1 IL TESTO ORIGINALE 1.1 L’aspetto fisico Le caratteristiche fisiche che può avere un testo nel momento in cui arriva per la prima volta fra le mani del redattore cui è affidato il compito di seguirlo fino alla pubblicazione sono praticamente infinite. È però possibile individuare alcune tipologie ricorrenti alle quali ogni nuovo libro può in definitiva essere ricondotto. Riguardo all’aspetto fisico, il testo originale può avere la forma di: a) documenti su supporto informatico (dischetto, CD-ROM ecc.); b) dattiloscritto su supporto cartaceo; c) materiale di provenienza e caratteristiche varie (fogli dattiloscritti, fotocopie, appunti manoscritti ecc.). a) Per le caratteristiche del documento su supporto informatico è indispensabile attenersi alle seguenti indicazioni: « Evitare di salvare tutto il documento in un unico file: se ci sono più capitoli, ognuno di essi può per esempio essere salvato in un singolo file; se non sono previste suddivisioni o se esse sono eccezionalmente brevi e numerose, si avrà comunque l’accortezza di non creare file troppo grandi (non più di 200 000-300 000 byte). In un file a parte devono essere salvate le note, le tabelle, le didascalie e gli eventuali apparati paratestuali (Introduzione, Bibliografia, Indice analitico ecc.). « Il nome di ciascun file deve essere breve ma significativo, in modo che sia facile identificare la parte del documento che esso contiene; in particolare, se si fa uso di numeri (es.: cap01, cap02 ecc.), usare sempre le cifre arabe. « Il supporto sul quale il lavoro viene consegnato deve essere in buono stato (se si tratta di un dischetto è bene che sia nuovo o almeno riformattato, cosı̀ che non siano rimasti registrati vecchi documenti, che potrebbero creare confusione). « Il supporto non va riempito fino al massimo della sua capienza; nel caso il documento sia troppo lungo, si usino quindi più dischetti numerati progressivamente o, meglio, si utilizzi un supporto più capiente, come il CD-ROM. « Il supporto deve recare un’etichetta con autore e titolo del libro, nonché l’elenco dei documenti contenuti al suo interno. È buona norma, inoltre, che chi lavora al computer consegni assieme al supporto informatico una copia stampata del testo e una scheda con tutti i dati utili per evitare confusioni e per una corretta e veloce transcodifica. Essa dovrà contenere le seguenti indicazioni: « nome e indirizzo (con tutti i contatti telefono/fax/e-mail) di chi ha preparato il documento; « autore e titolo dell’opera consegnata; Manuale di redazione 2005 pag 13 23/2/2005 14 Il conteggio dei caratteri Tradizionalmente il computo del numero complessivo dei caratteri di un documento, indispensabile per avere una stima almeno approssimativa del numero di pagine che esso sviluppa una volta stampato, si effettuava con una semplice operazione: si moltiplicava il numero dei caratteri contenuti in una riga tipo (considerando come un carattere anche ciascuno spazio tra una parola e l’altra) per il numero delle righe e si trovava il numero di caratteri per pagina; quindi si moltiplicava il valore cosı̀ ottenuto per il numero totale delle pagine. Il risultato di tale lavoro era per sua natura impreciso perché proponeva una media, comunque accettabile, per quantificare lavorazioni quali la traduzione, la redazione o la correzione delle bozze, tradizionalmente retribuiti su base quantitativa. L’avvento del computer ha reso obsoleto tale sistema di conteggio. I programmi di videoscrittura sono in grado di fornire il numero di caratteri di cui è formato un documento e ciò costituisce un metodo di conteggio indubbiamente più veloce e preciso, a patto di agire con attenzione. Non tutti i programmi infatti calcolano tale numero nello stesso modo: alcuni non comprendono gli spazi, altri ancora, secondo una prassi statunitense, forniscono solo il numero delle parole e non quello dei singoli caratteri e cosı̀ via. « sistema operativo del computer su cui è stato preparato il documento (Microsoft Windows, Linux, Macintosh o altro); « dati del programma impiegato e numero della sua versione; « elenco dei documenti consegnati, con l’indicazione della parte del documento che ciascuno di essi contiene; « numero complessivo delle pagine dello stampato che viene allegato al dischetto e numero totale dei caratteri; « elenco preciso e dettagliato degli eventuali codici convenzionali utilizzati per ottenere caratteri speciali non disponibili in tastiera (5 1.2.1). Attenzione Per ragioni di sicurezza è bene che l’autore conservi sempre una copia di quanto ha consegnato all’editore almeno fino a quando non ha fra le mani il libro stampato. b) Quella che un tempo era la modalità normale di consegna di un testo – il dattiloscritto – è ormai relegata a settori di nicchia. In ogni modo, il testo deve essere ben leggibile, in modo da facilitare il lavoro del redattore e quello dell’impaginatore. A questo scopo esso deve avere le seguenti caratteristiche: « deve essere scritto su fogli di formato standard A4 (21 c 29,7 cm); Manuale di redazione 2005 pag 14 23/2/2005 15 « ogni foglio deve contenere una media di 2000 battute (la canonica ‘‘cartella’’), ovvero, per esempio, 40 righe da 50 battute ciascuna (questo, fra l’altro, rende più agevoli i calcoli per l’ingombro del testo e per il pagamento); « tutte le pagine del documento devono essere numerate progressivamente (per eventuali aggiunte dell’ultima ora sono ammesse numerazioni del tipo 1, 2, 3, 3 bis, 3 ter ecc.); « il testo deve avere intorno a sé degli ampi margini, sia in alto e in basso (almeno 4 cm) sia ai lati (almeno 2,5-3 cm): serviranno a chi farà la revisione dell’originale per segnalare tutte le correzioni e introdurre le istruzioni per l’impaginazione; « è bene che tra una riga e l’altra ci sia uno spazio sufficiente perché possano essere comodamente inserite eventuali correzioni a mano: a questo scopo si consiglia di usare l’interlinea 1,5-2; « la stampa non deve essere sbiadita: verificare dunque che il nastro o la cartuccia dell’inchiostro non siano in via di esaurimento; « ogni nuovo capitolo deve iniziare a pagina nuova. c) Un originale sotto forma di libro a stampa si ha nei casi in cui viene decisa la riedizione di un libro fuori commercio, magari pubblicato presso un altro editore. Si tratta per molti versi di una delle situazioni più favorevoli: un testo già pubblicato non necessita in genere di una preparazione particolare (5 2.3); se, come spesso capita, esso è affidato alle cure di un esperto che si faccia garante della correttezza filologica del testo e stenda gli eventuali apparati, il lavoro redazionale si concentrerà soprattutto su questi ultimi e sarà del tipo illustrato in una delle due categorie precedenti. d) Particolari tipi di libri hanno un originale composito, ossia formato da materiale di provenienza e caratteristiche diverse. È il caso di libri antologici, miscellanee, raccolte con l’opera omnia di un autore ecc. Si raccomanda in questo caso all’autore – o più probabilmente al curatore – di essere particolarmente ordinato e preciso nella classificazione dei diversi materiali e nell’indicazione della successione in cui essi andranno sistemati. Fotocopie o appunti manoscritti possono inoltre accompagnare un testo consegnato su supporto informatico, quando il libro contenga elementi di particolare complessità (tabelle, grafici, formule matematiche ecc.) difficili da realizzare con i consueti programmi di scrittura. In tal caso è bene allegare una copia della parte in questione fotocopiata da altra fonte, che possa essere usata come modello all’atto della composizione sul sistema definitivo. 1.2 Il fornitore dell’originale Un’altra caratteristica ‘‘esterna’’ che contraddistingue qualsiasi testo che arriva in casa editrice – e che condiziona il lavoro che su di esso andrà fatto – è legata al rapporto che l’estensore del testo, nonché fornitore dell’originale alla casa editrice, ha con il testo stesso. Manuale di redazione 2005 pag 15 23/2/2005 16 Rispetto al testo, il fornitore può assolvere la parte di: a) autore, b) traduttore, c) curatore. 5 Per la diversa tipologia di lavoro che ciascuna di queste tre categorie richiede si vedano i paragrafi 2.1, 2.2, 2.3. 1.2.1 L’istruzione del fornitore Che sia autore, traduttore o curatore del testo, è bene che, ancor prima di accingersi all’opera, chi redigerà il testo originale prenda accordi con l’editore per stabilire insieme gli accorgimenti atti a facilitare le successive fasi di lavorazione. In particolare nella stesura del testo egli è tenuto a seguire coerentemente due diversi tipi di indicazioni: alcune elementari norme generali e, nei limiti del possibile, le specifiche norme redazionali dell’editore che pubblicherà il volume. Per questo secondo punto, si ricorda che generalmente ogni casa editrice possiede un apposito documento, un opuscolo interno o una semplice raccolta di appunti, che riporta in modo più o meno dettagliato e esaustivo il comportamento che essa vuole venga seguito in merito a alcune scelte di tipo meramente redazionale (uso dell’iniziale maiuscola o minuscola per alcune parole, tipo di virgolette, grafia da preferire per i termini che ne presentano più di una ecc.). Tali scelte non interferiscono in genere con il contenuto di un testo, ma sono di competenza di quell’aspetto del lavoro editoriale che è l’uniformazione interna. È opportuno dunque che una copia di tale opuscolo venga fornita all’autore, in modo che egli vi si conformi con coerenza già nella prima stesura del testo. Cosı̀ facendo, egli eviterà al redattore di effettuare tutta una serie di interventi di tipo uniformativo che necessitano di tempo e che spesso finiscono per distogliere l’attenzione dalle questioni più importanti. Per quanto riguarda le norme di natura dattilografica, esiste una serie di operazioni che è opportuno che l’autore faccia o non faccia per rendere più spedita la lavorazione successiva del libro. Ciò vale in particolare nel caso in cui il lavoro venga consegnato su supporto informatico, in quanto solo in questo modo può venire sfruttato appieno il grandissimo vantaggio offerto dalla possibilità di passare dal testo fornito dall’autore ai programmi di impaginazione mediante una semplice conversione o transcodifica. L’ignoranza dei meccanismi che regolano questo passaggio – unita in qualche caso a una vera e propria imperizia o negligenza delle norme basilari della dattilografia – fa sı̀ che l’impaginatore (o il redattore) si trovi spesso a dover ‘‘distruggere’’ ciò che l’autore, con più o meno fatica, e comunque con un dispendio di tempo, ha costruito. Si dà qui un elenco di alcune norme, elementari ma spesso disattese: « Non vanno mai inseriti nel testo spazi doppi (o addirittura multipli) tra le parole. « I segni di punteggiatura seguono immediatamente la parola che li precede e sono separati con uno spazio da quella che segue. « Il segno di apertura della parentesi va separato con uno spazio dalla parola che precede e attaccato alla parola che segue; il contrario vale per il segno di chiusura della parentesi, che va attaccato alla parola che precede e staccato di uno spazio da quella che segue. Manuale di redazione 2005 pag 16 23/2/2005 17 La transcodifica e il formato dei file Tutti i programmi di videoscrittura dotati di un’interfaccia grafica offrono funzioni più o meno avanzate di formattazione del testo, spesso utili ad autori, traduttori e redattori per rendersi conto visivamente del suo aspetto finale. L’impaginazione, però, viene effettuata con software decisamente più evoluti e fuori dalla portata di utenti non professionali del computer e, per ragioni di natura tecnica, la compatibilità (cioè la possibilità di dialogo) tra queste due categorie di software non è totale: ciò che si mantiene senz’altro inalterato nel passaggio dall’uno all’altro è solo il testo, mentre buona parte delle caratteristiche di formattazione viene irrimediabilmente persa. La formattazione, anzi, può a volte disturbare la transcodifica, causando risultati indesiderati. Per questo è bene, mentre si scrive un testo al computer, non indulgere in essa, nel vano tentativo di riprodurre qualcosa che si avvicini il più possibile alle caratteristiche grafiche del prodotto finale. È sufficiente limitarsi a specificare le varianti del carattere (corsivo, grassetto, maiuscoletto) e a evidenziare in modo chiaro e univoco la forza dei diversi titoli. Sarà compito del grafico tradurre tali informazioni nel linguaggio appropriato perché vengano correttamente interpretate dal programma di impaginazione. Anche i più moderni programmi di impaginazione, provvisti di filtri grazie ai quali possono acquisire il testo già lavorato con molti programmi di videoscrittura, non fanno altro che cancellare tutte le codifiche di formattazione (proprio questa è la funzione del filtro!) mantenendo inalterato soltanto il testo. Nella transcodifica tra piattaforme diverse (per esempio da un PC a un Macintosh o viceversa), è garantito solo il passaggio di caratteri alfanumerici ‘‘normali’’ e bisogna sempre guardarsi da una errata transcodifica di lettere accentate o simboli speciali. Esiste, però, un formato che permette di dimenticare i problemi di compatibilità, chiamato XML (extensible markup language, cioè ‘‘linguaggio di marcatura flessibile’’). In questo formato il testo è codificato secondo standard totalmente indipendenti dal software e dalle piattaforme, ricorrendo a un insieme di ‘‘marcatori’’ (stringhe di caratteri inserite in modo non nascosto) che racchiudono le porzioni di testo da gestire in modo particolare (titoli, sottotitoli, corsivi, caratteri accentati e quant’altro non sia semplicemente una sequenza di caratteri alfabetici). I file del testo di una determinata opera vengono poi accompagnati da un file di servizio, chiamato DTD (document type definition, cioè ‘‘definizione del tipo di documento’’), che contiene la spiegazione dei vari marcatori utilizzati per quell’opera. Già ampiamente utilizzato per basi di dati testuali che necessitano di una struttura logica di tipo gerarchico, ma finora riservato agli impieghi più professionali, questo formato è comunque destinato a divenire uno standard globale, grazie anche al fatto di supportare completamente la codifica Unicode dei caratteri. Manuale di redazione 2005 pag 17 23/2/2005 18 « Non bisogna dare il comando di ritorno a capo (Return o Invio) alla fine di ogni riga, ma solo alla fine del paragrafo. Il programma stabilisce da sé il punto in cui le righe del paragrafo finiscono (se queste dovessero uscire dai limiti dello schermo, si può intervenire modificando l’ampiezza dei margini laterali della pagina in modo da restringerne la giustezza, oppure, se il programma lo prevede, semplicemente diminuendo la percentuale di ingrandimento del testo sullo schermo). « Non cercate di spostare del testo verso il centro della pagina (es.: la prima riga di ogni paragrafo, un elenco rientrato, un titolo da centrare ecc.) usando una o più tabulazioni o, peggio, una serie di spazi; si lasci invece il testo allineato a sinistra: sarà il redattore incaricato di preparare il dattiloscritto per l’impaginazione a inserire le opportune indicazioni. « Tipograficamente si distingue fra tratto breve o trattino (-) e tratto medio o lineetta (–), di lunghezza maggiore (per il diverso uso dei due segni 5 8.7 e 8.8). Se non si conosce il modo per ottenere la lineetta, generalmente non presente in tastiera, la si indichi con due tratti brevi vicini (--), che saranno poi sostituiti dall’impaginatore con il carattere corretto. « Se nel testo vi sono delle note (siano esse a piè di pagina, alla fine del capitolo o alla fine del volume), non va usato il sistema di notazione automatica di cui sono forniti molti programmi di videoscrittura. Si segua invece uno di questi due metodi: a) se le note andranno a fine capitolo o a fine volume, si inserisca progressivamente per capitolo il numero di riferimento della nota nel punto opportuno del documento e si riuniscano tutte le note in un unico file a parte, con l’indicazione chiara del capitolo cui si riferiscono; b) se è previsto che le note vadano a piè di pagina, si può inserire il testo della nota direttamente nel testo, là dove andrà il numero di riferimento; per distinguerlo dal resto, il testo della nota potrà essere racchiuso tra parentesi quadre e preceduto da un’indicazione (da mantenere costante per tutto il libro) del tipo: ‘‘nota a piè di pagina:’’ (o semplicemente ‘‘N.P.’’), in neretto: sarà compito di chi impagina il libro inserire in quel punto il numero opportuno (che varierà a seconda della presenza o meno nella stessa pagina di altre note) e spostare la nota a piè di pagina. « Nel caso il testo preveda tabelle o formule matematiche, esse non vanno inserite direttamente nel testo, poiché assai difficilmente potranno essere trasferite senza problemi al programma di impaginazione. Come per le note, deve essere messa nel punto del documento in cui ciascuna di esse andrà inserita un’indicazione del tipo ‘‘qui Tabella n. X’’, racchiusa tra parentesi quadre e in neretto, e le tabelle devono essere consegnate in un file a parte. In questo modo, se possibile, le tabelle verranno direttamente inserite nel testo composto. « Se sono previste delle illustrazioni, le didascalie vanno raccolte in un file a parte, con l’indicazione del numero della figura cui si riferiscono (ed eventualmente una breve descrizione della stessa). « In generale non è opportuno dare al testo una struttura grafica che si avvicini all’impaginato definitivo (testo giustificato e sillabato, paragrafi con la prima riga rientrata, gabbia della pagina ridotta, inserimento dei titoli correnti ecc.): nel migliore dei casi tali indicazioni andranno perdute nel passaggio al programma di impaginazione; nel peggiore, potrebbero generare risultati indesiderati nel documento impaginato (comparsa nel documento di caratteri di controllo, perdita di parti del testo ecc.). Manuale di redazione 2005 pag 18 23/2/2005 19 Caratteri e computer I caratteri disponibili in un normale programma di videoscrittura non sono soltanto quelli riportati sulla tastiera: tutte le lettere dell’alfabeto latino, le più comuni vocali accentate e pochi altri segni particolari. Alcuni caratteri speciali si possono ottenere tramite una opportuna combinazione di tasti: tenendo premuto il tasto Alt e digitando contemporaneamente un numero di tre o quattro cifre sul tastierino numerico nei sistemi Windows; con i tasti Maiuscolo, Ctrl e Alt variamente combinati fra loro, più un tasto specifico nel sistema Macintosh. Un elenco completo di tali segni speciali e del modo per ottenerli si può avere cliccando sull’icona Mappa caratteri in Windows; sotto il menu Tastiera o, meglio, tramite opportuni software, nel sistema Macintosh. « Se il testo richiede l’impiego di caratteri speciali non disponibili in tastiera (per esempio i segni per la traslitterazione da lingue con alfabeti non latini, caratteri delle lingue slave e simili), è opportuno contattare preventivamente l’editore e l’impaginatore/stampatore in modo da concordare, dopo un’analisi della casistica specifica, un’opportuna gamma di codici convenzionali che possano poi essere automaticamente convertiti nel segno corretto. 1.2.2 Norme particolari per i traduttori In aggiunta a quanto detto sopra, i traduttori sono tenuti a seguire alcune indicazioni supplementari. Innanzitutto, oltre al testo con le relative note, vanno tradotti anche: « eventuali apparati (prefazione, introduzione ecc.); « l’indice generale; « le didascalie delle figure e delle tabelle e le eventuali scritte all’interno di queste ultime (lettering); « l’indice analitico, avendo cura di far corrispondere i termini a lemma con quelli effettivamente usati nel testo e, importantissimo, di lasciare i termini nell’ordine in cui compaiono nell’indice originale e non riordinarli alfabeticamente; « la ‘‘quarta’’ di copertina dell’originale e ogni altra informazione accessoria (notizie biografiche sull’autore ecc.). Se il testo originale ha una bibliografia, è indispensabile che il traduttore provveda all’integrazione dei dati, fornendo, dove esistano, i riferimenti all’edizione italiana di un’opera citata. Manuale di redazione 2005 pag 19 23/2/2005 2 LA PREPARAZIONE DELL’ORIGINALE Una volta giunto in casa editrice, il testo originale deve essere in genere preparato, prima di venire inviato alla composizione e all’impaginazione. La persona incaricata della preparazione è il redattore, il quale seguirà poi il libro lungo tutte le fasi di lavorazione, tenendo costantemente i rapporti con l’autore. 2.1 Preparazione di un originale di autore italiano La preparazione di un originale in italiano consiste in una lettura volta a: a) verificare la sua correttezza grammaticale nonché la resa stilistica; b) verificare la correttezza dei suoi contenuti; c) dare uniformità e coerenza interna al testo secondo le specifiche norme redazionali della casa editrice. a) La lettura attenta alla lingua del testo dovrà innanzitutto verificare la correttezza grammaticale e sintattica delle singole parole e frasi e l’adeguatezza del registro stilistico oltre a evidenziare e chiarire i passi poco chiari. Si tenga presente che ogni correzione di una certa entità va comunque sottoposta all’autore il quale, se è spesso restio a accettare quegli interventi che ritiene lesivi delle proprie abitudini linguistiche, è in genere ben contento di vedersi segnalare e correggere eventuali errori. Attenzione Un rischio forse implicito in questa operazione, ma da evitare assolutamente, è quello di eccedere nell’uniformazione, appiattendo cosı̀ lo stile proprio dell’autore; per quanto corretta (o addirittura elegante), una forma troppo standardizzata finirà infatti col risultare un po’ fredda e impersonale. È bene quindi intervenire solo se una regola di grammatica è palesemente disattesa, sono impiegati un termine o un’espressione impropri, vi è qualcosa che stona rispetto al registro del libro, oppure là dove la sintassi, per quanto a rigore non errata, è però tale da rendere poco chiaro il concetto che si vuole esprimere. b) La verifica dei contenuti è un’operazione altrettanto importante della correzione linguistica, in particolare nei testi di saggistica. A rigore, tutto quanto non si conosce direttamente (e molte volte anche quello che si presume di conoscere) va controllato sugli opportuni strumenti di consultazione. Nomi stranieri, dati cronologici di personalità o avvenimenti, citazioni, dati bibliografici: dietro ogni riferimento a Manuale di redazione 2005 pag 20 23/2/2005 21 qualcosa di esterno al testo o al pensiero diretto dell’autore può celarsi un errore, che spetta al redattore individuare e segnalare. c) L’uniformazione redazionale di un testo alle norme della casa editrice dovrebbe essere, come si è visto, garantita dall’autore, preventivamente istruito in merito. È tuttavia molto probabile che, per negligenza o per disattenzione, tali norme non siano state seguite con il rigore necessario; anche in questo ambito diventa quindi indispensabile l’intervento del redattore il quale, per la frequentazione quotidiana che ha con esse, è forse la persona più indicata per verificare che tutto sia conforme allo stile della casa editrice. Come nel caso della correzione linguistica, è bene non essere esageratamente pedanti nell’applicazione delle norme redazionali. L’uniformità interna è un elemento fondamentale in un libro, che contribuisce a valorizzarlo specie agli occhi di un lettore attento e esigente; essa viene comunque dopo per importanza rispetto alla correttezza della lingua e dei contenuti, e soprattutto non è sempre possibile ridurre entro gli angusti argini di una normativa rigorosa quell’insieme composito e vario che è spesso il contenuto di un libro. Attenzione Anche se l’originale è disponibile su supporto informatico, è bene che la lettura per la correzione del testo venga fatta sullo stampato. Per tutte le altre lavorazioni – quali l’uniformazione – è indispensabile lavorare direttamente sul file usando le funzioni di ricerca e, a patto di agire sempre con estrema cautela e consapevolezza dei rischi insiti in quanto si sta facendo, di quelle di sostituzione (5 anche 2.4). Una volta che l’originale è stato preparato, tutte le correzioni dovranno comunque essere inserite nel file che andrà all’impaginazione. 2.2 Preparazione di una traduzione Nel caso in cui il libro sia la traduzione di un’opera straniera, il referente principale del redattore è allora non più l’autore, ma il traduttore. A seconda dei casi, questi seguirà tutte le varie fasi di lavorazione del libro, proprio come un autore, oppure vorrà vedersi sottoposta soltanto una bozza del testo definitivo, rivisto e impaginato, per un’ultima lettura prima di dare l’assenso alla stampa del libro con il proprio nome quale traduttore. Un rapporto di collaborazione fra traduttore e redattore è la prima garanzia della buona qualità del risultato finale. Il traduttore dovrà innanzitutto mettere al corrente il redattore degli eventuali problemi specifici che il testo presenta e delle decisioni prese in merito, in modo che egli ne possa tener conto durante il lavoro di revisione. Il redattore da parte sua dovrà sottoporre al giudizio del traduttore ogni intervento o decisione di un certo spessore che riguardi il testo. Manuale di redazione 2005 pag 21 23/2/2005 22 Il pericolo nascosto dietro agli autori ‘‘fai da te’’ La sempre più capillare diffusione dei personal computer e la possibilità di far girare anche su di essi sofisticati programmi di impaginazione, unite alla perenne ricerca di stratagemmi per la riduzione dei costi nella lavorazione del libro, hanno contribuito alla crescita di una generazione di autori ‘‘fai da te’’, personaggi che mescolano alle loro doti di autore le caratteristiche del redattore, del grafico e dell’impaginatore. Specialmente nel caso di testi non particolarmente complessi dal punto di vista grafico, infatti, l’editore non esita a chiedere all’autore di consegnare il suo testo non solo definitivo e corretto dal punto di vista dei contenuti e della forma, ma già impaginato secondo le caratteristiche della collana in cui si è deciso di pubblicarlo, talvolta offrendogli persino di dotarlo di tutti gli strumenti necessari, compresi lo stesso computer e i programmi. Naturalmente questa strada è percorribile solo nel caso in cui l’autore abbia una buona dimestichezza con le apparecchiature informatiche, dimostri di conoscere le elementari norme di dattilografia e accetti di imparare a usare il programma di impaginazione. Cosı̀ facendo, il lavoro si sveltisce, in quanto il testo, salvo un sommario controllo per verificare che non vi siano errori di impaginazione macroscopici, passa direttamente dall’autore alla tipografia per la stampa. L’eliminazione, tuttavia, dell’intervento delle singole figure professionali del redattore e dell’impaginatore avviene a scapito della buona qualità del prodotto finale; senza contare che ciò fa ricadere un’ulteriore mole di lavoro sull’autore, il quale è in genere la persona già di per sé meno ricompensata rispetto al tempo impiegato nel lavoro di ricerca e stesura del testo. Anche per la revisione di un testo tradotto valgono innanzitutto le tre indicazioni date sopra per il caso dell’originale in italiano, per cui il redattore deve innanzitutto: a) verificare la correttezza grammaticale e la resa stilistica del testo; b) verificare la correttezza dei contenuti; c) uniformare il testo alle norme redazionali della casa editrice. In particolare, l’uniformazione alle norme potrà e dovrà essere qui anche più rigorosa. Similmente, per ciò che riguarda la verifica della correttezza dei contenuti, specie per i testi di saggistica, vanno controllati con sistematicità tutti i nomi non conosciuti (di persona, geografici, scientifici) e tutte le citazioni: il fatto che il libro sia già stato pubblicato – e quindi i suoi contenuti siano già stati, almeno in teoria, verificati – non esime dal verificare comunque ogni dato, comportandosi come se il libro venisse pubblicato per la prima volta: errori infatti possono essere sfuggiti nell’originale, oppure essere stati involontariamente introdotti dal traduttore (es.: nell’adeguamento delle cifre in unità di misura differenti da paese a paese, come miglia e kilometri). In Manuale di redazione 2005 pag 22 23/2/2005 23 L’editing Nel caso di un testo letterario di autore vivente il lavoro preliminare alla pubblicazione del libro può configurarsi nella forma dell’editing. Sebbene il termine sia spesso adoperato come sinonimo di lavoro redazionale, l’editing è propriamente qualcosa di diverso. L’incaricato dell’editing, l’editor, è in genere un professionista free lance che si pone a metà strada tra editore e autore. Egli lavora a strettissimo contatto con l’autore, di cui in genere gode la piena fiducia; ha il compito di segnalargli i punti deboli dell’opera a livello di trama o di forma, concordando con lui gli interventi atti a migliorarne la struttura complessiva; spesso lo consiglia in merito a come muoversi all’interno del ginepraio dell’editoria, segnalandogli a chi proporre il libro, quale momento scegliere per la pubblicazione, che ‘‘confezione’’ preferire per il libro (collana, copertina ecc.), come impostare la campagna di promozione – tutti fattori niente affatto secondari nel decretare il successo commerciale di un libro. Per svolgere al meglio questo compito l’editor dovrebbe essere una persona dotata, oltre che di una vasta conoscenza della letteratura italiana e straniera, di una competenza e sensibilità linguistica del tutto eccezionali, non disgiunte da una acuta percezione delle tendenze del mercato librario attuale. Assommando in sé tutte queste qualità, egli può davvero giocare un ruolo primario nella riuscita editoriale e commerciale di un testo. questa attività è indispensabile disporre di buoni testi di riferimento, meglio se disponibili su CD-ROM, e usare per quanto possibile le opportunità messe a disposizione dai motori di ricerca su Internet, come descritto al capitolo 15. Per il punto a, invece, alla verifica del rispetto delle regole grammaticali dell’italiano, che va fatta come se si trattasse di un documento d’autore, si aggiungono in questo caso una serie di operazioni volte al controllo della correttezza e dell’integrità della traduzione in rapporto all’originale straniero. In particolare il redattore dovrà: « verificare che nella traduzione non manchino pezzi di testo – cosa che può capitare anche al miglior traduttore; « verificare che siano state rispettate la scansione in paragrafi e la punteggiatura dell’originale, fermo restando che non sempre vi può essere corrispondenza assoluta in quanto ogni lingua presenta regole proprie che non è possibile seguire pedissequamente in un’altra; « verificare che sia stata rispettata la coerenza interna del testo originale (alcuni termini o espressioni ricorrenti vanno mantenuti, di massima, nella stessa forma anche in italiano); Manuale di redazione 2005 pag 23 23/2/2005 24 « eliminare ripetizioni e cacofonie (allitterazioni, omoteleuti ecc.) non presenti nell’originale ricorrendo a dei sinonimi (ma attenzione, cosı̀ facendo, a non inserirne di nuove); « individuare gli eventuali ‘‘granchi’’ presi dal traduttore, in particolare nel caso di espressioni idiomatiche o dei cosiddetti faux-amis (falsi amici), parole che pur avendo forma simile in quanto derivate dallo stesso etimo, hanno in realtà significato del tutto diverso nelle due lingue: i migliori dizionari li riportano ma esistono anche appositi volumi dedicati alle varie lingue. Un’aderenza troppo pedante all’originale emerge spesso anche a una semplice lettura dell’italiano, che rivela in questi punti un’ambiguità e un’oscurità subito evidenti a un occhio attento; « specie nel caso di testi letterari, verificare che il traduttore abbia colto e rispettato la musicalità e il ritmo del periodare dell’originale e che vi sia una coerenza di registro linguistico, sia tra i diversi personaggi (un carrettiere non deve parlare come un ambasciatore in missione) sia in relazione all’ambiente storico in cui il libro è situato (evitare di mettere in bocca a un personaggio del passato espressioni contemporanee). Infine, quando nel testo ci sono delle citazioni, è necessario verificare: « nel caso siano in italiano, che esse non siano state ritradotte ma attinte direttamente all’originale; « nel caso siano nella lingua dell’originale (o in qualunque altra lingua straniera), se non esista una traduzione italiana del passo citato e se sia o meno opportuno ricorrervi. 2.3 Preparazione di un libro già pubblicato Un caso particolare, ma non infrequente, è quello in cui il libro che si intende stampare non è un’opera nuova, ma un testo già pubblicato, magari molti anni prima, dallo stesso o da un altro editore. In genere, sebbene si parta da un testo a stampa, sarà comunque necessaria anche qui una fase di preparazione, la quale avrà carattere diverso a seconda dei casi. a) Se si tratta della ripubblicazione di un’opera di un autore ancora vivente, è probabile che quest’ultimo vorrà intervenire sul testo di partenza per integrarlo, correggerlo o svecchiarlo. Egli invierà allora delle correzioni che andranno inserite nel vecchio testo e il redattore avrà un referente diretto per ogni dubbio che si possa presentare, esattamente come nel caso della pubblicazione di un nuovo testo. b) Se l’autore non è più in vita e non ha eredi, allievi o continuatori della sua opera interessati a collaborare, il testo verrà presumibilmente ripubblicato senza interventi sostanziali. Specie nel caso di un testo letterario, il redattore dovrà limitarsi all’espunzione dei refusi, evitando assolutamente ogni correzione linguistica, stilistica o di punteggiatura. Se la riedizione è affidata a un curatore, a lui potranno essere sottoposti ogni eventuale dubbio interpretativo e ogni proposta di correzioni, senza dimenticare che bisogna intervenire sul testo con la massima cautela. Manuale di redazione 2005 pag 24 23/2/2005 25 L’acquisizione di testo tramite scanner È noto che l’avvento del personal computer e dei suoi accessori ha consentito in molti casi di migliorare la qualità del lavoro editoriale e soprattutto di sveltire alcune operazioni. Una delle più significative tra le nuove opportunità offerte dall’informatizzazione è certamente quella dell’acquisizione di un testo tramite la lettura con lo scanner. Anche per la scansione i vantaggi non sono tuttavia cosı̀ immediati e indiscutibili come potrebbe apparire a prima vista. Presupposti indispensabili perché la scansione sia produttiva sono innanzitutto: 1) uno scanner di buona qualità, ossia in grado di acquisire ad alta risoluzione; 2) un originale in buono stato, ossia con una stampa nitida e con un carattere uniforme; 3) infine, forse l’elemento più importante, un buon programma OCR (acronimo di optical character recognition), il software che di fatto esegue il riconoscimento dei singoli caratteri. Una volta che sussistano tali presupposti, la scansione è senz’altro più vantaggiosa dell’inserimento manuale del testo, a patto di non attendersi miracoli, per quanto riguarda sia i tempi di lavorazione, sia la qualità del testo ottenuto. Il procedimento di acquisizione è infatti comunque un’operazione relativamente lenta e meccanica: le pagine vanno passate allo scanner una a una, recto e verso; quindi devono essere fatte leggere dal programma di riconoscimento, il quale perché dia il meglio di sé deve essere istruito: durante la scansione delle prime pagine bisogna infatti indicargli come interpretare correttamente segni e lettere ricorrenti che esso tende a non riconoscere come significativi; rimangono comunque degli elementi che il programma, non potendo riconoscere, evidenzia in qualche modo (ad esempio con un asterisco) e che vanno sciolti a uno a uno; infine, sarà necessaria una lettura attenta per intervenire su tutti i termini che il software ha ritenuto di avere correttamente interpretato e che invece sono sbagliati. Alcuni refusi sono infatti tipici della lettura OCR: basti pensare alla facilità, per un sistema ottico, di confondere la coppia rn con una m oppure la l minuscola con la cifra 1. In definitiva, la lettura tramite scanner è utile nel caso di testi semplici e in buono stato dal punto di vista tipografico; ma quando il testo ha una struttura complessa, perché contiene note, tabelle, diversi caratteri o segni speciali, non c’è purtroppo alternativa alla digitazione manuale. In entrambi i casi (a e b) saranno invece possibili interventi di adeguamento della scrittura alle norme redazionali della casa editrice, limitatamente a quelle che non intaccano la sostanza del testo ma solo il suo aspetto grafico (es.: virgolette alte/basse, allineamento dei paragrafi, impiego del maiuscoletto e simili). Manuale di redazione 2005 pag 25 23/2/2005 26 2.4 La correzione ortografica Molti programmi di videoscrittura hanno al loro interno la funzione di controllo automatico dell’ortografia di un documento. Dopo aver inserito tutti gli interventi di revisione, il redattore può procedere con qualche utilità a una correzione elettronica del documento. Essa è utile in quanto consente di eliminare i più banali refusi; è bene comunque non porre in essa un’eccessiva fiducia, in quanto, come è noto, moltissimi tipi di errore (come i refusi che generano una parola esistente, la non concordanza tra articolo e sostantivo o tra soggetto e verbo ecc.) non sono evidenziati dalla funzione di correzione; in molti casi, inoltre, specie se il testo è ricco di nomi propri o di termini stranieri (ovviamente interpretati dal programma come errori), essa si risolve in un dispendio di tempo forse sproporzionato rispetto ai vantaggi che offre. La correzione sintattica, che pure molti programmi propongono, è solo un simpatico modo di perdere tempo... Manuale di redazione 2005 pag 26 23/2/2005 3 NORME GENERALI: OGNI EDITORE HA IL SUO STILE Questo capitolo e i successivi contengono una serie di norme relative alle scelte redazionali consigliate per ciascuno degli aspetti che riguardano la preparazione di un libro per la stampa. Prima di vederle a una a una, sarà opportuno premettere alcune considerazioni di carattere generale. Chiunque abbia familiarità con il lavoro di redazione sa bene come sia spesso impresa vana cercare di attenersi con rigore a indicazioni troppo rigide; non tutte le norme proposte nelle pagine seguenti hanno dunque lo stesso valore... normativo. Tranne buona parte di quelle contenute nel capitolo 7, dedicato all’ortografia, e poche altre per le quali la consuetudine editoriale è ormai ampiamente consolidata e uniforme, si tratta per lo più di indicazioni di massima. Ciò vale in particolare per gli aspetti più propriamente grafici, per l’uso del corsivo o delle virgolette, dell’iniziale maiuscola e simili. Per molti di questi elementi hanno ovviamente la precedenza su qualunque norma di carattere generale le caratteristiche particolari del singolo L’Idra dalle cinquanta teste Assillo di ogni redattore o correttore di bozze è il refuso. Esso va distinto dall’errore vero e proprio in quanto è, a rigore, lo sbaglio di battitura, il carattere in più o in meno che genera una parola inesistente o, se esistente, del tutto fuori luogo nel contesto specifico. Senza dubbio l’obiettivo finale della lettura è quello di scovare e correggere tutti i refusi, ma di fatto, almeno nella sua prima edizione, è raro che un libro ne sia del tutto privo; e anzi, quando si mantengono al di sotto di un certo numero (oltre il quale essi diventano indice di sciatteria e rendono addirittura fastidiosa la lettura), si può dire che la presenza di qualche refuso è fisiologica in ogni libro. Il problema non nasce naturalmente oggi, ma risale all’invenzione della stampa (e prima ancora lo si ritrova nei codici pazientemente trascritti dagli amanuensi). A questo proposito ecco cosa scriveva a mo’ di giustificazione il tipografo veneziano Cavallo nella prefazione a un libro pubblicato nella sua stamperia nel 1563: «In tutte le attioni humane quasi di necessità convien che succedano de gli errori: ma dove più facilmente, in più diversi modi, et più ne possono accadere che si avengano nello stampare i libri, non ne so imaginare alcuna. Et parmi la impresa della correttione di essi veramente poterla assimigliare al fatto di Hercole intorno all’Hydra de i cinquanta capi: percioché sı̀ come quando egli col suo ardire, et forze le tagliava una testa, ne rinascevano due, cosı̀ parimenti mentre co ’l sapere, et con diligentia, si emenda un errore, le più volte s’imbatte che ne germogliano non pur due, ma ancho tre et quattro, spesse fiate di maggior importanza, che non era il primo». Manuale di redazione 2005 pag 27 23/2/2005 28 libro, la necessità di conformarsi all’impostazione grafica della collana in cui esso andrà inserito, il riferimento costante (e fondamentale) al tipo di destinatario cui esso è rivolto o ancora il rispetto di quelle abitudini specifiche della casa editrice che hanno contribuito nel tempo a creare uno stile suo proprio. In linea di principio, più che l’adeguamento pedissequo a un elenco di norme astratte onnicomprensive, è importante fare in modo che il testo sia uniforme e coerente al suo interno. Questo non solo agevola la piena comprensione del testo, ma rappresenta agli occhi del lettore attento un segno della cura con cui si è lavorato al libro nel suo complesso, un indice della sua affidabilità quanto ai contenuti e, non ultimo, un fattore di godimento estetico. Infine va sottolineato che esiste una gerarchia di valori tra le diverse norme elencate ed è bene tenerla presente nel momento in cui ci si accinge a leggere la bozza di un libro per evitare di perdere di vista l’obiettivo della qualità. Un testo deve essere innanzitutto conforme alle regole ortografiche, morfologiche e sintattiche della lingua italiana: questa è una regola imprescindibile. Un libro per quanto elegante e ben impaginato perde qualsiasi valore in presenza di refusi o errori sintattici. Poi, almeno per quanto riguarda la saggistica, è fondamentale l’affidabilità dei contenuti: dati e date devono essere corretti e verificati su più fonti diverse. La tesi sostenuta dall’autore perde di ogni valore se i dati su cui si basa o ai quali si accompagna si rivelano imprecisi. Solo a questo punto viene il rispetto delle convenzioni più diffuse come l’utilizzo del corsivo o delle virgolette con proprietà. Proprio la coerenza d’impiego delle regole fa percepire al lettore un ordine redazionale che dà valore al libro. Infine viene la cura tipografica basata sul rispetto della gabbia, sulla sistemazione delle righe con spaziatura eccessiva o al contrario troppo stretta, sull’eliminazione dei righini: un insieme di attenzioni che, anche se non sembra, vengono apprezzate anche dal lettore meno critico. Manuale di redazione 2005 pag 28 23/2/2005 4 IL LIBRO E LE SUE PARTI 4.1 La copertina La copertina è una delle parti principali del libro. Si tratta infatti dell’elemento che forse più di ogni altro può indurre o meno all’acquisto l’avventore occasionale della libreria e, prima ancora, il libraio stesso. Per questo, ogni decisione al riguardo spetta in definitiva all’editore, il quale terrà eventualmente conto di suggerimenti e segnalazioni dell’autore. Dal punto di vista tipografico, essa non è un oggetto semplice, ma composito. Vi si distinguono: a) la prima di copertina o piatto della copertina; b) la quarta di copertina, cioè l’ultima pagina del libro; c) il dorso, ovvero la ‘‘costa’’ del libro, quella che si vede quando è posto in uno scaffale; d) i risvolti o alette, le due ‘‘strisce’’ stampate poste all’interno della copertina; e) la sovraccoperta che ricopre più frequentemente i volumi rilegati; f) la fascetta (o manchette) che attraversa l’intera copertina recando in genere un messaggio promozionale. a) La prima di copertina riporta, oltre all’eventuale illustrazione, il nome dell’autore, il titolo (talvolta anche il sottotitolo) del libro, il nome dell’editore con il relativo marchio e, se prevista, l’indicazione della collana. Nel caso si tratti di persona di particolare richiamo o prestigio, può venire riportato anche sulla copertina il nome del curatore o del traduttore del libro. La scelta del titolo dell’opera spetta all’editore, che tiene ovviamente conto dei suggerimenti dell’autore o del traduttore. Per quanto riguarda autore, curatore o traduttore, va fatta particolare attenzione a che il nome sia segnalato nella forma corretta, badando a rispettare l’esatto ordine di precedenza nel caso di nomi doppi o in quello di compresenza di più autori. Nel caso la copertina sia illustrata, vanno segnalati in un spazio opportuno (nel risvolto, nella pagina del colophon o nell’ultima di copertina) tutti i dati a essa relativi: autore, titolo, eventuali detentori dei diritti. b) La quarta di copertina contiene spesso brevi note relative al contenuto del libro e al suo autore (del quale è talvolta riportata anche una fotografia), il prezzo del volume e il suo specifico codice ISBN, sia nella sua forma numerica sia in quella a barre (codice EAN). Manuale di redazione 2005 pag 29 23/2/2005 30 Il verso e l’altezza del dorso A proposito del dorso esiste una irrisolta questione riguardo al verso che deve seguire la dicitura che vi compare, se cioè essa debba salire dal basso verso l’alto o viceversa. Una rapida occhiata agli scaffali di qualunque libreria – o anche solo alla biblioteca di casa propria – è sufficiente per rendersi conto che la scelta è tutt’altro che uniforme, spesso nemmeno all’interno dei libri del medesimo editore. Non esistono ragioni ineccepibili che possano far optare per una delle due alternative. Chi propende per la direzione dall’alto verso il basso difende la sua scelta sostenendo che in tal modo la dicitura può venire letta correttamente quando il libro è appoggiato orizzontalmente su una superficie nella posizione più naturale, ossia con la copertina verso l’alto. Gli altri sostengono invece che il verso dal basso verso l’alto consente di leggere correttamente i dati proprio quando, essendo il libro appoggiato su una superficie ‘‘capovolto’’, non esiste altro modo per conoscerne il titolo. La questione non si pone, ovviamente, per i libri con il dorso abbastanza largo perché il testo vi possa essere scritto in senso orizzontale, magari su più righe. Sempre a proposito del dorso, un problema tecnico tutt’altro che irrilevante è quello di stabilirne l’altezza. Come è facile intuire, questa infatti varia a seconda del numero di pagine del libro e della grammatura della carta, condizionando le dimensioni complessive della copertina (e della sovraccoperta) e gli allineamenti del testo che deve esservi stampato. Nel caso di volumi in brossura, è sufficiente misurare con un calibro l’altezza di un numero di pagine uguale a quello delle pagine del nuovo libro utilizzando un volume già pubblicato, stampato sulla stessa carta sulla quale si intende stampare il libro corrente. Per i libri di formato particolare e in genere per tutti quelli rilegati, è invece indispensabile far preparare dal legatore un prototipo (detto menabò) con le stesse pagine e lo stesso tipo di carta del libro definitivo, ma con tutti i fogli bianchi. La scrittura della quarta di copertina è un’operazione molto delicata: si tratta infatti di condensare in poche righe gli elementi che caratterizzano l’opera, riuscendo allo stesso tempo a presentarli in modo tale da risvegliare l’interesse del lettore per il libro. Il testo della quarta viene in genere redatto dall’editore o dal redattore sulla base di una scheda compilata dall’autore o dal traduttore dell’opera, i quali, per il tempo che hanno dedicato al libro, sono coloro che meglio ne conoscono i punti di forza. c) Il dorso del libro riporta in genere solo il nome dell’autore e il titolo del libro, con l’aggiunta eventuale del nome (o anche del solo marchio) dell’editore e del numero del volume all’interno di una serie o di una collana. d) In qualche caso la copertina del libro è fatta in modo che la prima e la quarta presentino sul lato libero un lembo – detto risvolto, aletta o bandella – ripiegato verso Manuale di redazione 2005 pag 30 23/2/2005 31 l’interno (è il caso, per esempio, dei libri con sovraccoperta, come descritto al punto e). Sui risvolti vengono spesso riportate, in aggiunta o in alternativa alla ‘‘quarta’’ di copertina, notizie relative all’opera, all’autore, alla collana e cosı̀ via, per le quali valgono le indicazioni fornite sopra al punto b. e) Nei libri rilegati con copertina cartonata, questa è in genere rivestita di una sovraccoperta. In questo caso è su di essa che vengono stampati tutti i dati relativi al libro, mentre la copertina al di sotto di essa riporta sul dorso per lo più solo i dati essenziali dell’opera. f) In particolari casi (per esempio: la concomitanza dell’uscita del libro con una mostra o un film, riferimento a altri libri di successo dell’autore e simili), la copertina del libro può essere arricchita da una fascetta rimovibile, sulla quale sono indicate quelle informazioni che si ritiene possano indurre all’acquisto del libro un maggior numero di persone, ma che, proprio per la loro natura estemporanea, non è opportuno che compaiano nelle altre parti della copertina. 4.2 Le pagine preliminari Le pagine preliminari sono le primissime pagine del libro, in genere le prime sei. Si tratta di pagine particolarmente importanti, in quanto contengono la carta d’identità del libro, ossia tutti i dati relativi alla sua corretta identificazione, molti dei quali obbligatori per legge, e sono pertanto da affrontare con la massima attenzione. Esse sono in genere le ultime a essere approntate e stampate, solo dopo l’approvazione dell’editore stesso o di un dirigente della casa editrice. Le preliminari vanno preparate quando la lavorazione del volume è ormai terminata, anche se devono essere tenute presenti fin dall’inizio per la corretta numerazione delle pagine del testo. Il loro numero, come accennato, è variabile, tuttavia esse si succedono di norma nel seguente ordine: a) pp. 1-2: bianche; b) p. 3: occhiello di collana; c) p. 4: controfrontespizio; d) p. 5: frontespizio; e) p. 6: retrofrontespizio. a) Il primo foglio successivo alla copertina (pp. 1-2) ha generalmente entrambe le facciate bianche, in particolare nel caso di libri di qualità. Esso è detto foglio di guardia (o semplicemente ‘‘guardia’’), perché ha la specifica funzione di proteggere le pagine del libro contenenti il testo. Oltre a salvaguardare il libro, la pagina di guardia offre uno spazio utile a chi abbia necessità di apporre al libro timbri o indicazioni varie, come per esempio biblioteche e Manuale di redazione 2005 pag 31 23/2/2005 32 Il codice ISBN... Ogni libro che viene immesso sul mercato può essere contraddistinto da un numero di serie che lo identifica... a livello mondiale. Si tratta del codice ISBN (acronimo di international standard book number, cioè, parafrasando, codice numerico internazionale per l’identificazione dei libri). Sebbene possa sembrare a prima vista un mero elenco di numeri senza nesso, il codice ISBN è in realtà costruito secondo un criterio relativamente semplice. Esso è composto da dieci cifre, suddivise in quattro gruppi separati fra loro da un trattino o da uno spazio. Il primo gruppo, che può essere formato da una a cinque cifre, rappresenta il numero identificativo della lingua in cui il libro è scritto (o del paese o dell’area geografica): 0 e 1 per l’inglese (USA, Gran Bretagna, Australia ecc.), 2 per il francese, 3 per il tedesco e cosı̀ via. Quello dell’italiano è 88 e dà un’idea del ritardo con il quale il sistema è stato adottato in Italia. Il numero del secondo gruppo identifica la casa editrice e può essere composto da un minimo di due a un massimo di sei cifre (in Italia, lo 00 è il codice della Le Monnier, Mondadori ha lo 04, Rizzoli il 17, l’Editrice Bibliografica il 7075). Il terzo gruppo contiene il numero identificativo del singolo libro, che corrisponde in pratica al numero progressivo del libro all’interno di quelli pubblicati dalla casa editrice; il numero di cifre di cui è composto questo gruppo è inversamente proporzionale a quello del gruppo precedente; ne consegue che una casa editrice con un numero identificativo molto alto ha a disposizione un numero più piccolo per i libri. L’ultima parte è composta sempre di una sola cifra compresa tra 1 e 10 (il 10 è indicato con la cifra romana X); si tratta di un numero di controllo generato automaticamente allo scopo di verificare che non siano stati commessi errori nella trascrizione dei numeri precedenti. enti – oppure, secondo una consuetudine d’altri tempi, un personale ex libris. Solitamente un foglio di guardia corrispondente è posto anche in chiusura del libro, prima dell’ultima di copertina. b) L’occhiello di collana (p. 3) riporta il nome della collana in cui è inserito il volume, eventualmente accompagnato dal numero progressivo che esso occupa all’interno della serie; dal punto di vista grafico, i due elementi sono in genere posti l’uno sopra l’altro e centrati nel margine alto della pagina. 5 Per gli occhielli si veda il paragrafo 4.4. c) La pagina del controfrontespizio (p. 4) è in genere bianca oppure può riportare altre informazioni, come l’elenco delle opere del medesimo autore pubblicate dalla casa editrice. Manuale di redazione 2005 pag 32 23/2/2005 33 ... e il codice a barre Diverso dal codice ISBN, sebbene a esso collegato, è il codice a barre o codice EAN (acronimo di European article numbering). Il codice a barre è calcolato a partire dal codice ISBN mediante un opportuno algoritmo – esistono appositi programmi in grado di compiere la transcodifica – e ha importanza soltanto dal punto di vista commerciale: serve per sveltire tutte le operazioni che riguardano il libro in quanto prodotto (gestione di magazzino, vendita nei supermercati o grandi librerie ecc.). Esso infatti non è altro che la rappresentazione di un numero tramite una serie di linee nere intervallate da spazi in modo da ridurre il margine di errore da parte dei decodificatori ottici che lo devono leggere e renderne cosı̀ più facile e sicuro l’inserimento all’interno di un sistema di gestione del magazzino e delle vendite. d) Il frontespizio (p. 5) riporta tutti i dati presenti in copertina, con l’aggiunta di quegli elementi che non si è ritenuto necessario segnalare su di essa, come l’eventuale sottotitolo del libro, il nome del curatore, del traduttore o dell’estensore di apparati o ogni altra indicazione che meriti di essere riportata (es.: Introduzione di..., Nota al testo di..., Nuova edizione riveduta ecc.). I diversi elementi – autore, titolo, sottotitolo, curatore, traduttore, editore e marchio – vanno disposti nella pagina sulla base di un criterio di buona armonia grafica. In particolare, se il titolo è troppo lungo per essere disposto su una sola riga esso va suddiviso in modo da non separare elementi grammaticalmente legati (es.: la preposizione dal sostantivo), facendo al contempo attenzione a non creare delle righe troppo disomogenee fra loro per lunghezza né troppo omogenee a formare un blocco compatto. Poiché la disposizione dei vari elementi del frontespizio è in genere costante all’interno della stessa collana, può essere utile individuare un modello cui uniformarsi tra i libri in essa già pubblicati. e) Il retrofrontespizio (p. 6) è la pagina riservata essenzialmente al colophon. Questo comprende i seguenti dati, molti dei quali obbligatori per legge: « Il copyright, che si indica con il simbolo § seguito, nell’ordine, dall’anno di pubblicazione e dal nome del detentore dei diritti di riproduzione del testo (generalmente l’editore stesso oppure l’autore e l’editore). « Nel caso si tratti di una traduzione, il titolo (completo dell’eventuale sottotitolo) e il copyright originale dell’opera e ogni altra indicazione espressamente richiesta dall’editore straniero e specificata nel contratto di cessione dei diritti per l’Italia. Anche il copyright originale va indicato nella stessa forma e ordine di quello italiano. « Il codice ISBN (solo nella sua forma numerica). Manuale di redazione 2005 pag 33 23/2/2005 34 « Per i libri ripubblicati o ristampati: la data, comprensiva di mese e anno, della prima pubblicazione e quella dell’attuale edizione o ristampa, preceduta dal numero della stessa, per esempio: Prima edizione: marzo 2004 Terza edizione: gennaio 2005 « La data di stampa del testo, con il nome e domicilio dello stampatore, preceduti dall’espressione standard «Finito di stampare il... presso/da...» (ma spesso questi dati sono collocati in una delle pagine finali del libro). Nella pagina del colophon possono inoltre comparire il nome del traduttore, qualora non sia stato messo nel frontespizio, e di chiunque altro abbia lavorato al libro e l’editore ritenga opportuno segnalare (autore dell’impaginazione, del progetto grafico, della cura redazionale ecc.), cosı̀ come eventuali ringraziamenti o altre segnalazioni; tra queste, la nota formula che ricorda il divieto di riproduzione totale o parziale e in qualunque forma del testo senza l’espressa autorizzazione dell’editore. Attenzione « La compilazione della pagina del colophon va fatta con estrema attenzione, in quanto un errore nella segnalazione dei dati in essa contenuti può essere perseguibile a termini di legge e può accendere dispute legali. In particolare nel caso di libri tradotti va consultato attentamente il contratto di cessione dei diritti, per verificare la presenza di eventuali clausole che prevedano segnalazioni specifiche. « Sebbene siano tenute presenti per il computo complessivo delle pagine, sulle preliminari non appare mai il numero della pagina (5 5.3). Nella pagina del colophon o, come per il «Finito di stampare», in una delle pagine finali, può trovare utilmente posto la scheda bibliografica del libro. Per convenzione essa viene compilata sul modello elaborato dalla Bibliografia nazionale italiana (BNI). Tale scheda è utile per enti e biblioteche che devono provvedere a una catalogazione del libro, tuttavia proprio perché deve rispecchiare precise norme di biblioteconomia è di non facile compilazione ed è in genere affidata a specialisti esterni alla casa editrice. La scheda prevede infatti diverse ‘‘aree’’ che si susseguono secondo un preciso ordine e con caratteristiche tipografiche particolari (a capo, rientri, uso degli spazi e delle parentesi ecc.) che non corrispondono alle norme consuete – anzi le contraddicono –, come la presenza di spazi prima e dopo la punteggiatura. Manuale di redazione 2005 pag 34 23/2/2005 35 La scheda bibliografica Ecco l’elenco dei vari elementi che costituiscono la scheda bibliografica suddivisi per area; il nome e la descrizione di ciascun elemento sono tra parentesi quadre, separate dai segni di punteggiatura di volta in volta previsti dalle norme di catalogazione: [Intestazione: in neretto] [Titolo] / [Formulazione di responsabilità d’autore e altre formulazioni (es. apparati ecc.): le due parti sono separate fra loro da un punto e virgola con spazio prima e dopo]. [Luogo di pubblicazione] : [Editore], [data di pubblicazione: tra parentesi quadre]. [Numero di pagine seguito dall’abbreviazione «p.»] ; [dimensioni in centimetri dell’altezza del volume]. [Collana e numero del volume all’interno di essa: tra parentesi tonde e separati fra loro da un punto e virgola con spazio prima e dopo]. [Note]. [Dati commerciali: codice ISBN e prezzo del volume, separati fra loro dai due punti, con spazio prima e dopo]. [Tracciato]. [Tracciato con notazione simbolica Dewey] Seguono due esempi di libri schedati secondo lo schema sopra descritto: nel primo caso si tratta di un volume con apparati, nel secondo di un volume con due autori. Dostoevskij, Fëdor I fratelli Karamazov / Fëdor Dostoevskij ; traduzione di Agostino Villa ; con un saggio introduttivo di Vladimir Laksin e il saggio di Sigmund Freud: Dostoevskij e il parricidio. Torino : Einaudi, [1993]. XLVIII, 1033 p. ; 20 cm. (Einaudi tascabili ; 128). ISBN 88-06-13251-2 : ~ 15,20. 1. Villa, Agostino. 891.733 Franzini, Elio Estetica : i nomi, i concetti e le correnti / Elio Franzini, Maddalena Mazzocut Mis. Milano : Bruno Mondadori, [1996]. XII, 468 p. ; 21 cm. (Sintesi). ISBN 88-424-9309-0 : ~ 26,90. 1. Estetica I. Mazzocut Mis, Maddalena. 111.85 Manuale di redazione 2005 pag 35 23/2/2005 36 4.3 L’indice generale L’indice generale del volume va collocato di preferenza in apertura del libro, prima del testo vero e proprio. Esso inizierà dunque di norma alla pagina 7, appena dopo quella del colophon, e sarà seguito dalla pagina con l’occhiello generale (5 4.4). L’indice va compilato a libro terminato ed è consigliabile verificare fino all’ultimo l’esatta corrispondenza dei titoli tra indice e testo e la correttezza del rinvio alla pagina, che potrebbero essere cambiati a seguito di interventi finali. Nell’indice generale vanno di norma indicati tutti i titoli di paragrafo, almeno fino al primo livello al di sotto del capitolo (5 4.6, punto c). Intervenendo sull’interlinea, sui rientri e su un’opportuna disposizione degli spazi bianchi tra le righe, è necessario inoltre fare in modo che l’indice rispecchi graficamente la struttura logica del libro (divisione in parti, quindi in capitoli e eventuali sottocapitoli ecc.) e che sia chiaramente distinto ciò che appartiene al testo vero e proprio dalle componenti paratestuali (5 4.7). I titoli di capitolo sono di norma allineati a sinistra, i numeri del rinvio alla pagina a destra. Tra la fine del titolo e il numero di pagina è bene non inserire alcun carattere di riempimento (es.: dei puntini o simili). I titoli di sezione o parte – che hanno normalmente un occhiello nel corso del testo (5 4.6, punto a) – possono essere allineati al centro; in questo caso non va indicato il rinvio alla pagina (viceversa, tutti i titoli allineati a sinistra devono avere il riferimento alla pagina). Si noti che non tutti i libri hanno un indice. Esso infatti può talvolta non essere indispensabile, per esempio nel caso di un romanzo non suddiviso in capitoli, o anche quando i capitoli non hanno titolo ma soltanto un numero progressivo; diventa tuttavia indispensabile anche in questo caso, qualora il libro contenga, oltre al testo del romanzo, delle componenti paratestuali (introduzione, nota al testo e simili). Le pagine dell’indice non sono di solito numerate. 4.4 Gli occhielli Con occhiello (o, meno comune, occhietto) si intende un titolo centrato nel margine alto di una pagina bianca dispari. Tranne casi particolari, è bianca anche la pagina pari successiva. A seconda del contenuto o della posizione che occupano all’interno del libro, si distinguono vari tipi di occhiello. Si è già parlato dell’occhiello di collana (5 4.2, punto b). L’occhiello generale è quello con il titolo del libro (ma senza nome dell’autore né dell’editore). Esso è collocato nella pagina appena precedente l’inizio del testo vero e proprio, ossia, di norma, la prima pagina dispari subito dopo l’indice (in presenza di introduzione, prefazione e simili, che non siano parte integrante del testo, nella prima pagina dispari successiva a tali apparati). Nel caso di libri dalla struttura logica complessa, si possono avere degli occhielli di sezione (o parte), che comprenderanno sotto di sé più capitoli (5 4.6). Manuale di redazione 2005 pag 36 23/2/2005 37 Hanno generalmente un occhiello proprio tutte le componenti paratestuali, in particolare la bibliografia (5 4.8) e l’indice analitico (5 4.9). La pagina con l’occhiello e quella subito successiva non recano mai stampato il numero di pagina. 4.5 La foliazione Fin dall’inizio della lavorazione di un volume, viene in genere calcolato il numero approssimativo di pagine che esso avrà, in quanto il dato è essenziale per determinare i costi di realizzazione e effettuare valutazioni commerciali. Solo quando la lavorazione è quasi terminata, tuttavia, è possibile fare un conteggio preciso del numero delle pagine e decidere dunque la foliazione del libro. Si determina cosı̀ il numero delle segnature necessarie per la stampa del volume. Le segnature corrispondono ciascuna a un foglio di stampa e, opportunamente piegate, tagliate e cucite insieme alle altre, compongono il volume completo. La decisione del numero di pagine di ogni segnatura è dettata dal formato dei fogli utilizzabili dalla macchina da stampa prescelta e dal formato della pagina del libro. Generalmente le segnature sono composte da 32 pagine (trentaduesimo) o 16 (sedicesimo), talvolta anche da 24 (ventiquattresimo), 48 (quarantottesimo) o 64 (sessantaquattresimo). Volendo, è possibile ottenere segnature di 8 pagine (ottavo), di 12 (dodicesimo) o anche di 4 (quartino), ma il costo di confezione o lo spreco di carta che ne può risultare porta quasi sempre le redazioni a fare del loro meglio, eventualmente modificando le componenti paratestuali, per ‘‘chiudere’’ il volume in modo che il numero di pagine per segnatura sia compatibile con il formato di stampa. 4.6 Le varie parti del testo Un testo è generalmente suddiviso al suo interno in diverse sezioni che, specie nei libri di saggistica, sono di solito strutturate in livelli gerarchici. Tale suddivisione logica deve trovare un’adeguata rispondenza sulla pagina: opportuni accorgimenti consentono infatti di dare ai vari elementi un rilievo grafico corrispondente alla loro diversa importanza. Il numero dei livelli gerarchici varia ovviamente da testo a testo e può in linea teorica procedere all’infinito. Dal punto di vista grafico, si tenga presente che i titoli devono essere in linea con lo stile dell’insieme, spiccando rispetto al testo ma senza soffocarlo. Una buona norma è quella di distinguere progressivamente ciascun livello gerarchico intervenendo sulla variante del carattere e sugli spazi bianchi prima e dopo il titolo (in genere in proporzione di 2/3 e 1/3 rispetto a quanto precede e segue il titolo) e solo in seconda istanza sul corpo o sul font. In ogni caso è bene modificare un solo parametro alla volta. Manuale di redazione 2005 pag 37 23/2/2005 38 Esempio di pagine con occhiello di sezione o di inizio capitolo Occhiello di sezione senza titolo Occhiello di sezione con titolo proprio PARTE PRIMA PARTE PRIMA IL MONDO PREISTORICO Titolo di capitolo non numerato Titolo di capitolo numerato L’AFRICA III L’AFRICA È una delle sette parti del mondo che forma, con l'Asia e l'Europa, il continente antico. Lunga ca 8000 km, da 37˚20' N (capo Bianco) a 34˚50' S (capo Agulhas), larga ca 7500 km, da 17˚32' O (capo Verde) a 51˚23' E (capo Hafun), si estende su una superficie di 30.286.170 km². È bagnata a N dal mar Mediterraneo, la cui estremità occidentale, lo stretto di Gibilterra (14,5 km di larghezza), la separa dall'Europa; a O è bagnata dall'oceano Atlantico, a E dall'oceano Indiano, a NE dal mar Rosso: a NO di questo è unita all'Asia dall'istmo di Suez, a S lo stretto di Bab al-Mandab (27 km di larghezza) la separa dalla penisola arabica. Il continente, piuttosto massiccio per forma e struttura, è costituito da un rigido zoccolo di rocce cristalline archeozoiche, tagliate da faglie e intrusioni magmatiche e coperte dalle loro stesse coltri di alterazione o da strati prevalentemente orizzontali di rocce sedimentarie, continentali e marine, delle ere successive. La forma più diffusa è pertanto quella tabulare, con vasti bassipiani nelle regioni centrali e occidentali (200-500 m di altezza) e con altipiani a oriente e meridione (1000-2000 m). Tipiche sono le fosse tettoniche, originate dall'abbassamento di blocchi delimitati da faglie e allungate parallelamente da N a S: la fossa centro-africana e la fossa orientale, marcate dall'allineamento di laghi e da manifestazioni vulcaniche. L'insieme di queste fosse, note come Grande Rift Valley africana, viene considerato uno dei principali margini divergenti tra placche litosferiche. Dai tavolati si elevano due catene montuose: all'estremo N la catena alpina dell'Atlante e, all'estremo opposto, la catena È una delle sette parti del mondo che forma, con l'Asia e l'Europa, il continente antico. Lunga ca 8000 km, da 37˚20' N (capo Bianco) a 34˚50' S (capo Agulhas), larga ca 7500 km, da 17˚32' O (capo Verde) a 51˚23' E (capo Hafun), si estende su una superficie di 30.286.170 km². È bagnata a N dal mar Mediterraneo, la cui estremità occidentale, lo stretto di Gibilterra (14,5 km di larghezza), la separa dall'Europa; a O è bagnata dall'oceano Atlantico, a E dall'oceano Indiano, a NE dal mar Rosso: a NO di questo è unita all'Asia dall'istmo di Suez, a S lo stretto di Bab al-Mandab (27 km di larghezza) la separa dalla penisola arabica. Il continente, piuttosto massiccio per forma e struttura, è costituito da un rigido zoccolo di rocce cristalline archeozoiche, tagliate da faglie e intrusioni magmatiche e coperte dalle loro stesse coltri di alterazione o da strati prevalentemente orizzontali di rocce sedimentarie, continentali e marine, delle ere successive. La forma più diffusa è pertanto quella tabulare, con vasti bassipiani nelle regioni centrali e occidentali (200-500 m di altezza) e con altipiani a oriente e meridione (1000-2000 m). Tipiche sono le fosse tettoniche, originate dall'abbassamento di blocchi delimitati da faglie e allungate parallelamente da N a S: la fossa centro-africana e la fossa orientale, marcate dall'allineamento di laghi e da manifestazioni vulcaniche. L'insieme di queste fosse, note come Grande Rift Valley africana, viene considerato uno dei principali margini divergenti tra placche litosferiche. Dai tavolati si elevano due catene montuose: all'estremo N la catena alpina dell'Atlante e, all'estremo opposto, la catena 23 23 Manuale di redazione 2005 pag 38 23/2/2005 39 Un’altra indicazione generale riguarda la collocazione del titolo rispetto alla gabbia, che può essere centrata, giustificata a sinistra o, più raramente, a destra: è bene, una volta optato per una di queste soluzioni, mantenersi fedele a essa per tutti i livelli gerarchici, discostandosene tutt’al più solo a uno dei due estremi della serie. I livelli di titolazione più comuni sono i seguenti: a) titolo di parte o sezione; b) titolo di capitolo; c) sottotitolo di livello inferiore. a) La parte o sezione, che raggruppa in genere sotto di sé più capitoli, ha un proprio occhiello (5 4.4) con le relative caratteristiche tipografiche. Le parti sono contraddistinte da un numero ordinale che nell’occhiello è scritto di norma a tutte lettere (es.: Parte prima). Se la parte ha un titolo proprio, la dicitura ‘‘Parte prima’’ e il titolo stanno di norma su due righe diverse e tipograficamente distinte fra loro (per esempio, tutto maiuscolo il titolo, in maiuscoletto o in corsivo la dicitura). Nel caso la parte non abbia un titolo proprio, comparirà solo la dicitura in maiuscolo. b) Il titolo di capitolo e, se presente, il numero progressivo, vanno opportunamente evidenziati rispetto al testo. Di norma essi vanno collocati nel margine alto della pagina in cui comincia il relativo capitolo e sono separati dal testo tramite un opportuno spazio. Allineamento e variante del carattere dipendono dalla collana o dal gusto personale (di norma essi saranno centrati e in maiuscolo; in maiuscoletto l’eventuale sottotitolo). Se necessario, il corpo può essere lievemente più grande di quello del testo. Lo spazio fra titolo e testo varia da un minimo di quattro righe di testo a un massimo non superiore alla giustezza della gabbia. La pagina in cui è collocato il titolo può essere a scelta sempre quella dispari o indifferentemente pari o dispari, a seconda di dove termini il capitolo precedente (ma va sempre a pagina dispari il primo capitolo). Iniziare ogni nuovo capitolo a pagina dispari è più elegante, ma può essere sconsigliato quando i capitoli sono particolarmente numerosi, poiché in tal modo si possono venire a creare numerose pagine bianche con il conseguente aumento del loro numero complessivo. Nella pagina precedente sono presentati quattro esempi di pagine con occhiello di parte o sezione o di inizio capitolo. c) Per i sottotitoli di livello inferiore la casistica è assai ampia e ci si può regolare di volta in volta a seconda delle caratteristiche del libro sia sul piano grafico sia su quello del contenuto, decidendo solo dopo aver preso visione della sua struttura complessiva. Attenzione I titoli su riga indipendente non hanno mai il punto finale. Due interlinee vuote, o anche una soltanto, sono talvolta impiegate per segnalare uno stacco all’interno del capitolo, pur in assenza di una nuova titolazione. Manuale di redazione 2005 pag 39 23/2/2005 40 4.7 Le componenti paratestuali Oltre al vero e proprio corpo dell’opera, il volume può contenere una serie di apparati che lo corredano. Essi sono di mano diversa da quella dell’autore (es.: il curatore) e sono collocati ‘‘ai margini’’ – all’inizio o alla fine – del testo e spesso, a sottolineare questa loro alterità rispetto al resto, sono distinti anche graficamente tramite l’impiego di un corpo del carattere più piccolo o di una sua variante (es.: corsivo). Le componenti paratestuali possono essere le più svariate, a seconda delle esigenze del libro. Ci limitiamo qui a segnalare le più comuni: a) Prefazione o Premessa; b) Introduzione; c) Appendice; d) Nota al testo; e) Postfazione. a) La Prefazione occupa generalmente poche pagine ed è talvolta opera di persona diversa non solo dall’autore ma anche dal curatore (e in tal caso è firmata). Essa apre il volume subito dopo l’indice, prima del testo e di ogni altro apparato. È in genere nello stesso corpo del testo, dal quale si può distinguere eventualmente – specie se non occupa molte pagine – attraverso l’impiego del corsivo. Non ha di norma un occhiello proprio. b) L’Introduzione è generalmente quella più strutturata tra le componenti paratestuali, tanto che può prevedere una suddivisione interna in paragrafi. È collocata prima del testo e può avere un occhiello proprio. Di norma è nello stesso corpo del testo. c) L’Appendice (o, nel caso, al plurale: Appendici) è collocata dopo il testo. Contiene in genere materiale che, pur attinente al testo base, non ne fa però parte integrante. L’appendice ha di norma un occhiello proprio, specie nel caso preveda al suo interno più parti dotate di titolazione autonoma. Tutto quanto è contenuto nell’appendice è in corpo minore (almeno un punto) rispetto al testo. d) La Nota al testo è di norma posta in calce a esso. In genere, e specialmente nel caso in cui si sviluppi su parecchie pagine, ha un occhiello proprio e va composta in un corpo minore (almeno un punto) rispetto al testo. e) La Postfazione, collocata – come vuole il nome – in chiusura del libro, è per lo più di piccole dimensioni, come la prefazione, alla quale è assimilabile anche per il fatto che è spesso opera di persona diversa dall’autore e dal curatore. Non ha di norma un occhiello proprio ed è in genere composta in corpo minore rispetto al testo. Se gli apparati sono di persona diversa dal curatore, il nome dell’estensore va indicato a scelta o in occhiello (quando previsto), o in calce all’intervento (non in Manuale di redazione 2005 pag 40 23/2/2005 41 entrambi i punti!). Nel primo caso il nome va in una riga a sé, sotto quella del titolo, con le caratteristiche grafiche di un sottotitolo; nel secondo va in maiuscoletto, allineato a destra, eventualmente separato dal testo di qualche punto (da tre a cinque punti, a seconda che l’ultima riga sia o meno piena). Altre parti, di più stretta pertinenza redazionale e che possono all’occorrenza corredare il volume, sono l’elenco delle abbreviazioni, delle illustrazioni, delle tabelle o altre note di consultazione (legende di spiegazione di simboli, indicazioni per la pronuncia di segni particolari ecc.). Esse vanno collocate nel luogo più opportuno a seconda dei casi. Sono sempre in corpo minore rispetto al resto del libro. 5 Per la bibliografia e l’indice analitico si vedano rispettivamente i paragrafi 4.8 e 4.9. 4.8 La bibliografia La Bibliografia contiene l’elenco delle opere citate nel corso del testo o che l’autore ritiene opportuno segnalare al lettore che voglia approfondire l’argomento. Una bibliografia deve essere di facile consultazione e esaustiva circa i dati dei volumi citati, in modo che il lettore interessato li possa agevolmente reperire. A tal fine, specie se i volumi citati sono numerosi, sarà necessario ricorrere a opportuni accorgimenti strutturali e grafici. Dal punto di vista strutturale: « i volumi citati, specie se numerosi, vanno suddivisi in categorie (una suddivisione sempre consigliata è quella tra opere in volume e articoli su periodici); « all’interno di ogni sezione i libri vanno elencati in ordine alfabetico per autore (per titolo se il libro non ha autore); « se di un autore sono citati più libri essi andranno in ordine cronologico. Dal punto di vista grafico essa va strutturata nel seguente modo: « ogni opera citata deve avere un proprio paragrafo, terminante con il punto; « la prima riga di ogni paragrafo deve essere a filo (non rientrata), tutte le successive rientrate di un quadratone (5 5.6.1); « se di un autore è citata più di un’opera, il nome non va ripetuto per intero ogni volta, ma sostituito dal tratto lungo seguito dalla virgola: Alighieri, Dante, Il convivio ecc. –, La vita nuova ecc. Altre norme di carattere generale sono le seguenti: « Se la bibliografia raccoglie soltanto le opere citate nel corso del volume, all’interno del quale si è optato per la segnalazione abbreviata con il nome dell’autore accompagnato dall’anno di pubblicazione (5 5.9.1), ogni paragrafo dell’elenco si aprirà con l’abbreviazione, seguita dai dati completi relativi al libro (ovviamente, senza la ripetizione della data): De Mauro 1965: De Mauro, Tullio, Introduzione alla semantica, Laterza, Bari. Manuale di redazione 2005 pag 41 23/2/2005 42 Eco 1975: Eco, Umberto, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano. – 1979, Lector in fabula, Bompiani, Milano. « Nel caso di opere straniere è indispensabile segnalare, dove esista, la traduzione in italiano. I dati di quest’ultima andranno forniti di seguito ai dati originali, racchiusi tra parentesi quadre, preceduti dall’abbreviazione ‘‘trad. it.’’: Coles, Robert, The Spiritual Life of Children, Houghton Mifflin, Boston 1990 [trad. it. La vita spirituale dei bambini, Rizzoli, Milano 1992]. « È bene, specie per le opere di una certa importanza, segnalare tra parentesi quadre anche i dati dell’edizione originale, introdotti dall’abbreviazione ‘‘ed. orig./ed. or.’’ (l’eventuale traduzione italiana andrà allora di seguito, all’interno delle stesse parentesi quadre, separata da un punto e virgola, secondo i criteri sopra esposti): Darwin, Charles, L’origine delle specie, Boringhieri, Torino 1967 [ed. orig. On the Origin of Species by Means of Natural Selection, Murray, London 1859]. Bergman, Ingmar, The Magic Lantern, trad. ingl. di Joan Tate, Hamish Hamilton, London 1988 [ed. orig. «Laterna magica», Norstedts Förlag, Stockholm, 1987; trad. it. Lanterna magica, Garzanti, Milano 1987]. 4.8.1 Indicazioni bibliografiche di un libro Ogni opera citata deve essere completa di tutti i dati necessari per il reperimento del volume o comunque significativi perché il lettore possa capire se esso gli può essere di qualche utilità. I dati completi di un libro comprendono: a) autore; b) titolo e eventuale sottotitolo; c) curatore e/o traduttore; d) numero di edizione (se diversa dalla prima); e) editore; f) luogo di pubblicazione; g) data di pubblicazione; h) collana; i) numero dei volumi; j) titolo di un singolo volume (o di più volumi). Essi vanno segnalati in questo ordine e, tranne i punti f e g, sono separati l’uno dall’altro da una virgola. Naturalmente non tutti sono sempre presenti o necessari: sono obbligatori, quando esistano, i dati dei punti a, b, f, g; sono vivamente consigliati i punti c, d, e, i; vanno riportati solo se pertinenti o significativi i punti h, j. Manuale di redazione 2005 pag 42 23/2/2005 43 a) L’autore va in tondo; il cognome precede il nome, possibilmente per esteso, dal quale è separato tramite una virgola. Nel caso di autori con due o più nomi di battesimo, è sufficiente citare quello più noto e lasciare solo l’iniziale puntata per gli altri; il nome può non essere dato per esteso anche quando la forma prevalente sia quella con la sola iniziale; tra due (o più) iniziali puntate non va alcuno spazio: Schopenhauer, Arthur, Il mondo come volontà e rappresentazione ... Hegel, G.W. Friedrich, Fenomenologia dello spirito ... Eliot, T.S., Assassinio nella Cattedrale ... Nel caso di più autori: se sono due, si citano entrambi i nomi uniti dalla congiunzione e; se sono tre o più si cita soltanto il primo, seguito dall’abbreviazione et al. (lat. et alii, ‘‘e altri’’), in corsivo; si eviti l’abbreviazione AA.VV.: Lotman, Jurij M., e Uspenskij, Boris A., Tipologia della cultura ... Cavalli-Sforza, Luigi Luca et al., Storia e geografia dei geni umani ... Se si tratta di un’opera con contributi vari, può essere indicato il nome del curatore, seguito dalla dicitura tra parentesi ‘‘a cura di’’, oppure si può entrare direttamente con il titolo (segnalando eventualmente dopo di esso il curatore); la prima soluzione è preferibile nel caso in cui il nome del curatore compaia in copertina, il secondo negli altri: Giacalone Ramat, Anna, e Ramat, Paolo (a cura di), Le lingue indoeuropee ... Chi è come te fra i muti?, Lezioni promosse e coordinate da Carlo Maria Martini ... Si inizia senz’altro con il titolo, anche in presenza di un curatore, nel caso di opere letterarie di autore sconosciuto (anche qui il nome del curatore va eventualmente dopo il titolo): La saga di Gilgamesh, a cura di Giovanni Pettinato ... Antica lirica irlandese, a cura di Melita Cataldi ... b) Il titolo e l’eventuale sottotitolo vanno dati per esteso e in corsivo. Il sottotitolo va separato dal titolo tramite un punto. Van Lysabeth, André, Tantra. L’altro sguardo sulla vita e sul sesso ... Se all’interno del titolo vi sono termini per i quali sarebbe di norma previsto il corsivo – come titoli di altre opere, termini stranieri ecc. –, essi rimangono in corsivo ma vanno posti tra virgolette caporali: Contini, Gianfranco, «Il Mulino del Po» e la carriera letteraria di Riccardo Bacchelli ... Nel caso il libro abbia più titoli, questi vanno separati fra loro da un tratto breve con uno spazio prima e uno dopo: Sciascia, Leonardo, La Sicilia, il suo cuore - Favole della dittatura ... Manuale di redazione 2005 pag 43 23/2/2005 44 Per i titoli di opere straniere, si ricorda che: « in inglese tutte le parole contenute in un titolo – tranne articoli, brevi preposizioni o congiunzioni – hanno in genere l’iniziale maiuscola; « in francese, se il titolo si apre con un articolo, è in genere maiuscola anche l’iniziale della seconda parola; « in tedesco hanno l’iniziale maiuscola tutti i sostantivi, minuscola tutte le altre parti del discorso: Thurman, Robert A.F., The Central Philosophy of Tibet, Princeton University Press, Princeton 1984. Kepel, Georges, La Revanche de Dieu, Seuil, Paris 1990. Goltz, Bogumil, Zur Geschichte und Charakteristik des deutschen Genius, Janke, Berlin 1864. Per non appesantire troppo il testo o la bibliografia, si può, nel caso dei titoli inglesi e francesi, mantenere la maiuscola solo nella prima parola del titolo e minuscolizzare tutte le altre; la maiuscola è invece sempre obbligatoria nei casi previsti dalle regole specifiche all’interno dei titoli in tedesco. Per le opere in lingue poco conosciute e che non siano state tradotte in italiano (per le opere straniere tradotte in italiano si veda sopra), può essere utile fornire comunque subito dopo il titolo originale una sua traduzione, in tondo e tra parentesi tonde. Se si tratta di una lingua scritta in caratteri non latini, inoltre, il titolo può essere dato nella forma traslitterata: Turgenev, Ivan, Polnoe sobranie sočinenij i pisem (Raccolta completa delle opere e delle lettere), Nauka, Leningrad 1960. Tale criterio è comunque legato al contesto più o meno specialistico del libro in lavorazione: va da sé che in un testo sulla grammatica del polacco i titoli in tale lingua eventualmente citati in bibliografia possono non essere tradotti; al contrario, in un testo molto divulgativo può essere utile segnalare la traduzione anche di un titolo in tedesco o in inglese. c) Il curatore e il traduttore vanno segnalati dopo il titolo. Si citano nell’ordine il nome di battesimo, per esteso o anche solo puntato, e il cognome, preceduti rispettivamente dalla formula ‘‘a cura di’’ (non abbreviata e in italiano anche nel caso di libri stranieri) o ‘‘trad. it. [fr., ingl., ted. ecc.] di’’. Se il volume non ha autore, ma solo un curatore, quest’ultimo può essere messo prima del titolo, seguito dalla dicitura ‘‘a cura di’’ posta fra parentesi (5 sopra, punto a); in tal caso, come per gli autori, con il nome di battesimo possibilmente per esteso. Oltre al nome del curatore e del traduttore, va segnalato in questa posizione ogni altro dato che si ritenga utile fornire circa eventuali introduzioni, note ecc. presenti nel libro: Spengler, Oswald, Il tramonto dell’Occidente, a cura di Rita Calabrese et al., trad. it. di Julius Evola, Introduzione di Stefano Zecchi, Guanda, Parma 1991. Manuale di redazione 2005 pag 44 23/2/2005 45 Nel caso di libri miscellanei che raccolgono gli atti di un convegno e simili, tale indicazione va fornita subito dopo il titolo del volume, fra virgole e in tondo: La poesia di Carlo Porta e la tradizione milanese, Atti del Convegno di studi organizzato dalla Regione Lombardia (Milano 16-18 ottobre 1975), Feltrinelli, Milano 1976. d) Quando si fa riferimento a un’edizione successiva alla prima, è bene segnalarne il numero e le altre eventuali indicazioni a essa relative presenti sul frontespizio (es.: riveduta, ampliata, corretta). Il numero dell’edizione può essere scritto in lettere oppure nella forma 2a, 3a ecc., in entrambi i casi seguito dall’abbreviazione ediz. o ed.: Wind, Edgar, Arte e anarchia, 3ª ediz. riveduta, Adelphi, Milano 1997. Si usi invece la formula dell’anno seguito dal numero in apice per le ristampe, nel caso si ritenga utile fornire al lettore tale indicazione (esso può per esempio essere indicativo della reperibilità o meno del volume); in questo caso la data della ristampa va subito dopo quella della prima edizione tra parentesi tonde (5 sotto, punto g): Graves, Robert, I miti greci, Longanesi, Milano 1983 (199511). e) Il luogo di pubblicazione era uno dei dati fondamentali del libro. Oggi ha meno senso di prima e poco importa al lettore sapere se un libro Laterza è stato pubblicato a Bari o a Roma. Esso va sempre dato nella lingua originale, anche quando della città esista una traduzione corrente in italiano (Paris e non Parigi, London e non Londra). Nel caso di omonimie, bisogna dare indicazioni per la precisa localizzazione. Se ci si riferisce per esempio a Cambridge in Gran Bretagna, si può omettere la nazione, mentre nel caso dell’omonimo centro degli Stati Uniti andrà esplicitato lo stato di appartenenza, anche in forma abbreviata: Guthrie, W.K.C., A History of Greek Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 1962. Harding, Rosamond E.M., An Anatomy of Inspiration, 2ª ediz., Heffer and Sons, Cambridge (Mass.) 1942. Se vi è più di un luogo di pubblicazione, i nomi delle città vanno uniti da un tratto breve, senza spazi prima e dopo, o dalla congiunzione e (in italiano anche nel caso di città straniere), a seconda della dizione corrente: Croce, Benedetto, Filosofia - Poesia - Storia, Ricciardi, Milano-Napoli 1951. Lance, J.W., Mechanism and Management of Headache, Butterworth Scientific, London e Boston 1982. Nel caso in cui il luogo di pubblicazione manchi, si usa l’abbreviazione s.l. (senza luogo), senza alcuno spazio fra le due lettere, oppure, se esso è desumibile con sicurezza per altra via o accreditato da una tradizione, lo si può segnalare tra parentesi quadre. Manuale di redazione 2005 pag 45 23/2/2005 46 Attenzione In una pubblicazione specialistica, per i volumi di classici latini (o greci), i quali hanno in genere tutte le indicazioni del frontespizio in latino, è bene che il nome della città (anche se straniera) e ogni altra indicazione vengano lasciati in questa lingua: Index Aristotelicus, edidit H. Bonitz, Berolini 1961. f) Anche se la tradizione editoriale non lo prevedeva, è bene segnalare sempre anche l’editore, in particolare per i libri pubblicati dopo il 1901 e soprattutto per quelli ancora in commercio. Questo è un servizio dovuto al lettore che altrimenti avrebbe difficoltà a reperire il libro in libreria. Nel caso di una coedizione, tutti gli editori coinvolti vanno segnalati, ciascuno seguito dalla rispettiva città, separati da un trattino con spazio prima e dopo. g) La data di pubblicazione va sempre segnalata e deve essere quella dell’edizione (non della ristampa) cui si fa riferimento. Nel caso di opere in più volumi pubblicati in date diverse, va segnalata la data di pubblicazione del primo e dell’ultimo volume, entrambe per esteso e unite fra loro da un trattino; se la pubblicazione è ancora in corso, si indica solo l’anno di pubblicazione del primo volume seguito dal trattino. Freud, Sigmund, Opere, Boringhieri, Torino 1967-1980, 12 voll. Jung, Carl Gustav, Opere, Boringhieri, Torino 1970-, 18 voll. Se si segnalano i titoli dei singoli volumi (5 sotto, punto j) con la relativa data, può venire omessa l’indicazione delle date complessive. Per le opere prive di data, si usa, a scelta ma con sistematicità, l’abbreviazione in tondo s.a. o s.d. (rispettivamente, senza anno e senza data), senza alcuno spazio fra le due lettere; nel caso in cui la data sia desumibile da qualche altro particolare o accreditata dalla tradizione, la si può segnalare tra parentesi quadre. 5 Si veda anche il punto d. h) La collana e, soprattutto, il numero del volume all’interno di essa vanno segnalati alla fine del blocchetto tra parentesi tonde solo se ritenuti significativi. Il nome della collana va in tondo senza virgolette seguito dal numero, separato da una virgola: Porta, Carlo, Poesie, a cura di D. Isella, Mondadori, Milano 2000 (I Meridiani). Richard, Millant, Les Eunuques à travers les âges, Seuil, Paris 1908 (Bibliothèque des perversions sexuelles, XIII). i) Quando un’opera è in più volumi, è bene segnalarne il numero complessivo. Questo sarà in cifre arabe, seguito dall’abbreviazione voll. Pulci, Luigi, Il Morgante, a cura di G. Dego, Rizzoli, Milano 1992, 2 voll. Per i casi in cui è necessario fornire i titoli dei singoli volumi si veda il punto j. Manuale di redazione 2005 pag 46 23/2/2005 47 Edizione e ristampa Sebbene siano talvolta usati come sinonimi, edizione e ristampa sono propriamente due cose ben diverse fra loro. La ristampa è la riproduzione di un libro nella stessa veste grafica e con gli stessi contenuti, fatta salva la correzione di eventuali refusi. La riedizione di un libro è invece la sua riproposizione in una veste grafica nuova (per esempio in una collana diversa) o con una significativa revisione dei suoi contenuti (rifacimento, aggiunta o espunzione di capitoli o di apparati), compiuta dallo stesso autore o da un curatore. Nel primo caso il numero complessivo delle pagine e la disposizione del testo all’interno di ogni singola pagina rimane inalterato; nel secondo caso in genere cambiano il numero delle pagine e l’impaginazione. Ai fini bibliografici ciò che importa è l’edizione; perciò, anche quando la copia effettivamente consultata di un libro è una ristampa, nel momento in cui lo si cita va comunque fornita la data della prima edizione. j) Se di un’opera in più volumi si deve segnalare anche il titolo dei singoli volumi, questi vanno in coda alle indicazioni relative all’intera opera. Ciò può essere fatto o per maggior completezza dei dati, oppure quando il riferimento bibliografico che interessa non è a tutta l’opera, ma appunto ai soli volumi citati; in questo secondo caso si possono omettere i dati dell’opera complessiva limitandosi a fornirli per i singoli volumi che interessano. La sezione dedicata ai singoli volumi è separata da quanto viene prima tramite i due punti; le indicazioni relative ai vari volumi sono separate fra loro dal punto e virgola. Il numero del volume va in numero romano, maiuscolo, preceduto dall’abbreviazione vol. Ogni successiva specificazione (es.: tomo, sezione) va progressivamente distinta ricorrendo per esempio al maiuscoletto e quindi al numero a tutte lettere: Wellek, René, Storia della critica moderna, il Mulino, Bologna, 2 voll.: vol. I, Dall’Illuminismo al Romanticismo, 1958; vol. II, L’età romantica, 1961. Nietzsche, Friedrich, Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano, 8 voll.: vol. III, tomo III, parte seconda, Frammenti postumi (1869-1874), trad. it. di G. Colli e C. Colli Staube, 1992. 4.8.2 Indicazioni bibliografiche di parte di un volume Se il riferimento bibliografico riguarda soltanto una parte di un volume, l’indicazione bibliografica deve essere costituita dal nome dell’autore e dal titolo di questa, seguiti dal titolo dell’opera in cui essa è contenuta, introdotto dalla preposizione ‘‘in’’ Manuale di redazione 2005 pag 47 23/2/2005 48 preceduta dalla virgola. Nel caso invece in cui l’autore (oppure il curatore) dell’opera complessiva sia diverso da quello della singola parte, esso va esplicitato per esteso. È inoltre necessario specificare le pagine del libro in cui si trova la sezione citata. Tale indicazione va alla fine dell’intero blocchetto, preceduta dall’abbreviazione ‘‘p.’’ se la pagina è una sola, ‘‘pp.’’ se le pagine sono di più, con i numeri dell’intervallo separati fra loro da un tratto breve; per i numeri superiori alle centinaia, possono essere riportate solo le ultime due cifre del secondo numero, purché la penultima di esse non sia uno zero (es.: 130-76 o 1140-50; ma 103-104); i numeri di pagina in cifre romane si scrivono sempre in maiuscoletto. Si osservi che: « I titoli di capitoli o saggi aventi un’autonomia propria all’interno dell’opera vanno sempre in corsivo, come quelli dei libri: Russell, Bertrand, The Object Language, in An Enquiry into Meaning and Truth, Allen and Unwin, London 1940, pp. 62-77. Luraghi, Silvia, Le lingue anatoliche, in Giacalone Ramat, Anna e Ramat, Paolo (a cura di), Le lingue indoeuropee, il Mulino, Bologna 1993, pp. 197-224. « I titoli di capitoli che non hanno autonomia propria vanno in tondo tra virgolette caporali: Eco, Umberto, «Verso nona. Dove Guglielmo ha un dialogo dottissimo con Severino erborista», in Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1980, pp. 68-72. « I titoli degli apparati (Introduzione, Glossario ecc.), specie quando hanno un carattere rilevante, vanno tendenzialmente in corsivo, con l’iniziale maiuscola: Mengaldo, Pier Vincenzo, Introduzione, in Alighieri, Dante, De vulgari eloquentia, Antenore, Padova 1968, pp. VII-CII. « Le voci di enciclopedie e simili vanno in tondo tra virgolette caporali, in corsivo il titolo dell’opera in cui si trova la voce: Natale, Mauro, «Collezionismo», in Enciclopedia Europea, vol. III, Garzanti, Milano 1977. 4.8.3 Indicazioni bibliografiche di periodici Per titolo e autore del singolo saggio, valgono le indicazioni date sopra. Il periodico va citato con tutti i dati utili a una sua corretta e veloce identificazione e reperimento. A questo proposito è necessario fornirne: a) il titolo, b) il numero, c) la data, d) le pagine in cui il saggio citato è contenuto. Per altre indicazioni eccezionali (es.: serie) ci si regoli di volta in volta. Manuale di redazione 2005 pag 48 23/2/2005 49 a) Il titolo del periodico va in tondo tra virgolette caporali, separato dal titolo del singolo saggio da una virgola. Nei limiti del possibile, maiuscole e minuscole rispettano quelle effettive della testata. Nel caso di riviste con lo stesso nome pubblicate in città diverse, può essere utile segnalare, subito dopo il titolo, anche il luogo di pubblicazione. b) Il numero del periodico va sempre segnalato. Generalmente ogni periodico ha un numero di annata e, nel caso di frequenza inferiore all’annuale, uno di fascicolo: di norma, il primo va in cifre romane e il secondo arabe; tuttavia, dove possibile, ci si regoli anche in base alla forma in cui il numero appare effettivamente sulla copertina del periodico. È superfluo indicare davanti ai due numeri le abbreviazioni a. (anno) e n. (numero). c) La data per esteso va segnalata solo là dove è necessaria (per esempio per i quotidiani); se si ritiene utile indicarla, essa va posta tra parentesi subito dopo il numero dell’annata o del fascicolo, a seconda che si riferisca all’uno o all’altro dei due. Nel caso di riviste straniere, il nome del mese, del giorno e simili può essere indicato in italiano. Per i quotidiani va dato il numero del giorno, il nome del mese in lettere e per esteso e quindi l’anno. d) Il numero delle pagine va indicato alla fine del blocchetto, preceduto dall’abbreviazione p., se la pagina è una sola, pp. se sono di più. In questo secondo caso i due numeri vanno separati fra loro da un tratto breve; per i numeri dalle centinaia in su, del secondo possono essere date solo le ultime due cifre, purché la penultima non sia uno zero (es.: 25-64; 118-35; ma 201-207). Le pagine in cifre romane vanno sempre in maiuscoletto. Alcuni esempi: Haiman, John, Dictionaries and Encyclopedias, «Lingua», L, 4, pp. 329-57. Croce, Benedetto, Ufficio ideale del suffragio universale, «Il Mondo», II (1950), 41 (14 ottobre), pp. 43-54. Fertilio, Dario, 1898. La strage degli innocenti, «Corriere della sera», 2 marzo 1998, p. 23. 4.9 L’indice analitico L’indice analitico è un apparato che nei libri di saggistica può utilmente corredare il volume consentendo al lettore di arrivare rapidamente al punto del testo nel quale viene affrontato uno specifico argomento. Se contiene soltanto i nomi propri citati nel corso del volume si chiama più propriamente indice dei nomi. Dal punto di vista contenutistico si ricordi che vanno tenute presenti soltanto le parti del libro in senso proprio, esclusi gli apparati, se non d’autore (prefazione, introduzione, cronologia ecc.); quanto alle note, vanno considerate solo quelle discorsive e non quelle con meri riferimenti bibliografici. Manuale di redazione 2005 pag 49 23/2/2005 50 I lemmi di entrata vanno scritti con le stesse caratteristiche grafiche che essi hanno all’interno del testo (corsivo, maiuscoletto ecc.). L’indice analitico ha di norma un proprio occhiello. Dal punto di vista grafico, esso va composto in corpo minore rispetto al testo (un paio di punti in meno), su due colonne separate fra loro da un opportuno spazio di almeno una riga tipografica (canalino o gutter). Le righe successive alla prima vanno rientrate di un quadratone. Ogni gruppo di voci con la stessa iniziale va separato dal gruppo successivo con un’interlinea vuota. Ogni voce termina senza il punto. Tutti i numeri sono separati fra loro da una virgola. Per i rinvii a più pagine consecutive, va dato il numero della prima e dell’ultima pagina, separati fra loro da un tratto breve; per i numeri dalle centinaia in su, del secondo possono essere date solo le ultime due cifre, purché la penultima non sia uno zero (es.: 25-64; 118-35; ma 201-207). I numeri che rinviano alle note a piè di pagina vanno in corsivo (se lo stesso nome o lemma ricorre tanto nel testo che nella nota andrà in tondo). È opportuno che questo (come ogni altro criterio particolare seguito) venga segnalato in apertura dell’indice (per esempio con una frase del tipo: «I numeri in corsivo rinviano alle note», posta al piede della pagina bianca successiva all’occhiello di sezione). 4.9.1 Nomi propri Va messo a lemma il cognome seguito, dopo una virgola, dal nome, preferibilmente nella forma estesa. Fanno eccezione i personaggi il cui nome è generalmente attestato nella forma abbreviata (es.: Eliot, T.S.); nel caso di compresenza di più nomi di battesimo può essere citato per esteso solo quello più comune e con l’iniziale puntata gli altri (es.: Hegel, G.W. Friedrich). Tra due o più iniziali puntate non va alcuno spazio. Eventuali titoli onorifici vanno subito di seguito al nome se fanno parte integrante di esso, tra parentesi se servono come semplice aiuto per l’individuazione del personaggio: Cavour, Camillo Benso conte di, 23, 25, 150-52 Borromeo, Federigo (cardinale), 13, 27, 160-64 Per l’esatta collocazione alfabetica dei nomi con prefissi (de, von, van e simili) si segua nei casi dubbi un testo di riferimento affidabile (per esempio l’Enciclopedia Treccani, l’Enciclopedia Zanichelli o le ‘‘Garzantine’’). 4.9.2 Nomi comuni Tutti i nomi comuni a lemma vanno scritti con l’iniziale minuscola (salvo il caso in cui essi, per particolari ragioni, sono in maiuscolo nel testo). Per le espressioni formate da più di una parola, va posto a lemma il termine più significativo. A tal fine si rende talvolta necessario introdurre un’inversione grammaticale; in questo caso va posta una virgola subito dopo il lemma d’apertura per segnalare l’inversione e va fatto in modo che al termine della lettura della seconda Manuale di redazione 2005 pag 50 23/2/2005 51 parte della voce sia logicamente e grammaticalmente previsto il lemma d’apertura (per es.: tramite l’inserimento di un’opportuna preposizione): ibisco, foglie di, 39, 75, 290-92 basalto, formazioni colonnari di, 23, 25, 150-52 cecità, guarigione dalla, 46, 54, 262 Qumran, manoscritti di, 12, 67, 200-205 4.9.3 Sottovoci Le sottovoci vanno poste in ordine alfabetico sotto la rispettiva voce, introdotte da una lineetta allineata al margine sinistro della colonna o semplicemente rientrate di un quadratone. Perché l’allineamento sia uniforme, lo spazio di bianco tra la lineetta e la prima lettera della sottovoce deve essere uno spazio fisso. La presenza di sottovoci non esclude che anche la voce generale abbia dei rimandi propri (quelli più generici), ma si tenga presente che di norma il numero di rinvio della sottovoce, in quanto più specifico, non va ripetuto anche sotto la voce principale. Che abbia o meno rinvii alle pagine, la voce principale termina senza alcun segno di interpunzione. È opportuno infine, dove possibile, che le sottovoci siano legate anche grammaticalmente al lemma di entrata, per esempio tramite una proposizione in chiusura o una congiunzione in entrata: cultura – definizione di, 60, 63, 92 – degli animali, 33, 205, 250-52 – e evoluzione, 56, 85, 192-93 4.9.4 Rinvii Il rinvio va istituito in tutti i casi in cui sia necessario e utile per il lettore, ma senza abbondare. Ci sono due tipi di rinvio: a) il rinvio secco; b) il rinvio di approfondimento. a) Per il rinvio secco si usa la formula vedi (in minuscolo e in corsivo), separata tramite una virgola da quanto precede e seguita dalla voce cui si rinvia nella forma esatta in cui essa appare al relativo luogo alfabetico: Cartesio, vedi Descartes, René indiani d’America, vedi amerindi b) Per il rinvio di approfondimento si usa la formula vedi anche (in minuscolo e in corsivo) posta dopo l’ultimo numero di pagina citato, dal quale è separata tramite un punto e virgola. Manuale di redazione 2005 pag 51 23/2/2005 52 Anche se il rinvio è a più di un lemma si usa sempre vedi anche; i diversi lemmi cui si rinvia vanno separati tra di loro da un punto e virgola: Cina, 43, 75, 150-52; vedi anche Taiwan sangue, 73, 96, 300-302; vedi anche sanguigni, gruppi; emoglobina Nel caso di una voce con sottovoci: « se il rinvio riguarda la singola sottovoce, la formula vedi / vedi anche va posta alla fine della singola sottovoce; « se il rinvio di approfondimento riguarda l’intera voce con tutte le sue sottovoci, la formula vedi anche va posta alla fine dell’elenco delle sottovoci, preceduta come queste da una lineetta: cultura – definizione di, – degli animali, – e evoluzione, – vedi anche culturali, fenomeni 4.10 Dediche e epigrafi L’eventuale dedica del libro va di norma nella pagina dell’occhiello generale, nello stesso carattere e corpo del testo, in corsivo, allineata a destra e separata da un opportuno spazio dal titolo (almeno 4-5 righe). Le epigrafi vanno in corpo minore rispetto al testo, in tondo se in italiano o in corsivo se in lingua straniera (con l’eventuale traduzione in nota), a blocchetto allineato a destra. Se il testo è in prosa la giustezza del blocchetto sarà inferiore, ma proporzionata, a quella della gabbia della pagina (es.: un po’ più della metà di quest’ultima), se è in poesia la giustezza della gabbia coinciderà, se possibile, con quella del verso più lungo. Il nome dell’autore e il titolo dell’opera da cui la citazione è tratta vanno messi a capo, subito sotto l’epigrafe; l’autore va in maiuscoletto, il titolo nella variante prevista dalle norme bibliografiche. Se l’epigrafe riguarda l’intero libro o una sezione andrà nella pagina del rispettivo occhiello; se si riferisce al singolo capitolo, nello spazio normalmente lasciato tra l’inizio del testo e il titolo, andrà in entrambi i casi 4-5 righe circa sotto l’ultima riga di quest’ultimo. Manuale di redazione 2005 pag 52 23/2/2005 53 Esempio di pagine con dedica o epigrafe Occhiello di un libro con dedica Epigrafe all’intero libro LA RICERCA DELLA LINGUA PERFETTA IL CUORE VIGILE A Trude Io non saprò certamente mai consigliarvi a secondare il bizzarro pensiero, che vi è nato, di fantasticare intorno alla lingua universale. Francesco Soave, Riflessioni intorno all'istituzione di una lingua universale, 1774. Epigrafe in lingua straniera Epigrafe a inizio capitolo DELLA VIRTÙ CONSIDERAZIONI DI UN IMPOLITICO Vergleiche dich! Erkenne, was du bist!1 GOETHE, Torquato Tasso I giacobini hanno dichiarato che la virtù è all'ordine del giorno. Büchner, La morte di Danton. Parlare del contrario di una cosa è un'altra maniera di parlare della cosa stessa, una maniera, anzi, che può servire benissimo a capirla correttamente. Apro così il nuovo capitolo prendendo in considerazione un vecchio libro tedesco – il momernto attuale mi costringe a dire ancor oggi tedesco – che fa a meno, con una disinvoltura veramente straordinaria, della virtù come la intendo io e come oggi soprattutto deve essere intesa, cioè della virtù politica. . A un viandante straniero non si addice essere rude e avere trope pretese. Non si possiede un'ampia cerchia di conoscenze, perciò non bisogna darsi arie. Bisogna invece essere cordiali e gradevoli, cercare di tirar fuori il meglio di sé, per costruire pian piano 1. «Confrontati! Scopri cosa sei!» Manuale di redazione 2005 pag 53 23/2/2005 5 IL TESTO 5.1 La gabbia Ogni pagina del libro è strutturata secondo la gabbia, ossia uno schema fisso sulla base del quale vengono disposti i vari elementi che devono trovare posto sulla pagina. La gabbia viene stabilita al momento della progettazione grafica del libro o di una nuova collana, nel qual caso si mantiene poi generalmente inalterata per tutti i volumi della serie. In un normale libro, gli elementi che trovano posto all’interno della pagina sono la colonna del testo, il numero di pagina e, talvolta, i titoli correnti. Quando l’originale viene inviato all’impaginazione, è necessario indicare le caratteristiche tipografiche previste per ciascuno di questi elementi riunendole in una scheda descrittiva. 5.2 La colonna del testo All’interno della pagina il testo è organizzato in una o più colonne, le cui dimensioni sono in funzione del formato del libro e dei margini che si è deciso di lasciare. Le note e, salvo casi particolari, le illustrazioni, vanno all’interno della colonna di testo; i numeri di pagina (siano essi in alto o in basso) e i titoli correnti sono al di fuori di essa. Le dimensioni della colonna (‘‘ingombro’’) si misurano in righe tipografiche (1 riga = 12 punti). La larghezza della colonna è detta ‘‘giustezza’’. Per quanto riguarda l’altezza, essa è in stretta relazione con l’interlinea; perché la pagina contenga un numero esatto di righe, il rapporto tra le due deve sempre essere un numero intero. Per questa ragione l’altezza della pagina si può indicare invece che in righe tipografiche con il numero di righe di testo. Se il testo è su più colonne (es.: l’indice analitico), l’ingombro complessivo è dato dalla somma della giustezza delle singole colonne più lo spazio vuoto lasciato tra una colonna e l’altra (canalino o gutter). La prima pagina di ogni capitolo ha in genere un numero di righe inferiore alla pagina standard, cominciando qualche riga più in basso del margine superiore della colonna. Lo spazio di bianco nel margine superiore della prima pagina del capitolo varia a seconda dei casi, trattandosi fondamentalmente di una questione di gusto. La prima riga del testo comincia sempre alla stessa altezza nella pagina, indipendentemente dalla presenza o meno di un titolo di capitolo o di un sottotitolo e dal numero di righe che li compongono. Manuale di redazione 2005 pag 54 23/2/2005 55 La gabbia La gabbia è la griglia regolare sulla base della quale vengono disposti nella pagina tutti gli elementi che la compongono: la colonna o le colonne del testo, i margini, il numero di pagina, gli eventuali titoli correnti. Tale griglia può essere più o meno complessa a seconda del tipo di libro e soprattutto del tipo di pubblico al quale esso è destinato, che possono richiedere una grafica accattivante o addirittura ‘‘aggressiva’’ o al contrario semplice e sobria, attenta in primo luogo alla buona armonia tra l’ingombro del testo e i margini bianchi ai lati. A questo proposito, le proporzioni classiche prevedono che il margine superiore abbia un’ampiezza di circa due terzi rispetto a quello al piede, e il margine all’interno della pagina, quello cioè verso la cucitura, sia leggermente superiore di quello esterno, specie quando il numero di pagine del volume è importante, in modo da evitare che, aprendo il libro rilegato, il testo venga a trovarsi troppo vicino alla cucitura. 5.3 I numeri di pagina Le pagine di un libro devono essere numerate progressivamente da 1 in poi. La prima pagina valida per la numerazione è il foglio di guardia (non la copertina). L’ultima pagina numerata è generalmente l’ultima che contenga del testo; le pagine successive a questa, che variano a seconda della foliazione (5 4.5), vengono utilizzate per il «Finito di stampare...» o per altre indicazioni (es.: elenco dei volumi pubblicati nella stessa collana e simili), o lasciate bianche. Il numero della pagina può essere posto esternamente alla colonna del testo. Esso può essere collocato centrato al piede della pagina oppure allineato al filo della colonna, indifferentemente in alto o in basso nella pagina; in questo secondo caso è bene variare l’allineamento in modo che il numero stia sempre nel margine più esterno della pagina, e cioè a destra nelle pagine dispari, a sinistra in quelle pari. Se il libro ha i titoli correnti, il numero di pagina va di preferenza in alto al loro fianco. Tra la colonna del testo e il numero di pagina va lasciata almeno una riga e mezzo. Non tutte le pagine del libro hanno il numero. In particolare il numero non si mette: « sulle pagine preliminari; « sulle pagine dell’indice generale; « sulle pagine con occhiello; « sulle pagine finali successive all’ultima del testo (cioè quelle col ‘‘Finito di stampare’’, l’elenco dei volumi della stessa collana ecc.); « se si è optato per l’allineamento in alto, nella prima pagina di ogni capitolo. Nel caso in cui il numero di pagina sia abbinato alla testatina, esso va messo o tolto secondo i criteri che regolano quest’ultima (5 5.4). Manuale di redazione 2005 pag 55 23/2/2005 56 Attenzione È buona regola che tutte le pagine delle bozze siano numerate, sia per facilitare il controllo dell’esattezza del computo complessivo (nonché per rendere più agevole la ricostruzione dell’esatta successione delle pagine qualora la bozza venga scompigliata). Tale numerazione appare in genere al piede o in testa al foglio di stampa, fuori dai margini del volume, accompagnato spesso da altri dati utili per tenere sotto controllo il processo di lavorazione (data, versione, nome del file ecc.). Per i numeri di pagina si usano di norma le cifre arabe. Si può eventualmente ricorrere alla numerazione romana quando prima del testo vero e proprio siano previsti degli apparati (Introduzione, Prefazione ecc.). In questo caso le pagine preliminari entreranno nel computo delle romane e la prima pagina con il numero arabo sarà quella con l’occhiello generale. La numerazione romana contribuisce in un certo senso a sottolineare la divisione interna al libro tra ciò che è testo e ciò che è apparato. Tale scelta consente inoltre di procedere nella lavorazione del libro (e soprattutto nella compilazione dell’eventuale indice analitico o dei nomi), indipendentemente dagli apparati che di solito vengono approntati solo successivamente al testo. 5.4 I titoli correnti I titoli correnti, o testatine, sono quelle intestazioni che, in molti libri, vengono poste nel margine superiore – o, più raramente, in un colonnino laterale – di tutte le pagine. Scopo del titolo corrente è quello di aiutare il lettore a orientarsi all’interno del testo, indicandogli in ogni momento la sezione e il capitolo in cui si trova. Per questa ragione, se sono in genere trascurabili in testi di narrativa, divengono addirittura indispensabili in opere di saggistica, opere teatrali ecc. Dal punto di vista grafico, il titolo corrente va in un corpo più piccolo (in genere un punto in meno) e in una variante del carattere diversa rispetto al testo (es.: in corsivo o in maiuscoletto); in qualche caso, a sottolineare la separazione dal testo, può essere utilizzato un filetto. La testatina non va messa nella prima pagina del capitolo (quella con il titolo) e in generale in tutte le pagine in cui sono presenti in alto degli elementi anomali – una citazione centrata, una tabella, un grafico – che potrebbero entrare in conflitto con la testatina stessa. Quanto al contenuto, le testatine vanno cosı̀ strutturate: sulla pagina pari (quella di sinistra) va data l’indicazione più ‘‘ampia’’, per esempio il titolo stesso del libro o il titolo di sezione; sulla pagina dispari (quella di destra, la più visibile), l’indicazione più specifica, di solito il titolo del capitolo o del paragrafo. Le testatine delle pagine con gli eventuali apparati paratestuali recano invece sia sulla pagina pari sia su quella dispari il titolo del singolo apparato (es.: Introduzione, Note al testo, Indice dei nomi). Manuale di redazione 2005 pag 56 23/2/2005 57 Pica e Didot Le misure tipografiche si esprimono di norma in punti e in righe (1 riga = 12 punti), specialmente per quanto riguarda il corpo dei caratteri e l’interlinea; la giustezza e le altre dimensioni della gabbia sono oggi invece espresse in millimetri. Attenzione, però. Esistono infatti due sistemi di misura: il sistema Pica, diffuso in particolare nei paesi anglosassoni, e il sistema Didot (detto anche Cicero), diffuso nell’Europa continentale. In entrambi le due unità base sono il punto e la riga tipografica, ma nel primo il punto equivale a 0,376 mm (1 riga = 4,512 mm), nel secondo a 0,351 mm (1 riga = 4,217 mm). Il sistema Didot deve il suo nome a François-Ambroise Didot (Parigi 1730 - ivi 1804), discendente di una nota famiglia di tipografi francesi, che lo introdusse nel 1770. Più oscura è invece l’origine del nome Pica, che è propriamente il nome latino della gazza; esso pare risalire al fatto che tale misura fu desunta dal carattere usato per la stampa di un libro liturgico della chiesa inglese del tardo medioevo detto appunto ‘‘pica’’ (resta tuttora poco chiara la relazione tra il libro e la gazza...). Le tipografie tradizionali lavorano comunemente in punti Didot; i programmi di impaginazione più diffusi, invece, vista l’origine anglosassone della maggior parte dei software, consentono di lavorare in entrambi i sistemi; è necessario dunque, al momento di intraprendere un lavoro, sceglierne uno dei due e attenervisi con coerenza. 5.5 Il carattere e l’interlinea Tutti i libri all’interno della stessa collana – e spesso tutti i libri dello stesso editore – hanno di norma lo stesso carattere. Tranne casi particolari (5 4.7, punto a), la variante usata per il testo base è il tondo. Le dimensioni del carattere si misurano in punti tipografici; esse variano a seconda delle necessità, ma, per la maggior parte dei libri, si mantengono entro un intervallo che va dai 9 ai 14 punti (di solito tra 11 e 12). Anche l’interlinea, lo spazio tra la linea base di due righe successive, si misura in punti tipografici e varia in funzione del carattere. Più in particolare, essa non può mai essere inferiore al corpo del carattere (le parti ascendenti e discendenti dei caratteri verrebbero a toccarsi!); di solito il suo valore è equivalente o appena superiore a quest’ultimo. 5 Per il rapporto tra l’interlinea e l’altezza complessiva della pagina si veda il paragrafo 5.2. Corpo del carattere e valore dell’interlinea vengono sempre comunicati assieme, convenzionalmente nella forma frazionaria del tipo 11/11 (leggi: undici su undici), dove il primo numero si riferisce al carattere e il secondo all’interlinea. Manuale di redazione 2005 pag 57 23/2/2005 58 Intervenendo sull’interlinea di ogni riga di una pagina, è possibile aumentare o diminuire di un’unità il numero complessivo di righe in essa: in pratica, a ogni riga della pagina viene tolta o aggiunta una quantità (frazionaria) di punti pari al valore di un’interlinea. Aggiungere dei punti per ridurre il numero delle righe si dice interlineare, l’inverso sterlineare. I programmi di impaginazione compiono in genere entrambe le operazioni in automatico, per evitare il formarsi di righe ‘‘vedove’’ (5 5.6.4). Tale opportunità va comunque tenuta presente da parte del redattore nel caso che egli sia costretto a fare un intervento sul testo impaginato che implichi lo scarto di una riga, ma per il quale non si vuole (o non è possibile) che vengano interessate le pagine circostanti. Bisogna però tener presente che le buone regole di grafica editoriale sconsigliano di abusare di questa funzione perché la presenza di una riga in più o in meno in una pagina non sfugge all’osservazione. 5.6 5.6.1 I paragrafi Testi in prosa Nei libri in prosa la prima riga di ogni paragrafo è in genere rientrata per scandire meglio il testo nella pagina. La dimensione del rientro non deve essere né troppo piccola né troppo grande e proporzionata alla lunghezza della riga: di norma essa equivale a un quadratone oppure alla misura dell’interlinea. La scelta se usare o meno il rientro nella prima riga del paragrafo è puramente estetica. Il rientro è una delle più vecchie convenzioni della prassi editoriale, è elegante e aiuta il lettore nella scansione visiva della pagina e delle righe (per questo viene talvolta lasciato allineato al margine la prima riga del paragrafo che segue un titolo). Esso va evitato quando la giustezza è particolarmente contenuta, come nei testi su due colonne o in libri di piccolo formato. In questo caso va tuttavia fatto in modo che la suddivisione in paragrafi rimanga comunque evidente: a tale scopo, se l’ultima parola di un paragrafo viene a coincidere esattamente con la fine della riga, è bene evidenziare la fine del paragrafo o restringendo la riga o allungandola, cioè mandando a capo l’ultima parte di essa (ma attenzione, cosı̀ facendo, a non creare un righino, 5 5.6.4). Il rientro non va mai usato: « quando il testo è a bandiera; « nelle didascalie; « nel primo paragrafo delle note al piede (sı̀, in quelli successivi); « nelle epigrafi. Per tipi particolari di testo (es.: elencazioni, bibliografie) può essere di beneficio per il lettore l’utilizzo di paragrafi con la prima riga sporgente e tutte le successive rientrate di un quadratone. Manuale di redazione 2005 pag 58 23/2/2005 59 Esempio di scheda con le indicazioni per l’impaginazione Autore: GIANLUCA ANGHINELLI Titolo: Storia della barca a vela Collana: I libri del mare Testo: Times 11/12 Corpo infratesto: un punto in meno rispetto a quello del testo; rientrato a destra e a sinistra di un quadratone Corpo note: 8/9 Dida: Times 10/11; stessa giustezza del testo. Ingombro: giustezza 28 righe tipografiche altezza 42 righe tipografiche altezza prima pagina di ogni capitolo 35 righe tipografiche Titoli correnti: Times corsivo; corpo 10; distanza dal testo: 1,6 interlinee; tra titolo e testo filetto 0,1 Numero di pagina: Helvetica nero; corpo 10; margine alto della pagina; allineato a destra pagina dispari, sinistra pagina pari Titolo di parte: Pagina occhiello; Times M.lo; corpo 14; centrato Titolo capitolo: Times M.lo; corpo 11; centrato al margine superiore della pagina Titolo paragrafo: Times M.etto; corpo 11; centrato; tre interlinee vuote prima, una interlinea dopo Titolo sottoparagrafo: Times M.lo/m.lo corsivo; a filo; due interlinee prima e mezza dopo Manuale di redazione 2005 pag 59 23/2/2005 60 5.6.2 Testi in poesia Nei libri di poesia rientri e a capo sono ovviamente in relazione con il tipo di componimento e di verso. In linea generale si ricorda che: « la maiuscola a inizio verso si ha solo quando è richiesto dalla punteggiatura; « se un verso è più lungo della giustezza della colonna, si manda a capo l’ultima parte di esso e la si allinea a destra, evitando però di separare le parole (non è necessario che la parte a capo sia preceduta dalla parentesi quadra). 5.6.3 Testi teatrali Nei testi teatrali la prima riga del paragrafo (quello con il nome del personaggio) è sempre a filo; sono rientrate di un quadratone tutte le successive. Il nome del personaggio va distinto dal testo vero e proprio ricorrendo a una diversa variante del carattere (es.: maiuscoletto) e inserendo un opportuno spazio bianco (es.: un quadratone) tra i due, senza nessun altro segno di interpunzione. Eventuali didascalie vanno in corsivo, tra parentesi tonde. Ogni atto inizia a pagina nuova, come se si trattasse di un capitolo. Esempio di testo teatrale Se la mia pianta crescerà lı̀, il raccolto sarà vostro. Mio nobile Cawdor! (a parte) Il principe di Cumberland! È un gradino in cui devo inciampare, a meno di non saltarlo, perché sta sulla mia strada. Stelle, spegnete la vostra fiamma! La luce non veda i miei tenebrosi e cupi desideri. L’occhio non veda quel che la mano fa. (Esce) DUNCAN È vero nobile Banquo: è cosı̀ colma la misura del suo valore, che io mi nutro delle lodi a lui tributate: sono un banchetto per me. Seguiamolo là dove la sua cura ci ha preceduti per darci il benvenuto. (Squilli di tromba. Escono) BANQUO DUNCAN MACBETH SCENA QUINTA Una stanza nel castello di Macbeth. Entra Lady Macbeth leggendo una lettera. «Mi sono venute incontro nel giorno del successo, e io ho appreso da fonti sicure che esse sanno più di quanto non conoscano i mortali. Quando ardevo dal desiderio...». Entra un messo Che notizie mi porti? MESSO Il re viene qui questa notte. LADY MACBETH Manuale di redazione 2005 pag 60 23/2/2005 61 Ogni nuova scena va di seguito separata da un adeguato spazio bianco dal testo che precede (es.: tre interlinee vuote) e che segue (es.: una interlinea vuota), come un titolo di sottocapitolo; la dicitura ‘‘scena’’ e il relativo numero in numeri romani o in lettere vanno in maiuscoletto. 5.6.4 Righini, vedove e orfane Il ‘‘righino’’ è nel gergo tipografico una riga eccessivamente breve rispetto alla giustezza della pagina e che per questo è ritenuta poco elegante. Un righino può essere eliminato o allungando la riga o facendo rientrare le sillabe in esubero nella riga precedente. La prima soluzione è generalmente preferibile in quanto non altera il numero complessivo di righe nella pagina. Si può ‘‘rubare’’ qualche sillaba alle righe precedenti creando degli a capo forzati (ma attenzione cosı̀ facendo a non creare delle righe troppo larghe), oppure, se possibile, inserendo un termine (un avverbio o simili) o un sinonimo più lungo (invece di solo, solamente o soltanto) in una delle righe appena precedenti. La seconda è attuabile seguendo le stesse procedure elencate qui sopra, all’inverso. Si noti tuttavia che in questo caso la pagina viene a avere una riga in meno, che va in qualche modo recuperata: interlineando o sterlineando (5 5.5) la pagina, o facendo slittare via via una riga dalle pagine successive fino a che non venga recuperata. Prima di intervenire in questo senso è bene dunque verificare che tale soluzione non provochi problemi maggiori di quello rappresentato dal righino. Non è ovviamente possibile stabilire un discrimine assoluto al di sotto del quale una riga diventa un righino. Molti fattori diversi concorrono a determinarlo (la giustezza complessiva della pagina, la presenza di altre righe brevi nella stessa pagina ecc.), il principale dei quali è in definitiva il gusto personale del redattore. Una riga formata da una sola sillaba è senz’altro un righino (e dei più brutti), una di tre sillabe può non esserlo in un libro di piccolo formato. In ogni caso si intervenga a eliminare un righino solo là dove è possibile farlo senza troppi problemi; lo si lasci se si dovesse constatare che i rimedi sarebbero peggiori del male. Altra prassi editoriale è quella di lasciare sempre all’inizio di ogni pagina almeno due righe di testo (meglio ancora tre), evitando che l’ultima riga di un paragrafo finisca da sola in testa a una pagina (riga ‘‘vedova’’). Se opportunamente impostati, i programmi di impaginazione sono in grado di evitare automaticamente il formarsi di tali righe, tuttavia tale limitazione va tenuta presente dal redattore che si accinge a intervenire su un testo già impaginato con correzioni che implicano un cambiamento del numero di righe in una pagina e il conseguente slittamento di righe dalle pagine limitrofe. È invece per lo più tollerata, anche se non elegante, la cosiddetta riga ‘‘orfana’’, ossia la prima riga di un paragrafo da sola alla fine della pagina. Manuale di redazione 2005 pag 61 23/2/2005 62 Lo spazio tra le parole e le righe Nella composizione tipografica a piombo di un testo giustificato, il tipografo decideva riga per riga quali spaziature interporre tra le parole di una riga in modo che essa occupasse esattamente l’ampiezza della colonna. Egli aveva a disposizione una serie di spazi di misura diversa, ossia dei piccoli elementi fissi dello stesso materiale dei caratteri che doveva manualmente inserire tra le parole. In genere aveva a disposizione sette tipi di spazi diversi, la cui misura in punti variava in proporzione al corpo del carattere: due spazi fini (corrispondenti a un ottavo e a un sesto del corpo), il mezzano (un quarto del corpo), il terziruolo (un terzo), il quadratino (metà del corpo), il quadrato (uguale al corpo) e il quadratone (il doppio del corpo); oltre a questi esisteva lo spazio finissimo, uguale per tutti i corpi in quanto di misura equivalente a un punto tipografico. I programmi di impaginazione sono invece in grado di intervenire automaticamente sull’ampiezza dello spazio tra una parola e l’altra per fare in modo che la riga occupi tutta la giustezza della pagina; in genere è possibile fornire l’indicazione del margine massimo e minimo entro il quale tale ampiezza deve mantenersi e il programma lavora poi in piena autonomia. In questo tipo di composizione esistono inoltre tre diversi tipi di spazio fisso: lo spazio fine (o, all’inglese, thin space), lo spazio medio o quadratone (in inglese en space, perché la sua lunghezza è pari grosso modo alle dimensioni della lettera n nel rispettivo carattere e corpo) e il doppio quadratone (o em space, perché equivalente a una m). Quello che una volta era difficile da realizzare era la modifica dell’interlinea di una colonna necessaria affinché il testo arrivi ad appoggiarsi alla base della gabbia anche in presenza di spaziature non multiple dell’interlinea di base (per esempio nel caso di titoli o di figure inserite nella colonna); questa operazione veniva fatta inserendo manualmente dei sottili spessori tra una linea e l’altra. A questa funzione, che oggi è incorporata nei programmi di impaginazione con il nome di ‘‘giustificazione verticale’’, bisogna ricorrere però con moderazione, poiché un testo a più colonne in cui le righe non sono allineate tra una colonna e l’altra può risultare sgradevole all’occhio. 5.6.5 Altre norme grafiche Di norma la spaziatura tra le parole all’interno della riga oscilla entro un certo valore. Può capitare che per le necessità di giustificazione della riga tale spazio sia talvolta eccessivamente ampio o, al contrario, eccessivamente stretto. In gergo tipografico, nel primo caso si parla di ‘‘riga larga’’, nel secondo di ‘‘riga stretta’’; entrambe sono considerate inestetiche, in particolare quando a seguito di ciò la riga spicca all’interno della pagina e può disturbare la leggibilità. Nei limiti del possibile in questi casi è dunque necessario intervenire per correggere l’inconveniente. Ciò si può fare in due modi differenti: modificando la sillaba- Manuale di redazione 2005 pag 62 23/2/2005 63 zione in modo da ‘‘rubare’’ qualche lettera alle righe circostanti (ovviamente facendo attenzione a non creare cosı̀ facendo delle nuove righe troppo larghe) oppure, se il testo lo consente, allungando la riga tramite l’impiego di un sinonimo con qualche lettera in più. Un altro problema frequente nei testi composti elettronicamente (fotounità o personal computer) è la parziale sovrapposizione che viene talora a crearsi tra caratteri ascendenti e discendenti su due righe contigue. Il caso più frequente è quello della e maiuscola accentata (È / É), il cui accento va a sovrapporsi alla parte discendente di una lettera della riga superiore (p, g, q ecc.). Si presenta dunque la necessità di sfalsare fra loro tali caratteri intervenendo sulla sillabazione alla fine delle righe coinvolte (o con lievi interventi sul testo). Analogamente, risultano talvolta troppo ravvicinati fra loro il segno di punteggiatura in tondo (in particolare punto e virgola, punto interrogativo e esclamativo, parentesi di chiusura ecc.) e l’ultima lettera di una parola in corsivo. In questo caso è necessario distanziare leggermente tra loro i due caratteri aumentando manualmente lo spazio fra di essi. Infine, ulteriori raffinatezze sono quella di spaiare fra loro le righe in cui più parole (o parti di parola) identiche vengano a trovarsi incolonnate, specie quando questo avviene a inizio o a fine riga, e quella di evitare che più righe consecutive terminino con un a capo (tradizionalmente il limite tollerato è di tre a capo consecutivi). 5.7 Le citazioni Quando all’interno di un libro viene riportato un brano di un altro testo ciò va evidenziato anche dal punto di vista tipografico. Nei paragrafi successivi si danno alcune indicazioni relative ai diversi tipi di citazione. Qui si ricorda che, in linea generale: « ogni citazione richiede che vengano dati gli estremi della sua fonte (in nota o tra parentesi tonde alla fine della stessa citazione nel caso non siano previste note); « ogni citazione va, se possibile, sempre controllata sulla fonte da cui proviene; « le citazioni in lingua straniera vanno date di norma nella lingua originale con la traduzione in nota; « eventuali omissioni di una parte della citazione vanno segnalate tramite l’uso dei tre puntini, preceduti e seguiti da uno spazio, anche senza l’impiego delle parentesi quadre (non è in genere necessario usare i tre puntini all’inizio e alla fine della citazione); « quando è introdotta dai due punti, una citazione inizia di norma con la maiuscola; « tutto ciò che, pur all’interno delle virgolette, non fa parte della citazione (commenti, spiegazioni, integrazioni) va posto tra parentesi quadre; « se è necessario porre tra virgolette un termine o un’espressione che si trovano all’interno di una citazione già tra virgolette caporali, vanno usate le virgolette alte (‘‘ ’’) e gli apici (‘ ’) per il grado successivo. Manuale di redazione 2005 pag 63 23/2/2005 64 Attenzione Poiché, secondo le norme che regolano il diritto d’autore, non è possibile citare un passo di un’opera senza autorizzazione, quando si utilizzano brani di autori ancora tutelati (o di traduzioni nella stessa condizione) è bene comunicare la cosa a chi nella casa editrice si occupa di tali questioni affinché, se è il caso, chieda gli opportuni permessi (spesso tutto si risolve senza problemi, ma è sempre meglio avvisare preventivamente, specie nel caso in cui le righe citate siano numerose). 5.7.1 Citazioni in prosa Se breve, una citazione in prosa può andare di seguito nel testo, tra virgolette caporali (« »). Se è lunga o altre considerazioni lo consigliano, si può porla al di fuori del testo, nel quale caso è opportuno distinguerla in qualche modo dal resto, per esempio: « semplicemente mettendo a capo il blocchetto racchiuso tra virgolette caporali (« ») nello stesso corpo e giustezza del testo senza spazio aggiuntivo oltre alla normale interlinea; se la citazione prosegue per più di un capoverso, le virgolette vanno riaperte all’inizio di ogni capoverso, ma chiuse soltanto alla fine di tutta la citazione; « mettendo il blocchetto a capo, senza virgolette, con un rientro a destra e a sinistra (di solito equivalente a uno spazio corrispondente a quello del rientro della prima riga del paragrafo del testo principale), separato di mezza o di una interlinea da quanto precede e segue; spesso in questo caso si usa anche utilizzare un corpo minore. Anche le citazioni in lingua straniera, specie se particolarmente lunghe, possono rimanere in tondo. 5.7.2 Citazioni in versi Se la citazione è breve e estemporanea, essa può essere lasciata di seguito nel testo, tra virgolette, con i versi separati dalla barra verticale ( | ), piuttosto che da quella obliqua, con uno spazio prima e dopo; la doppia barra ( || ) indica la separazione di strofa. Se i versi sono numerosi si citano ponendoli in un blocchetto centrato nella pagina sul verso più lungo, nello stesso corpo del testo e senza virgolette di apertura e chiusura; è bene separare il blocchetto dal testo principale con mezza o una interlinea bianca. Se nella stessa pagina vi sono due o più blocchetti di versi, tutti gli incipit dei versi devono essere allineati fra loro; verrà dunque centrato il verso più lungo di tutti i blocchetti e gli altri saranno allineati di conseguenza. Quando un blocchetto è suddiviso su due pagine, ognuna delle due parti deve essere allineata a sé. Se la lunghezza di un verso supera la giustezza della pagina, l’ultima parte di esso va posta a capo allineata verso destra, in modo che la fine del moncherino coincida grosso modo con la fine del verso cui appartiene. Manuale di redazione 2005 pag 64 23/2/2005 65 Esempio di citazione di lettera Firenze 24 ottobre 1832 Caro Papà mio, torno in questo punto da una breve passeggiata che ho fatto dopo un mese giusto di ritiro. Sto sufficientemente, e spero che le forze mi torneranno presto, se la stagione mi lascerà fare un poco di moto. Non sono ancora deciso dove passare l’inverno, e la decisione dipenderà in gran parte dalla mia salute. Caro Papà mio, scriverei più, ma gli occhi non mi concedono altro. Saluto tutti, e bacio a Lei affettuosamente la mano. Il suo Giacomo. P.S. Aspetto a momenti l’esemplare del Bonafede, che deve già essere in Firenze. Se i versi da spezzare fossero particolarmente numerosi, si può pensare all’eventualità di ricorrere a un corpo minore, da usare nel caso per tutte le citazioni in poesia presenti nel libro. Anche i versi in lingua straniera vanno in tondo. L’eventuale traduzione va data in nota, con i versi di seguito, separati dalla barra verticale ( | ), piuttosto che con quella obliqua, con uno spazio prima e dopo; la doppia barra ( || ) indica la separazione di strofa. Si ricorda infine che i versi italiani iniziano con l’iniziale maiuscola solo quando richiesto dalla punteggiatura, mentre in alcune lingue straniere (es.: inglese) di norma ogni verso comincia con la maiuscola: tale consuetudine va rispettata nella citazione. 5.7.3 Citazioni di lettere Quando si cita una lettera nella sua interezza va fatto in modo che, attraverso un opportuno utilizzo degli allineamenti e degli spazi bianchi tra le diverse parti, venga riprodotta il più fedelmente possibile la sua struttura originale. In particolare: « data e firma vanno giustificate a destra; « l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il testo ha i paragrafi rientrati; è invece rientrata la prima riga di ogni successivo paragrafo; « la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto tra la data e l’inizio della lettera (circa mezza interlinea), tra l’intestazione e il primo paragrafo (circa tre punti) e tra la fine della lettera e la firma (circa mezza interlinea). Manuale di redazione 2005 pag 65 23/2/2005 66 Diversi esempi di elencazioni 1. data e firma vanno giustificate a destra; 2. l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il testo ha i paragrafi rientrati; è rientrata la prima riga di... 3. la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto... a) data e firma vanno giustificate a destra; b) l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il testo ha i paragrafi rientrati; è rientrata la prima riga di... c) la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto... I - data e firma vanno giustificate a destra; II - l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il testo ha i paragrafi rientrati; è rientrata la prima riga di... III - la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto... - data e firma vanno giustificate a destra; - l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il testo ha i paragrafi rientrati; è rientrata la prima riga di... - la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto... « data e firma vanno giustificate a destra; « l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il testo ha i paragrafi rientrati; è rientrata la prima riga di... « la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto... 5.8 Elencazioni Un’elencazione per punti può essere fatta di seguito nel testo (se è necessario risparmiare spazio) o andando a capo per ogni singolo punto. I singoli punti possono essere evidenziati a seconda dei casi (e delle preferenze personali) con numeri o lettere (queste ultime preferibilmente in corsivo e minuscole), o qualcuno dei simboli di solito impiegati in questi casi (un pallino nero, come in questo libro, una lineetta, un segno di spunta ecc.). Numeri e lettere sono da preferire se nel testo è previsto un richiamo ai punti dell’elencazione. Manuale di redazione 2005 pag 66 23/2/2005 67 Tra il simbolo di apertura, qualunque esso sia, e l’inizio del testo va posto uno spazio fisso (o una tabulazione), in modo che tutti i blocchetti comincino ben allineati; eventualmente lettere o numeri possono essere seguiti da una parentesi tonda chiusa o da un punto. È bene inoltre che le righe successive alla prima comincino rientrate rispetto al margine, in modo che i singoli punti dell’elencazione risultino ben evidenziati. Per il segno di interpunzione da utilizzare alla fine di ogni blocchetto ci si regoli in base alla punteggiatura usata al suo interno: se i blocchetti sono brevi e al loro interno non vi sono segni di interpunzione, basta la virgola; se al loro interno vi sono delle virgole, ci vorrà almeno il punto e virgola; se i blocchetti sono particolarmente lunghi e hanno al loro interno una punteggiatura complessa, si usi il punto. Fondamentale è che il segno di interpunzione finale sia uguale per tutti i blocchetti. Quando si usa il punto, ogni blocchetto – anche il primo – inizia con la maiuscola. Si noti tuttavia che in generale, specie se i punti sono molto brevi, magari di una sola parola, possono bastare a scandirli la loro disposizione spaziale all’interno della pagina e gli spazi bianchi che li contornano; di conseguenza si può utilizzare il punto di chiusura solo per l’ultimo della serie, lasciando i precedenti privi di segni di interpunzione. 5.9 Le note Di norma le note vanno a piè di pagina, in corpo minore di un paio di punti rispetto a quello del testo (di norma 8 o 9 punti). Tra il blocchetto delle note e il testo è bene che ci siano un paio di interlinee. Il primo capoverso del paragrafo della nota non è rientrato anche quando i capoversi del testo lo sono, ma, quando cosı̀ si è scelto per il testo principale, lo sono eventuali capoversi successivi. Quando le note sono a piè di pagina, la numerazione, di norma, riparte da 1 a ogni capitolo o anche a ogni pagina. In presenza di un testo breve e di un numero ridotto di note, la numerazione può essere anche progressiva dal primo all’ultimo capitolo. Quando le note sono poste a fine capitolo, la numerazione riparte senz’altro da 1 a ogni nuovo capitolo. Se invece le note sono poste tutte alla fine del testo, si possono avere i due seguenti casi: se esse sono raggruppate per capitolo, la numerazione inizierà da 1 a ogni nuovo capitolo; se esse si susseguono senza divisioni, anche la numerazione delle note sarà progressiva all’interno del testo. Il primo sistema di numerazione e disposizione delle note è quello consigliato; gli altri possono essere funzionali a determinati tipi di testo, ma sono in genere poco apprezzati per le difficoltà di consultazione che implicano. In particolare, considerazioni di ordine contenutistico (note eccezionalmente ampie o, al contrario, con meri rimandi bibliografici) o esigenze tipografiche specifiche possono richiedere che le note siano collocate a fine volume. Anche in questo caso esse vanno in corpo minore (circa un punto in meno rispetto al testo). La sezione del libro con le note sarà aperta dal relativo occhiello. Manuale di redazione 2005 pag 67 23/2/2005 68 Le note andranno tutte di seguito, raggruppate per capitolo sotto il relativo titoletto, che andrà considerato alla stregua di titolo di sottocapitolo di primo livello (5 4.6. punto c). Ogni nota deve essere separata dalla successiva da qualche punto in più rispetto alla normale interlinea (su un’interlinea 11, circa 3 punti). Per i numeri, si usano di norma le cifre arabe. Il rimando all’interno del testo va in apice, in corpo inferiore di almeno due punti rispetto a quello del testo. Esso va sempre posizionato dopo gli eventuali segni di interpunzione: esala come profumo dal mondo della volontà.1 «... quello che dice e fa ci sembra naturale e pertanto necessario».2 è stata enucleata dagli esperti della letteratura (Eco),3 e le più sottili fibre del suo essere... Il numero corrispondente al piede della pagina va in tondo, nello stesso corpo del testo della nota, dal quale è separato tramite un punto o un quadratone: 2. Vedi J.W. Goethe, Faust... Se nella stessa pagina ci sono più note, i relativi blocchetti al piede vanno separati fra loro da qualche punto in aggiunta alla normale interlinea (es.: circa 2 o 3 su un’interlinea 10). Nel caso di una nota estemporanea, specie se a un titolo, invece del numero arabo si può usare come simbolo di rimando uno dei segni non alfabetici della tradizione tipografica (di solito l’asterisco), in apice; lo stesso segno va ripetuto a piè di pagina, separato dal testo della nota con un quadratone. Attenzione Una nota a piè di pagina dovrebbe stare tutta all’interno della pagina in cui si trova il rimando. Può però terminare alla pagina successiva a quella in cui è cominciata in relazione al numero di note contenute nella pagina e alle loro dimensioni e se il rimando in apice all’interno del testo è nell’ultima riga della pagina. 5.9.1 Indicazioni bibliografiche nelle note Quando in una nota viene menzionata un’opera per la prima volta, essa va citata completa di tutti i suoi dati bibliografici: per essi e per l’ordine in cui vanno forniti, 5 4.8. Rispetto a quanto detto precedentemente, si ricorda che nelle note il nome di battesimo dell’autore (spesso, specie se già citato, con la sola iniziale) precede il cognome, senza virgola fra i due. Per introdurre l’opera da citare, le formule comunemente utilizzate sono Cfr. (lat. Confer, Confronta) oppure Vedi/Si veda: l’importante è la coerenza nell’uso una volta optato per una delle due. Oltre ai dati forniti in bibliografia, le note hanno in genere un rinvio più puntuale a una singola parte del libro. Manuale di redazione 2005 pag 68 23/2/2005 69 Il tipometro Tra i ‘‘ferri del mestiere’’ propri del redattore prima dell’avvento della composizione elettronica vi era il tipometro. Nella sua forma più comune esso era una sorta di righello di precisione in materiale trasparente che riportava una serie di scale graduate in diverse unità di misura: nei modelli più comuni tali unità erano il millimetro, il pollice, la riga Pica, la riga Didot e alcuni dei più comuni sottomultipli della riga Didot (6/12, 7/14, 8, 9, 10, 11, 13); qualche modello offriva anche la possibilità di misurare il corpo del carattere (nel caso, partendo dalla maiuscola). Il tipometro era indispensabile per calcolare l’interlinea di un testo, verificare se una pagina era interlineata o sterlineata o se gli spazi tra una parte e l’altra del testo, che venivano aggiunti manualmente, erano stati inseriti correttamente... Proprio per l’elevato numero di funzioni riunite in un solo strumento, il suo uso non era cosı̀ immediato per il neofita. In particolare, una volta noto il sistema di misura utilizzato nella composizione (di norma il sistema Didot), per calcolare in che interlinea era composto un dato testo si posizionava lo zero della scala graduata relativa alla base del primo rigo del testo, si contavano dodici righi di testo e si guardava quale numero della scala corrispondeva al tredicesimo rigo: tale numero era il valore dell’interlinea; la linea graduata situata sopra o sotto la base del carattere del tredicesimo rigo indicava rispettivamente una pagina interlineata o sterlineata. Una volta stabilita l’interlinea, era possibile, utilizzando la scala adeguata, appurare velocemente il numero di righi contenuti in una pagina. Con l’avvento della composizione elettronica, che consente di utilizzare frazioni minuscole del punto o valori decimali per corpi e interlinee, e che consente la giustificazione verticale, il tipometro è definitivamente ‘‘andato in pensione’’. Ma attenzione: è ancora indispensabile sapere sempre quale ‘‘metro’’ usa il programma di impaginazione! Si danno qui di seguito alcune indicazioni per il comportamento da tenere nei casi più comuni. « Per il volume si usa l’abbreviazione vol. (plurale: voll.), seguita dal relativo numero in numeri romani maiuscoli. « La parola tomo non si abbrevia; il numero del tomo, se successivo a quello del volume, va in numeri romani in maiuscoletto (se il tomo compare da solo il numero va in maiuscolo). « Parte o sezione non si abbreviano, l’eventuale numero va dato in lettere. « Il capitolo si abbrevia in cap./capp.; il numero va in numeri romani in maiuscoletto. Se il capitolo ha un titolo, questo va in tondo tra virgolette, introdotto dai due punti, dopo i dati relativi al volume; se però il capitolo ha una propria autonomia all’interno del libro (es.: volumi miscellanei e simili), il titolo del Manuale di redazione 2005 pag 69 23/2/2005 70 capitolo va in corsivo come primo dato, seguito dai riferimenti al volume introdotti dalla preposizione in: Eric Auerbach, Mimesis, Einaudi, Torino 1956, 2 voll.: vol. II, cap. VI, «La cena interrotta», pp. 155-97. Gianfranco Contini, La verità sul caso Cardarelli, in Esercizi di lettura, Einaudi, Torino 1974, pp. 34-42. Giovanni Pozzi, Il tema religioso nelle poesie del Porta, in La poesia di Carlo Porta e la tradizione milanese, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 71-92. « Il paragrafo si abbrevia in par./parr. oppure si può utilizzare il simbolo §. Il numero di pagina è preceduto dall’abbreviazione p./pp.; per i numeri composti, dalle centinaia in su del secondo numero possono essere date solo le ultime due cifre, a patto che la penultima non sia zero. Dove possibile, è preferibile citare sempre la prima e l’ultima pagina, piuttosto che soltanto la prima seguita dall’abbreviazione s./ss. Nel caso in cui il concetto al quale si fa riferimento ricorra in più punti all’interno di un numero di pagine citate queste possono essere seguite dall’espressione passim (qua e là), in corsivo (es.: pp. 54-63 passim). Casi particolari: « Nelle opere teatrali, i termini atto e scena non si abbreviano; il numero dell’atto va in numeri romani e in maiuscolo, quello della scena in numeri romani in maiuscoletto. « Per la poesia, il numero dei versi è preceduto dall’abbreviazione v. / vv.; eventuali suddivisioni in canti o simili vanno in numeri romani in maiuscoletto. « I riferimenti a opere classiche (latine e greche soprattutto, ma in molti casi anche delle epoche successive) seguono spesso delle regole proprie: in particolare, non è in genere necessario usare gli specificatori libro, paragrafo, verso ecc. (talvolta è superfluo persino il titolo dell’opera!), ma basta dare i riferimenti numerici nell’ordine di volta in volta più appropriato. Nel dubbio, chiedere il parere di un esperto. Erodoto, I, 56. Odissea, V, 480. Dante, Paradiso, XXX, 56-58. Shakespeare, Romeo e Giulietta, I, V, 53-56. « Per le citazioni dalla Bibbia si dà il nome del libro in tondo, abbreviato e non puntato (5 12.2), seguito dal numero del capitolo e del versetto, entrambi in cifre arabe e in tondo, separati fra loro da una virgola. Gv 4, 13 Se il volume ha una bibliografia che raccoglie tutti e soltanto i volumi citati nel testo, si può scegliere di dare le indicazioni bibliografiche nelle note in forma abbreviata. Il metodo di abbreviazione consigliato è quello di indicare il nome dell’autore seguito dall’anno della pubblicazione dell’opera (se nello stesso anno l’autore ha pubblicato più opere, queste si distingueranno fra loro tramite una lettera: es.: Eco 1974a, Eco 1974b). Si può scegliere di segnalare i dati bibliografici in forma abbreviata anche nel caso che una o più opere vengano costantemente citate nelle note. In questo caso i dati Manuale di redazione 2005 pag 70 23/2/2005 71 completi vanno indicati in un apposito elenco posto in apertura del volume (o della stessa sezione delle note, se queste sono in fondo al volume). Tale sistema è raccomandato in particolare nei casi di opere in più volumi o comunque con dati bibliografici particolarmente complessi. Nel caso in cui si debba citare un’opera già citata in precedenza, i riferimenti si possono dare in forma abbreviata. In particolare: a) Se essa è stata citata in una nota non immediatamente precedente, va ripetuto il nome dell’autore (col nome di battesimo puntato, o anche soltanto il cognome) e il titolo, seguiti dall’abbreviazione cit., in tondo, e dal nuovo riferimento alla pagina; se il titolo è particolarmente lungo, se ne può citare solo la prima parte, purché esso rimanga riconoscibile; se il rinvio è a una edizione o traduzione specifica, oppure a una sezione di un libro già precedentemente citato, si può usare di volta in volta l’abbreviazione del caso (ed. cit., trad. cit., vol. cit. ecc.): 1. Georges Duby, I peccati delle donne nel Medioevo, Laterza, RomaBari 1997, p. 55. ... 1. G. Duby, I peccati delle donne nel Medioevo, cit., p. 56. 1. L. Azzini, Flussi di valori, reddito e conservazione del capitale nelle imprese, Giuffré, Milano 1976, p. 76. ... 1. L. Azzini, Flussi di valori, cit., pp. 77-79. 1. Omero, Iliade, trad. di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1963, XV, 34. ... 1. Omero, Iliade, trad. cit., XVI, 85-93. Se di un autore è citata sempre la stessa opera, si può mettere soltanto il nome seguito dall’abbreviazione op. cit. (opera citata), in corsivo, che sostituisce quindi anche il titolo. 1. James Joyce, Ulisse, Mondadori, Milano 1960, p. 245. ... 1. Joyce, op. cit., p. 320. b) Se l’opera è stata citata nella nota appena precedente, tutti i dati bibliografici che rimangono inalterati possono essere sostituiti dall’abbreviazione ibid. (lat. ibidem, nello stesso luogo), in corsivo, seguita dai nuovi riferimenti (volume, pagina ecc.): 1. Pascal Dibie, Storia della camera da letto, Rusconi, Milano 1988, pp. 27-28. 2. Ibid., p. 29. 1. H. von Moltke, Gesammelte Schriften und Denkwürdigkeiten, Mittler & Sohn, Berlin 1891-93, 8 voll.: vol. II, Vemischte Schriften, 1892, pp. 171-228. 2. Ibid., pp. 213-14. Manuale di redazione 2005 pag 71 23/2/2005 72 Nella seconda nota del secondo esempio si intende che il rinvio è alla stessa opera e allo stesso volume della nota precedente. c) Se tutti i dati bibliografici di una nota coincidono con quelli della nota appena precedente, compreso il rinvio alla pagina, si usa l’espressione loc. cit. (lat. loco citato, nel luogo citato): 1. Reay Tannahill, Storia dei costumi sessuali, Rizzoli, Milano 1985, p. 55. 2. Loc. cit. 5.9.2 Note del curatore e del traduttore Se oltre alle note dell’autore sono presenti note del curatore o del traduttore, si pone alla fine di queste ultime rispettivamente l’indicazione [N.d.C.] o [N.d.T.], tra parentesi quadre e in corsivo (senza spazi tra le lettere; il punto finale della nota va dopo tali indicazioni). 5.10 Le illustrazioni Le illustrazioni possono essere collocate: a) di seguito nel testo, nel luogo via via più opportuno a seconda della trattazione dell’argomento; b) accorpate in uno o più punti del libro (es.: al centro, alla fine ecc.). a) La prima soluzione è consigliabile quando le illustrazioni costituiscano parte integrante del testo e quando in quest’ultimo vi siano frequenti rinvii a esse. Se non sono particolarmente numerose, le figure vanno numerate progressivamente dall’inizio alla fine del volume (ciò facilita tra l’altro i rinvii a esse da qualunque parte del testo); se esse sono invece numerose, può essere opportuno numerarle per capitolo, secondo la formula Figura 3.1, Figura 3.2, Figura 4.1, Figura 4.2 ecc. Nella preparazione di un originale con illustrazioni, il punto dell’inserimento andrà segnalato apponendo un’opportuna indicazione nel file o a margine dello stampato (es.: qui Figura 3): sarà l’impaginatore a decidere come collocare l’illustrazione in base alle sue dimensioni e al punto della pagina in cui cade il riferimento. In qualche caso può essere opportuno dare un elenco delle illustrazioni: esso va di norma in apertura di volume, dopo l’indice generale. b) La scelta di riunire tutte le illustrazioni in un unico punto del volume può essere dettata da ragioni di contenuto (quando esse non sono parte integrante del testo, ma semplice fattore di abbellimento) o grafiche (quando per le loro caratteristiche esse non possono venire stampate sulla stessa carta usata per il testo, se non a scapito della qualità). Nel primo caso possono essere stampate sulla stessa carta del testo; nel secondo su una carta dalle caratteristiche più adeguate (es.: carta patinata). In Manuale di redazione 2005 pag 72 23/2/2005 73 Il dimensionamento delle illustrazioni: pixel e risoluzione Prima dell’avvento dell’elaborazione elettronica delle immagini, quando l’originale consegnato al tipografo era unicamente una stampa fotografica o una diapositiva, era spesso necessario intervenire per adattare l’originale di un’illustrazione alle dimensioni della pagina o dell’ingombro in cui essa doveva essere collocata; l’unica modifica possibile, oltre al ‘‘taglio’’ (per evidenziarne solo qualche particolare), era il ridimensionamento proporzionale, eseguito tracciando con squadra e matita una diagonale e calcolando le effettive dimensioni dell’immagine nel suo formato finale. Oggi il formato ‘‘di lavoro’’ delle immagini è solamente quello digitale: anche la stampa o la diapositiva originale viene infatti dapprima acquisita con uno scanner e salvata in un file. È dunque fondamentale accertarsi che le caratteristiche di tale formato siano corrette per l’utilizzo finale. Per le immagini di tipo raster (o bitmap, in cui ogni punto contiene un’informazione per ciascuno dei colori fondamentali, tipicamente le fotografie) sono due i fattori che concorrono a determinare il formato di un’immagine digitale: il numero di pixel (in altezza e in larghezza) e la risoluzione alla quale l’immagine sarà utilizzata in dpi (dot per inch, ovvero punti per pollice). Per fare un esempio, una fotografia da stampare su carta dovrà avere una risoluzione non inferiore a 300 dpi; ricordando che un pollice equivale a 2,54 cm, per poterla stampare con una base di 9 cm senza perdita di definizione, dovrà avere una larghezza di almeno 300 c (9/2,54) = 1063 pixel. La stessa immagine, se sarà utilizzata in un cd-rom o in un sito Internet (quindi con la risoluzione dello schermo di 72 dpi) potrà avere una larghezza di soli 72 c (9/2,54) = 255 pixel; questa larghezza, su uno schermo con definizione di 1024 c 768 pixel, corrisponde a circa un quarto della larghezza dello schermo. Il secondo tipo di immagini è quello vettoriale (tipicamente i disegni), in cui i vari elementi non sono descritti punto per punto bensı̀ con ‘‘istruzioni’’ che ne definiscono la forma e il colore; tale tipo di illustrazioni è completamente svincolato dalla risoluzione, in quanto risulta deformabile senza alcuna perdita di definizione; è compito del software di stampa di rasterizzare queste immagini, e ciò viene fatto alla massima risoluzione accettata dal dispositivo di stampa. Bisognerà solamente, in questi casi, assicurarsi che lo spessore dei fili o gli eventuali testi inclusi nel disegno siano stati dimensionati in modo proporzionato al formato finale dell’immagine. entrambi i casi si parla di tavole fuori testo, ciò significa che le pagine su cui le illustrazioni sono stampate non vengono considerate nel computo complessivo delle pagine del libro (ma, almeno nel primo caso, esse vanno ovviamente tenute presenti per la foliazione di stampa!). Manuale di redazione 2005 pag 73 23/2/2005 74 5.10.1 Le didascalie Le didascalie vanno a blocchetto con una giustezza che si accordi con la relativa immagine, in tondo e in corpo minore di un punto circa rispetto a quello del testo. Se l’illustrazione non occupa tutta la pagina, tra il blocchetto della didascalia e il testo ci devono essere circa due interlinee. La didascalia può essere preceduta dalla parola ‘‘Figura’’, con l’iniziale maiuscola e in tondo (eventualmente abbreviata), seguita dal relativo numero; tra il numero e l’inizio della didascalia va un quadratone. 5.10.2 La legenda Eventuali scritte all’interno di un’illustrazione (lettering) vanno in tondo, con l’iniziale maiuscola e senza punto finale. Si eviti comunque, se possibile, di appesantire l’illustrazione con numerose scritte. Si adotti piuttosto una serie di simboli, opportunamente spiegati in una legenda esterna. 5.11 Le tabelle Le caratteristiche basilari di una tabella devono essere la leggibilità e facilità di consultazione: si scelgano dunque caso per caso il tipo e il corpo del carattere, i filetti e l’orientamento più opportuni in funzione di questo. In generale si ricorda che, dove possibile: « L’orientamento verticale va preferito a quello orizzontale. « Di preferenza la tabella deve stare su una sola pagina; se è troppo grande, bisogna disporla su due pagine affiancate. « È bene non abbondare con gli accessori grafici (filetti, riquadri, colori ecc.), limitandoli ai casi di effettiva necessità e orientandoli di norma secondo la direzione in cui si sviluppa la lettura. « Eventuali note vanno al piede della tabella, con il corpo, l’allineamento e gli spazi più opportuni perché siano chiaramente distinte dal testo e dal contenuto della stessa tabella. Fra testo e tabella vanno lasciate circa tre interlinee: un’adeguata distanza dal testo può rendere superfluo il filetto all’estremità superiore o inferiore della tabella; se lo spazio deve essere per forza limitato si può chiudere la tabella in un box. La didascalia segue le stesse norme elencate per le illustrazioni (5 5.10.1), con la sola differenza che essa è introdotta in questo caso dalla formula fissa ‘‘Tabella n’’, in tondo, con l’iniziale maiuscola, separata da un quadratone dal testo della didascalia. Analogo discorso vale per la numerazione, che può essere progressiva per l’intero libro o ricominciare da 1 a ogni nuovo capitolo secondo i criteri esposti nel caso delle illustrazioni (5 5.10.1). Manuale di redazione 2005 pag 74 23/2/2005 75 5.12 I rimandi interni Per rinviare da un luogo del testo o da una nota a un altro luogo all’interno di esso si usano a seconda del caso le seguenti formule: Vedi sotto/sopra, p. XX (rimando a un punto del testo); Vedi sotto/sopra, p. XX e nota Y (rimando a un luogo del testo e a una nota); Vedi sotto/sopra, p. XX nota Y (rimando alla nota Y, in una pagina che contiene più di una nota); Vedi sotto/sopra, p. XX nota (rimando all’unica nota di pagina XX). Per rinviare a un’illustrazione o a una tabella si possono usare due differenti criteri, a seconda di dove cade il rinvio: se esso è in forma discorsiva all’interno del testo, si mantengono i termini interi Figura/Tabella/Tavola; se è tra parentesi, si possono usare le forme abbreviate Fig./Tab./Tav. Manuale di redazione 2005 pag 75 23/2/2005 6 IL CARATTERE 6.1 Font e corpi Il font (o, un tempo, la fonte) è il disegno, la forma del carattere. Il corpo del carattere è la sua dimensione, la sua altezza. Le varianti sono le forme in cui si presenta il carattere: tondo, corsivo, maiuscoletto. La varietà disponibile di font è immensa ed è andata ampliandosi a dismisura con lo sviluppo delle tecnologie di composizione e impaginazione. Questa abbondanza di forme e disegni può fuorviare il grafico che può abusarne nell’intento di creare un layout innovativo. È un errore da evitare perché porta generalmente alla realizzazione di una pagina confusa. I font impiegati nella produzione editoriale non sono moltissimi e, soprattutto, sono riconducibili a poche grandi famiglie. Generalmente il font è costante per tutti i volumi della stessa collana e, spesso, per tutta la produzione di uno stesso editore. Una buona regola è quella di usare due font diversi, uno per i titoli di ogni livello e uno per il corpo del testo e le note. Per evidenziare qualche parte del testo è bene intervenire soprattutto sulla variante del carattere. Il corpo del carattere, cioè la sua grandezza, si misura in punti tipografici. Dopo l’avvento della fotocomposizione, le dimensioni del carattere possono variare praticamente senza soluzione di continuità da zero all’infinito (compresi i decimali). Di norma tuttavia il corpo base del testo di un libro è compreso tra i 9 e i 14 punti (in genere, tra 11 e 12). Stabilito il corpo del testo base, si usa un corpo minore rispetto a esso per: « le note (un paio di punti in meno se al piede o a fine capitolo; 1 punto se alla fine del testo; 5 5.9); « alcune delle componenti paratestuali (circa un punto in meno, 5 4.7); « le didascalie delle figure (un paio di punti in meno); « l’indice analitico (un paio di punti in meno); « talvolta, le citazioni all’interno del testo (5 5.7.1, 5.7.2 e 5.7.3). Possono avere un corpo maggiore di quello del testo i titoli di capitolo o sezione (in genere, mezzo punto o 1 punto in più). Attenzione Tranne che per i casi sopra elencati, è bene che all’interno del testo il corpo del carattere rimanga il più possibile costante. In particolare, è opportuno non variare il corpo per i titoli di paragrafo o sottoparagrafo; per evidenziarli, si intervenga piuttosto sulla variante del carattere. Manuale di redazione 2005 pag 76 23/2/2005 77 La classificazione dei caratteri Fin dalle origini l’arte della tipografia ha sempre dedicato una particolare attenzione al disegno del carattere. In passato quasi ogni grande stamperia aveva un proprio carattere, per lo più disegnato e inciso dallo stesso stampatore. Ancor oggi molti dei caratteri più usati nella stampa portano il nome di qualcuno di questi grandi stampatori (Baskerville, Bodoni, Garamond...), ma assai di rado in questi casi il carattere rispecchia esattamente il disegno originale; più spesso si tratta di... imitazioni. Con l’avvento della fotocomposizione, che permette di elaborare nuovi tipi di carattere con estrema facilità, si è infatti assistito a un proliferare di caratteri dal nome diverso ma pressoché indistinguibili al tratto. Ciò ha reso ancora più arduo il compito che già in passato aveva impegnato generazioni di studiosi: quello di classificare i caratteri in grandi famiglie. Aldo Novarese, uno dei più importanti esperti e disegnatori di caratteri tipografici del XX secolo, aveva proposto una suddivisione in dieci gruppi: lapidari, medioevali, veneziani, transizionali, bodoniani, scritti, ornati, egiziani, lineari, fantasie. Tale suddivisione è oggi praticamente dimenticata. Una distinzione fondamentale, sempre valida, rimane quella tra caratteri con grazie (le grazie sono i piccoli tratti terminali di ciascuna lettera) e caratteri lineari: i primi sono più adatti per i documenti con parecchio testo, come è appunto il caso dei libri; i secondi si prestano invece meglio per insegne o grandi scritte isolate come nei segnali stradali. Ab12 Ab12 carattere con grazie carattere senza grazie Nell’esempio qui sopra il carattere con le grazie è un Times (quello usato in tutto il testo di questo libro), il secondo un Helvetica (quello dei numeri di pagina di questo libro). Essi sono fra i caratteri più usati; entrambi sono di creazione recente: il Times fu inciso nel 1931 appositamente per il quotidiano «Times» (da cui il nome) in occasione di un’operazione di rinnovamento della veste grafica; l’Helvetica fu prodotto nel 1957 dalle fonderie Haas, in Svizzera, per la segnaletica delle ferrovie svizzere. Un tempo i caratteri erano disponibili in un numero limitato di corpi e di varianti (oltre al tondo chiaro, il corsivo e, qualche volta, il neretto). Attualmente, le dimensioni del corpo sono teoricamente illimitate (compresi i valori decimali) e per ogni carattere sono quasi sempre disponibili, oltre al tondo, il corsivo, il neretto, il neretto corsivo; in qualche caso (per esempio in quello dell’Helvetica, uno dei caratteri con il più elevato numero di varianti), esistono addirittura una variante intermedia tra il chiaro e il neretto (medium), il chiarissimo (extra light), il nerissimo (extra bold) e le versioni compressa (condensed) e allargata (extended), tutte, a loro volta, nelle varianti tondo, corsivo, neretto. Si noti infine che, sebbene tutti i programmi di videoscrittura consentano di ottenere le varianti (corsivo, neretto, maiuscoletto ecc.) a partire dal tondo, ciò non avviene secondo il rispetto dei canoni tipografici più rigorosi. Ogni font, anche digitale, viene infatti disegnato all’origine nelle diverse varianti, seguendo per ogni singolo carattere criteri di armonia e proporzione tra i vari elementi che lo costituiscono; tali criteri sono necessariamente disattesi da un software che si limita, sulla base di un algoritmo, a modificare l’inclinazione delle aste o a ispessirle. Manuale di redazione 2005 pag 77 23/2/2005 78 6.2 Varianti Le varianti del carattere sono le varie forme che (quasi) ogni stile può assumere. Per la maggior parte dei font esse sono le seguenti: tondo, corsivo, neretto, maiuscoletto, cui può essere aggiunta la sottolineatura. Alcune di queste varianti possono anche essere combinate fra loro, ma è cosa che si tende in genere a evitare. A ciascuna variante è dedicato un paragrafo a sé qui di seguito. 6.2.1 Tondo Il tondo è la variante di base di ogni carattere. Tranne casi particolari (5 4.7, punto a), è quella che viene usata per il testo nel suo complesso. 6.2.2 Corsivo Il corsivo serve per segnalare al lettore che una cosa si ‘‘stacca’’ in qualche modo dal testo base. Esso si usa in particolare nei seguenti casi: « Per tutti i termini stranieri che non siano entrati nell’uso corrente italiano: è un provvedimento per i soliti happy few tra i due si stabilı̀ subito un certo feeling Quanto alla morfologia, si ricorda che, quando un termine straniero è scritto in tondo, rimane invariato al plurale; quando è in corsivo, va declinato secondo le regole della lingua di provenienza (5 anche 13.2). In ambito specialistico possono essere lasciati in tondo anche termini stranieri che siano specifici della disciplina (in questo caso declinati comunque secondo la morfologia della lingua di provenienza): la regolamentazione dei capital gains (in un testo di economia) l’applicazione di un by-pass (in un testo di medicina) Può essere opportuno talvolta lasciare in corsivo termini entrati nell’uso italiano, quando per la loro forma e per il contesto in cui ricorrono potrebbero essere confusi con un omografo italiano: salvare il documento in una serie di files (e non: in una serie di file) le grandi vedettes della rivista italiana (e non: le grandi vedette) Le citazioni in lingua straniera, specie se lunghe, vanno lasciate in tondo: bastano in questo caso le virgolette (o la centratura nella pagina, nel caso di versi) a segnare lo stacco con il resto. « Per i nomi propri di navi, aerei e altri mezzi di trasporto, o di reparti militari (Orient Express, Titanic, Folgore). Manuale di redazione 2005 pag 78 23/2/2005 79 « Per i titoli, di qualunque tipo essi siano (libri e articoli, quadri e sculture, film, canzoni ecc.). Non vanno in corsivo ma in tondo con la maiuscola: Bibbia, Vangelo / Vangeli, Antico / Vecchio e Nuovo Testamento (vanno però in corsivo i singoli libri: Genesi, Apocalisse, Vangelo secondo Giovanni). 5 Per i titoli di capitolo si vedano anche i paragrafi 4.8.2 e 5.9.1. « Per mettere in particolare evidenza una parola, in alternativa alle virgolette: Ciò che conta è essere, non avere. « Per i termini in latino della classificazione zoologica e botanica, il primo con l’iniziale maiuscola, il secondo con la minuscola (Homo sapiens, Quercus alba). « Per segnalare che una parola è usata in quanto tale e non in relazione al suo significato (in alternativa è possibile utilizzare in questo caso anche le virgolette): la parola cane non morde sulle vocali a, i e u l’accento è sempre grave « Per i termini di cui si dà spiegazione (in alternativa è possibile utilizzare le virgolette): In questo caso crisi va inteso nel senso di... Attenzione « Generalmente l’uso del corsivo è alternativo a quello delle virgolette, l’uno tende cioè a escludere l’altro. « Per non appesantire troppo il testo con i corsivi, se un termine che va in corsivo ricorre più volte in un libro, può essere messo in corsivo solo alla sua prima occorrenza e lasciato in tondo nelle successive. « La punteggiatura interna a un corsivo va anch’essa in corsivo; quella invece che separa due corsivi o che si trova alla fine dell’espressione in corsivo va in tondo. A questo proposito, siccome il corsivo è leggermente inclinato rispetto all’asse verticale del carattere, può succedere che il segno di punteggiatura in tondo che segue il corsivo vada in parte a sovrapporsi alla parola precedente: in tal caso è opportuno intervenire introducendo manualmente un piccolo spazio supplementare tra i due. Il segno di punteggiatura va anch’esso in corsivo quando fa parte integrante dell’espressione in corsivo («Tu, scoperto a rubare? Non posso crederci!»; «Intervenne con un perentorio Basta! che troncò sul nascere ogni polemica»). « All’interno di un testo completamente in corsivo, tutto ciò che dovrebbe andare in corsivo va in tondo, oppure in corsivo tra virgolette. Sul dattiloscritto o nelle correzioni a mano, il corsivo si indica con una sottolineatura semplice della parola (o della lettera) o con l’abbreviazione C.vo. 5 Per il maiuscolo e il maiuscoletto corsivi si vedano i paragrafi 6.2.5 e 6.3. 5 Per l’uso del corsivo nei simboli matematici si veda il paragrafo 10.4. Manuale di redazione 2005 pag 79 23/2/2005 80 La crenatura Un vantaggio offerto dalla composizione nei sistemi di videoimpaginazione rispetto alla composizione a piombo è quello dell’accostamento proporzionale dei caratteri fra loro, a seconda del disegno della singola lettera. I caratteri a piombo erano infatti sistemati sulla faccia di un blocchetto di uguale misura per tutti i caratteri dello stesso corpo, indipendentemente dall’ingombro reale delle singole lettere; questo faceva sı̀ che lo spazio fra una lettera e l’altra della stessa parola sembrasse diverso a seconda delle coppie di lettere accostate (si pensi alla coppia AV). Per risolvere l’inconveniente estetico, il tipografo raffilava con un’apposita lima le parti del disegno del carattere sporgenti dai lati del blocchetto su cui esso era sistemato. Tale operazione, chiamata kerning (o ‘‘crenatura’’, da cui deriva il nome l’odierna tecnica) è svolta oggi da opportuni programmi che gestiscono lo spazio tra le coppie di caratteri a seconda del loro disegno, diminuendolo ove necessario. 6.2.3 Neretto Salvo casi particolari (es.: libri scolastici, manualistica, dizionari e simili), il neretto (o grassetto; ingl. bold) è scarsamente utilizzato all’interno del testo; proprio per il fatto che, date le sue caratteristiche, spicca in modo particolare nella pagina, ne va anzi fatto un uso assai limitato. Esso si può utilizzare con maggior libertà, ma pur sempre con parsimonia, per l’evidenziazione dei titoli. Sul dattiloscritto o nelle correzioni a mano, il neretto si indica con una sottolineatura ondulata della parola (o della lettera), oppure con l’abbreviazione N.tto. Le stesse considerazioni riguardano l’uso del neretto corsivo, da limitare ai casi in cui sia strettamente indispensabile. Oltretutto esso è, al pari del neretto, una variante assai recente e dunque manca a molti dei font tradizionali, oppure vi è stato aggiunto successivamente non sempre con risultati soddisfacenti sul piano del disegno del carattere. 6.2.4 Sottolineato Salvo casi molto particolari (es.: riproduzione anastatica di un testo manoscritto), la sottolineatura non è di fatto mai usata all’interno di un libro a stampa. Il sottolineato si usa nei dattiloscritti o nella correzione delle bozze per indicare tutto ciò che nel testo a stampa va in corsivo. 6.2.5 Maiuscoletto Il maiuscoletto è una variante del carattere in cui le lettere hanno forma uguale a quella del maiuscolo, ma altezza ridotta (di poco superiore a quella del minuscolo). Manuale di redazione 2005 pag 80 23/2/2005 81 « « « « « « Il maiuscoletto si usa nei seguenti casi: Per i sottotitoli di capitolo e per i titoli dei sottocapitoli. Nei rinvii bibliografici, per le cifre romane che indicano: - i numeri di pagina; - il numero della scena di un’opera teatrale (es.: atto I, scena III), - il numero di tomo, se è preceduto dall’indicazione del volume (vol. I, tomo II). All’interno di un testo, invece del maiuscolo, per le sigle, specie se particolarmente lunghe, o per parole o frasi che richiederebbero quest’ultimo. Dal punto di vista grafico si ricorda che, in un testo in maiuscoletto: non si usano le maiuscole (eventuali iniziali che richiedono la maiuscola si scrivono anch’esse in maiuscoletto); eventuali corsivi rimangono in tondo tra virgolette; eventuali apostrofi vanno opportunamente abbassati in modo che siano alla stessa altezza della linea superiore del carattere: RETORICA E ERMENEUTICA LA CRITICA DEL ‘‘LOGOS’’ E DELL’IDEOLOGIA IN «VERITÀ E METODO» « in una dicitura a lettere tutte in maiuscoletto va comunque in maiuscoletto/minuscolo il prefisso patronimico scozzese Mac / Mc (A CURA DI WILLIAM McGUIRE). Sul dattiloscritto o nella correzione delle bozze, il maiuscoletto si indica con una sottolineatura doppia della parola (o della lettera) o con l’abbreviazione M.tto. 6.3 Maiuscolo Il maiuscolo si usa per i titoli in occhiello e per i titoli di capitolo. Poiché esso spicca molto nella pagina, all’interno del testo gli si preferisce in genere il maiuscoletto (5 6.2.5). Tradizionalmente non si usa il maiuscolo corsivo, tanto che la stragrande maggioranza dei font ne è priva: se all’interno di un blocchetto in maiuscolo ricorre un termine che andrebbe in corsivo, bisogna usare il tondo tra virgolette. In una dicitura a lettere tutte maiuscole va comunque in maiuscolo/minuscolo il prefisso patronimico scozzese Mac / Mc: A CURA DI WILLIAM McGUIRE. Se in un testo dattiloscritto o nella correzione delle bozze è necessario segnalare che un termine scritto in minuscolo va corretto in carattere maiuscolo, si usa la tripla sottolineatura oppure l’abbreviazione M.lo. 6.4 Iniziale maiuscola e/o minuscola L’iniziale maiuscola si usa innanzitutto quando è richiesto dalla punteggiatura, ovvero dopo il punto fermo; in genere dopo il punto interrogativo e esclamativo e i tre puntini se hanno valore di punto fermo; per la prima parola di citazioni tra virgolette introdotte dai due punti. Manuale di redazione 2005 pag 81 23/2/2005 82 L’iniziale maiuscola si usa inoltre per tutti i nomi propri, tanto di persona che di cosa. Eccettuati questi due casi, ogni termine va di norma con l’iniziale minuscola. Talvolta, tuttavia, la maiuscola viene utilizzata anche al di fuori degli stretti ambiti sopra indicati. La conformità alla prassi editoriale più consolidata, esigenze specifiche del singolo libro o ragioni di ordine stilistico, possono far propendere per la maiuscola anche nei casi in cui di norma viene usata la minuscola e viceversa. Premesso questo e tenuto conto che la tendenza oggi più diffusa è quella a minuscolizzare, si dà qui di seguito una serie di indicazioni sul comportamento che si consiglia di tenere nei casi che più frequentemente possono dare adito a dubbi. a) Vanno di norma con l’iniziale maiuscola: « I soprannomi (Plinio il Vecchio, Alessandro Magno, Lorenzo il Magnifico). « Le espressioni antonomastiche (la Pulzella d’Orléans, la Grande Guerra). « I nomi dei secoli (Duecento, Trecento) e dei decenni del XX secolo (anni Venti, Trenta ecc.: la parola anni è minuscola). « I periodi preistorici e geologici (Neolitico, Cambriano, Pleistocene). « Particolari avvenimenti storici, divenuti unici per la loro eccezionalità; se sono formati da un nome e da un aggettivo, l’aggettivo ha l’iniziale minuscola (Rivoluzione francese, Vespri siciliani, Patti lateranensi). « Le festività religiose e civili (Natale, Pasqua, Primo Maggio). « Gli aggettivi sostantivati indicanti regioni geografiche (Astigiano, Nuorese, Vicentino). « Limitatamente all’ambito psicologico, i termini Io, Es, Sé, Super-io. « I nomi dei pianeti, compresi il Sole, la Terra e la Luna quando sono citati in un contesto strettamente astronomico. « Nella classificazione botanica e zoologica, il nome del genere, cioè il primo della serie (Homo sapiens, Quercus alba). « I nomi degli apparati paratestuali (Appendice, Cronologia, Indice analitico). « Talvolta, nei termini di cui si intende sottolineare che vanno considerati nel loro significato più alto e nobile (la Storia, la Giustizia, la Cultura). b) Hanno invece di preferenza l’iniziale minuscola: « I nomi dei mesi e dei giorni della settimana. « I termini via, piazza, viale e simili, come i corrispondenti francesi rue, place ecc. (ma con la maiuscola gli inglesi Avenue, Street, Square ecc., in quanto posposti al nome). « Le cariche amministrative, religiose, militari e simili (re – ma Re Artù e simili –, principe, papa, vescovo, ministro, generale), sia quando sono seguiti dal relativo nome proprio, sia quando sono citati da soli in sostituzione di esso (ma vogliono la maiuscola se si tratta di un uso antonomastico). « Movimenti politici, religiosi, filosofici (stoicismo, umanesimo, rinascimento, marxismo, cattolicesimo) e relativi adepti (stoici, umanisti, marxisti, cattolici, come anche francescani, gesuiti). « Il nome generico nelle denominazioni di scontri e accordi politici (prima/seconda guerra mondiale, congresso di Vienna, pace di Versailles, trattato di Amsterdam, concilio di Nicea). Manuale di redazione 2005 pag 82 23/2/2005 83 « Gli appellativi signore, signora, signorina, don, professor(e), dottor(e). « I nomi di creature mitologiche divenute ormai termini comuni (ninfe, centauri, sirene, elfi). c) Per i termini geografici: « Quando sono formati da un nome comune e uno proprio (o che tale può essere considerato nella specifica denominazione), ha la maiuscola solo il secondo (mar Mediterraneo, lago di Garda, capo Sunio, oceano Atlantico, monte Bianco); il nome comune è però maiuscolo quando costituisce parte integrante del nome proprio (Terra del Fuoco), nel qual caso il secondo termine, se è un aggettivo, ha di norma la minuscola (Fiume giallo, Montagne rocciose). « Nel caso di costruzioni del tipo sostantivo seguito dall’aggettivo, è maiuscolo solo il sostantivo (America latina, Africa meridionale); è maiuscolo anche l’aggettivo se viene prima del nome (Gran Bretagna, Medio/Estremo Oriente); « I termini Nord, Sud, Mezzogiorno, Oriente e Occidente vanno maiuscoli solo se indicano una specifica regione geografica o fanno parte integrante del suo nome (polo Nord/Sud, il Nord della Francia, la Corea del Sud, il Mezzogiorno d’Italia, il ricco Occidente; ma: a nord di Roma, si diressero verso mezzogiorno, il sole tramonta a occidente). d) Per i termini designanti istituzioni, enti, società e simili: « Il termine generico è tendenzialmente minuscolo (l’università di Milano, il comune di Caltanissetta, il tribunale di Cagliari, uno scontro fra stati), salvo quando si dia la denominazione ufficiale (l’Università degli Studi di Milano, la Regione Campania, gli Stati Uniti) o il termine generico sia usato con valore antonomastico (ho studiato alla Cattolica; le disposizioni della Regione). « Hanno l’iniziale maiuscola i nomi di facoltà e corsi di studio; se sono nella forma sostantivo più aggettivo, va in maiuscolo solo il primo (frequento Scienze politiche; dalle due alle tre si tiene il corso di Filologia romanza). « Similmente, sono maiuscoli i nomi dei ministeri, ma non i termini generici ministero e ministro che eventualmente li precedono (ministero dei Lavori pubblici, ministro della Pubblica istruzione, il Tesoro). « Quando viene data per esteso una denominazione che esiste anche nella forma siglata, ha la maiuscola solo il primo nome della serie (Banca nazionale del lavoro, Partito democratico, Mercato comune europeo). e) Altri casi particolari: « Per i nomi di edifici il termine generico va di norma minuscolo, salvo quando fa parte integrante del nome (palazzo Chigi, palazzo Madama; ma: la Fontana di Trevi, la Casa Bianca, Ca’ Foscari, Castel Sant’Angelo. « Per i nomi di popoli e gruppi etnici si usa in genere l’iniziale minuscola (greci, turchi, aramei, apache, olmechi, wolof, fulbe). In qualche caso può essere opportuno l’uso della maiuscola per evitare confusioni in caso di nomi molto rari, ma è sempre meglio evitare in quanto si dovrebbe giustificare perché Mapuche è maiuscolo e francesi minuscolo... Manuale di redazione 2005 pag 83 23/2/2005 84 Le maiuscole di rispetto Appena si esce dal ristretto ambito dei nomi propri, l’uso dell’iniziale maiuscola diventa in genere discrezionale e più che di vere e proprie regole è opportuno parlare di convenzioni redazionali, oltretutto in perenne evoluzione. Fino a non molto tempo fa la tendenza generale era quella di abbondare nell’uso delle maiuscole; oggi sembra farsi sempre più strada la tendenza opposta, ma con qualche resistenza. Anche presso gli editori dichiaratamente favorevoli alle minuscole, le più tenaci a morire sembrano essere le cosiddette ‘‘maiuscole di rispetto’’, quelle che soprattutto un tempo venivano usate nel caso di titoli nobiliari (Re, Conte, Principe), cariche (Presidente, Ministro, Direttore) e, soprattutto, organismi statali (Stato, Camera, Parlamento). Mentre per i nomi dei primi due gruppi la minuscola è ormai prevalente ovunque, non altrettanto si può dire per i nomi del terzo gruppo. Solitamente la ragione addotta per giustificare la scelta della maiuscola è quella che in tal modo essi si distinguono dai loro omografi comuni. Il ragionamento è tuttavia pretestuoso. Nella lingua italiana esistono infatti numerosi omografi per i quali non si avverte minimamente la necessità di usare l’iniziale maiuscola per poterli distinguere. «I due deputati si diedero appuntamento per il giorno successivo alla camera» è una frase certo meno ambigua di «Tutti i capi superarono brillantemente l’esame» (si tratta dell’ultima prova tecnica in una industria tessile prima del lancio di una nuova collezione o della verifica delle competenze del personale di una grande azienda?); eppure solo nel primo esempio si ritiene per lo più necessario l’impiego della maiuscola. « I termini san / santo / santa vanno sempre minuscoli quando accompagnano il nome della persona che porta tale titolo (le lettere di san Paolo, sant’Agostino, santa Chiara); hanno l’iniziale maiuscola quando stanno a indicare il nome di un edificio, una città e simili: la chiesa di Santa Maria Novella, la basilica di San Pietro, la città di San Paolo, San Francisco). « Per i titoli di periodici si segue nei limiti del possibile la dicitura che compare sulla testata («Corriere della sera», «la Repubblica», «il manifesto»). Per i nomi stranieri, infine, vanno seguite le regole previste per ciascuna lingua. In particolare si ricorda che: « in tedesco tutti i sostantivi si scrivono con l’iniziale maiuscola; « in inglese vanno scritti in maiuscolo i nomi dei popoli e gli aggettivi da essi derivati, tutte le parole di un titolo che non siano articoli o brevi preposizioni, gli appellativi Sir, Lord, Miss, Mr. ecc.; « in francese vanno scritti in maiuscolo le abbreviazioni Mme (= Madame), Mlle (= Mademoiselle), M. (= Monsieur) e, nei titoli, il primo sostantivo dopo l’articolo (5 4.8.1, punto b). Manuale di redazione 2005 pag 84 23/2/2005 85 Attenzione Non cadete nell’errore - purtroppo meno raro di quel che si pensa - di interpretare la emme puntata prima di un cognome francese per l’iniziale del nome. Infatti M. Chirac, significa semplicemente monsieur Chirac e non Marcel Chirac o Marc Chirac. Questo è favorito dalla tradizione francese – rivoluzionaria per un paese ossequioso come l’Italia – di non usare titoli più o meno onorifici: per cui si cita anche il presidente della repubblica semplicemente come ‘‘signore’’. 6.5 Apice e pedice Si dicono apice o pedice rispettivamente un carattere stampato al di sopra o lievemente al di sotto della base della riga. Di norma i caratteri in apice o pedice devono essere di corpo inferiore a quello del testo (almeno un paio di punti). Apice e pedice sono particolarmente usati in ambito scientifico nelle espressioni, nelle formule chimiche ecc. (5 10.4 e 10.5). Sono sempre in apice i rinvii alle note (5 5.9), l’asterisco, il segno ‘‘º’’ usato per indicare l’ordinale, distinto tipograficamente dal simbolo ‘‘º’’ usato in ambito scientifico come simbolo del grado nella misurazione degli angoli e nell’unità di misura della temperatura in gradi Celsius (ºC), nonché i simboli ‘‘—’’ e ‘‘»’’. Manuale di redazione 2005 pag 85 23/2/2005 7 NORME GRAMMATICALI 7.1 L’accento 7.1.1 Accento grave e accento acuto L’accento può essere grave (`) o acuto (´ ). Sulle vocali a, i, u, o quando è in fine di parola l’accento è sempre grave (à, ı̀, ù, ò). Sulla o all’interno di parola e sulla e, interna o finale, l’accento è grave o acuto a seconda della pronuncia aperta o chiusa della vocale: non è quindi indifferente usare l’uno piuttosto che l’altro. Nei casi in cui esso debba essere segnalato, è bene non fidarsi della propria pronuncia e consultare sempre un buon vocabolario. Alcune regole sono di semplice memorizzazione: per quanto riguarda la e finale di parola l’accento è acuto (é) su ché, cong. causale, sui composti di ‘‘che’’ (affinché, cosicché, giacché, perché, poiché ecc.), sui composti di ‘‘tre’’ (ventitré, trentatré ecc.) e ‘‘re’’ (viceré), su né e sé. Per il resto è generalmente grave. 7.1.2 Quando è obbligatorio Conformemente alla grammatica, l’accento va messo su tutte le parole polisillabiche tronche e sui seguenti monosillabi, per distinguerli dai rispettivi omografi: dà (verbo), dı̀ (giorno) e relativi composti (lunedı̀, martedı̀ ecc.), là e lı̀ (avv. di luogo), sı̀ (avv. affermativo), tè (bevanda), su è (voce del verbo essere) e nei citati casi di né e sé (per distinguerli dalla particella pronominale ne e dalla congiunzione se). Riguardo a sé, per evitare inutili eccezioni, in linea con alcune grammatiche – e con l’abitudine di alcuni scrittori – è possibile mantenere la grafia accentata anche nelle espressioni sé stesso e sé medesimo dove non sarebbe necessaria perché l’equivoco non c’è. L’accento va messo anche sulle parole polisillabiche formate da monosillabi che usati da soli non lo hanno: quindi, oltre al caso citato dei composti di tre, aldiquà (contrapposto a aldilà), autogrù, nontiscordardimé, viceré ecc. Attenzione Si scrivono senza accento do (verbo e nota) e su (avverbio e preposizione). L’accento non va mai indicato con l’apostrofo, nemmeno sulle lettere maiuscole (né e non ne’; È e non E’). Manuale di redazione 2005 pag 86 23/2/2005 87 L’accento Come molti dei segni di interpunzione e come l’apostrofo, anche l’accento fu introdotto nell’uso tipografico italiano sull’esempio del greco. Esso fa la sua prima comparsa, ancora sporadica, alla fine del Quattrocento, e diventa via via più frequente nel corso del Cinquecento e del Seicento, ma senza che si giunga mai a una normativa precisa: l’unico dato rilevabile è che, proprio perché l’uso è esemplato sul greco, prevale di norma l’accento grave in fine di parola e quello acuto all’interno. È nella seconda metà dell’Ottocento e nel Novecento che si comincia ad avvertire la necessità di stabilire delle regole più rigorose. Cosı̀, alcuni propongono di accentare tutte le parole sdrucciole e qualche scrittore (come Carlo Dossi e, più recentemente, Gadda) si attiene nelle proprie opere a questa regola, che tuttavia non avrà grande seguito. Altri promuovono l’uso di due diversi tipi di accento (acuto e grave) per segnalare la diversa pronuncia aperta o chiusa della e e della o. Muovendo da questa distinzione, si fa strada la prassi di distinguere anche le altre vocali accentate con lo stesso criterio per cui si scrive sempre à, in quanto vocale aperta, e ı́ e ú, in quanto vocali chiuse. Tale uso, che ebbe tra i suoi sostenitori anche figure autorevoli come Carducci e Croce, si affermò per un certo periodo di tempo e alcuni editori (come Einaudi) vi si attengono ancor oggi. 7.1.3 Quando è facoltativo (ma consigliato) All’interno di parola in italiano l’accento non è mai obbligatorio. Può tuttavia essere utile usarlo per distinguere fra loro termini omofoni e omografi. In questo caso la scelta è a discrezione del redattore che dovrà decidere di volta in volta sulla base principalmente del grado di ambiguità che presenta il contesto. Dei due omografi, andrà di norma accentato quello meno comune (àncora piuttosto che ancóra). Fermo restando quanto detto, è però bene indicare l’accento nei seguenti casi: « Per distinguere fra loro gli omografi conseguenti alla scelta di scrivere con una sola ‘‘i’’ il plurale dei nomi in ‘‘-io’’ (5 7.8); in questi casi l’accento andrà di norma segnalato sul termine parossitono, cioè con l’accento sulla penultima sillaba: adultèri pl. di adulterio, benefı̀ci pl. di beneficio, demòni pl. di demonio, desidèri pl. di desiderio, malefı̀ci pl. di maleficio, presı̀di pl. di presidio, princı̀pi pl. di principio; senza accento invece i corrispondenti proparossitoni: principi pl. di principe, adulteri pl. di adultero, benefici pl. di benefico, demoni pl. di demone ecc.). « Corollario del punto precedente: può essere utile nei plurali dei nomi della serie in ‘‘-òrio’’, quando sussista la concreta possibilità di confusione con il corrispondente plurale della serie in ‘‘-ore’’ (contraddittòri, uditòri ecc.). « Nelle forme verbali dài e dànno, in dèi (divinità, ma Dei), èra (periodo di tempo), sètte (pl. di setta), subı̀to, vòlta (arco). Manuale di redazione 2005 pag 87 23/2/2005 88 In alcuni tipi di testi, specie se a carattere prevalentemente didattico, può essere utile accentare i termini poco comuni (tecnici, antiquati o letterari), quelli la cui pronuncia è spesso errata nella lingua parlata (edı̀le, rubrı̀ca, utensı̀le), i nomi propri la cui accentazione può essere dubbia in quanto si discosta da quella prevista (Òbizzo, Bòvegno, Afragòla ecc.). 7.1.4 Accento circonflesso L’accento circonflesso di norma non si usa. Esso risulta infatti antiquato e i casi in cui veniva un tempo utilizzato possono essere risolti altrimenti. In particolare: « nei casi in cui stava a indicare una contrazione può essere eliminato del tutto o, in presenza di omografi, opportunamente sostituito dal semplice accento acuto o grave (es. tòrre, togliere, per distinguerlo da torre); « analogamente sarà sostituito dal semplice accento grave o acuto nei casi in cui serviva a distinguere tra loro due omofoni: quindi non vôlta ma vòlta (arco). 5 Per il plurale dei termini in -io (tipo principı̂) si vedano i paragrafi 7.1.3 e 7.8. 7.1.5 Accentazione di termini stranieri Particolare attenzione va posta nell’accentazione dei termini stranieri, per i quali è indispensabile conformarsi alle regole previste per ciascuna lingua. In particolare, per limitarci ai casi più frequenti, in francese l’accento – grave su à (prep.) e où (dove); acuto, grave o circonflesso a seconda dei casi sulla ‘‘e’’ – va segnalato obbligatoriamente quando la lettera è minuscola; si può omettere sulle lettere maiuscole o in maiuscoletto. In spagnolo l’accento è sempre acuto e va posto obbligatoriamente anche sulle lettere maiuscole o in maiuscoletto. Tranne casi particolari, in spagnolo si accentano tutte le parole sdrucciole o bisdrucciole; le parole piane che non terminano in vocale, n o s; le parole tronche che terminano in vocale, n o s. In caso di dubbio, e per tutte le lingue meno conosciute, è opportuno consultare un buon dizionario o una grammatica della relativa lingua, oppure ricorrere al parere di un esperto. 7.2 7.2.1 L’apostrofo Elisione L’apostrofo segnala innanzitutto l’elisione, ossia la caduta della vocale finale di una parola davanti a parola che inizia a sua volta per vocale. Si tratta di un fenomeno fonetico caratteristico del parlato e da usare con parsimonia nello scritto. Manuale di redazione 2005 pag 88 23/2/2005 89 L’apostrofo Il primo testo a stampa in cui compare l’apostrofo è l’edizione delle poesie del Petrarca pubblicata a Venezia nel 1501 da Aldo Manuzio, uno dei più famosi e importanti tipografi di tutti i tempi, cui l’aveva suggerito il letterato Pietro Bembo. Il suo uso si afferma con una certa rapidità, tanto che già nel Settecento si può dire che esso è utilizzato più o meno come oggi. Ma solo più o meno: a lungo infatti si mantiene l’incertezza tra ciò che va considerato elisione (e che quindi, secondo le norme attuali, richiede l’apostrofo) e ciò che è invece troncamento (e che quindi rifiuta l’apostrofo). Già molte delle grammatiche settecentesche sottolineano che bisogna scrivere un uomo e non un’uomo, ma ancora nel Novecento uno scrittore di indubbia proprietà linguistica come Croce, scrive costantemente qual’è e tal’è. Dal punto di vista grafico, si osservi che, quando segnala l’elisione, l’apostrofo: « va sempre unito sia alla parola che precede sia a quella che segue; « non deve mai trovarsi a fine riga. In questo caso occorre intervenire mandando a capo una sillaba in più o facendone risalire una, mai reintegrando la vocale caduta (sono corretti del-l’albero o dell’al-bero; scorretti dell’ | albero e dello | albero). Davanti a parola che inizia per vocale sono generalmente apostrofati gli articoli determinativi lo e la, soli o uniti a una preposizione, e l’indeterminativo una, con i relativi derivati alcuna, nessuna ecc. Si noti però che in assenza di una evidente cacofonia, essi possono mantenere la forma intera; in particolare è preferibile la forma senza elisione nei casi in cui l’articolo è posto davanti a un nome proprio, un titolo di opera e simili («... è professore di Neurologia allo Albert Einstein College...», «l’Introduzione alla Apocalisse di Mosè», e più in generale in tutti i casi in cui il sostantivo che segue è in qualche modo evidenziato (nomi in corsivo, tra virgolette ecc.). Allo stesso modo ci si regoli per gli aggettivi bello, quello. Non vanno mai elisi gli articoli plurali gli (gli italiani e non gl’italiani) e le (le eliche e non l’eliche). Salvo nelle formule stereotipate (d’ora in poi, d’altro canto e simili), da non va mai eliso. Analogamente, si preferisce di norma non apostrofare la preposizione semplice di. Salvo il caso di evidente cacofonia (l’ho e non lo/la ho) o di formule stereotipate (c’è, c’erano), è meglio evitare l’elisione dei pronomi tonici lo e la e degli atoni mi, ti, ci, si, vi e ne. Attenzione Tal e qual non si apostrofano mai (qual è, un tal uomo ecc.). Manuale di redazione 2005 pag 89 23/2/2005 90 7.2.2 Troncamento e aferesi L’apostrofo viene usato per segnalare il troncamento – cioè la caduta di un’intera sillaba finale – in be’ (evitare beh o bè), ca’ (in alcuni nomi di palazzi: Ca’ Granda, Ca’ Foscari), fra’ (= frate), mo’, po’, e negli imperativi di’, da’, fa’, sta’, tie’, to’, va’, ve’. Dal punto di vista grafico, in questo caso l’apostrofo va unito alla parola che precede e separato con uno spazio da quella successiva. L’apostrofo si usa per segnalare l’aferesi, cioè la caduta di una vocale o di una sillaba iniziale. Ciò avviene soltanto all’interno di testi letterari, specie antichi e di poesia, o in scritti che per ragioni stilistiche mirano a riprodurre la lingua parlata (’sto per questo e simili). Dal punto di vista grafico, in questo caso l’apostrofo va unito alla parola che segue e separato con uno spazio dalla parola che precede. 7.2.3 Altri usi dell’apostrofo L’apostrofo può venire usato nelle date in forma abbreviata (gli anni ’40, il ’700), dove tuttavia è preferibile scrivere il numero in lettere (5 10.3). L’apostrofo non va comunque indicato davanti al secondo elemento delle date composte unite da un trattino (la guerra del ’15-18 o la guerra del 1915-18, evitare 1915-’18 e ’15-’18). Va assolutamente evitato l’uso del doppio apostrofo nei casi del tipo i poeti dell’’800. In questi casi si scriva senz’altro il numero in lettere (i poeti dell’Ottocento); oppure, se per ragioni di uniformità è necessario lasciare il numero in cifre, si usi un solo apostrofo (i poeti dell’800). 7.3 7.3.1 La dieresi In italiano L’uso della dieresi è facoltativo in italiano, e comunque strettamente limitato all’ambito poetico, dove ha il mero scopo di segnalare che i due elementi di un dittongo formano due sillabe distinte (es.: «E il sen che nutre i liberi | invidı̈ando mira», Manzoni). Limitatamente a questo ambito, e in testi di carattere didattico, essa può essere utilmente segnalata. 7.3.2 Su parole straniere L’uso della dieresi è obbligatorio in francese (noël, Staël ecc.). In tedesco, dove più propriamente si parla di Umlaut (metafonesi), il segno della dieresi su ä, ö e ü serve a indicare una determinata pronuncia di queste vocali ed è quindi indispensabile, sia sulle minuscole sia sulle maiuscole. Vanno evitate le forme Manuale di redazione 2005 pag 90 23/2/2005 91 sostitutive ae, oe e ue (Mädchen e non Maedchen, Ökonomie e non Oekonomie, Bücher e non Buecher). Si osservi tuttavia che per alcuni nomi propri (Goethe, Goebbels ecc.) quest’ultima forma è quella entrata nell’uso e quindi è l’unica corretta; lo stesso può valere per termini con Umlaut in titoli di opere non recenti, che andranno dunque verificati sull’originale o su un catalogo attendibile. In latino può essere talvolta utile scrivere con la dieresi termini come poëta, poëma ecc., per segnalare che le due vocali non formano dittongo; si limiti tale uso all’ambito didattico o ai termini che, in quanto poco conosciuti, potrebbero creare dubbi nel lettore circa la corretta pronuncia. 5 Si veda anche il capitolo 13. 7.4 Altri segni diacritici Alcune lingue straniere possiedono particolari segni diacritici sconosciuti all’italiano, ma indispensabili per una corretta pronuncia. Per questa ragione tali segni devono essere riprodotti in modo appropriato, in particolare quando si tratti di lingue che impiegano un alfabeto di tipo latino. Col diffondersi del sistema UNICODE la maggior parte di essi è oggi disponibile anche sulle comuni tastiere dei computer (ã/Ã, õ/Õ, å/Å, æ/Æ, œ/Œ, ç/Ç, ñ/Ñ, ß ecc.); altri vanno costruiti mediante combinazioni sul tastierino numerico (per il comportamento da tenere nella redazione di un dattiloscritto riguardo ai segni non disponibili in tastiera 5 1.2.1). A proposito di alcuni di questi segni ricordiamo che: « Æ/æ e œ/Œ non vanno usati per i termini latini (aeternus, non æternus ecc.). « œ/Œ va obbligatoriamente usato in francese (cœur, Œuvre). « La ß (scharfes s) del tedesco va usata dove richiesto dalle norme ortografiche in vigore dall’agosto 1998; in linea generale si ricorda che essa si usa solo nel minuscolo, mentre nel maiuscolo è sostituita dalla grafia alternativa SS. 5 Si veda anche il capitolo 13 e in particolare, per i segni diacritici utilizzati nella traslitterazione da lingue con alfabeto diverso da quello latino, il paragrafo 13.6. 7.5 Grafie errate Segnaliamo qui alcuni casi in cui più frequentemente vengono commessi degli errori di ortografia. « Iniziano con ‘‘aer-’’ tutti i termini del campo semantico di ‘‘aria’’ (latino aer): aerobica, aerare, aeroplano, aeroporto, aerosol ecc. Iniziano invece con ‘‘are-’’ tutti i termini, molto meno frequenti, riconducibili all’ambito semantico di ‘‘superficie’’ (latino area): areale, areogramma, areola ecc. « Il prefisso riguardante il ‘‘tempo atmosferico’’ è meteo-, quindi meteorologia e deriv. (e non metereologia ecc.). Manuale di redazione 2005 pag 91 23/2/2005 92 « Tra gli errori più comuni, tristemente presenti anche su riviste e giornali, quelli riguardanti l’uso delle doppie (es.: accelerare e non accellerare, avallare e non avvallare, ciottolo e non ciotolo, collutorio e non colluttorio, essiccare e non essicare, esterrefatto e non esterefatto, scorrazzare e non scorazzare) e l’uso della ‘‘i’’ (es.: ossequente e non ossequiente, traiettoria e non traettoria, chiacchiera e non chiacchera). « Per quanto riguarda nomi propri stranieri, specialmente geografici, si segnalano alcuni esempi: Mississippi e non Missisipi, Massachusetts e non Massachusets. 7.6 Grafie consigliate Alcuni termini ammettono differenti grafie ugualmente corrette ed è quindi buona norma adeguare la redazione allo stile della casa editrice e applicare con rigore il criterio dell’uniformità. I casi sono molteplici: ciò nonostante e simili fintanto che gran che ogni qualvolta per lo meno / per lo più quanto mai piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che ciononostante fintantoché granché ogniqualvolta perlomeno / perlopiù quantomai « In altri casi sono attestate diverse grafie che andrebbero usate a seconda del significato, ma è bene seguire le indicazioni di una buona grammatica o del vocabolario di riferimento: familiare (= comune) / famigliare (= della famiglia) le fila (pl. di filo: tirare le fila) / le file (pl. di fila: serrare le file) laddove (con valore avversativo) / là dove (= nel luogo in cui) succeduto (= subentrato) / successo (= accaduto) « Nella prima persona plurale del presente indicativo e, soprattutto, nella prima e seconda persona plurale del congiuntivo presente per i verbi il cui tema finisce in gn va mantenuta la grafia con la i (bagniamo, sogniamo, regniate). « Nei seguenti termini, infine, la prima variante va preferita alla seconda: amplissimo caffellatte cherosene kilogrammo e simili dinanzi ebbrezza intravedere obiettivo e deriv. Manuale di redazione 2005 piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che pag 92 ampissimo caffelatte kerosene chilogrammo e simili dinnanzi ebrezza intravvedere obbiettivo 23/2/2005 93 pressappoco psicoanalisi e deriv. sennonché shock soprattutto succubo 7.7 piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che piuttosto che pressapoco psicanalisi senonché choc sopratutto succube Uso dell’articolo Si usano sempre gli articoli lo/gli e uno: « davanti a ‘‘i’’ semiconsonantica (lo ieri, lo iato, uno iugoslavo ecc.); « davanti a parole che iniziano con due consonanti, compresa la x (gli gnocchi, uno khmer, lo psicologo, lo xilofono ecc.); « davanti a parole straniere inizianti per h che nella lingua di provenienza è aspirata (sempre in inglese e tedesco) e che non siano entrate stabilmente nell’uso italiano (lo hara-kiri, lo Hegel ecc.; ma l’hinterland, un hobby ecc.). 7.8 Plurali dei nomi in ‘‘-io’’ e in ‘‘-ia’’ Il plurale dei sostantivi con desinenza in -io atona si scrive con una -i semplice; evitare le forme antiquate in -ii, -ı̂ o -j. Gli omografi che di conseguenza possono venire a crearsi andranno distinti, nel caso che il contesto diventi ambiguo, mediante l’impiego dell’accento (5 7.1.3). Quando la ‘‘i’’ del suffisso è accentata, il termine mantiene ovviamente nel plurale la forma in -ii (mormorii, restii, stantii ecc.). Per il plurale dei termini in -cia/-gia, benché siano generalmente attestate nella tradizione letteraria entrambe le forme (-cie/-ce, -gie/-ge), si ricorda che la consuetudine prevede che la ‘‘i’’ venga omessa quando la ‘‘c’’ e la ‘‘g’’ sono precedute da una consonante (bilancia, pl. bilance), mantenuta negli altri casi (ciliegia, pl. ciliegie; camicia, pl. camicie). Nel dubbio, consultare un buon dizionario o una buona grammatica (es. La lingua italiana di Dardano-Trifone di Zanichelli o L’italiano di Serianni-Castelvecchi di Garzanti). 7.9 Uso dell’ausiliare con i verbi servili Con i verbi servili (dovere, potere, volere) coniugati ai tempi composti è buona norma utilizzare l’ausiliare del verbo principale (es.: «ho dovuto telefonare», «sono dovuto uscire» ecc.). Si noti tuttavia che se l’infinito retto dal verbo servile è essere, l’ausiliare è sempre avere (es.: «avrebbe voluto essere al suo posto»). Manuale di redazione 2005 pag 93 23/2/2005 8 LA PUNTEGGIATURA La punteggiatura è uno degli ambiti della scrittura per il quale è più difficile stabilire norme precise. Molte scelte sono infatti di natura squisitamente stilistica e quindi soggettive. Al di qua del vasto campo del discrezionale, vi è tuttavia anche nell’ambito dell’interpunzione una serie di comportamenti che rispondono a delle precise convenzioni, cui qualunque scritto – almeno in prosa – è tenuto a conformarsi e, come altra faccia della medaglia, alcuni usi che sono da considerarsi scorretti. Le indicazioni fornite nei paragrafi successivi riguardano essenzialmente questi due ultimi aspetti. In generale si ricorda che, salvo dove diversamente indicato, dal punto di vista grafico ogni segno di interpunzione va sempre unito all’ultima lettera della parola che precede e separato con uno spazio dall’iniziale della parola successiva. Attenzione Va assolutamente evitato ogni intervento sulla punteggiatura nelle opere letterarie o comunque d’autore. 8.1 Il punto Il punto (o punto fermo) serve innanzitutto a chiudere ogni periodo di intonazione affermativa. In tal caso, dopo di esso ci vuole sempre la lettera maiuscola. Per quanto riguarda l’aspetto grafico, il punto va posto sempre dopo la parentesi e le virgolette di chiusura, ma prima dell’eventuale numero in apice della nota. Il punto è usato inoltre nei casi seguenti: « Per indicare che una parola è abbreviata (punto abbreviativo). Quando sono puntate singole lettere consecutive, tra di esse non va alcuno spazio (es.: a.C.; s.l.m.; T.S. Eliot; G.W.F. Hegel). Se l’abbreviazione puntata coincide con la fine del periodo, il punto non va raddoppiato. 5 Per le abbreviazioni si veda il capitolo 12. « Nelle espressioni numeriche da diecimila in su, in alternativa allo spazio fine (che è tuttavia preferibile) per separare fra loro le cifre delle migliaia (5 10.1). 8.2 La virgola Poiché la virgola è il più ‘‘debole’’ dei segni di interpunzione, il suo uso è forse quello più discrezionale e vario. Segnaliamo di seguito alcuni casi in cui è tuttavia opportuno conformarsi a delle norme abbastanza precise. Manuale di redazione 2005 pag 94 23/2/2005 95 La virgola viene usata in modo pressoché tassativo nei seguenti casi: « Per dividere fra loro gli elementi di un’enumerazione, l’ultimo dei quali invece che dalla virgola è spesso preceduto dalla congiunzione e. Si noti inoltre che tali elementi possono essere anche semplici frasi coordinate fra loro (se sono invece complesse, è preferibile separarle fra loro con il punto e virgola; 5 8.3): L’inevitabile, scandalosa e beffarda verità sarà molto diversa. Si tratta di un testo fondamentale per capire l’uomo moderno, le sue angosce, i suoi traumi, i suoi impulsi. Scesi le scale, chiesi che mi aprissero, la porta si dischiuse e io balzai in strada. « Per segnalare un’apposizione o una frase incidentale (in questo secondo caso, con valore pressoché analogo alle lineette o alle parentesi tonde; 5 rispettivamente, 8.8 e 8.9.1); se essa è all’interno della frase ci vuole una virgola sia all’inizio sia alla fine: Elemento fondamentale della vita sul pianeta, l’azoto costituisce il 78% del volume dell’atmosfera terrestre. Landolfo, cronista del XII secolo, fu autore di una Mediolanensis historia. I restanti elementi, a differenza di quelli analizzati finora, non hanno nessun utilizzo pratico. Si è recato a Torino a trovare Lucia, la figlia di un suo carissimo amico. Attenzione Si ricorda che va fatta particolare attenzione a una corretta disposizione delle virgole quando la subordinata o l’apposizione da comprendere tra due virgole siano legate alla seconda di due frasi coordinate o subordinate fra loro: Esempi errati: Rientrò in casa qualche minuto dopo le sei, e quando scese dopo il bagno, trovò che la moglie era appena rientrata dal lavoro. Gli ricordò che sebbene avesse solo pochi anni più di lui, non per questo doveva mancargli di rispetto a quel modo. Esempi corretti: Rientrò in casa qualche minuto dopo le sei e, quando scese dopo il bagno, trovò che la moglie era appena rientrata dal lavoro. Oppure: Rientrò in casa qualche minuto dopo le sei, e quando scese dopo il bagno trovò che la moglie era appena rientrata dal lavoro. Gli ricordò che, sebbene avesse solo pochi anni più di lui, non per questo doveva mancargli di rispetto a quel modo. Se l’incidentale si inserisce in una proposizione che a rigore andrebbe separata dalla precedente anche con una virgola (es.: «La terra era di chi la voleva, e sapeva produrre frutti eccellenti»), per evitare di racchiudere tra due virgole una brevissima porzione di testo, si può omettere la prima di esse: La terra era di chi la voleva e, come le monache avevano dimostrato, sapeva produrre frutti eccellenti. Piuttosto che: La terra era di chi la voleva, e, come le monache avevano dimostrato, sapeva produrre frutti eccellenti. Manuale di redazione 2005 pag 95 23/2/2005 96 « Dopo il primo elemento della frase, quando esso viene poi ripreso da un pronome: Dai retta a tua madre ... quel Bube, lascialo perdere. Diari di pittori italiani, ne conosco pochissimi. « Spesso, tra la frase principale e una subordinata, in particolare quando esse non siano strettamente legate fra loro. La virgola è pressoché d’obbligo quando la subordinata precede la principale; discrezionale – ma consigliata, soprattutto se le due frasi sono di una certa complessità – se la subordinata segue. Diamo qui di seguito qualche esempio: Benché non siano cosı̀ astuti come le volpi, i ricci sono spesso più saggi di loro. Prima di rivelarsi pienamente come narratore, egli lavorò come giornalista. Partendo da un’acuta analisi del problema, l’autore propone interessanti soluzioni. Se decideranno di togliercela, ci opporremo con tutte le nostre forze. « Per segnalare una contrazione, in frasi che hanno lo stesso verbo della frase precedente ma sottinteso; in tal caso è opportuno che le due frasi siano separate da un segno di interpunzione più forte della virgola. Il primo prese un caffè macchiato; il secondo, un amaro. « Per separare interiezioni, vocativi e simili Ehi, che succede? Dai, raccontaci cosa ti ha detto! Da quanto tempo non ti sei fatto vivo, Edgar! Suvvia, caro amico, non andate in collera. Macché, neanche per quel giorno cambiò qualcosa. Ecco, adesso è tutto organizzato. « In contesti particolari, anche là dove di norma non andrebbe, per evitare ambiguità di lettura: La notte, ammirò la straordinaria grazia dei giochi di artiglieria. All’inizio, del libro non v’era traccia. Poi fu trovato tra le carte della scrivania. La terra era di chi la voleva, e sapeva produrre frutti eccellenti. La virgola non va mai messa: « Tra soggetto e verbo o tra verbo e complemento. Capita spesso di trovare delle virgole scorrette di questo tipo nei casi in cui il verbo è lontano dal soggetto o dal complemento: occorre prestare quindi particolare attenzione. Esempi errati: L’uomo che hai incontrato sulle scale, era mio padre. Manuale di redazione 2005 pag 96 23/2/2005 97 L’interpunzione L’interpunzione è un aspetto assai importante e delicato della scrittura, come ben si capisce guardando quante cure vi dedicano i grandi autori, sia nella loro pratica scrittoria sia in discussioni teoriche. Leopardi, che si considerava «sofistichissimo» in fatto di punteggiatura, scrisse una volta in una lettera al Giordani che «spesse volte una sola virgola ben messa dà luce a tutto il periodo» e aveva più volte pensato di scrivere anche un «Trattatello della punteggiatura». L’idea di usare dei segni appositi per scandire la frase aiutando in tal modo l’opera di comprensione del lettore si affaccia solo nel Cinquecento. I testi precedenti, tanto quelli manoscritti che i primi incunaboli, sono del tutto privi di interpunzione oppure presentano segni diversi da quelli attuali o li usano con criteri del tutto differenti. Agli inizi del Cinquecento invece, sulla scorta degli studi umanistici, si decide di prendere a prestito i segni interpuntivi usati nel greco e di adattarli all’italiano. Sono proprio i tipografi più autorevoli che con la loro paziente opera di regolarizzazione e uniformazione fanno sı̀ che nel giro di qualche decennio si diffonda un uso della punteggiatura molto simile a quello odierno; e si noti che tale abitudine incontra talvolta il disappunto degli stessi scrittori, che si lamentano perché si trovano inopinatamente introdotti nei loro scritti dei segni di cui stentano a comprendere il significato. Da allora della questione punteggiatura si sono occupati sia grammatici e trattatisti sia scrittori. In particolare alcuni di essi lamentano la scarsità dei segni rispetto alle necessità della scrittura e vorrebbero introdurne di nuovi: nell’Ottocento, lo scrittore Carlo Dossi (Zenevredo 1849 - Cardina 1910) propone – e usa in qualche suo scritto – il ‘‘due-vı̀rgole’’, cioè una virgola sovrapposta all’altra sull’esempio del due punti e del punto e virgola, che «verrebbe a indicare un distacco tra l’una e l’altra proposizione, minore di quello della vı̀rgola accoppiata al punto, maggiore della sèmplice vı̀rgola»; altri, per evitare la confusione fra i tre puntini di sospensione e quelli usati per segnalare un’omissione in una citazione, vorrebbero che si usassero nel secondo caso tre virgole consecutive. Le prime tracce di un’evoluzione che sembra ben lontana dall’essere compiuta, sono rintracciabili già nelle scimmie. Notò improvvisamente tra le innumerevoli carte che giacevano sulla scrivania, il vecchio documento che da tempo cercava. Esempi corretti: L’uomo che hai incontrato sulle scale era mio padre. Le prime tracce di un’evoluzione che sembra ben lontana dall’essere compiuta sono rintracciabili già nelle scimmie. Notò improvvisamente tra le innumerevoli carte che giacevano sulla scrivania il vecchio documento che da tempo cercava. Manuale di redazione 2005 pag 97 23/2/2005 98 « Come corollario del punto precedente, dopo l’ultimo di una serie di soggetti coordinati fra loro. Esempi errati: Marina, Rossella, Michele, Marco, si trovarono al bar a festeggiare. La grande illusione che il progresso industriale portasse la felicità per tutti, ristabilisse la pace sociale e riconducesse l’uomo all’armonia con la natura, è ormai fallita. Esempi corretti: Marina, Rossella, Michele, Marco si trovarono al bar a festeggiare. La grande illusione che il progresso industriale potesse portare la felicità per tutti, ristabilire la pace sociale e ricondurre l’uomo all’armonia con la natura è ormai fallita. Si preferisce non usarla: « Prima della congiunzione e: ciò vale soprattutto quando la congiunzione si trova tra due elementi coordinati o prima dell’ultimo elemento di un’elencazione; altre volte la virgola prima della e è invece ammissibile nel caso di due frasi coordinate particolarmente lunghe («Edgar lavorò per tutta la settimana nel giardino del cappellano, e tornò alla serra il lunedı̀ successivo»), o addirittura raccomandata per evitare ambiguità («La terra era allora di chi la voleva, e sapeva produrre frutti eccellenti»). « Tra due frasi unite dalle congiunzioni né e o: Non ho visto né l’uno né l’altro. Ti piace di più questo o quello di ieri? « Per isolare dal resto brevi avverbi o congiunzioni e simili (comprese semplici frasi subordinate), salvo li si voglia evidenziare in modo particolare: Secondo me ci potrebbe essere stato un fraintendimento. Perciò ritenne di non dover intervenire. I vicini d’altra parte non si erano accorti di nulla. E tuttavia egli non era nuovo a imprese di tal fatta. « Prima di eccetera (o della relativa abbreviazione ecc.). In ambito matematico, la virgola è usata per separare le cifre intere dai decimali. In questo caso essa non ha alcuno spazio né prima né dopo (per es.: 1,5; 33,4; 5 10.1). 8.3 Il punto e virgola Il punto e virgola indica una pausa più forte della virgola ma inferiore al punto. Esso può essere utilizzato per separare fra loro due o più elementi coordinati se questi contengono al loro interno delle virgole: A noi premeva soltanto sottolineare lo stretto margine di manovra e di autonomia; la scarsa rilevanza degli interventi finora preventivati; e soprattutto la mancanza di una critica costruttiva, in grado di dare finalmente una svolta decisiva alla questione. Manuale di redazione 2005 pag 98 23/2/2005 99 Il punto e virgola Il punto e virgola fa la sua apparizione per la prima volta in un’opera a stampa italiana nel 1501: è il tipografo veneziano Aldo Manuzio che lo impiega nell’edizione del Canzoniere del Petrarca curata da Pietro Bembo. Il suo uso, tuttavia, è oscillato a lungo prima di attestarsi su quello attuale, ossia come pausa intermedia tra la virgola e il punto. Nell’edizione citata, per esempio, esso è perlopiù usato al posto della semplice virgola; ancora agli inizi del Novecento alcuni scrittori (tra i quali il Pascoli) lo usano per isolare una proposizione incidentale, al posto della virgola o della parentesi. 8.4 I due punti I due punti indicano che quello che segue è un’esplicazione di quanto contenuto nella frase che precede: essi sono usati in particolare per introdurre un’elencazione (5 5.8), una citazione (5 5.7) o un discorso diretto (5 8.10). Di norma dopo i due punti si ha l’iniziale minuscola. Si ha la maiuscola quando essi introducono una citazione o un discorso diretto tra virgolette, o un’elencazione i cui singoli elementi terminano con il punto. È bene evitare che in una frase i due punti vengano ripetuti più di una volta. I due punti si usano anche nell’indicazione numerica delle ore, per separare le ore dai minuti (5 10.3); in questo caso senza spazi né prima né dopo (es.: 12:35). 8.5 I tre puntini I tre puntini possono essere posti all’inizio o alla fine di una frase per segnalare una sospensione o un improvviso cambio del discorso, oppure con valore allusivo o per creare una breve pausa prima... della rivelazione finale (puntini di sospensione). Quando sono all’inizio vanno sempre separati con uno spazio dalla parola che segue; quando sono alla fine sono attaccati alla parola che precede e staccati dall’eventuale parola che segue. Se coincidono con la fine della frase, non va aggiunto il punto fermo. I puntini sono utilizzati per segnalare un’espunzione all’interno di una citazione. In questo caso sono separati con uno spazio tanto dalla parola che precede quanto da quella che segue, eventualmente tra parentesi quadre. Non è necessario, salvo che la frase sia palesemente incompleta, porli all’inizio o alla fine: trattandosi di una citazione, va da sé che prima e dopo di essa ci sia nell’originale dell’altro testo. Dal punto di vista tipografico si noti che i tre puntini non sono formati da tre punti giustapposti, ma sono un unico carattere, disponibile in tutte le più importanti serie di font. Manuale di redazione 2005 pag 99 23/2/2005 100 Attenzione Il numero dei puntini non è casuale: devono essere tre e non vanno usate serie più brevi o più lunghe. 8.6 Il punto esclamativo e il punto interrogativo Punto esclamativo e punto interrogativo chiudono rispettivamente una frase che è pronunciata con enfasi o che contiene una domanda. Di norma non vogliono dopo di sé alcun altro segno di interpunzione, tranne nel caso in cui essi facciano parte di un titolo o di un’espressione stereotipata: Ho appena terminato di leggere Avere o essere?. L’ho trovato assai interessante. Oppure, chissà?, le era caduto di tasca durante la colluttazione. Magari!, pensò fra sé, gliel’avessero regalato. Dopo il punto interrogativo e il punto esclamativo si ha di norma la maiuscola. Può essere usata la minuscola se si tratta di un’espressione stereotipata oppure se la pausa non è molto forte (es.: elenco di brevi domande): Ma dove era stato? chi aveva incontrato? come mai ancora non tornava? Talvolta punto esclamativo e interrogativo possono essere usati anche in combinazione: «Per domani?!» osservò incredulo. 8.7 Il trattino Il trattino, o trattino di sillabazione (hyphen) si distingue tipograficamente dalla lineetta (5 8.8) e dal tratto lungo per le sue dimensioni ridotte. Esso non vuole di norma alcuno spazio prima e dopo. Si usa nei seguenti casi: « per indicare il segno di a capo; « per unire due termini strettamente correlati (dizionario Tedesco-Italiano; la linea Roma-Napoli; il vertice Bush-Blair); « in alcune parole (per lo più di origine onomatopeica) formate da due elementi uguali ripetuti (tic-tac, zig-zag, ping-pong); « tra due cifre, per indicare un intervallo (anche quando esse sono scritte in lettere): l’anno accademico 1976-1977. vedi sopra, pp. 56-58. Greta Garbo (1905-1990), attrice svedese... Saranno circa venti-venticinque righe. Manuale di redazione 2005 pag 100 23/2/2005 101 Punto interrogativo e punto esclamativo Oh da quale potenza ricevi questo tuo forte potere di governare il mio cuore con le tue mancanze, di farmi accusare di menzogna la mia vista veritiera, e giurare che la chiara luce non dà grazia al giorno? È l’inizio del sonetto 150 di Shakespeare (nella traduzione di S. Serpieri): quando leggiamo per la prima volta questi versi, solo alla fine del quarto capiamo finalmente quale intonazione dobbiamo dare alla frase; a giudicare dall’inizio, infatti, essa potrebbe anche richiedere un’intonazione esclamativa. Ciò non succederebbe se gli stessi versi fossero tradotti in spagnolo: proprio per togliere ogni possibilità di equivoco nel caso di frasi interrogative o esclamative complesse, l’ortografia spagnola ha infatti introdotto la consuetudine di mettere all’inizio di tali frasi lo stesso segno che comparirà alla fine, ma capovolto: «¿Y es posible que tres hacaneas, o como se llaman, blancas como el ampo de la nieve, le parezcan a vuesa merced borricos?»; «¡Vive Roque, que es la señora nuestra ama más ligera que un alcotán ... que todas corren como el viento!». Convinto fautore di questa consuetudine dello spagnolo, tanto da volerla introdurre anche nell’italiano (ma senza seguito), fu lo scrittore Carlo Dossi (1849-1910), il quale la adottò, insieme ad altri accorgimenti grafici, nella sua opera La desinenza in A; nell’Avvertenza egli osserva che il sistema spagnolo è «utilı̀ssimo per evitare a chi legge a voce alta – màssime nei perı̀odi lunghi in cui la domanda o la esclamazione non apparisce chiaramente fin dalle prime parole – di doversi ad un tratto, dinanzi all’impreveduto punto di ostàcolo, arrestare per cosı̀ dire col pie’ levato fuor di equilibrio». « nelle indicazioni bibliografiche, per separare fra loro due titoli pubblicati nello stesso volume (in questo caso va lasciato uno spazio sia prima sia dopo il trattino): Leonardo Sciascia, La Sicilia, il mio cuore - Favole della dittatura. « in ambito tecnico e scientifico (e solo in questo) sono ammesse costruzioni eccezionali come quella nel seguente esempio: Uno studio su epato- e nefropatie gravi. Si preferisce non usarlo: « per unire tra loro due sostantivi che formano insieme una locuzione con significato proprio (concetto chiave, spirito guida, guerra lampo); « negli aggettivi composti quando fra i due elementi non vi è contrapposizione ma essi indicano anzi un unico concetto (austroungarico, socioculturale, nordoccidentale; ma la guerra anglo-boera, discipline economico-sociali); Manuale di redazione 2005 pag 101 23/2/2005 102 « nei colori composti: quando si hanno due aggettivi essi vanno scritti uniti (grigioverde, biancoceleste); quando si ha un sostantivo e un aggettivo si scrivono separati (grigio perla, giallo senape). Attenzione « Quando il trattino collega elementi fra loro eterogenei come lettere e numeri si preferisce separarlo lievemente da quanto precede e segue (per esempio con l’inserimento di uno spazio fine): Greta Garbo (Stoccolma 1905 - New York 1990), attrice svedese... « Il trattino è molto usato in francese, in particolare nei nomi propri composti: nel dubbio, è sempre bene verificare l’esatta grafia su un buon repertorio (JeanBaptiste Le Rond d’Alembert, Étienne-Maurice Falconet ecc.). « Per l’uso del trattino nei termini inglesi, ci si regoli caso per caso sull’uso effettivo nella lingua d’origine anche quando essi sono ormai entrati nell’uso italiano e sono lasciati in tondo (quindi know-how, make-up; ma weekend). 8.7.1 I prefissi In alcuni casi si usa separare con un trattino un termine preceduto da un prefisso. Ciò avviene in particolare con i prefissi bisillabi anti, capo, contro, filo, vice. Si limiti tale uso a costruzioni estemporanee, preferendo di norma la grafia unita (anticrittogamici, caporedattore, vicedirettore). Se l’ultima vocale del prefisso è uguale all’iniziale della parola, la vocale non va ripetuta (es.: antitaliano, filoccidentale). Attenzione Il prefisso ex si scrive sempre senza trattino e staccato dalla parola cui si riferisce (ex professore, ex militante). 8.8 La lineetta La lineetta o trattino di separazione (en dash) si distingue dal trattino perché ha una lunghezza circa doppia rispetto a esso, corrispondente di norma alla metà del corpo. La lineetta è sempre preceduta e seguita da uno spazio. La lineetta si usa principalmente per isolare una frase incidentale, con funzione più o meno analoga alla virgola (5 8.2) e alle parentesi tonde (5 8.9.1). Se l’inciso si trova al centro di una proposizione, la lineetta apre e chiude l’inciso; se questo è alla fine della frase, dopo l’inciso è sufficiente il punto: È lo stesso Dio che dispone come il nuovo tipo di vita – la vita di Cristo – debba propagarsi. Ci furono una serie di mutamenti continui e repentini – e talvolta drammatici. Manuale di redazione 2005 pag 102 23/2/2005 103 Se richiesto dalla punteggiatura della frase principale, la lineetta che chiude l’inciso può essere seguita da una virgola; al contrario non bisognerebbe mai mettere alcun segno di interpunzione prima della lineetta di apertura: Secondo il parere di molti antichi studiosi – e di buona parte di quelli attuali –, si tratta di un problema di assai ardua soluzione. Una singola lineetta a inizio riga (separata dal testo che segue con una spaziatura fissa pari a uno spazio fine) si usa talvolta per introdurre le battute di un dialogo in luogo delle virgolette caporali, il cui uso è tuttavia da preferire (5 8.10.1). Attenzione « Se possibile, va evitato che la lineetta di apertura venga a trovarsi alla fine di una riga e similmente che quella di chiusura si trovi all’inizio; va assolutamente evitata la lineetta di chiusura da sola a inizio riga quando essa è seguita da una virgola. « In alcune lingue straniere (in inglese e in tedesco, in particolare), la lineetta ha spesso una funzione diversa da quella dell’italiano: si valuti caso per caso quale segno è più opportuno usare (generalmente i due punti o i tre puntini). 8.9 8.9.1 Le parentesi Tonde Le parentesi tonde si usano: « Per isolare dal resto della frase un inciso (con valore pressoché analogo alla virgola o alla lineetta: 5 8.2 e 8.8): Tutti gli studi citati (tranne il terzo, che analizzeremo in altra occasione) non contengono alcuna novità di rilievo. « Per fornire un’indicazione accessoria, come rimandi, brevi esempi ecc. « Nei riferimenti bibliografici: – per racchiudere la dicitura ‘‘a cura di’’, nel caso di libri senza autore ma con un curatore (5 4.8.1, punto a) – per la traduzione del titolo di opere in lingua straniera non pubblicate in italiano (5 4.8.1, punto b); – per l’indicazione dell’anno della ristampa (5 4.8.1, punto d); – per le date dei periodici, nel caso si ritenga opportuno segnalarle (5 4.8.3, punto c). « In ambito matematico, nelle espressioni polinomiali per indicare il corretto ordine di esecuzione delle operazioni (5 10.4). Manuale di redazione 2005 pag 103 23/2/2005 104 La punteggiatura d’autore Il presente capitolo si apre ricordando che in tema di punteggiatura a ben vedere tutto è soggettivo. Ciò nonostante nel corso di esso vengono date delle norme abbastanza rigorose cui – lo ribadiamo ancora una volta – è bene attenersi, specie in una traduzione e nelle opere a carattere saggistico. Inutile dire che va invece assolutamente rispettata la punteggiatura d’autore, pur quando si conceda vezzi insoliti o addirittura in aperto contrasto con gli usi canonici. Basteranno pochi esempi per renderci conto che anche noti scrittori, unanimemente considerati maestri di lingua, spesso seguono un uso non conforme alle norme, ma dettato da motivazioni stilistiche, da necessità di intonazione o anche, perché no?, per semplice vezzo. Tale per esempio quello del Carducci (e anche di altri suoi contemporanei e successori) di non mettere la virgola tra i diversi elementi di una serie: Dante il Cavalcanti il cronista Giachetto Malespini il padre del Petrarca e la maggior parte degli scrittori e giureconsulti toscani d’allora... Sciascia introduce frequentemente una virgola tra soggetto e predicato quando il soggetto ha una forma composita: Altro elemento da tenere in conto, è quella specie di esitante sodalizio che Consolo ha intrattenuto per anni con Lucio Piccolo. Ma il punto di vista che Diderot inventa e Ortega scarta, si può considerare meramente ottico... Questi brevi testi – di Diderot, di Baudelaire – e altri cui ci avverrà di fare richiamo, sono delle approssimazioni... (continua nella pagina a fronte) Attenzione La parentesi che apre non deve mai essere preceduta da segni di interpunzione; questi, nel caso, vanno dopo la parentesi di chiusura: Impaziente di rivederla (erano ormai tre mesi che essa mancava da casa), giunse alla stazione in largo anticipo. 8.9.2 Quadre Le parentesi quadre si usano: « Per racchiudere le abbreviazioni [N.d.T.] e [N.d.C.] nelle note (5 5.9.2). « Per inserire un elemento estraneo (un commento, una precisazione ecc.) in una citazione. Manuale di redazione 2005 pag 104 23/2/2005 105 (La punteggiatura d’autore - continua) D’altra parte esempi simili (nella fattispecie la virgola è prima del complemento oggetto) si trovano anche nei Promessi sposi: Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare nell’animo del poveretto, quello che s’è raccontato... Ancora più clamorosa la virgola in casi come i due seguenti, dove ha evidentemente lo scopo di segnare uno stacco, una sorta di sospensione dopo il soggetto per meglio evidenziarlo: «L’amore, ha lo stesso meccanismo del gratta e vinci» (Aldo Nove) «Il prete, non poteva dirle nulla» (Pier Paolo Pasolini) Ancora da Sciascia e Manzoni due esempi di virgola dopo l’ultimo elemento di una serie: La profondità, la complessità, il difficile e l’oscuro nella letteratura e nell’arte, sono per Savinio qualcosa di simile... La paura del giorno avanti, la veglia angosciosa della notte, la paura avuta in quel momento, l’ansietà dell’avvenire, fecero l’effetto. E si potrebbe continuare a lungo. Non si tratta ovviamente di errori e nemmeno di «licenze poetiche»; piuttosto di scelte che, al pari di quelle di un vocabolo antiquato o dialettale letterario gergale, sono prettamente stilistiche; in un’opera letteraria esse contribuiscono a caratterizzare il testo ma, al pari di una scelta terminologica poco consueta, risultano stonate in un testo puramente denotativo. « Per una frase parentetica all’interno delle parentesi tonde (ma è un uso che va preferibilmente evitato). « Nei riferimenti bibliografici, per racchiudere le integrazioni alla bibliografia di un testo tradotto (5 4.8). « In ambito matematico, come livello intermedio tra la parentesi graffa e la tonda per indicare l’ordine corretto di esecuzione delle operazioni nelle espressioni polinomiali (5 10.4). 8.9.3 Graffe Le parentesi graffe si usano: « In ambiti particolari (es.: filologia). « In ambito matematico, come livello superiore alle parentesi tonde e quadre per indicare l’ordine corretto di esecuzione delle operazioni nelle espressioni polinomiali (5 10.4). Manuale di redazione 2005 pag 105 23/2/2005 106 8.10 Le virgolette Esistono tre tipi di virgolette: a) le virgolette caporali (« »); b) le virgolette alte (‘‘ ’’); c) gli apici (‘ ’). a) Le virgolette caporali, cosiddette perché richiamano la tipica insegna del grado sulla divisa militare, si usano nei seguenti casi: « Per racchiudere le battute di un dialogo (5 8.10.1). « Per le citazioni in prosa; se la citazione prosegue per più di un capoverso, le virgolette vanno aperte a ogni nuovo paragrafo e chiuse soltanto dopo l’ultimo (5 5.7.1). « Per le citazioni di versi che, per il loro numero esiguo o perché in nota, sono date direttamente all’interno del testo; i versi centrati nella pagina non necessitano di virgolette (5 5.7.2). « Per la traduzione di termini o brevi espressioni in lingua straniera. « Nei riferimenti bibliografici, per i titoli dei periodici (5 4.8.3) e per i titoli dei capitoli che non hanno autonomia propria (5 4.8.2). b) Le virgolette alte si usano quando è necessario porre tra virgolette qualcosa che già si trova all’interno di virgolette: Poi aggiunse: «Tu dici: ‘‘Ti ho visto’’. E io ti rispondo: ‘‘Non è possibile. Non c’ero’’». « Quando si vuole in qualche modo evidenziare una parola, o segnalare che essa va considerata in un senso che si discosta dal suo solito e simili (ma è prassi da limitare il più possibile, in quanto spesso rivela soltanto che a chi scrive sfugge al momento il termine più appropriato per quel concetto). « In alternativa al corsivo (5 6.2.2), nel caso in cui per qualche ragione l’uso di quest’ultimo non sia opportuno, quando si vuole indicare che una parola va considerata rispetto alla sua forma e non al suo significato. c) Gli apici si usano solo nel caso sia necessario usare delle virgolette all’interno delle virgolette alte: «Poi aggiunse: ‘‘Tu dici: ‘Ti ho visto’. E io ti rispondo: ‘Non è possibile! Non c’ero’ ’’». Attenzione Quando un passo fra virgolette coincide con la fine del paragrafo, il punto finale va al di fuori delle virgolette; esso va messo anche se il testo all’interno finisce con un punto esclamativo, interrogativo o con i tre puntini. Manuale di redazione 2005 pag 106 23/2/2005 107 8.10.1 I dialoghi Per i dialoghi è preferibile l’uso delle virgolette basse, piuttosto che della lineetta, anche quando il discorso procede per botta e risposta su righe diverse. Alcuni esempi forniti qui di seguito illustrano il comportamento da seguire per quanto concerne la punteggiatura di un dialogo tra virgolette. In linea generale si ricorda che: « il punto finale va sempre dopo la virgoletta di chiusura e va messo anche nel caso che il discorso all’interno delle virgolette termini con un punto esclamativo, interrogativo o con i tre puntini; « anche quando è posposto al dialogo, il verbum dicendi non è mai preceduto da alcun segno di punteggiatura. Esempi di dialogo: Improvvisamente si alzò dalla sedia e disse: «Devo lasciarvi. Mary mi aspetta». Improvvisamente si alzò dalla sedia e disse: «Devo lasciarvi. Mary mi aspetta!». Improvvisamente si alzò dalla sedia e domandò: «Ma perché Mary tarda tanto?». Improvvisamente si alzò dalla sedia e disse: «Devo lasciarvi. Mary...». «Devo lasciarvi. Mary mi aspetta» disse alzandosi improvvisamente dalla sedia. Improvvisamente si alzò dalla sedia: «Devo lasciarvi» disse. «Mary mi aspetta». «Non è facile raccapezzarsi» osservò l’impiegato «in questo marasma di carte». «No, Jimmy,» disse in tono pacato «penso proprio che non cambierò mai». 8.11 Altri segni di interpunzione Altri segni di interpunzione di uso più sporadico sono i seguenti: « La barra obliqua ( / ) Posta tra due termini, indica un’alternativa di scelta tra i due (e si differenzia per questo dal trattino che indica invece intervallo o unione). Di norma non vuole alcuno spazio né prima né dopo; tuttavia, se come spesso accade dovesse trovarsi troppo ravvicinata alle due parole, è bene farla precedere e seguire da uno spazio fine: Portare un paio di scarpe da ginnastica e/o un paio di sandali. Polibio nacque nell’anno 205 (202 / 200 secondo altri). Manuale di redazione 2005 pag 107 23/2/2005 108 « La barra verticale, singola ( | ) e doppia ( || ) Si usano rispettivamente per separare i versi citati e le strofe dei brani di poesia citati tra virgolette direttamente all’interno del testo (5 5.7.2). « L’asterisco ( * ) Si usa talvolta come rimando per una nota a piè di pagina, in particolare quando si tratti di una nota isolata e soprattutto se apposta a un titolo. In ambiti specifici, può avere valori particolari (per es. in linguistica, precede gli etimi non attestati). In qualche caso infine, un solo asterisco o, più spesso, tre consecutivi segnalano un’omissione volontaria da parte dell’autore (es.: «il giorno avanti, il cardinal Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, era arrivato a * * * »). « Altri segni, come le parentesi uncinate ( < > ) trovano impiego solo in settori specialistici (es.: filologia). Manuale di redazione 2005 pag 108 23/2/2005 9 LA DIVISIONE IN SILLABE 9.1 In italiano Quando una parola non sta tutta intera alla fine di una riga, la si può spezzare secondo i noti criteri che regolano la divisione in sillabe. Tali regole sono in linea di massima rispettate anche dai programmi di videoimpaginazione, i quali sillabano automaticamente il documento. Rimangono talvolta non sillabati (oppure vengono sillabati scorrettamente in quanto il programma agisce per analogia con casi assimilabili) alcuni termini rari o tecnici o con nessi consonantici particolari, che non siano presenti nel dizionario interno del programma: in questi casi è necessario intervenire manualmente, forzando la sillabazione. Altre volte può essere necessario intervenire sugli a capo per bilanciare meglio righe troppo larghe o, al contrario, troppo strette (ovvero, rispettivamente, con uno spazio troppo ampio o troppo ridotto tra le parole), o ancora per far rientrare o allungare un righino (5 5.6.4 e 5.6.5). Dando per assodata la conoscenza delle norme generali che regolano la divisione sillabica in italiano, ricordiamo qui solo alcuni dei casi meno comuni. Nel dubbio è comunque bene consultare sempre un dizionario che riporti la divisione in sillabe. Il criterio per la divisione dei gruppi consonantici complessi è il seguente: « la sillaba che si manda a capo deve cominciare con un gruppo di consonanti che la lingua italiana ammette a inizio di parola (ec-zema, tung-steno, Ed-vige, rabdomante); « la x tra due vocali va a capo (Bi-xio); « il nesso cq si divide come i gruppi di consonanti doppie (ac-qua, ac-quisto); « nella sillabazione dei termini che iniziano con un prefisso si possono seguire le regole generali (es: po-strisorgimentale, su-blunare, tran-spadano) oppure, ed è preferibile, dividere il prefisso dalla parola (es: post-risorgimentale, sub-lunare, trans-padano). Dal punto di vista grafico si ricorda che: « sebbene consentito dalla grammatica, si eviti se possibile di lasciare una sola lettera alla fine di una riga (tipo: u-na, a-more); « sebbene sia grammaticalmente lecito dividere fra loro due vocali consecutive che non formino dittongo (be-ato, mani-aco, re-altà, voluttu-oso), è buona norma non mandare a capo una sillaba che inizi per vocale; « è preferibile evitare che un eccessivo numero di righe consecutive termini con un trattino di sillabazione. È un fatto puramente estetico e in genere si tollerano fino a tre righe consecutive che si chiudono con un trattino di sillabazione; Manuale di redazione 2005 pag 109 23/2/2005 110 « mentre è normale andare a capo a fine pagina, è opportuno evitare di farlo quando il testo è interrotto da un’illustrazione, una tabella, una cartina e simili. 9.2 Nelle lingue straniere Le parole straniere – almeno per quanto riguarda il francese, l’inglese e il tedesco – vanno sillabate secondo le regole specifiche di ciascuna lingua. Si deve quindi prestare particolare attenzione, in quanto il computer tende a comportarsi in questi casi secondo il criterio dell’analogia all’italiano, che è spesso scorretto. In francese la sillabazione segue sostanzialmente i criteri dell’italiano, con la sola differenza che i nessi di due consonanti vanno di norma divisi lasciando la prima delle due su una riga e l’altra su quella successiva, anche nel caso di s + consonante (manifes-tement, cons-tatera, excep-tion); si preferisce inoltre non lasciare a capo da sola una sillaba con una e muta finale (tipo: com-me, cares-se, cet-te). Lo stesso vale per lo spagnolo: la divisione in sillabe è sostanzialmente analoga a quella italiana, con la sola eccezione del gruppo s + consonante che si divide lasciando la s sulla riga precedente e l’altra consonante sulla successiva (res-pira, ins-tinto, perspicaz), e i due gruppi consonantici ll e rr che non sono mai divisibili (a-rroz, po-llo). Più difficile enucleare delle regole in breve per il tedesco e l’inglese. Per quanto riguarda il primo, si ricorda che la riforma ortografica introdotta dall’agosto 1998 ha coinvolto anche le regole di sillabazione ed è importante verificare che il vocabolario di riferimento sia aggiornato. Per quanto riguarda invece l’inglese, si ricorda che i criteri di sillabazione anglosassoni e quelli americani sono spesso discrepanti fra loro e che quindi, a rigore, andrebbero seguite le regole corrispondenti a seconda del contesto (ma senza troppa pedanteria!): per l’inglese britannico si può consultare l’Oxford Dictionary (tra i dizionari bilingui riporta la sillabazione secondo il criterio oxoniense l’Hazon della Garzanti), per l’inglese americano il Random House o il Webster; si osservi solo che, anche quando le regole dell’inglese lo consentono, si preferisce evitare di mandare a capo da sola l’ultima lettera di una parola (tipo: Mar-y, librar-y). Manuale di redazione 2005 pag 110 23/2/2005 10 10.1 I NUMERALI Cardinali In un contesto discorsivo i numeri cardinali si scrivono di norma in lettere; ciò vale sia per i numeri interi sia per quelli decimali, frazionari e nella rappresentazione percentuale (uno e ottanta, due terzi, dieci per cento). Si scrivono però in cifre: « quando scritti in lettere genererebbero una parola particolarmente lunga; « quando riproducono indicazioni che sono di norma in cifre, come per esempio nei numeri civici o quando seguono un sostantivo (Reparto 3, stanza 15); « i numeri dei rinvii alla pagina, al capitolo ecc.; « i riferimenti orari, se formati da ore e minuti precisi (13:40; ma le tre e mezzo; 5 10.3); « le date (ma 5 10.3); « in ambito scientifico, i numeri che esprimono delle grandezze, specie se accompagnati dal simbolo dell’unità di misura (possono essere lasciati in lettere quelli che sono inseriti in un contesto discorsivo). Quando un numero è scritto in lettere: « le diverse parti di cui è composto non vanno separate fra loro (cinquantasette, centoquaranta; e non cinquanta sette, cento quaranta); « il suffisso mila non si separa mai dal numero cui si riferisce (cinquemila, seimila), mentre milione e miliardo si scrivono sempre separati dal numero cui si riferiscono (dieci milioni, due miliardi); « vanno scritte per esteso anche le eventuali unità di misura (venti kilometri; evitare: venti km e anche 20 kilometri). Quando un numero è scritto in cifre: « da diecimila in su, è bene separare i diversi ordini di migliaia (a gruppi di tre, partendo da destra); come segno separatore si può usare uno spazio fine o un punto (1450; ma 100 000 oppure 100.000): una volta optato per uno dei due sistemi, esso va seguito con coerenza all’interno del libro; « le cifre decimali si separano con la virgola, in questo caso senza alcuno spazio dopo la virgola (1,25; 7,9). Attenzione « Nei paesi anglosassoni il criterio di separazione delle migliaia e dei decimali è invertito: bisogna dunque prestare attenzione nelle traduzioni e trasformare la virgola in punto e il punto in virgola a seconda dei casi. Manuale di redazione 2005 pag 111 23/2/2005 112 « È buona norma non dividere un numero in cifre su due righe andando a capo. « È bene evitare di cominciare una nuova frase con un numero in cifre. « Le forme ibride del tipo 5 mila, 3 milioni ecc., seppure abbastanza diffuse, sono sconsigliabili. Due cifre separate da un trattino breve, senza spazi prima e dopo, segnalano un intervallo; per i numeri superiori alle centinaia, del secondo numero possono essere date soltanto le ultime due cifre, purché la penultima non sia zero (57-58; 645-50; 103-105). 10.2 Ordinali Come i cardinali, anche i numeri ordinali si scrivono di norma in lettere all’interno dei contesti discorsivi. Per la scrittura in cifre degli ordinali si può usare il numero arabo seguito dal simbolo ‘‘ º ’’ (‘‘ ª ’’, per il femminile), collocato in apice e senza spaziatura (1º aprile, 3ª compagnia guastatori), oppure i numeri romani, di norma in maiuscolo. Le cifre romane si usano obbligatoriamente: « per i sovrani, papi ecc.; « per i secoli (5 10.3); « nelle indicazioni bibliografiche: – per i singoli volumi (in maiuscolo); – per i tomi (in maiuscoletto se preceduti dal volume; maiuscolo se da soli); – nel caso, per i numeri di pagina (sempre in maiuscoletto); – per le annate delle riviste (maiuscolo). Anche i numeri romani non vanno mai divisi su due righe; quando segnalano un intervallo inoltre non si possono usare le forme abbreviate (XXIV-XXV; mai XXIV-V). Attenzione In italiano i numeri romani indicano di per sé l’ordinale e quindi non vanno mai scritti con l’esponente ‘‘ º ’’. 10.3 Date e ore Il numero dell’anno va sempre in cifre; nelle date che segnalano un intervallo la seconda può essere data per esteso (1976-1977) o abbreviata alle ultime due cifre (1976-77). Nel caso del primo decennio del secolo è opportuno tralasciare lo zero (1908-9, 2001-2). Manuale di redazione 2005 pag 112 23/2/2005 113 Gli ordinali nelle altre lingue L’uso dei numeri romani per l’ordinale è tipico dell’italiano. In francese, inglese e tedesco sia le cifre romane sia quelle arabe da sole indicano il numero cardinale; entrambe indicano invece l’ordinale se sono seguite dall’opportuna abbreviazione. In francese l’ordinale è segnalato tramite una e (talvolta anche ème; er per il numero 1) in apice dopo il numero: le XXe siècle, Napoléon Ier, je suis arrivé le 1er; ma Louis XIV si legge Louis quatorze, cioè «Luigi quattordici». In tedesco l’ordinale si indica invece apponendo un punto dopo il numero: Karl V. (Karl der Fünfte), der 1. Mai (der erste Mai, il 1º maggio). In inglese infine, dove i numeri romani sono scarsamente usati, l’abbreviazione per l’ordinale è th (st per il numero 1, nd per il 2 e rd per il 3) posta subito dopo la cifra araba in apice o anche alla base della riga: 1st o 1st (first), 2nd (second), 3rd (third), the 20th century («il XX secolo»). I secoli successivi all’anno Mille si indicano con il numero romano (XVI secolo) oppure a tutte lettere con l’iniziale maiuscola (Cinquecento); per quelli precedenti si usa soltanto la forma con il numero romano. L’eventuale abbreviazione a.C. (avanti Cristo) o d.C. (dopo Cristo) va posta di preferenza subito dopo il numero (VII secolo oppure secolo VII; ma, se è necessario specificare, sempre secolo VII a.C. e non VII secolo a.C.). Per i decenni di un secolo il numero va scritto di preferenza in lettere e con l’iniziale maiuscola; ha invece l’iniziale minuscola la parola ‘‘anni’’ (anni Trenta, anni Ottanta). Nelle date complete il giorno e l’anno si scrivono di norma in cifre, il mese in lettere (12 marzo 1962); il primo giorno del mese è sempre indicato con l’ordinale ‘‘1º’’ (ma la festa dei lavoratori si scrive ‘‘Primo Maggio’’). In alcuni contesti (es.: riferimento alla data di pubblicazione di una legge e simili) si può indicare anche il mese in numero; in questo caso i numeri vanno separati fra loro o con un punto (12.3.1962) o con la barra obliqua (12/3/1962). Le ore si possono scrivere in lettere quando sono inserite in un contesto discorsivo e non indicano un orario preciso (le due e un quarto, mezzogiorno e mezzo, le sei e venti). Si mettono in cifre quando sono all’interno di riferimenti precisi (es.: prontuari, elenchi ecc.). In questo caso ore, minuti e, eventualmente, secondi sono separati dai due punti, senza spaziature in mezzo (13:35; 18:15; 6:42:15); se è necessario esprimere anche le frazioni di secondo, il numero va alla fine separato da una virgola senza spaziature (15:35:18,4). Quando si usa la scrittura in cifre è necessario dare sempre i valori previsti dal grado di approssimazione scelto, anche quando essi sono uguali a zero (15:00). Manuale di redazione 2005 pag 113 23/2/2005 114 10.4 Segni matematici e simboli delle unità di misura All’interno di un testo discorsivo si scrivono di norma in lettere le percentuali (per cento, per mille) e le unità di misura (centimetro, kilogrammo ecc.). Si usano invece i segni e i simboli propri all’interno di testi scientifici in formule, tabelle, prospetti ecc. Si danno qui di seguito alcune norme relative alle consuetudini tipografiche da seguire quando si utilizzano i simboli. In generale si ricorda che: « I simboli delle unità di misura (5 10.4.1) vanno in tondo, senza punto finale (cm = centimetro; kg = kilogrammo) e vanno di norma posposti al valore numerico; i simboli che indicano una grandezza vanno in corsivo, anch’essi senza puntino (l = lunghezza; s = superficie). « Le variabili vanno sempre in corsivo (E = mc2); le costanti sempre in tondo. « Gli operatori matematici (+, –, c ecc.) vanno sempre separati dai numeri o simboli che precedono e seguono con uno spazio fisso (di norma lo spazio fine), tranne quando essi indicano il segno algebrico (es.: –3), nel qual caso sono uniti al numero cui si riferiscono. « L’operatore di moltiplicazione ha un proprio segno tipografico ‘‘c’’, e non va usata in sua vece la lettera ‘‘x’’; la moltiplicazione può essere indicata anche tramite un punto posto a metà altezza della riga (alb=c); tra lettere o tra numeri e lettere moltiplicati fra loro il segno si può omettere del tutto (ab, 3ab). « L’operatore di divisione ( ⁄ ) si distingue dalla barra obliqua per la maggiore inclinazione (ca 45º) e va utilizzato in luogo di essa quando si scrivono le frazioni con i numeri allineati sulla stessa riga (1 ⁄ 8, 3 ⁄ 2). « Le parentesi – tonde, quadre e graffe – servono per indicare il corretto ordine di precedenza nell’esecuzione delle operazioni all’interno delle espressioni polinomiali. « Quando una divisione viene indicata nella forma frazionaria, la linea orizzontale va posta a metà dell’altezza della riga, con il numeratore e il denominatore rispettivamente sopra e sotto di essa; poiché una frazione comporta un ampliamento dell’interlinea, è consigliabile usare questo sistema solo nelle formule centrate nella pagina, preferendo all’interno del testo la forma con numeratore e denominatore separati dalla barra obliqua (2 ⁄ 3) o quella con l’esponente negativo (2l3-1). « I numeri o le lettere in esponente o deponente devono essere a un’altezza sufficiente per essere correttamente interpretati come tali e in un corpo minore rispetto a quello del testo (a–2; m2; yx). « Per le formule si utilizzino di volta in volta gli accorgimenti tipografici più opportuni perché esse siano di agevole lettura e prive di equivoci. 10.4.1 Unità di misura Tutte le unità di misura hanno un nome (es.: metro) e un simbolo (es.: m): quando esse ricorrono all’interno di un testo discorsivo va usato il nome; quando sono in un contesto numerico (formule, prospetti, grafici ecc.), il simbolo. Tutti i nomi delle unità di misura, in quanto nomi comuni, si scrivono con l’iniziale minuscola, anche quando il simbolo è una lettera maiuscola (W = watt; K = kelvin) e, Manuale di redazione 2005 pag 114 23/2/2005 115 quando hanno una forma italiana, concordano al plurale (grammo, grammi; metro, metri ecc.). I simboli delle unità di misura sono sempre invariati al plurale, anche quando hanno una forma estesa (220 volt; errato: 220 volts) e vanno sempre scritti in tondo. Il simbolo di un’unità di misura data dal prodotto di due o più unità di misura si indica con i rispettivi simboli che la compongono separati fra loro dal punto di moltiplicazione oppure da uno spazio fine; il simbolo di un’unità di misura data dal prodotto della stessa unità di misura si indica con il simbolo dell’unità di misura base elevato alla potenza e non con la ripetizione del segno (es.: m2; s2): m s2 e non m s s Il simbolo di un’unità di misura data dal quoziente di due o più unità di misura si indica con il segno di frazione (sia nella forma con la barra obliqua sia in quella con la linea orizzontale a metà riga) oppure usando gli esponenti negativi: m m ⁄ s2 oppure oppure mls-2 s2 I simboli dei multipli e sottomultipli di un’unità di misura si scrivono facendo precedere al simbolo dell’unità quello del prefisso senza alcuno spazio interposto (mm, kg, hm). Si dà qui di seguito un elenco dei nomi e simboli dei prefissi e del loro fattore di moltiplicazione: Prefisso Fattore di moltiplicazione Simbolo 1018 1015 1012 109 106 103 102 10 10-1 10-2 10-3 10-6 10-9 10-12 10-15 10-18 Manuale di redazione 2005 E P T G M k h da d c m m n p f a pag 115 Nome exa peta tera giga mega kilo etto deca deci centi milli micro nano pico femto atto 23/2/2005 116 Nomi e simboli delle unità di misura devono essere quelli stabiliti dal sistema internazionale; di essi si dà qui un elenco, limitatamente alle unità fondamentali e derivate approvate (prestare attenzione a maiuscole e minuscole). Unità di misura fondamentali Simbolo m kg s A K mol cd rad sr Nome metro kilogrammo secondo ampere kelvin mole candela radiante steradiante Grandezza lunghezza massa tempo intensità di corrente elettrica temperatura termodinamica quantità di sostanza intensità luminosa angolo piano angolo solido Unità di misura derivate Simbolo Hz N Pa J W C V F W S Wb T H lm lx Bq Gy Sv Manuale di redazione 2005 Nome hertz newton pascal joule watt coulomb volt farad ohm siemens weber tesla henry lumen lux becquerel gray sievert Grandezza frequenza forza pressione lavoro potenza carica elettrica differenza di potenziale elettrico capacità elettrica resistenza elettrica conduttanza elettrica flusso di induzione magnetica induzione magnetica induttanza elettrica flusso luminoso illuminamento attività di un radionuclide dose assorbita equivalente di dose pag 116 23/2/2005 117 10.4.2 Unità di misura diverse da quelle del Sistema internazionale Spesso in area anglosassone vengono usate unità di misura diverse da quelle del Sistema internazionale (miglia, pollici, piedi ecc.): è bene che nella traduzione i dati vengano convertiti in queste ultime. Ciò è particolarmente consigliato nel caso si tratti di testi scientifici o di saggistica; possono invece essere lasciati i dati e le unità di misura originali nei testi di narrativa (es.: «percorsero a piedi le poche miglia che li separavano dal mare»). Fa eccezione il miglio marino (nautical mile) che equivale 1,852 km e che, pur appartenendo alla tradizione metrologica anglosassone, è stato adottato a livello internazionale e che va sempre usato per qualsiasi misurazione di distanza delle rotte marine e aeree. È generalmente consigliato invece non convertire i dati, lasciando anche il nome originale dell’unità di misura, quando si fa riferimento a misurazioni dei secoli passati; in questo caso, se il contesto lo richiede, si può eventualmente spiegare in nota il valore del dato in rapporto agli odierni criteri di misurazione. Diamo qui di seguito una tabella di conversione delle più comuni unità di misura britanniche: per passare dalla misura britannica a quella del Sistema internazionale moltiplicare il proprio dato per il fattore di conversione dell’ultima colonna; per il passaggio inverso moltiplicare il dato per il fattore di conversione della prima colonna. Fattore di conversione Unità di misura britannica 0,3937 0,1550 0,0610 3,2808 10,7639 35,3148 1,0933 1,1960 1,3080 0,6214 0,3861 2,20462 0,03527 15,3846 0,220 inches (pollici) square inches (pollici quadrati) cubic inches (pollici cubici) feet (piedi) square feet (piedi quadrati) cubic feet (piedi cubici) yards (iarde) square yards (iarde quadrate) cubic yards (iarde cubiche) statute miles (miglia terrestri) square miles (miglia quadrate) pounds (libbre) ounces (once) grains (grani) gallons (galloni) Unità di misura del SI centimetri centimetri quadrati centimetri cubici metri metri quadrati metri cubici metri metri quadrati metri cubici kilometri kilometri quadrati kilogrammi grammi grammi litri Fattore di conversione 2,54 6,4516 16,3870 0,38048 0,0929 0,02831 0,9144 0,8361 0,7646 1,6093 2,59 0,4536 28,3495 0,064 4,546 Questa è invece la formula per passare dai gradi Fahrenheit (ºF) ai gradi centigradi (ºC): ºC = ºF – 32 c 5/9 Manuale di redazione 2005 pag 117 23/2/2005 118 10.5 Simboli chimici I simboli degli elementi chimici – e in generale dei nuclidi – si scrivono sempre in tondo senza il punto. Ogni simbolo può essere accompagnato da un numero o da un opportuno simbolo che assume un significato diverso a seconda di dove è posizionato, cioè: – in alto prima del simbolo indica il numero dei nucleoni (86Kr); – in basso prima del simbolo indica il numero dei protoni (36Kr); – in basso dopo il simbolo indica il numero di atomi (SO4); – in alto dopo il simbolo indica lo stato di ionizzazione o uno stato eccitato (Na+). Manuale di redazione 2005 pag 118 23/2/2005 11 LA ‘‘D’’ EUFONICA La d eufonica è quella che viene talora introdotta quando l’incontro di più vocali consecutive genera una cacofonia. Come l’elisione, è un fenomeno tipico del parlato e si consiglia quindi di limitarne il più possibile l’uso nello scritto. In ogni caso sta imponendosi la tendenza di eliminarla del tutto. Per consuetudine, si usano le forme con la d eufonica ad e ed soltanto davanti a parole che iniziano con la stessa vocale. Non si usa mai od. La d eufonica non si usa, pur sussistendo la condizione sopra esposta, nei seguenti casi: « quando la parola successiva inizia per ad-/ed-: provò a addentrarsi (e non: provò ad addentrarsi) foglie di fico e edera (e non: foglie di fico ed edera) « quando tra la e o la a e la parola successiva vi è un segno di interpunzione: salı̀ di corsa le scale e, elusi gli inseguitori, fuggı̀ attraverso i tetti « quando la parola successiva è in qualche modo separata da quanto precede, perché è in corsivo (es. un titolo) o sta fra virgolette e simili: nella sua recensione a Assalonne, Assalonne! di William Faulkner ecc. lo invitò a ‘‘alzare il gomito’’ Una piccola lettera con una lunga storia L’impiego di una consonante per evitare lo iato tra due vocali consecutive è attestato in tutta la storia della lingua italiana, fin dalle sue origini. Un tempo anzi tale uso era forse più diffuso, potendosi estendere oltre che alla e, alla a e alla o anche alla congiunzione negativa né (ned), forma ancora vitale alla fine dell’Ottocento: «Non presumo sputar fuori ned un paradosso, ned una novità...» (V. Imbriani). In poesia l’uso della consonante eufonica rappresentava anche un espediente metrico, in quanto, evitando la sinalefe tra due vocali consecutive, permetteva, all’occorrenza, di avere una sillaba in più. Per quanto riguarda la e inoltre, la forma più diffusa fino al Seicento era quella latineggiante et, che nelle stampe antiche era per lo più rappresentata con il segno &, il quale altro non era che una forma compendiata delle due lettere derivata dalla scrittura a mano. Esso si è conservato fino a oggi, dove viene però usato soltanto in ambito commerciale nella denominazione di ditte e simili. Manuale di redazione 2005 pag 119 23/2/2005 120 « davanti a nomi stranieri che iniziano con h, e spesso anche davanti a vocale uguale (l’uguaglianza è infatti per lo più solo grafica e non fonetica): Fichte e Hegel si incontrarono a Aberdeen la chiesa di St Germain a Auxerre « in tutti i casi in cui non ci si trovi all’interno di un contesto discorsivo, come in un titolo, nelle indicazioni bibliografiche ecc.: Antologia della letteratura amorosa e erotica Il mondo capovolto, a cura di Aldo Brambilla e Enrico Colombo... La d eufonica può essere mantenuta in alcune espressioni standardizzate come ‘‘ad esso /ad essa, ad esempio, ad eccezione di, ad opera di’’ e simili. Attenzione Per evidenti motivi filologici, va assolutamente evitato di uniformare l’uso della d eufonica nelle opere letterarie e più in generale nei testi d’autore. Questo vale in particolare per le nuove edizioni di classici nei quali l’uso della d eufonica è generalmente abbondante e risulta fastidioso a un redattore moderno. Manuale di redazione 2005 pag 120 23/2/2005 12 LE ABBREVIAZIONI È bene limitare l’uso delle abbreviazioni a note, apparati, rinvii e sim., preferendo all’interno del testo le corrispondenti forme non abbreviate. Molte abbreviazioni sono sufficientemente perspicue o comunque universalmente note e non è quindi necessario darne spiegazione. Se però in un libro si fa uso di abbreviazioni specifiche, è opportuno fornire un elenco delle stesse con la relativa spiegazione. In linea generale si ricorda che: « quando un’abbreviazione è formata da due sole lettere entrambe puntate, non si mette alcuna spaziatura tra le due (a.C.; s.d.); « l’indicazione del plurale si ottiene di norma con un raddoppiamento della lettera finale dell’abbreviazione (es. vol./voll., fig./figg.); « nel caso si usino abbreviazioni specifiche diverse da quelle segnalate qui di seguito, si presti attenzione a evitare di creare doppioni: ogni abbreviazione deve rimandare sempre a un solo termine. Diamo qui di seguito un elenco in ordine alfabetico delle abbreviazioni più comuni (quelle cioè convenzionalmente utilizzabili senza fornirne spiegazione), cui vanno aggiunte le abbreviazioni bibliografiche (5 12.1). a.C. ca. cfr. cit. d.C. ecc. es. f.t. fig. n. [N.d.C.] [N.d.T.] pl. r. sec. sim. sing. tab. tav. Manuale di redazione 2005 avanti Cristo circa lat. confer, «confronta» citato dopo Cristo eccetera (non è di norma preceduto dalla virgola) esempio fuori testo figura numero Nota del curatore (tra quadre e in corsivo) Nota del traduttore (tra quadre e in corsivo) plurale riga secolo (ma solo all’interno di parentesi e sim.) simili (nell’espressione ‘‘e sim.’’) singolare tabella tavola pag 121 23/2/2005 122 Attenzione Davanti ai nomi propri francesi si possono usare le abbreviazioni M. (Monsieur), M.me (Madame), M.lle (Mademoiselle); davanti a quelli inglesi Mr (pl. Messrs) e Mrs; tranne la prima (M.), che si possono scrivere sia col punto sia senza. Abbreviazioni: punto sı̀ o punto no? Come osservato nel testo, in molti casi nelle lingue straniere le abbreviazioni formate per contrazione della parola (quelle cioè che sono costituite dalla prima lettera della parola e dall’ultima, o dalle ultime) sono spesso scritte senza il punto alla fine o là dove si ha la contrazione (es. in inglese: S[ain]t, abbreviato in St. o St; in francese: M[ada]me, abbreviato in M.me o Mme). Ma questo criterio non vale in italiano, per cui si scrive dr. (da dottor), cfr. (dal latino confer), ca. (da circa), F.lli (da Fratelli) ecc. Tale almeno è la norma cui attenersi secondo la grammatica, e per un motivo molto semplice: in questi casi il punto ha la funzione di segnalare che la parola non va letta cosı̀ come è scritta e nemmeno, come avviene per molte sigle, compitando le singole lettere che la compongono (es.: CNR, letto ‘‘ci-enne-erre’’), bensı̀ ‘‘interpretata’’ e pronunciata come se la parola fosse scritta per intero. 12.1 Abbreviazioni bibliografiche art. art. cit. cap. cit. col. ed. cit. ed. orig. o ed. or. et al. ediz. f. fasc. ibid. loc. cit. ms. n.s. op. cit. Manuale di redazione 2005 articolo (di legge e sim.) articolo citato (di rivista, in corsivo perché sostituisce un titolo) capitolo citato colonna edizione citata edizione originale et alii, «e altri» edizione foglio fascicolo ibidem, «nello stesso luogo» loco citato, «nel luogo citato» manoscritto nuova serie opera citata (in corsivo perché sostituisce un titolo) pag 122 23/2/2005 123 p. par. r. s.e. s.a. s.v. s.d. s.l sg. trad. cit. trad. it. (fr., ingl. ecc.) v. v. vol. vol. cit. pagina paragrafo recto (contrapposto a verso) senza editore senza anno sub voce senza data senza luogo seguente traduzione citata traduzione italiana (francese, inglese ecc.) verso (contrapposto a recto) verso volume volume citato Attenzione Non si abbreviano mai i seguenti termini: libro, tomo, nota, parte, idem, passim («in più luoghi»), ad indicem («vedere l’indice»). 12.2 Abbreviazioni bibliche Nei rinvii bibliografici ai singoli libri della Bibbia si possono usare le forme abbreviate. Salvo casi particolari (es.: quando per necessità interne al testo si rimanda a un’edizione specifica della Bibbia), tra le varie possibilità di abbreviazione (praticamente ogni edizione della Bibbia ha le proprie) si consiglia di utilizzare le abbreviazioni adottate nella Bibbia a cura della CEI; di esse diamo un elenco alfabetico qui di seguito. In generale si ricorda che il rinvio completo è composto dal nome del libro, dal numero del capitolo e dal numero del versetto; l’abbreviazione del libro non ha il punto finale e va in tondo; il numero del capitolo e quello del versetto è preferibile metterli in tondo; tra libro e capitolo non va alcun segno di interpunzione, mentre numero del capitolo e del versetto sono separati da una virgola (es. Gv 11, 4). Ab Abd Ag Am Ap At Bar Manuale di redazione 2005 Abacuc Abdia Aggeo Amos Apocalisse Atti degli Apostoli Baruc pag 123 23/2/2005 124 Col 1 Cor 2 Cor 1 Cr 2 Cr Ct Dn Dt Eb Ef Es Esd Est Ez Fil Fm Gal Gb Gc Gd Gdc Gdt Ger Gio Gl Gn Gs Gv 1 Gv 2 Gv 3 Gv Is Lam Lc Lv 1 Mac 2 Mac Mc Mic Ml Mt Na Manuale di redazione 2005 Lettera ai Colossesi Prima lettera ai Corinzi Seconda lettera ai Corinzi Primo libro delle Cronache Secondo libro delle Cronache Cantico dei Cantici Daniele Deuteronomio Lettera agli Ebrei Lettera agli Efesini Esodo Esdra Ester Ezechiele Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone Lettera ai Galati Giobbe Lettera di Giacomo Lettera di Giuda Giudici Giuditta Geremia Giona Gioele Genesi Giosuè Vangelo secondo Giovanni Prima lettera di Giovanni Seconda lettera di Giovanni Terza lettera di Giovanni Isaia Lamentazioni Vangelo secondo Luca Levitico Primo libro dei Maccabei Secondo libro dei Maccabei Vangelo secondo Marco Michea Malachia Vangelo secondo Matteo Naum pag 124 23/2/2005 125 Ne Nm Os Prv 1 Pt 2 Pt Qo 1 Re 2 Re Rm Rt Sal 1 Sam 2 Sam Sap Sir Sof Tb 1 Tm 2 Tm 1 Ts 2 Ts Tt Zc 12.3 Neemia Numeri Osea Proverbi Prima lettera di Pietro Seconda lettera di Pietro Qoelet Primo libro dei Re Secondo libro dei Re Lettera ai Romani Rut Salmi Primo libro di Samuele Secondo libro di Samuele Sapienza Siracide Sofonia Tobia Prima lettera a Timoteo Seconda lettera a Timoteo Prima lettera ai Tessalonicesi Seconda lettera ai Tessalonicesi Lettera a Tito Zaccaria Sigle e acronimi Un particolare tipo di abbreviazione sono le sigle, in cui ogni lettera corrisponde a una parola, e gli acronimi, dove possono essere presenti più lettere di una stessa parola. Le sigle, e soprattutto gli acronimi, vanno scritti di norma senza il punto fra le singole lettere e a caratteri tutti maiuscoli o meglio, specialmente se sono presenti sigle lunghe, in maiuscoletto (ONU, UNESCO, FIAT). Nei casi in cui le sigle assumono a tutti gli effetti la valenza di nomi propri, è diventato uso comune, prevalentemente nel linguaggio giornalistico, scrivere le sigle in maiuscolo/minuscolo (Onu, Unesco, Fiat). È comunque fondamentale scegliere un metodo di scrittura uniforme delle sigle all’interno di una stessa opera o di una stessa collana. Manuale di redazione 2005 pag 125 23/2/2005 13 LE PAROLE STRANIERE Per convenzione, quando in un testo sono utilizzati termini o espressioni che non appartengono alla lingua italiana, essi vengono evidenziati tramite l’utilizzo del corsivo. Vanno messe in corsivo tutte le parole straniere che non siano entrate nell’uso italiano. Quelle di origine straniera ormai assimilate all’italiano (film, handicap, hinterland, referendum, sport) si lasciano in tondo. In entrambi i casi il termine va scritto secondo la corretta grafia originale: i termini francesi hanno dunque l’accento (élite, équipe), quelli tedeschi l’iniziale maiuscola (Zeitgeist, Gestalt) sebbene si usi la grafia italiana per alcuni termini entrati nell’uso comune (es.: hotel, lager; e non hôtel, Lager). Può talvolta essere opportuno lasciare in corsivo termini che, benché entrati nell’uso, rischiano di confondersi con un termine italiano di diverso significato, specie quando essi vengano citati in contesti isolati (es.: «disporre il materiale in una serie di files», e non «una serie di file»). In testi specialistici possono eventualmente essere lasciati in tondo termini che, benché non entrati nell’uso comune italiano, sono propri della disciplina in questione. Analogamente, se un termine straniero che andrebbe di norma in corsivo ricorre di frequente nel testo, può essere messo in corsivo solo alla prima occorrenza (eventualmente con la traduzione tra parentesi) e poi lasciato in tondo in tutti gli altri casi (5 anche il paragrafo 6.2.2). I termini stranieri entrati nell’uso – e quindi lasciati in tondo – si sillabano secondo le regole dell’italiano; quelli non entrati nell’uso – e quindi in corsivo – vanno sillabati secondo le regole specifiche della lingua cui appartengono (per le regole di sillabazione nelle principali lingue 5 9.2). Si danno qui di seguito alcune elementari norme di ortografia delle lingue europee più comuni, ricordando che è indispensabile quando si citino parole in una lingua scritta con alfabeto latino utilizzare tutti i segni diacritici che essa contempla evitando improprie semplificazioni (5 anche i paragrafi 7.3.2 e 7.4). « In francese l’accento e il segno di dieresi, obbligatori sulle minuscole, possono essere omessi sulle lettere maiuscole o in maiuscoletto; per il dittongo ‘‘o + e’’ vanno usate le forme proprie œ / Œ (cœur, Œuvre) e non la grafia con le due lettere separate. « In spagnolo l’accento è sempre acuto e va messo anche sulle lettere maiuscole; salvo eccezioni, hanno di norma l’accento tutte le parole sdrucciole o bisdrucciole; le parole piane che non terminano in vocale, n o s; le parole tronche che terminano in vocale, n o s. « In tedesco tutti i sostantivi si scrivono con l’iniziale maiuscola; le parole con Umlaut vanno scritte apponendo lo speciale segno sopra la vocale e non nella forma con la Manuale di redazione 2005 pag 126 23/2/2005 127 vocale seguita dalla e (Bücher e non Buecher); nei casi in cui è previsto, va usato il carattere speciale ß (scharfes s) e non la grafia corrispondente ‘‘ss’’ (la grafia ‘‘SS’’ si usa però nelle parole in maiuscolo). Attenzione Si mettono in corsivo, secondo le regole sopra esposte, solo i termini comuni; rimangono sempre in tondo tutti i nomi propri (di persona, di associazioni, di partiti, geografici ecc.). 13.1 Genere I termini stranieri entrati nell’uso – e quindi lasciati in tondo – vanno adoperati secondo il genere ormai consolidato. Per i termini stranieri non entrati nell’uso – e quindi messi in corsivo – si usa di norma il genere, maschile o femminile, che essi hanno nella lingua originale (i Mémoires, le Fleurs du mal, la «Süddeutsche Zeitung»). I termini che nella lingua originale sono di genere neutro (come, di fatto, tutti i termini inglesi), possono essere messi al maschile o al femminile a seconda dell’uso o del genere della corrispondente parola in italiano (la «Review of Books»; la Deutches Haus ma il Bauhaus). 13.2 Morfologia Le parole straniere acquisite nella lingua italiana si lasciano in tondo e sono invariabili al plurale (i film, gli sport, i referendum). Le parole straniere non entrate nell’uso e quindi scritte in corsivo vanno declinate secondo le regole della lingua d’appartenenza (le débâcles, i Länder). Attenzione Alcuni termini, per lo più derivati dallo spagnolo o dal portoghese, presentano sia la forma originale (silo/silos) sia quella adattata all’italiano (silo/sili): quando anche la prima delle due è in genere ampiamente attestata in italiano – e spesso è addirittura la forma preponderante –, tali termini si lasciano di norma in tondo pur se declinati secondo le regole della lingua di provenienza. Attenzione in questi casi a non usare il plurale per il singolare (un silo, un mural/murale errati: un silos, un murales ecc.)! Manuale di redazione 2005 pag 127 23/2/2005 128 Tondo o corsivo Come è facile intuire (e come ben sa chiunque abbia a che fare con i libri), non esiste un criterio assoluto per stabilire quando un termine straniero debba andare in corsivo o possa essere lasciato in tondo. Essendo la lingua un organismo in divenire e in un contesto culturale sempre più aperto agli influssi stranieri, non è facile stabilire un discrimine netto tra ciò che è da considerarsi ‘‘entrato nell’uso’’ o meno. È una questione che varia a seconda, tra l’altro, del momento storico in cui ci si trova (molti termini dell’informatica avvertiti come stranieri fino a non molto tempo fa sono oggi del tutto acquisiti) o dell’argomento del libro (lo stesso termine può essere in corsivo in un testo e in tondo in un altro). In definitiva la scelta è determinata dalla sensibilità personale del redattore, il cui compito è non solo quello di giudicare la liceità del singolo corsivo in sé, ma anche (e soprattutto) quello di verificare che la scelta fatta sia uniformemente rispettata all’interno del testo. 13.3 Derivati di nomi stranieri Gli aggettivi e i sostantivi italiani derivati da termini stranieri si scrivono di preferenza secondo la grafia originale e non secondo la pronuncia (nietzschiano e non nicciano; freudiano e non froidiano; rousseauiano e non russoiano). Tali termini, inoltre, non vanno mai in corsivo. Per i termini derivati da nomi di lingue che usano alfabeti non latini, in contesti non specialistici si possono omettere i segni diacritici particolari usati nella traslitterazione del nome base (segni di lunga, lettere speciali), partendo di preferenza dalla forma di trascrizione semplificata (shivaitico da Siva; buddista da Buddha). 13.4 Nomi geografici stranieri All’interno del testo i nomi geografici che hanno forma italianizzata ampiamente attestata nella tradizione vanno dati in questa forma (Parigi, Londra ecc.). Tutti gli altri vanno sempre controllati su un buon atlante (per esempio l’atlante Treccani o quello del Touring Club) e dati nella forma locale corretta, compresi gli eventuali segni diacritici particolari. Attenzione Nei riferimenti bibliografici i nomi di città vanno sempre lasciati nella lingua originale (5 4.8.1, punto f). Manuale di redazione 2005 pag 128 23/2/2005 129 13.5 Citazioni in lingua straniera Lunghe citazioni in lingua straniera possono essere lasciate in tondo: sono sufficienti infatti a segnare lo stacco dal resto l’uso delle virgolette (per la prosa) o la centratura nella pagina (per i versi). 13.6 Traslitterazione Per la citazione di parole di lingue scritte in caratteri non latini è necessario ricorrere alla traslitterazione. Per ogni lingua scritta in alfabeto non latino esiste una traslitterazione ufficiale (più avanti in questo capitolo sono riportate le tabelle con la traslitterazione dalle principali lingue di questo tipo). È bene conformarsi a essa in tutti i casi in cui il testo, perché specifico su un argomento o rivolto a un pubblico di specialisti, richieda di attenersi a dei criteri scientifici. Se all’interno del libro si fa un largo uso di termini traslitterati, può essere opportuno fornire al lettore una tabella che spieghi il valore fonetico dei segni diacritici particolari usati. Si può optare per una trascrizione semplificata (in genere ricalcata sull’inglese), evitando i segni diacritici particolari, in testi di ampia divulgazione (Krishna invece che Kr.s.n.a), o quando si tratta di termini ormai entrati nell’uso (es.: hashish). È bene comunque seguire un uso coerente all’interno del testo nel suo complesso. Le parole traslitterate vanno sempre in corsivo. È in ogni caso sempre raccomandabile che la traslitterazione venga fatta avvalendosi della consulenza di uno specialista. Nei paragrafi seguenti si danno le tabelle con la traslitterazione consigliata per le principali lingue con alfabeto non latino, accompagnate da alcune indicazioni di carattere generale valide per ciascuna di esse. 13.6.1 Arabo Siccome l’arabo si scrive da destra verso sinistra, si ricorda che nel caso si debbano citare all’interno di un testo brevi frasi o espressioni direttamente in questa lingua, è bene che esse siano collocate su una riga a sé. Possono invece essere citate di seguito nel testo italiano brevi parole isolate. Nella traslitterazione il segno di lunga sulle vocali va indicato mediante l’opportuno segno (meno bene con l’accento circonflesso). Poiché in arabo le lettere cambiano in base alla loro posizione nella parola, nella tabella a pagina seguente si danno le relative forme grafiche. Inoltre dato che le stesse possono essere usate anche per i numeri, nell’ultima colonna si dà il valore numerico di ciascuna di esse. Manuale di redazione 2005 pag 129 23/2/2005 130 Lettera Nome della lettera Traslitterazione Valore numerico isolata iniziale mediana finale Manuale di redazione 2005 alif ’ 1 bā’ b 2 tā’ t 400 tā’ t (o th) 500 ǧı̄m ǧ 3 h.a’ h. 8 hā’ h (o kh) dāl d dāl d (o dh) 700 rā’ r 200 zā’ z 7 sı̄n s 60 šı̄n š (o sh) s.ād s. 90 d.ād d. 800 t. ā’ t. 9 z.ā’ z. 900 ‘ayn ‘ 70 ġayn ġ (o gh) fā’ f 80 qāf q 100 kāf k 20 lām l 30 mı̄m m 40 nūn n 50 hā h 5 wāw w 6 yā’ y 10 pag 130 600 4 300 1000 23/2/2005 131 13.6.2 Ebraico Poiché l’ebraico si scrive da destra verso sinistra, è bene che se si citano brevi frasi o espressioni direttamente in questa lingua esse vengano collocate su una riga a sé; le parole isolate possono invece essere lasciate di seguito all’interno del testo italiano. Poiché in ebraico le lettere possono essere usate anche per i numeri, nell’ultima colonna della tabella si dà il valore numerico di ciascuna di esse. Lettera Nome della lettera Traslitterazione Valore numerico ’alef ’ 1 beth b, b (o bh) 2 gimel g, g (o gh) 3 daleth d, d (o dh) 4 he h 5 waw w 6 zain z 7 h.eth h. 8 t. eth t. 9 yod y (o j) 10 kaf k, k (o kh) 20 lamed l 30 mem m 40 nun n 50 samekh s 60 ‘ayin ‘ 70 pe p, p (o ph) 80 s.ade s. 90 qof q 100 reš r 200 śin ś 300 šin š 300 tau t, t (o th) 400 1. Variante della lettera in posizione finale. Manuale di redazione 2005 pag 131 23/2/2005 132 13.6.3 Greco antico Le parole traslitterate dal greco devono sempre avere l’accento (acuto, grave o circonflesso a seconda di quanto richiesto dalle regole proprie della grammatica; nei dittonghi l’accento va sulla prima lettera, es.: basiléus). A seconda del grado di scientificità del testo si può segnalare anche la quantità delle vocali apponendo sulle lunghe il tradizionale segno (l’accento circonflesso rende superfluo il segno di lunga). Lo spirito dolce (’) non si traslittera; quello aspro (‘) viene reso con la lettera h. Le lettere con lo iota sottoscritto (ai , hi , wi ) si traslitterano come dittonghi ai, ei, oi (oppure ai, ei, oi). Rimangono in tondo e senza accento le parole greche ormai entrate nell’uso italiano (logos, pathos, topos ecc.). Lettera Nome della lettera maiuscolo A B G D E Z H Q I K L M N X O P R S T U F C Y W Traslitterazione minuscolo a b g d e z h q i k l m n x o p r sV1 t u f c y w alpha beta gamma delta èpsilon zeta eta theta iota cappa lamba mi (o mu) ni (o nu) csi òmicron pi rho sigma tau ı̀psilon phi chi psi omèga (o òmega) a b g (n davanti a g, k, x, c) d e z e (oppure e) th i k l m n x o p r (rh a inizio frase) s t y ph ch ps o (oppure o) 1. Variante della lettera in fine di parola. Manuale di redazione 2005 pag 132 23/2/2005 133 13.6.4 Russo Per il russo è bene usare sempre la trascrizione ufficiale, anche per i nomi propri che hanno una grafia tradizionale. Quest’ultima può essere data soltanto all’interno di testi divulgativi e nel caso in cui la grafia corretta si discosti parecchio da quella invalsa (Krusciov invece che Chruščëv). Lettera maiuscolo A B V G D E Ô Ð Z I J K L M N O P R S T U F X C H W Ñ £ Y & é Q  minuscolo a b v g d e ò ð z i j k l m n o p r s t u f x c h w ñ " y ' è q à Nome della lettera traslitterato a be ve ge (pron. ghe) de e (pron. ie) ë (pron. io) že ze i i kràtkoe ka el’ em en o pe er es te u ef cha ce (pron. tse) če ša šča tvërdyj znak y mjagkij znak e oboròtnoe ju ja Traslitterazione a b v g d e ë ž z i j k l m n o p r s t u f ch c (pron. ts) č š šč -1 y ’ e ju ja 1. La lettera non viene di norma traslitterata o, nel caso, essa viene indicata con un trattino. Manuale di redazione 2005 pag 133 23/2/2005 134 14 LE FASI DI LAVORAZIONE DEL LIBRO La lavorazione di un libro attraversa varie fasi, indispensabili per metterne a punto forma, contenuto e aspetto grafico. Data la molteplicità degli aspetti da tenere in considerazione, in genere sono coinvolte nel lavoro più persone, ma è tuttavia opportuno per la buona riuscita del prodotto finale che ci sia un’unica figura che svolga l’indispensabile funzione di coordinamento. Essa è generalmente un redattore interno alla casa editrice che potrà avvalersi all’occorrenza dell’aiuto di colleghi o di collaboratori esterni. Il redattore incaricato del coordinamento tiene innanzitutto i contatti con l’autore (o il traduttore) da un lato e con il tipografo o l’impaginatore dall’altro, curando che tutto si svolga nei modi e con i tempi utili per il rispetto della scadenza finale. A lui inoltre spetta in genere la decisione su quale soluzione adottare per ogni questione che potrebbe sorgere riguardo le scelte redazionali specifiche per il singolo testo. 14.1 I diversi ‘‘giri’’ di bozze Per la maggior parte dei libri, dopo la preparazione dell’originale e il suo invio all’impaginazione per l’approntamento delle prime bozze (5 2), si hanno diverse fasi di lavorazione: a) lettura e correzione delle prime bozze e inserimento delle correzioni; b) lettura e verifica delle seconde bozze e inserimento delle correzioni; c) eventuali terze e quarte bozze; d) riscontro e controllo delle ciano. a) Le prime bozze sono in genere nella forma di un primo impaginato, ossia in essa sono grosso modo rispettate tutte le impostazioni grafiche definitive (giustezza e altezza della pagina, corpi e allineamenti dei titoli ecc.). Compito del redattore è in questa fase procedere a una lettura del testo per controllare che non siano rimasti refusi sfuggiti alla lettura dell’originale e verificare che le indicazioni fornite per l’impaginazione siano state rispettate (ingombro, allineamenti ecc.). Nel caso il redattore non abbia provveduto da sé all’inserimento delle correzioni effettuate sull’originale, la lettura sarà preceduta dal riscontro (5 14.3), ossia dalla verifica che esse siano state inserite nel modo appropriato. Se il lavoro di revisione sull’originale è stato buono, le correzioni sulle prime bozze dovrebbero limitarsi a qualche aggiustamento relativo all’impaginazione e alla correzione dei refusi sfuggiti alla prima lettura (di necessità più attenta ai contenuti e alla forma che al singolo errore di battitura), oltre a qualche piccola sistemazione di forma (ripetizioni sfuggite o inavvertitamente inserite durante la revisione, utilizzo di un sinonimo più appropriato, individuazione di eventuali disuniformità terminologi- Manuale di redazione 2005 pag 134 23/2/2005 che ecc.); assai limitati dovrebbero essere invece gli interventi di maggiore entità, come il rifacimento di intere frasi, l’aggiunta o l’espunzione di interi paragrafi e simili: ogni correzione dovrebbe essere tale da non alterare l’impaginazione. Terminate queste operazioni, le bozze vengono inviate ancora una volta all’impaginazione per l’inserimento delle nuove correzioni relative al testo e all’impaginazione e la preparazione del successivo giro di bozze. Attenzione È buona norma che chi rilegge le prime bozze sia una persona diversa da chi ha preparato l’originale. Un occhio nuovo infatti non solo sarà assai utile per verificare la buona tenuta del testo nella sua nuova veste, ma vedrà probabilmente con più facilità eventuali refusi. In qualche caso le prime bozze impaginate sono precedute dalle cosiddette bozze in colonna. Si tratta di bozze in cui il testo, pur composto con la giustezza prevista, non è però suddiviso in pagine con un uniforme numero di righe, ma in lunghe strisciate che occupano pressoché per intero la lunghezza di un foglio A4; di solito i titoli non hanno il carattere e l’allineamento definitivo e le eventuali note, stampate su fogli a sé, sono numerate da 1 a n; inoltre mancano del tutto illustrazioni, tabelle e ogni altro elemento diverso dal testo base. La prassi delle prime bozze in colonna era quella normalmente seguita nella fotocomposizione per i libri che presentavano una struttura complessa, in quanto corredati di tabelle, illustrazioni all’interno del testo (e relative didascalie), box ecc. In questi casi non è in genere possibile procedere fin dall’inizio all’impaginazione in quanto non tutto il materiale è dello stesso tipo e disponibile nello stesso momento. Viene preparata dunque una stampa delle prime bozze con il solo testo in colonna; questa viene letta e corretta dal redattore, il quale ha anche il compito di segnalare il luogo in cui va inserito il materiale aggiuntivo (box, illustrazioni, tabelle); quindi passa nuovamente il materiale per l’impaginazione e la preparazione delle seconde bozze. Spesso, per facilitare il compito dell’impaginatore, per i libri di questo genere un grafico appronta il cosiddetto menabò. Si ricorre in genere alle prime bozze in colonna anche quando il testo non è disponibile su supporto informatico e deve essere inserito manualmente; in questo caso infatti, benché procedere fin dall’inizio all’impaginazione non sia di per sé sconsigliato, è tuttavia per lo più inutile: a causa degli inevitabili errori che verranno compiuti da chi ha eseguito la battitura (salti di righe, ripetizioni di frasi già scritte e simili), il testo necessiterà infatti di correzioni tali per cui numerose righe passeranno da una pagina all’altra compromettendo inevitabilmente l’impaginazione. Attenzione È bene verificare che fin dalla prima bozza vengano controllati accuratamente tutti i possibili problemi di transcodifica dei caratteri (5 1.2) e di eventuali simboli, nonché la corretta interpretazione di corsivi e neretti ecc. Manuale di redazione 2005 pag 135 23/2/2005 136 Il menabò Per i libri che presentano una struttura composita, in quanto costituiti da testo, illustrazioni, riquadri ecc., è talvolta necessario predisporre, a partire dalla bozza del testo composto, il cosiddetto ‘‘menabò’’. Sembra che il termine derivi dal dialetto milanese e il suo significato etimologico dovrebbe quindi essere quello di ‘‘menare i buoi’’; in effetti, scopo del menabò è quello di fungere da guida per chi non conosce la struttura del libro ma ha il compito di impaginarlo, fornendogli le opportune istruzioni su come sistemare all’interno della pagina gli elementi di varia natura che ha sul tavolo di lavoro o... sul disco rigido del suo computer. Il menabò è tuttora impiegato quando l’impaginatore è esterno alla redazione che cura la produzione del libro, anche se, spesso, la figura del grafico che ‘‘inventa’’ l’impaginazione di un volume e quella di chi la realizza coincidono. Per preparare il menabò si utilizzano dei fogli di dimensioni tali da poter contenere le due pagine affiancate del libro definitivo. Su di esse si disegna con precisione la gabbia del testo. Quindi, con un paziente lavoro di taglia e incolla, si posizionano tutti gli elementi che costituiscono ogni pagina nel punto esatto in cui devono essere collocati: strisciate di testo (ritagliate nel numero di righe necessario dalla bozza composta già con la giustezza definitiva), illustrazioni (opportunamente dimensionate tramite l’utilizzo di una fotocopiatrice, o abbozzate a mano in un box delle dimensioni corrette), didascalie, riquadri e cosı̀ via. Sulla base del menabò l’impaginatore, o il montaggista della tipografia, provvederà alla corretta e definitiva sistemazione dei vari elementi nella pagina per preparare la bozza impaginata o la cianografica. b) Sulle seconde bozze va innanzitutto fatto il riscontro (5 14.3), ossia la verifica che tutte le correzioni indicate siano state inserite in modo appropriato. Quindi si procede alla nuova lettura, che anche in questo caso sarà meglio affidare a una persona diversa, la quale dovrà porre attenzione agli eventuali refusi sfuggiti alle letture precedenti e controllare che tutto sia in ordine per la stampa dal punto di vista grafico. c) Eventuali giri di bozze successive alla seconde sono sempre il segnale che qualcosa non ha funzionato nelle fasi precedenti. Infatti se la lettura redazionale dell’originale è il momento della verifica del contenuto e la seconda bozza quello del riscontro e della verifica dell’impaginazione, ogni bozza successiva non può che servire a supplire alla scarsa attenzione dedicata nelle fasi precedenti. Purtroppo è una pratica sempre più diffusa grazie anche alla disponibilità di strumenti sempre più potenti e di facile uso per l’impaginazione che consentono di intervenire sul testo in qualunque momento, anche poche ore prima della stampa, aprendo cosı̀ la via a un approccio giornalistico all’editoria. Le bozze sono allora pronte per essere avviate alla preparazione dell’impaginato finale e/o alla stampa. Manuale di redazione 2005 pag 136 23/2/2005 137 d) Terminate le fasi di lavorazione redazionale del libro, si preparano gli impianti di stampa costituiti un tempo dalle pellicole (accompagnate da una fotocopia su carta) e ora in via quasi esclusiva da file in un formato opportuno. Gli impianti vengono quindi consegnati alla tipografia per la preparazione delle lastre di stampa; a partire da questi il tipografo preparerà le cianografiche, che rappresentano una copia eliografica delle pellicole o una stampa digitale dei file della versione finale del volume, da sottoporre all’editore per l’ultimo possibile controllo prima della stampa (per la verifica delle ciano 5 14.5). 14.2 La collazione La collazione è il raffronto parola per parola, segno di punteggiatura per segno di punteggiatura, tra quanto è scritto sulle bozze composte e quello che è scritto sull’originale, in modo da verificare che ci sia fra i due una esatta corrispondenza. La collazione è necessaria tutte le volte che un testo viene inserito ex novo a partire da un dattiloscritto (o manoscritto), che si tratti di un intero libro o di un breve appunto. Non è necessaria nel caso di un testo consegnato su supporto magnetico, in quanto la transcodifica garantisce di norma il mantenimento integrale del testo. La collazione deve evidenziare gli errori di battitura nelle parole, ma soprattutto controllare che siano stati inseriti correttamente i segni di interpunzione, che sia stata rispettata la paragrafazione dell’originale e che non siano stati compiuti dei salti o delle ripetizioni. Più ancora che al singolo refuso (che può essere evidenziato anche nelle successive letture), chi effettua la collazione deve prestare la massima attenzione agli altri tipi di errore, quelli in particolare che se non sono visti in questa fase non potranno più esserlo nelle successive: è il caso per esempio di un salto che generi comunque una frase di senso compiuto o dello scambio di due segni di interpunzione entrambi ammissibili in una determinata posizione e via dicendo. Per tutte queste ragioni la collazione è una delle operazioni più delicate del lavoro editoriale: essa richiede un’attenzione sempre vigile e una buona dose di pazienza, in quanto, specie se il testo è di grandi dimensioni, essa comporta un largo dispendio di tempo (e non esistono trucchi per sveltirla!). Attenzione La collazione può essere ritenuta superflua anche nel caso di un testo acquisito con lo scanner: come per la transcodifica, infatti, anche in questo caso non vi saranno presumibilmente salti di singole parole o frasi, ma principalmente lettere non riconosciute o scambiate per lettere simili e quindi tali da generare refusi evidenziabili con facilità anche a una semplice lettura. Qualche dubbio potrebbe però rimanere per quanto riguarda la punteggiatura, innanzitutto, ma anche la paragrafazione, i corsivi e molti altri dettagli. È perciò indispensabile in questi casi una lettura particolarmente attenta delle bozze, con un occhio sempre puntato anche sull’originale. Manuale di redazione 2005 pag 137 23/2/2005 138 14.3 Il riscontro Il riscontro consiste nel verificare sulle nuove bozze che tutte le correzioni segnalate sulla bozza precedente siano state inserite in modo appropriato. Ciò significa non solo accertarsi che sia stato corretto un refuso o introdotta una nuova parola senza errori e nel punto indicato, ma controllare che il testo nella zona circostante all’intervento sia rimasto a posto. Il riscontro può essere preliminare alla lettura del testo (come nel caso della prima e della seconda bozza) o l’unico controllo previsto (come nel caso delle pellicole). Si tratta di un’operazione molto più delicata di quanto a volte si sia portati a credere. Esso è importante per il controllo della correzione di un errore in sé e per sé, ma non solo. Se condotto con scrupolo e intelligenza, un riscontro rappresenta una sorta di situazione privilegiata per dare uno sguardo d’insieme all’intero testo. Per tale motivo è bene che il riscontro sulle bozze venga fatto da chi è incaricato della lettura, al quale servirà per farsi un’idea generale del testo, della sua struttura, dei suoi problemi specifici prima di iniziare a leggerlo; mentre è bene sia il redattore che ha seguito il libro a incaricarsi del riscontro finale sulle pellicole, in quanto meglio di chiunque altro egli potrà approfittare di questa scorsa del libro per verificare che tutto sia a posto. In particolare chi effettua il riscontro deve: « controllare la correttezza dell’intervento sia in riferimento ai contenuti sia alla posizione in cui l’intervento è stato effettuato; « rileggere le righe circostanti, specie quelle che a seguito dell’intervento hanno cambiato il loro inizio o la loro fine, per verificare che non si siano generati nuovi a capo sbagliati (soprattutto se nella frase ci sono termini stranieri); « rileggere l’intera frase in cui si è inserita la correzione, per verificare innanzitutto che essa sia stata indicata appropriatamente (può capitare anche che il redattore sbagli nel segnalare una correzione!) e per controllare che a seguito di eventuali cambi di genere (dal maschile al femminile, o viceversa) o di numero (dal singolare al plurale, o viceversa) siano state modificate tutte le concordanze. Attenzione « Se vi accorgete che una correzione non è stata fatta, non limitatevi a segnalarla nuovamente ma controllate le righe circostanti per verificare che essa non sia magari stata inserita per sbaglio in un altro punto della pagina. « Ogni correzione, in qualunque fase della lavorazione e di qualunque entità essa sia, va riscontrata puntualmente in redazione: chi esegue la correzione può commettere errori che sfuggirebbero a qualsiasi altro controllo generale. 14.4 La lettura Tranne casi particolari, ogni libro prima di venire pubblicato passa attraverso tre letture diverse: quella dell’originale consegnato dall’autore, quella delle prime bozze impaginate, quella delle bozze definitive. Manuale di redazione 2005 pag 138 23/2/2005 139 Della lettura dell’originale abbiamo parlato diffusamente nel secondo capitolo. In genere è la lettura che implica i maggiori interventi sul testo, sia per gli aggiustamenti della forma e dello stile sia per il controllo dei contenuti e per l’adeguamento del testo alle norme redazionali specifiche. La lettura delle prime bozze ha lo scopo di: « verificare che gli interventi operati sull’originale siano congruenti e che il testo revisionato nel suo complesso regga; « individuare quanto è sfuggito alla revisione e all’opera di uniformazione e controllare che siano state seguite correttamente le indicazioni relative all’impaginazione. È bene che la lettura delle prime bozze venga fatta da una persona diversa da quella che ha effettuato la revisione. Essa potrà e dovrà sottoporre al redattore incaricato del libro ogni dubbio e ogni perplessità in merito a soluzioni formali e stilistiche non del tutto convincenti. L’entità delle nuove correzioni sarà in relazione alla bontà della revisione (e prima ancora alle condizioni del testo di partenza), ma non dovrebbe essere tale da condizionare in maniera sostanziale la struttura del libro impaginato. La lettura delle seconde bozze è – o almeno dovrebbe essere – la lettura finale, con i vantaggi e svantaggi che questo comporta: preceduta dal riscontro delle correzioni introdotte nelle prime bozze, essa si effettua su un testo che non dovrebbe più presentare alcun problema a livello formale e stilistico né richiedere controlli particolari sui contenuti; tuttavia essa comporta una pesante responsabilità in quanto nessun altro – tranne i futuri acquirenti del libro – leggerà più quelle pagine e quindi ogni errore lasciato si ritroverà nel libro stampato. Anche in questo caso è opportuno che questa bozza venga letta da una persona che non ha letto le bozze precedenti, la quale ha lo scopo di verificare che il libro sia nel suo complesso pronto per la stampa, evitando di sindacare su questioni di stile o forma opinabili (presumibilmente già affrontati e discussi a fondo nelle fasi precedenti) e limitandosi invece a segnalare eventuali refusi ancora presenti o errori indiscutibili. Attenzione Per ottenere un buon livello di correzione è necessario far intervenire più correttori contemporaneamente su due copie delle bozze. Il lavoro verrà cosı̀ svolto in parallelo e alla fine sarà necessario effettuare una collazione per riportare le correzioni di un correttore sulla bozza dell’altro. In questo modo si può prevedere di ottenere una maggiore accuratezza contando sul fatto che ai due correttori saranno sfuggiti errori diversi. Non bisogna commettere l’errore di far rileggere due volte le stesse bozze a due correttori diversi: il secondo correttore sarà inevitabilmente influenzato dai segni lasciati dal primo e non necessariamente riuscirà a snidare altri errori. Se tutto ha funzionato, le correzioni saranno poche e soprattutto tali da coinvolgere solo brevissime porzioni di testo. Purtroppo quella descritta è la situazione ideale che assai raramente si riscontra nella realtà: quando l’autore è vivente e coinvolto nella correzione, spesso, rileggendo Manuale di redazione 2005 pag 139 23/2/2005 140 le bozze impaginate è inevitabilmente portato a migliorarsi e allora interviene anche in maniera sostanziale sul testo; oppure il libro prevede degli apparati che seguono per lo più un iter a sé rispetto al testo base, in quanto vengono consegnati successivamente a esso o necessitano di una lavorazione più gravosa... 14.5 Il controllo delle cianografiche Anche se non si può più parlare propriamente di cianografiche – ovvero copie eliografiche delle pellicole montate a segnature a formare gli impianti di stampa – ma di stampe laser dei file di stampa, il controllo delle cianografiche è l’ultimissima fase di lavorazione oltre la quale gli errori verranno pubblicati. Per questa ragione è bene che se ne incarichi il redattore che ha la responsabilità del libro in quanto è certo la persona che meglio lo conosce e che con più facilità può individuare eventuali imperfezioni. È probabile anzi che, proprio in quanto responsabile del volume, egli voglia provvedere personalmente al riscontro finale, in modo da sincerarsi che tutto sia a posto e poter quindi dare l’assenso per la stampa. Il controllo delle cianografiche comporta gli ultimi riscontri delle correzioni effettuate sulle seconde bozze e una verifica della correttezza del montaggio. Nel riscontro sulla ciano, alle indicazioni fornite sopra (5 14.3) – da compiersi se possibile con un’attenzione ancora maggiore – si deve aggiungere il controllo dell’identità della prima e dell’ultima riga della pagina tra le precedenti bozze e le attuali, e quello dell’altezza della pagina. Ciò è indispensabile poiché, essendo stampate con una macchina diversa da quella usata fino a quel momento per la preparazione delle varie bozze, capita talvolta che presentino degli errori – in genere macroscopici, per fortuna – come appunto, per esempio, la mancanza di un’intera riga o la sostituzione completa di un font. Andrà inoltre verificato che ogni pagina non presenti imperfezioni, sbavature, chiazze e simili, che verrebbero riprodotte sulla pagina del libro stampato. La verifica della correttezza del montaggio consiste invece nel controllare che le pagine siano state montate senza salti e che le pagine si succedano nell’esatto ordine progressivo. È buona norma, infine, durante il controllo delle ciano, verificare un’ultima volta l’esattezza dei rinvii alle pagine del libro contenuti nell’indice generale. 14.6 Le correzioni dell’ultimo minuto Una delle operazioni più delicate nel ciclo produttivo di un libro è l’inserimento di eventuali correzioni a livello delle ultime bozze impaginate o, ancor di più, delle cianografiche. Non si parla qui tanto del refuso puntuale passato inosservato nei giri di bozze precedenti, quanto della sostituzione, dell’aggiunta o della cancellazione di una porzione di testo, modifiche che possono rendersi necessarie, per esempio, per effettuare un aggiornamento dell’ultimo minuto. In questi casi la correzione può generare uno scivolamento del testo nella pagina adiacente, con conseguenze che Manuale di redazione 2005 pag 140 23/2/2005 141 Impianti di stampa digitali L’avvento dell’elaborazione elettronica in editoria non ha solamente modificato gli strumenti di lavoro del redattore e dell’impaginatore, ma ha avuto importanti conseguenze sulla produzione finale dei prodotti editoriali. Tradizionalmente, terminati tutti i giri di bozze e di verifiche, il compositore procedeva a stampare e sviluppare le pellicole delle singole pagine del libro, che venivano poi assemblate nel reparto di montaggio della tipografia su sottili supporti trasparenti (astralon) grandi come il foglio di un’intera segnatura, dai quali finalmente venivano incise le lastre di stampa. I moderni software di videoimpaginazione producono direttamente dei file di stampa, documenti scritti in speciali linguaggi di descrizione della pagina; il più diffuso è il linguaggio PostScript, la cui prima versione venne definita nel 1984 dalla Adobe Systems: concepito per essere indipendente dal dispositivo di output, esso può essere usato dalle piccole stampanti laser da ufficio cosı̀ come dalle grandi unità fotografiche da tipografia ed è oggi considerato uno standard mondiale. Anche il montaggio delle singole pagine di una segnatura viene sempre più spesso effettuato con l’ausilio di speciali software. Esistono varie tecniche che consentono di generare, a partire dai file prodotti con software di videoimpaginazione, l’immagine dell’intera segnatura già assemblata, producendo una pellicola per ogni lato del foglio di stampa (CTF o computer to film, cioè ‘‘dai file alla pellicola’’) oppure incidendo direttamente le lastre per la macchina tipografica (CTP o computer to plate, cioè ‘‘dai file alle lastre’’). Il formato comunemente utilizzato per questo scambio finale di dati è chiamato PDF (portable document format, formato portabile per documenti): i file in tale formato contengono una versione visualizzabile sullo schermo (e in parte modificabile) delle pagine descritte in linguaggio PostScript. possono ripercuotersi, a seconda dell’impaginazione, per più pagine. Dopo avere effettuato la correzione, la redazione produrrà nuovamente solo la pagina incriminata, da sostituire nelle cianografiche o negli impianti digitali già pronti. È indispensabile a questo punto verificare con attenzione il risultato dell’inserimento, controllando che la modifica sia interamente contenuta nella pagina o nelle pagine sostituite, che i numeri di pagina e le testatine non abbiano subito variazioni, confrontando insomma un gruppo di pagine sovrabbondante, che contenga quelle corrette, tra la nuova versione e la precedente. Infine, se vi è stato scivolamento di testo nelle pagine successive, non bisogna dimenticare di controllare nel sommario e nell’indice analitico che i rimandi ai numeri di quel gruppo di pagine siano ancora corretti. Solo dopo aver effettuato tali controlli, una modifica nella fase finale della produzione di un libro potrà essere liberata. Manuale di redazione 2005 pag 141 23/2/2005 142 I segni del correttore Alcuni dei più comuni segni di riporto tra margine e testo unire eliminando tutto lo spazio allargare lo spazio tra i caratteri di una parola sopprimere allargare lo spazio tra le parole sopprimere e riunire ricomporre le righe per allungare un righino inserire uno spazio saltato fra parole ricomporre le righe per far rientrare un righino diminuire lo spazio tra sinistra e destra a inizio riga: eseguire il capoverso all’interno di riga: mandare a capo diminuire lo spazio tra alto e basso scambiare di posto due lettere o parole nella riga aumentare lo spazio tra destra e sinistra spostare le righe evidenziate dove indicato dalla freccia aumentare lo spazio tra alto e basso carattere in pedice testo di seguito nella riga e non a capo carattere in apice a sinistra: togliere una rientranza a destra: far rientrare il testo dubbio a sinistra: far rientrare il testo a destra: togliere una rientranza la correzione segnata non va eseguita Segni e notazioni per il cambiamento dello stile del carattere minuscolo maiuscolo corsivo oppure tondo minuscolo con iniziale maiuscola maiuscoletto neretto oppure oppure chiaro Per le notazioni circolettate si usa il segno o similare, sotto la parola o parte interessata, riportato al margine con il circoletto all’interno (es. Manuale di redazione 2005 oppure pag 142 ). 23/2/2005 143 14.7 I segni del correttore Nella lettura delle bozze si usa segnalare gli errori da correggere con una serie di segni e artifici che, pur variando in parte a seconda dei gusti e delle abitudini personali, si basano su un codice consolidato il quale consente che la comunicazione a distanza tra chi si occupa della redazione e chi si occupa della correzione e dell’impaginazione avvenga in modo produttivo. I principi che regolamentano questo codice sono pochi e semplici ed è indispensabile che il redattore li conosca e vi si conformi per evitare ogni possibile fraintendimento. Buona parte dei segni convenzionali utilizzati nella correzione delle bozze e del loro significato sono illustrati nella pagina a fianco. Ci limitiamo qui a ricordare alcune norme basilari: « L’intervento da effettuare sul testo va indicato in modo preciso e dettagliato, non dando nulla per scontato. Chi inserisce le correzioni, infatti, è tenuto a eseguire pedissequamente quanto segnato sulle bozze, senza doverlo interpretare. « Le singole correzioni devono essere indicate sui margini della pagina, e non all’interno del testo. « Il segno usato come richiamo deve essere identico per forma e colore sia al margine sia all’interno del testo. « Ogni segno e ogni correzione devono essere fatti a penna e essere chiaramente leggibili. Manuale di redazione 2005 pag 143 23/2/2005 15 INTERNET IN REDAZIONE Nel breve volgere di alcuni anni Internet è divenuto uno strumento fondamentale del lavoro redazionale per le opportunità di comunicazione a distanza che offre, per la gestione stessa del lavoro e per il reperimento di informazioni di ogni genere. La ‘‘rete delle reti’’ comprende ormai miliardi di pagine con documenti, testi, fonti di consultazione, i cui corrispettivi predecessori cartacei si trovavano (e in buona parte ancora si trovano) disseminati in biblioteche, aziende, enti, scuole, università, istituzioni, redazioni sparsi per il mondo. Se si considera che il principale motore di ricerca, Google, dichiarava (dicembre 2004) di possedere in archivio oltre otto miliardi di pagine web, risulterà subito chiaro che si è di fronte a una risorsa informativa enorme, accessibile direttamente dalla propria scrivania, inimmaginabile solo pochi anni fa. Anche se la lingua principale della rete resta l’inglese, da qualche anno si assiste al progressivo aumento di pagine in altre lingue. Di particolare interesse e utilità per i redattori è innanzitutto l’area degli strumenti terminologici, lessicografici e linguistici – glossari, dizionari, thesauri, banche dati, corpora, classificazioni ecc. – consultabili direttamente on-line, nonché la possibilità di ottenere informazioni su strumenti analoghi non direttamente accessibili sul web (informazioni bibliografiche, biblioteche, norme ecc.). È dunque essenziale la conoscenza degli strumenti (metamotori e motori di ricerca generali e specializzati, portali generalisti e verticali, software di ricerca ecc.) offerti da Internet e delle metodologie che permettono di utilizzarli con maggior profitto. 15.1 15.1.1 Strumenti di ricerca I motori di ricerca automatici Un motore di ricerca (in inglese search engine) è un sito web che offre gratuitamente un servizio di ricerca all’interno della rete sulla base di una o più parole chiave scelte dall’utente. Esistono centinaia di questi motori, di tipologie e caratteristiche diverse, che svolgono il proprio lavoro di esplorazione del web (visita alle diverse pagine e catalogazione del loro contenuto) in maniera automatica. Per fare ciò si avvalgono di specifici software (detti crawler o spider, in italiano ‘‘indicizzatori’’) che navigano perennemente in Internet e archiviano i testi di tutte le pagine che trovano. Esempi di motori di ricerca automatici sono Google (www.google.it), Alltheweb (www.alltheweb.com), Altavista (www.altavista.it), Yahoo! (www.yahoo.com). Manuale di redazione 2005 pag 144 23/2/2005 145 15.1.2 I metamotori di ricerca Spesso quando si esegue una ricerca complessa è utile consultare più motori di ricerca. A questo scopo si può ricorrere ai metamotori di ricerca (in inglese metacrawler), che svolgono tale operazione automaticamente. Un metamotore esegue l’interrogazione del web sulla base delle parole chiave scelte dall’utente, a sua volta utilizzando contemporaneamente diversi motori di ricerca, e poi riporta i risultati provenienti dai vari archivi in un’unica lista, raggruppando i duplicati. Le modalità con cui i metamotori riescono a interpretare e risolvere le differenti tipologie di ricerca dei motori consultati sono varie, ma la loro efficacia è strettamente correlata al numero di motori che essi sono in grado di interrogare e alla capacità di presentare all’utente i risultati ottenuti in un’unica lista. Un esempio di questa tipologia di strumenti è costituito da Ixquick (www.ixquick.com/ita). In modo analogo funzionano anche alcuni software di ricerca che è possibile scaricare da Internet e installare sul proprio computer, come per esempio Copernic (www.copernic.com); tali software offrono la possibilità di gestire i risultati delle proprie ricerche anche off-line. 15.1.3 I motori di ricerca specializzati Anche i più potenti motori di ricerca hanno difficoltà a tenere il passo con la rapida crescita del web. Per questo motivo, negli ultimi anni sono aumentati i siti con motori di ricerca specializzati (o portali verticali), che offrono servizi di ricerca o di web directory (5 15.1.4) limitati a ambiti specifici, operando preventivamente una selezione (in genere gestita da una redazione ‘‘umana’’) e offrendo maggiori garanzie di reperire siti o pagine contenenti informazioni utili nei vari ambiti di ricerca. Rientra in questa categoria quel particolare tipo di motori che, più che limitare la propria ricerca a un ambito specifico, svolge per l’utente particolari funzioni. Di utilità per redattori, traduttori e linguisti è per esempio il webCorp (www.webcorp.org.uk), che offre varie modalità di ricerca per utilizzare al meglio il web come corpus testuale. Interessante anche WaybackMachine (www.archive.org), un vero archivio o museo del web che permette di guardare nel ‘‘passato’’ di Internet e vedere pagine web di due, tre o cinque anni fa spesso non più raggiungibili, oppure rivedere versioni precedenti di un determinato sito. Sono da menzionare anche i cosiddetti motori di ricerca umani, agenzie di servizi in cui una vera redazione è a disposizione – di solito a pagamento – per fare ricerche sugli argomenti indicati via e-mail dall’utente. 15.1.4 Le web directory Una web directory è un archivio in cui una redazione composta da persone ha raccolto e catalogato un certo numero di siti, suddividendoli in categorie tematiche. A differenza di quanto avviene con i motori di ricerca automatici, per comparire in una web directory un sito deve essere stato segnalato da chi l’ha creato alla redazione della web directory, che ne valuta caratteristiche e attendibilità, oppure individuato dalla Manuale di redazione 2005 pag 145 23/2/2005 146 redazione della directory stessa. Praticamente ogni motore di ricerca ha al proprio interno una sezione di web directory (quella di Google, per esempio, è all’indirizzo http://directory.google.com, accessibile anche dalla home page). Le raccolte più conosciute e più ricche sono quella di Yahoo! (http://it.yahoo.com) e quella dell’Open directory project (http://dmoz.org). I siti web presentati dalle web directory sono suddivisi per argomento e organizzati secondo una struttura gerarchica di categorie e sottocategorie; ogni sito presentato è accompagnato da una breve descrizione delle caratteristiche e dei contenuti. È possibile anche fare una ricerca per parole chiave all’interno di una singola categoria. Categorie e descrizioni sono suggerite dai realizzatori dei siti web e poi vagliate dalla redazione della directory. Se per esempio si vogliono cercare cataloghi di biblioteche specializzate in testi di tipo economico, in Yahoo! si possono consultare la sezione Risorse>Biblioteche>Economia. 15.2 Modalità di ricerca Prima di iniziare una ricerca, è importante capire se questa è volta a trovare una raccolta possibilmente esaustiva di documenti validi e interessanti su un certo argomento, oppure se si vuole trovare la risposta a una domanda molto specifica; nel primo caso è preferibile scegliere di iniziare la ricerca in una web directory (generalista oppure specializzata) o con un metamotore di ricerca, nel secondo con un motore di ricerca possibilmente potente e veloce. Vi sono diverse modalità di ricerca possibili. 15.2.1 La ricerca semplice Questo tipo di ricerca, in genere la prima a essere proposta dalla schermata di un motore di ricerca, permette di accedere alle risorse del motore usando una sintassi quasi naturale. È sufficiente inserire in maniera intuitiva una o più parole chiave per ottenere un elenco di link a documenti che dovrebbero trattare l’argomento cercato. Può essere utile inserire subito più parole chiave, per restringere maggiormente il campo della ricerca ottenendo subito pagine rilevanti. Altri suggerimenti per ottenere risultati più precisi, validi per gran parte dei motori di ricerca, possono essere i seguenti: a) Ricerca di una locuzione o di una frase esatta. È sufficiente racchiudere la locuzione o la frase tra virgolette alte doppie, per esempio: ‘‘sintassi di ricerca’’. b) Ricerca di pagine web in una specifica lingua. È una possibilità offerta dalla maggior parte dei motori; nella home page italiana di Google, per esempio, è possibile selezionare l’opzione «Cerca solo le pagine in italiano». c) Inclusione o esclusione di parole. Perché una parola specifica sia sempre inclusa nella ricerca, in molti motori di ricerca è necessario farla precedere (senza spazi) dal segno più (+). Perché invece una parola specifica sia esclusa da una ricerca, questa va preceduta (senza spazi) dal segno meno (–). Manuale di redazione 2005 pag 146 23/2/2005 147 15.2.2 La ricerca avanzata Quasi tutti i motori mettono a disposizione una maschera di ricerca avanzata, con indicazioni per trovare i risultati «che contengano tutte le seguenti parole», «che contengano la seguente frase», «che contengano una qualunque delle seguenti parole», «che non contengano le seguenti parole» ecc. Altre opzioni sono la ricerca di documenti messi in rete all’interno di un certo intervallo di tempo, che consente automaticamente di escludere documenti troppo vecchi o comunque redatti in un periodo che ai fini della ricerca non interessano, oppure la scelta della lingua dei risultati della ricerca stessa, o ancora il paese dei siti in cui si stanno cercando documenti. Una volta presa confidenza con tutte le opzioni di ricerca avanzata offerte da un motore di ricerca, il navigatore esperto si troverà probabilmente meglio a utilizzare direttamente gli operatori (prefissi, suffissi, operatori booleani) che consentono di comporre vere e proprie espressioni complesse di ricerca. 15.2.3 La ricerca di immagini I principali motori di ricerca offrono la possibilità di cercare immagini contenute nelle pagine web. Si tratta di una funzione utile per comprendere meglio termini, concetti, oggetti e riferimenti incontrati nei testi o, per esempio, per individuare opere d’arte. Per stabilire il contenuto dell’immagine, Google analizza il testo situato vicino all’immagine, la descrizione dell’immagine e altri fattori. La funzione ‘‘Ricerca immagini’’ di Google permette di ricercare oltre cinquecento milioni di immagini sul web. Per la ricerca delle immagini possono essere utilizzati tutti gli operatori normalmente impiegati per la ricerca di testo. 15.3 Strumenti di consultazione Innumerevoli sono gli strumenti di consultazione disponibili in Internet che risultano utili in redazione (enciclopedie, dizionari, raccolte di citazioni ecc.), e ogni redattore finisce col tempo per avere nel proprio elenco di ‘‘Preferiti’’ quelli che più frequentemente consulta e dei quali ha testato l’affidabilità. Dal momento che quotidianamente nascono numerosi nuovi siti e altrettanti cessano di esistere (o giacciono, dimenticati, senza più aggiornamenti e verifiche) è in generale poco utile fornirne un elenco dettagliato. Attenzione Il fatto che la quantità di informazioni reperibili sul web sia gigantesca non implica necessariamente la loro affidabilità. È assolutamente necessario che ogni redattore valuti attentamente la qualità delle informazioni offerte da ogni sito prima di accettarlo come ‘‘banca’’ certificata. Manuale di redazione 2005 pag 147 23/2/2005 148 Sintassi di ricerca avanzata (utilizzando Google) Sintassi termine1 termine2 termine1 AND termine2 Significato restituisce pagine contenenti sia termine1 sia termine2 termine1 AND NOT termine2 restituisce pagine contenenti termine1 ma non termine2 termine1 NEAR termine2 restituisce pagine contenenti termine1 vicino a termine2 termine1 OR termine2 termine1 | termine2 restituisce pagine contenenti termine1 o termine2 o entrambi +termine restituisce pagine contenenti termine (Google aggiunge automaticamente l’operatore + davanti a tutti i termini cercati); l’opzione può essere utile per costringere Google a considerare anche quei termini generalmente ignorati, come le preposizioni o le congiunzioni -termine restituisce pagine che non contengano termine ~termine restituisce pagine contenenti termine o uno dei suoi sinonimi (funziona solo per l’inglese) "frase" restituisce pagine contenenti la frase esatta, cioè qualunque serie di parole o caratteri in esatta sequenza site:dominio limita i risultati a pagine di un determinato dominio intitle:termine limita i risultati a pagine nel cui titolo è contenuto termine inurl:termine limita i risultati a pagine nel cui URL è contenuto termine link:indirizzo restituisce pagine con un link all’indirizzo indicato filetype:tipo restituisce solo pagine di un determinato formato define:termine restituisce pagine contenenti una definizione di termine (funziona solo per l’inglese) Oltre che a basi di dati virtuali, Internet può essere utile anche per la ricerca di opere lessicografiche e terminologiche cartacee (banche dati, dizionari, glossari ecc.), sulle quali in rete è possibile reperire informazioni bibliografiche. 15.3.1 Corpora e biblioteche virtuali I corpora sono raccolte di testi digitalizzati organizzate per lingue, per ambiti settoriali (letteratura, filosofia, scienze, stampa ecc.) o periodi storici. I corpora presenti in Internet sono in genere dotati di un motore di ricerca con il quale l’utente può cercare parole o sequenze di parole all’interno della raccolta di testi. Alcuni esempi sono il British National Corpus (www.natcorp.ox.ac.uk), con estratti da libri, giornali, dissertazioni, tesi e altri generi di testi, il Project Gutenberg (www.sailor.gutenberg.org), con testi dei maggiori autori della letteratura mondiale, generalmente in inglese ma anche in Manuale di redazione 2005 pag 148 23/2/2005 149 lingua originale e Wordtheque (www.wordtheque.com), vasto database di testi letterari e tecnici sia in lingua originale sia tradotti in oltre 150 lingue. Per l’italiano un archivio dei classici della letteratura ampio e in continua crescita è offerto dal sito LiberLiber (www.liberliber.it). Un motore di ricerca specializzato in letteratura è WISDOM: Knowledge and Literature Search (www.thinkers.net). Simili ai corpora sono le biblioteche virtuali, vere e proprie biblioteche con cataloghi di testi digitalizzati. 15.3.2 Portali tematici Detti anche portali verticali (in inglese vortals), in contrapposizione ai portali orizzontali o generalisti, sono siti dedicati a un settore specifico: editoria, cinema, affari, musica, scienza ecc. Fra i più interessanti Alice (www.alice.it), portale dell’editoria con notizie, recensioni, interviste, segnalazioni di appuntamenti e diversi indici di risorse e indirizzi utili, come motori di ricerca, biblioteche virtuali e non, periodici, associazioni, editori, fiere, scuole; Biblit (www.biblit.it) è un portale interamente dedicato alla traduzione letteraria, con gruppi di discussione, informazioni su vari aspetti della professione e un ricco archivio di risorse, quali dizionari, glossari e altri strumenti di lavoro on-line. 15.3.4 Ricerca bibliografica Internet offre la possibilità di accedere ai cataloghi on-line di numerose biblioteche (un elenco è disponibile all’indirizzo www.edigeo.it/EdihomI/Sitoteca/bibloset.htm). Tutte le maggiori biblioteche italiane hanno un proprio sito e la possibilità di ricerca all’interno del proprio catalogo. Molte di esse aderiscono inoltre all’OPAC SBN, il cui modulo di ricerca base è all’indirizzo http://opac.sbn.it/cgi-bin/IccuForm.pl?form=WebFrame: lanciando una ricerca da tale maschera vengono presentati i dati del libro e l’elenco delle biblioteche che lo conservano. Tra le biblioteche straniere basterà citare i siti della Library of Congress di Washington (www.catalog.loc.gov), della British Library di Londra (www.catalogue.bl.uk), della Bibliotèque nationale de France di Parigi (www. catalogue.bnf.fr), della biblioteca nazionale di Madrid (www.bne.es) e del Karlsruher Virtueller Katalog (www.ubka.uni-karlsruhe.de/kvk.html). Manuale di redazione 2005 pag 149 23/2/2005 Manuale di redazione 2005 pag 150 23/2/2005