PALIOTTI Scagliole intarsiate nel Piemonte del Sei e Settecento Questa presentazione raccoglie gli esiti della ricerca sui paliotti in scagliola nel territorio piemontese, promossa dalla Diocesi di Casale Monferrato, con la collaborazione dell’Associazione culturale Idea Valcerrina e il sostegno della Compagnia di San Paolo e della Regione Piemonte. La ricerca, coordinata dall’Università di Torino (Dottorato in storia del patrimonio archeologico e artistico) e dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte e dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Piemonte, ha preso in considerazione gli oltre 350 paliotti censiti nei territori delle diocesi piemontesi, studiando i materiali di esecuzione, le maestranze specializzate che li hanno prodotti, i modelli di riferimento, le aree culturali di diffusione e la geografia del gusto. Presentazione a cura di Roberto Caterino ed Elena Di Majo Le cartine Il censimento dei paliotti in scagliola in Piemonte è stato condotto in primo luogo sulla base della schedatura promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana sin dal 1996 e in parte ancora in corso. Nella maggior parte delle diocesi l’operazione ha interessato gli edifici parrocchiali, solo occasionalmente le chiese sussidiarie, raramente oratori e cappelle campestri: si è perciò resa necessaria l’integrazione dei dati a partire dalla bibliografia, dalla documentazione d’archivio, ma soprattutto attraverso l’indagine sul territorio. In questo modo si sono potuti mappare i manufatti riportandone la distribuzione nella prima delle due cartine, dove sono indicati i paliotti attualmente reperiti sul territorio piemontese, per località e con riferimento alla situazione storica delle giurisdizioni diocesane intorno alla metà del Settecento. Lo stato delle diocesi è stato ricostruito sulla base di studi storici pregressi e fonti di prima mano, privilegiando le liste delle parrocchie visitate dai vescovi nei decenni in cui si concentra la massima produzione di scagliole. Le propaggini delle diocesi al di fuori degli attuali confini del Piemonte non sono considerate, né sono operate distinzioni fra le dipendenze abbaziali attestate nel Settecento (come San Benigno Canavese) e l’area diocesana entro cui si collocavano. Il dato sulle presenze tiene conto anche dei manufatti frammentari, mentre restano esclusi gli esemplari già documentati e non più esistenti. La seconda cartina riconduce invece le presenze alle maestranze, raggruppate per bottega. Tale distinzione si apprezza graficamente mediante colorazioni diverse, restituendo così anche l’attività di maestranze diverse all’interno di uno stesso edificio. Per una più chiara lettura dei dati, i casi sporadici sono identificati nel comune ambito culturale di provenienza, per cui, ad esempio, Giacomo Massa e Francesco Leoni rientrano sotto la voce ‘bottega carpigiana’. MAESTRANZE La produzione dei paliotti avveniva all’interno di botteghe specializzate, per la maggior parte di origine lombardo-intelvese, che nella loro migrazione professionale disegnavano geografie di una occupazione del territorio oggi ben leggibili. Le botteghe raccontano storie molto diverse che vanno da una assidua riproposizione di modelli, di solito associata a un territorio circoscritto, a esperienze di incalzante rinnovamento dei repertori e di mobilità su ampie aree. La maestranza definita ‘saluzzese’, che operò nel Piemonte sud-occidentale dal 1682 al 1730, propose lo stesso modello elaborato sulla base del girale, senza lasciare spazio a contaminazioni né alla penetrazione sul territorio di altre maestranze. Allo stesso modo la bottega dei Marca, attiva nel medesimo periodo all’imbocco della Val Sesia, si dimostrò legata a un’unica soluzione decorativa: una tarsia inizialmente configurata ad ampie campiture delimitate da spesse bordure in nero che in un secondo tempo venne articolata in una ripetizione di forme geometriche portate a coprire l’intera superficie del paliotto. Bottega della scagliola saluzzese, Paliottocon Madonna con il Bambino tra i Santi Giuseppe ed Elisabetta d’Ungheria, 1708. Dronero, Santi Andreae Ponzio, presbiterio. Bottega della scagliola saluzzese, Paliotto con Santa Lucia, 1711. Frossasco, San Donato, altare della Madonna del Rosario. Bottega dei Marca (attr.), Paliotto con stemma nobiliare, 1729 circa. Sostegno, San Lorenzo, altare di San Giuseppe. Bottega dei Marca, Paliotto, 1728. Sostegno, Sant’Antonio, altare della Madonna del Carmine. L’attività dell’intelvese Pietro Solari, a cui dagli anni Trenta si affiancarono i figli, si distingue per il rinnovamento costante che seppe apportare ai modelli adottati, favorito dalla disponibilità ad accogliere i nuovi spunti incontrati viaggiando senza sosta fra il Piemonte centro-settentrionale e la Lombardia. Pietro, inizialmente legato al modello a tarsia appreso dal padre a inizio secolo, presto imparò a muoversi agilmente fra gli schemi più tradizionali dei viluppi del girale vegetale e in quelli della simulazione del commesso marmoreo, facendo proprie anche suggestioni eterogenee come nell’originale paliotto di Santa Maria delle Grazie in San Domenico a Casale Monferrato o nel contraltare ‘alla chinese’ della chiesa della Vergine delle Grazie a di Busto Arsizio. Pietro Solari, Paliotto con Santa Rosa da Lima, 1717. Casale Monferrato, San Domenico, altare di Santa Rosa da Lima. Pietro Solari, Paliotto con San Grato, particolare, 1723. Barquedo di Invorio, San Grato, altare maggiore. Francesco Solari (attr.), Paliotto con ostensorio, 1739. Moncalvo, Sant’Antonio Abate, altare maggiore. Sempre nella prima metà del secolo un’altra bottega intelvese, quella dei Rapa, si affermava in area novarese con un intenso sfruttamento dell’ornato acantiforme, rielaborato in poche formule assiduamente ripetute, in costante associazione con una cartella auricolare centrale per poi adeguarsi, dagli anni Quaranta, al favore imperante per i modelli a nastro. Toccò alla bottega dei Pancaldi, attiva nell’alto Novarese, portare avanti nel secolo, fino agli anni Novanta, l’esperienza dei paliotti. La loro produzione riadattava con qualche ritardo motivi già frequentati dai Solari, lavorando inizialmente brani isolati del racemo di acanto inclusi entro bordure a imitazione del commesso lapideo, per poi rivolgersi a disegni a nastri, in certi casi riconducibili a modelli a stampa per griglie, cancellate e balconate in metallo. Gaetano Rapa (attr.), Paliotto con la Madonna del Rosario, 1720-1740 circa. Dormelletto, Maria Vergine Assunta, altare della Madonna del Rosario. Gaetano Rapa (attr.), Paliotto con gli attibuti di San Michele Arcangelo, particolare, 1720-1740 circa. Oleggio, Museo d’Arte Religiosa «Padre Augusto Mozzetti» (già Oleggio, San Michele Arcangelo). Bottega dei Pancaldi (attr.), Paliotto con San Nicola da Bari, 1754. Belgirate, Purificazione di Maria Vergine, altare del Crocifisso. MODELLI I maestri della scagliola intarsiata si dimostrano in grado di manipolare con discreta disinvoltura una vasta gamma di modelli decorativi, spesso condivisi con orefici, ebanisti, ricamatori, stuccatori e pittori. Costantemente aggiornati agli orientamenti di gusto, recepiscono le novità diffuse dal mercato della stampa di ornato senza ripeterne passivamente gli stimoli, ma rielaborando le proprie fonti per adattarle al piano rettangolare delle lastre che lavorano. L’impaginato dei paliotti è bloccato su schemi compositivi consolidati: la regola liturgica suggerisce la rappresentazione di una croce nel mezzo, quando non prevale l’immagine o la simbologia del santo titolare; la cartella centrale funge così da perno intorno a cui la decorazione va disposta, occupando specularmente i campi laterali. Il ricorrere di motivi riconoscibili, sia pure trattati con segno diverso, imparenta tra loro i pochi esemplari seicenteschi documentati in Piemonte, attestando la circolazione di medesimi repertori. Nella bottega ‘saluzzese’ il tema frequente dei tralci acantiformi ritorti e raccolti insieme da lacci anulari entro un sistema di compartimentazioni mistilinee dialoga con i modelli per piani da tavolo in ebanisteria di Paul Androuet du Cerceau (1630 circa-1710). La produzione di ambito intelvese recepisce invece, intorno agli anni Trenta, i modelli compositivi a nastri intrecciati delle grottesche alla Bérain, elaborando soluzioni non troppo distanti dai coevi lavori in ferro battuto, intarsi lignei, pianete ricamate e ceramiche, poiché si tratta di un vocabolario universalmente condiviso da chi pratica la decorazione in questi decenni, assimilato a gradi diversi attraverso le incisioni degli ornatisti francesi e tedeschi. Nella produzione dei Solari degli anni Quaranta e Cinquanta la lezione è però già così ben assimilata e sviluppata in creazioni autonome da poter anche fare a meno del conforto delle stampe. Fissati sui cartoni della bottega i modelli personalizzati vengono così replicati in successive commissioni, ricombinati ogni volta con varianti, anche minime, fino agli anni Settanta del Settecento. REPERTORI DI PALIOTTI I dati del censimento I dati emersi dall’indagine condotta sul territorio piemontese sono stati ordinati in tabelle divise per diocesi, alfabeticamente. Si è ritenuto opportuno registrare anche i paliotti reperiti in località fuori dai confini regionali, ma entro la giurisdizione delle diocesi piemontesi – come nel caso di Montù Beccaria, in provincia di Pavia, ma dipendente come parrocchia dal vescovo di Tortona. Per ciascuna diocesi risulta l’elenco delle località, chiese (o edifici di conservazione), altari, maestranze e date. Paternità e cronologie sono assegnate sulla base delle iscrizioni leggibili sui manufatti o desunte dalla documentazione d’archivio. Nelle tabelle sono indicate solo le date documentate, mentre gli intervalli cronologici proposti nelle didascalie del repertorio e dei testi sono l’esito dello studio condotto sui manufatti. Nei casi in cui non è stato possibile individuare l’identità del singolo maestro, l’opera è stata ricondotta alla bottega di produzione. Le attribuzioni non accertate sulla base di confronti con esemplari firmati o documentati, sono proposte come ipotesi segnalate dal punto interrogativo. Quando non è stato possibile ricondurre un esemplare a una personalità o a una bottega precisa, si è preferito indicare l’ambito culturale di provenienza (bottega carpigiana, lombardo-intelvese e saluzzese), adottando la denominazione ‘scagliolista attivo in Piemonte’ per i casi più problematici, in attesa di future precisazioni.