TATHARI su 18 DE Santu ‘Aini 2014 ISCHIRE PRO ESSER SINDACADU Tzentru Curturale Su Sindacadu de sa Natzione Sarda www.sinsardu.org Nino Gramsci CABIDANNI : AT A ESSER UN ATERU ANNU DE PELEAS, ... SANTU ‘AINI DE SU PORTU, CHIE NO B’ANDAT A BIU, B’ANDAT … Su 18 se Santu ‘Aini de su 2014, sos tribagliadores de sa Banca de Tathari e-i sos amigos, ant a fagher unu caminu curturale in Portu Turre. Ant a visitare tres monumentos importantes meda: su jassu ipogeicu de SU CRUCIFISSU MANNU, SA BASILICA DE SANTU ‘AINI e sa chejighedda de SANTU ‘AINI in sa rocca de BALAI. Sos visitadores ant a esser accumpanzados dae guidas cumpetentes chi sunt parte de su C.S.O.A. Pangea, Su Tzentru Sotziale Autogestidu de Portu Turre. Dapoi de sas visitas a sos monumentos atopamus a su C.S.O.A. PANGEA e inie amus a chenare, a cantare e chie nd’at gana - fintzas a ballare. ____________________________________________________________ SAN GAVINO DEL PORTO, CHI NON CI VA DA VIVO, CI VA DA …. Il 18 Ottobre 2014, i lavoratori della Banca di Sassari e i loro amici faranno un percorso culturale a Porto Torres. Visiteranno tre importanti monumenti: il sito ipogeico de Su Crucefissu Mannu, la basilica di San Gavino e la chiesetta di san Gavino di Balai. I visitatori saranno accompagnati da guide competenti, attivisti del CSOA Pangea, il cento sociale autogestito di Porto Torres. Dopo le visite ai monumenti convergeremo al CSOA Pangea dove avverrà la cena e dove si potrà cantare e - chi ne ha voglia – anche ballare. Ischire Pagina 2 La Basilica di San Gavino La basilica chiesa di San Gavino a Porto Torres è la romanica più grande e antica della Sardegna. Il tempio, uno dei monumenti più insigni dell'isola, è un importante luogo di culto legato alla venerazione delle reliquie dei martiri turritani. Già cattedrale , è attualmente la chiesa principale di Porto Torres e sede parrocchiale. La città di Turris Libisonis fu sede episcopale dal 489 al 1441, anno in cui la sede si trasferì a Sassari.[2] La basilica di San Gavino, ex cattedrale, sorge nel Monte Angellu, area in cui gli scavi archeologici hanno attestato la presenza di una necropoli paleocristiana e due antiche basiliche (una delle quali, a pianta centrale, era il Martiryon costruito sulla tomba di san Gavino, i cui resti furono inglobati nella cripta della basilica) databili al V - VII secolo. La prima menzione documentaria della chiesa di San Gavino è databile intorno al 1065 ed è contenuta nel Condaghe di Pseudocondaghe San di Pietro di San Gavino, Silki.[2] Lo documento apografo del XVII secolo, riporta alcune vicende della costruzione della basilica. Secondo lo Pseudocondaghe, l'inizio dei lavori risale alla prima metà dell'XI secolo e si deve a Gonnario Comita,[2] giudice di Torres e di Arborea, che commissionò l'opera a maestranze pisane. Nello Pseudocondaghe si narra che il Judike: «feghit venner XI Mastros de pedra, et de muru sos plus fines, et megius qui potuerunt acatare in Pisas, et posit ad operare sa ecclesia.»[3] La costruzione proseguì sotto Torchitorio Barisone I de LaconGunale, figlio inaugurata dal di Gonnario giudice Comita, Mariano di e venne Torres e dall'arcivescovo Costantino di Castra nel 1080.[4] Nel prospetto settentrionale della basilica, due epigrafi incise sulla base marmorea della prima parasta a partire dall'abside orientale attestano la presenza nei pressi di altrettante sepolture privilegiate: un titulus, recante la data 1211, fa riferimento ad un defunto del quale purtroppo non si è conservato il nome e invoca con decisione l'inviolabilità della tomba (...et nullus alius in hoc tumulo requiescat in pace) mentre l'altra iscrizione, antecedente alla prima, ricorda un personaggio di nome Guido de Vada. Ancora un'epigrafe, datata 1492 e presente sul portale romanico, attesta i lavori compiuti nel XV secolo che introdussero nella costruzione elementi dello stile gotico-catalano. Nel XVII secolo venne sistemata la cripta che accolse le reliquie dei martiri turritani rinvenute nel 1614 in seguito agli scavi voluti dall'arcivescovo Gavino Manca de Çedrelles. Ischire Pagina 3 La Basilica di San Gavino Esterno La basilica è situata tra due cortili, detti atrio Comita e atrio Metropoli, su cui si affacciano i due lati lunghi dell'edificio. Nel fianco meridionale si apre l'ingresso principale, costituito da un pregevole portale gemino del XV secolo in stile gotico-catalano; il grande arco a tutto sesto che sovrasta il portale è retto da colonnine e presenta la cornice dell'estradosso che poggia su due capitelli scolpiti con la raffigurazione di due angeli che reggono uno stemma ciascuno. La chiesa è bi-absidata con absidi contrapposte infatti ce n'è una su entrambe i lati corti della basilica. Il paramento esterno della fabbrica, in pietra calcarea, è scandito da lesene e archetti pensili. La copertura del tetto è in lastre di piombo. Interno Navata centrale. L'interno è a pianta rettangolare, diviso in tre navate tramite due serie di archi a tutto sesto retti da ventidue colonne di spoglio, in granito rosa e marmo grigio, e da tre coppie di pilastri cruciformi. I capitelli sono quasi tutti di epoca romana. La pianta a sviluppo longitudinale è conclusa su ambo i lati minori da un'abside. La navata centrale, molto più larga di quelle laterali con un rapporto di 3:1, è coperta a capriate lignee che riportano numerose scritte in colore rosso risalenti al XVII secolo, mentre le campate delle navatelle laterali sono voltate a crociera. L'altare maggiore, fino al XIX secolo collocato al centro della navata, si trova ora nell'abside situata a sud ovest, mentre l'abside contrapposta, a nord est, ospita un catafalco ligneo del XVII secolo con le statue policrome dei santi martiri Gavino, Proto e Gianuario, raffigurati in posizione giacente. Dalle navate laterali si accede all'anticripta e alla cripta, dove sono custoditi artistici sarcofagi romani, dentro i quali si conservano quelle che i fedeli venerano come le reliquie dei martiri turritani. L'anticripta è un ambiente in stile classico rinascimentale, caratterizzato da numerose nicchie entro le quali si collocano statue marmoree di martiri. Glossario: 1. Il termine “basilica” assume al giorno d'oggi tre significati: Nell'antica Roma la basilica era un edificio pubblico utilizzato come luogo di riunioni pubbliche e di amministrazione della giustizia. Il termine indicava una costruzione con navata centrale rialzata, sulla cui parte superiore potevano essere ricavate finestre, permettendo di risolvere i problemi di illuminazione tipici dei grandi edifici. A partire dal IV secolo Il significato della parola si è esteso ai luoghi di culto cristiano, divenendo un particolare e definito tipo architettonico, costituito da uno spazio suddiviso in tre o cinque navate, generalmente con un'abside finale. Infine, tale prestigio religioso sì è evoluto in un vero e proprio titolo canonico, che dà particolari privilegi alle chiese che lo ottengono, consacrato in riti cerimoniali officiati direttamente dal Papa. 2. La locuzione "chiesa cattedrale" (ecclesia cathedralis in latino), o ellitticamente "cattedrale", deriva da "cattedra" (cathedra), perché essa ospita la cattedra del vescovo. Una delle prime ricorrenze della locuzione “ecclesia cathedralis”, si dice fosse presente negli atti del Concilio di Tarragona del 516. Un altro nome con cui si indica la cattedrale è ecclesia mater, per indicare che è la "chiesa madre" di una diocesi. Data la sua importanza è anche detta ecclesia maior. Sempre a causa del suo ruolo di principale "casa di Dio" in una regione, la cattedrale era chiamata anche Domus Dei, da cui deriva il termine italiano duomo (ed il corrispondente Dom in tedesco). Si noti però che in diverse città viene chiamata "duomo", per ragioni storiche, la chiesa principale, anche se non cattedrale. Pagina Ischire 2 Titolo notiziario Pagina 4 Portu Turre: Domus de janas de SU CRUCEFISSU MANNU (Fonte: varie Web) Porto Torres, domus de janas Su Crocefissu Mannu La necropoli ipogeica di Su Crucifissu Mannu è un sito archeologico situato nella Nurra, regione della Sardegna nord-occidentale, e più precisamente in prossimità della strada statale 131 Carlo Felice, nel tratto che unisce i centri abitati di Sassari e Porto Torres, dai quali dista rispettivamente undici e cinque chilometri. La necropoli si trova all'interno di un porzione di territorio che registra una rilevante presenza di monumenti preistorici distanti fra loro poche centinaia di metri. I più importanti monumenti del territorio turritano da segnalare sono: il complesso di Monte d'Accoddi, le aree funerarie di Su Crucifissu Mannu, Li Lioni, Sant’Ambrogio, Su Jaiu, Spina Santa e Marinaru, i dolmen e menhir di Frades Muros, oltre ad una decina di nuraghi. La necropoli de Su Crucifissu mannu comprende almeno 22 sepolture, alcune delle quali, rinvenute sigillate, documentano singolari pratiche sepolcrali. Gli ipogei sono accessibili mediante un ingresso a pozzetto verticale o attraverso un corridoio ("dromos") discendente. Le planimetrie, piuttosto articolate – tipiche delle necropoli ipogeiche del Sassarese - presentano numerosi vani disposti intorno ad un'ampia camera principale. La necropoli è databile al neolitico finale, con fasi dell'Eneolitico e del Bronzo antico (3200-1600 a.C.). Il sepolcreto, scavato su un banco orizzontale di roccia calcarea, comprende almeno ventidue domus de janas, tutte realizzate nel periodo compreso tra il Neolitico Recente (IV millennio a.C.) e l'Eneolitico Iniziale (III millennio a.C.) ed intensamente utilizzate, salvo sporadici riutilizzi in epoca romana, sino al tempo della Cultura di Bonnanaro (1.500 a.C. circa). Le tombe risultano tutte pluricellulari, ossia composte da più vani comunicanti; al loro interno si accede attraverso un pozzetto o calatoia ("a proiezione verticale") oppure mediante un corridoio orizzontale detto dromos ("a proiezione longitudinale"). Lungo le pareti della grande stanza principale, che in alcuni ipogei è provvista di pilastro centrale, si aprono le celle più piccole dalle quali in taluni casi si dipartono radialmente altri piccoli ambienti, fino ad arrivare, come nel caso della Tomba XIII, ad un totale di 14 vani. Alcune stanze sono adornate con gli elementi simbolici (protomi taurine diversamente stilizzate) ed architettonici (gradini, portelli sagomati, architravi) tipici del periodo, scolpiti a bassorilievo nella roccia; nella Tomba IV è presente anche l’elemento della falsa porta, allusione forse all’impossibilità per i vivi di accedere al regno dei morti. L'esplorazione del sito ha portato alla luce abbondanti quantità di ceramiche di Cultura di Bonnanaro, ma anche bottoni a calotta sferica, forati, quattro brassard (bracciali da arciere) del Vaso Campaniforme ed infine tre idoletti cicladici con la figura della Dea Madre. Tra i ritrovamenti anche un cranio umano che presenta documentazione di trapanazione in vivo. Degna di nota, sul piano di roccia soprastante alcune domus, la presenza per un ampio tratto di profondi solchi paralleli prodotti probabilmente dal protratto passaggio di carri o slitte forse adibite al trasporto di blocchi di pietra per la realizzazione di edifici nella vicina Turris Libissonis, l'attuale Porto Torres. Ischire Pagina 5 Portu Turre: sa chejighedda de Santu ‘Aini in sa rocca de Balai (vicinu) e sa palistoria de Gavinu, Proto e Gianuariu. La Chiesa di Balai Vicino, chiamata anche San Gavino a Mare, è stata costruita su una roccia a picco sul mare. Nell'area sono state ritrovate sepolture di origine romana, utilizzate anche in periodo cristiano. Il luogo, secondo la tradizione, fu la prima sepoltura dei tre Martiri Turritani Gavino, Proto e Gianuario. L’interno della chiesa ha volta a botte. L’orientamento verso Nord è dato dalla posizione della roccia. Dietro l’altare si trova un altro edificio, precedente alla chiesa, che si suppone fosse una cisterna romana. Sul lato sinistro del monumento, un cancello immette agli ipogei (tombe scavate nella roccia) di epoca romana. Sono ancora visibili i loculi e i segni lasciati dai pellegrini nei secoli. La vicenda Gavino, Proto e Gianuario si colloca cronologicamente ai tempi della persecuzione anticristiana promossa in tutto l’Impero romano sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano, nel 303-304 d.C., quando vennero emanati quattro editti volti alla soppressione delle comunità cristiane che ormai sorgevano ovunque nelle province… Secondo quanto racconta la più antica testimonianza letteraria del martirio, la Passio Sanctorum Martyrum Gavini, Proti et Ianuarii del XII secolo, nel 303, nell’antica colonia romana di Turris Libisonis due religiosi nati in Sardegna e cresciuti in civitate Turritana, il presbitero Proto e il suo diacono Gianuario, vennero denunciati al governatore romano della Sardegna e della Corsica Barbaro perché si ostinavano a predicare la religione cristiana in un’area suburbana della città, il Mons Agellus (Monte Angellu, toponimo che rimanda al quartiere della città odierna e che ospiterà in seguito la Basilica romanica dedicata ai Martiri). Barbaro li fece convocare in Corsica, condannando in un primo momento Proto all’esilio nell’isola Cornicularia, (probabilmente un’isola dell’arcipelago della Maddalena) e trattenendo presso di sé il giovane Gianuario, mentre in un secondo tempo, rientrato in Sardegna a Turris con il giovane diacono e richiamato dall’esilio Proto, dopo aver sottoposto di nuovo inutilmente i due religiosi alla proposta di abiurare la loro fede e alla tortura, li imprigionò entrambi prima di eseguire la condanna a morte, affidandone la custodia al soldato Gavino. Chiesa di “S.Gavino a mare” o “Balai vicinu” GLI EDITTI CONTRO I CRISTIANI Il primo editto fu emanato il 23 febbraio 303 e ordinava la distruzione delle chiese cristiane, l’arsione pubblica dei libri sacri, lo smembramento delle comunità di fedeli; il secondo editto, sempre del 303, sanciva la cattura e l’imprigionamento di tutti i membri de clero; il terzo editto, ancora nel 303, concedeva che fossero liberati gli ecclesiastici che avessero accettato di abiurare la religione cristiana offrendo sacrifici agli Dei pagani, condannando però alla tortura coloro che avessero perseverato nella loro fede; infine un quarto editto nel marzo del 304 impose a tutti gli abitanti dell’Impero di offrire sacrifici e libagioni agli idoli pagani. Chiesa di Santu Bainzu Ischabizzaddu o Balai Lontanu ... Ischire Pagina 6 Quest’ultimo, folgorato dallo spirito con il quale i due prigionieri accettarono di subire pene atroci perseverando nella loro fede, convertitosi, li lasciò liberi di nascondersi in una grotta alla periferia della città; per questo atto di insubordinazione fu processato al cospetto del governatore Barbaro, che lo condannò a morte per non aver rinunciato alla nuova fede appena abbracciata. Lungo il cammino verso il luogo della decapitazione, presso gli scogli a picco sul mare fuori città (localizzati presso l’attuale rupe di Balai Lontano o di Santu Bainzu Iscabizzadu, dove è sorta la chiesetta che commemora il martirio), Gavino incontrò la moglie di Calpurnio, un contadino che spesso aveva ospitato il soldato a casa sua, la quale sconsolata gli consegnò con un gesto pieno di pietà il fazzoletto che portava sul capo affinché con esso potesse velarsi gli occhi nel momento della decapitazione. Gavino giunse alla rupe e dopo aver pregato fu decapitato dai soldati che lo avevano condotto al martirio. Il suo Spirito apparse subito dopo la decapitazione a Calpurnio che rientrava dal lavoro nei campi; Gavino rinvigorì i suoi buoi affaticati e gli consegnò il fazzoletto che sua moglie gli aveva precedentemente offerto, in modo tale che glielo potesse restituire. Rientrato a casa e trovata la donna in lacrime per la sorte toccata al caro amico Gavino, incredulo al racconto dell’uccisione da lei fatto, Calpurnio rese il fazzoletto alla moglie che aprendolo lo vide macchiato del sangue del martire. I due allora compresero quel che era avvenuto, si inginocchiarono in preghiera. Gavino apparve dunque a Proto e Gianuario nella spelonca nella quale si erano rifugiati, non troppo lontano dal luogo del martirio, e li invitò a non aver paura di intraprendere come lui la via del sacrificio; i due religiosi rientrarono allora in città e si presentarono a Barbaro chiedendo di seguire la stessa sorte del soldato Gavino; furono condotti sulla stessa rupe presso la quale Gavino era stato decapitato, cantando salmi lungo il cammino e pregando ininterrottamente fino all’esecuzione della condanna. Nella notte uomini pii raggiunsero il sito, raccolsero le loro spoglie e le seppellirono in un luogo “assai conveniente”, identificato secondo la tradizione con gli ipogei pagani presso la chiesetta di Balai Vicino o di San Gavino a Mare, dove la Passio attesta il realizzarsi in seguito di molti miracoli e dove i demoni sarebbero stati più volte prodigiosamente scacciati. La Passio riporta la data del martirio (dies natalis) di Gavino (25 ottobre) e del presbitero Proto con il suo giovane diacono Gianuario (27 ottobre), date che trovano riscontro nel Martirologio Geronimiano, dove Gavino è ricordato anche il 30 maggio. Le date tramandate nella Passio sono confermate dalla locale lingua logudorese e da documenti storici medievali, dove il mese di ottobre è denominato appunto “Santu Aìni”. GRAZIE A TUTTI PER LA PARTECIPAZIONE Un ringraziamento speciale va al C.S.O.A. PANGEA per l’accoglienza riservataci e a Giancarlo Pinna per l’importantissimo contributo culturale.