STUDI DI FILOSOFIA ANALITICA DEL DIRITTO
Collana diretta da
Mauro BARBERIS • Pierluigi CHIASSONI
Paolo COMANDUCCI • Riccardo GUASTINI
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A12
243
NICOLA RIVA
EGUAGLIANZA
DELLE OPPORTUNITÀ
Copyright © MMXI
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–4254–0
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: giugno 2011
Indice
Introduzione .................................................................................
9
1. La retorica politica dell’eguaglianza delle opportunità ..
2. Merito e meritocrazia: distinzioni preliminari ..................
3. Cittadinanza ed eguaglianza delle opportunità ...............
4. Il contenuto di questo saggio (con due note al testo) ......
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I. Giustizia ed eguaglianza delle opportunità ..............................
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1. La filosofia della giustizia ....................................................
2. Filosofia della giustizia ed eguaglianza delle opportunità
3. John Rawls e l’equa (in)eguaglianza delle opportunità ..
4. Capacità ed eguaglianza delle opportunità ......................
5. Le norme e la realtà ...............................................................
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II. Opportunità ed eguaglianza delle opportunità .......................
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1. Opportunità: concetto e concezioni ....................................
2. Opportunità: condizioni soggettive ...................................
3. Opportunità: condizioni ambientali ...................................
4. Due concezioni dell’eguaglianza delle opportunità ........
5. Eguaglianza ed eguaglianza delle opportunità ................
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EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
III. Una concezione dell’eguaglianza delle opportunità ................ 133
1. Uno sguardo d’insieme .........................................................
2. Le opportunità di soddisfare i bisogni primari .................
3. Le opportunità educative e formative ................................
4. La formazione accademica e il capitale materiale iniziale
5. Le opportunità economiche .................................................
6. Le opportunità di realizzazione professionale ..................
6.1. Le opportunità di accesso alle diverse professioni ........
6.2. Diritto al lavoro, reddito di base e reddito sociale .........
6.3. Discriminazione e politiche sensibili alle differenze .....
7. Disabilità ed eguaglianza delle opportunità ......................
8. Merito ed eguaglianza delle opportunità ...........................
6. Conclusioni e prospettive .....................................................
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Riferimenti bibliografici ................................................................ 185
Ringraziamenti ............................................................................. 199
Introduzione
1. La retorica politica dell’eguaglianza delle opportunità
1.1. L’idea che le opportunità di tutte le cittadine e di tutti i
cittadini di uno stesso Paese1 dovrebbero essere eguali, a prescindere da caratteri quali il sesso, l’etnia, le opinioni religiose e
politiche, l’estrazione famigliare, la provenienza e l’origine sociale2, riscuote ampio consenso, almeno retorico, all’interno dell’opinione pubblica dei Paesi democratici3. Benché si tratti di
Con la parola “Paese” indico una realtà composta da un territorio dai confini definiti, dall’insieme delle persone che risiedono su quel territorio (la “popolazione”) e
da un’organizzazione, ad es., lo Stato, che esercita l’autorità politica sovrana su tutte
le persone che su quel territorio risiedono. Assumo che l’autorità politica sovrana
consista nel potere ultimo di regolare la condotta delle persone, producendo norme
vincolanti e, se necessario, ricorrendo alla coercizione per garantirne l’osservanza. Infine, chiamo “persona” ogni essere umano dal momento della sua nascita al momento della sua morte (cessazione non reversibile dell’attività del cervello). Sono consapevole del fatto che questa definizione di persona non è in grado di resistere a una
seria analisi critica. Tuttavia, ritengo che ai fini della presente indagine una definizione più appropriata di persona non sia necessaria.
2 Con la parola “provenienza” mi riferisco al luogo o ai luoghi (Paese/i, regione/i, comune/i, quartiere/i, ecc.) in cui una persona nasce e vive fino al momento in
cui non può decidere autonomamente dove stabilirsi. Con l’espressione “origine sociale” mi riferisco, invece, alla rete di relazioni personali di vari tipi, in cui una persona è inserita sin dalla nascita.
3 All’interno dei Paesi democratici, è, inoltre, sempre più diffusa, benché non altrettanto diffusa, l’idea che l’insieme dei caratteri che non dovrebbero incidere sulle
opportunità delle persone dovrebbe essere allargato per includere anche il genere e
l’orientamento sessuale e affettivo. Con l’espressione “Paesi democratici” mi riferisco
a quei Paesi che affermano nei loro documenti più importanti – ad es., nelle loro costituzioni – l’idea dell’eguale valore di tutte le persone, in virtù del quale esse hanno
diritto a un’eguale considerazione, e l’idea che chi esercita l’autorità politica sovrana
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EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
Paesi caratterizzati da profonde e crescenti ineguaglianze4, poche persone al loro interno sosterrebbero pubblicamente che sia
giusto che sulle opportunità delle persone incidano quei caratteri. Piuttosto, nell’opinione pubblica dei Paesi democratici è
diffusa l’idea che le sole ineguaglianze moralmente giustificabili tra le opportunità dei cittadini e delle cittadine di uno stesso
Paese siano quelle che dipendono dalle loro decisioni e dalla loro condotta a fronte di un insieme eguale di opportunità iniziali
e, eventualmente e in misura ridotta, quelle che dipendono da
differenze nelle loro capacità5.
All’interno dei Paesi democratici è diffusa l’idea che l’eguaglianza delle opportunità tra le cittadine e i cittadini di uno
stesso Paese sia la forma dell’eguaglianza che le istituzioni pubbliche dovrebbero impegnarsi a realizzare: l’ideale al centro
dell’unica concezione ragionevole di egualitarismo6, spesso
lo faccia per conto di tutte le persone stabilmente soggette a quell’autorità e dovrebbe
farlo nel loro esclusivo interesse. In un Paese democratico il titolare dell’autorità politica sovrana tende (idealmente) a coincidere con l’insieme delle persone stabilmente
soggette a quell’autorità.
4 Per una panoramica sulla distribuzione del reddito nel mondo v. M. Baldini, S.
Toso, Diseguaglianza, povertà e politiche pubbliche, II ed., Il Mulino, Bologna, 2009 (I ed.,
ivi, 2004), cap. 5. Con riferimento all’Italia v. L. Cannari, G. D’Alessio, La ricchezza degli italiani, Il Mulino, Bologna, 2006, cap. 2. In Italia, nel 2004, un 10% delle famiglie
possedeva più del 40% della ricchezza netta del Paese, mentre un altro 10% delle famiglie ne possedeva lo 0,3%; un 10% delle famiglie percepiva il 27% del reddito complessivo, mentre un altro 10% delle famiglie ne percepiva il 2,6%; nel 2002, la ricchezza netta delle tredici famiglie italiane più ricche era pari a quella dei 3,5 milioni di famiglie più povere (ivi, pp. 50-56).
5 Tra chi sostiene il principio politico che stabilisce che le istituzioni pubbliche di
una società dovrebbero perseguire l’eguaglianza delle opportunità tra un insieme di
persone (i cittadini e le cittadine o un altro insieme di persone, v. infra, § 3) – principio cui in seguito per brevità mi riferirò come al “principio dell’eguaglianza delle opportunità” – non vi è consenso sul ruolo che le capacità delle persone possono avere
nel giustificare moralmente ineguaglianze tra le loro opportunità, sebbene anche chi
ritiene che esse possano giustificare moralmente delle ineguaglianze tra le opportunità delle persone, normalmente ritiene che ciò sia possibile solo a particolari condizioni.
6 Uso la parola “egualitarismo” come essa è usata negli ultimi anni nel dibattito
sulla giustizia, ossia per indicare ogni concezione della giustizia che stabilisce che
INTRODUZIONE
11
contrapposta a concezioni ritenute estreme e non ragionevoli,
come, ad es., le concezioni secondo cui le istituzioni pubbliche
dovrebbero mantenere stabilmente eguale la ricchezza di tutte
le persone (mediante la divisione in quote di eguale valore di
tutte le risorse dotate di valore economico e la loro redistribuzione costante, necessaria per eliminare le ineguaglianze prodotte dalla loro rivalutazione e dai consumi delle persone) o in
modo da assicurare loro un reddito della stessa entità (attraverso interventi come la parificazione dei redditi da lavoro, la socializzazione del capitale o la sua divisione in quote di eguale
valore e la tassazione al 100% dei redditi da plusvalenze).
L’ampio consenso di cui gode il principio dell’eguaglianza
delle opportunità è compatibile con la persistenza di un ampio
dissenso tra chi lo sostiene. In alcuni casi si tratta di un disaccordo circa la maniera più efficace per realizzare l’eguaglianza
delle opportunità: di un disaccordo sui mezzi per conseguire un
obiettivo condiviso. Spesso, tuttavia, il dissenso è più radicale;
riguarda l’obiettivo. L’espressione “eguaglianza delle opportunità” è ambigua quanto le parole che la compongono: spesso
tutte le persone abbiano eguale valore e diritto a un’eguale considerazione. Cfr. R. J. Arneson, Egalitarianism, III ed., in E. N. Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy,
primavera 2009 (I ed., ivi, autunno 2002), pubblicato in formato elettronico, URL =
<http://plato.stanford.edu/archives/spr2009/entries/egalitarianism/>. L’egualitarismo, così inteso, è parte della cultura politica pubblica dei Paesi democratici. Ovviamente, concezioni alternative della giustizia interpretano diversamente il principio che prescrive di “trattare le persone con eguale considerazione” e solo alcune di
esse ritengono che ciò significhi che le persone dovrebbero essere rese eguali in un
qualche aspetto. Spesso la parola “egualitarismo” è usata (normalmente in accezione
valutativa negativa) per indicare solamente le concezioni normative dell’eguaglianza
sostanziale che prescrivono di perseguire l’eguaglianza di benessere, di reddito o di
ricchezza tra tutte le persone. Norberto Bobbio, ad es., contrappone l’egualitarismo
all’eguaglianza delle opportunità, che egli interpreta come l’assenza di barriere (formali e non) che impediscono alle persone per natura più capaci di accedere alle professioni, agli impieghi e agli incarichi migliori; v. N. Bobbio, Eguaglianza ed egualitarismo, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», vol. 53, n. 3, 1976, pp. 321-330;e
Id., Eguaglianza, in AA. VV., Enciclopedia del Novecento, vol. 2, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1977, pp. 355-364, §§ 9, 11, 12, 13.
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EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
coloro che sostengono il principio dell’eguaglianza delle opportunità hanno idee diverse su cosa sia un’opportunità, su quali
opportunità siano da eguagliare e su come esse siano da eguagliare. Il consenso apparente di cui gode l’idea dell’eguaglianza
delle opportunità come finalità politica occulta un dissenso talvolta radicale, che ne tradisce la vaghezza. Obiettivo di questo
saggio è quello di proporre una concezione non vaga dell’eguaglianza delle opportunità come finalità politica7.
1.2. Nella retorica politica dei Paesi democratici, l’idea di
eguaglianza delle opportunità è spesso associata all’idea di meritocrazia. L’accostamento tra eguaglianza delle opportunità e
meritocrazia è già presente nell’opera di satira del sociologo britannico Michael Young, L’avvento della meritocrazia, 1870-20338,
pubblicata nel 1958, in cui la parola “meritocracy” compare per
la prima volta, per indicare una società fortemente stratificata,
in cui le opportunità delle persone sono interamente determina7 In questo saggio adotto la distinzione tra concetto e concezioni divenuta canonica
dopo essere stata usata da John Rawls per distinguere il concetto di giustizia dalle
sue concezioni; v. J. Rawls, A Theory of Justice, II ed., Harvard University Press, Cambridge (MA), 1999 (I ed., ivi, 1971), p. 5.Come scrive Paolo Comanducci (Su “uguaglianza”, in «Lavoro e diritto», vol. 6, n. 4, 1992, pp. 589-596, p. 590) a proposito del
concetto e delle concezioni di eguaglianza, «[i]l concetto può essere configurato come
la classe cui appartengono tutte le concrete e particolari concezioni dell’[e]guaglianza; o, da un punto di vista semantico, come quel nocciolo di significato comune che il
vocabolo “[e]guaglianza” mantiene in ogni suo caso». In alcuni casi un concetto può
essere a sua volta una concezione di un altro concetto più generico. Così, ad es., ritengo che il concetto di eguaglianza delle opportunità (l’elemento condiviso dalle diverse concezioni dell’eguaglianza delle opportunità) sia a sua volta una concezione del
concetto di eguaglianza; ritengo, invece, che il concetto di eguaglianza sia primitivo:
spiegabile ricorrendo ad altri concetti, ma tale da non potere essere considerato una
concezione di alcuno di essi.
8M. D. Young, The Rise of the Meritocracy, 1870-2033, Thames and Hudson, London, 1958. Una società meritocratica nell’accezione qui esaminata è già, ad es., quella
immaginata da Platone nel dialogo La Repubblica; in quel caso, alla classe dei e delle
governanti sono imposti dei sacrifici, come la rinuncia alla proprietà esclusiva della
ricchezza, finalizzati ad assicurare che i e le governanti esercitino la loro funzione
nell’esclusivo interesse della collettività.
INTRODUZIONE
13
te dalla loro intelligenza: una società in cui un’“aristocrazia dell’intelligenza” ha preso il posto della vecchia aristocrazia del
sangue, della nascita. Nella società che Young immagina, le opportunità educative e formative delle persone, le loro opportunità di accedere agli impieghi e agli incarichi previsti all’interno
della società e le loro opportunità economiche dipendono dai risultati da loro ottenuti a un test finalizzato a misurarne il quoziente di intelligenza (il QI).
Sebbene la tendenza ad associare meritocrazia ed eguaglianza delle opportunità sia diffusa nella retorica politica dei Paesi
democratici, che il rapporto tra le due idee sia pacifico non è
scontato. A seconda di come si intende l’eguaglianza delle opportunità, essa potrebbe addirittura apparire incompatibile con
un assetto sociale meritocratico che distribuisca le opportunità
educative e formative, le opportunità di realizzazione professionale e le opportunità economiche tra le persone sulla base
delle loro capacità. In una società siffatta, infatti, le sole persone
ad avere eguali opportunità sarebbero quelle dotate di eguali
capacità. Nel formulare una concezione dell’eguaglianza delle
opportunità come finalità politica, intendo esaminare la relazione tra una tale concezione e l’idea di meritocrazia e indagare
se all’interno di una società impegnata a perseguire l’eguaglianza delle opportunità vi sia uno spazio – e quale spazio – per la
distribuzione meritocratica delle opportunità.
1.3. Il punto di avvio di questo saggio è, dunque, la presa
d’atto del consenso di cui gode il principio dell’eguaglianza delle opportunità tra persone che hanno opinioni politiche molto
diverse e talvolta opposte. Un tale consenso tradisce, come ho
detto, la vaghezza dell’idea di eguaglianza delle opportunità. Il
suo essere vaga rende una tale idea simile ad altre idee diffuse
nell’opinione pubblica dei Paesi democratici, come l’idea di dignità umana e l’idea di diritti umani. Con questo saggio intendo provare a riempire l’idea di eguaglianza delle opportunità di
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EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
contenuto, rispondendo alla seguente domanda: quale forma di
eguaglianza delle opportunità le istituzioni pubbliche di un Paese democratico dovrebbero impegnarsi a conseguire e perché?
Per rispondere a quella domanda, ho cercato di formulare una
plausibile ricostruzione razionale di ciò cui penso, sostenendo
che le opportunità di tutte le cittadine e di tutti i cittadini di uno
stesso Paese dovrebbero essere eguali.
Il risultato è una concezione “partigiana” dell’eguaglianza
delle opportunità come finalità politica: un’interpretazione di
quell’idea che riflette il modo in cui io la intendo. La mia speranza è che la mia concezione possa convincere chi legge; sono
consapevole, tuttavia, del fatto che solo alcune e alcuni di coloro che sostengono il principio dell’eguaglianza delle opportunità riconoscerà la propria interpretazione di quel principio in
quella che io proporrò. Spero che questo saggio possa indurre
coloro che non la riconosceranno a compiere uno sforzo simile
al mio, cercando di chiarire cosa loro intendono quando parlano di eguaglianza delle opportunità. Ritengo che ciò sia il massimo che ci si possa aspettare. Credo, infatti, che, almeno in ambito morale (e la politica è una parte della morale), si dovrebbe
sempre dubitare di un consenso troppo ampio: il dissenso è il
prezzo che chiunque voglia formulare idee significative, non
superficiali, dovrebbe essere disposta/o a pagare.
2. Merito e meritocrazia: distinzioni preliminari
2.1. Nella sua accezione originaria il concetto di meritocrazia
denota una società in cui molte delle opportunità che più incidono sulla qualità della vita delle persone dipendono dalle loro
capacità e dalla loro condotta (su cui incidono le loro capacità)9.
9V.
M. D. Young, The Rise of the Meritocracy, 1870-2033, cit. Cfr. D. Miller, Two
Cheers for Meritocracy, in «The Journal of Political Philosophy», vol. 4, n. 4, 1996, pp.
277-301 (confluito in forma riveduta in Id., Principles of Social Justice, Harvard Univer-
INTRODUZIONE
15
Ciò vale non solo per le opportunità di accedere a impieghi e a
incarichi, ma anche per le opportunità di sviluppare le proprie
abilità innate, poiché una quota maggiore della ricchezza destinata a educazione e formazione è destinata all’educazione e alla
formazione delle persone per natura più capaci, e spesso anche
per le opportunità economiche, poiché si ritiene che le professioni che richiedono le capacità migliori e/o le professioni esercitando le quali le persone dotate delle capacità migliori potrebbero contribuire maggiormente all’interesse collettivo, dovrebbero essere quelle meglio remunerate (per principio o per motivare le persone per natura più capaci a coltivare le loro abilità
innate e a esercitare quelle professioni).
In una società siffatta, persone dotate di eguali abilità innate
avrebbero eguali opportunità; da ciò l’accostamento tra meritocrazia ed eguaglianza delle opportunità. Viceversa, le opportunità di persone con diverse abilità innate sarebbero ineguali e
non è dato sapere in che misura. Una società meritocratica sarebbe una società fortemente stratificata, per quanto idealmente
caratterizzata da una diffusa mobilità sociale, che, tuttavia, potrebbe essere garantita solo in presenza di strumenti in grado di
misurare le abilità innate delle persone in età precoce, prima
che intervengano fattori sociali a determinarne lo sviluppo effettivo. L’ideale della meritocrazia presuppone un insieme di
assunti controversi10: che esistano differenze rilevanti tra le abisity Press, Cambridge (MA), cap. 9), p. 277:«[b]y [meritocracy] I mean the ideal of a
society in which each person’s chance to acquire positions of advantage and the rewards that go with them depends entirely on his or her talent and effort[;] [i]n such a
society there will remain inequalities between different people’s life chances, but social institutions are designed to ensure that more favoured positions are assigned on
the basis of individual merit; they are not allocated randomly, or by ascriptive characteristics as race or gender, or by the machinations of the already powerful».
10 Per una critica delle idee di merito e di meritocrazia, che, sulla base della letteratura sociologica rilevante, ne denuncia il carattere ideologico (volto alla legittimazione dello status quo) e i presupposti insostenibili v. M. Duru-Bellat, Le mérite contre
la justice, Presses de Sciences Po, Paris, 2009. L’autrice associa l’idea di meritocrazia a
quella di eguaglianza delle opportunità, intese come chance; v., ad es., ivi, pp. 15-16.
16
EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
lità innate delle persone, che sia possibile identificare le persone
per natura più capaci e che le istituzioni educative e formative e
quelle incaricate di attribuire alle persone abilitazioni, impieghi
e incarichi siano in grado di valutare le loro capacità11.
2.2. Con il tempo la parola “meritocrazia” ha perso la connotazione chiaramente negativa che aveva nel saggio di Young;
oggi essa è comunemente utilizzata per denotare una società
che soddisfa almeno i requisiti seguenti12:
(a) non esistono barriere formali all’accesso a educazione, a
formazione, ad abilitazioni, a impieghi e a incarichi; la selezione
per accedere ad abilitazioni, a impieghi e a incarichi tiene conto
solamente delle qualifiche pertinenti, ossia dei caratteri13 e delle
Sul funzionamento delle istituzioni educative e formative, che, a dispetto della
retorica meritocratica, finirebbero per riprodurre le diseguaglianze socialmente determinate v. P. Bourdieu, J.-C. Passeron, Les héritiers, Éditions de Minuit, Paris, 1964;
ed Ead., La reproduction, Éditions de Minuit, Paris, 1970. L’idea che all’interno di società democratiche solo un sistema educativo e formativo che operi (o che sia creduto
operare) distinzioni tra le persone sulla base del criterio del merito possa alimentare
la credenza nella giustizia delle persistenti disparità di prestigio e di ricchezza tra le
persone è già presente in T. H. Marshall, Citizenship and Social Class, in Id., Citizenship
and Social Class and Other Essays, Cambridge University Press, Cambridge, 1950, pp.
1-85.
12 Cfr. N. Daniels, Merit and Meritocracy, in «Philosophy and Public Affairs», vol.
7, n. 3, 1978, pp. 206-223, in particolare § 3.
13 In alcuni rari casi non è sufficiente possedere certe capacità per poter assolvere
alle mansioni connesse a professioni, a impieghi o a incarichi, ma è, inoltre, necessario possedere certi caratteri. Così, ad es., per poter recitare la parte di Malcom X in un
film non è sufficiente essere capace di recitare, è anche necessario essere uomo e avere certi caratteri somatici; per lavorare come indossatrice di abiti femminili non è sufficiente avere un buon portamento, è anche necessario essere donna e, probabilmente, soddisfare certi requisiti di bellezza; per ottenere un incarico rappresentativo all’interno di organismi che riservano una parte dei seggi agli e/o alle appartenenti a
un gruppo sociale svantaggiato, non è sufficiente possedere le capacità che si confanno a un/-a rappresentante, è anche necessario appartenere al gruppo sociale cui i
seggi sono riservati. Con riferimento a quegli impieghi e a quegli incarichi non è possibile produrre l’eguaglianza delle opportunità tra tutte le persone dotate di eguali
capacità. Tuttavia, assumo che siano rari i casi in cui la selezione basata su fattori diversi dalle capacità sia giustificabile e che, anche in quei casi, il possesso dei caratteri
rilevanti non sia mai una condizione sufficiente benché necessaria, essendo sempre
11
INTRODUZIONE
17
capacità necessari per svolgere le mansioni associate alle diverse professioni; abilitazioni, impieghi e incarichi disponibili in
quantità limitata sono assegnati alle persone più qualificate tra
le persone che hanno interesse ad accedervi.
Spesso, inoltre, si ritiene che una meritocrazia dovrebbe soddisfare anche uno o più dei seguenti requisiti ulteriori:
(b) persone dotate di eguali abilità innate hanno eguali opportunità educative e formative, eguali opportunità di realizzazione professionale ed eguali opportunità economiche;
(c) la quota della ricchezza collettiva destinata a educazione e
a formazione è investita a vantaggio delle persone dotate delle
abilità innate giudicate superiori;
(d) il prodotto del lavoro sociale è ripartito tra le persone in
proporzione al loro contributo produttivo, valutato in termini
di impegno, di risultato o di una loro combinazione.
I requisiti indicati possono combinarsi variamente generando
concezioni alternative della meritocrazia. Mentre i requisiti raggruppati in (a) sono comuni alle diverse concezioni (ne costituiscono il “minimo comune denominatore”), esse si differenziano
sulla base dei requisiti (b), (c) e (d). Al fine di non generare confusione in questo saggio chiamerò “meritocrazia” un assetto sociale che soddisfi i requisiti previsti da (a) e, eventualmente, i
requisiti (b) e (d), ma non il requisito (c), mentre chiamerò “talentocrazia” un assetto sociale che soddisfi i requisiti (a), (b) e
(c), e, eventualmente, anche il requisito (d). Infine, parlerò di
una “distribuzione basata sul merito del prodotto del lavoro sociale” per riferirmi a una divisione del prodotto del lavoro sociale conforme al requisito (d). Il fatto che un assetto sociale stabilisca che la divisione del prodotto del lavoro sociale debba essere (in tutto o in parte) basata sul merito non è sufficiente a
qualificare quell’assetto sociale come meritocratico.
Si noti che il fattore che conta come merito (la “base” del menecessario anche il possesso di alcune capacità.
18
EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
ritare14) cambia nei diversi requisiti a seconda del “distribuendum”, ossia di ciò che, si sostiene, dovrebbe essere assegnato
sulla base del merito. I fattori rilevanti stando ai requisiti unificati in (a) (le “qualifiche pertinenti”) sono i caratteri e le capacità (le conoscenze e le competenze) necessari per svolgere le
mansioni associate a professioni, a impieghi e a incarichi. I requisiti (b) e (c) assumono come fattore rilevante le abilità innate;
in particolare, (c) si riferisce alle abilità innate giudicate superiori (i “talenti”). Infine, il requisito (d) identifica il fattore rilevante
nel contributo produttivo, valutato in termini di impegno, di risultato o di una qualche combinazione di impegno e di risultato15. In questo saggio non mi occuperò approfonditamente del
problema della divisione del prodotto del lavoro sociale (ma nel
Capitolo 3 sosterrò en passant che essa dovrebbe essere almeno
in parte basata sul merito).
2.3. Un’altra distinzione importante è quella tra concezioni
della meritocrazia che assumono un’idea del merito come criterio morale e concezioni della meritocrazia che assumono un’idea istituzionale del merito. Le concezioni della meritocrazia
che assumono un’idea del merito come criterio morale sosten14 Diversamente dalla lingua inglese, che distingue tra “merit” (il merito) e “desert” (ciò che è meritato), la lingua italiana non dispone di due parole per indicare il
merito – il fattore in base a cui una persona merita qualcosa, la “base” del meritare –
e ciò che è meritato.
15 La questione di quale sia il carattere rilevante per la valutazione del contributo
produttivo delle persone ai fini di una divisione del prodotto del lavoro sociale basata sul merito è discussa in D. Miller, Social Justice, Oxford University Press, Oxford,
1976, cap. 3, § 4. In Two Cheers for Meritocracy (cit.) David Miller sostiene che il mercato sia normalmente in grado di remunerare il merito inteso come il contributo che,
con il proprio lavoro, ogni persona dà al benessere delle altre persone (identificato
con la soddisfazione delle loro preferenze). Per dei dubbi circa la capacità del mercato di ricompensare il merito v. S. Olsaretti, Liberty, Desert and the Market, Cambridge
University Press, Cambridge, 2004, cap. 1-3. Sul carattere rilevante per la valutazione
del contributo produttivo delle persone ai fini della divisione del prodotto del lavoro
sociale v. anche M. A. Slote, Desert, Consent, and Justice, in «Philosophy and Public
Affairs», vol. 2, n. 4, 1973, pp. 323-347.
INTRODUZIONE
19
gono che la condotta delle persone (nella misura in cui produce
certi risultati e/o nella misura in cui dimostra un certo impegno) e/o i loro caratteri e/o le loro capacità (nella misura in cui
risultano dalla loro condotta e/o nella misura in cui permettono
di formulare previsioni su quella che potrebbe essere in futuro
la loro condotta16) conferiscono alle persone un diritto morale a
ricevere certi beni (ad es., educazione e formazione, abilitazioni,
impieghi, incarichi e ricompense). Tra i compiti dell’assetto sociale vi sarebbe quello di “premiare” il merito: un assetto sociale che non riconosca alle persone i beni che esse meritano sarebbe perciò ingiusto e andrebbe riformato17.
16 Cfr. D. Miller, Principles of Social Justice, cit., p. 137: «when we say that a person
deserves some benefit on the basis of a quality, we are anticipating a future performance in which that quality is displayed». La distribuzione meritocratica delle opportunità educative, formative e di realizzazione professionale, che tiene conto delle
abilità innate e delle qualifiche delle persone, può essere giustificata con riferimento
al nesso che esiste tra le abilità innate e le qualifiche delle persone, e il contributo produttivo che esse potrebbero dare. Come si vedrà (Cap. 1, § 3) considerando la teoria
di Rawls, uno degli argomenti più persuasivi a favore della distribuzione meritocratica di alcune posizioni sociali sostiene che l’intera società (incluse le persone meno
favorite dalla “distribuzione” delle abilità innate) potrebbe trarre beneficio dall’impiego della quota maggiore della ricchezza destinata a educazione e formazione a
vantaggio delle persone per natura più capaci e dall’attribuzione alle persone più
qualificate delle abilitazioni e degli impieghi e degli incarichi più importanti. Un po’
diverso l’argomento di Miller, che sostiene che le persone più qualificate meritano di
occupare le migliori posizioni, poiché sono quelle che occupando quelle posizioni
potranno dare le performance migliori e, dunque, meritare le ricompense associate a
quelle posizioni; v. D. Miller, Deserving Jobs, in «Philosophical Quarterly», vol. 42, n.
167, 1992, pp. 161-181 (confluito in forma riveduta in Id., Principles of Social Justice,
cit., cap. 8). Il problema di un tale argomento è che esso assume che le ricompense associate alle varie posizioni siano la giusta ricompensa per il contributo che le persone
più qualificate potrebbero dare ricoprendo quelle posizioni, il che non è affatto scontato.
17 Per una concezione del merito come criterio morale v. D. Miller, Social Justice,
cit., cap. 3; e Id., Principles of Social Justice, cit., cap. 7-9. V. anche C. Del Bò, Merito, titolo e giustizia distributiva, in «Working Paper – LPF», vol. 3, n. 4, 2010, pubblicato in
formato elettronico, URL = <http://www.centroeinaudi.it/lpf/archivio-lpf/book/121-wp-lpf-2010/8253.html>. È importante distinguere l’idea che il principio che prescrive di distribuire certi beni sulla base del merito costituisca un valido criterio morale dall’idea che il merito (la base del meritare) sia da identificare con una proprietà
20
EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
Le concezioni della meritocrazia che assumono un’idea istituzionale del merito, invece, sostengono che i diritti delle persone a ricevere certi beni in virtù di certe condotte, di certi caratteri e/o di certe capacità dipendono dall’esistenza di un assetto
sociale, giustificato sulla base di criteri morali diversi dal merito, che
stabilisce che nel distribuire certi beni si debba tener conto di
quelle condotte, di quei caratteri e/o di quelle capacità; in assenza di un tale assetto sociale le persone non potrebbero rivendicare alcun diritto a ricevere quei beni in virtù di quelle condotte, di quei caratteri e/o di quelle capacità 18. Secondo le concezioni istituzionali del merito, ciò che conferisce il diritto a ricevere certi beni non sono condotte, caratteri e/o capacità, ma il
fatto che la società si sia impegnata a ricompensare certe condotte, certi caratteri e/o certe capacità; in assenza di un impegno da parte della società, condotte, caratteri e/o capacità non
conferirebbero alcun diritto morale a ricevere quei beni19.
3. Cittadinanza ed eguaglianza delle opportunità
3.1. Se l’idea che le opportunità di tutte le cittadine e di tutti i
morale, come la virtù o il valore morale delle persone. Normalmente, chi sostiene che
la distribuzione delle abilitazioni, degli impieghi, degli incarichi e/o della ricchezza
dovrebbe essere basata sul merito non pensa (o non pensa solo) alla virtù o al valore
morale delle persone, ma, a seconda del distribuendum, alle loro abilità innate, alle
loro qualifiche o al loro contributo produttivo. Cfr. J. Rawls, A Theory of Justice, cit., §
48.
18Ibidem. V. anche J. Rawls, Justice as Fairness, a cura di E. Kelly, Harvard University Press, Cambridge (MA), 1999, §§ 20 e 22.
19 V., ad es., ivi, pp. 72 e 78: «[a]part from existing institutions, there is no prior
and independent idea of what we may legitimately expect, or of what we are entitled
to, that the basic structure [of society] is designed to fulfill[;] [...] the role of commonsense precepts of justice, and of inequalities in distributive shares in modern societies, is not to reward moral desert as distinguished from deservingness» (per “deservingness” Rawls intende il meritare, l’avere titolo a, qualcosa sulla base di norme
sociali, che al fine di conseguire certi scopi associano a certe condotte certi benefici o
certe sanzioni; v. ivi, p. 73).
INTRODUZIONE
21
cittadini di uno stesso Paese dovrebbero essere eguali è abbastanza diffusa all’interno dell’opinione pubblica dei Paesi democratici, non altrettanto diffusa al suo interno è l’idea che tutte le persone, o anche solo tutte le persone (cittadine e cittadini,
straniere e stranieri) stabilmente residenti sul territorio di uno
stesso Paese, dovrebbero godere di eguali opportunità. Secondo
molte persone, non ci sarebbe nulla di moralmente problematico nell’idea che le opportunità di persone con diversa cittadinanza possano essere ineguali, anche quando esse risiedano sul
territorio di uno stesso Paese. Diversamente dal sesso, dall’etnia, dalle opinioni religiose e politiche, dall’estrazione famigliare,
dalla provenienza e dall’origine sociale, la diversità di status
giuridico che distingue il/la cittadino/a dallo/a straniero/a
sembra a molte persone in grado di giustificare moralmente l’esistenza di disparità tra le opportunità delle persone20.
Nelle dichiarazioni internazionali, nelle costituzioni e nell’opinione pubblica di molti Paesi è diffusa l’idea che tutte le persone abbiano alcuni diritti, i “diritti umani”, il possesso dei quali darebbe a tutte loro, ovunque esse risiedano, titolo a ricevere
alcuni servizi e alcune risorse tali da assicurare che la qualità
delle loro vite non scenda al di sotto di certi standard21. Quanto
elevati dovrebbero essere quegli standard è una questione dibattuta22. Tuttavia, normalmente, la garanzia dei diritti umani è
Una tale idea emerge anche dalla lettera dell’art. 3, comma 2, della Costituzione
della Repubblica italiana (1948), che sembra prescrivere una forma di eguaglianza
delle opportunità riservata ai cittadini (e alle cittadine). Esso, infatti, recita: «[è] compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (corsivo mio).
21 Cfr. N. Bobbio, L’età dei diritti, II ed., Einaudi, Torino, 1992 (I ed., ivi, 1990) (che
raccoglie in volume scritti di Bobbio sui diritti pubblicati tra il 1966 e il 1991); e A.
Cassese, I diritti umani oggi, II ed., Laterza, Roma, 2005 (I ed.,I diritti umani nel mondo
contemporaneo, ivi, 1988). Sulla storia e le teorie dei diritti umani v., sinteticamente, A.
Facchi, Breve storia dei diritti umani, Il Mulino, Bologna, 2007.
22V., ad es., M. Ignatieff et al., Human Rights as Politics and Idolatry, a cura di A.
20
22
EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
considerata compatibile con l’esistenza di rilevanti disparità tra
le opportunità delle persone23. L’idea che i doveri morali che i
cittadini e le cittadine di un Paese hanno nei confronti degli
stranieri e delle straniere si riducano alla garanzia di un “catalogo” più o meno ricco di diritti umani e non prescrivano di promuovere l’eguaglianza in maniera più radicale è diffusa anche
nel dibattito sulla moralità delle relazioni internazionali e transnazionali24.
3.2. L’idea che il fatto di essere cittadina/o di un Paese piuttosto che di un altro sia sufficiente a giustificare disparità nelle
opportunità delle persone che fattori come il sesso, l’etnia, le
opinioni religiose e politiche, l’estrazione famigliare, la provenienza e l’origine sociale non potrebbero giustificare è un’idea
che ritengo difficile da difendere. Essere cittadina/o di un Paese
piuttosto che di un altro, nella misura in cui non è il prodotto di
una libera scelta, è altrettanto arbitrario quanto essere femmina
o maschio, di carnagione più o meno scura, figlia/o di genitori
Gutmann, Princeton University Press, Princeton, 2001, per una concezione minimalista. Cfr. J. Cohen, Minimalism about Human Rights: The Most We Can Hope for? in «The
Journal of Political Philosophy», vol. 12, n. 2, 2004, pp. 190-213.
23 Ciò è particolarmente chiaro, ad es., nel caso dell’approccio basato sul concetto
di capacità (capability) nella versione di Martha C. Nussbaum, che l’autrice stessa presenta come una variante piuttosto esigente dell’approccio dei diritti umani; v. M. C.
Nussbaum, Women and Human Development, Cambridge University Press, Cambridge, cap. 1, § 6; Ead., Frontiers of Justice, Harvard University Press, Cambridge (MA),
2006, cap. 5, § 3;ed Ead., Creating Capabilities, Harvard University Press, Cambridge
(MA), 2011, pp. 62-68.Cfr. A. Sen, Elements of a Theory of Human Rights, in «Philosophy and Public Affairs», vol. 32, n. 4, 2004, pp. 315-356.Sull’approccio basato sul concetto di capacità v. infra, Cap. 1, § 4.
24 Ciò vale sia che si ritengano i doveri morali verso le persone straniere fondati
su requisiti di giustizia sia che li si ritenga fondati su requisiti diversi dalla giustizia.
V., ad es., J. Rawls, The Law of Peoples, Harvard University Press, Cambridge (MA),
1999; T. Nagel, The Problem of Global Justice, in «Philosophy and Public Affairs», vol.
33, n. 2, 2005, pp. 113-147; e D. Miller, National Responsibility and Global Justice, Oxford
University Press, Oxford, 2007. Cfr. I. Trujillo, Giustizia globale, Il Mulino, Bologna,
2007.
INTRODUZIONE
23
più o meno ricchi, ecc.25 Tra l’altro, normalmente, l’acquisizione
della cittadinanza dipende dallo status e/o dalle scelte dei propri genitori, dunque, dalla propria estrazione famigliare, che è
uno dei fattori che chi sostiene l’eguaglianza delle opportunità
ritiene comunemente non dovrebbero incidere sulle opportunità delle persone. Sembra, dunque, esserci un’incoerenza tra le
idee diffuse nell’opinione pubblica dei Paesi democratici.
Ritengo che le difficoltà che chi sostiene l’eguaglianza delle
opportunità a livello locale ha a immaginare l’estensione di
quell’idea a tutte le persone dipendano in grande misura dalla
consapevolezza della radicale trasformazione degli assetti sociali attuali che ciò richiederebbe. Infatti, se è possibile credere
che l’eguaglianza delle opportunità sia attuabile all’interno di
un Paese e, addirittura, illudersi che all’interno di alcuni Paesi
essa sia già in parte reale, ciò è chiaramente inverosimile a livello più ampio. La difficoltà è analoga a quella che chi sostiene la
democrazia all’interno di Paesi di dimensioni circoscritte incontra nel pensare la democrazia cosmopolita. Ciò, peraltro, trascura il fatto che oggi i principali ostacoli di carattere non ideologico all’attuazione dell’eguaglianza delle opportunità a livello locale dipendono da un assetto sociale globale che rende inattuabile all’interno di un solo Paese ogni obiettivo che richieda una
redistribuzione massiccia della ricchezza26.
Cfr. M. C. Nussbaum, Creating Capabilities, cit., p. 115: «[j]ust as it seems intolerable that a person’s basic opportunities in life should be circumscribed by that person’s race or gender or class, so too does it seem insupportable that basic opportunities should be grossly affected by the luck of being born in one nation rather than another».
26 La mobilità delle persone e dei capitali a livello globale e la difformità tra le politiche tributarie dei diversi Paesi (che spesso si fanno concorrenza per attrarre capitali e persone dotate di potenziale produttivo), infatti, consentono alle persone più
abbienti o dotate di maggiore potenziale produttivo di minacciare di trasferirsi altrove qualora nel Paese di residenza fossero adottate misure redistributive radicali. V. P.
Van Parijs, L’éthique à l’éprouve du marché mondial, in Id., Sauver la solidarité, Les
Éditions du Cerf, Paris, 1996, pp. 61-86; e J. Habermas, Die postnationale Konstellation
und die Zukunft der Demokratie, in Id., Die postnationale Konstellation, Suhrkamp, Frank25
24
EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
Il dibattito tra chi sostiene che le opportunità delle persone
possano differire a seconda del Paese in cui esse risiedono, senza che ciò costituisca un’ingiustizia (eventualmente, purché tutte godano di alcuni diritti fondamentali), e chi sostiene l’opinione contraria, secondo cui l’eguaglianza delle opportunità dovrebbe essere realizzata a livello globale attraverso apposite
istituzioni internazionali e sovranazionali, solleva questioni
molto rilevanti di cui, tuttavia, in questo saggio non mi occuperò. Le opinioni che ho espresso a riguardo in questo paragrafo
sono, più che in altri casi, provvisorie e dovrebbero essere sottoposte a un esame critico più approfondito. In questo saggio mi
limiterò a considerare l’eguaglianza delle opportunità come finalità politica da perseguire, innanzitutto, entro i confini di un
Paese. Con ciò non escludo, tuttavia, che da un’indagine accurata possa risultare che l’eguaglianza delle opportunità costituisca una finalità politica da realizzare a livello globale.
Assumerò, invece, che non sia moralmente giustificabile la
distinzione delle persone autorizzate a stabilirsi e a lavorare sul
territorio di un Paese in cittadine e cittadini e straniere e straniere e l’attribuzione ai cittadini e alle cittadine di diritti e di doveri negati agli stranieri e alle straniere. Una tale distinzione
può avere senso solo alla luce di una prospettiva nazionalista27,
furt/M., 1998, pp. 91-169.
27 Chiamo “nazionalismo” quella forma di particolarismo morale che privilegia
quale fonte di legami morali – e di diritti e di doveri reciproci – l’appartenenza a una
comune “nazione”, intesa come una comunità fondata su legami di sangue, di lingua, di cultura, ecc. In questo senso il nazionalismo va distinto dal patriottismo, che
dipende dall’appartenenza a una stessa collettività politicamente organizzata e denota un attaccamento alla storia, ai valori e alle istituzioni di quella collettività. Il patriottismo non presuppone il nazionalismo; v. M. Viroli, Per amore della patria, Laterza, Roma, 1995. Nella prospettiva di un patriottismo non nazionalista non costituisce
alcun problema – tutt’altro – riconoscere la piena appartenenza alla propria società di
tutte le persone che risiedono stabilmente sul suo territorio e contribuiscono alla sua
riproduzione materiale, culturale e sociale, a prescindere dalla loro origine, e attribuire loro tutti i diritti e tutti i doveri che ciò comporta.
INTRODUZIONE
25
che giudico priva di ogni fondamento28, irrazionale e pericolosa
(come dimostrano le tragedie prodotte dal nazionalismo nel XX
secolo), e, pertanto, da rifiutare. Assumerò, dunque, che a tutte
le persone autorizzare a stabilirsi e a lavorare sul territorio di
un Paese dovrebbe essere concesso lo status giuridico di cittadina/o29 (verrebbe pertanto a cadere la distinzione tra cittadine e
cittadini e straniere e stranieri residenti). Una concezione più ristretta della cittadinanza non è compatibile con il principio democratico secondo cui l’autorità politica sovrana appartiene a
tutte le persone stabilmente soggette a quell’autorità.
4. Il contenuto di questo saggio (con due note al testo)
Questo saggio è strutturato in tre capitoli. Nel Capitolo 1
spiegherò, innanzitutto, come intendo il compito e il metodo
della filosofia della giustizia e, in base a ciò, che genere di pretese di validità sollevo per la concezione dell’eguaglianza delle
opportunità come finalità politica che presenterò in questo saggio (§ 1). Successivamente, considererò il posto che l’idea dell’eguaglianza delle opportunità occupa nell’ambito della filosofia
della giustizia contemporanea (§§ 2-4); mi soffermerò sulla teo28 Sulla nazione come artificio e sul nazionalismo v. E. Gellner, Nations and Nationalism, Cornell University Press, Ithaca, 1983; ed E. J. Hobsbawm, Nations and Nationalism since 1780, Cambridge University Press, Cambridge, 1990.
29 Non mi è possibile in questo saggio affrontare i problemi posti dal fatto che oltre alle persone autorizzate a stabilirsi e a lavorare sul territorio di un Paese, vi sono
persone che risiedono e spesso anche lavorano sul territorio di un Paese senza avere
un’autorizzazione a far ciò e, pertanto, trovandosi in una condizione di “irregolarità”
che comporta, tra l’altro, una privazione di tutele e di diritti (con l’eccezione di quelli
riconosciuti a ogni persona in quanto persona). È mia opinione che ogni persona che
contribuisce alla riproduzione materiale, culturale e sociale di una società, meriti di
essere considerata un membro a pieno titolo di quella società; nella misura in cui la
sua condizione di “irregolarità” la costringe in una situazione di privazione di tutele
e di diritti, che la rende più facilmente sfruttabile, privandola spesso anche della possibilità di far valere i diritti di cui è titolare in quanto persona, essa è vittima di ingiustizia e merita di essere protetta e risarcita.
26
EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
ria di John Rawls (§ 3), tuttora al centro del dibattito sulla giustizia, e sull’approccio basato sul concetto di capacità che pone
in evidenza alcuni dei limiti della teoria di Rawls (§ 4). Il capitolo si chiuderà con una discussione dell’importanza dei fatti per
la filosofia della giustizia (§ 5); cercherò di rispondere alle seguente domanda: in che modo il fatto che un assetto sociale
conforme a principi di giustizia abbia poche possibilità di essere
attuato incide sulla validità di quei principi?
Nel Capitolo 2 svolgerò un’analisi dell’idea di eguaglianza
delle opportunità come concezione normativa dell’eguaglianza,
senza prendere posizione per alcuna specifica versione di essa.
Considererò, innanzitutto, il concetto di opportunità e ne distinguerò due concezioni alternative: opportunità come opzione e
opportunità come chance (§ 1). Considererò, quindi, gli elementi
che incidono sulle opportunità delle persone, distinguendoli in
condizioni soggettive (§ 2) e condizioni ambientali (§ 3). Successivamente (§ 4), esaminerò due concezioni alternative dell’eguaglianza delle opportunità – eguaglianza delle opzioni ed eguaglianza delle chance – e distinguerò l’eguaglianza delle opportunità
dall’eguaglianza nelle opportunità. Il capitolo si chiuderà con
un’analisi del rapporto esistente tra l’eguaglianza delle opportunità e altre concezioni dell’eguaglianza normativa: eguaglianza di trattamento, eguaglianza giuridica ed eguaglianza sostanziale (§ 5).
Infine, nel Capitolo 3 proporrò l’interpretazione del principio
dell’eguaglianza delle opportunità che meglio rende conto delle
mie opinioni politiche sulla giustizia. Dopo averne fornito una
visione d’insieme (§ 1), considererò i requisiti più specifici in
cui essa si articola, che prescrivono di eguagliare una serie di
opportunità eterogenee: opportunità di soddisfare i bisogni primari (§ 2), opportunità educative e formative (§ 3), opportunità
di accesso a formazione accademica e a capitale materiale iniziale (§ 4), opportunità economiche (§ 5) e opportunità di realizzazione professionale (§ 6). Considererò anche ciò che una tale
INTRODUZIONE
27
concezione prescrive in relazione al trattamento che lo Stato dovrebbe riservare alle persone con disabilità (§ 7) e il rapporto tra
eguaglianza delle opportunità (nella concezione presentata) e
meritocrazia (§ 8). Nel paragrafo conclusivo indicherò una direzione in cui la presente indagine potrebbe evolvere e beneficiare di ulteriori ricerche (§ 9).
Nel redigere questo saggio ho scelto di usare un linguaggio
neutro rispetto al genere. La lingua italiana non si presta molto
a un tale uso. Ciò ha comportato in alcuni casi il sacrificio dell’eleganza stilistica e della scorrevolezza della prosa sull’altare
della correttezza, anteponendo le ragioni della morale alle ragioni dell’estetica. Ho ritenuto di dover compiere un tale sacrificio non solo per marcare le distanze dal rigurgito di sessismo
che ha caratterizzato la società italiana negli ultimi anni e che
rende necessario il recupero di una sensibilità femminista, ma
anche per coerenza con l’idea che informa questo saggio, secondo cui, se possibile, è doveroso cambiare le nostre pratiche
sociali per renderle più giuste. La nostra prassi linguistica è, infatti, una pratica sociale, e una tra le più importanti, se è vero –
come io credo che sia – quanto ha sostenuto uno dei più grandi
filosofi del XX secolo, ossia che «[i] limiti del [nostro] linguaggio
significano i limiti del [nostro] mondo»30.
Ho scelto di mettere in lingua italiana (con il testo nella lingua originale in nota) le citazioni da opere altrui che compaiono
nel corpo del testo, dove esse sono essenziali per seguire il discorso. Ho deciso invece di lasciare nella lingua originale le citazioni che compaiono nelle note, dove esse svolgono solo una
funzione di supporto. Per quanto riguarda i rimandi bibliogra30 «Die Grenzen meiner Spache bedeuten die Grenzen meiner Welt.» (L. Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus, II ed., K. Paul, Trench, Trubner, and Co., London,
1922 (I ed., Logisch-philosophische Abhandlung, in “Annalen der Naturphilosophie”,
vol. 14, nn. 3-4, 1921, pp. 185-262), proposizione 5.6). Tr. it. di A. G. Conte da L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, a cura di A. G. Conte, Einaudi, Torino, 1964.
28
EGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ
fici, nelle note indico, delle opere citate, l’edizione che ho utilizzato e, qualora le due non coincidano, la prima edizione. Poiché, normalmente, ho consultato le opere citate nella lingua in
cui sono state scritte (e pensate), la loro traduzione italiana è
indicata nelle note solo nei casi in cui cito da essa nel testo. Per
agevolare chi legge, tuttavia, nei riferimenti bibliografici alla fine del libro indico anche la loro traduzione italiana, se disponibile (e a me nota), oltre alle ristampe in volume monografico
delle opere citate comparse originariamente su periodico o in
volume collettivo.
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Eguaglianza delle opportunità