TECNICA
IL CAMBIO AUTOMATICO
PIACE SEMPRE DI PIÙ
La storia di un componente che,
grazie all’impiego in Formula 1,
sta incontrando i favori del pubblico
Primi esperimenti,
le sue varianti tecniche
come il Variomatic
di Gianni Rogliatti
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L
a storia del cambio per le automobili va di
pari passo con la storia del motore a combustione interna. All’inizio del secolo scorso si era arrivati alla conclusione che quest’ultimo fosse superiore (in
quanto a prestazioni) ai due concorrenti del periodo
pionieristico e cioè quello elettrico e quello a vapore.
Era però necessario un sistema per superare i suoi due
punti deboli: l’incapacità di avviarsi sotto carico e la
ristretta gamma di funzionamento in condizioni ottimali. In parole povere il motore a combustione interna
sviluppa la sua potenza massima ad un regime elevato,
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per cui è necessario ridurre in modo adeguato il numero dei giri alle ruote (con un proporzionale incremento
della coppia) per affrontare sia l’avviamento del veicolo sia le salite.
Stabilita la necessità del cambio, inizia anche la ricerca
di un sistema per l’azionamento automatico, per sopperire alla difcoltà di molte persone a comprendere la
funzione ed il controllo del cambio stesso.
C’è poi la fatica del frequente azionamento di frizione
e cambio nel trafco urbano; infatti i cambi automatici si sono diffusi sulle auto per uso generale, mentre
quelle sportive sono state per anni caratterizzate dai
cambi manuali, addirittura non sincronizzati: la bravura del guidatore si giudicava appunto dalla rapidità
con cui riusciva a cambiare marcia eseguendo la “doppietta”, ossia il doppio azionamento della frizione per
sincronizzare il regime del motore con la velocità delle
ruote.
Il motore viene avviato “in folle” e poi collegato alla
trasmissione per mezzo della frizione: se il cambio è
automatico, anche la frizione (o un organo simile come
il giunto idraulico e il convertitore di coppia) deve funzionare in modo automatico.
A ritardare per lungo tempo una più larga applicazione
del cambio automatico è stata la perdita di potenza causata dagli automatismi, una cosa non tollerabile nelle
auto da corsa dove la massima potenza è fondamentale,
ma anche sulle auto da turismo di piccola cilindrata.
Ci sono stati esempi di cambi automatici sviluppati per
auto di serie applicati anche ad auto da corsa (tipico il
Variomatic della DAF). Ma si è trattato di casi sporadici, mentre risale a oggi l’enorme successo del cambio
messo a punto dalla Ferrari per le sue monoposto a
partire dal 1989 - poi copiato da tutti i costruttori di F1
e nalmente diffuso sui modelli stradali della Ferrari
Nella pagina a sinistra, il padre dei moderni cambi
di Formula 1, quello sperimentale Ferrari del 1979.
In questa pagina, in basso, il “glio” che ha fatto carriera:
il cambio automatico Ferrari del 1989.
stessa - ma sviluppato anche da altre marche per i loro
modelli stradali con modalità di controllo diverse.
Su alcune vetture i vantaggi del cambio automatico
sono tali da aver relegato il comando manuale nella
categoria degli “optional”, perché un cambio automatico, oltre ad agire assai meglio di molti umani, permette anche di selezionare le marce manualmente e
le perdite di potenza sono ridotte e limitate al tempo
della cambiata.
Schema costruttivo del cambio Fleischel, anni Trenta,
con selezione delle marce desmodromica.
LA STORIA
Non a caso abbiamo citato il sistema Variomatic,
perché inizialmente sono stati sperimentati cambi a
variazione continua del rapporto, i quali se pure non
automatici erano meno brutali di quelli a innesto diretto degli ingranaggi. Nel Museo Svizzero dei trasporti a Lucerna esiste una vettura marca Weber del
1898 dotata di un cambio a variazione continua del
rapporto mediante pulegge coniche a diametro variabile collegate da una cinghia; un’altra vettura nello stesso museo, la Turicum del costruttore Fisher,
ha un cambio nel quale la variazione del rapporto
avviene grazie al movimento di un rullo motore su
un disco di grandi dimensioni, così quando il rullo
è vicino al bordo esterno del disco si ha la massima
demoltiplicazione, che diminuisce quando il rullo si
sposta verso il centro del disco.
Ovviamente in questi esempi la variazione avviene a
mano, e non si tratta ancora del vero cambio automatico e neppure della “guida con due pedali”,
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intendendo l’eliminazione di quello della frizione.
Si può dire, infatti, che l’automazione è avvenuta in
due fasi: prima con l’automatizzazione della frizione
(o la sostituzione con altro dispositivo come il giunto idraulico) e poi automatizzando anche la variazione
del rapporto, sia col sistema a variazione continua sia
con meccanismi che azionano gli ingranaggi secondo
una logica pressata.
Molti inventori si sono cimentati nella difcile impresa
di realizzare meccanismi per la variazione del rapporto
che non fossero ad attrito, come nei sistemi Weber e
Fisher e in quello inglese Hobbs: tra questi si possono
citare il Sensaud de Lavaud ed il Costantinesco (anni
Trenta) che funzionano per mezzo di complicati meccanismi a biellette e che non hanno superato la fase
sperimentale. Più efcienti sono i cambi Cotal e Wilson
con ingranaggi epicicloidali e comando elettrico dei
cambi di marcia, associati a frizioni automatiche. Sono
stati applicati su alcuni modelli degli anni Trenta.
Non va dimenticato inne l’impiego della trasmissione
elettrica, ottima come funzionamento, ma pesante e
costosa: venne proposta da Ferdinand Porsche per la
austriaca Lohner e consisteva in una dinamo azionata dal motore a benzina. La corrente prodotta dalla
dinamo veniva utilizzata per azionare motori elettrici
direttamente sulle ruote, per un funzionamento assolutamente dolce e uniforme. Oggi è tornata sulle auto
a propulsione ibrida nelle quali viene sfruttato anche
un altro vantaggio: il recupero di energia in frenata.
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Il primo vero cambio automatico dei tempi moderni è
stato senza dubbio quello messo a punto dalla americana Oldsmobile, il cui principio di funzionamento è
stato variamente adattato da numerose altre marche e
risulta valido ancora oggi per certe applicazioni.
HYDRA-MATIC
Nel 1939 la Oldsmobile, che è una delle marche della
General Motors, iniziava ad offrire il cambio Hydramatic come alternativa a quello manuale delle proprie
vetture: si trattava di un sistema che metteva insieme
alcuni dispositivi ben noti come il giunto idraulico di
Föttinger per sostituire la frizione e un gruppo di ingranaggi epicicloidali per ottenere 4 rapporti di marcia avanti e la retromarcia.
L’automatismo (una volta inserita la marcia avanti
mediante la apposita leva) era garantito da un ingegnoso sistema idraulico di valvole, che in base
a tre dati (posizione dell’acceleratore, velocità del
motore e velocità delle ruote) stabiliva quale rapporto inserire. Ed era previsto un controllo manuale per mantenere inserite le marce basse in caso di
bisogno; la leva di selezione, oltre alle posizioni di
marcia avanti, folle e retromarcia, aveva anche la
posizione P (parcheggio) con la quale si bloccava
la trasmissione impedendo movimenti alla vettura.
Tipico cambio a convertitore di coppia parzialmente sezionato.
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Sopra, una delle tante soluzioni studiate per una cinghia
metallica applicata ad un cambio a variazione continua;
sotto, cambio automatico Renault a controllo elettronico.
Il maggior costo, la complicazione con aggravio del
peso e per molto tempo il maggior consumo, hanno
limitato per molti anni l’impiego del cambio automatico descritto alle sole auto di grossa cilindrata, in particolare a quelle americane che in un certo periodo tra
gli anni ’80 e ’90 sono arrivate ad avere questo tipo
di cambio quasi sul 100 per cento della produzione.
Tanto che si diceva che una intera generazione di automobilisti americani ignorava l’esistenza della frizione,
salvo i pochi appassionati di vetture sportive europee.
Dopo la General Motors hanno presentato modelli
con cambi automatici tutte le case automobilistiche,
sia direttamente sia fornendosi dai produttori specialistici come la Borg Warner, la Automotive Products, la
tedesca ZF (Zahnradfabrik Friedrichshafen).
La Renault è entrata in questo settore nel 1963 con un
cambio che adottava un primo sistema elettronico di
comando sviluppato in collaborazione con la Jaeger,
che venne poi ulteriormente perfezionato nel 1969 per
la applicazione in serie. In Italia anche Lancia ed Alfa
Romeo hanno sviluppato i loro modelli di cambio automatico.
Il miglioramento dei circuiti elettronici integrati consentiva il crescente impiego di nuovi impianti nelle
automobili, compreso quindi il cambio automatico, la
cui diffusione cresceva grazie ai miglioramenti ed al
progressivo aumento delle potenze dei motori.
VARIOMATIC
Era prevista anche la possibilità di tenere inserite le
marce basse in caso di necessità.
Il giunto idraulico è formato da una girante motrice a forma di ciambella con numerose alette, contenuta in una scatola piena d’olio ed affacciata ad
una analoga girante, che per effetto del movimento dell’olio viene a sua volta trascinata in un moto
proporzionale a quello della motrice.
Questo dispositivo ha subìto negli anni due importanti miglioramenti, come l’aggiunta di un terzo
elemento (statore), la cui presenza modifica il moto
dell’olio e consente di avere una variazione di coppia variabile approssimativamente tra 2 a 1 e 1 a 1.
Il che equivale ad avere un primo rapporto di riduzione che consente in pratica di ridurre a tre i
rapporti forniti dagli ingranaggi. In questo caso abbiamo un cambio con il “convertitore di coppia”.
Il secondo miglioramento è stato l’aggiunta di una
frizione interna che, oltre una certa velocità, blocca il giunto idraulico ed elimina le perdite per slittamento che peggiorano lievemente il rendimento
del cambio automatico. In questo modo i consumi
del veicolo risultano simili ad uno equivalente con
cambio meccanico.
Il cambio Variomatic merita una descrizione. Si tratta
del vecchio sistema con pulegge di diametro variabile
e collegate da una cinghia, ma rivisitato dall’olandese
Hub Van Doorne titolare della DAF (Doorne Automobiel Frabrieken), che nel 1959 lanciava la vetturetta Daffodil, un modello di nicchia come si direbbe
oggi. Infatti era la macchina ideale per chi non riusciva a districarsi con frizione e cambio, quando non
addirittura per chi avesse problemi alle gambe.
Dotata di un motorino bicilindrico da 600 cm3 anteriore, aveva una trasmissione a cinghia per ciascuna
delle ruote posteriori, cosa questa che consentiva di
eliminare anche il differenziale. La frizione era automatica centrifuga ed il comando del cambio era
ridotto ad una levetta con tre posizioni: avanti-folleindietro. E’ stata un successo e nei primi cinque anni
ne sono stati prodotti 100 mila esemplari, seguiti poi
dai nuovi e più potenti modelli DAF 33, 44 e 55 e
inne la 66 Marathon.
Nel 1966 la trasmissione Variomatic venne anche
sperimentata su una monoposto di F3 con motore di
oltre 100 CV con buoni risultati. Nel frattempo Hub
Van Doorne aveva creato un’azienda specializzata nella ricerca sul cambio a variazione continua, che aveva
messo a punto una versione totalmente nuova.
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Sopra, il primo cambio continuo DAF: l’albero in basso
è collegato al motore, poi si notano le due pulegge motrici il cui
diametro viene modicato dai contrappesi per effetto della forza
centrifuga, man mano che la velocità aumenta. Le cinghie
trasmettono la coppia alle pulegge che azionano e ruote,
ed il cui diametro è regolato da una molla.
Sotto, sezione di un cambio automatico classico a convertitore
di coppia, il Powerite della Chrysler.
sistema elettro-idraulico derivato da quelli utilizzati
nelle macchine utensili che la Ferrari aveva costruito
durante la guerra.
Il meccanismo venne effettivamente costruito e applicato ad una monoposto che, provata da Gilles Villeneuve, ricevette un giudizio sfavorevole e quindi accantonato. Il fatto è che l’elettronica del tempo non era
ancora all’altezza delle richieste di rapidità e precisione
delle auto da corsa.
Sono stati necessari dieci anni prima che un nuovo sistema fosse messo a punto, questa volta su richiesta di
John Barnard, il quale voleva abolire il comando meccanico per avere maggiore libertà nel disegno della parte posteriore della monoposto.
La bellezza del nuovo sistema Ferrari era dovuto al fatto che si usavano sia la normale frizione sia il cambio
classico ad ingranaggi, azionati da servomeccanismi
idraulici, a loro volta pilotati da un sistema elettronico
molto rafnato facente capo a due leve poste sotto al
volante.
Nella prima versione, che è anche quella tuttora utilizzata per le auto stradali, le marce vengono inserite
e disinserite da pistoncini idraulici che muovono le
forcelle che spostano gli ingranaggi come nei comandi
manuali.
Per le monoposto, da qualche anno a questa parte viene
utilizzato invece un sistema desmodromico: un cilindro
Una delle varianti del cambio a pulegge coniche con cinghia
metallica.
Era sempre basata sul sistema delle pulegge a diametro inversamente variabile, ma la cinghia non era più
di gomma ed esterna bensì fatta di anelli di acciaio e
contenuta in una scatola a bagno d’olio e il tutto sostituiva il cambio classico con l’aggiunta di un inversore
per la retromarcia.
Grazie al fatto che la cinghia era di acciaio e non più
di gomma, la potenza gestibile poteva essere molto
maggiore, tanto che ad un certo punto venne presa in
considerazione la possibilità di impiegare il dispositivo anche in Formula 1. E la scuderia Williams preparò
una vettura che nei primi anni Novanta fu esibita ad un
Salone di Ginevra con una dimostrazione stradale, guidata dall’allora giovane pilota David Coultard. Ma nel
frattempo era arrivata la Ferrari con la sua soluzione.
Il cambio Ferrari aveva avuto un preludio semisegreto nel 1979: era stato lo stesso Enzo Ferrari a chiedere ai suoi tecnici se non fosse possibile eliminare
il lungo e complesso (e perciò delicato) leveraggio
necessario ad azionare il cambio posteriore con un
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Il progresso simboleggiato dal salto tra la vecchia leva
dei pionieri (a sinistra) ed il selettore moderno, sostituito
oggi dalle levette sotto al volante.
scanalato gira e muove le forcelle e viene mosso a sua
volta mediante un motore idraulico passo passo.
A prima vista sembra che i pistoncini siano un sistema
più rapido rispetto al desmodromico perché, per passare ad esempio dalla marcia più alta alla più bassa occorrono solo due movimenti, mentre col desmodromico il
cilindro deve effettuare una rotazione completa.
Tuttavia è il risultato quello che conta e i tecnici di
Maranello sono riusciti a ridurre il tempo complessivo
della cambiata delle monoposto a poche decine di millesimi di secondo.
Sulla 430 Scuderia, dotata invece del sistema a pistoncini, il tempo è di 60 millesimi, comunque incredibilmente breve e quasi impercettibile quando in accelerazione si tiene l’acceleratore a fondo e le marce si
susseguono in un crescendo impressionante.
Il “sistema Ferrari”, caratterizzato dalle due leve che
consentono anche il comando manuale senza lasciare
il volante, si vede ormai sui modelli di molte altre marche anche se i meccanismi interni possono variare da
costruttore a costruttore.
E concludiamo sfatando un mito, quello della Chaparral, la vettura sport costruita dal taciturno texano Jim
Hall, che tra le sue molte vittorie ha ottenuto anche
quella alla 1000 km del Nürburgring nel 1966, guidata
da Joachim Bonnier e Phil Hill. Per anni è stato sostenuto che la macchina fosse dotata di un misterioso
e formidabile cambio automatico, ma si è poi saputo
che il cambio era derivato da un GM di serie, e il pilota
utilizzava due sole marce scegliendole con comando
manuale.
Le notevoli prestazioni erano dovute alla leggerezze
della vettura (una delle prime costruite in vetroresina)
e al motore di generosa cilindrata, unito ad un buon
convertitore di coppia.
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