I PRIMI TENTATIVI
 La camera oscura o
camera ottica
 Dispositivo ottico
composto da una
scatola oscurata con un
foro stenopeico sul
fronte e un piano di
proiezione
dell'immagine sul
retro.La camera oscura
è alla base della
fotografia ed è
precorritrice della
fotocamera. È per
questo motivo che gli
apparecchi fotografici
vengono ancora oggi
chiamati "camere": le
prime camere oscure
erano infatti delle vere
stanze al cui interno i
pittori e gli scienziati
lavoravano.
Si può considerare camera oscura una qualsiasi stanza buia,
su una parete della quale sia stato praticato un foro che
permetta l’ingresso di un fascio di raggi luminosi, i quali,
incontrando una superficie che li ostacoli, rappresentano su di
essa una porzione della realtà illuminata che sta al di fuori
della stanza. L’immagine che appare sarà, per una elementare
legge dell’ottica, capovolta, sia in senso orizzontale che
verticale.
 Le prime camerae obscurae erano abitabili, ma in breve vennero costruite camere
portatili all’incirca di 50 cm.Da Leonardo a Durer, ad altri artisti e studiosi del
Cinquecento si possono individuare coloro che hanno indagato il progetto di
camera obscura. Ma quella utilizzata dai pittori a lungo nel tempo, non è che una
delle cause della nascita della fotografia; la causa essenziale, molto
probabilmente, è da ricercare nelle scoperte della chimica
LINEA DEL TEMPO DI EVOLUZIONE DELLA
FOTOGRAFIA
 Oltre a Caravaggio, Canaletto e Vermeer, che trattiamo separatamente, furono molti
altri ad utilizzare l'ausilio di strumenti ottici per realizzare i loro dipinti.Tra il XV e il XVI
secolo, furono soprattutto i pittori fiamminghi oltre a Caravaggio e i caravaggeschi, a
realizzare opere talmente realistiche da sfidare la fotografia. In questi ultimi anni
alcuni studiosi hanno avanzato il dubbio che tanto realismo si dovesse all'utilizzo di
strumenti ottici. Secondo queste ricerche Caravaggio, Van Dyck, Vermeer, Memling,
Raffaello, Giorgione, Bronzino, Velazques e Ingres - per citare solo alcuni tra i più
celebri - utilizzavano sistemi ottici, fatti di specchi e lenti, mediante i quali
proiettavano le immagini sulla tela e poi ne seguivano le linee con pennelli e colori.
Dal film “La ragazza con
l’orecchino di perla”
Vermeer, Johannes
La Lattaia 1658-1660
“La pesatrice di perle” 1662-1665
Una camera oscura può essere composta da una semplice
scatola chiusa con un piccolo foro foro stenopeico su un lato che
lasci entrare la luce. Questa luce proietta sul lato opposto
all'interno della scatola l'immagine capovolta di quanto si trova
avanti al foro. Nelle fotocamere reali, il foro è sostituito da un
obiettivo, corredato di dispositivi per il controllo dell'apertura e
della messa a fuoco: sul piano su cui si proietta l'immagine è
collocata la pellicola fotografica da impressionare o, nel caso di
apparecchi digitali, il sensore.
 Thomas Wedgwood
Verso la fine del 1700 Thomas Wedgwood sperimentò l'utilizzo del
nitrato d'argento, prima rivestendone l'interno di recipienti ceramici,
poi immergendovi dei fogli di carta esposti poi alla luce dopo avervi
deposto degli oggetti. Si accorse che dove la luce colpiva il foglio, la
sostanza si anneriva, mentre rimaneva chiara nelle zone coperte
dagli oggetti. Queste immagini, però, non si stabilizzavano e
perdevano rapidamente contrasto se mantenute alla luce naturale,
mentre riposti all'oscuro potevano essere viste alla luce di una
lampada (a olio) o di una candela. Utilizzò anche il cuoio come
materiale e sistemò dei fogli sensibilizzati all'interno di una camera
oscura senza però ottenere risultato alcuno.
Joseph Nicéphore Niépce
 Comincia a d interessarsi nel1816 ai fenomeni della luce e della camera oscura. L'interesse per la produzione di immagini senza
l'intervento dell'uomo gli venne dalla litografia: sperimentando diverse tecniche Niépce riesce a ottenere, nel 1827, la sua prima
immagine disegnata dalla luce (dopo aver steso uno strato di bitume di Giudea ridotto in polvere e disciolto in essenza di lavanda; la
soluzione viene pennellata su una lamina di rame ricoperta d'argento e quindi fatta asciugare; lo strato di vernice fotosensibile viene
esposto per qualche ora sul fondo di una camera oscura; successivamente la lamina viene immersa in un bagno di lavanda per
dissolvere i frammenti che non hanno ricevuto la luce e così si ottiene l'immagine in negativo. Per il positivo occorre un contenitore con
cristalli di iodio che formano depositi di ioduro d'argento; eliminando la vernice con l'alcool appare l'immagine fotografica vera e
propria)[1] che definisce eliografia, la madre della moderna fotografia.
L'unico imprevisto è che il risultato del suo lavoro non è fissato e quindi si annerisce progressivamente al contatto con la luce. Il suo
impegno è dedicato, in questi anni, al miglioramento della nitidezza dell'immagine. Nel 1827, durante un viaggio a Parigi, conosce
Daguerre e Lemaitre che in seguito diventeranno suoi collaboratori. Nel 1829 fonda con Daguerre un'associazione per il perfezionamento
dei materiali fotosensibili. Muore tuttavia prima di vedere riconosciuta l'importanza delle sue ricerche a Saint Loup de Varenne nel
1833.Daguerre continua da solo le ricerche che lo portano al dagherrotipo. La consacrazione della scoperta viene svolta il 19 agosto
1839 durante una seduta dell'"Accademia delle scienze". La scoperta è contesa comunque con la precedente esperienza di Thomas
Wedgwood, che nel 1790 circa produsse delle immagini chimiche su carta di cui è tuttora in accertamento la stabilità nel tempo.
Louis Jacques Mandé Daguerre
 La dagherrotipia fu il primo
procedimento fotografico per lo
sviluppo di immagini (tuttavia non
riproducibili).
 Il dagherrotipo si ottiene utilizzando
una lastra di rame su cui è stato
applicato elettroliticamente uno strato
d'argento, quest'ultimo viene
sensibilizzato alla luce con vapori di
iodio. La lastra deve quindi essere
esposta entro un'ora e per un periodo
variabile tra i 10 e i 15 minuti.Lo
sviluppo avviene mediante vapori di
mercurio a circa 60 °C, che rendono
biancastre le zone precedentemente
esposte alla luce. Il fissaggio conclusivo
si ottiene con una soluzione di
tiosolfato di sodio, che elimina gli ultimi
residui di ioduro d'argento.L'immagine
ottenuta, il dagherrotipo, non è
riproducibile e deve essere osservata
sotto un angolo particolare per
riflettere la luce in modo opportuno. I
Famoso dagherrotipo di Edgar Allan Poe del 1848
William Henry Fox Talbot
• Più o meno negli stessi anni, in Inghilterra, William
Henry Fox Talbot (1801-1877) fa esperimenti
trattando fogli di carta con nitrato d’argento e poi
applicandoci sopra degli oggetti (foglie, pizzi,
etc.) ed esponendoli alla luce; ne derivano
immagini negative definite “disegni fotogenici”
che vengono lavati in un bagno di fissaggio con
sale da cucina. Questi sono poi usati come
negativi, posti a contatto con altri fogli
sensibilizzati ed esposti alla luce anche per un
paio d’ore. L’uso protratto, però, li rende illeggibili
in breve tempo; si deve allo scienziato Sir John
F.W. Herschel (1738-1822) l’invenzione del bagno
di fissaggio definitivo: l’iposolfito di sodio, usato
ancora oggi. Nel 1841 Talbot perfeziona la sua
tecnica lasciando esposti alla luce i fogli per poco
tempo e “sviluppando” poi, con bagni chimici,
l’immagine latente creando i primi negativi su
carta: i calotipi , che vengono usati per creare
positivi per contatto. Tutta la stampa del periodo
avviene per contatto e non per proiezione così il
positivo ha sempre le stesse dimensioni del
negativo.
Nel 1840 il matematico ungherese Josef Petzval
realizza il primo obiettivo calcolato
matematicamente: quattro lenti che garantivano
una elevata luminosità (f/3.7) ed il conseguente
abbattimento dei tempi di esposizione.
  è in questo decennio che vengono sensibilmente
migliorati i materiali sensibili alla luce.
 Anche le applicazioni fotografiche continuano a
evolversi e ampliarsi: nel 1854 il parigino di origini
italiane André Disdéri brevetta il suo sistema per
ritratti, una fotocamera dotata di quattro
obiettivi
 Infatti, anche e soprattutto i ceti popolari e non
solo la borghesia o la nobiltà parigina
usufruiranno di questo innovativo modo di farsi
ritrarre.
Ponte Milvio dalla sponda destra,
Stefano Lecchi, 1849. Biblioteca di
Storia Moderna e
Contemporanea, Roma.
Sono questi gli anni anche dei primi reportage di guerra. Il primo riconosciuto
dalla storia è quello del 1849, ad opera del “pittore-fotografo” Stefano
Lecchi, probabilmente facente parte della Scuola Romana di Fotografia,
che utilizzava la tecnica del calotipo. Lecchi realizzò il primo reportage di
guerra, riprendendo i luoghi che, a Roma, furono teatro degli scontri tra
Francesi, forze papaline e sostenitori della Repubblica: siamo di fronte alle
prime fotografie in assoluto di un evento bellico, le prime testimonianti degli
avvenimenti di cronaca.
 La fotografia inizia dunque ad impossessarsi di
quel suo ruolo che sarà determinante nella
costruzione di una memoria storica condivisa.
Attraverso le immagini, da quel 1849, i fotografi
iniziano a raccontare ogni evento che il mondo
ha vissuto e ad indagare ogni risvolto della
realtà e della società che ci circonda. Ed è
proprio attraverso i primi reportage di guerra che
la fotografia inizia a diventare (anche)
strumento per raccontare la cronaca.
 La fotografia inizia a permeare ogni strato
sociale ed ogni ambito della società e della
cultura: nasce in questi anni anche la fotografia
scientifica e quella industriale. Ed anche quella
erotica e pornografica che lo Stato Pontificio
cercò inutilmente di limitare con un atto
legislativo nel quale si stabiliva che l’esercizio
della fotografia come professione doveva
essere subordinato ad uno specifico nulla osta
rilasciato dall’autorità di polizia e che il semplice
possesso di una fotocamera andava
denunciato.
 Fotografia di nudo femminile di John Ernest Joseph Bellocq
scattata a New Orleans attorno al 1920
Female nude.
Data 1920 circa
Ed anche quella erotica e pornografica che lo Stato Pontificio cercò
inutilmente di limitare con un atto legislativo nel quale si stabiliva che
l’esercizio della fotografia come professione doveva essere subordinato
ad uno specifico nulla osta rilasciato dall’autorità di polizia e che il
semplice possesso di una fotocamera andava denunciato.
Nadar (1820 – 1910), realizza le prime fotografie aeree
della storia, immortalando Parigi da un pallone
aerostatico.
 Nel 1861, poi, arriva la fotografia a colori, grazie al matematico e fisico scozzese James
Clerk Maxwell (1831 – 1879), che spiegò che la sovrapposizione dei filtri rosso, verde e blu
(oggi diremmo RGB) restituivano una immagine a colori.
 E giunge anche il momento della fotografia in movimento: nel 1878 il fotografo inglese
Eadweard Muybridge, fotografa con successo un cavallo in corsa utilizzando 24
apparecchi fotografici, sistemati parallelamente lungo il tracciato e messi in azione
singolarmente da un filo colpito dagli zoccoli del cavallo. La sequenza di fotografie (The
Horse in motion) mostra come gli zoccoli si sollevino dal terreno contemporaneamente,
ma non nella posizione di completa estensione, come in realtà si pensava e come era
comunemente raffigurato nella pittura.
 Questa scoperta convinse i pittori ad utilizzare
sempre di più la fotografia a supporto della
propria attività, al fine di riprodurre con
maggiore precisione la realtà. La pittura,
dunque era tutt’altro che morta (come invece
aveva laconicamente dichiarato il pittore
Hippolyte (Paul) Delaroche dopo aver visto per
la prima volta un dagherrotipo) e anzi traeva
nuova linfa dalla nuova arte della fotografia.
Addirittura alcuni pittori utilizzarono fotografie di
figure umane per copiarle nei loro quadri e si
arrivò anche alla pittura diretta su lastra
fotografica.
 A livello industriale, poi, vengono fondate alcune
delle realtà destinate a dominare il mercato
fotografico delle pellicole: la giapponese
Konica, nel 1873; la inglese Ilford, nel 1879;
l’Agfa, nata nel 1867 presso Berlino. E proprio a
proposito di pellicole, l’ingegnere polacco Leon
Warnerke, nel 1875 inventò la pellicola in rullo su
supporto di carta: sarà su questo principio
dell’emulsione sensibile stesa su una striscia di
carta a cui si ispirerà George Eastman, il
fondatore della Kodak.
 La fotografia, ormai, è pronta a diventare di tutti.
 1888: NASCE LA BOX KODAK E IL MERCATO
FOTOGRAFICO.
 La democratizzazione della fotografia ora era
davvero compiuta e la prima rivoluzione
fotografica attuata. Fortunatamente, perché
senza la pellicola flessibile di George Eastman e
la Box Kodak, che resero la pratica fotografica
accessibile a tutti, essa non si sarebbe mai
diffusa su larga scala e probabilmente non si
sarebbe mai elevata al livello di arte.
 Perché di arte si tratta: probabilmente impura,
perché non crea nulla. Congela, imbalsama,
ferma, blocca, immortala un momento già
esistente. Non produce come potrebbe fare la
fantasia e la genialità di un pittore o di uno
scultore, ma restituisce al mondo la visione del
singolo di una realtà già esistente.
 La fotografia non inventa nulla e non può, come
la scrittura, dare libero sfogo alla fantasia di un
autore. Semplicemente ci racconta la sua
personale visione di uno specifico momento. E lo
fa con una forza, una intensità, un potere
coinvolgente straordinario, che spesso ci porta
“nella” fotografia e a volte addirittura oltre essa
stessa. Per questo si eleva al rango di arte.
  SEBASTIANO SALGATO (Genesi 2013)
Perché è grazie a lei che “la natura si fa di sé medesima pittrice” (citazione dal testo fondamentale di Rebuzzini
“1839 – 2009).
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camera oscura o camera ottica