Archeologia e speleologia delle pareti 41 Archeologia e speleologia delle pareti Livio Mano ✝ Q uesto contributo1 non vuol essere una relazione “canonica”, ma un invito agli speleologi affinché, tra le loro diverse attività, trovino il tempo per indagare le superfici delle grotte e per comunicare eventuali scoperte. Si tratta, inoltre, di un augurio di buon auspicio, oltre che di un’ipotesi di lavoro, affinché le scoperte siano molteplici. È sufficiente, infatti, sfogliare il catasto per rintracciare un’infinità di balme, gias, grotte e abissi presenti sul nostro territorio, per l’analisi dei quali occorrerebbero anni di intensa ricerca2. Se con l’espressione “archeologia delle pareti” si intende indicare l’indagine e lo studio dei segni lasciati dagli uomini e dagli animali su superfici parietali nel corso del tempo, le immagini scelte a corredo di questo studio vogliono essere dei suggerimenti, degli esempi didattici che aiutino a comprendere meglio determinate azioni dell’uomo e del comportamento animale (Mano 1984, pp. 15-16). Il contesto geomorfologico di riferimento è costituito da falesie generiche, arme e balme dallo sviluppo orizzontale più o meno ampio. Simili paesaggi sono spesso caratterizzati da grotte, inghiottitoi o abissi, all’interno dei quali uomini e animali possono involontariamente cadere e la loro agonia può tradursi sulle pareti. Singolari esempi di questi fenomeni si trovano nelle grotte spagnole principalmente risalenti all’epoca romana, ma anche all’età del Ferro3. Inoltre, l’archeologia delle pareti si configura come dimostrazione delle frequentazioni dei luoghi da parte dell’uomo e degli animali, quindi di un’archeologia del suolo e del terreno; un esempio sono le tracce visibili sulle pareti della Grotta della Basura, ubicata, come è noto, nel complesso di Toirano in provincia di Savona, grazie ai quali si testimonia la presenza umana in quel territorio sin dal Paleolitico4. Coevi risultano le incisioni e i graffiti realizzati dall’uomo sulla superficie interna della Grotta del Caviglione, ai Balzi Rossi di Ventimiglia. Tali segni furono tuttavia scoperti da Giuseppe Vicino molto più tardi rispetto alle prime indagini di scavo nell’abisso e tra di essi è visibile uno splendido cavallo della steppa, certamente presente sul sito durante il Würmiano e ritualmente solcato da intagli fusiformi, insieme ad altri disegni più astratti (Vicino 1984, pp. 3-10). Carla de Matteis Lanza, che molto ha contribuito allo sviluppo della speleologia piemontese, in un lavoro eseguito nel 1966 e intitolato “Gli aspetti antropici delle grotte del Piemonte”, estratto dalla Rassegna Speleologica Italiana, delinea un repertorio dettagliato delle grotte frequentate dall’uomo e distingue, fra le tipologie principali, anfratti adibiti ad abitazioni e ricovero animale, grotte utilizzate come magazzini o come luogo di rifugio e di fortificazione (De Matteis Lanza 1966, pp. 1-19). Per ciò che concerne quest’ultima accezione, è interessante rilevare che molte tracce lasciate, come firme o messaggi dei partigiani nell’ultima guerra, sono tuttora oggetto di iniziative di valorizzazione, come, ad esempio, “I Sentieri della Libertà”, progetto attuato anche sul nostro territorio5. Prima di diventare argomento di ricerca scientifica, l’ambiente ipogeo è anche stato, per tradizione, luogo di culto cimiteriale. Ancora in tempi recenti, prima del secondo conflitto mondiale, molte grotte erano impiegate come cimiteri. In val Tanaro, a Monesi, ad esempio, durante il periodo invernale i corpi venivano calati negli inghiottitoi per poi riportarli in superficie nel momento del disgelo o delle grandi piogge. Da sempre i ripari in grotta hanno costituito luogo privilegiato per attività speleologiche o per la pratica di alcuni sport. Inoltre, per via delle riserve idriche, sono state sfruttate prima ancora che gli studiosi notassero, sulle pareti, segni di frequentazione o di sfruttamento; così è stato per uno degli anfratti del complesso del Caudano, detto la Risorgiva, e per la grotta della Dragonera, che anche oggi alimenta l’acquedotto di Cuneo. Le grotte del Mondolè, nel comprensorio del Monregalese, presentano invece una spessa coltre di ghiaccio che venne utilizzata, ancora in tempi storici, per conservare gli alimenti. Molti ambienti ipogei sono stati nel tempo saccheggiati o rovinati, anche recentemente. Come è noto, l’apparizione in grotta della Madonna di Lourdes, avvenuta l’11 novem- 42 Livio Mano ✝ Fig. 1. Balm ‘dla Vardaiola (Alpe Veglia). Rilievo di pittura rupestre (da Gambari 1995c). bre 1858, destò un’eco profondissima anche nel nostro territorio. Le cronache locali riportano che, a seguito del miracoloso evento, persone di passaggio, curiosi e operai iniziarono a staccare frammenti di stalattiti e di stalagmiti dai ripari dell’area provinciale, per venderli successivamente al mercato di Mondovì a 1 lira e 40 al miriagrammo. In quel periodo, tale forma di devozione popolare si diffuse in tutta Europa e si manifestò anche con la costruzione di grotte artificiali, attuali tappe di itinerari del turismo religioso. Per quanto concerne i metodi di alterazione delle pareti delle grotte è possibile distinguere due tecniche differenti: l’aggiunta di materiale e la sottrazione di materia, se la roccia viene incisa. L’azione dell’uomo in questo contesto si concretizza attraverso rappresentazioni naturalistiche o astratte, eseguite a pittura, a graffito, a martellina, con firme, scritte, vari segni apotropaici per allontanare gli spiriti maligni, oppure tracce lasciate da strumenti di lavoro e dall’utilizzazione del fuoco (Mano 1991, pp.106-110; 1995a, in particolare pp. 27-29). Il comportamento e il percorso degli animali all’interno delle grotte sono invece rilevabili principalmente da segni di graffi e di sfregamento. Per fornire alcune indicazioni in merito alle pitture su roccia, è possibile fare riferimento ad esempi conosciuti e presenti sul territorio piemontese e sul confine italo-francese. La grande maggioranza di tali testimonianze è presente su pareti che permettono un ricovero temporaneo e risulta eseguita con l’aggiunta di leganti organici color ocra, ocra-rosso, ocra-rosso-bruno; le tonalità del bianco sono rese con l’impiego di calcite e gesso, talvolta mescolati a sabbia (cfr., ad esempio, Lorblanchet 1995; 1999). Alcune di queste raffigurazioni sono note grazie agli studi di Filippo Maria Gambari (Gambari 1992, pp. 399-410; 1994, pp. 129-142; 1995a, pp. 13-18), di Andrea Arcà, della cooperativa archeologica Le Orme dell’Uomo (Arcà 1995a, pp. 43-50; Sui sentieri dell’arte rupestre 1995), e di studiosi francesi quali Henry de Lumley e Jane Begin (cfr., per esempio, De Lumley 1992 e Begin 1993). A titolo di esempio, nella parte vestibolare della grotta dell’Alpe Veglia, in località Balm ‘dla Vardaiola, nell’Ossolano, è visibile la raffigurazione di un ungulato a corna ramificate, presumibilmente un cervo, eseguita in ocra e datata ad una fase avanzata del Neolitico, verso la prima metà del IV millennio a.C. Tratti verticali rappresentano gli arti inferiori dell’animale, il corpo e la coda sono resi con una linea orizzontale, mentre la testa con le corna è realizzata schematicamente da un tratto verticale e da un segmento a V (Gambari 1995c, pp. 125-127) (fig. 1). Anche la Rocca di Cavour restituisce pitture pressoché coeve e realizzate in ocra rosso-bruna6. Alla luce di recenti interventi di studio e di restauro paiono visibili una figura umana di grandi dimensioni sovrapposta ad un altro antropomorfo, presumibilmente femminile, ed accoppiato ad una figura con arti arcuati e testa forse cornuta; sulla destra della composizione sono presenti due linee formanti altrettanti angoli e file parallele di puntini di varia grandezza, che si sovrappongono in parte alle figure antropomorfe (Gambari 1992, pp. 399-410; 1995b, pp. 90-95) (fig. 2). Ancora, nella valle dell’Inferno, a San Dalmazzo di Tenda, il masso istoriato all’interno del Gias delle Pitture (2.050 Archeologia e speleologia delle pareti Fig. 2. Rocca di Cavour (valle Pellice - valle Po). Rilievo di pittura rupestre (da Gambari 1992). m s.l.m.) è decorato da una scena di caccia allo stambecco, eseguita anch’essa in ocra rossa e attribuita alla fase iniziale dell’età dei Metalli o più probabilmente al tardo Neolitico (Mano 1995b, pp. 77-79). Oggi la rappresentazione è quasi del tutto scomparsa, anche a causa di calchi non correttamente eseguiti (Begin 1993). Al centro della scena è un arciere, di profilo, intento a scagliare una freccia contro un animale a lunghe corna; dietro di lui, a breve distanza, un personaggio di difficile identificazione, presumibilmente armato, sembra assistere alla caccia (fig. 3). In val Germanasca, sulla cosiddetta Rocio ‘dla Fantino (Roccia della Fata), è invece visibile la raffigurazione di un insieme di reticoli, scudi crociati e rouelle, di orizzonte cronologico compreso fra l’età del Rame e l’antica età del Bronzo, eseguita con l’uso di calcite e gesso. La tecnica di pittura doveva essere a spatola e i pigmenti piuttosto densi già al momento dell’applicazione. Sono evidenti numerose tracce di spalmatura (Arte rupestre nelle Alpi occidentali 1987, pp. 70-72; Arcà 1995b, pp. 97-99; Gambari 1998, p. 193) (fig. 4). Fra le tracce individuabili sulle superficie delle grotte, quali segni lasciati dall’uomo, compaiono, inoltre, firme e scritte di valore storico: sulla parete di un anfratto nei pressi della grotta occidentale del Bandito, in valle Gesso, sono riportate firme di speleologi, di esploratori a vario titolo, di innamorati, banditi, rifugiati, pastori, militari, partigiani7 (fig. 5). Altri segni, piuttosto curiosi, lasciati dall’uomo e sempre ottenuti aggiungendo materia sulle pareti di ambienti ipogei, sono costituiti da minuscoli elementi circolari, in argilla, disposti sulla superficie interna della Sala dei Misteri, nella già menzionata grotta della Basura di Toirano (Tongiorgi - Lamboglia 1967) (fig. 6). Un caso eclatante di utilizzo antropico di ambienti ipogei è invece rappresentato dalla grotta di Bédeilhac, nei Pirenei, in prossimità del bacino di Tarascon-sur-Ariège. Come è noto, nel luglio del 1906, l’abate Henri Breuil e lo studioso tedesco Obermaïer scoprirono le prime pitture rupestri 43 Fig. 3. Gias delle Pitture, zona O (valle dell’Inferno). Rilievo di pittura rupestre (da Mano 1995b). Fig. 4. Rocio ‘dla Fantino (val Germanasca): Rilievo di pittura rupestre (da Arcà 1995b). Fig. 5. Grotta del Bandito (valle Gesso). I segni dell’uomo, firme e scritte (storiche) (foto Livio Mano). 44 Livio Mano ✝ Fig. 6. Grotta della Basura, Sala dei Misteri (Toirano). I segni dell’uomo (foto Museo Archeologico del Finalese). nella regione dell’Ariège, tra cui il grande bisonte nero di Bédeilhac, che rese famosa questa grotta già conosciuta a livello geologico. Nell’ultimo conflitto mondiale l’enorme cavità venne dapprima usata come officina per la fabbricazione di motori d’aereo, poi, durante la guerra partigiana, un piccolo velivolo decollò dall’ampia sala vestibolare, per riatterrarvi dopo poche ore, portata a termine la sua missione (Leroi-Gourhan 1977; Barbaza 1997, pp. 33-44 e relativa bibliografia). Altre tracce di frequentazione antropica sono relative all’utilizzo del fuoco, impiegato per illuminare, cucinare, riscaldarsi, difendersi, proteggersi, lavorare. Come è noto, infatti, il fuoco lascia segni, determinati da lavori di cucina, ma anche dall’uso di torce per illuminare gli ambienti. Dalla grotta della Basura provengono tracce di età paleolitica, di notevole importanza per ricavare informazioni sullo sviluppo storico dei siti archeologici, ma anche sulla dinamica dei collassi parietali. I segni eseguiti con sottrazione di materia, da interpretare come incisioni e graffiti, si ritrovano, per citare un esempio assai celebre, all’interno di una grotta della Francia sud-orientale, detta di Pech-Merle ed ubicata nella valle del fiume Lot. Sulle pareti di una delle sale interne è inciso il profilo di un orso, che pare realizzato da gruppi umani con modello magdaleniano (Lorblanchet 1984, pp. 468472) (fig. 7). Ne segue che l’indagine di ambienti ipogei può restituire incisioni o pitture risalenti sino al Paleolitico, figurazioni naturalistiche o astratte eseguite con diverse tecniche, a graffito o a martellina. Nello specifico, la tecnica a graffito si esegue per mezzo di uno strumento litico - o di metallo in tempi storici - ed i segni sono a volte impercettibili perché di dimensioni ir- Fig. 7. Grotta di Pech-Merl (valle del Lot). Particolare di orso delle caverne (diapositiva da Archivio Livio Mano). risorie. Osservando un graffito già piccolo di per sé, della lunghezza massima di 10 cm, che rappresenta un gregge di pecore ed è localizzato sulle pareti di un’arma, si deduce che l’analisi delle pareti di grotte o ripari, oppure di balme o gias, deve essere assolutamente accurata, soprattutto nelle zone non vestibolari e quindi più buie, ove talvolta è bene servirsi di una luce radente, per evidenziare soprattutto tecniche di sottrazione di materiale, dette anche à polissoir (fig. 8). Come è noto, la datazione delle tracce può variare notevolmente: ai Balzi Rossi di Ventimiglia, nella Grotta del Caviglione, accanto alle incisioni scoperte da Giuseppe Vicino e riferite al Paleolitico superiore, compaiono segni che paiono suggerire frequentazioni umane di età stori- Archeologia e speleologia delle pareti Fig. 8. Grotta del Caviglione (Balzi Rossi, Ventimiglia). Tecnica a polissoir (foto Giuseppe Vicino). che anche recenti, legate al recupero di lame o di strumenti come falci o coltelli. Si rilevano, ad esempio, tipici segni lasciati dal movimento della mano che impugna un incisore; le dimensioni e la conformazione della traccia possono fornire indicazioni sulle caratteristiche dello strumento. Inoltre, segni di questo tipo non compaiono mai da soli, ma sempre associati ad altre incisioni, cioè ad una superficie rigata localizzata non distante. Con tecnica “a martellina” sono eseguite date o firme: l’indicazione 1899 impressa a martellina, sempre con strumento litico, sancisce, ad esempio, il momento della scoperta e della esplorazione della seconda galleria del Caudano, ad opera dei fratelli Trona, pubblicata in una splendida guida del 1913 realizzata da don Angelo Dho (Dho 1913) (fig. 9). Un altro esempio di testimonianza dell’attività umana in ambiente ipogeo è la trasformazione di una stalagmite, a cui è stata data la morfologia di un fallo, ubicata in valle Pennavaira, in località Arma del Cupâ. Venne scoperta dall’archeologa Milli Leale Anfossi negli anni Cinquanta. Sul sito venne effettuato un sondaggio archeologico, che non permise però di ricavare una datazione sicura (fig. 10). Per ciò che riguarda la documentazione archeologica, i reperti emersi, punte di frecce in selce in associazione a tracce di focolare, sono genericamente attribuibili all’età del Rame. È tuttavia interessante rilevare che, come in moltissime grotte della Dordogna, compaiono anche qui tracce della trasformazione di situazioni naturali da parte dell’uomo. Proprio sulla verticale del fallo è presente una fessura che ricorda un organo femminile, da cui percola una goccia d’acqua che cade sul fallo stesso (Pennavaire: ambiente e preistoria in una valle alpina 2003, con relativa bibliografia). Fig. 9. Grotta del Caudano (val Maudagna). Particolare (da Dho 1913). 45 46 Livio Mano ✝ Fig. 10. Arma del Cupâ (val Pennavaire). Particolare (foto Livio Mano). Infine, per quanto concerne i segni lasciati dagli animali sulle pareti delle grotte, la grande maggioranza della documentazione è riconducibile a quelle specie che hanno accanitamente frequentato gli ambienti ipogei, entrando talvolta in competizione con l’uomo. Fra di esse figurano in particolare l’orso speleo e l’orso bruno. Il passaggio in grotta dei plantigradi è infatti testimoniato da orme e graffi, presenti anche in alcune grotte del Cuneese8. Al di sotto di queste tracce possono comparire segni di frequentazione antropica; tale sovrapposizione risulta utilissima per stabilire cronologie relative. I graffi lasciati dagli orsi sono composti di linee parallele formate da 4 - 5 moduli non rettilinei, ma sempre in curvatura o a doppia “L”, e spesso sovrapposti l’uno all’altro a formare un reticolo facilmente identificabile come artificiale (fig. 11). È doveroso ricordare che, nel territorio della nostra provincia, la presenza di sfregamenti animali sulle pareti delle grotte è quasi costantemente segnalata dai bollettini speleologici. * Sandra Viada - Michela Ferrero Museo Civico di Cuneo Via Santa Maria, 10 - 12100 Cuneo E-mail: [email protected] Fig. 11. Grotta di Pech-Merl (valle del Lot). Particolare di unghiate di orso (diapositiva da Archivio Livio Mano). Archeologia e speleologia delle pareti 47 Note 1 2 3 4 5 6 7 8 Il presente contributo è stato tradotto in forma scritta intervenendo in misura marginale sulla suggestiva esposizione tenuta dall’autore nei giorni del convegno. Le note e la bibliografia sono state aggiunte attingendo alla cospicua documentazione che Livio Mano aveva già predisposto con cura, in vista della stesura dell’articolo Si veda, nello specifico, il Sistema Informativo dei Dati Catastali per gli Enti Locali elaborato dall’Agenzia del territorio per l’intero territorio della Regione Piemonte: progetto SIGMA TER (www.sigmater.it). Cfr., a titolo di esempio, Gonzàlez Blanco et al. 1979, pp. 277-284. Cfr. il contributo di Marica Venturino Gambari in questo volume. Nello specifico con l’espressione “I Sentieri della Libertà” si intende indicare una rete di percorsi segnalati, che conduce attraverso alcuni dei luoghi più significativi della seconda guerra mondiale, della deportazione e della Resistenza. Le tappe sono per lo più rappresentate da case, borgate, cappelle, radure, valichi, villaggi, ma anche ripari e grotte. Come è noto, nel mese di febbraio 2009, il versante nord-orientale della Rocca è stato deturpato da una serie di scritte, realizzate con pigmenti bianchi e verdi sopra i disegni antropomorfi delle pareti rocciose che guardano oggi l’abbazia. Se ancora in vita, Livio Mano avrebbe saputo far risaltare, forse meglio di chiunque altro, tutta l’insensatezza e la miseria di un simile atto vandalico. Sulla paleontologia della grotta si vedano Sacco 1889, pp. 30-37 e Mano 1992, pp. 95-100; cfr. anche Zunino 2001-2002; 2004. Per informazioni relative alla presenza delle specie nel Cuneese, cfr. Giacobini 1982; Mano 1992; Sala - Aimar 1998; Zunino 2001-2002; 2004; Mano 2006 e, nello specifico, per l’etologia dell’orso speleo, cfr. Kurten 1986. Bibliografia Arcà A. 1995a. Dalla ricerca all’interpretazione: il ruolo dell’archeologia rupestre, in Immagini dalla Preistoria. Incisioni e pitture rupestri: nuovi messaggi dalle rocce delle Alpi occidentali. 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