Stefano Morri - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Fisco e Società Sintesi Osservatorio fiscale a cura di Massimo Gabelli REATI TRIBUTARI NON SI CONFIGURA IL REATO DI OMESSO VERSAMENTO DELL’IVA A CARICO DEL LIQUIDATORE DI UNA SOCIETÀ PROSSIMA AL FALLIMENTO Cass. Pen., Sez. III, 10 febbraio 2015, n. 5921 - Pres. Fiale - Rel. Andreazza La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5921/15 del 10 febbraio 2015, è intervenuta nuovamente in tema di reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000, chiarendo che non si configura il suddetto reato a carico del liquidatore di una società prossima al fallimento, se quest’ultimo non versa l’IVA sulla base dell’erroneo presupposto che tale incombenza ricade sul curatore fallimentare. Il caso oggetto della sentenza riguarda una società in liquidazione, prossima al fallimento, che ometteva di versare l’IVA dovuta per gli anni d’imposta 2009 e 2010, in tal modo incorrendo nella violazione di cui all’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000 (reato di omesso versamento IVA). Il Giudice per le Indagini Preliminari emetteva il provvedimento di sequestro per equivalente nei confronti del liquidatore della società in funzione della successiva confisca per importi corrispondenti all’IVA omessa. Il Tribunale del Riesame, con propria ordinanza, confermava tale misura cautelare. Il liquidatore presentava ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame, affidato a tre motivi. In particolare, il ricorrente lamentava di aver assunto la carica di liquidatore in data 9 novembre 2010 e presentato, solo dopo quaranta giorni dalla nomina, ricorso per il fallimento della società. Sottolineava, pertanto, di aver agito nella completa convinzione del fatto che sarebbe stato il curatore a dover decidere come e quando disporre della cassa verso i vari creditori, tra cui l’Erario, onde evitare di incorrere nel reato di bancarotta fraudolenta preferenziale. Pertanto, secondo il ricorrente, avrebbe difettato l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000. Tanto più considerato che sul conto della società era presente una somma tale che avrebbe consentito di adempiere in toto al versamento dell’IVA per il 2009. Con riguardo, poi, all’omesso versamento dell’IVA per il 2010, il ricorrente rappresentava che, alla data di scadenza dell’obbligo, egli non era più il legale rappresentante della società, essendo subentrato il curatore fallimentare. Inoltre, questi sottolineava come le circostanze del caso rilevassero la presenza di una condotta omissiva determinata dalla necessità di evitare l’integrazione del reato di bancarotta fraudolenta preferenziale, con conseguente violazione, da parte del Tribunale del Riesame, degli artt. 43 (elemento soggettivo) e 54 (stato di necessità) del codice penale. La Suprema Corte ha accolto il ricorso. In prima istanza, i giudici di legittimità hanno rammentato che il reato in oggetto ha natura istantanea, consumandosi nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, sic- 514 ché è necessario che l’omissione del versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento. Al riguardo, la Corte di Cassazione ha osservato che la dichiarazione di fallimento della società, con conseguente nomina del curatore, è intervenuta in data 7 novembre 2011, pertanto, alla data del 27 dicembre 2011 (termine ultimo per effettuare il versamento dell’IVA) il liquidatore non era più rappresentante legale della società. Conseguentemente, alla suddetta scadenza non incombeva sul liquidatore alcun obbligo di versare l’imposta. I giudici di legittimità hanno, peraltro, rilevato che il reato in oggetto presenta natura giuridica di reato “proprio”, nel senso che può essere commesso dai soli “soggetti IVA”, quindi lavoratori autonomi e imprenditori che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi per le quali è dovuta l’imposta; mentre per le società e per gli enti del reato rispondono i legali rappresentanti. Nella specie, la Suprema Corte ha osservato che la dichiarazione di fallimento della società con nomina del curatore fallimentare interveniva nell’aprile del 2011 sicché alla data del 27 dicembre 2011 successivo, quale termine ultimo per effettuare il versamento IVA, l’indagato non era più legale rappresentante della società e, dunque, non incombeva su di lui l’obbligo di versamento dell’IVA. Inoltre, la Corte di Cassazione ha osservato che i dati oggettivi del caso in esame (vale a dire la presentazione dell’istanza di fallimento e la disponibilità di liquidità nelle casse della società sufficienti al pagamento dell’IVA) sono tali da far ritenere che sussisteva in capo al liquidatore il legittimo convincimento che la regola della “par condicio creditorum” gli imponesse di non procedere al versamento dell’IVA, di modo da trattare in maniera preferenziale l’Erario rispetto agli altri creditori privilegiati. Dunque, a giudizio della Suprema Corte, deve ritenersi integrata, nel caso di specie, la causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p. (adempimento di un dovere) sia pure in termini putativi (art. 59, comma 4, c.p.). Al riguardo, la Suprema Corte ha rammentato che l’art. 51 c.p. è espressione del principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico secondo cui un fatto costituente un obbligo non può allo stesso tempo vietare e permettere - o imporre - una stessa condotta. Nel caso di specie, hanno osservato i giudici di legittimità, la condotta di omesso versamento dell’IVA da un lato viola la disposizione penale tributaria e dall’altro, qualora assieme allo Stato - creditore concorrano altri creditori privilegiati, può apparire che il mancato versamento del debito IVA sia imposto dalle norme che vogliono assicurare la “par condicio creditorum”. A fronte di ciò, la Suprema Corte ha osservato che, nel caso di specie, è vero che alla data del 27 dicembre 2010 data di scadenza del termine per far fronte al versamento dell’IVA - la regola della “par condicio creditorum” non vigeva ancora nella sua assolutezza non essendo ancora intervenuta la dichiarazione di fallimento; a tale data, tuttavia, risultava già presentata l’istanza di fallimento e non erano ancora intervenuti i pronunciamenti della Corte di Le Società 4/2015 Stefano Morri - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Fisco e Società Sintesi Cassazione che hanno stabilito l’obbligo di versamento per intero del debito IVA nel concordato preventivo con transazione fiscale (tra le altre, Cass. n. 44283/2013). Conseguentemente, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il ricorrente abbia ragionevolmente ritenuto di non poter versare l’IVA. CESSIONE DI AZIENDA: L’UFFICIO, AL FINE DI RIQUALIFICARE UN NEGOZIO GIURIDICO, HA IL DOVERE DI ESAMINARE GLI ATTI ED I FATTI ECONOMICI SOTTOPOSTI ALLA VERIFICA Comm. Trib. reg. Milano 22 dicembre 2014, n. 7074 Pres. Dettori - Rel. G. Chiametti La Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza in commento, torna ad occuparsi del potere degli Uffici di riqualificare il contratto di cessione di beni in contratto di cessione d’azienda, non soggetto ad IVA ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 633/1972. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale ha affermato che l’Ufficio non può, sua sponte, riqualificare un negozio giuridico come reputa più conveniente in quanto a questo corre l’obbligo di esaminare gli atti ed i fatti economici sottoposti alla verifica, preservando la volontà economica dell’imprenditore. Nel caso in esame, l’Ufficio notificava un avviso di accertamento ad una società a responsabilità limitata di diritto estero relativo ad IVA per il periodo d’imposta 2007 che traeva origine da una Processo Verbale di Constatazione nel quale i verificatori avevano ritenuto che l’acquisto da parte della società verificata di tutte le scorte di magazzino della sua consociata italiana integrava, in realtà, un acquisto di azienda. Conseguentemente, veniva ritenuta indebitamente detratta l’IVA dalla società verificata. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso ed annullava l’atto impositivo dal momento che riteneva che gli elementi indicati dall’Ufficio non fossero sufficienti a dimostrare che il contratto stipulato tra le parti fosse riqualificabile in un contratto di cessione di azienda e non di beni. L’Ufficio appellava ritenendo che la sentenza di primo grado fosse errata in quanto adottata senza una valutazione critica delle ragioni dell’Amministrazione finanziaria - dalle quali, invero, emergeva che l’operazione posta in essere dalla S.a.r.l. consisteva in una cessione di azienda “mascherata” da cessione di beni. A ciò replicava l’appellata società, argomentando che la società italiana cedente, con decorrenza luglio 2007, era stata riorganizzata con una separazione delle attività commerciali da quelle produttive. Ribadiva in particolare che non vi fosse stata alcuna cessione di azienda, dal momento che la società italiana aveva continuato a produrre nei propri stabilimenti, sia pure su commessa. La società cedente i beni quindi non aveva mutato la propria funzione produttiva bensì solo ceduto le rimanenze di magazzino. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la sentenza di primo grado. In particolare, i giudici di secondo grado hanno affermato che nel caso di specie vi è stata la sola vendita di merci (magazzino) senza che dietro tale atto di vendita possa essere configurata in nessun modo la cessione del ramo di azienda. Infatti, a giudizio della Commissione Tributaria Regionale, l’Ufficio non può discrezionalmente riqualificare un negozio giuridico senza esaminare attentamente gli atti ed i fatti Le Società 4/2015 economici che gli vengono sottoposti per la verifica e che soli possono giustificare una eventuale riqualificazione. Conclusivamente, il consesso giudicante di secondo grado ha sottolineato come, dagli atti difensivi della società, risulta con chiara evidenza che la vendita delle merci fosse stata effettuata in un contesto di riorganizzazione aziendale, senza la cessione della sottostante funzione produttiva, né la titolarità dei diritti immateriali necessari per il processo produttivo e neppure il know how di produzione dei prodotti chimici, né impianti, attrezzature, personale, eccetera che anche con atti separati potesse nel complesso permettere il trasferimento di una azienda. IMPOSTE INDIRETTE IVA. SPLIT PAYMENT: CHIARIMENTI CIRCA L’AMBITO DI APPLICAZIONE Agenzia delle Entrate, Circolare 9 febbraio 2015, n. 1/E L’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 1/E del 9 febbraio 2015 (la “Circolare”), ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’individuazione dell’ambito applicativo, specie sotto il profilo soggettivo, del meccanismo della scissione dei pagamenti (c.d. split payment) introdotto dall’art. 1, comma 629, lett. b), L. n. 190/2014 (Legge di Stabilità 2015) nonché sulle modalità di correzione (senza applicazione di sanzioni) per le eventuali violazioni commesse. Si rammenta, al riguardo, che il decreto di attuazione della normativa sullo “split payment” (D.M. 23 gennaio 2015) ha individuato le modalità operative ed i termini per il versamento dell’IVA da parte della Pubblica Amministrazione. Il meccanismo dello split payment prevede che - in relazione agli acquisti di beni e servizi effettuati dalle pubbliche amministrazioni, per i quali queste non siano debitori d’imposta (ossia per le operazioni non assoggettate al regime di inversione contabile) - l’IVA addebitata dal fornitore nelle relative fatture dovrà essere versata dall’amministrazione acquirente direttamente all’Erario, anziché allo stesso fornitore, scindendo quindi il pagamento del corrispettivo dal pagamento della relativa imposta. Con riguardo alla decorrenza del meccanismo dello split payment si rammenta che l’art. 1, comma 632, della Legge di Stabilità 2015 ha stabilito che, nelle more del rilascio della misura di deroga da parte del Consiglio dell’Unione Europea (il meccanismo dello split payment deve, infatti, essere autorizzato dal Consiglio dell’Unione Europea in quanto introduce una deroga all’ordinario meccanismo di applicazione dell’IVA) le disposizioni sullo split payment trovano applicazione per le operazioni per le quali l’IVA è esigibile a partire dal 1° gennaio 2015. A sua volta, il D.M. 23 gennaio 2015 dispone che tale meccanismo di applica alle operazioni per le quali è stata emessa fattura a partire dal 1° gennaio 2015. Da ultimo, la Circolare ha precisato che lo split payment si applica alle operazioni in relazione alle quali il corrispettivo sia pagato dopo il 1° gennaio 2015 e sempre che le stesse non siano state fatturate anteriormente alla predetta data. Esso non è, invece, applicabile alle operazioni per le quali è stata emessa fattura entro il 31 dicembre 2014. Sotto il profilo soggettivo, la Circolare ha rilevato, in primo luogo, che la norma reca un’elencazione dei soggetti destinatari della disciplina della scissione dei pagamenti di uguale contenuto rispetto a quella recata dall’art. 6, comma 5, d.P.R. n. 633/1972, avente ad oggetto l’applicabilità, 515 Stefano Morri - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Fisco e Società Sintesi alle operazioni effettuate nei confronti delle pubbliche amministrazioni dell’esigibilità differita dell’IVA all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi. A differenza di quest’ultima disciplina, tuttavia, avente carattere agevolativo e natura derogatoria rispetto ai principi ordinari dell’IVA, la scissione dei pagamenti persegue la finalità di arginare l’evasione nella riscossione dell’IVA. Pertanto, ai fini dell’individuazione dell’ambito soggettivo di applicazione del meccanismo della scissione dei pagamenti, la Circolare ha ritenuto opportuno fare riferimento ai soggetti destinatari dell’art. 6, comma 5, d.P.R. n. 633/1972, effettuando un’interpretazione del dettato normativo basata su valutazioni sostanziali di ordine più generale, che tengano conto della differente ratio che ha ispirato le due disposizioni. Tanto premesso, la Circolare ha identificato le amministrazioni pubbliche destinatarie come segue: Stato e altri soggetti qualificabili come organi dello Stato, ancorché dotati di autonoma personalità giuridica, ivi compresi, ad esempio, le istituzioni scolastiche e le istituzioni per l’alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM); enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane) e consorzi tra essi costituiti ai sensi dell’art. 31 del Testo Unico Enti Locali, nonché gli altri enti locali indicati dall’art. 2, D.Lgs. n. 267/2000 (Comunità montane, Comunità isolane e Unioni di Comuni); Camere di Commercio e istituti universitari; ASL ed enti ospedalieri (ad eccezione degli enti ecclesiastici che esercitano assistenza ospedaliera); enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico (IRCCS); enti pubblici di assistenza e beneficienza, ossia, Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (IPAB) e Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP); enti pubblici di previdenza (INPS, Fondi pubblici di previdenza). Per le stesse ragioni, il documento di prassi ha ritenuto che il meccanismo dello split payment non possa trovare applicazione per le operazioni effettuate nei confronti, ad esempio, degli enti previdenziali privati o privatizzati, essendo la natura pubblica un requisito imprescindibile, né delle aziende speciali (ivi incluse quelle delle CCIAA) e della generalità degli enti pubblici economici, che operano con un’organizzazione imprenditoriale di tipo privatistico nel campo della produzione e dello scambio di beni e servizi, ancorché nell’interesse della collettività. Devono, inoltre, ritenersi esclusi dalla platea dei destinatari del meccanismo della scissione dei pagamenti: gli Ordini professionali, gli Enti ed istituti di ricerca, le Agenzie fiscali, le Autorità amministrative indipendenti (quali, ad esempio, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - AGCOM), le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA), gli Automobile club provinciali (ACI), l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), l’INAIL e l’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (IPSO). In ogni caso, per ragioni di semplicità operativa e per dare maggiori elementi di certezza agli operatori, la Circolare ha ritenuto utile avvalersi, al fine di una più puntuale individuazione dei soggetti pubblici destinatari dello split payment, dell’ausilio dell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA). Considerato, inoltre, che il richiamo alle anzidette categorie IPA non può ritenersi esaustivo, la Circolare ha evidenziato che, laddove in relazione a taluni enti, dovessero permanere dei dubbi sull’applicabilità del meccanismo della scissione dei pagamenti, l’operatore interessato potrà inoltrare specifica istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 11 della L. n. 212/2000. 516 La Circolare ha, infine, precisato che, in considerazione dell’incertezza della disciplina (che ha efficacia già in relazione alle fatture emesse dal 1° gennaio 2015), nonché in ossequio ai principi dello Statuto del contribuente, non dovranno essere applicate sanzioni per le violazioni eventualmente commesse anteriormente all’emanazione della Circolare. LEGGE DI STABILITÀ 2015 L. 23 dicembre 2014, n. 190 La L. 23 dicembre 2014, n. 190, pubblicata nel Supplemento n. 99 della Gazzetta Ufficiale n. 300 del 29 dicembre 2014, introduce le “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (Legge di Stabilità 2015). Nel seguito una breve sintesi delle principali misure fiscali introdotte. All’art. 1, commi 12-13-15, viene reso strutturale il credito d’imposta IRPEF introdotto dall’art. 1 del D.L. n. 66/2014 in favore dei lavoratori dipendenti e dei percettori di taluni redditi assimilati (c.d. “bonus 80 €”), originariamente introdotto per il solo anno 2014. Il c.d. “bonus 80 €” viene riconosciuto automaticamente dai sostituti d’imposta sugli emolumenti corrisposti in ciascun periodo di paga, rapportandolo al periodo stesso. All’art. 1, comma 19, vengono estese nell’anno 2015 le norme che consentono la compensazione delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della Pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dalla normativa vigente, qualora la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato. All’art. 1, commi da 20 a 25, sono introdotte misure in merito alla deduzione del costi del lavoro ai fini IRAP. In particolare, è ammessa in deduzione ai fini IRAP, a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, la differenza tra il costo complessivo per il personale dipendente con contratto a tempo indeterminato e le vigenti deduzioni spettanti a titolo analitico o forfetario riferibili sempre al costo del lavoro. Quindi si rende deducibile l’intero costo del lavoro a tempo indeterminato. Viene, anche, estesa l’integrale deducibilità IRAP del costo del lavoro per i produttori agricoli titolari di reddito agrario e a favore delle società agricole per ogni lavoratore agricolo dipendente a tempo determinato che abbia lavorato almeno 150 giornate ed il cui contratto abbia almeno una durata triennale. Viene introdotto un credito d’imposta IRAP nei confronti dei soggetti passivi che non si avvalgono di dipendenti nell’esercizio della propria attività, pari al 10% dell’imposta lorda determinata secondo le regole generali. Tale credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione. Inoltre, vengono abrogate, a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013, le disposizioni che hanno ridotto le aliquote IRAP per tutti i settori produttivi, con ciò ripristinando le previgenti aliquote d’imposta nelle misure del 3,9% (aliquota ordinaria), del 4,2 % (aliquota applicata dai concessionari pubblici), del 4,65% (per le banche), del 5,9 % (per le assicurazioni) e dell’1,9% (per il settore agricolo). Infine, sono fatti salvi gli effetti della diminuzione delle aliquote disposte dal D.L. n. 66/2014 ai fini della determinazione dell’acconto relativo al periodo d’imposta 2014. All’art. 1, commi da 26 a 34, sono introdotte misure in merito alla inclusione - in via sperimentale - del trattamento di Le Società 4/2015 Stefano Morri - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Fisco e Società Sintesi fine rapporto (“TFR”) in busta paga. In particolare, in relazione ai periodi di paga dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018, i lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo) possono richiedere di percepire la quota maturanda del TFR compresa quella eventualmente destinata ad una forma pensionistica complementare, tramite liquidazione diretta mensile. La predetta parte integrativa della retribuzione è assoggettata a tassazione ordinaria, non rileva ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 19 del TUIR e non è imponibile ai fini previdenziali. All’art. 1, commi da 37 a 45, viene introdotto un regime opzionale - di durata pari a 5 esercizi sociali ed irrevocabile- di tassazione agevolata per i redditi derivanti dall’utilizzo e/o dalla cessione di opere di ingegno, da brevetti industriali, da marchi di impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili (c.d. Patent box). Tale regime opzionale si applica a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014; per il primo periodo di imposta il beneficio è pari al 30%, mentre per il secondo periodo di imposta è pari al 40%, per poi attestarsi sul 50% per i periodi successivi. Viene previsto che possano accedere al suddetto regime tutti i titolari di reddito d’impresa anche società ed enti di ogni tipo, compresi i trust con o senza personalità giuridica a condizione di esser residenti in Paesi con i quali è in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione e con i quali lo scambio di informazioni sia effettivo. Inoltre, l’agevolazione consiste nella esclusione dal reddito complessivo del 50% dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni immateriali; in tal senso dispone che il regime opzionale è possibile sia per i redditi derivanti dalla concessione in uso a terzi dei beni in parola, sia nell’ipotesi di utilizzo diretto. Sono esclusi dalla formazione del reddito delle plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immateriali indicati; per esse l’esclusione dalla formazione del reddito si ottiene a condizione che, entro la fine del secondo periodo di imposta successivo alla cessione, almeno il 90% del corrispettivo sia reinvestito nella manutenzione e sviluppo di altri beni immateriali agevolabili. L’opzione per il regime di tassazione agevolata è: consentita a condizione che i soggetti che esercitano l’opzione svolgano le attività di ricerca e sviluppo anche mediante contratti di ricerca stipulati con Università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzati alla produzione di beni immateriali oggetto del beneficio fiscale in argomento; valida anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini IRAP. Le modalità applicative ad un decreto di natura non regolamentare del Ministero delle sviluppo economico di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. All’art. 1, comma 118, viene introdotto un esonero dei contributi previdenziali per le nuove assunzioni a tempo indeterminato. In particolare, viene previsto che, ai datori di lavoro privati - escluso il settore agricolo - e con riferimento alle nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato - esclusi i contratti di apprendistato e i contratti di lavoro domestico - decorrenti dal 1° gennaio 2015 e relativi a contratti stipulati non oltre il 31 dicembre 2015, sia riconosciuto, per un periodo massimo di trentasei mesi, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di un importo di esonero pari a 8.060 € su base annua. Le Società 4/2015 All’art. 1, commi 137 e 138, viene incrementata a 30.000 € annui (da 2.065 €) il limite massimo delle erogazioni liberali, per le quali spetta la detrazione di imposta ai fini IRPEF del 26% nonché la deduzione IRES nei limiti del 2% del reddito di impresa, effettuate a favore delle ONLUS, delle iniziative umanitarie, religiose o laiche, gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nei Paesi non appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Si dispone che le nuove norme trovino applicazione a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. All’art. 1, comma 141, viene confermata la detraibilità dei versamenti effettuati a favore di partiti e movimenti politici precisando che la stessa detraibilità sussiste anche nel caso in cui i predetti versamenti siano effettuati tramite donazioni. All’art. 1, comma 149, vengono chiarite le modalità di erogazione del credito d’imposta wi-fi nelle strutture ricettive. In particolare, attraverso la modifica dell’art. 9 del D.L. n. 83/2014 viene specificato che il credito di imposta per le spese inerenti ad impianti wi-fi sostenute dagli esercizi ricettivi appartenenti al settore turismo è riconosciuto solo a condizione che l’esercizio stesso metta a disposizione dei propri clienti un servizio gratuito di velocità di connessione pari ad almeno 1 Megabit/s in download. All’art. 1, comma 237, viene disposta l’estensione fino al 31 dicembre 2015 (anziché fino al 31 dicembre 2014) della norma contenuta nell’art. 32, comma 1, D.L. n. 133/2014 (c.d. Sblocca Italia) che agevola l’istituzione dei c.d. marina resort, equiparando le strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all’interno delle proprie unità da diporto, ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato, alle strutture ricettive all’aria aperta e consentendo così l’applicazione ai clienti ivi alloggiati dell’aliquota IVA agevolata al 10%, anziché dell’aliquota ordinaria del 22%. All’art. 1, commi 244 e 245, sono introdotte disposizioni interpretative, volte a chiarire le modalità di determinazione a fini fiscali della rendita catastale degli immobili ad uso produttivo. In particolare, viene precisato che - in coerenza con quanto già indicato nei documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria - sono escluse dal calcolo della rendita catastale le componenti dei beni che, sebbene caratterizzanti la destinazione economica dell’immobile produttivo, siano prive dei requisiti di “immobiliarità” ovvero di stabilità nel tempo rispetto alle componenti strutturali dell’unità immobiliare (cd. imbullonati). Ai fini dell’applicazione delle predette norme, non sono prese in considerazione dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate le segnalazioni dei comuni relative alla rendita catastale che siano difformi dalle istruzioni emanate dall’Amministrazione finanziaria, in particolare da quelle contenute nella circolare n. 6/T del 30 novembre 2012. All’art. 1, commi da 621 a 625, viene previsto l’innalzamento dell’aliquota di tassazione: (i) dall’11 al 20% per i fondi pensione e (ii) dall’11 al 17% per la rivalutazione del TFR (trattamento di fine rapporto). La base imponibile dell’imposta sostitutiva applicata sul risultato di gestione dei fondi pensione sia determinata, per i redditi dei titoli pubblici, in base al rapporto tra l’aliquota vigente (12,50%) e quella dell’imposta sostitutiva stessa, al fine di evitare una penalizzazione per l’investimento indiretto in tali titoli. Le nuove aliquote si applicano dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014; in deroga al principio di irretroattività delle norme tributarie, l’imposta complessivamente dovuta sul risultato di gestione dei fondi pensione 517 Stefano Morri - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Fisco e Società Sintesi dovuta per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 è determinata con la nuova aliquota. Per quanto riguarda il TFR, invece, la nuova aliquota si applica alle rivalutazioni decorrenti dal 1° gennaio 2015. All’art. 1, commi 626 e 627, è disposta la riapertura dei termini per la rivalutazione contabile di terreni agricoli ed edificabili e partecipazioni in società non quotate, introdotta dalla legge finanziaria 2002 e successivamente prorogata nel tempo. In particolare, la disposizione consente di rivalutare anche i terreni e le partecipazioni posseduti al 1° gennaio 2015; il termine di versamento dell’imposta è fissato al 30 giugno 2015 (ove si opti per la rata unica; altrimenti, è possibile effettuare il versamento in tre rate annuali di pari importo); la perizia di stima dovrà essere redatta ed asseverata entro il 30 giugno 2015. L’aliquota dell’imposta sostitutiva applicabile alla rivalutazione contabile di terreni agricoli ed edificabili e partecipazioni in società non quotate, i cui termini sono stati prorogati al 2015 dal comma 6 dell’art. 3 viene raddoppiata: (i) dal 4 all’8% per la rivalutazione di terreni e di partecipazioni qualificate, e (ii) dal 2 al 4% per le partecipazioni non qualificate. All’art. 1, commi da 629 a 633, sono introdotte alcune novità in relazione al meccanismo di inversione contabile IVA (c.d. reverse charge), estendendo la sua applicazione ad ulteriori ambiti del settore edile (operazioni di pulizia, demolizione, installazione di impianti e di completamento relative agli edifici.)e del settore energetico (trasferimenti di quote di emissioni di gas ad effetto serra e cessioni dei certificati relativi all’energia ed al gas, nonché cessioni di gas e di energia elettrica a soggetti passivi -rivenditori stabiliti nel territorio dello Stato). In particolare, tale meccanismo è esteso alle cessioni di beni effettuate nei confronti degli ipermercati, supermercati e discount alimentari nonché alle cessioni di bancali in legno (pallet) recuperati ai cicli di utilizzo successivi al primo. Inoltre, viene aggiunto l’art. 17 ter al citato d.P.R. n. 633/1972 che dispone che per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi eseguite nei confronti dello Stato e degli enti pubblici l’IVA venga in ogni caso versata dai medesimi soggetti pubblici (c.d. split payment). Il nuovo comma 2 del citato art. 17 ter del d.P.R. n. 633/1972 prevede che le disposizioni sullo split payment non si applicano ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito. La decorrenza è 1° gennaio 2015 per il meccanismo dello split payment., Per ciò che concerne l’applicazione del meccanismo del reverse charge, esso è applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2015. Si osserva, sul punto, che, per le operazioni appartenenti al settore energetico, il meccanismo dell’inversione contabile è applicabile per un periodo di quattro anni. L’applicazione del suddetto meccanismo il è subordinato, invece, alla preventiva autorizzazione da parte del Consiglio dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 395 della Direttiva IVA n. 2006/112/CE per il settore della grande distribuzione. All’art. 1, commi da 634 a 641, sono ampliate le modalità, i termini e le agevolazioni connesse all’istituto del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997. In sintesi, è previsto che si possa accedere all’istituto anche oltre i termini previsti dalle norme vigenti, nonché - per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate - a prescindere dalla circostanza che la violazione sia già stata constatata ovvero che siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento, delle quali i soggetti interessati abbiano avuto formale conoscenza, salvo la formale notifica di un atto di liquidazione o accertamento 518 e il ricevimento delle comunicazioni di irregolarità in materia di imposte sui redditi e di IVA. Nel dettaglio, con le modifiche introdotte, il nuovo art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997 prevede che la sanzione è ridotta ad “un nono del minimo” allorquando la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il novantesimo giorno successivo al termine per la presentazione della dichiarazione, ovvero, entro novanta giorni dall’omissione o dall’errore in presenza di fattispecie per le quali non è prevista dichiarazione periodica; (ii) la sanzione è ridotta ad “un settimo del minimo” se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quella nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro due anni dall’omissione o dall’errore; (iii) la sanzione è ridotta ad “un sesto del minimo” se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quella nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, oltre due anni dall’omissione o dall’errore. Inoltre, viene previsto che il contribuente che si avvale del ravvedimento vedrà ridotte le sanzioni “ad un quinto del minimo”, ove la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avvenga dopo la constatazione della violazione. Si chiarisce, poi, che avvalersi di tale istituto (con pagamento e regolarizzazione) non preclude l’inizio o la prosecuzione di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo e accertamento. Sono eliminati (ma con decorrenza posticipata - infra) gli istituti della definizione dell’accertamento mediante adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio - di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 218/1997, ai commi da 1 bis a 1 quinquies (ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA) - e della definizione dell’accertamento mediante adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio - di cui all’art. 11, comma 1 bis del D.Lgs. n. 218/1997 (ai fini delle imposte indirette diverse dall’IVA, quali l’imposta di registro, sulle successioni, sulle donazioni ecc.). Viene, anche, eliminato l’istituto dell’adesione ai processi verbali di constatazione di cui all’art. 5 bis introdotto nel D.Lgs. n. 218/1997. In particolare, è disposto che le disposizioni di cui agli artt. 5, commi da 1 bis) a 1 quinquies) e 11, comma 1 bis) del D.Lgs. n. 218/1997 continuino ad applicarsi agli inviti al contraddittorio in materia di imposte sui redditi, imposta sul valore aggiunto e altre imposte indirette, notificati entro il 31 dicembre 2015 e che le disposizioni di cui all’art. 5 bis) D.Lgs. n. 218/1997 continuino ad applicarsi ai processi verbali di constatazione in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto consegnati entro la stessa data. All’art. 1, commi 655 e 656, viene prevista la riduzione dal 95% al 22,26% della parte degli utili percepiti dagli enti non commerciali. La norma costituisce una deroga rispetto a quanto previsto dallo Statuto del contribuente in materia di efficacia temporale delle norme tributarie, in quanto essa ha applicazione retroattiva (trova applicazione agli utili messi in distribuzione dal 1° gennaio 2014). Al fine di compensare la retroattività della norma, riconosce un credito d’imposta pari alla maggiore IRES dovuta, nel solo periodo Le Società 4/2015 Stefano Morri - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Fisco e Società Sintesi d’imposta in corso al 1° gennaio 2014, in applicazione del predetto aumento fiscale. All’art. 1, comma 657, viene innalzata dal 4 all’8% l’aliquota della ritenuta, operata da banche o da Poste italiane S.p.A., sugli accrediti dei pagamenti, a mezzo bonifici, disposti dai contribuenti per beneficiare di oneri deducibili o in relazione ai quali spettano detrazioni fiscali. All’art. 1, commi 658 e 659, attraverso la sostituzione del comma 5 dell’art. 34 del d.P.R. n. 601/1973 viene, di fatto, limitata l’esenzione IRPEF ai soli capitali percepiti dai beneficiari di una assicurazione sulla vita, a copertura del rischio demografico, per il caso di morte dell’assicurato. All’art. 1, comma 667, vengono specificate le condizioni per l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata all’e-book. In particolare, viene previsto che, ai fini dell’applicazione del- Le Società 4/2015 l’aliquota IVA agevolata del 4%, sono da considerarsi libri tutte le pubblicazioni identificate da codice ISBN e veicolate attraverso qualsiasi supporto fisico o tramite mezzi di comunicazione elettronica. All’art. 1, comma 678, è previsto che venga demandato ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze l’individuazione degli Stati o i territori nei quali sono presenti regimi fiscali privilegiati indicando quale criterio esclusivo per la scelta la mancanza di un adeguato scambio di informazioni. L’individuazione è finalizzata all’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 110, comma 10, del TUIR ed opera nelle more dell’emanazione del decreto del Ministro dell’Economia e Finanze di cui all’art. 168 bis del TUIR, volto ad individuare i Paesi o territori fiscalmente virtuosi (c.d. white list). 519