoscete la mia fama” rispose Karylon “allora saprete che vi darò la caccia fino all’Inferno!”
“Non c’è bisogno di attendere tanto!” Disse il capo dei tre. “Raccogliete il fucile al plasma di uno dei vostri compagni morti. Vi do la
possibilità di vendicarli.”
“Non farlo, Feudis!” Gridò uno dei due criminali al suo capo. “Abbiamo ciò che ci occorre! E’ inutile perdere tempo con queste sfide!”
“Tranquillo, sarà questione di un momento!” Rispose Feudis. “Avanti, raccogliete quell’arma” gridò poi al suo avversario “e dimostrate
di essere degno della vostra fama!”
Karylon raccolse il fucile al plasma di uno dei Mech appartenuti alla sua squadriglia e si mise in posizione di scontro.
Un secondo dopo i due Mech cominciarono a volteggiare nell’aria, girando velocissimi intorno alla base.
Si studiavano come due bestie feroci che si contendono il controllo del territorio.
All’improvviso entrambi e con la medesima velocità cominciarono a vomitarsi addosso una pioggia fiammeggiante.
Feudis però era abilissimo, scaltro e veloce. Colpì al busto il suo avversario, facendolo cadere al suolo.
Si fiondò poi verso di lui estraendo la sua spada laser.
Un attimo dopo il Mech di Karylon si accasciò su stesso. Una fiammata lo avvolse ed esplose dopo pochi minuti.
“Non era poi così forte!” Gridò compiaciuto Feudis.
“Era necessaria questa perdita di tempo e munizioni?” Gli chiese infastidito uno dei suoi.
“Certo che lo era, Duxa!” Rispose Feudis. “Io sono il miglior pilota del mondo! E chi non è d’accordo dovrà dimostrarlo sul campo!”
Un attimo dopo, i tre criminali volarono via, lasciando sulla base Thety una nuvola di polvere ed una scia di morte.
45
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Capitolo II
Capitolo III
La vita scorreva tranquilla nella piccola cittadina di San Paolo Belsik, posta a pochi km a est di Nuova Nolah.
Sede di allevatori che ben sfruttavano la fertilità di quel luogo, la cittadina era un vivace centro urbano che fungeva da tappa,
obbligata, tra Nuova Nolah e la via che dava verso i monti.
Quella mattina il vecchio bar di Philow era più affollato del solito.
Molti che avevano visitato la Fiera del Nord si erano ritrovati a scambiarsi, davanti ad un boccale di birra ghiacciata, opinioni sulle
meraviglie che avevano visto laggiù.
L’allegria e lo stupore di quei racconti testimoniavano in pieno come qualche evento straordinario fosse l’unico modo per rompere la
monotonia del posto.
E la Fiera del Nord riusciva ogni anno a scuotere il torpore di quei semplici e bonari allevatori.
“Vi posso giurare” esclamò entusiasta Mc Palm dopo il terzo o quarto boccale di birra “che quelle armi che ho visto avrebbero potuto
perforare l’acciaio più rinforzato!”
“E’ la birra che ti fa dire queste cose” chiese ironico Vision “o è stato il Sole del deserto?”
“Il nostro Mc Palm è talmente invaghito di Mech e mezzi corazzati vari” intervenne divertito Hunz “che vede quegli aggeggi ovunque!”
“Magari ne parla anche con sua moglie la notte!” Aggiunse Vision, scolandosi il suo boccale e ridendo di gusto.
“Cosa potete saperne voi!” Rispose vagamente infastidito Mac Palm, mentre sorseggiava la sua birra. “Io qui sono l’unico ad aver
combattuto in guerra. E quando hai visto da vicino quei mostri tecnologici, statene certi, qualsiasi altra arma vi sembrerà poco più
che un giocattolo!”
“Lo sappiamo, amico mio.” Intervenne Sepeng. “Non dimenticare però che chiunque viva in questo posto da almeno dieci anni ha
dovuto combattere per guadarsi il pezzo di terra che ora possiede.”
Gli altri, a queste parole, annuirono tutti.
“Infatti!” Disse Mc Palm. “Quindi dovreste comprendere il mio stupore davanti alle meraviglie che la robotica bellica ha raggiunto
negli ultimi anni.”
Ma proprio in quel momento nel locale entrò Herò.
Era un uomo sulla trentina, asciutto, con lo sguardo sempre crucciato e l’espressione perennemente inquieta.
E questo suo tormento ben gli si leggeva sul volto, che appariva malinconico e distaccato, nonostante i bei lineamenti e la gradevole
figura.
“Salve a tutti.” Disse entrando. “Philow, potreste darmi un’Afra- Cola e qualche succo di frutta? Andrà bene qualsiasi gusto.” Chiese
poi al barista.
“Certo, Hero.” Rispose cortese Philow. “Fanno 2 Taddei e 37 centesimi.”
“Hei, Hero…” chiamò all’improvviso Hunz “... non siete stato alla Fiera del Nord voi? Avreste trovato cose utili per il vostro negozio
di meccanica.”
“No, Hunz.” Rispose Hero mentre raccoglieva il resto dal bancone. “Ci sono stato l’anno scorso e non ho trovato niente di interessante.”
“Immagino.” Intervenne Mc Palm. “La Fiera non è un posto per meccanici e per elettricisti. Lì ci vanno i grandi mercenari o gli ex piloti
di Mech.”
Gli altri, a quelle parole, fissarono Mec Palm come a volerlo riprendere.
“Che vuol dire, poi!” Esclamò Hunz, cercando di sminuire l’uscita del suo amico. “Neanche io sono un esperto di guerriglia robotica,
eppure ci vado ogni anno!”
“Mc Palm...” Disse visibilmente contrariato Hero “... per voi chi non sa usare un’arma o non ha mai prestato servizio in guerra non è
un vero uomo, giusto?”
“Ecco, veramente io…” Farfugliò imbarazzato Mc Palm.
“Avanti, Hero...” intervenne Hunz “... Mc Palm non voleva certo offendervi.”
“Ma sì, Herò...” disse Philow “... siamo tra amici e si è alzato un po’ il gomito. Non è il caso di dar peso a questo genere di battute.”
“No, aspettate.” Li interruppe Hero, zittendoli con un cenno. “Avanti, Mc Plam, ditemelo in faccia che non mi considerate un vero un
uomo. Nemmeno degno di bere qui con tutti voi. E magari vi fa anche sorridere che io beva bibite analcoliche e dolciastre. Ditemelo,
Mc Palm! Ditemelo!”
“Non scaldatevi ora, Hero.” Intervenne ancora Hunz. “State ingigantendo una questione che non esiste nemmeno.”
“Lasciamo perdere.” Disse Hero. “Meglio che vada. Non vorrei rovinare una bevuta tra veri uomini.”
Detto questo corse fuori, sbattendo la porta.
“Ma cosa diamine gli è preso?” Chiese dopo qualche istante Mc Palm, rompendo l’imbarazzante silenzio che era sceso nel locale.
“Non ho mai visto Hero comportarsi così.” Disse Philow.
“Tranquilli.” Intervenne Sepeng. “Ora tornerà da sua moglie che lo calmerà dandogli un bicchiere di succo d’arancia!”
Ed una sonora risata alleggerì l’imbarazzo del momento.
Hero restò un attimo fermo nel bel mezzo della strada.
Il Sole batteva con vigore a terra e lui sentiva di impazzire.
Osservò con rabbia le bottiglie che aveva in mano.
Avrebbe voluto stringerle forte, fino a frantumarle tra le sue dita.
Si voltò di nuovo verso il locale e restò a fissarlo per alcuni istanti, con lo sguardo di chi portava nel cuore un’inquietudine senza fine.
Il suo viso era rigato dal sudore, che sembrava lacerargli la pelle, mentre i suoi occhi azzurri erano diventati vermigli per la rabbia.
Hero intanto era tornato al suo negozio di meccanica.
Ad attenderlo c’era la signora Prison.
“Buongiorno, signor Hero.”
“Buongiorno a voi, signora.”
“Ricordate quel grammofono da antiquariato che faceste arrivare direttamente da Nuova Nolah?”
“Certo, signora.” Rispose Hero. “Lo ricordo benissimo.”
“Ecco, c’è un problema.”
“Problema?”
“Si... purtroppo era danneggiato.”
“Danneggiato?” Ripetè Hero. “Ma se lo abbiamo provato proprio in questo negozio e funzionava benissimo.”
“Si vede che era già danneggiato.” Rispose la donna. “Forse il danno è peggiorato quando l’ho provato a casa mia.”
“Signora Prison...” disse Hero con il tono di chi cerca di restare calmo “... è sicura di non averlo danneggiato lei? Magari accidentalmente?”
“Giovanotto, ma dico!” Esclamò risentita la donna. “Sono una persona per bene, io!”
“Signora, le ripeto che il grammofono funzionava benissimo. E lei lo ha visto!”
“Allora sta insinuando che l’ho rotto io!”
“Di certo non sono stato io, signora!”
“Non alzi la voce con me, giovanotto!”
“Signora...” rispose Hero cercando di mantenere la calma “... non sto alzando la voce. Le sto solo dicendo che il grammofono funzionava perfettamente quando ha lasciato questo negozio.”
“Io non so allora cosa dirle.” Ribatté la donna. “Comunque, non le chiedo certo indietro i soldi. Me ne ordini un altro ed io prenderò
quello.”
“E cosa dovrei farne io di questo che le ho fatto arrivare direttamente da Nuova Nolah?”
“Non pretenderà certo che io li prenda entrambi!” Rispose risentita la donna. “Non saprei cosa farmene di un grammofono rotto!”
“Signora, io…”
“E’ assurdo che lei pretenda di vendermi due grammofoni, considerando poi che uno è rotto!”
“Signora, la prego…”
“E che di certo non sono stata io a romperlo!”
“E va bene.” La zittì Hero. “Mi dia questo maledetto grammofono. Non lo vuole più? E sia! Allora si prenda tutto ciò che le pare! Si
prenda l’intero negozio e tutta la maledetta merce che contiene!”
“Ma dico? E’ impazzito forse?”
“Vada via e mi lasci in pace!” Disse Hero con gli occhi rossi dalla rabbia. “Vada via o io…”
“Signora Prison!” Intervenne una voce di donna. “Dia a me questo grammofono rotto. Me ne occuperò io.”
“Grazie, Ymma.” Rispose la signora Prison. “Vostro marito oggi sembra strano ed intrattabile.”
“Si e lo scusi. Abbiamo avuto una giornata dura oggi.” Disse Ymma.
“Io ho bisogno di aria.” Disse Hero correndo fuori di corsa.
“Forse è colpa mia…” disse la signora Prison. “… forse avrei dovuto tenermi il grammofono rotto.”
Ymma non rispose nulla.
Fissava solo, attraverso la finestra, il marito che correva via, come se fosse inseguito da antichi fantasmi.
E quando venne l’ora di chiusura, serrò la porta del negozio ed attese il ritorno di Hero.
Questi tornò dopo alcune ore, quando ormai la sera era scesa serena sulla piccola cittadina.
Ymma era accanto alla termostufa ed ebbe un sussulto nel rivedere suo marito.
“Hero, sei tornato finalmente!” Gli disse correndogli incontro.
“Scusami, Ymma…” rispose lui con il viso stravolto e teso “... avevo bisogno di restare un po’ da solo.”
“Dove sei stato?” Chiese lei preoccupata.
“In giro.”
“Sei stato alla vecchia miniera abbandonata, vero?”
“Ymma, ti prego…”
“Lo hai nascosto laggiù, vero?” Chiese lei con gli occhi inumiditi dalle prime lacrime. “Non è vero allora che te ne liberasti! Hai ancora
quel maledetto robot!”
“Ymma, il robot non c’entra niente…”
“Avevi giurato che avremmo avuto una vita tranquilla, come chiunque altro!” Gridò lei in lacrime. “L’avevi giurato!”
“Ymma, ascoltami…” Rispose lui prendendola fra le braccia. “Ti ho promesso che avremmo avuto una vita come tutte le altre persone.
E per questo che siamo giunti qui. E rispetterò questa promessa. Ora calmati.”
“Il tuo sguardo…” disse lei con la voce rotta “... conosco il tuo sguardo… i fantasmi che ti tormentano sono tornati… lo sento… e
saremo costretti di nuovo a lasciare tutto e ricominciare da capo…”
“Ymma...” disse Hero asciugandole le lacrime e sorridendole “... non accadrà. Non ho il diritto di farti altro male. Ti amo… e la nostra
vita è qui ormai.”
La strinse forte e la baciò.
Ma nel suo cuore, quegli antichi demoni erano ormai tornati per tormentarlo di nuovo.
46
47
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
Capitolo IV
Capitolo V
Il giorno seguente la vita riprese a scorrere semplice e chiassosa a San Paolo Balsik.
La polvere e la calura continuavano, come sempre era stato e sempre sarà, a caratterizzare le giornate della piccola cittadina.
E quando giunse il primo pomeriggio, il bar di Philow vedeva, come ogni giorno, radunarsi gli uomini del posto a chiacchierare e bere,
per rilassarsi dopo la dura mattinata di lavoro che il poderoso Sole del deserto rendeva sempre pesante e sfiancante.
“Vi dico che è andata proprio cosi!” Disse Vision ai suoi increduli ascoltatori. “Ho udito questa storia da alcuni mercanti che hanno
fatto sosta a Belsik ieri pomeriggio!”
“Vuoi dire” chiese stupito Hunz “che quel tipo ha distrutto un Mech ed ucciso il suo pilota solo per una stupida sfida?”
“Proprio cosi, amico mio!” Annuì Vision.
“E di cosa vi meravigliate?” Intervenne Mc Palm. “State parlando di Feudis, uno dei peggiori criminali della frontiera! E’ il capo della
feroce banda Torix, che assale carovane, basi isolate e piccole stazioni di servizio. Si dice che sia il più abile pilota di Mech dell’intera frontiera orientale!”
“Infatti” aggiunse Vision “e i testimoni giurano che così lo hanno chiamato i suoi due compari! Quel pilota era proprio il temibile Feudis, il più feroce criminale della zona!”
“E perché mai ha ucciso quel capitano di ventura?” Chiese incuriosito Hunz. “Dopotutto il suo Mech era disarmato e la sua banda
aveva raccolto tutti i pezzi di ricambio disponibili. Senza dimenticare poi che avevano sgominato tutti gli altri membri della pattuglia
di guardia!”
“Semplice, vecchio mio!” Rispose lesto Mc Palm con l’aria di chi conosce a fondo questo genere di situazioni. “Feudis è ossessionato
dalla sua stessa fama! Non concepisce che possa esistere un pilota più abile di lui!”
“E non vi è, credetemi, un pilota più abile ed in gamba di Feudis!” Sentenziò Vision.
“Vi sbagliate, Vision.” Intervenne in quel momento una voce alle loro spalle. “Feudis non è il miglior pilota della frontiera.”
Tutti si voltarono stupiti e incuriositi verso quella voce.
Era Hero, che aveva ascoltato a lungo i loro racconti.
“Cosa ne sapete voi di queste cose, Hero?” Chiese quasi con noncuranza Mc Palm.
“Feudis è molto abile, non lo nego...” rispose Hero con un sorriso quasi di beffa. “... ma non è il migliore fra i piloti di Mech.”
“Come fate a dirlo?” Chiese Hunz stupito da quei discorsi di Hero.
“Semplice...” rispose questi “... perché io conosco il miglior pilota di Mech della frontiera.”
Tutti lo fissarono allibiti e confusi.
“Vi prendete gioco di noi, Hero!” Esclamò Mc Palm, senza dare molta importanza alle parole del giovane.
“Philow, mi serviresti da bere, per favore?” Chiese Hero al bancone del bar. “Birra, per piacere.”
Tutti furono meravigliati da quella richiesta..
“Di solito non bevete mai alcolici, voi…” Disse il barista.
“Oggi mi va.” Rispose Hero con uno strano sorriso.
E dopo aver svuotato tutto il suo boccale, rivolgendosi a tutti i presenti, disse:
“Parlate di Mech e di piloti. Ma li conoscete davvero? Ne avete mai visto uno in azione? Sapete cosa vuol dire colpire un uomo e
lasciarlo bruciare nelle lamiere del suo robot? No, voi parlate di cose che non concepite nemmeno…”
Poi rivolto a Mc Palm: “Guidate tutto il giorno una motrice agraria, ma sapete che differenza c’è tra quella ed un Mech di diverse
tonnellate, armato pesantemente? Sapete dare la caccia a mucche, maiali e polli… ma non sapete nemmeno cosa significhi combattere contro un gigante d’acciaio, che corre e vola ad una velocità che frantuma il muro del suono! Non immaginate nemmeno cosa si
prova a seguire il proprio nemico attraverso un puntino luminoso sul radar, dove perderlo vuol dire essere scoperti, senza difese, alla
mercè del suo fucile al plasma! Capite di cosa sto parlando, Mc Palm? Lo capite o sapete solo raccontare storie di robot dopo aver
bevuto con i vostri amici?”
“Sembrate molto esperto di queste cose, Hero…” Intervenne Hunz profondamente colpito dalle parole del giovane.”
“Già...” chiese Vision “... come fate a conoscere tanto bene questo genere di faccende?”
“Semplice, amici miei…” rispose Hero con un ghigno quasi visionario “… perché sono io il miglior pilota di Mech dell’intera frontiera!”
Un irreale silenzio calò nel locale a quell’incredibile dichiarazione. Rotto solo, dopo alcuni istanti, da Mc Palm che rispose quasi con
disprezzo:
“La birra ed il Sole vi hanno dato di volta al cervello!”
“Lo immaginavo, Mc Palm.” Disse sarcastico Hero. “Sapevo che avreste risposto così. E sta bene. Radunatevi tutta nella piazza centrale. Inizia lo spettacolo!”
Detto questo corse via dal locale.
Attraversò di corsa la strada principale della cittadina, passando proprio davanti al suo negozio.
Qui fu visto da Ymma.
La donna si era accorta dello stato in cui si trovava il marito e vedendolo andare verso la vecchia miniera sentì il cuore come fermarsi.
Sapeva che quegli antichi fantasmi avevano ancora una volta vinto Hero.
Hero giunse di corsa alla vecchia miniera.
Era sudato per l’intensa calura ed eccitato per quello che stava per fare.
Sentiva il cuore pulsargli con vigore nel petto ed un sorriso beffardo, simile ad un ghigno, gli si era fissato sul volto.
Raggiunse uno spuntone di rocce seminascosto da un folto cespuglio di rovi.
Qui, spostando alcune di quelle pietre, liberò un piccolo cunicolo.
Vi si calò dentro, ritrovandosi in una sorta di antro sotterraneo.
Era scuro la sotto, ma Hero si muoveva come chi conosce bene il posto in cui si trova.
Seguirono alcuni infiniti istanti di irreale silenzio, ravvivati solo da un debole vento che faceva svolazzare qualche ramo secco tra le
pietre e la sabbia.
All’improvviso, una parte della miniera crollò di colpo dopo che alcune intese vibrazioni si erano liberate tra le rocce.
Una spessa e densa nuvola di polvere si alzò, coprendo tutto ciò che circondava la miniera per un raggio di almeno tre quarti di
miglia.
Ad un tratto, da quell’impenetrabile muro di polvere si udirono dei sordi boati, come se qualcosa stesse camminando fra la polvere.
Qualcosa con un peso ed una stazza fuori dal comune.
La polvere iniziò pian piano a diradarsi ed un’incredibile sagoma prese forma in quello scenario consumato da un inclemente Sole.
Un Mech di almeno una ventina di metri, ricoperto da una spessa corazza di carbonio ed acciaio, che emanava riflessi vermigli su uno
sfondo di luccicante cromatura, dominava quella scena.
Un nano secondo dopo schizzò veloce in cielo e si diresse verso la cittadina di San Paolo Belsik.
Nella piazza in tanto, seguendo lo strano invito di Hero, tutti si erano radunati.
“Questa poi…” disse agli altri Mc Palm “… un tipo, abituato a buttar giù succo di frutta, beve una birra che gli da alla testa e noi
tutti a dargli corda!”
“Nessuno ti obbliga a star qui.” Rispose Hunz.
“Resto perché voglio proprio godermela questa bravata!” Disse Mc Palm.
Ad un tratto nell’aria si diffuse un sibilo lontano.
Tutti si guardarono intorno, ma nessun riuscì a capire cosa fosse.
“Guardate! Lassù!” Gridò all’improvviso uno dei presenti.
Un momento dopo un oggetto velocissimo scese dal cielo, atterrando proprio al centro della piazza.
Tra la polvere e lo stupore dei presenti, l’immane Mech era giunto proprio al centro della cittadina.
Molti erano fuggiti, altri si erano rifugiati in qualche stradina laterale o nel bar di Philow.
Il robot restò alcuni istanti a scrutare la zona, quando all’improvviso il luminosissimo bagliore verde che animava la sua testa si spense
di colpo.
Il busto si apri, liberando da prese d’aria laterali getti di vapore bianchissimo e qualcuno uscì dalla cabina di pilotaggio.
“Dove siete finiti tutti?” Gridò Hero sovraeccitato nella deserta piazza.” Basta così poco per intimorirvi tutti?”
“Che mi venga un colpo!” Esclamò Hunz riconoscendo Hero ai comandi di quel poderoso Mech. “Hero… siete proprio voi?”
“Certo, che sono io!” Rispose Hero ridendo di gusto. “Avanti, venite fuori!”
Hunz si avvicinò allora a quell’incredibile gigante d’acciaio e pian piano, come tante pecore che seguono cieche il proprio pastore,
lo imitarono tutti gli altri abitanti della cittadina.
“Hero… ma come è possibile tutto ciò?” Chiese come intontito Vision.
“Ve l’avevo detto, no?” Rispose Hero. “Che ero io il miglior pilota di Mech in circolazione!”
Poi, fissando Mc Palm, aggiunse:
”Avanti, mio buon amico… se ricordo bene i Mech corazzati sono la vostra passione! Avvicinatevi e guardate questa meraviglia.!
Avanti, avvicinatevi tutti!”
Attorno a quel Mech si formò allora una vera e propria ressa.
Tutti erano incuriositi e meravigliati da quell’incredibile mezzo antropomorfo.
“Ma dove avete trovato questa meraviglia, Hero?” Chiese Hunz, ancora incredulo davanti a quel tecnologico spettacolo.
“Sono stato per anni un pilota mercenario.” Rispose Hero dalla cabina di pilotaggio del suo robot. “Ho combattuto in centinaia di
missioni ed ho partecipato alla guerra civile! Ed al mio fianco c’era sempre questo inseparabile amico!” Concluse poi indicando il
proprio Mech.
“Incredibile…” Sussurrò uno sbigottito Mc Palm.
“Ha un nome questo robot, signore?” Chiese un ragazzino a Hero.
“Certo che ha un nome!” Rispose lesto Hero. “Il suo nome è Valken!”
“Valken…” Ripeté quel ragazzino con gli occhi sognanti.
“Ora è giusto che vi dimostri la veridicità delle mie parole!” Disse Hero ai presenti. “Siete un cultore di armi da guerra, vero Mc
Palm?”
“Io?” Ripeté questi quasi cadendo dalle nuvole Mc Palm. “Certo… immagino di si…”
“Lo siete oppure no, amico mio?” Chiese con decisione Hero.
“Certo che lo sono!” Rispose Mc Palm riprendendosi dall’intontimento causato da quella strabiliante situazione.
“Bene. E possedete un lanciamissili o un lanciagranate?” Chiese Hero con il tono di chi ha dimestichezza verso questo genere di cose.
“Andrà benissimo qualsiasi dei due.”
48
49
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
“Ho un Lanzar Vector 29!” Rispose con orgoglio Mc Palm. “Un vero gioiello per chi conosce le armi di qualche anno fa!”
“Bene.” Disse Hero. “Andatelo a prendere, per favore. E quando sarete pronto, mirate a quel vecchio casale abbandonato. E badate
di non mancarlo!”
Mc Palm corse a casa sua e fece come gli aveva chiesto Hero.
Tornato nella piazza, montò il suo gioiello bellico e si mise in posizione.
“Sono pronto, Hero!” Disse verso il Mech. “Quando volete!”
“Contate fino a 13 e poi fate fuoco!” Gridò Hero, prima di lanciarsi in volo con il suo Valken.
Mc Palm mirò con cura e dopo13 secondi esatti fece fuoco verso il casale abbandonato.
Il missile partì veloce verso il suo obiettivo, ma il Valken gli si lanciò dietro.
Hero inquadrò il missile nel monitor fino ad agganciarlo con il suo mirino automatico e quando quel micidiale colpo fu a pochissimi
metri dal casale, il fucile al plasma del Valken lo centrò in pieno, facendolo esplodere in migliaia di pezzi ed arrestandone la sibilante corsa.
“E’ incredibile!” Gridò Hunz. “Ha centrato in pieno quel missile! Mai vista una cosa simile!Deve avere dei riflessi al limite delle umane
capacità!”
E la stessa meraviglia si diffuse tra i presenti.
Qualche attimo dopo, il Valken tornò nella piazza e Hero fu accolto da tutti come un eroe.
“No, io non verrò!” Sentenziò lei. “Io mi trovo bene qui e voglio restarci. Partirai senza di me!”
Hero la fissò quasi incredulo.
Ma non poteva darle torto.
Cosa le aveva dato fino ad oggi?
Nulla. Niente stabilità, nessuna certezza. Niente che possa definirsi una vita.
Era troppo da chiedere a chiunque.
La fissò per alcuni incalcolabili istanti, poi prese il suo giubbotto ed uscì fuori.
E vi restò per tutta la notte.
Il giorno seguente, essendo domenica, tutta la cittadinanza si ritrovò nella chiesa della cittadina.
C’erano tutti, anche Ymma. Ma non Hero.
Ad un tratto la porta si aprì ed apparve la sua sagoma nella navata centrale.
Il sacerdote si zittì e tutti si voltarono.
“Perdonatemi se interrompo la celebrazione.” Cominciò a dire Hero mentre si avvicinava all’altare. “Volevo salutare tutti e sapevo di
trovarvi qui. Sto partendo.”
Un brusio di stupore e meraviglia si diffuse nel sacro edificio.
“Partite?” Chiese Hunz. “E dove siete diretto?”
“Non lo so, forse a Nord.” Rispose Hero.
“Ma perché?” Chiese Mc Palm.
“Vedete… quando si è stato un pilota mercenario, lo si resta per tutta la vita. E’ un marchio che non svanirà mai.” Rispose Hero con lo
sguardo basso. “Ieri ho fatto una stupidaggine a rivelarvi la mia vera identità… ed ora è giusto che ne paghi le conseguenze.”
“Ma perché?” Chiese Vision.
“Perché la vita di un mercenario è fatta di battaglie, scontri, duelli!” Intervenne a dire Ymma. “Quando sei un mercenario la terra
sotto i piedi scotta e non puoi fermarti mai per mettere radici!”
Hero la fissava senza dire nulla.
Era bellissima. Come non lo era mai stata.
E sembra incarnare, in quel momento, tutti i sogni ed i desideri di Hero.
La sua giovinezza, le sue speranze e tutte quelle cose che costellavano il suo mondo.
E come ogni altra cosa, Hero sentiva che stava smarrendo anche lei.
Capitolo VI
Hero scese dalla cabina del robot e fu osannato da tutti come se fosse il primo uomo del mondo.
Ora finalmente il ragazzo era sereno.
Poteva gridare al mondo la sua gioia, la sua soddisfazione.
Ora tutti sapevano che era lui il migliore.
Il migliore di tutti.
Quegli uomini che fino a poco fa l’avevano visto come un semplice meccanico, incapace anche di bere come un vero uomo, ora erano
li, quasi a suoi piedi.
“Ho veduto grandi piloti combattere tra il cielo e la terra… “ cominciò a dire Mc Palm “… ma nessuno era capace di guidare uno di
quei Mech come avete fatto voi oggi! Io credo… si, insomma… credo che nessuno possa starvi alla pari!”
“Ma perché mai vi siete nascosto fino ad ora, amico mio?” Gli chiese ancora incredulo Hunz. “Siete una vera e propria leggenda
vivente!”
“Io ne ho visti tantissimi di piloti…” intervenne anche Vision “… ma nessuno ha la vostra abilità, Hero!”
E nell’udirli, Hero era al settimo cielo.
“Oggi è un gran giorno!” Gridò Philow. “Ora anche la nostra sperduta cittadina può vantarsi di avere un degno cittadino! Tutti da
me, offro io!”
Hero rise di gusto ed abbracciò tutti coloro che gli andavano incontro.
Ma in mezzo a tanta gioia ed allegria, tra mille voci e risate, scorse un volto.
Un volto che recava uno sguardo spento.
Era il volto di Ymma.
I suoi profondi occhi blu erano ancora più belli del solito e lo fissavano trasmettendogli una grande, immensa delusione.
I boccoli dorati che circondavano il suo bellissimo volto erano agitati dal vento che aveva iniziato a soffiare forte sulla piccola cittadina.
Lo fissò così per alcuni istanti, per poi correre via in lacrime.
“Andiamo, Hero, la birra ci attende!” Gli disse Vision.
“Cominciate a bere senza di me, ragazzi… “ Rispose distrattamente.
Lasciò allora la compagnia e raggiunse Ymma nella loro casa.
Questa era stesa sul letto, in lacrime.
Hero le si avvicinò e si sedette accanto a lei sul letto.
“So cosa provi…” cominciò a dire “… perdonami, l’ho fatto di nuovo… domani lasceremo questa cittadina e ricominceremo da capo.
E vedrai che saremo felici. Te lo prometto, Ymma.”
“Una nuova promossa?” Gridò lei sollevando finalmente il volto dal suo cuscino. “E a cosa dovrebbe servire? Ogni volta è sempre la
stessa storia! La stessa maledetta storia! Io sono stanca! Stanca di fuggire e di ricominciare ogni volta!”
“Perdonami, ti prego…”
“Per cosa?” Chiese lei in lacrime. “Tanto accadrà di nuovo! Ieri è stato a Pomilia, oggi a San Paolo Belsik e domani sarà in un altro
posto! Cambiano i luoghi, ma non la storia!”
“Da domani sarà diverso, te lo prometto!”
“Basta, non promettere più!” Gridò Ymma. “Tanto è più forte di te! Non puoi cambiare! E’ la tua natura! Ti ho creduto fino ad oggi,
ma ora è chiaro che tu non potrai mai mutare ciò che sei!”
“Ymma, io…” Tentò di dire Hero.
“Ed ora lasciami, ti prego!” Lo interruppe lei. “Lasciami da sola!”
“Preparerò io i bagagli… partiremo all’alba.” Disse lui.
50
Capitolo VII
Hero ascoltava le parole di sua moglie.
E guardava i suoi occhi.
L’aveva delusa ancora una volta.
Ma infondo, pensava, cosa era lui veramente?
Cosa poteva davvero pretendere dalla vita?
E cosa poteva dare a quella donna?
Lui era un soldato mercenario. E lo sarebbe stato per sempre.
E nulla avrebbe potuto cambiare le cose.
“Quando si spargerà la voce che il grande Hero vive in questa cittadina” continuò a dire Ymma “allora vedrete che arriverà gente
da ogni dove e vorrà combattere contro di lui. Arriveranno per vendicarsi, per arrestarlo o anche solo per confrontarsi con lui! E
questa città vedrà così la propria fine!”
“Ymma ha ragione.” Disse Hero. “Un pilota mercenario non può pretendere una vita normale. Se lo facesse allora si illuderebbe. Ora
è giunto il momento che parta.”
Ymma lo fissò piangendo. Aveva la morte nel cuore.
“Un momento.” Intervenne a dire Hunz. “Dopotutto chi sa che voi vivete qui? Siamo nel bel mezzo del deserto e a meno che non saremo noi stessi a rivelarlo nessuno potrà mai sapere di voi e del vostro Mech!”
“E’ vero, Hunz ha ragione!” Disse Vision.
“In fondo, siamo noi soli a sapere di voi, Hero.” Intervenne Mc Palm.
“E’ un segreto troppo grande, amici miei.” Disse Hero.
“Temete che qualcuno lo riveli?” Chiese Hunz. “Allora giureremo tutti. E lo faremo in questo sacro luogo di Fede e preghiera. Siete
tutti disposti a giurare di mantenere il segreto su Hero?” Chiese poi a tutti i presenti.
Tutti allora si alzarono e giurarono davanti alla santità di quel luogo che mai avrebbero rivelato quel segreto ad anima viva.
Ymma in lacrime corse ad abbracciare Hero.
“Da oggi il Cielo ci da un’altra possibilità.” Disse in lacrime. Ti prego, non roviniamola.”
“Ti giuro che non accadrà, amore mio!” Rispose Hero baciandola. “Te lo giuro!”
E da tutti partì un applauso spontaneo che echeggiò nella navata e sancì la sacralità di quel giuramento.
Intanto, a pochi km da San Paolo Belsik, tre pesanti e poderosi mezzi corazzati attraversavano veloci l’inospitale deserto.
Ad un tratto arrestarono la loro corsa.
“New Town dista ancora molto, stramaledizione!” Esclamò uno dei tre piloti.
51
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
“Già ed i Mech hanno bisogno di carburante.” Rispose un altro dei tre.
“Controlla la mappa, Duxa.” Ordinò quello che sembrava essere il capo. “Cerca di capire se c’è un luogo in cui poterci rifornire.”
“Ehi, Feudis, sembra che abbiamo fatto centro!” Rispose Duxa. “A pochi km da qui c’è un piccolo paese agricolo. Li troveremo il carburante che ci occorre!”
“Bene!” Esclamò Feudis. “Inquadra le coordinate e rechiamoci subito in quel luogo! Ci resteremo giusto il tempo di fare rifornimento!
Andiamo!”
E così i tre temibili Mech della banda Torix si diressero verso San Paolo Belsik.
Spinsero al massimo i loro portentosi robot, giungendo poco dopo nella piccola cittadina.
Questa appariva quasi deserta, visto che tutti erano in chiesa per la funzione domenicale.
Per le strade vi era solo un gruppo di ragazzini che giocavano tra la polvere ed il vento che soffiava, echeggiando tra le case e gli
stretti vicoli.
I ragazzini però, attirati dai rumori di quei pesanti Mech, corsero a spiarli.
E videro i feroci Torix rubare il carburante dalle grandi cisterne che dominavano il centro della cittadina.
“Questo luogo sembra deserto!” Disse Duxa.
“Cosa ti aspettavi?” Rispose Mars, il terzo della banda. “Saranno tutti a coltivare la terra!”
“Ehi, guardate, abbiamo degli spettatori!” Disse Duxa indicando i ragazzini che li spiavano dall’ingresso di uno dei vicoli.
“Lasciali perdere!” Rispose Mars. “Prendiamo ciò che ci occorre e filiamo da questo luogo dimenticato!”
“Un momento…” disse all’improvviso Feudis, il capo dei tre “… ma laggiù c’è qualcosa che emana strani bagliori!” Ed indicò alcuni
detriti che giacevano poco fuori dalla cittadina.
“Che ti importa!” Rispose Duxa. “Lascia perdere!”
Feudis però, incuriosito li raggiunse per accertarsi cosa fossero.
“Per la barba del demonio!” Esclamò. “Ma questi sono i resti di un missile! E sembra sia stato colpito in pieno!”
“Impossibile!” Esclamò Duxa. “Cosa vuoi che ci facciano qui i detriti di un missile!”
“E’ un missile ti dico!” Gridò Feudis. “Ed è stato abbattuto! Ma chi sarà stato, in un luogo sperduto e fetido come questo?”
Poi, guardando i ragazzini li raggiunse. Cercò allora ti intimorirli puntando loro contro il mitragliatore del proprio robot.
“Avanti, piccoli…” cominciò a chiedere “… ditemi chi ha ridotto così questo missile.”
Impaurito da quell’immenso robot, uno dei ragazzini, senza dire nulla, indicò la chiesa.
Feudis allora si voltò verso il sacro edificio, chiedendosi cosa volesse dirgli quel ragazzino.
“I militari arriveranno presto” tuonò Duxa “ed io non voglio finire in gattabuia a causa dei tuoi giochino da pistolero!”
“Zitto, maledetto!” Ringhiò Feudis. “Ora voglio che quel dannato esca dalla chiesa e venga a dimostrarmi di essere il migliore!”
Un momento dopo, uno dei tre Mech atterrò davanti alla chiesa.
“Mi sentite là dentro?” Cominciò a gridare Mars. “Stiamo cercando un certo Hero! Fatelo uscire, altrimenti non rivedrete più i ragazzini
che giocavano nelle strade!”
In un secondo, nella chiesa, si diffuse un’indicibile paura.
“Il mio bambino?” Gridò una donna. “Era fuori a giocare!” Aiutatemi!”
E con lei cominciarono a disperarsi anche le altre madri dei ragazzini.
“Vigliacchi!” Disse Hunz. “Hanno preso i ragazzi!”
“Hanno chiesto di Hero!” Disse Vision. “Ma perché? Cosa vorranno da lui?”
“E te lochiedi?” Intervenne Mc Palm. “Sua moglie ci aveva avvertiti. Si sarà già sparsa la voce che lui vive qui! E noi già ne stiamo
pagando le conseguenze!”
Allora in quel momento la rabbia cominciò a diffondersi nella chiesa, mischiandosi alla paura che già dominava l’intero ambiente.
“Hero…” disse Vision “… voi siete l’unico che può aiutarci. Dovete salvare i nostri ragazzini!”
“Vision ha ragione!” Intervenne Philow. “Dopotutto siete il migliore! Riuscirete a stanare quei maledetti!”
“Ma sono tre!” Rispose Ymma. “Hero, per abile che sia, non può tenere testa a tre avversari contemporaneamente! Sarebbe un suicidio!”
“Lui ci ha messo in questa situazione!” Disse Mc Palm. “Se non fosse stato per la sua bravata del missile, a quest’ora non ci troveremmo
nei guai!”
Hero li ascoltava senza rispondere nulla.
Aveva lo sguardo basso e la fronte rigata dal sudore.
“Un momento, calmi!” Intervenne Hunz. “Non possiamo costringere Hero a battersi. La cittadina è nostra e dobbiamo difenderla
noi!”
“E’ impossibile!” Gridò Mc Palm. “Quelli sono piloti veri! Noi invece siamo semplici contadini! Sarebbe un massacro!”
“Allora andrò io!” Sentenziò Hunz. “Dopotutto sono stato io a chiedere a Hero di restare. Io vi ho fatto giurare. E’ quindi giusto che
affronti da solo questa situazione.”
“Sei folle…” Disse Vision.
Intanto, da fuori si udì un colpo sparato in aria.
“Avanti, lì dentro!” Gridò il pilota davanti alla chiesa. “Il mio capo sta aspettando! O ci consegnate quel Hero oppure useremo i vostri
mocciosi come bersagli!”
“Vado!” Disse Hunz.
“Un momento.” Lo fermò Hero, rompendo il silenzio in cui si era chiuso. “E’ giusto che vada io.”
“Ma sono tre, Hero!” Gridò Ymma. “E’ un suicidio!”
“Quando si è quello che sono io…” rispose Hero guardandola con infinita tenerezza “… la vita non da mai un’altra possibilità. Perdonami, ti prego, se non stato un buon marito.”
L’abbracciò forte e la baciò.
Si avvicinò poi all’altare e si segnò tre volte.
Dopodichè si diresse verso la porta, mentre il sacerdote lo benediceva.
“Hero!” Lo chiamò Ymma. “Ti amo…”
“Lo so.” Rispose Hero voltandosi e sorridendole.
Poi aprì la porta ed uscì.
E nella chiesa scese un funereo ed innaturale silenzio.
Capitolo VIII
Intanto, nella chiesa un uomo che sedeva in fondo alla navata aveva udito degli strani rumori provenire dalle strade.
Si affacciò dalla porta e tornò di corsa dentro con la faccia sbiancata dal terrore.
“Cosa avete, Carson?” Chiese Vision accorgendosi della sua grottesca espressione.
“Che…” tentò di rispondere Carson “… che… Iddio Onnipotente ci aiuti!”
“Cosa avete visto?” Chiese Hunz preoccupato dalle strane parole del vecchio Carson.
Ma questi non riuscì a rispondere niente.
Hunz allora si fiondò a vedere fuori.
Un attimo dopo rientrò con il volto teso.
“Allora?” Chiese quasi indispettito Mc Palm.
“Sono appena giunti in città dei Mech corazzati…” rispose Hunz accigliato “… credo siano in tre…”
In un attimo il panico si diffuse nella chiesa.
“Mech?” Ripeté Vision. “E cosa mai cercano in questo posto?”
“Non lo immagini?” Rispose Mc Palm. “Carburante!”
Intanto, nella strada, Feudis continuava ad intimorire i ragazzini, chiedendo loro dei detriti di quel missile.
“Ragazzo, poco fa hai indicato la chiesa…” chiese con tono calmo ma fermo “… cosa volevi dirmi? Sta tranquillo, non ti farò del
male. Puoi parlarmi tranquillamente.”
Il ragazzino allora, preso coraggio, indicò di nuovo la chiesa e rispose balbettando:
“…E’… in quella chiesa…”
“Chi è in quella chiesa?” Domando Feudis sempre più incuriosito.
“…L’uomo… l’uomo che ha colpito il missile con il suo robot…”
“Robot?” Ripeté meravigliato Feudis. “Che robot? In questo posto dimenticato? Ti stai prendendo gioco di me, ragazzo?”
Questi scosse la testa.
“No, signore.” Rispose. “ Ha davvero colpito al volo quel missile… e con un colpo solo.”
“E’ vero, signore…” Disse un altro dei ragazzini. “Hero è il più abile pilota del mondo!”
A quelle parole Feudis lanciò un grido di sfida.
“Ora lo vedremo se è davvero il migliore!” Disse poi.
“Lascia perdere, capo!” Intervenne Duxa. “Abbiamo i militari alle calcagna! Non possiamo perdere tempo con queste sciocchezze!”
“Al diavolo!” Rispose Feudis. “Un’ora in più o in meno non cambierà niente! Partiremo da qui quando avrò accoppato quel maledetto!”
52
Capitolo IX
Appena uscito dal sacro edificio, Hero si trovò davanti il poderoso Mech di Mars.
“Sei tu Hero?” Chiese questi.
“Si, sono io.”
“Bene, il capo ti stava aspettando!” E detto questo si diresse rapido verso i suoi compari.
Hero raggiunse allora gli altri uomini della banda Torix.
Feudis lo fissò con attenzione.
“Sei tu quindi quel Hero di cui mi hanno parlato i ragazzi!”Esclamò.
“Sono qui.” Disse Hero con uno sguardo di ghiaccio. “Ora lasciate andare i ragazzini.”
“Una cosa per volta, amico.” Rispose Feudis. “E’ vero? Sei un pilota di Mech?”
“Si, sono stato un pilota mercenario.”
“Cosa vuol dire sei stato?” Chiese infastidito Feudis. “Chi è stato un pilota, fosse anche per un giorno o per un’ ora, lo sarà per sempre!”
Hero fissava quel criminale senza dire niente.
“Dove si trova il tuo Mech?” Chiese con rabbia Feudis.
“L’ho nascosto qui vicino.”
53
le letture estive di Gonagai.net
http://gonagai.forumfree.it
“Non perdiamo altro tempo.” Disse Feudis. “Va a prenderlo e cominciamo!”
“Solo a due condizioni.” Rispose Hero.
“Quali sarebbero?” Chiese Feudis.
“I ragazzi devono essere lasciati andare.”
“E la seconda condizione?” Chiese ancora Feudis.
“Combatteremo fuori dalla cittadina.”
I tre si scambiarono rapide occhiate.
“E sia.” Rispose Feudis. “Combatteremo poco prima dell’inizio di questa fogna! Hai 15 minuti per andare a prendere il tuo Mech!”
“Siete in tre ed io uno solo. Come farò a sapere che non mi attaccherete alle spalle?” Chiese Hero.
“Tranquillo.” Rispose Feudis. “Basterò io solo per batterti. Ora va a prendere il tuo Mech, bifolco!”
I ragazzi allora furono lasciati andare ed i tre criminali raggiunsero il posto stabilito per lo scontro.
Hero ritornò alla miniera abbandonata.
Ripensava alla bravata del giorno prima.
“Forse non avrei dovuto rivelare a tutti la mia identità.” Pensava. “Ma in fondo, se non fosse stato oggi, sarebbe stato domani forse.
Il destino di un mercenario è segnato.”
E mentre si tormentava con questi dubbi e pensieri, raggiunse il suo Valken.
Vi salì a bordo ed azionò i comandi.
Di nuovo quel gigantesco robot emerse dalle rocce e dalla sabbia che facevano da cimitero alla vecchia miniera abbandonata.
Ed un secondo dopo volò verso il luogo del duello.
Qui, intanto, i tre Torix erano alle prese con qualche discussione.
“Questa faccenda ci sta portando via troppo tempo!” Disse Duxa a Feudis. “I militari potrebbero arrivare in qualsiasi momento!”
“Falla finita!” Rispose Feudis, mentre già accarezzava l’idea di aggiungere una nuova vittoria alle sue feroci sfide. “Vedrai che tra
meno di un’ora saremo già in viaggio verso New Town.”
“Al diavolo!” Disse col tono sempre più nervoso ed esasperato Duxa. “Mi sento la terra scottare sotto i piedi! E poi non mi piace fare
la fine del topo preso in trappola.”
“E cosa vorresti fare?” Chiese infastidito Feudis.
“Comincerò ad andare.” Rispose Duxa. “Mi raggiungerete quando avrete finito.”
“Canaglia e vigliacco!” Lo insultò Feudis. “Va via! Ma senza i pezzi di ricambio! Dovrai aspettare il nostro arrivo per averli!”
“Come vuoi.” Rispose Duxa ed accese senza indugiare oltre i suoi reattori, prendendo la via verso il deserto.
Ma quando fu di spalle, Feudis lo colpì a tradimento e poi gli si avventò contro con la sua temibile spada laser.
L’arma cominciò a squartare e lacerare la corazza del Mech, fino a penetrare nei suoi circuiti.
Duxa lanciò un grido disumano, mentre intense scariche elettriche si diffondevano nel suo abitacolo.
In breve Duxa ed il suo Mech bruciarono nel medesimo fuoco.
“Maledetto traditore!” Disse Feudis mentre osservava il Mech del suo ex complice consumarsi tra le sue stesse lamiere. “Nessuno può
fregarmi! Nessuno!”
Nella chiesa intanto avevano avvertito il colpo e l’esplosione.
In tutti sorsero ancora più paura e disperazione.
Ymma allora, vinta dal timore, senza pensarci su, uscì fuori dalla chiesa e corse verso il luogo del terribile duello.
“Dove andate, Ymma?” Gridò Hunz. “Tornate indietro! Tornate indietro!”
Ma la donna non ascoltava le sue grida.
L’unica cosa che sentiva erano i battiti del suo cuore che sembrava volerle esplodere nel petto, mentre correva verso suo marito.
Hero allora inserì il booster, un turbo super accelerato e cercò di evitare quei letali proiettili.
I missili erano infatti troppo veloci per essere bloccati nel mirino e colpiti.
Hero volò velocissimo vicino al suolo, riuscendo a far esplodere contro le rocce uno dei due missili.
Ma il secondo andò a segno, scuotendo con forza il suo Mech.
“Un altro paio di colpi così e quel cane farà la fine degli altri, capo!” Gridò eccitato Mars.
Hero azionò alcuni sistemi di sicurezza, permettendo al Valken di raffreddarsi.
Nonostante questo però, la temperatura interna era già molto alta e Hero si sentiva quasi soffocare.
Feudis riprese a vomitargli addosso il suo fucile al plasma e Hero si lanciò di nuovo in una folle corsa per evitare questo nuovo attacco.
Feudis, più sparava, più vedeva i suoi colpi fallire il bersaglio.
“Maledetto!” Gridò verso il suo avversario.
Ma continuò a bersagliare il suo avversario, fino a quando le munizioni terminarono.
“Dannazione, sono scoperto!” Urlò.
A quel punto Hero iniziò a far fuoco verso di lui.
La corazza del Mynotaurs cominciò ad emanare bagliori incandescenti, sotto i precisi colpi del Valken.
“Coprimi, Mars!” Ordinò Feudis.
Un attimo dopo il Bomber, il Mech di Mars, si lanciò verso Hero.
“Ora sono due…” Disse Hero, che non ebbe il tempo di aggiungere altro, ritrovandosi sotto i colpi del nuovo nemico.
Tentò allora di evitarlo, ma diversi colpi andarono a segno, danneggiando seriamente il Valken.
Cercò allora di rispondere al fuoco, ma il suo fucile al Plasma sembrava inceppato.
“Maledizione!” Urlò Hero.
“Senza munizioni sei mio!” Disse Mars piombandogli addosso per il colpo decisivo.
Ma il Torix fece l’errore di avvicinarsi troppo.
In una frazione di secondo, Hero l’aveva agganciato col mirino e lo centrò con due colpi del suo cannone classe Vulcan, montato sulle
spalle del Valken.
Un colpo raggiunse la testa del Bomber facendola saltare.
Il secondo perforò il busto del Mech, uccidendo sul colpo Mars.
Il bomber esplose dopo alcuni secondi, lanciando i suoi detriti ovunque.
Un’intensa e soffocante nube di polvere, fumo, sabbia e detriti incandescenti si alzò da quell’esplosione, rendendo praticamente nulla
la visibilità attorno al Valken.
Alcuni istanti dopo il vento iniziò a dissipare quella densa nuvola di morte e tutto intorno a Hero cominciò a mostrarsi chiaramente.
Ciò che restava del Mars ardeva al suolo, ma del Mech di Feudis nemmeno l’ombra.
Anche il radar sembrava tranquillo.
Intanto Ymma era giunta quasi sul luogo dello scontro.
Aveva avvertito le esplosioni e vedeva piccole colonne di fuoco alzarsi verso il cielo.
Corse allora più velocemente. Con tutta la forza che aveva in corpo.
Nel frattempo, Hero teneva sempre sott’occhio il suo radar.
Nell’abitacolo faceva caldo. Un caldo infernale che impediva quasi di pensare.
Ma Hero doveva restare lucido.
Ad un tratto una spia vermiglia si accese sul radar, cominciando a pulsare di un rosso vivo.
Hero guardò il monitor e vide la sagoma del Mynotaurs dirigersi verso di lui impugnando la sua spada laser.
Hero in quel momento vide tante immagini attraversargli la mente. E tra questa vi era Ymma, la più bella di tutte.
Ebbe solo il tempo di estrarre anch’egli la sua spada laser, dopodichè avvenne il mortale e devastante impatto tra i due Mech.
Un’enorme esplosione illuminò il paesaggio, facendo scuotere tutte le case di San Paolo Belsik.
Ymma cadde al suolo.
Aveva gli occhi stravolti ed il suo cuore sembrava volersi fermare, mentre un Averno di fiamme si propagava ovunque.
Capitolo X
Intanto, nel luogo scelto per il duello, Feudis fremeva nell’attesa di quella fatale contesa.
Ad un tratto un lontano sibilo fu avvertito nell’aria ed un attimo dopo il Valken atterrò agile davanti ai due criminali.
“Ti ritrovi un bel gioiellino fra le mani, bifolco!” Esclamò con meraviglia Feudis, nel vedere il possente Valken. “Starò attento a non
danneggiarlo troppo… ho idea che il tuo Mech fornirà più di un componente al mio Mynotaurs! Del resto è la tua testa che voglio,
bifolco!”
E rise in modo grottesco.
Poi, rivolto al suo compare, aggiunse:
“Mars, fra 3 secondi spara in aria… sarà il segnale che darà inizio al duello!”
Per un attimo gli sguardi dei due contendenti, attraverso le loro moderne e tecnologiche corazze, arrivarono quasi a sfiorarsi.
Al 3, Mars sparò in aria con il suo fucile al plasma. Era il segnale.
I due Mech, da una parte il Valken e dall’altra il Mynotaurs, scattarono rapidi in cielo, cominciando a roteare a forte velocità.
La snervante danza durò alcuni istanti, poi il fucile di Feudis fece iniziare il mortale duello.
Una pioggia incandescente cominciò a dirigersi verso il Valken, mentre questo zigzagava rapidissimo nell’aria.
“Sei veloce, maledetto!” Disse Feudis. ”Allora useremo le maniere forti!”
Cercò allora di bloccare il suo avversario nel mirino a ricerca calorica e fece partire due missili dai lanciarazzi montati sulle spalle
del suo Mech.
54
Il giorno dopo a San Paolo Belsik giunse una squadriglia di militari.
E fu accolta da un triste evento.
Tutta la popolazione seguiva un’austera e silenziosa processione, mentre la chiesa della cittadina sembrava scandirne il passo con
il solenne rintocco delle sue campane.
“Sono il capitano Van Linsey, del ventitreesimo reggimento.” Disse l’ufficiale presentandosi ai cittadini che seguivano quel corteo funebre. “Siamo sulle tracce di tre feroci criminali. Secondo le nostre informazioni dovrebbero essere giunti in questa cittadina.”
“Si, sono giunti ieri, capitano.” Rispose Hunz.
“Cosa è accaduto qui?” Chiese il capitano, notando i resti della violenta battaglia del giorno prima.
“I tre criminali, una volta arrivati in città, hanno sfidato un uomo che viveva qui da qualche tempo.” Rispose Hunz. “Era stato un mercenario, ma non so quale motivo abbia scatenato l’insensata battaglia. Forse odio e rancori personali.”
“Quell’uomo aveva un suo robot?” Chiese il capitano.
“Si…” rispose Hunz. “… l’aveva nascosto in una miniera abbandonata. Ma, come potete vedere, dei 4 non è rimasto nulla.” Disse
indicando i resti dei robot sparsi ovunque.
“Già, vedo…” disse il capitano. “… e sia, qui non c’è altro da fare! Del resto è destino che simili individui non riescano mai a fuggire
55
le letture estive di Gonagai.net
dalle loro tristi e violente esistenze.”
Poco dopo, assicuratosi che tutto fosse tranquillo in città, i militari ripartirono.
E quando furono lontani, la folla accorsa al funerale iniziò a scomporsi.
E tra essa emersero un uomo ed una donna.
“E’ finita, vero Hero?” Chiese lei.
“Si, è finita per sempre.” Rispose lui. “Ora che il Valken non esiste più, potremo cominciare a vivere una vita tutta nostra.”
“Ora siete due persone nuove” intervenne Hunz “e nessuno verrà più a cercare Hero il mercenario, poiché tutti lo crederanno morto
nella battaglia di San Paolo Belsik. E quel tumulo dove riposano i resti del Valken, sarà tutto ciò che resta della leggenda del robot
sepolto.” Concluse poi indicando il luogo in cui era stato sotterrato ciò che restava del robot di Hero.
Tutti allora si strinsero con gioia attorno a Hero e Ymma, salutandoli in quella che da oggi sarebbe stata la loro nuova vita.
Perché quella vecchia era finita per sempre.
Confusa ed abbandonata nella medesima leggenda.
La leggenda del robot sepolto.
56
http://gonagai.forumfree.it
Elenco fanart
57
le letture estive di Gonagai.net
58
Scarica

Untitled