TECNICA IL CAMBIO AUTOMATICO PIACE SEMPRE DI PIÙ La storia di un componente che, grazie all’impiego in Formula 1, sta incontrando i favori del pubblico Primi esperimenti, le sue varianti tecniche come il Variomatic di Gianni Rogliatti 26 LaManovella/febbraio2008 L a storia del cambio per le automobili va di pari passo con la storia del motore a combustione interna. All’inizio del secolo scorso si era arrivati alla conclusione che quest’ultimo fosse superiore (in quanto a prestazioni) ai due concorrenti del periodo pionieristico e cioè quello elettrico e quello a vapore. Era però necessario un sistema per superare i suoi due punti deboli: l’incapacità di avviarsi sotto carico e la ristretta gamma di funzionamento in condizioni ottimali. In parole povere il motore a combustione interna sviluppa la sua potenza massima ad un regime elevato, TECNICA per cui è necessario ridurre in modo adeguato il numero dei giri alle ruote (con un proporzionale incremento della coppia) per affrontare sia l’avviamento del veicolo sia le salite. Stabilita la necessità del cambio, inizia anche la ricerca di un sistema per l’azionamento automatico, per sopperire alla difcoltà di molte persone a comprendere la funzione ed il controllo del cambio stesso. C’è poi la fatica del frequente azionamento di frizione e cambio nel trafco urbano; infatti i cambi automatici si sono diffusi sulle auto per uso generale, mentre quelle sportive sono state per anni caratterizzate dai cambi manuali, addirittura non sincronizzati: la bravura del guidatore si giudicava appunto dalla rapidità con cui riusciva a cambiare marcia eseguendo la “doppietta”, ossia il doppio azionamento della frizione per sincronizzare il regime del motore con la velocità delle ruote. Il motore viene avviato “in folle” e poi collegato alla trasmissione per mezzo della frizione: se il cambio è automatico, anche la frizione (o un organo simile come il giunto idraulico e il convertitore di coppia) deve funzionare in modo automatico. A ritardare per lungo tempo una più larga applicazione del cambio automatico è stata la perdita di potenza causata dagli automatismi, una cosa non tollerabile nelle auto da corsa dove la massima potenza è fondamentale, ma anche sulle auto da turismo di piccola cilindrata. Ci sono stati esempi di cambi automatici sviluppati per auto di serie applicati anche ad auto da corsa (tipico il Variomatic della DAF). Ma si è trattato di casi sporadici, mentre risale a oggi l’enorme successo del cambio messo a punto dalla Ferrari per le sue monoposto a partire dal 1989 - poi copiato da tutti i costruttori di F1 e nalmente diffuso sui modelli stradali della Ferrari Nella pagina a sinistra, il padre dei moderni cambi di Formula 1, quello sperimentale Ferrari del 1979. In questa pagina, in basso, il “glio” che ha fatto carriera: il cambio automatico Ferrari del 1989. stessa - ma sviluppato anche da altre marche per i loro modelli stradali con modalità di controllo diverse. Su alcune vetture i vantaggi del cambio automatico sono tali da aver relegato il comando manuale nella categoria degli “optional”, perché un cambio automatico, oltre ad agire assai meglio di molti umani, permette anche di selezionare le marce manualmente e le perdite di potenza sono ridotte e limitate al tempo della cambiata. Schema costruttivo del cambio Fleischel, anni Trenta, con selezione delle marce desmodromica. LA STORIA Non a caso abbiamo citato il sistema Variomatic, perché inizialmente sono stati sperimentati cambi a variazione continua del rapporto, i quali se pure non automatici erano meno brutali di quelli a innesto diretto degli ingranaggi. Nel Museo Svizzero dei trasporti a Lucerna esiste una vettura marca Weber del 1898 dotata di un cambio a variazione continua del rapporto mediante pulegge coniche a diametro variabile collegate da una cinghia; un’altra vettura nello stesso museo, la Turicum del costruttore Fisher, ha un cambio nel quale la variazione del rapporto avviene grazie al movimento di un rullo motore su un disco di grandi dimensioni, così quando il rullo è vicino al bordo esterno del disco si ha la massima demoltiplicazione, che diminuisce quando il rullo si sposta verso il centro del disco. Ovviamente in questi esempi la variazione avviene a mano, e non si tratta ancora del vero cambio automatico e neppure della “guida con due pedali”, LaManovella/febbraio2008 27 TECNICA intendendo l’eliminazione di quello della frizione. Si può dire, infatti, che l’automazione è avvenuta in due fasi: prima con l’automatizzazione della frizione (o la sostituzione con altro dispositivo come il giunto idraulico) e poi automatizzando anche la variazione del rapporto, sia col sistema a variazione continua sia con meccanismi che azionano gli ingranaggi secondo una logica pressata. Molti inventori si sono cimentati nella difcile impresa di realizzare meccanismi per la variazione del rapporto che non fossero ad attrito, come nei sistemi Weber e Fisher e in quello inglese Hobbs: tra questi si possono citare il Sensaud de Lavaud ed il Costantinesco (anni Trenta) che funzionano per mezzo di complicati meccanismi a biellette e che non hanno superato la fase sperimentale. Più efcienti sono i cambi Cotal e Wilson con ingranaggi epicicloidali e comando elettrico dei cambi di marcia, associati a frizioni automatiche. Sono stati applicati su alcuni modelli degli anni Trenta. Non va dimenticato inne l’impiego della trasmissione elettrica, ottima come funzionamento, ma pesante e costosa: venne proposta da Ferdinand Porsche per la austriaca Lohner e consisteva in una dinamo azionata dal motore a benzina. La corrente prodotta dalla dinamo veniva utilizzata per azionare motori elettrici direttamente sulle ruote, per un funzionamento assolutamente dolce e uniforme. Oggi è tornata sulle auto a propulsione ibrida nelle quali viene sfruttato anche un altro vantaggio: il recupero di energia in frenata. 28 LaManovella/febbraio2008 Il primo vero cambio automatico dei tempi moderni è stato senza dubbio quello messo a punto dalla americana Oldsmobile, il cui principio di funzionamento è stato variamente adattato da numerose altre marche e risulta valido ancora oggi per certe applicazioni. HYDRA-MATIC Nel 1939 la Oldsmobile, che è una delle marche della General Motors, iniziava ad offrire il cambio Hydramatic come alternativa a quello manuale delle proprie vetture: si trattava di un sistema che metteva insieme alcuni dispositivi ben noti come il giunto idraulico di Föttinger per sostituire la frizione e un gruppo di ingranaggi epicicloidali per ottenere 4 rapporti di marcia avanti e la retromarcia. L’automatismo (una volta inserita la marcia avanti mediante la apposita leva) era garantito da un ingegnoso sistema idraulico di valvole, che in base a tre dati (posizione dell’acceleratore, velocità del motore e velocità delle ruote) stabiliva quale rapporto inserire. Ed era previsto un controllo manuale per mantenere inserite le marce basse in caso di bisogno; la leva di selezione, oltre alle posizioni di marcia avanti, folle e retromarcia, aveva anche la posizione P (parcheggio) con la quale si bloccava la trasmissione impedendo movimenti alla vettura. Tipico cambio a convertitore di coppia parzialmente sezionato. TECNICA Sopra, una delle tante soluzioni studiate per una cinghia metallica applicata ad un cambio a variazione continua; sotto, cambio automatico Renault a controllo elettronico. Il maggior costo, la complicazione con aggravio del peso e per molto tempo il maggior consumo, hanno limitato per molti anni l’impiego del cambio automatico descritto alle sole auto di grossa cilindrata, in particolare a quelle americane che in un certo periodo tra gli anni ’80 e ’90 sono arrivate ad avere questo tipo di cambio quasi sul 100 per cento della produzione. Tanto che si diceva che una intera generazione di automobilisti americani ignorava l’esistenza della frizione, salvo i pochi appassionati di vetture sportive europee. Dopo la General Motors hanno presentato modelli con cambi automatici tutte le case automobilistiche, sia direttamente sia fornendosi dai produttori specialistici come la Borg Warner, la Automotive Products, la tedesca ZF (Zahnradfabrik Friedrichshafen). La Renault è entrata in questo settore nel 1963 con un cambio che adottava un primo sistema elettronico di comando sviluppato in collaborazione con la Jaeger, che venne poi ulteriormente perfezionato nel 1969 per la applicazione in serie. In Italia anche Lancia ed Alfa Romeo hanno sviluppato i loro modelli di cambio automatico. Il miglioramento dei circuiti elettronici integrati consentiva il crescente impiego di nuovi impianti nelle automobili, compreso quindi il cambio automatico, la cui diffusione cresceva grazie ai miglioramenti ed al progressivo aumento delle potenze dei motori. VARIOMATIC Era prevista anche la possibilità di tenere inserite le marce basse in caso di necessità. Il giunto idraulico è formato da una girante motrice a forma di ciambella con numerose alette, contenuta in una scatola piena d’olio ed affacciata ad una analoga girante, che per effetto del movimento dell’olio viene a sua volta trascinata in un moto proporzionale a quello della motrice. Questo dispositivo ha subìto negli anni due importanti miglioramenti, come l’aggiunta di un terzo elemento (statore), la cui presenza modifica il moto dell’olio e consente di avere una variazione di coppia variabile approssimativamente tra 2 a 1 e 1 a 1. Il che equivale ad avere un primo rapporto di riduzione che consente in pratica di ridurre a tre i rapporti forniti dagli ingranaggi. In questo caso abbiamo un cambio con il “convertitore di coppia”. Il secondo miglioramento è stato l’aggiunta di una frizione interna che, oltre una certa velocità, blocca il giunto idraulico ed elimina le perdite per slittamento che peggiorano lievemente il rendimento del cambio automatico. In questo modo i consumi del veicolo risultano simili ad uno equivalente con cambio meccanico. Il cambio Variomatic merita una descrizione. Si tratta del vecchio sistema con pulegge di diametro variabile e collegate da una cinghia, ma rivisitato dall’olandese Hub Van Doorne titolare della DAF (Doorne Automobiel Frabrieken), che nel 1959 lanciava la vetturetta Daffodil, un modello di nicchia come si direbbe oggi. Infatti era la macchina ideale per chi non riusciva a districarsi con frizione e cambio, quando non addirittura per chi avesse problemi alle gambe. Dotata di un motorino bicilindrico da 600 cm3 anteriore, aveva una trasmissione a cinghia per ciascuna delle ruote posteriori, cosa questa che consentiva di eliminare anche il differenziale. La frizione era automatica centrifuga ed il comando del cambio era ridotto ad una levetta con tre posizioni: avanti-folleindietro. E’ stata un successo e nei primi cinque anni ne sono stati prodotti 100 mila esemplari, seguiti poi dai nuovi e più potenti modelli DAF 33, 44 e 55 e inne la 66 Marathon. Nel 1966 la trasmissione Variomatic venne anche sperimentata su una monoposto di F3 con motore di oltre 100 CV con buoni risultati. Nel frattempo Hub Van Doorne aveva creato un’azienda specializzata nella ricerca sul cambio a variazione continua, che aveva messo a punto una versione totalmente nuova. LaManovella/febbraio2008 29 TECNICA Sopra, il primo cambio continuo DAF: l’albero in basso è collegato al motore, poi si notano le due pulegge motrici il cui diametro viene modicato dai contrappesi per effetto della forza centrifuga, man mano che la velocità aumenta. Le cinghie trasmettono la coppia alle pulegge che azionano e ruote, ed il cui diametro è regolato da una molla. Sotto, sezione di un cambio automatico classico a convertitore di coppia, il Powerite della Chrysler. sistema elettro-idraulico derivato da quelli utilizzati nelle macchine utensili che la Ferrari aveva costruito durante la guerra. Il meccanismo venne effettivamente costruito e applicato ad una monoposto che, provata da Gilles Villeneuve, ricevette un giudizio sfavorevole e quindi accantonato. Il fatto è che l’elettronica del tempo non era ancora all’altezza delle richieste di rapidità e precisione delle auto da corsa. Sono stati necessari dieci anni prima che un nuovo sistema fosse messo a punto, questa volta su richiesta di John Barnard, il quale voleva abolire il comando meccanico per avere maggiore libertà nel disegno della parte posteriore della monoposto. La bellezza del nuovo sistema Ferrari era dovuto al fatto che si usavano sia la normale frizione sia il cambio classico ad ingranaggi, azionati da servomeccanismi idraulici, a loro volta pilotati da un sistema elettronico molto rafnato facente capo a due leve poste sotto al volante. Nella prima versione, che è anche quella tuttora utilizzata per le auto stradali, le marce vengono inserite e disinserite da pistoncini idraulici che muovono le forcelle che spostano gli ingranaggi come nei comandi manuali. Per le monoposto, da qualche anno a questa parte viene utilizzato invece un sistema desmodromico: un cilindro Una delle varianti del cambio a pulegge coniche con cinghia metallica. Era sempre basata sul sistema delle pulegge a diametro inversamente variabile, ma la cinghia non era più di gomma ed esterna bensì fatta di anelli di acciaio e contenuta in una scatola a bagno d’olio e il tutto sostituiva il cambio classico con l’aggiunta di un inversore per la retromarcia. Grazie al fatto che la cinghia era di acciaio e non più di gomma, la potenza gestibile poteva essere molto maggiore, tanto che ad un certo punto venne presa in considerazione la possibilità di impiegare il dispositivo anche in Formula 1. E la scuderia Williams preparò una vettura che nei primi anni Novanta fu esibita ad un Salone di Ginevra con una dimostrazione stradale, guidata dall’allora giovane pilota David Coultard. Ma nel frattempo era arrivata la Ferrari con la sua soluzione. Il cambio Ferrari aveva avuto un preludio semisegreto nel 1979: era stato lo stesso Enzo Ferrari a chiedere ai suoi tecnici se non fosse possibile eliminare il lungo e complesso (e perciò delicato) leveraggio necessario ad azionare il cambio posteriore con un 30 LaManovella/febbraio2008 TECNICA Il progresso simboleggiato dal salto tra la vecchia leva dei pionieri (a sinistra) ed il selettore moderno, sostituito oggi dalle levette sotto al volante. scanalato gira e muove le forcelle e viene mosso a sua volta mediante un motore idraulico passo passo. A prima vista sembra che i pistoncini siano un sistema più rapido rispetto al desmodromico perché, per passare ad esempio dalla marcia più alta alla più bassa occorrono solo due movimenti, mentre col desmodromico il cilindro deve effettuare una rotazione completa. Tuttavia è il risultato quello che conta e i tecnici di Maranello sono riusciti a ridurre il tempo complessivo della cambiata delle monoposto a poche decine di millesimi di secondo. Sulla 430 Scuderia, dotata invece del sistema a pistoncini, il tempo è di 60 millesimi, comunque incredibilmente breve e quasi impercettibile quando in accelerazione si tiene l’acceleratore a fondo e le marce si susseguono in un crescendo impressionante. Il “sistema Ferrari”, caratterizzato dalle due leve che consentono anche il comando manuale senza lasciare il volante, si vede ormai sui modelli di molte altre marche anche se i meccanismi interni possono variare da costruttore a costruttore. E concludiamo sfatando un mito, quello della Chaparral, la vettura sport costruita dal taciturno texano Jim Hall, che tra le sue molte vittorie ha ottenuto anche quella alla 1000 km del Nürburgring nel 1966, guidata da Joachim Bonnier e Phil Hill. Per anni è stato sostenuto che la macchina fosse dotata di un misterioso e formidabile cambio automatico, ma si è poi saputo che il cambio era derivato da un GM di serie, e il pilota utilizzava due sole marce scegliendole con comando manuale. Le notevoli prestazioni erano dovute alla leggerezze della vettura (una delle prime costruite in vetroresina) e al motore di generosa cilindrata, unito ad un buon convertitore di coppia. LaManovella/febbraio2008 31