6 IL FATTO il Giornale Martedì 7 luglio 2009 LA VIOLENZA DI PECHINO Cina, repressa nel sangue rivolta separatista Almeno 156 morti e 800 feriti nello Xinjiang, l’ex Turkestan orientale occupato dai soldati di Mao nel ’49. L’etnia uigura protesta contro la colonizzazione e la discriminazione politica ed economica. Sembra di rivedere gli scontri in Tibet forze di sicurezza entrano nel bazar per imporre l'ordine. Ieri da Urumqui non uscivano né telefonatenéemail,malepochetestimonianze trapelate descrivevano un clima da coprifuoco. Le voci del bazar raccontano di una notte di domenica rotta da sparatorie e raffiche di armi automatiche. Di certo il ritorno alla quiete è accompagnato, confermano leagenzieufficiali,dall'«arrestodicentinaiadiresponsabilideidisordini bloccati mentre cercavano di lasciare la città». Mentre le forze di sicurezza agiscono con il consueto pugno di ferro le autorità ripropongono la teoria del complotto straniero già sfoderata ai tempi della rivolta del Tibet. «Le tre forze hanno approfittato dell'incidente di Shaoguan per incitare alla violenza e al disordine», spiega il governatore dello Xinjiang Nuer Baikeli utilizzando la terminologia con cui vengono indica- ti i gruppi che usano separatismo, violenza ed estremismo religioso (le tre forze, ndr) per «promuovere la disgregazione della Cina» . E subito dopo un altro funzionario punta il dito contro «laviolenzapremeditataorditainAmericadaRebiyaKadeer,leader delCongresso Mondiale degli Uiguri». Come dire è tutta colpa di chi dall'estero paga e fomenta la rivolta contro di noi. L’INTERVISTA∫IL LEADER IN ESILIO «Vogliono farci passare per terroristi perché lottiamo per l’autodeterminazione» Gian Micalessin «Il presidente Hu Jintao oggi è nel vostro Paese, vorrei dirgli, tramite il Giornale, di dire la verità su quanto successo a Urumqi e su perché è successo. Secredeneidirittiumanideve aprireun' inchiesta, raccontare la verità sui fatti della notte tra il 25 e il 26 giugno nella provincia di Guangdong. Quella notte 80 lavoratori uiguri appena assunti in unafabbricadigiocattolisonostatimassacrati da una folla di cinesi. Le autorità nonhannoarrestatoiresponsabiliehanno messo a tacere la vicenda. La rivolta di Urumqi è scoppiata per protesta contro quella strage che Hu Jintao e gli altri leader cinesi vogliono tenere nascosta. Pechino deve mettere fine alla discriminazioni contro noi uiguri. Hu Jintao deve impegnarsi con l'Italia e il resto del mondo». Dolkun Isa, 43 anni, segretario generale del «Congresso Mondiale Uiguro» non è esattamente il tipo di persona con cui un presidente cinese ama confrontarsi. Fuggito in Turchia dopo aver guidato negli anni Ottanta le prime proteste degli studenti uiguri dello Xinjiang, viveaMonacodiBavieraedèconsideratodaPechinounpericolosoleaderseparatista. “ Bugie Per il governo le proteste sono pagate dall’estero «Non siamo separatisti - replica Dolkun Isa in un’intervista al Giornale questa èun'altra bugia cinese, vogliamo solo decidere se stare con la Cina o no. Fino al 1949 vivevamo nella Repubblica indipendente del Turkestan orientale, poi siamo stati occupati dall'Armata di Mao e abbiamo perso tutto. Vogliamo riconosciuto il nostro diritto all'autodeterminazione». E i legami con Al Qaida? Quattro uiguri erano detenuti a Guantanamo, Pechino vi attribuisce una serie di attentati... «Tutte montature. Non abbiano nulla a che fare con il terrorismo e le indagini svolte su di noi negli Stati Uniti e in Germanialoprovano.Queiquattropoveretti catturati in Afghanistan erano nel posto sbagliato nel momento sbagliato. La Corte Suprema di Washington li ha fatti, non a caso, liberare. La violenza non ci appartiene, vogliamo solo poter esercitare il diritto all'autodeterminazione». Pechino accusa la vostra presidente signora Rebiya Kadeer di essere la mandante dei disordini... «Vogliono negare il malcontento. Per Pechino tutti i disordini sono manovre organizzate dall'estero e pagate con i soldi degli occidentali. L'hanno scorso hanno raccontato le stesse bugie dopo la rivolta dei tibetani di Lhasa». Petrolio, gas e uranio Ecco il tesoro che fa gola al regime Fausto Biloslavo GMic l’analisi La Cina fa le pentole, ma dimentica i coperchi. A pochi mesi dalle Olimpiadifeceiconticonlapignattaeternamente ribollente del Tibet. Oggi il salto della caffettiera colpisce in pieno il suo presidente Hu Jintao arrivato in Italia con l'incrollabile certezza di poter discutere soltanto d'affari al G8. E invece 60 anni dopo l'entrata delle truppe di Mao nella Repubblica dell' Est Turkestan, ora chiamata Xinjiang, ecco la nemesi storica, la rivolta capacedi trasformarela capitaleprovinciale di Urumqi in una sanguinosa prima linea disseminata di morti e feriti. Gli scarni resoconti provenienti da quel formicaio da due milioni e mezzo di anime parlano di 156 cadaveri e oltre 800 feriti raccolti fra città e dintorni dopo i durissimi scontri di domenica pomeriggio. La rivolta, la più sanguinosa dopo Tienanmen, sembra un déjà vu dei disordini di Lhasa del marzo 2008, un malessere tracimato in una vampata d'odio e capace di travolgere chiunque rappresenti l'odiata minoranza cinese Han. La rabbia s'innesca intorno alle botteghe del bazar Erdaoqiao, il mercato della città vecchia, ultimo caposaldo di una etnia musulmana e uiguraschiacciatada60 anni d'immigrazione cinese. Lì da giorni gira la voce del massacro d'alcuni lavoratori uiguri fatti a pezzi da una folla di operai cinesi che li accusava di aver violentato una ragazza. Fatti accaduti tra il 24 e il 25 giugnoinunafabbricadigiocattolidiShaoguan nel sud della Cina, ma su cui le autorità hanno imposto il silenzio. L'indignazioneperquelsilenzio fa saltare il tappo di Erdaoqiao. Da quel bazar infuriato partono le squadracce prontea colpire chiunquesia osembri un cinese Han. «Avevano perso la testa, bastonavano e accoltellavano tutti i cinesi che incontravano», racconta al telefono Zhang Wanxin. «Buttavano la gente per terra la colpivano fino a quando non si muoveva più», riferisce un'altra donna Han. Le immagini dei dimostranti uiguri intenti a bruciare macchine della poliziae afar a pezzivetrine e finestreconfermano in parte l'idea di una violenza essenzialmente anti cinese. Quel che parole, immagini e bilanci ufficiali non dicono è cosa succeda la notte di domenica quando, come in Tibet, le Il «Tibet islamico» è tornato ad esplodere come un fiume carsico, che ogni tanto affiora dalle viscere della colonizzazione cinese. Lo Xinjiang è una vasta regione montuosa e desertica della Cina nord occidentale a tremila chilometri da Pechino. Da quelle parti passò Marco Polo lungo la via della Seta. Otto milioni di abitanti, il 45% della popolazione, sono uiguri, l’etnia originaria musulmana e turcofona. I cinesi del ceppo Han, grazie alla colonizzazione forzata, sono passati dal 6% al 40%. Inevitabile l’astio etnico fra la popolazione originaria ed i nuovi colonizzatori, che affonda nella storia di questo angolo di mondo poco conosciuto. Alla fine della guerra civile cinese fra nazionalisti e comunisti gli uiguri fondarono la Repubblica indipendente del Turkestan. Nel 1949 l’esercito di liberazione di Mao conquistò armi in pugno la regione ribatezzandola Xinjiang. Per i cinesi lo Xinjiang è il forziere del terzo millennio, ricco di risorse naturali (gas, petrolio ed uranio). Non solo: a Lop Nor sono state testate le armi nucleari cinesi. Il Tibet musulmano è esploso negli anni Novanta con insurrezioni di piazza, duramente represse, che causarono centinaia, forse migliaia di morti e 300mila internati nei campi di rieducazione. La rivolta aveva anche un suo braccio armato: le Tigri di Lop Nor composta dai veterani della guerra santa in Afghanistan contro l’invasione sovietica degli anni Ottanta. Gli uiguri sono discriminati nel mercato del lavoro a favore dei cinesi. I bingtuan sono enormi strutture produttive militarizzate, create soprattutto lungo il confine con l’Asia centrale, dove trovano lavoro e alloggio milioni di immigrati Han. Della lingua degli uiguri è vietato l’insegnamento e la loro cultura viene poco a poco erosa dalla penetrazione cinese. Il pugno di ferro di Pechino ha provocato una diaspora negli Stati Uniti ed in Europa, dove si sono formate organizzazioni di dissidenti soprattutto in Germania e Turchia. Le sirene talebane del vicino Afghanistan hanno attratto una minoranza di giovani dello Xinjiang alla ricercadell’Islam duro e puro. In 17 vengono catturati e deportati a Guantanamo. Dopo la sconfitta dei talebani, Qari Mohammed Tahir Jan, fonda il Movimento islamico del Turkestan orientale raccogliendo le schegge fondamentaliste di tutta l’Asia centrale. Il gruppo armato, sulla lista nera dell’Onu, può contare su alcune centinaia di veterani della guerra santa internazionale con gli occhi a mandorla. I cinesi fanno di tutta l’erba un fascio e accusano di terrorismo sia le cellule che emulano Al Qaida, che i gruppi dissidenti trapiantati all’estero che si battono pacificamente per chiedere il rispetto dei diritti umani e la libertà. Un sanguinoso attentato ed un dirottamento sventato lo scorso anno, in occasione delle Olimpiadi, servono a demonizzare il separatismo islamico dello Xinjiang. Prima dei Giochi i cinesi arrestano migliaia di uiguri e scoppiano nuovi scontri. Gli americani, però, liberano un mese fa quattro uiguri detenuti a Guantanamo consegnandoli alle Bermude. Dove i «terroristi» scagionati sognano solo di aprire un ristorante. Per gli altri gli Usa cercano Paesi che li ospitino non considerandoli pericolosi. Pechino li vorrebbe indietro per condannarli a morte. Al disgraziato popolo degli uiguri manca un Dalai Lama, una figura carismatica, che porti avanti nel mondo la loro causa. Rebiya Kadeer è la leader in esilio del Congresso mondiale degli uiguri proposta per il Nobel per la pace. Alla Cina chiede solo «libertà e non indipendenza. Ci battiamo per una vera autonomia come quella chiesta dal Dalai Lama per il Tibet». www.faustobiloslavo.com