1. e 4. Marco Raparelli, dettagli dell’installazione Everything will be wonderful someday!, Santa Reparata, Firenze; 2. una veduta dell'installazione A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of Fear and Terror. Galleria Gentili, Prato; 3. Stanislao Di Giugno, LandEscape, 2009. Courtesy Galleria Tiziana Di Caro, Salerno; 5. /barbaragurrieri/group, Forgotten games #01, 2009. Courtesy Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, Palermo 3. 1. 4. 5. 2. A PHILOSOPHICAL ENQUIRY... Galleria Gentili, Prato STANISLAO DI GIUGNO Galleria Tiziana Di Caro, Salerno Ci sarà un motivo per l’influenza che stanno esercitando in questi giorni certi grandi pensatori preromantici su certi critici e curatori. Alla Gentili, ad esempio, va in scena il Bello e il Sublime di Edmund Burke, tradotto in Paura e Terrore, “elementi linguistici” da rintracciare nell’estetica di Federico Baronello, Willie Doherty, Diango Hernandez, Olaf Metzel, Erwin Wurm e Gregor Schneider. Secondo i curatori – Helmut Friedel e Giovanni Iovane – paura e terrore descrivono “una forma espressiva del linguaggio dell’arte contemporanea” nella società attuale. In tal senso le scelte migliori sono: il lavoro fotografico di Baronello che riflette sul fenomeno sociale dell’immigrazione irregolare a Lampedusa, e quindi sulla paura del diverso, molto sentita nel nostro Paese; del nordirlandese Doherty il video NonSpecific Threat, un uomo calvo e immobile in penombra, intorno a cui gira la videocamera, insinuando un senso di disagio montante; le deformazioni fisiche delle creature alterate di Wurm, come la Mind Bubble, sorta di grossa palla vestita, che dichiarano il rischio di alterazioni psicologiche cui andiamo incontro, però con senso del grottesco e del surreale. Infine, la scultura dorata Turkish Delight (nome di una ricetta), giovinetta nuda col capo coperto, e quattro cappi sempre in bronzo per ricordare la cosiddetta banda, composta dalla moglie di Mao e altri adepti, firmati da Metzel. Paola Bortolotti La personale di Di Giugno si dipana tra due orizzonti concettuali: quello che s’apre sulla complessità dello sguardo e quello che delinea una struttura linguistica culminante in rimandi analogici. La peculiarità del suo lavoro è l’organizzazione di una griglia spaziale in cui sistemare vari punti di vista che sarebbe meglio definire punti “della” vista. Quadri e sculture documentano un’attività precedente di recupero, di cernita, che mantiene forte il legame con il prodotto industriale e denuncia l’esistenza di una matrice formale data, forma destinata ad essere compromessa dalla revisione della funzione originaria una volta inserita in un contesto scelto dall’artista. Di Giugno mette in crisi la definizione dell’oggetto e la sua fruizione con un’installazione che si scorge a malapena tra i tubi cromati di una barriera innalzata in mezzo al tragitto dello sguardo e collegata a un allarme che si attiva all’avvicinarsi del visitatore. L’attivazione elettronica, oltre a segnalare l’intrusione, è usata per muovere un quadro che ruota su un braccio meccanico. Tutto ciò esclude un campo visivo privilegiato. Di Giugno, pertanto, rende instabile la relazione tra osservatore e opera, precarietà ribadita dall’ostentazione del circuito che attiva il braccio mobile e riduce la meccanica a nuda serva di scena in una laconica parodia della modernità. Marcello Carriero /BARBARAGURRIERI/GROUP Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, Palermo Ci piace rimanere da soli, però alla fine ci raccontiamo sempre le solite favole. La personale dei /barbaragurrieri/group da Pantaleone è affidata a un titolo situazionista, corridoio di intenzioni e di ricerca. Barbara Gurrieri ed Emanuele Tumminelli indagano la prossimità tra le certezze e i dubbi dell’umano con entrate dirette negli strati più intimi dell’io che si circonda di consuetudini e sicurezze nutrendo le efferate soggettività di un sé prostituito e ormai scoperto e indifeso. Una trasversale e ironica osservazione partecipante si riversa sui disegni, matita e acquerello su carta come tracce dell’esitazione dell’individuo all’interno di relazioni tendenti all’ipersoggetto. Sequenze cartacee di un film propedeutico alla conoscenza del rapporto sociale quale nuova icona comportamentale dell’individuo immerso nel contesto sempre più caratterizzante e tendente alla realizzazione del sé tramite l’innesto di soluzioni all’esistenza. Dall’attenzione al territorio ragusano discende anche il progetto Forgotten games, mappatura etno-comportamentale basata sui giochi popolari praticati dalle etnie presenti nel sud-est siciliano, punti di congiunzione e base valutativa sull’evoluzione della società postimmigrazione: la videoinstallazione esplora Sicilia, Senegal, Tunisia e Romania. Favole o consuete realtà. Francesco Lucifora MARCO RAPARELLI SRISA Contemporary Art Gallery, Firenze A cura di Lorenzo Bruni, l’intervento progettato da Raparelli, impegnato anche in un workshop con studenti, si colloca in due spazi contigui. Sulle pareti del primo, generalmente utilizzato per le esposizioni, l’artista ha disegnato – a partire dal battiscopa alludendo a un piano altro di realtà – una cucina, i cui arredi ordinari dialogano con la tridimensionalità di particolari veri: vetri rotti a terra, piccole pozze d’acqua in balza azzurra in corrispondenza del lavello. In un angolo, a terra, disegni incorniciati. La presenza dell’uomo ha lasciato solo resti. Una finestra aperta (disegnata) mostra un esterno in videoproiezione dove accadono cose apparentemente insensate. La grande vetrina provvisoriamente accecata da un’impalcatura diventa occasione per ribadire, con una scritta a vernice dai caratteri incerti, come Everything will be wonderful someday!, ribaltando o mescolando di nuovo verità e finzione, disegno e oggetto, fuori e dentro, privato e pubblico, nel paradosso che è la cifra della mostra. Nell’altro ambiente, abitualmente vissuto dagli studenti, in cui sono sistemati divani e sedute, una videoproiezione apre la possibilità della presenza umana: uno degli uomini “medi” di Raparelli sta lì, seduto, in atteggiamento informale, a grattarsi, a sbadigliare e bere, proiettato quasi a sua insaputa in una dimensione pubblica. Così come un’apertura verso fuori è accennata da fotografie scattate per strada, allestite in un angolo della stanza. Ilaria Mariotti 91