1
IL TESTO ORIGINALE
1.1
L’aspetto fisico
Le caratteristiche fisiche che può avere un testo nel momento in cui arriva per la
prima volta fra le mani del redattore cui è affidato il compito di seguirlo fino alla
pubblicazione sono praticamente infinite. È però possibile individuare alcune tipologie ricorrenti alle quali ogni nuovo libro può in definitiva essere ricondotto.
Riguardo all’aspetto fisico, il testo originale può avere la forma di:
a) documenti su supporto informatico (dischetto, CD-ROM ecc.);
b) dattiloscritto su supporto cartaceo;
c) materiale di provenienza e caratteristiche varie (fogli dattiloscritti, fotocopie,
appunti manoscritti ecc.).
a) Per le caratteristiche del documento su supporto informatico è indispensabile
attenersi alle seguenti indicazioni:
« Evitare di salvare tutto il documento in un unico file: se ci sono più capitoli, ognuno
di essi può per esempio essere salvato in un singolo file; se non sono previste
suddivisioni o se esse sono eccezionalmente brevi e numerose, si avrà comunque
l’accortezza di non creare file troppo grandi (non più di 200 000-300 000 byte). In
un file a parte devono essere salvate le note, le tabelle, le didascalie e gli eventuali
apparati paratestuali (Introduzione, Bibliografia, Indice analitico ecc.).
« Il nome di ciascun file deve essere breve ma significativo, in modo che sia facile
identificare la parte del documento che esso contiene; in particolare, se si fa uso di
numeri (es.: cap01, cap02 ecc.), usare sempre le cifre arabe.
« Il supporto sul quale il lavoro viene consegnato deve essere in buono stato (se si
tratta di un dischetto è bene che sia nuovo o almeno riformattato, cosı̀ che non siano
rimasti registrati vecchi documenti, che potrebbero creare confusione).
« Il supporto non va riempito fino al massimo della sua capienza; nel caso il
documento sia troppo lungo, si usino quindi più dischetti numerati progressivamente o, meglio, si utilizzi un supporto più capiente, come il CD-ROM.
« Il supporto deve recare un’etichetta con autore e titolo del libro, nonché l’elenco dei
documenti contenuti al suo interno.
È buona norma, inoltre, che chi lavora al computer consegni assieme al supporto
informatico una copia stampata del testo e una scheda con tutti i dati utili per evitare
confusioni e per una corretta e veloce transcodifica. Essa dovrà contenere le seguenti
indicazioni:
« nome e indirizzo (con tutti i contatti telefono/fax/e-mail) di chi ha preparato il
documento;
« autore e titolo dell’opera consegnata;
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Il conteggio dei caratteri
Tradizionalmente il computo del numero complessivo dei caratteri di un documento,
indispensabile per avere una stima almeno approssimativa del numero di pagine che
esso sviluppa una volta stampato, si effettuava con una semplice operazione: si
moltiplicava il numero dei caratteri contenuti in una riga tipo (considerando come un
carattere anche ciascuno spazio tra una parola e l’altra) per il numero delle righe e si
trovava il numero di caratteri per pagina; quindi si moltiplicava il valore cosı̀ ottenuto
per il numero totale delle pagine. Il risultato di tale lavoro era per sua natura
impreciso perché proponeva una media, comunque accettabile, per quantificare
lavorazioni quali la traduzione, la redazione o la correzione delle bozze, tradizionalmente retribuiti su base quantitativa.
L’avvento del computer ha reso obsoleto tale sistema di conteggio. I programmi di
videoscrittura sono in grado di fornire il numero di caratteri di cui è formato un
documento e ciò costituisce un metodo di conteggio indubbiamente più veloce e
preciso, a patto di agire con attenzione. Non tutti i programmi infatti calcolano tale
numero nello stesso modo: alcuni non comprendono gli spazi, altri ancora, secondo
una prassi statunitense, forniscono solo il numero delle parole e non quello dei
singoli caratteri e cosı̀ via.
« sistema operativo del computer su cui è stato preparato il documento (Microsoft
Windows, Linux, Macintosh o altro);
« dati del programma impiegato e numero della sua versione;
« elenco dei documenti consegnati, con l’indicazione della parte del documento che
ciascuno di essi contiene;
« numero complessivo delle pagine dello stampato che viene allegato al dischetto e
numero totale dei caratteri;
« elenco preciso e dettagliato degli eventuali codici convenzionali utilizzati per
ottenere caratteri speciali non disponibili in tastiera (5 1.2.1).
Attenzione
Per ragioni di sicurezza è bene che l’autore conservi sempre una copia di quanto
ha consegnato all’editore almeno fino a quando non ha fra le mani il libro
stampato.
b) Quella che un tempo era la modalità normale di consegna di un testo – il
dattiloscritto – è ormai relegata a settori di nicchia. In ogni modo, il testo deve essere
ben leggibile, in modo da facilitare il lavoro del redattore e quello dell’impaginatore.
A questo scopo esso deve avere le seguenti caratteristiche:
« deve essere scritto su fogli di formato standard A4 (21 c 29,7 cm);
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« ogni foglio deve contenere una media di 2000 battute (la canonica ‘‘cartella’’),
ovvero, per esempio, 40 righe da 50 battute ciascuna (questo, fra l’altro, rende più
agevoli i calcoli per l’ingombro del testo e per il pagamento);
« tutte le pagine del documento devono essere numerate progressivamente (per
eventuali aggiunte dell’ultima ora sono ammesse numerazioni del tipo 1, 2, 3, 3
bis, 3 ter ecc.);
« il testo deve avere intorno a sé degli ampi margini, sia in alto e in basso (almeno 4
cm) sia ai lati (almeno 2,5-3 cm): serviranno a chi farà la revisione dell’originale per
segnalare tutte le correzioni e introdurre le istruzioni per l’impaginazione;
« è bene che tra una riga e l’altra ci sia uno spazio sufficiente perché possano essere
comodamente inserite eventuali correzioni a mano: a questo scopo si consiglia di
usare l’interlinea 1,5-2;
« la stampa non deve essere sbiadita: verificare dunque che il nastro o la cartuccia
dell’inchiostro non siano in via di esaurimento;
« ogni nuovo capitolo deve iniziare a pagina nuova.
c) Un originale sotto forma di libro a stampa si ha nei casi in cui viene decisa la
riedizione di un libro fuori commercio, magari pubblicato presso un altro editore. Si
tratta per molti versi di una delle situazioni più favorevoli: un testo già pubblicato non
necessita in genere di una preparazione particolare (5 2.3); se, come spesso capita,
esso è affidato alle cure di un esperto che si faccia garante della correttezza filologica
del testo e stenda gli eventuali apparati, il lavoro redazionale si concentrerà soprattutto
su questi ultimi e sarà del tipo illustrato in una delle due categorie precedenti.
d) Particolari tipi di libri hanno un originale composito, ossia formato da materiale
di provenienza e caratteristiche diverse. È il caso di libri antologici, miscellanee,
raccolte con l’opera omnia di un autore ecc. Si raccomanda in questo caso all’autore –
o più probabilmente al curatore – di essere particolarmente ordinato e preciso nella
classificazione dei diversi materiali e nell’indicazione della successione in cui essi
andranno sistemati.
Fotocopie o appunti manoscritti possono inoltre accompagnare un testo consegnato
su supporto informatico, quando il libro contenga elementi di particolare complessità
(tabelle, grafici, formule matematiche ecc.) difficili da realizzare con i consueti
programmi di scrittura. In tal caso è bene allegare una copia della parte in questione
fotocopiata da altra fonte, che possa essere usata come modello all’atto della
composizione sul sistema definitivo.
1.2
Il fornitore dell’originale
Un’altra caratteristica ‘‘esterna’’ che contraddistingue qualsiasi testo che arriva
in casa editrice – e che condiziona il lavoro che su di esso andrà fatto – è legata al
rapporto che l’estensore del testo, nonché fornitore dell’originale alla casa editrice,
ha con il testo stesso.
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Rispetto al testo, il fornitore può assolvere la parte di:
a) autore,
b) traduttore,
c) curatore.
5 Per la diversa tipologia di lavoro che ciascuna di queste tre categorie richiede si
vedano i paragrafi 2.1, 2.2, 2.3.
1.2.1
L’istruzione del fornitore
Che sia autore, traduttore o curatore del testo, è bene che, ancor prima di accingersi
all’opera, chi redigerà il testo originale prenda accordi con l’editore per stabilire
insieme gli accorgimenti atti a facilitare le successive fasi di lavorazione.
In particolare nella stesura del testo egli è tenuto a seguire coerentemente due
diversi tipi di indicazioni: alcune elementari norme generali e, nei limiti del possibile,
le specifiche norme redazionali dell’editore che pubblicherà il volume.
Per questo secondo punto, si ricorda che generalmente ogni casa editrice possiede
un apposito documento, un opuscolo interno o una semplice raccolta di appunti, che
riporta in modo più o meno dettagliato e esaustivo il comportamento che essa vuole
venga seguito in merito a alcune scelte di tipo meramente redazionale (uso dell’iniziale maiuscola o minuscola per alcune parole, tipo di virgolette, grafia da preferire per
i termini che ne presentano più di una ecc.). Tali scelte non interferiscono in genere con
il contenuto di un testo, ma sono di competenza di quell’aspetto del lavoro editoriale
che è l’uniformazione interna. È opportuno dunque che una copia di tale opuscolo
venga fornita all’autore, in modo che egli vi si conformi con coerenza già nella prima
stesura del testo. Cosı̀ facendo, egli eviterà al redattore di effettuare tutta una serie di
interventi di tipo uniformativo che necessitano di tempo e che spesso finiscono per
distogliere l’attenzione dalle questioni più importanti.
Per quanto riguarda le norme di natura dattilografica, esiste una serie di operazioni
che è opportuno che l’autore faccia o non faccia per rendere più spedita la lavorazione
successiva del libro. Ciò vale in particolare nel caso in cui il lavoro venga consegnato
su supporto informatico, in quanto solo in questo modo può venire sfruttato appieno il
grandissimo vantaggio offerto dalla possibilità di passare dal testo fornito dall’autore
ai programmi di impaginazione mediante una semplice conversione o transcodifica.
L’ignoranza dei meccanismi che regolano questo passaggio – unita in qualche caso
a una vera e propria imperizia o negligenza delle norme basilari della dattilografia – fa
sı̀ che l’impaginatore (o il redattore) si trovi spesso a dover ‘‘distruggere’’ ciò che
l’autore, con più o meno fatica, e comunque con un dispendio di tempo, ha costruito.
Si dà qui un elenco di alcune norme, elementari ma spesso disattese:
« Non vanno mai inseriti nel testo spazi doppi (o addirittura multipli) tra le parole.
« I segni di punteggiatura seguono immediatamente la parola che li precede e sono
separati con uno spazio da quella che segue.
« Il segno di apertura della parentesi va separato con uno spazio dalla parola che
precede e attaccato alla parola che segue; il contrario vale per il segno di chiusura
della parentesi, che va attaccato alla parola che precede e staccato di uno spazio da
quella che segue.
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La transcodifica e il formato dei file
Tutti i programmi di videoscrittura dotati di un’interfaccia grafica offrono funzioni
più o meno avanzate di formattazione del testo, spesso utili ad autori, traduttori e
redattori per rendersi conto visivamente del suo aspetto finale.
L’impaginazione, però, viene effettuata con software decisamente più evoluti e fuori
dalla portata di utenti non professionali del computer e, per ragioni di natura tecnica,
la compatibilità (cioè la possibilità di dialogo) tra queste due categorie di software
non è totale: ciò che si mantiene senz’altro inalterato nel passaggio dall’uno all’altro
è solo il testo, mentre buona parte delle caratteristiche di formattazione viene
irrimediabilmente persa.
La formattazione, anzi, può a volte disturbare la transcodifica, causando risultati
indesiderati. Per questo è bene, mentre si scrive un testo al computer, non indulgere
in essa, nel vano tentativo di riprodurre qualcosa che si avvicini il più possibile alle
caratteristiche grafiche del prodotto finale. È sufficiente limitarsi a specificare le
varianti del carattere (corsivo, grassetto, maiuscoletto) e a evidenziare in modo
chiaro e univoco la forza dei diversi titoli. Sarà compito del grafico tradurre tali
informazioni nel linguaggio appropriato perché vengano correttamente interpretate
dal programma di impaginazione. Anche i più moderni programmi di impaginazione, provvisti di filtri grazie ai quali possono acquisire il testo già lavorato con molti
programmi di videoscrittura, non fanno altro che cancellare tutte le codifiche di
formattazione (proprio questa è la funzione del filtro!) mantenendo inalterato
soltanto il testo.
Nella transcodifica tra piattaforme diverse (per esempio da un PC a un Macintosh o
viceversa), è garantito solo il passaggio di caratteri alfanumerici ‘‘normali’’ e
bisogna sempre guardarsi da una errata transcodifica di lettere accentate o simboli
speciali.
Esiste, però, un formato che permette di dimenticare i problemi di compatibilità,
chiamato XML (extensible markup language, cioè ‘‘linguaggio di marcatura flessibile’’). In questo formato il testo è codificato secondo standard totalmente indipendenti dal software e dalle piattaforme, ricorrendo a un insieme di ‘‘marcatori’’
(stringhe di caratteri inserite in modo non nascosto) che racchiudono le porzioni di
testo da gestire in modo particolare (titoli, sottotitoli, corsivi, caratteri accentati e
quant’altro non sia semplicemente una sequenza di caratteri alfabetici).
I file del testo di una determinata opera vengono poi accompagnati da un file di
servizio, chiamato DTD (document type definition, cioè ‘‘definizione del tipo di
documento’’), che contiene la spiegazione dei vari marcatori utilizzati per quell’opera. Già ampiamente utilizzato per basi di dati testuali che necessitano di una
struttura logica di tipo gerarchico, ma finora riservato agli impieghi più professionali, questo formato è comunque destinato a divenire uno standard globale, grazie
anche al fatto di supportare completamente la codifica Unicode dei caratteri.
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« Non bisogna dare il comando di ritorno a capo (Return o Invio) alla fine di ogni riga,
ma solo alla fine del paragrafo. Il programma stabilisce da sé il punto in cui le righe
del paragrafo finiscono (se queste dovessero uscire dai limiti dello schermo, si può
intervenire modificando l’ampiezza dei margini laterali della pagina in modo da
restringerne la giustezza, oppure, se il programma lo prevede, semplicemente
diminuendo la percentuale di ingrandimento del testo sullo schermo).
« Non cercate di spostare del testo verso il centro della pagina (es.: la prima riga di
ogni paragrafo, un elenco rientrato, un titolo da centrare ecc.) usando una o più
tabulazioni o, peggio, una serie di spazi; si lasci invece il testo allineato a sinistra:
sarà il redattore incaricato di preparare il dattiloscritto per l’impaginazione a
inserire le opportune indicazioni.
« Tipograficamente si distingue fra tratto breve o trattino (-) e tratto medio o lineetta
(–), di lunghezza maggiore (per il diverso uso dei due segni 5 8.7 e 8.8). Se non si
conosce il modo per ottenere la lineetta, generalmente non presente in tastiera, la si
indichi con due tratti brevi vicini (--), che saranno poi sostituiti dall’impaginatore
con il carattere corretto.
« Se nel testo vi sono delle note (siano esse a piè di pagina, alla fine del capitolo o alla
fine del volume), non va usato il sistema di notazione automatica di cui sono forniti
molti programmi di videoscrittura. Si segua invece uno di questi due metodi: a) se le
note andranno a fine capitolo o a fine volume, si inserisca progressivamente per
capitolo il numero di riferimento della nota nel punto opportuno del documento e si
riuniscano tutte le note in un unico file a parte, con l’indicazione chiara del capitolo
cui si riferiscono; b) se è previsto che le note vadano a piè di pagina, si può inserire il
testo della nota direttamente nel testo, là dove andrà il numero di riferimento; per
distinguerlo dal resto, il testo della nota potrà essere racchiuso tra parentesi quadre e
preceduto da un’indicazione (da mantenere costante per tutto il libro) del tipo:
‘‘nota a piè di pagina:’’ (o semplicemente ‘‘N.P.’’), in neretto: sarà compito di chi
impagina il libro inserire in quel punto il numero opportuno (che varierà a seconda
della presenza o meno nella stessa pagina di altre note) e spostare la nota a piè di
pagina.
« Nel caso il testo preveda tabelle o formule matematiche, esse non vanno inserite
direttamente nel testo, poiché assai difficilmente potranno essere trasferite senza
problemi al programma di impaginazione. Come per le note, deve essere messa nel
punto del documento in cui ciascuna di esse andrà inserita un’indicazione del tipo
‘‘qui Tabella n. X’’, racchiusa tra parentesi quadre e in neretto, e le tabelle devono
essere consegnate in un file a parte. In questo modo, se possibile, le tabelle verranno
direttamente inserite nel testo composto.
« Se sono previste delle illustrazioni, le didascalie vanno raccolte in un file a parte,
con l’indicazione del numero della figura cui si riferiscono (ed eventualmente una
breve descrizione della stessa).
« In generale non è opportuno dare al testo una struttura grafica che si avvicini
all’impaginato definitivo (testo giustificato e sillabato, paragrafi con la prima riga
rientrata, gabbia della pagina ridotta, inserimento dei titoli correnti ecc.): nel migliore
dei casi tali indicazioni andranno perdute nel passaggio al programma di impaginazione; nel peggiore, potrebbero generare risultati indesiderati nel documento impaginato (comparsa nel documento di caratteri di controllo, perdita di parti del testo ecc.).
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Caratteri e computer
I caratteri disponibili in un normale programma di videoscrittura non sono soltanto
quelli riportati sulla tastiera: tutte le lettere dell’alfabeto latino, le più comuni vocali
accentate e pochi altri segni particolari. Alcuni caratteri speciali si possono ottenere
tramite una opportuna combinazione di tasti: tenendo premuto il tasto Alt e
digitando contemporaneamente un numero di tre o quattro cifre sul tastierino
numerico nei sistemi Windows; con i tasti Maiuscolo, Ctrl e Alt variamente
combinati fra loro, più un tasto specifico nel sistema Macintosh. Un elenco
completo di tali segni speciali e del modo per ottenerli si può avere cliccando
sull’icona Mappa caratteri in Windows; sotto il menu Tastiera o, meglio, tramite
opportuni software, nel sistema Macintosh.
« Se il testo richiede l’impiego di caratteri speciali non disponibili in tastiera (per
esempio i segni per la traslitterazione da lingue con alfabeti non latini, caratteri
delle lingue slave e simili), è opportuno contattare preventivamente l’editore e
l’impaginatore/stampatore in modo da concordare, dopo un’analisi della casistica
specifica, un’opportuna gamma di codici convenzionali che possano poi essere
automaticamente convertiti nel segno corretto.
1.2.2
Norme particolari per i traduttori
In aggiunta a quanto detto sopra, i traduttori sono tenuti a seguire alcune indicazioni
supplementari.
Innanzitutto, oltre al testo con le relative note, vanno tradotti anche:
« eventuali apparati (prefazione, introduzione ecc.);
« l’indice generale;
« le didascalie delle figure e delle tabelle e le eventuali scritte all’interno di queste
ultime (lettering);
« l’indice analitico, avendo cura di far corrispondere i termini a lemma con quelli
effettivamente usati nel testo e, importantissimo, di lasciare i termini nell’ordine in
cui compaiono nell’indice originale e non riordinarli alfabeticamente;
« la ‘‘quarta’’ di copertina dell’originale e ogni altra informazione accessoria (notizie
biografiche sull’autore ecc.).
Se il testo originale ha una bibliografia, è indispensabile che il traduttore provveda
all’integrazione dei dati, fornendo, dove esistano, i riferimenti all’edizione italiana di
un’opera citata.
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LA PREPARAZIONE DELL’ORIGINALE
Una volta giunto in casa editrice, il testo originale deve essere in genere preparato,
prima di venire inviato alla composizione e all’impaginazione. La persona incaricata
della preparazione è il redattore, il quale seguirà poi il libro lungo tutte le fasi di
lavorazione, tenendo costantemente i rapporti con l’autore.
2.1
Preparazione di un originale di autore italiano
La preparazione di un originale in italiano consiste in una lettura volta a:
a) verificare la sua correttezza grammaticale nonché la resa stilistica;
b) verificare la correttezza dei suoi contenuti;
c) dare uniformità e coerenza interna al testo secondo le specifiche norme
redazionali della casa editrice.
a) La lettura attenta alla lingua del testo dovrà innanzitutto verificare la correttezza
grammaticale e sintattica delle singole parole e frasi e l’adeguatezza del registro
stilistico oltre a evidenziare e chiarire i passi poco chiari.
Si tenga presente che ogni correzione di una certa entità va comunque sottoposta
all’autore il quale, se è spesso restio a accettare quegli interventi che ritiene lesivi delle
proprie abitudini linguistiche, è in genere ben contento di vedersi segnalare e
correggere eventuali errori.
Attenzione
Un rischio forse implicito in questa operazione, ma da evitare assolutamente, è
quello di eccedere nell’uniformazione, appiattendo cosı̀ lo stile proprio dell’autore; per quanto corretta (o addirittura elegante), una forma troppo standardizzata
finirà infatti col risultare un po’ fredda e impersonale. È bene quindi intervenire
solo se una regola di grammatica è palesemente disattesa, sono impiegati un
termine o un’espressione impropri, vi è qualcosa che stona rispetto al registro del
libro, oppure là dove la sintassi, per quanto a rigore non errata, è però tale da
rendere poco chiaro il concetto che si vuole esprimere.
b) La verifica dei contenuti è un’operazione altrettanto importante della correzione
linguistica, in particolare nei testi di saggistica. A rigore, tutto quanto non si conosce
direttamente (e molte volte anche quello che si presume di conoscere) va controllato
sugli opportuni strumenti di consultazione. Nomi stranieri, dati cronologici di
personalità o avvenimenti, citazioni, dati bibliografici: dietro ogni riferimento a
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qualcosa di esterno al testo o al pensiero diretto dell’autore può celarsi un errore, che
spetta al redattore individuare e segnalare.
c) L’uniformazione redazionale di un testo alle norme della casa editrice dovrebbe
essere, come si è visto, garantita dall’autore, preventivamente istruito in merito. È
tuttavia molto probabile che, per negligenza o per disattenzione, tali norme non siano
state seguite con il rigore necessario; anche in questo ambito diventa quindi indispensabile l’intervento del redattore il quale, per la frequentazione quotidiana che ha
con esse, è forse la persona più indicata per verificare che tutto sia conforme allo stile
della casa editrice.
Come nel caso della correzione linguistica, è bene non essere esageratamente
pedanti nell’applicazione delle norme redazionali. L’uniformità interna è un elemento
fondamentale in un libro, che contribuisce a valorizzarlo specie agli occhi di un lettore
attento e esigente; essa viene comunque dopo per importanza rispetto alla correttezza
della lingua e dei contenuti, e soprattutto non è sempre possibile ridurre entro gli
angusti argini di una normativa rigorosa quell’insieme composito e vario che è spesso
il contenuto di un libro.
Attenzione
Anche se l’originale è disponibile su supporto informatico, è bene che la lettura
per la correzione del testo venga fatta sullo stampato. Per tutte le altre lavorazioni
– quali l’uniformazione – è indispensabile lavorare direttamente sul file usando le
funzioni di ricerca e, a patto di agire sempre con estrema cautela e consapevolezza
dei rischi insiti in quanto si sta facendo, di quelle di sostituzione (5 anche 2.4).
Una volta che l’originale è stato preparato, tutte le correzioni dovranno comunque
essere inserite nel file che andrà all’impaginazione.
2.2
Preparazione di una traduzione
Nel caso in cui il libro sia la traduzione di un’opera straniera, il referente principale
del redattore è allora non più l’autore, ma il traduttore.
A seconda dei casi, questi seguirà tutte le varie fasi di lavorazione del libro, proprio
come un autore, oppure vorrà vedersi sottoposta soltanto una bozza del testo
definitivo, rivisto e impaginato, per un’ultima lettura prima di dare l’assenso alla
stampa del libro con il proprio nome quale traduttore.
Un rapporto di collaborazione fra traduttore e redattore è la prima garanzia della
buona qualità del risultato finale. Il traduttore dovrà innanzitutto mettere al corrente il
redattore degli eventuali problemi specifici che il testo presenta e delle decisioni prese
in merito, in modo che egli ne possa tener conto durante il lavoro di revisione. Il
redattore da parte sua dovrà sottoporre al giudizio del traduttore ogni intervento o
decisione di un certo spessore che riguardi il testo.
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Il pericolo nascosto dietro agli autori ‘‘fai da te’’
La sempre più capillare diffusione dei personal computer e la possibilità di far girare
anche su di essi sofisticati programmi di impaginazione, unite alla perenne ricerca di
stratagemmi per la riduzione dei costi nella lavorazione del libro, hanno contribuito
alla crescita di una generazione di autori ‘‘fai da te’’, personaggi che mescolano alle
loro doti di autore le caratteristiche del redattore, del grafico e dell’impaginatore.
Specialmente nel caso di testi non particolarmente complessi dal punto di vista
grafico, infatti, l’editore non esita a chiedere all’autore di consegnare il suo testo non
solo definitivo e corretto dal punto di vista dei contenuti e della forma, ma già
impaginato secondo le caratteristiche della collana in cui si è deciso di pubblicarlo,
talvolta offrendogli persino di dotarlo di tutti gli strumenti necessari, compresi lo
stesso computer e i programmi.
Naturalmente questa strada è percorribile solo nel caso in cui l’autore abbia una
buona dimestichezza con le apparecchiature informatiche, dimostri di conoscere le
elementari norme di dattilografia e accetti di imparare a usare il programma di
impaginazione.
Cosı̀ facendo, il lavoro si sveltisce, in quanto il testo, salvo un sommario controllo per
verificare che non vi siano errori di impaginazione macroscopici, passa direttamente
dall’autore alla tipografia per la stampa.
L’eliminazione, tuttavia, dell’intervento delle singole figure professionali del redattore e dell’impaginatore avviene a scapito della buona qualità del prodotto finale;
senza contare che ciò fa ricadere un’ulteriore mole di lavoro sull’autore, il quale è in
genere la persona già di per sé meno ricompensata rispetto al tempo impiegato nel
lavoro di ricerca e stesura del testo.
Anche per la revisione di un testo tradotto valgono innanzitutto le tre indicazioni
date sopra per il caso dell’originale in italiano, per cui il redattore deve innanzitutto:
a) verificare la correttezza grammaticale e la resa stilistica del testo;
b) verificare la correttezza dei contenuti;
c) uniformare il testo alle norme redazionali della casa editrice.
In particolare, l’uniformazione alle norme potrà e dovrà essere qui anche più
rigorosa.
Similmente, per ciò che riguarda la verifica della correttezza dei contenuti, specie
per i testi di saggistica, vanno controllati con sistematicità tutti i nomi non conosciuti
(di persona, geografici, scientifici) e tutte le citazioni: il fatto che il libro sia già stato
pubblicato – e quindi i suoi contenuti siano già stati, almeno in teoria, verificati – non
esime dal verificare comunque ogni dato, comportandosi come se il libro venisse
pubblicato per la prima volta: errori infatti possono essere sfuggiti nell’originale,
oppure essere stati involontariamente introdotti dal traduttore (es.: nell’adeguamento
delle cifre in unità di misura differenti da paese a paese, come miglia e kilometri). In
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L’editing
Nel caso di un testo letterario di autore vivente il lavoro preliminare alla pubblicazione del libro può configurarsi nella forma dell’editing. Sebbene il termine sia
spesso adoperato come sinonimo di lavoro redazionale, l’editing è propriamente
qualcosa di diverso.
L’incaricato dell’editing, l’editor, è in genere un professionista free lance che si pone
a metà strada tra editore e autore. Egli lavora a strettissimo contatto con l’autore, di
cui in genere gode la piena fiducia; ha il compito di segnalargli i punti deboli
dell’opera a livello di trama o di forma, concordando con lui gli interventi atti a
migliorarne la struttura complessiva; spesso lo consiglia in merito a come muoversi
all’interno del ginepraio dell’editoria, segnalandogli a chi proporre il libro, quale
momento scegliere per la pubblicazione, che ‘‘confezione’’ preferire per il libro
(collana, copertina ecc.), come impostare la campagna di promozione – tutti fattori
niente affatto secondari nel decretare il successo commerciale di un libro.
Per svolgere al meglio questo compito l’editor dovrebbe essere una persona dotata,
oltre che di una vasta conoscenza della letteratura italiana e straniera, di una
competenza e sensibilità linguistica del tutto eccezionali, non disgiunte da una
acuta percezione delle tendenze del mercato librario attuale. Assommando in sé tutte
queste qualità, egli può davvero giocare un ruolo primario nella riuscita editoriale e
commerciale di un testo.
questa attività è indispensabile disporre di buoni testi di riferimento, meglio se
disponibili su CD-ROM, e usare per quanto possibile le opportunità messe a disposizione dai motori di ricerca su Internet, come descritto al capitolo 15.
Per il punto a, invece, alla verifica del rispetto delle regole grammaticali dell’italiano, che va fatta come se si trattasse di un documento d’autore, si aggiungono in
questo caso una serie di operazioni volte al controllo della correttezza e dell’integrità
della traduzione in rapporto all’originale straniero.
In particolare il redattore dovrà:
« verificare che nella traduzione non manchino pezzi di testo – cosa che può capitare
anche al miglior traduttore;
« verificare che siano state rispettate la scansione in paragrafi e la punteggiatura
dell’originale, fermo restando che non sempre vi può essere corrispondenza
assoluta in quanto ogni lingua presenta regole proprie che non è possibile seguire
pedissequamente in un’altra;
« verificare che sia stata rispettata la coerenza interna del testo originale (alcuni
termini o espressioni ricorrenti vanno mantenuti, di massima, nella stessa forma
anche in italiano);
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« eliminare ripetizioni e cacofonie (allitterazioni, omoteleuti ecc.) non presenti
nell’originale ricorrendo a dei sinonimi (ma attenzione, cosı̀ facendo, a non
inserirne di nuove);
« individuare gli eventuali ‘‘granchi’’ presi dal traduttore, in particolare nel caso di
espressioni idiomatiche o dei cosiddetti faux-amis (falsi amici), parole che pur
avendo forma simile in quanto derivate dallo stesso etimo, hanno in realtà
significato del tutto diverso nelle due lingue: i migliori dizionari li riportano ma
esistono anche appositi volumi dedicati alle varie lingue. Un’aderenza troppo
pedante all’originale emerge spesso anche a una semplice lettura dell’italiano, che
rivela in questi punti un’ambiguità e un’oscurità subito evidenti a un occhio attento;
« specie nel caso di testi letterari, verificare che il traduttore abbia colto e rispettato la
musicalità e il ritmo del periodare dell’originale e che vi sia una coerenza di registro
linguistico, sia tra i diversi personaggi (un carrettiere non deve parlare come un
ambasciatore in missione) sia in relazione all’ambiente storico in cui il libro è
situato (evitare di mettere in bocca a un personaggio del passato espressioni
contemporanee).
Infine, quando nel testo ci sono delle citazioni, è necessario verificare:
« nel caso siano in italiano, che esse non siano state ritradotte ma attinte direttamente
all’originale;
« nel caso siano nella lingua dell’originale (o in qualunque altra lingua straniera), se
non esista una traduzione italiana del passo citato e se sia o meno opportuno
ricorrervi.
2.3
Preparazione di un libro già pubblicato
Un caso particolare, ma non infrequente, è quello in cui il libro che si intende
stampare non è un’opera nuova, ma un testo già pubblicato, magari molti anni prima,
dallo stesso o da un altro editore.
In genere, sebbene si parta da un testo a stampa, sarà comunque necessaria anche
qui una fase di preparazione, la quale avrà carattere diverso a seconda dei casi.
a) Se si tratta della ripubblicazione di un’opera di un autore ancora vivente, è
probabile che quest’ultimo vorrà intervenire sul testo di partenza per integrarlo,
correggerlo o svecchiarlo. Egli invierà allora delle correzioni che andranno inserite nel
vecchio testo e il redattore avrà un referente diretto per ogni dubbio che si possa
presentare, esattamente come nel caso della pubblicazione di un nuovo testo.
b) Se l’autore non è più in vita e non ha eredi, allievi o continuatori della sua opera
interessati a collaborare, il testo verrà presumibilmente ripubblicato senza interventi
sostanziali. Specie nel caso di un testo letterario, il redattore dovrà limitarsi all’espunzione dei refusi, evitando assolutamente ogni correzione linguistica, stilistica o di
punteggiatura. Se la riedizione è affidata a un curatore, a lui potranno essere sottoposti
ogni eventuale dubbio interpretativo e ogni proposta di correzioni, senza dimenticare
che bisogna intervenire sul testo con la massima cautela.
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L’acquisizione di testo tramite scanner
È noto che l’avvento del personal computer e dei suoi accessori ha consentito in molti
casi di migliorare la qualità del lavoro editoriale e soprattutto di sveltire alcune
operazioni. Una delle più significative tra le nuove opportunità offerte dall’informatizzazione è certamente quella dell’acquisizione di un testo tramite la lettura con
lo scanner.
Anche per la scansione i vantaggi non sono tuttavia cosı̀ immediati e indiscutibili
come potrebbe apparire a prima vista.
Presupposti indispensabili perché la scansione sia produttiva sono innanzitutto:
1) uno scanner di buona qualità, ossia in grado di acquisire ad alta risoluzione;
2) un originale in buono stato, ossia con una stampa nitida e con un carattere
uniforme;
3) infine, forse l’elemento più importante, un buon programma OCR (acronimo di
optical character recognition), il software che di fatto esegue il riconoscimento
dei singoli caratteri.
Una volta che sussistano tali presupposti, la scansione è senz’altro più vantaggiosa
dell’inserimento manuale del testo, a patto di non attendersi miracoli, per quanto
riguarda sia i tempi di lavorazione, sia la qualità del testo ottenuto. Il procedimento di
acquisizione è infatti comunque un’operazione relativamente lenta e meccanica: le
pagine vanno passate allo scanner una a una, recto e verso; quindi devono essere fatte
leggere dal programma di riconoscimento, il quale perché dia il meglio di sé deve
essere istruito: durante la scansione delle prime pagine bisogna infatti indicargli
come interpretare correttamente segni e lettere ricorrenti che esso tende a non
riconoscere come significativi; rimangono comunque degli elementi che il programma, non potendo riconoscere, evidenzia in qualche modo (ad esempio con un
asterisco) e che vanno sciolti a uno a uno; infine, sarà necessaria una lettura attenta
per intervenire su tutti i termini che il software ha ritenuto di avere correttamente
interpretato e che invece sono sbagliati. Alcuni refusi sono infatti tipici della lettura
OCR: basti pensare alla facilità, per un sistema ottico, di confondere la coppia rn con
una m oppure la l minuscola con la cifra 1.
In definitiva, la lettura tramite scanner è utile nel caso di testi semplici e in buono
stato dal punto di vista tipografico; ma quando il testo ha una struttura complessa,
perché contiene note, tabelle, diversi caratteri o segni speciali, non c’è purtroppo
alternativa alla digitazione manuale.
In entrambi i casi (a e b) saranno invece possibili interventi di adeguamento della
scrittura alle norme redazionali della casa editrice, limitatamente a quelle che non
intaccano la sostanza del testo ma solo il suo aspetto grafico (es.: virgolette alte/basse,
allineamento dei paragrafi, impiego del maiuscoletto e simili).
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2.4
La correzione ortografica
Molti programmi di videoscrittura hanno al loro interno la funzione di controllo
automatico dell’ortografia di un documento. Dopo aver inserito tutti gli interventi di
revisione, il redattore può procedere con qualche utilità a una correzione elettronica
del documento. Essa è utile in quanto consente di eliminare i più banali refusi; è bene
comunque non porre in essa un’eccessiva fiducia, in quanto, come è noto, moltissimi
tipi di errore (come i refusi che generano una parola esistente, la non concordanza tra
articolo e sostantivo o tra soggetto e verbo ecc.) non sono evidenziati dalla funzione di
correzione; in molti casi, inoltre, specie se il testo è ricco di nomi propri o di termini
stranieri (ovviamente interpretati dal programma come errori), essa si risolve in un
dispendio di tempo forse sproporzionato rispetto ai vantaggi che offre. La correzione
sintattica, che pure molti programmi propongono, è solo un simpatico modo di perdere
tempo...
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3
NORME GENERALI: OGNI EDITORE HA IL SUO STILE
Questo capitolo e i successivi contengono una serie di norme relative alle scelte
redazionali consigliate per ciascuno degli aspetti che riguardano la preparazione di un
libro per la stampa. Prima di vederle a una a una, sarà opportuno premettere alcune
considerazioni di carattere generale.
Chiunque abbia familiarità con il lavoro di redazione sa bene come sia spesso
impresa vana cercare di attenersi con rigore a indicazioni troppo rigide; non tutte le
norme proposte nelle pagine seguenti hanno dunque lo stesso valore... normativo.
Tranne buona parte di quelle contenute nel capitolo 7, dedicato all’ortografia, e poche
altre per le quali la consuetudine editoriale è ormai ampiamente consolidata e
uniforme, si tratta per lo più di indicazioni di massima. Ciò vale in particolare per
gli aspetti più propriamente grafici, per l’uso del corsivo o delle virgolette, dell’iniziale maiuscola e simili. Per molti di questi elementi hanno ovviamente la precedenza
su qualunque norma di carattere generale le caratteristiche particolari del singolo
L’Idra dalle cinquanta teste
Assillo di ogni redattore o correttore di bozze è il refuso. Esso va distinto dall’errore
vero e proprio in quanto è, a rigore, lo sbaglio di battitura, il carattere in più o in meno
che genera una parola inesistente o, se esistente, del tutto fuori luogo nel contesto
specifico. Senza dubbio l’obiettivo finale della lettura è quello di scovare e
correggere tutti i refusi, ma di fatto, almeno nella sua prima edizione, è raro che
un libro ne sia del tutto privo; e anzi, quando si mantengono al di sotto di un certo
numero (oltre il quale essi diventano indice di sciatteria e rendono addirittura
fastidiosa la lettura), si può dire che la presenza di qualche refuso è fisiologica in ogni
libro.
Il problema non nasce naturalmente oggi, ma risale all’invenzione della stampa (e
prima ancora lo si ritrova nei codici pazientemente trascritti dagli amanuensi). A
questo proposito ecco cosa scriveva a mo’ di giustificazione il tipografo veneziano
Cavallo nella prefazione a un libro pubblicato nella sua stamperia nel 1563: «In tutte
le attioni humane quasi di necessità convien che succedano de gli errori: ma dove più
facilmente, in più diversi modi, et più ne possono accadere che si avengano nello
stampare i libri, non ne so imaginare alcuna. Et parmi la impresa della correttione di
essi veramente poterla assimigliare al fatto di Hercole intorno all’Hydra de i
cinquanta capi: percioché sı̀ come quando egli col suo ardire, et forze le tagliava
una testa, ne rinascevano due, cosı̀ parimenti mentre co ’l sapere, et con diligentia, si
emenda un errore, le più volte s’imbatte che ne germogliano non pur due, ma ancho
tre et quattro, spesse fiate di maggior importanza, che non era il primo».
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libro, la necessità di conformarsi all’impostazione grafica della collana in cui esso
andrà inserito, il riferimento costante (e fondamentale) al tipo di destinatario cui esso è
rivolto o ancora il rispetto di quelle abitudini specifiche della casa editrice che hanno
contribuito nel tempo a creare uno stile suo proprio.
In linea di principio, più che l’adeguamento pedissequo a un elenco di norme
astratte onnicomprensive, è importante fare in modo che il testo sia uniforme e
coerente al suo interno. Questo non solo agevola la piena comprensione del testo, ma
rappresenta agli occhi del lettore attento un segno della cura con cui si è lavorato al
libro nel suo complesso, un indice della sua affidabilità quanto ai contenuti e, non
ultimo, un fattore di godimento estetico.
Infine va sottolineato che esiste una gerarchia di valori tra le diverse norme elencate
ed è bene tenerla presente nel momento in cui ci si accinge a leggere la bozza di un
libro per evitare di perdere di vista l’obiettivo della qualità.
Un testo deve essere innanzitutto conforme alle regole ortografiche, morfologiche e
sintattiche della lingua italiana: questa è una regola imprescindibile. Un libro per
quanto elegante e ben impaginato perde qualsiasi valore in presenza di refusi o errori
sintattici.
Poi, almeno per quanto riguarda la saggistica, è fondamentale l’affidabilità dei
contenuti: dati e date devono essere corretti e verificati su più fonti diverse. La tesi
sostenuta dall’autore perde di ogni valore se i dati su cui si basa o ai quali si
accompagna si rivelano imprecisi.
Solo a questo punto viene il rispetto delle convenzioni più diffuse come l’utilizzo
del corsivo o delle virgolette con proprietà. Proprio la coerenza d’impiego delle regole
fa percepire al lettore un ordine redazionale che dà valore al libro.
Infine viene la cura tipografica basata sul rispetto della gabbia, sulla sistemazione
delle righe con spaziatura eccessiva o al contrario troppo stretta, sull’eliminazione dei
righini: un insieme di attenzioni che, anche se non sembra, vengono apprezzate anche
dal lettore meno critico.
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IL LIBRO E LE SUE PARTI
4.1
La copertina
La copertina è una delle parti principali del libro. Si tratta infatti dell’elemento che
forse più di ogni altro può indurre o meno all’acquisto l’avventore occasionale della
libreria e, prima ancora, il libraio stesso. Per questo, ogni decisione al riguardo spetta
in definitiva all’editore, il quale terrà eventualmente conto di suggerimenti e segnalazioni dell’autore.
Dal punto di vista tipografico, essa non è un oggetto semplice, ma composito. Vi si
distinguono:
a) la prima di copertina o piatto della copertina;
b) la quarta di copertina, cioè l’ultima pagina del libro;
c) il dorso, ovvero la ‘‘costa’’ del libro, quella che si vede quando è posto in uno
scaffale;
d) i risvolti o alette, le due ‘‘strisce’’ stampate poste all’interno della copertina;
e) la sovraccoperta che ricopre più frequentemente i volumi rilegati;
f) la fascetta (o manchette) che attraversa l’intera copertina recando in genere un
messaggio promozionale.
a) La prima di copertina riporta, oltre all’eventuale illustrazione, il nome dell’autore, il titolo (talvolta anche il sottotitolo) del libro, il nome dell’editore con il relativo
marchio e, se prevista, l’indicazione della collana. Nel caso si tratti di persona di
particolare richiamo o prestigio, può venire riportato anche sulla copertina il nome del
curatore o del traduttore del libro.
La scelta del titolo dell’opera spetta all’editore, che tiene ovviamente conto dei
suggerimenti dell’autore o del traduttore.
Per quanto riguarda autore, curatore o traduttore, va fatta particolare attenzione a
che il nome sia segnalato nella forma corretta, badando a rispettare l’esatto ordine di
precedenza nel caso di nomi doppi o in quello di compresenza di più autori.
Nel caso la copertina sia illustrata, vanno segnalati in un spazio opportuno (nel
risvolto, nella pagina del colophon o nell’ultima di copertina) tutti i dati a essa relativi:
autore, titolo, eventuali detentori dei diritti.
b) La quarta di copertina contiene spesso brevi note relative al contenuto del libro
e al suo autore (del quale è talvolta riportata anche una fotografia), il prezzo del
volume e il suo specifico codice ISBN, sia nella sua forma numerica sia in quella a
barre (codice EAN).
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Il verso e l’altezza del dorso
A proposito del dorso esiste una irrisolta questione riguardo al verso che deve seguire
la dicitura che vi compare, se cioè essa debba salire dal basso verso l’alto o viceversa.
Una rapida occhiata agli scaffali di qualunque libreria – o anche solo alla biblioteca
di casa propria – è sufficiente per rendersi conto che la scelta è tutt’altro che
uniforme, spesso nemmeno all’interno dei libri del medesimo editore. Non esistono
ragioni ineccepibili che possano far optare per una delle due alternative. Chi
propende per la direzione dall’alto verso il basso difende la sua scelta sostenendo
che in tal modo la dicitura può venire letta correttamente quando il libro è appoggiato
orizzontalmente su una superficie nella posizione più naturale, ossia con la copertina
verso l’alto. Gli altri sostengono invece che il verso dal basso verso l’alto consente di
leggere correttamente i dati proprio quando, essendo il libro appoggiato su una
superficie ‘‘capovolto’’, non esiste altro modo per conoscerne il titolo.
La questione non si pone, ovviamente, per i libri con il dorso abbastanza largo perché
il testo vi possa essere scritto in senso orizzontale, magari su più righe.
Sempre a proposito del dorso, un problema tecnico tutt’altro che irrilevante è quello
di stabilirne l’altezza. Come è facile intuire, questa infatti varia a seconda del numero
di pagine del libro e della grammatura della carta, condizionando le dimensioni
complessive della copertina (e della sovraccoperta) e gli allineamenti del testo che
deve esservi stampato. Nel caso di volumi in brossura, è sufficiente misurare con un
calibro l’altezza di un numero di pagine uguale a quello delle pagine del nuovo libro
utilizzando un volume già pubblicato, stampato sulla stessa carta sulla quale si
intende stampare il libro corrente. Per i libri di formato particolare e in genere per
tutti quelli rilegati, è invece indispensabile far preparare dal legatore un prototipo
(detto menabò) con le stesse pagine e lo stesso tipo di carta del libro definitivo, ma
con tutti i fogli bianchi.
La scrittura della quarta di copertina è un’operazione molto delicata: si tratta infatti
di condensare in poche righe gli elementi che caratterizzano l’opera, riuscendo allo
stesso tempo a presentarli in modo tale da risvegliare l’interesse del lettore per il libro.
Il testo della quarta viene in genere redatto dall’editore o dal redattore sulla base di una
scheda compilata dall’autore o dal traduttore dell’opera, i quali, per il tempo che
hanno dedicato al libro, sono coloro che meglio ne conoscono i punti di forza.
c) Il dorso del libro riporta in genere solo il nome dell’autore e il titolo del libro, con
l’aggiunta eventuale del nome (o anche del solo marchio) dell’editore e del numero del
volume all’interno di una serie o di una collana.
d) In qualche caso la copertina del libro è fatta in modo che la prima e la quarta
presentino sul lato libero un lembo – detto risvolto, aletta o bandella – ripiegato verso
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l’interno (è il caso, per esempio, dei libri con sovraccoperta, come descritto al punto e).
Sui risvolti vengono spesso riportate, in aggiunta o in alternativa alla ‘‘quarta’’ di
copertina, notizie relative all’opera, all’autore, alla collana e cosı̀ via, per le quali
valgono le indicazioni fornite sopra al punto b.
e) Nei libri rilegati con copertina cartonata, questa è in genere rivestita di una
sovraccoperta. In questo caso è su di essa che vengono stampati tutti i dati relativi al
libro, mentre la copertina al di sotto di essa riporta sul dorso per lo più solo i dati
essenziali dell’opera.
f) In particolari casi (per esempio: la concomitanza dell’uscita del libro con una
mostra o un film, riferimento a altri libri di successo dell’autore e simili), la copertina
del libro può essere arricchita da una fascetta rimovibile, sulla quale sono indicate
quelle informazioni che si ritiene possano indurre all’acquisto del libro un maggior
numero di persone, ma che, proprio per la loro natura estemporanea, non è opportuno
che compaiano nelle altre parti della copertina.
4.2
Le pagine preliminari
Le pagine preliminari sono le primissime pagine del libro, in genere le prime sei. Si
tratta di pagine particolarmente importanti, in quanto contengono la carta d’identità
del libro, ossia tutti i dati relativi alla sua corretta identificazione, molti dei quali
obbligatori per legge, e sono pertanto da affrontare con la massima attenzione. Esse
sono in genere le ultime a essere approntate e stampate, solo dopo l’approvazione
dell’editore stesso o di un dirigente della casa editrice.
Le preliminari vanno preparate quando la lavorazione del volume è ormai terminata, anche se devono essere tenute presenti fin dall’inizio per la corretta numerazione
delle pagine del testo.
Il loro numero, come accennato, è variabile, tuttavia esse si succedono di norma nel
seguente ordine:
a) pp. 1-2: bianche;
b) p. 3: occhiello di collana;
c) p. 4: controfrontespizio;
d) p. 5: frontespizio;
e) p. 6: retrofrontespizio.
a) Il primo foglio successivo alla copertina (pp. 1-2) ha generalmente entrambe le
facciate bianche, in particolare nel caso di libri di qualità. Esso è detto foglio di guardia
(o semplicemente ‘‘guardia’’), perché ha la specifica funzione di proteggere le pagine
del libro contenenti il testo.
Oltre a salvaguardare il libro, la pagina di guardia offre uno spazio utile a chi abbia
necessità di apporre al libro timbri o indicazioni varie, come per esempio biblioteche e
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Il codice ISBN...
Ogni libro che viene immesso sul mercato può essere contraddistinto da un numero
di serie che lo identifica... a livello mondiale. Si tratta del codice ISBN (acronimo di
international standard book number, cioè, parafrasando, codice numerico internazionale per l’identificazione dei libri).
Sebbene possa sembrare a prima vista un mero elenco di numeri senza nesso, il
codice ISBN è in realtà costruito secondo un criterio relativamente semplice.
Esso è composto da dieci cifre, suddivise in quattro gruppi separati fra loro da un
trattino o da uno spazio.
Il primo gruppo, che può essere formato da una a cinque cifre, rappresenta il numero
identificativo della lingua in cui il libro è scritto (o del paese o dell’area geografica):
0 e 1 per l’inglese (USA, Gran Bretagna, Australia ecc.), 2 per il francese, 3 per il
tedesco e cosı̀ via. Quello dell’italiano è 88 e dà un’idea del ritardo con il quale il
sistema è stato adottato in Italia. Il numero del secondo gruppo identifica la casa
editrice e può essere composto da un minimo di due a un massimo di sei cifre (in
Italia, lo 00 è il codice della Le Monnier, Mondadori ha lo 04, Rizzoli il 17, l’Editrice
Bibliografica il 7075). Il terzo gruppo contiene il numero identificativo del singolo
libro, che corrisponde in pratica al numero progressivo del libro all’interno di quelli
pubblicati dalla casa editrice; il numero di cifre di cui è composto questo gruppo è
inversamente proporzionale a quello del gruppo precedente; ne consegue che una
casa editrice con un numero identificativo molto alto ha a disposizione un numero
più piccolo per i libri. L’ultima parte è composta sempre di una sola cifra compresa
tra 1 e 10 (il 10 è indicato con la cifra romana X); si tratta di un numero di controllo
generato automaticamente allo scopo di verificare che non siano stati commessi
errori nella trascrizione dei numeri precedenti.
enti – oppure, secondo una consuetudine d’altri tempi, un personale ex libris.
Solitamente un foglio di guardia corrispondente è posto anche in chiusura del libro,
prima dell’ultima di copertina.
b) L’occhiello di collana (p. 3) riporta il nome della collana in cui è inserito il
volume, eventualmente accompagnato dal numero progressivo che esso occupa
all’interno della serie; dal punto di vista grafico, i due elementi sono in genere posti
l’uno sopra l’altro e centrati nel margine alto della pagina.
5 Per gli occhielli si veda il paragrafo 4.4.
c) La pagina del controfrontespizio (p. 4) è in genere bianca oppure può riportare
altre informazioni, come l’elenco delle opere del medesimo autore pubblicate dalla
casa editrice.
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... e il codice a barre
Diverso dal codice ISBN, sebbene a esso collegato, è il codice a barre o codice EAN
(acronimo di European article numbering). Il codice a barre è calcolato a partire dal
codice ISBN mediante un opportuno algoritmo – esistono appositi programmi in
grado di compiere la transcodifica – e ha importanza soltanto dal punto di vista
commerciale: serve per sveltire tutte le operazioni che riguardano il libro in quanto
prodotto (gestione di magazzino, vendita nei supermercati o grandi librerie ecc.).
Esso infatti non è altro che la rappresentazione di un numero tramite una serie di linee
nere intervallate da spazi in modo da ridurre il margine di errore da parte dei
decodificatori ottici che lo devono leggere e renderne cosı̀ più facile e sicuro
l’inserimento all’interno di un sistema di gestione del magazzino e delle vendite.
d) Il frontespizio (p. 5) riporta tutti i dati presenti in copertina, con l’aggiunta di
quegli elementi che non si è ritenuto necessario segnalare su di essa, come l’eventuale
sottotitolo del libro, il nome del curatore, del traduttore o dell’estensore di apparati o
ogni altra indicazione che meriti di essere riportata (es.: Introduzione di..., Nota al
testo di..., Nuova edizione riveduta ecc.).
I diversi elementi – autore, titolo, sottotitolo, curatore, traduttore, editore e marchio
– vanno disposti nella pagina sulla base di un criterio di buona armonia grafica. In
particolare, se il titolo è troppo lungo per essere disposto su una sola riga esso va
suddiviso in modo da non separare elementi grammaticalmente legati (es.: la preposizione dal sostantivo), facendo al contempo attenzione a non creare delle righe troppo
disomogenee fra loro per lunghezza né troppo omogenee a formare un blocco
compatto.
Poiché la disposizione dei vari elementi del frontespizio è in genere costante
all’interno della stessa collana, può essere utile individuare un modello cui uniformarsi tra i libri in essa già pubblicati.
e) Il retrofrontespizio (p. 6) è la pagina riservata essenzialmente al colophon.
Questo comprende i seguenti dati, molti dei quali obbligatori per legge:
« Il copyright, che si indica con il simbolo § seguito, nell’ordine, dall’anno di
pubblicazione e dal nome del detentore dei diritti di riproduzione del testo
(generalmente l’editore stesso oppure l’autore e l’editore).
« Nel caso si tratti di una traduzione, il titolo (completo dell’eventuale sottotitolo) e il
copyright originale dell’opera e ogni altra indicazione espressamente richiesta
dall’editore straniero e specificata nel contratto di cessione dei diritti per l’Italia.
Anche il copyright originale va indicato nella stessa forma e ordine di quello
italiano.
« Il codice ISBN (solo nella sua forma numerica).
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« Per i libri ripubblicati o ristampati: la data, comprensiva di mese e anno, della prima
pubblicazione e quella dell’attuale edizione o ristampa, preceduta dal numero della
stessa, per esempio:
Prima edizione: marzo 2004
Terza edizione: gennaio 2005
« La data di stampa del testo, con il nome e domicilio dello stampatore, preceduti
dall’espressione standard «Finito di stampare il... presso/da...» (ma spesso questi
dati sono collocati in una delle pagine finali del libro).
Nella pagina del colophon possono inoltre comparire il nome del traduttore, qualora
non sia stato messo nel frontespizio, e di chiunque altro abbia lavorato al libro e
l’editore ritenga opportuno segnalare (autore dell’impaginazione, del progetto grafico, della cura redazionale ecc.), cosı̀ come eventuali ringraziamenti o altre segnalazioni; tra queste, la nota formula che ricorda il divieto di riproduzione totale o parziale
e in qualunque forma del testo senza l’espressa autorizzazione dell’editore.
Attenzione
« La compilazione della pagina del colophon va fatta con estrema attenzione, in
quanto un errore nella segnalazione dei dati in essa contenuti può essere
perseguibile a termini di legge e può accendere dispute legali. In particolare nel
caso di libri tradotti va consultato attentamente il contratto di cessione dei diritti,
per verificare la presenza di eventuali clausole che prevedano segnalazioni
specifiche.
« Sebbene siano tenute presenti per il computo complessivo delle pagine, sulle
preliminari non appare mai il numero della pagina (5 5.3).
Nella pagina del colophon o, come per il «Finito di stampare», in una delle pagine
finali, può trovare utilmente posto la scheda bibliografica del libro. Per convenzione
essa viene compilata sul modello elaborato dalla Bibliografia nazionale italiana (BNI).
Tale scheda è utile per enti e biblioteche che devono provvedere a una catalogazione
del libro, tuttavia proprio perché deve rispecchiare precise norme di biblioteconomia è
di non facile compilazione ed è in genere affidata a specialisti esterni alla casa editrice.
La scheda prevede infatti diverse ‘‘aree’’ che si susseguono secondo un preciso ordine
e con caratteristiche tipografiche particolari (a capo, rientri, uso degli spazi e delle
parentesi ecc.) che non corrispondono alle norme consuete – anzi le contraddicono –,
come la presenza di spazi prima e dopo la punteggiatura.
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La scheda bibliografica
Ecco l’elenco dei vari elementi che costituiscono la scheda bibliografica suddivisi per
area; il nome e la descrizione di ciascun elemento sono tra parentesi quadre, separate
dai segni di punteggiatura di volta in volta previsti dalle norme di catalogazione:
[Intestazione: in neretto]
[Titolo] / [Formulazione di responsabilità d’autore e altre formulazioni (es.
apparati ecc.): le due parti sono separate fra loro da un punto e virgola con
spazio prima e dopo]. [Luogo di pubblicazione] : [Editore], [data di pubblicazione: tra parentesi quadre].
[Numero di pagine seguito dall’abbreviazione «p.»] ; [dimensioni in centimetri dell’altezza del volume]. [Collana e numero del volume all’interno di
essa: tra parentesi tonde e separati fra loro da un punto e virgola con spazio
prima e dopo].
[Note].
[Dati commerciali: codice ISBN e prezzo del volume, separati fra loro dai due
punti, con spazio prima e dopo].
[Tracciato].
[Tracciato con notazione simbolica Dewey]
Seguono due esempi di libri schedati secondo lo schema sopra descritto: nel primo
caso si tratta di un volume con apparati, nel secondo di un volume con due autori.
Dostoevskij, Fëdor
I fratelli Karamazov / Fëdor Dostoevskij ; traduzione di Agostino Villa ;
con un saggio introduttivo di Vladimir Laksin e il saggio di Sigmund Freud:
Dostoevskij e il parricidio. Torino : Einaudi, [1993].
XLVIII, 1033 p. ; 20 cm. (Einaudi tascabili ; 128).
ISBN 88-06-13251-2 : ~ 15,20.
1. Villa, Agostino.
891.733
Franzini, Elio
Estetica : i nomi, i concetti e le correnti / Elio Franzini, Maddalena Mazzocut
Mis. Milano : Bruno Mondadori, [1996].
XII, 468 p. ; 21 cm. (Sintesi).
ISBN 88-424-9309-0 : ~ 26,90.
1. Estetica I. Mazzocut Mis, Maddalena.
111.85
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4.3
L’indice generale
L’indice generale del volume va collocato di preferenza in apertura del libro, prima
del testo vero e proprio. Esso inizierà dunque di norma alla pagina 7, appena dopo
quella del colophon, e sarà seguito dalla pagina con l’occhiello generale (5 4.4).
L’indice va compilato a libro terminato ed è consigliabile verificare fino all’ultimo
l’esatta corrispondenza dei titoli tra indice e testo e la correttezza del rinvio alla
pagina, che potrebbero essere cambiati a seguito di interventi finali.
Nell’indice generale vanno di norma indicati tutti i titoli di paragrafo, almeno fino al
primo livello al di sotto del capitolo (5 4.6, punto c).
Intervenendo sull’interlinea, sui rientri e su un’opportuna disposizione degli spazi
bianchi tra le righe, è necessario inoltre fare in modo che l’indice rispecchi graficamente la struttura logica del libro (divisione in parti, quindi in capitoli e eventuali
sottocapitoli ecc.) e che sia chiaramente distinto ciò che appartiene al testo vero e
proprio dalle componenti paratestuali (5 4.7).
I titoli di capitolo sono di norma allineati a sinistra, i numeri del rinvio alla pagina a
destra. Tra la fine del titolo e il numero di pagina è bene non inserire alcun carattere di
riempimento (es.: dei puntini o simili).
I titoli di sezione o parte – che hanno normalmente un occhiello nel corso del testo
(5 4.6, punto a) – possono essere allineati al centro; in questo caso non va indicato il
rinvio alla pagina (viceversa, tutti i titoli allineati a sinistra devono avere il riferimento
alla pagina).
Si noti che non tutti i libri hanno un indice. Esso infatti può talvolta non essere
indispensabile, per esempio nel caso di un romanzo non suddiviso in capitoli, o anche
quando i capitoli non hanno titolo ma soltanto un numero progressivo; diventa tuttavia
indispensabile anche in questo caso, qualora il libro contenga, oltre al testo del
romanzo, delle componenti paratestuali (introduzione, nota al testo e simili).
Le pagine dell’indice non sono di solito numerate.
4.4
Gli occhielli
Con occhiello (o, meno comune, occhietto) si intende un titolo centrato nel margine
alto di una pagina bianca dispari. Tranne casi particolari, è bianca anche la pagina pari
successiva.
A seconda del contenuto o della posizione che occupano all’interno del libro, si
distinguono vari tipi di occhiello.
Si è già parlato dell’occhiello di collana (5 4.2, punto b).
L’occhiello generale è quello con il titolo del libro (ma senza nome dell’autore né
dell’editore). Esso è collocato nella pagina appena precedente l’inizio del testo vero e
proprio, ossia, di norma, la prima pagina dispari subito dopo l’indice (in presenza di
introduzione, prefazione e simili, che non siano parte integrante del testo, nella prima
pagina dispari successiva a tali apparati).
Nel caso di libri dalla struttura logica complessa, si possono avere degli occhielli di
sezione (o parte), che comprenderanno sotto di sé più capitoli (5 4.6).
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Hanno generalmente un occhiello proprio tutte le componenti paratestuali, in
particolare la bibliografia (5 4.8) e l’indice analitico (5 4.9).
La pagina con l’occhiello e quella subito successiva non recano mai stampato il
numero di pagina.
4.5
La foliazione
Fin dall’inizio della lavorazione di un volume, viene in genere calcolato il numero
approssimativo di pagine che esso avrà, in quanto il dato è essenziale per determinare i
costi di realizzazione e effettuare valutazioni commerciali.
Solo quando la lavorazione è quasi terminata, tuttavia, è possibile fare un conteggio
preciso del numero delle pagine e decidere dunque la foliazione del libro. Si determina
cosı̀ il numero delle segnature necessarie per la stampa del volume. Le segnature
corrispondono ciascuna a un foglio di stampa e, opportunamente piegate, tagliate e
cucite insieme alle altre, compongono il volume completo.
La decisione del numero di pagine di ogni segnatura è dettata dal formato dei fogli
utilizzabili dalla macchina da stampa prescelta e dal formato della pagina del libro.
Generalmente le segnature sono composte da 32 pagine (trentaduesimo) o 16
(sedicesimo), talvolta anche da 24 (ventiquattresimo), 48 (quarantottesimo) o 64
(sessantaquattresimo). Volendo, è possibile ottenere segnature di 8 pagine (ottavo), di
12 (dodicesimo) o anche di 4 (quartino), ma il costo di confezione o lo spreco di carta
che ne può risultare porta quasi sempre le redazioni a fare del loro meglio, eventualmente modificando le componenti paratestuali, per ‘‘chiudere’’ il volume in modo che
il numero di pagine per segnatura sia compatibile con il formato di stampa.
4.6
Le varie parti del testo
Un testo è generalmente suddiviso al suo interno in diverse sezioni che, specie nei
libri di saggistica, sono di solito strutturate in livelli gerarchici. Tale suddivisione
logica deve trovare un’adeguata rispondenza sulla pagina: opportuni accorgimenti
consentono infatti di dare ai vari elementi un rilievo grafico corrispondente alla loro
diversa importanza.
Il numero dei livelli gerarchici varia ovviamente da testo a testo e può in linea
teorica procedere all’infinito.
Dal punto di vista grafico, si tenga presente che i titoli devono essere in linea con
lo stile dell’insieme, spiccando rispetto al testo ma senza soffocarlo. Una buona
norma è quella di distinguere progressivamente ciascun livello gerarchico intervenendo sulla variante del carattere e sugli spazi bianchi prima e dopo il titolo (in
genere in proporzione di 2/3 e 1/3 rispetto a quanto precede e segue il titolo) e solo in
seconda istanza sul corpo o sul font. In ogni caso è bene modificare un solo
parametro alla volta.
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Esempio di pagine con occhiello di sezione o di inizio capitolo
Occhiello di sezione senza titolo
Occhiello di sezione con titolo proprio
PARTE PRIMA
PARTE PRIMA
IL MONDO PREISTORICO
Titolo di capitolo non numerato
Titolo di capitolo numerato
L’AFRICA
III
L’AFRICA
È una delle sette parti del mondo che forma, con l'Asia e
l'Europa, il continente antico. Lunga ca 8000 km, da 37˚20' N
(capo Bianco) a 34˚50' S (capo Agulhas), larga ca 7500 km, da
17˚32' O (capo Verde) a 51˚23' E (capo Hafun), si estende su
una superficie di 30.286.170 km². È bagnata a N dal mar
Mediterraneo, la cui estremità occidentale, lo stretto di
Gibilterra (14,5 km di larghezza), la separa dall'Europa; a O è
bagnata dall'oceano Atlantico, a E dall'oceano Indiano, a NE
dal mar Rosso: a NO di questo è unita all'Asia dall'istmo di
Suez, a S lo stretto di Bab al-Mandab (27 km di larghezza) la
separa dalla penisola arabica.
Il continente, piuttosto massiccio per forma e struttura, è
costituito da un rigido zoccolo di rocce cristalline
archeozoiche, tagliate da faglie e intrusioni magmatiche e
coperte dalle loro stesse coltri di alterazione o da strati
prevalentemente orizzontali di rocce sedimentarie, continentali
e marine, delle ere successive. La forma più diffusa è pertanto
quella tabulare, con vasti bassipiani nelle regioni centrali e
occidentali (200-500 m di altezza) e con altipiani a oriente e
meridione (1000-2000 m). Tipiche sono le fosse tettoniche,
originate dall'abbassamento di blocchi delimitati da faglie e
allungate parallelamente da N a S: la fossa centro-africana e la
fossa orientale, marcate dall'allineamento di laghi e da
manifestazioni vulcaniche. L'insieme di queste fosse, note
come Grande Rift Valley africana, viene considerato uno dei
principali margini divergenti tra placche litosferiche. Dai
tavolati si elevano due catene montuose: all'estremo N la
catena alpina dell'Atlante e, all'estremo opposto, la catena
È una delle sette parti del mondo che forma, con l'Asia e
l'Europa, il continente antico. Lunga ca 8000 km, da 37˚20' N
(capo Bianco) a 34˚50' S (capo Agulhas), larga ca 7500 km, da
17˚32' O (capo Verde) a 51˚23' E (capo Hafun), si estende su
una superficie di 30.286.170 km². È bagnata a N dal mar
Mediterraneo, la cui estremità occidentale, lo stretto di
Gibilterra (14,5 km di larghezza), la separa dall'Europa; a O è
bagnata dall'oceano Atlantico, a E dall'oceano Indiano, a NE
dal mar Rosso: a NO di questo è unita all'Asia dall'istmo di
Suez, a S lo stretto di Bab al-Mandab (27 km di larghezza) la
separa dalla penisola arabica.
Il continente, piuttosto massiccio per forma e struttura, è
costituito da un rigido zoccolo di rocce cristalline
archeozoiche, tagliate da faglie e intrusioni magmatiche e
coperte dalle loro stesse coltri di alterazione o da strati
prevalentemente orizzontali di rocce sedimentarie, continentali
e marine, delle ere successive. La forma più diffusa è pertanto
quella tabulare, con vasti bassipiani nelle regioni centrali e
occidentali (200-500 m di altezza) e con altipiani a oriente e
meridione (1000-2000 m). Tipiche sono le fosse tettoniche,
originate dall'abbassamento di blocchi delimitati da faglie e
allungate parallelamente da N a S: la fossa centro-africana e la
fossa orientale, marcate dall'allineamento di laghi e da
manifestazioni vulcaniche. L'insieme di queste fosse, note
come Grande Rift Valley africana, viene considerato uno dei
principali margini divergenti tra placche litosferiche. Dai
tavolati si elevano due catene montuose: all'estremo N la
catena alpina dell'Atlante e, all'estremo opposto, la catena
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Un’altra indicazione generale riguarda la collocazione del titolo rispetto alla
gabbia, che può essere centrata, giustificata a sinistra o, più raramente, a destra: è
bene, una volta optato per una di queste soluzioni, mantenersi fedele a essa per tutti i
livelli gerarchici, discostandosene tutt’al più solo a uno dei due estremi della serie.
I livelli di titolazione più comuni sono i seguenti:
a) titolo di parte o sezione;
b) titolo di capitolo;
c) sottotitolo di livello inferiore.
a) La parte o sezione, che raggruppa in genere sotto di sé più capitoli, ha un proprio
occhiello (5 4.4) con le relative caratteristiche tipografiche. Le parti sono contraddistinte da un numero ordinale che nell’occhiello è scritto di norma a tutte lettere (es.:
Parte prima). Se la parte ha un titolo proprio, la dicitura ‘‘Parte prima’’ e il titolo stanno
di norma su due righe diverse e tipograficamente distinte fra loro (per esempio, tutto
maiuscolo il titolo, in maiuscoletto o in corsivo la dicitura). Nel caso la parte non abbia
un titolo proprio, comparirà solo la dicitura in maiuscolo.
b) Il titolo di capitolo e, se presente, il numero progressivo, vanno opportunamente
evidenziati rispetto al testo. Di norma essi vanno collocati nel margine alto della
pagina in cui comincia il relativo capitolo e sono separati dal testo tramite un
opportuno spazio. Allineamento e variante del carattere dipendono dalla collana o
dal gusto personale (di norma essi saranno centrati e in maiuscolo; in maiuscoletto
l’eventuale sottotitolo).
Se necessario, il corpo può essere lievemente più grande di quello del testo. Lo
spazio fra titolo e testo varia da un minimo di quattro righe di testo a un massimo non
superiore alla giustezza della gabbia.
La pagina in cui è collocato il titolo può essere a scelta sempre quella dispari o
indifferentemente pari o dispari, a seconda di dove termini il capitolo precedente (ma
va sempre a pagina dispari il primo capitolo). Iniziare ogni nuovo capitolo a pagina
dispari è più elegante, ma può essere sconsigliato quando i capitoli sono particolarmente numerosi, poiché in tal modo si possono venire a creare numerose pagine
bianche con il conseguente aumento del loro numero complessivo.
Nella pagina precedente sono presentati quattro esempi di pagine con occhiello di
parte o sezione o di inizio capitolo.
c) Per i sottotitoli di livello inferiore la casistica è assai ampia e ci si può regolare di
volta in volta a seconda delle caratteristiche del libro sia sul piano grafico sia su quello
del contenuto, decidendo solo dopo aver preso visione della sua struttura complessiva.
Attenzione
I titoli su riga indipendente non hanno mai il punto finale.
Due interlinee vuote, o anche una soltanto, sono talvolta impiegate per segnalare
uno stacco all’interno del capitolo, pur in assenza di una nuova titolazione.
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40
4.7
Le componenti paratestuali
Oltre al vero e proprio corpo dell’opera, il volume può contenere una serie di
apparati che lo corredano.
Essi sono di mano diversa da quella dell’autore (es.: il curatore) e sono collocati ‘‘ai
margini’’ – all’inizio o alla fine – del testo e spesso, a sottolineare questa loro alterità
rispetto al resto, sono distinti anche graficamente tramite l’impiego di un corpo del
carattere più piccolo o di una sua variante (es.: corsivo).
Le componenti paratestuali possono essere le più svariate, a seconda delle esigenze
del libro. Ci limitiamo qui a segnalare le più comuni:
a) Prefazione o Premessa;
b) Introduzione;
c) Appendice;
d) Nota al testo;
e) Postfazione.
a) La Prefazione occupa generalmente poche pagine ed è talvolta opera di persona
diversa non solo dall’autore ma anche dal curatore (e in tal caso è firmata). Essa apre il
volume subito dopo l’indice, prima del testo e di ogni altro apparato. È in genere nello
stesso corpo del testo, dal quale si può distinguere eventualmente – specie se non
occupa molte pagine – attraverso l’impiego del corsivo. Non ha di norma un occhiello
proprio.
b) L’Introduzione è generalmente quella più strutturata tra le componenti paratestuali, tanto che può prevedere una suddivisione interna in paragrafi. È collocata prima
del testo e può avere un occhiello proprio. Di norma è nello stesso corpo del testo.
c) L’Appendice (o, nel caso, al plurale: Appendici) è collocata dopo il testo.
Contiene in genere materiale che, pur attinente al testo base, non ne fa però parte
integrante. L’appendice ha di norma un occhiello proprio, specie nel caso preveda al
suo interno più parti dotate di titolazione autonoma. Tutto quanto è contenuto
nell’appendice è in corpo minore (almeno un punto) rispetto al testo.
d) La Nota al testo è di norma posta in calce a esso. In genere, e specialmente nel
caso in cui si sviluppi su parecchie pagine, ha un occhiello proprio e va composta in un
corpo minore (almeno un punto) rispetto al testo.
e) La Postfazione, collocata – come vuole il nome – in chiusura del libro, è per lo più
di piccole dimensioni, come la prefazione, alla quale è assimilabile anche per il fatto
che è spesso opera di persona diversa dall’autore e dal curatore. Non ha di norma un
occhiello proprio ed è in genere composta in corpo minore rispetto al testo.
Se gli apparati sono di persona diversa dal curatore, il nome dell’estensore va
indicato a scelta o in occhiello (quando previsto), o in calce all’intervento (non in
Manuale di redazione 2005
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entrambi i punti!). Nel primo caso il nome va in una riga a sé, sotto quella del titolo, con
le caratteristiche grafiche di un sottotitolo; nel secondo va in maiuscoletto, allineato a
destra, eventualmente separato dal testo di qualche punto (da tre a cinque punti, a
seconda che l’ultima riga sia o meno piena).
Altre parti, di più stretta pertinenza redazionale e che possono all’occorrenza
corredare il volume, sono l’elenco delle abbreviazioni, delle illustrazioni, delle tabelle
o altre note di consultazione (legende di spiegazione di simboli, indicazioni per la
pronuncia di segni particolari ecc.). Esse vanno collocate nel luogo più opportuno a
seconda dei casi. Sono sempre in corpo minore rispetto al resto del libro.
5 Per la bibliografia e l’indice analitico si vedano rispettivamente i paragrafi 4.8 e 4.9.
4.8
La bibliografia
La Bibliografia contiene l’elenco delle opere citate nel corso del testo o che l’autore
ritiene opportuno segnalare al lettore che voglia approfondire l’argomento.
Una bibliografia deve essere di facile consultazione e esaustiva circa i dati dei
volumi citati, in modo che il lettore interessato li possa agevolmente reperire. A tal
fine, specie se i volumi citati sono numerosi, sarà necessario ricorrere a opportuni
accorgimenti strutturali e grafici.
Dal punto di vista strutturale:
« i volumi citati, specie se numerosi, vanno suddivisi in categorie (una suddivisione
sempre consigliata è quella tra opere in volume e articoli su periodici);
« all’interno di ogni sezione i libri vanno elencati in ordine alfabetico per autore (per
titolo se il libro non ha autore);
« se di un autore sono citati più libri essi andranno in ordine cronologico.
Dal punto di vista grafico essa va strutturata nel seguente modo:
« ogni opera citata deve avere un proprio paragrafo, terminante con il punto;
« la prima riga di ogni paragrafo deve essere a filo (non rientrata), tutte le successive
rientrate di un quadratone (5 5.6.1);
« se di un autore è citata più di un’opera, il nome non va ripetuto per intero ogni volta,
ma sostituito dal tratto lungo seguito dalla virgola:
Alighieri, Dante, Il convivio ecc.
–, La vita nuova ecc.
Altre norme di carattere generale sono le seguenti:
« Se la bibliografia raccoglie soltanto le opere citate nel corso del volume, all’interno
del quale si è optato per la segnalazione abbreviata con il nome dell’autore
accompagnato dall’anno di pubblicazione (5 5.9.1), ogni paragrafo dell’elenco
si aprirà con l’abbreviazione, seguita dai dati completi relativi al libro (ovviamente,
senza la ripetizione della data):
De Mauro 1965: De Mauro, Tullio, Introduzione alla semantica, Laterza, Bari.
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Eco 1975: Eco, Umberto, Trattato di semiotica generale, Bompiani,
Milano.
– 1979, Lector in fabula, Bompiani, Milano.
« Nel caso di opere straniere è indispensabile segnalare, dove esista, la traduzione in
italiano. I dati di quest’ultima andranno forniti di seguito ai dati originali, racchiusi
tra parentesi quadre, preceduti dall’abbreviazione ‘‘trad. it.’’:
Coles, Robert, The Spiritual Life of Children, Houghton Mifflin, Boston
1990 [trad. it. La vita spirituale dei bambini, Rizzoli, Milano 1992].
« È bene, specie per le opere di una certa importanza, segnalare tra parentesi quadre
anche i dati dell’edizione originale, introdotti dall’abbreviazione ‘‘ed. orig./ed. or.’’
(l’eventuale traduzione italiana andrà allora di seguito, all’interno delle stesse
parentesi quadre, separata da un punto e virgola, secondo i criteri sopra esposti):
Darwin, Charles, L’origine delle specie, Boringhieri, Torino 1967 [ed.
orig. On the Origin of Species by Means of Natural Selection, Murray,
London 1859].
Bergman, Ingmar, The Magic Lantern, trad. ingl. di Joan Tate, Hamish
Hamilton, London 1988 [ed. orig. «Laterna magica», Norstedts Förlag,
Stockholm, 1987; trad. it. Lanterna magica, Garzanti, Milano 1987].
4.8.1
Indicazioni bibliografiche di un libro
Ogni opera citata deve essere completa di tutti i dati necessari per il reperimento del
volume o comunque significativi perché il lettore possa capire se esso gli può essere di
qualche utilità.
I dati completi di un libro comprendono:
a) autore;
b) titolo e eventuale sottotitolo;
c) curatore e/o traduttore;
d) numero di edizione (se diversa dalla prima);
e) editore;
f) luogo di pubblicazione;
g) data di pubblicazione;
h) collana;
i) numero dei volumi;
j) titolo di un singolo volume (o di più volumi).
Essi vanno segnalati in questo ordine e, tranne i punti f e g, sono separati l’uno
dall’altro da una virgola.
Naturalmente non tutti sono sempre presenti o necessari: sono obbligatori, quando
esistano, i dati dei punti a, b, f, g; sono vivamente consigliati i punti c, d, e, i; vanno
riportati solo se pertinenti o significativi i punti h, j.
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43
a) L’autore va in tondo; il cognome precede il nome, possibilmente per esteso, dal
quale è separato tramite una virgola.
Nel caso di autori con due o più nomi di battesimo, è sufficiente citare quello più
noto e lasciare solo l’iniziale puntata per gli altri; il nome può non essere dato per
esteso anche quando la forma prevalente sia quella con la sola iniziale; tra due (o più)
iniziali puntate non va alcuno spazio:
Schopenhauer, Arthur, Il mondo come volontà e rappresentazione ...
Hegel, G.W. Friedrich, Fenomenologia dello spirito ...
Eliot, T.S., Assassinio nella Cattedrale ...
Nel caso di più autori: se sono due, si citano entrambi i nomi uniti dalla congiunzione e; se sono tre o più si cita soltanto il primo, seguito dall’abbreviazione et al. (lat.
et alii, ‘‘e altri’’), in corsivo; si eviti l’abbreviazione AA.VV.:
Lotman, Jurij M., e Uspenskij, Boris A., Tipologia della cultura ...
Cavalli-Sforza, Luigi Luca et al., Storia e geografia dei geni umani ...
Se si tratta di un’opera con contributi vari, può essere indicato il nome del
curatore, seguito dalla dicitura tra parentesi ‘‘a cura di’’, oppure si può entrare
direttamente con il titolo (segnalando eventualmente dopo di esso il curatore); la
prima soluzione è preferibile nel caso in cui il nome del curatore compaia in
copertina, il secondo negli altri:
Giacalone Ramat, Anna, e Ramat, Paolo (a cura di), Le lingue indoeuropee ...
Chi è come te fra i muti?, Lezioni promosse e coordinate da Carlo Maria
Martini ...
Si inizia senz’altro con il titolo, anche in presenza di un curatore, nel caso di opere
letterarie di autore sconosciuto (anche qui il nome del curatore va eventualmente dopo
il titolo):
La saga di Gilgamesh, a cura di Giovanni Pettinato ...
Antica lirica irlandese, a cura di Melita Cataldi ...
b) Il titolo e l’eventuale sottotitolo vanno dati per esteso e in corsivo. Il sottotitolo va
separato dal titolo tramite un punto.
Van Lysabeth, André, Tantra. L’altro sguardo sulla vita e sul sesso ...
Se all’interno del titolo vi sono termini per i quali sarebbe di norma previsto il
corsivo – come titoli di altre opere, termini stranieri ecc. –, essi rimangono in corsivo
ma vanno posti tra virgolette caporali:
Contini, Gianfranco, «Il Mulino del Po» e la carriera letteraria di
Riccardo Bacchelli ...
Nel caso il libro abbia più titoli, questi vanno separati fra loro da un tratto breve con
uno spazio prima e uno dopo:
Sciascia, Leonardo, La Sicilia, il suo cuore - Favole della dittatura ...
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44
Per i titoli di opere straniere, si ricorda che:
« in inglese tutte le parole contenute in un titolo – tranne articoli, brevi preposizioni o
congiunzioni – hanno in genere l’iniziale maiuscola;
« in francese, se il titolo si apre con un articolo, è in genere maiuscola anche l’iniziale
della seconda parola;
« in tedesco hanno l’iniziale maiuscola tutti i sostantivi, minuscola tutte le altre parti
del discorso:
Thurman, Robert A.F., The Central Philosophy of Tibet, Princeton
University Press, Princeton 1984.
Kepel, Georges, La Revanche de Dieu, Seuil, Paris 1990.
Goltz, Bogumil, Zur Geschichte und Charakteristik des deutschen Genius, Janke, Berlin 1864.
Per non appesantire troppo il testo o la bibliografia, si può, nel caso dei titoli inglesi
e francesi, mantenere la maiuscola solo nella prima parola del titolo e minuscolizzare
tutte le altre; la maiuscola è invece sempre obbligatoria nei casi previsti dalle regole
specifiche all’interno dei titoli in tedesco.
Per le opere in lingue poco conosciute e che non siano state tradotte in italiano (per
le opere straniere tradotte in italiano si veda sopra), può essere utile fornire comunque
subito dopo il titolo originale una sua traduzione, in tondo e tra parentesi tonde. Se si
tratta di una lingua scritta in caratteri non latini, inoltre, il titolo può essere dato nella
forma traslitterata:
Turgenev, Ivan, Polnoe sobranie sočinenij i pisem (Raccolta completa
delle opere e delle lettere), Nauka, Leningrad 1960.
Tale criterio è comunque legato al contesto più o meno specialistico del libro in
lavorazione: va da sé che in un testo sulla grammatica del polacco i titoli in tale lingua
eventualmente citati in bibliografia possono non essere tradotti; al contrario, in un
testo molto divulgativo può essere utile segnalare la traduzione anche di un titolo in
tedesco o in inglese.
c) Il curatore e il traduttore vanno segnalati dopo il titolo.
Si citano nell’ordine il nome di battesimo, per esteso o anche solo puntato, e il
cognome, preceduti rispettivamente dalla formula ‘‘a cura di’’ (non abbreviata e in
italiano anche nel caso di libri stranieri) o ‘‘trad. it. [fr., ingl., ted. ecc.] di’’.
Se il volume non ha autore, ma solo un curatore, quest’ultimo può essere messo
prima del titolo, seguito dalla dicitura ‘‘a cura di’’ posta fra parentesi (5 sopra, punto
a); in tal caso, come per gli autori, con il nome di battesimo possibilmente per esteso.
Oltre al nome del curatore e del traduttore, va segnalato in questa posizione ogni
altro dato che si ritenga utile fornire circa eventuali introduzioni, note ecc.
presenti nel libro:
Spengler, Oswald, Il tramonto dell’Occidente, a cura di Rita Calabrese et
al., trad. it. di Julius Evola, Introduzione di Stefano Zecchi, Guanda,
Parma 1991.
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Nel caso di libri miscellanei che raccolgono gli atti di un convegno e simili, tale
indicazione va fornita subito dopo il titolo del volume, fra virgole e in tondo:
La poesia di Carlo Porta e la tradizione milanese, Atti del Convegno di
studi organizzato dalla Regione Lombardia (Milano 16-18 ottobre
1975), Feltrinelli, Milano 1976.
d) Quando si fa riferimento a un’edizione successiva alla prima, è bene segnalarne il
numero e le altre eventuali indicazioni a essa relative presenti sul frontespizio (es.:
riveduta, ampliata, corretta). Il numero dell’edizione può essere scritto in lettere
oppure nella forma 2a, 3a ecc., in entrambi i casi seguito dall’abbreviazione ediz. o ed.:
Wind, Edgar, Arte e anarchia, 3ª ediz. riveduta, Adelphi, Milano 1997.
Si usi invece la formula dell’anno seguito dal numero in apice per le ristampe, nel
caso si ritenga utile fornire al lettore tale indicazione (esso può per esempio essere
indicativo della reperibilità o meno del volume); in questo caso la data della ristampa
va subito dopo quella della prima edizione tra parentesi tonde (5 sotto, punto g):
Graves, Robert, I miti greci, Longanesi, Milano 1983 (199511).
e) Il luogo di pubblicazione era uno dei dati fondamentali del libro. Oggi ha meno
senso di prima e poco importa al lettore sapere se un libro Laterza è stato pubblicato a
Bari o a Roma. Esso va sempre dato nella lingua originale, anche quando della città
esista una traduzione corrente in italiano (Paris e non Parigi, London e non Londra).
Nel caso di omonimie, bisogna dare indicazioni per la precisa localizzazione. Se ci
si riferisce per esempio a Cambridge in Gran Bretagna, si può omettere la nazione,
mentre nel caso dell’omonimo centro degli Stati Uniti andrà esplicitato lo stato di
appartenenza, anche in forma abbreviata:
Guthrie, W.K.C., A History of Greek Philosophy, Cambridge University
Press, Cambridge 1962.
Harding, Rosamond E.M., An Anatomy of Inspiration, 2ª ediz., Heffer and
Sons, Cambridge (Mass.) 1942.
Se vi è più di un luogo di pubblicazione, i nomi delle città vanno uniti da un tratto
breve, senza spazi prima e dopo, o dalla congiunzione e (in italiano anche nel caso di
città straniere), a seconda della dizione corrente:
Croce, Benedetto, Filosofia - Poesia - Storia, Ricciardi, Milano-Napoli
1951.
Lance, J.W., Mechanism and Management of Headache, Butterworth
Scientific, London e Boston 1982.
Nel caso in cui il luogo di pubblicazione manchi, si usa l’abbreviazione s.l. (senza
luogo), senza alcuno spazio fra le due lettere, oppure, se esso è desumibile con sicurezza
per altra via o accreditato da una tradizione, lo si può segnalare tra parentesi quadre.
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Attenzione
In una pubblicazione specialistica, per i volumi di classici latini (o greci), i quali
hanno in genere tutte le indicazioni del frontespizio in latino, è bene che il nome
della città (anche se straniera) e ogni altra indicazione vengano lasciati in questa
lingua:
Index Aristotelicus, edidit H. Bonitz, Berolini 1961.
f) Anche se la tradizione editoriale non lo prevedeva, è bene segnalare sempre anche
l’editore, in particolare per i libri pubblicati dopo il 1901 e soprattutto per quelli ancora
in commercio. Questo è un servizio dovuto al lettore che altrimenti avrebbe difficoltà a
reperire il libro in libreria.
Nel caso di una coedizione, tutti gli editori coinvolti vanno segnalati, ciascuno
seguito dalla rispettiva città, separati da un trattino con spazio prima e dopo.
g) La data di pubblicazione va sempre segnalata e deve essere quella dell’edizione
(non della ristampa) cui si fa riferimento.
Nel caso di opere in più volumi pubblicati in date diverse, va segnalata la data di
pubblicazione del primo e dell’ultimo volume, entrambe per esteso e unite fra loro da
un trattino; se la pubblicazione è ancora in corso, si indica solo l’anno di pubblicazione
del primo volume seguito dal trattino.
Freud, Sigmund, Opere, Boringhieri, Torino 1967-1980, 12 voll.
Jung, Carl Gustav, Opere, Boringhieri, Torino 1970-, 18 voll.
Se si segnalano i titoli dei singoli volumi (5 sotto, punto j) con la relativa data, può
venire omessa l’indicazione delle date complessive.
Per le opere prive di data, si usa, a scelta ma con sistematicità, l’abbreviazione in
tondo s.a. o s.d. (rispettivamente, senza anno e senza data), senza alcuno spazio fra le
due lettere; nel caso in cui la data sia desumibile da qualche altro particolare o
accreditata dalla tradizione, la si può segnalare tra parentesi quadre.
5 Si veda anche il punto d.
h) La collana e, soprattutto, il numero del volume all’interno di essa vanno segnalati
alla fine del blocchetto tra parentesi tonde solo se ritenuti significativi. Il nome della
collana va in tondo senza virgolette seguito dal numero, separato da una virgola:
Porta, Carlo, Poesie, a cura di D. Isella, Mondadori, Milano 2000 (I
Meridiani).
Richard, Millant, Les Eunuques à travers les âges, Seuil, Paris 1908
(Bibliothèque des perversions sexuelles, XIII).
i) Quando un’opera è in più volumi, è bene segnalarne il numero complessivo.
Questo sarà in cifre arabe, seguito dall’abbreviazione voll.
Pulci, Luigi, Il Morgante, a cura di G. Dego, Rizzoli, Milano 1992, 2 voll.
Per i casi in cui è necessario fornire i titoli dei singoli volumi si veda il punto j.
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Edizione e ristampa
Sebbene siano talvolta usati come sinonimi, edizione e ristampa sono propriamente
due cose ben diverse fra loro.
La ristampa è la riproduzione di un libro nella stessa veste grafica e con gli stessi
contenuti, fatta salva la correzione di eventuali refusi.
La riedizione di un libro è invece la sua riproposizione in una veste grafica nuova (per
esempio in una collana diversa) o con una significativa revisione dei suoi contenuti
(rifacimento, aggiunta o espunzione di capitoli o di apparati), compiuta dallo stesso
autore o da un curatore.
Nel primo caso il numero complessivo delle pagine e la disposizione del testo
all’interno di ogni singola pagina rimane inalterato; nel secondo caso in genere
cambiano il numero delle pagine e l’impaginazione. Ai fini bibliografici ciò che
importa è l’edizione; perciò, anche quando la copia effettivamente consultata di un
libro è una ristampa, nel momento in cui lo si cita va comunque fornita la data della
prima edizione.
j) Se di un’opera in più volumi si deve segnalare anche il titolo dei singoli volumi,
questi vanno in coda alle indicazioni relative all’intera opera. Ciò può essere fatto o per
maggior completezza dei dati, oppure quando il riferimento bibliografico che interessa non è a tutta l’opera, ma appunto ai soli volumi citati; in questo secondo caso si
possono omettere i dati dell’opera complessiva limitandosi a fornirli per i singoli
volumi che interessano.
La sezione dedicata ai singoli volumi è separata da quanto viene prima tramite i due
punti; le indicazioni relative ai vari volumi sono separate fra loro dal punto e virgola.
Il numero del volume va in numero romano, maiuscolo, preceduto dall’abbreviazione vol. Ogni successiva specificazione (es.: tomo, sezione) va progressivamente
distinta ricorrendo per esempio al maiuscoletto e quindi al numero a tutte lettere:
Wellek, René, Storia della critica moderna, il Mulino, Bologna, 2 voll.:
vol. I, Dall’Illuminismo al Romanticismo, 1958; vol. II, L’età romantica, 1961.
Nietzsche, Friedrich, Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi,
Milano, 8 voll.: vol. III, tomo III, parte seconda, Frammenti postumi
(1869-1874), trad. it. di G. Colli e C. Colli Staube, 1992.
4.8.2
Indicazioni bibliografiche di parte di un volume
Se il riferimento bibliografico riguarda soltanto una parte di un volume, l’indicazione bibliografica deve essere costituita dal nome dell’autore e dal titolo di questa,
seguiti dal titolo dell’opera in cui essa è contenuta, introdotto dalla preposizione ‘‘in’’
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preceduta dalla virgola. Nel caso invece in cui l’autore (oppure il curatore) dell’opera
complessiva sia diverso da quello della singola parte, esso va esplicitato per esteso.
È inoltre necessario specificare le pagine del libro in cui si trova la sezione citata.
Tale indicazione va alla fine dell’intero blocchetto, preceduta dall’abbreviazione ‘‘p.’’
se la pagina è una sola, ‘‘pp.’’ se le pagine sono di più, con i numeri dell’intervallo
separati fra loro da un tratto breve; per i numeri superiori alle centinaia, possono essere
riportate solo le ultime due cifre del secondo numero, purché la penultima di esse non
sia uno zero (es.: 130-76 o 1140-50; ma 103-104); i numeri di pagina in cifre romane si
scrivono sempre in maiuscoletto.
Si osservi che:
« I titoli di capitoli o saggi aventi un’autonomia propria all’interno dell’opera vanno
sempre in corsivo, come quelli dei libri:
Russell, Bertrand, The Object Language, in An Enquiry into Meaning and
Truth, Allen and Unwin, London 1940, pp. 62-77.
Luraghi, Silvia, Le lingue anatoliche, in Giacalone Ramat, Anna e Ramat,
Paolo (a cura di), Le lingue indoeuropee, il Mulino, Bologna 1993, pp.
197-224.
« I titoli di capitoli che non hanno autonomia propria vanno in tondo tra virgolette
caporali:
Eco, Umberto, «Verso nona. Dove Guglielmo ha un dialogo dottissimo
con Severino erborista», in Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1980,
pp. 68-72.
« I titoli degli apparati (Introduzione, Glossario ecc.), specie quando hanno un
carattere rilevante, vanno tendenzialmente in corsivo, con l’iniziale maiuscola:
Mengaldo, Pier Vincenzo, Introduzione, in Alighieri, Dante, De vulgari
eloquentia, Antenore, Padova 1968, pp. VII-CII.
« Le voci di enciclopedie e simili vanno in tondo tra virgolette caporali, in corsivo il
titolo dell’opera in cui si trova la voce:
Natale, Mauro, «Collezionismo», in Enciclopedia Europea, vol. III,
Garzanti, Milano 1977.
4.8.3
Indicazioni bibliografiche di periodici
Per titolo e autore del singolo saggio, valgono le indicazioni date sopra.
Il periodico va citato con tutti i dati utili a una sua corretta e veloce identificazione e
reperimento. A questo proposito è necessario fornirne:
a) il titolo,
b) il numero,
c) la data,
d) le pagine in cui il saggio citato è contenuto.
Per altre indicazioni eccezionali (es.: serie) ci si regoli di volta in volta.
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a) Il titolo del periodico va in tondo tra virgolette caporali, separato dal titolo del
singolo saggio da una virgola. Nei limiti del possibile, maiuscole e minuscole
rispettano quelle effettive della testata. Nel caso di riviste con lo stesso nome
pubblicate in città diverse, può essere utile segnalare, subito dopo il titolo, anche il
luogo di pubblicazione.
b) Il numero del periodico va sempre segnalato. Generalmente ogni periodico ha un
numero di annata e, nel caso di frequenza inferiore all’annuale, uno di fascicolo: di
norma, il primo va in cifre romane e il secondo arabe; tuttavia, dove possibile, ci si
regoli anche in base alla forma in cui il numero appare effettivamente sulla copertina
del periodico.
È superfluo indicare davanti ai due numeri le abbreviazioni a. (anno) e n. (numero).
c) La data per esteso va segnalata solo là dove è necessaria (per esempio per i
quotidiani); se si ritiene utile indicarla, essa va posta tra parentesi subito dopo il
numero dell’annata o del fascicolo, a seconda che si riferisca all’uno o all’altro dei
due. Nel caso di riviste straniere, il nome del mese, del giorno e simili può essere
indicato in italiano.
Per i quotidiani va dato il numero del giorno, il nome del mese in lettere e per esteso
e quindi l’anno.
d) Il numero delle pagine va indicato alla fine del blocchetto, preceduto dall’abbreviazione p., se la pagina è una sola, pp. se sono di più. In questo secondo caso i due
numeri vanno separati fra loro da un tratto breve; per i numeri dalle centinaia in su, del
secondo possono essere date solo le ultime due cifre, purché la penultima non sia uno
zero (es.: 25-64; 118-35; ma 201-207).
Le pagine in cifre romane vanno sempre in maiuscoletto.
Alcuni esempi:
Haiman, John, Dictionaries and Encyclopedias, «Lingua», L, 4, pp. 329-57.
Croce, Benedetto, Ufficio ideale del suffragio universale, «Il Mondo»,
II (1950), 41 (14 ottobre), pp. 43-54.
Fertilio, Dario, 1898. La strage degli innocenti, «Corriere della sera»,
2 marzo 1998, p. 23.
4.9
L’indice analitico
L’indice analitico è un apparato che nei libri di saggistica può utilmente corredare il
volume consentendo al lettore di arrivare rapidamente al punto del testo nel quale
viene affrontato uno specifico argomento. Se contiene soltanto i nomi propri citati nel
corso del volume si chiama più propriamente indice dei nomi.
Dal punto di vista contenutistico si ricordi che vanno tenute presenti soltanto le parti
del libro in senso proprio, esclusi gli apparati, se non d’autore (prefazione, introduzione, cronologia ecc.); quanto alle note, vanno considerate solo quelle discorsive e
non quelle con meri riferimenti bibliografici.
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I lemmi di entrata vanno scritti con le stesse caratteristiche grafiche che essi hanno
all’interno del testo (corsivo, maiuscoletto ecc.).
L’indice analitico ha di norma un proprio occhiello.
Dal punto di vista grafico, esso va composto in corpo minore rispetto al testo (un
paio di punti in meno), su due colonne separate fra loro da un opportuno spazio di
almeno una riga tipografica (canalino o gutter). Le righe successive alla prima vanno
rientrate di un quadratone.
Ogni gruppo di voci con la stessa iniziale va separato dal gruppo successivo con
un’interlinea vuota.
Ogni voce termina senza il punto.
Tutti i numeri sono separati fra loro da una virgola. Per i rinvii a più pagine
consecutive, va dato il numero della prima e dell’ultima pagina, separati fra loro da un
tratto breve; per i numeri dalle centinaia in su, del secondo possono essere date solo le
ultime due cifre, purché la penultima non sia uno zero (es.: 25-64; 118-35; ma 201-207).
I numeri che rinviano alle note a piè di pagina vanno in corsivo (se lo stesso nome o
lemma ricorre tanto nel testo che nella nota andrà in tondo). È opportuno che questo
(come ogni altro criterio particolare seguito) venga segnalato in apertura dell’indice
(per esempio con una frase del tipo: «I numeri in corsivo rinviano alle note», posta al
piede della pagina bianca successiva all’occhiello di sezione).
4.9.1
Nomi propri
Va messo a lemma il cognome seguito, dopo una virgola, dal nome, preferibilmente
nella forma estesa. Fanno eccezione i personaggi il cui nome è generalmente attestato
nella forma abbreviata (es.: Eliot, T.S.); nel caso di compresenza di più nomi di
battesimo può essere citato per esteso solo quello più comune e con l’iniziale puntata
gli altri (es.: Hegel, G.W. Friedrich). Tra due o più iniziali puntate non va alcuno spazio.
Eventuali titoli onorifici vanno subito di seguito al nome se fanno parte integrante di
esso, tra parentesi se servono come semplice aiuto per l’individuazione del personaggio:
Cavour, Camillo Benso conte di, 23, 25, 150-52
Borromeo, Federigo (cardinale), 13, 27, 160-64
Per l’esatta collocazione alfabetica dei nomi con prefissi (de, von, van e simili) si
segua nei casi dubbi un testo di riferimento affidabile (per esempio l’Enciclopedia
Treccani, l’Enciclopedia Zanichelli o le ‘‘Garzantine’’).
4.9.2
Nomi comuni
Tutti i nomi comuni a lemma vanno scritti con l’iniziale minuscola (salvo il caso in
cui essi, per particolari ragioni, sono in maiuscolo nel testo).
Per le espressioni formate da più di una parola, va posto a lemma il termine più
significativo. A tal fine si rende talvolta necessario introdurre un’inversione grammaticale; in questo caso va posta una virgola subito dopo il lemma d’apertura per
segnalare l’inversione e va fatto in modo che al termine della lettura della seconda
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parte della voce sia logicamente e grammaticalmente previsto il lemma d’apertura
(per es.: tramite l’inserimento di un’opportuna preposizione):
ibisco, foglie di, 39, 75, 290-92
basalto, formazioni colonnari di, 23, 25, 150-52
cecità, guarigione dalla, 46, 54, 262
Qumran, manoscritti di, 12, 67, 200-205
4.9.3
Sottovoci
Le sottovoci vanno poste in ordine alfabetico sotto la rispettiva voce, introdotte da
una lineetta allineata al margine sinistro della colonna o semplicemente rientrate di un
quadratone.
Perché l’allineamento sia uniforme, lo spazio di bianco tra la lineetta e la prima
lettera della sottovoce deve essere uno spazio fisso.
La presenza di sottovoci non esclude che anche la voce generale abbia dei rimandi
propri (quelli più generici), ma si tenga presente che di norma il numero di rinvio della
sottovoce, in quanto più specifico, non va ripetuto anche sotto la voce principale. Che
abbia o meno rinvii alle pagine, la voce principale termina senza alcun segno di
interpunzione.
È opportuno infine, dove possibile, che le sottovoci siano legate anche grammaticalmente al lemma di entrata, per esempio tramite una proposizione in chiusura o una
congiunzione in entrata:
cultura
– definizione di, 60, 63, 92
– degli animali, 33, 205, 250-52
– e evoluzione, 56, 85, 192-93
4.9.4
Rinvii
Il rinvio va istituito in tutti i casi in cui sia necessario e utile per il lettore, ma senza
abbondare.
Ci sono due tipi di rinvio:
a) il rinvio secco;
b) il rinvio di approfondimento.
a) Per il rinvio secco si usa la formula vedi (in minuscolo e in corsivo), separata
tramite una virgola da quanto precede e seguita dalla voce cui si rinvia nella forma
esatta in cui essa appare al relativo luogo alfabetico:
Cartesio, vedi Descartes, René
indiani d’America, vedi amerindi
b) Per il rinvio di approfondimento si usa la formula vedi anche (in minuscolo e in
corsivo) posta dopo l’ultimo numero di pagina citato, dal quale è separata tramite un
punto e virgola.
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Anche se il rinvio è a più di un lemma si usa sempre vedi anche; i diversi lemmi cui si
rinvia vanno separati tra di loro da un punto e virgola:
Cina, 43, 75, 150-52; vedi anche Taiwan
sangue, 73, 96, 300-302; vedi anche sanguigni, gruppi; emoglobina
Nel caso di una voce con sottovoci:
« se il rinvio riguarda la singola sottovoce, la formula vedi / vedi anche va posta alla
fine della singola sottovoce;
« se il rinvio di approfondimento riguarda l’intera voce con tutte le sue sottovoci, la
formula vedi anche va posta alla fine dell’elenco delle sottovoci, preceduta come
queste da una lineetta:
cultura
– definizione di,
– degli animali,
– e evoluzione,
– vedi anche culturali, fenomeni
4.10
Dediche e epigrafi
L’eventuale dedica del libro va di norma nella pagina dell’occhiello generale, nello
stesso carattere e corpo del testo, in corsivo, allineata a destra e separata da un
opportuno spazio dal titolo (almeno 4-5 righe).
Le epigrafi vanno in corpo minore rispetto al testo, in tondo se in italiano o in
corsivo se in lingua straniera (con l’eventuale traduzione in nota), a blocchetto
allineato a destra. Se il testo è in prosa la giustezza del blocchetto sarà inferiore, ma
proporzionata, a quella della gabbia della pagina (es.: un po’ più della metà di
quest’ultima), se è in poesia la giustezza della gabbia coinciderà, se possibile, con
quella del verso più lungo.
Il nome dell’autore e il titolo dell’opera da cui la citazione è tratta vanno messi a
capo, subito sotto l’epigrafe; l’autore va in maiuscoletto, il titolo nella variante
prevista dalle norme bibliografiche.
Se l’epigrafe riguarda l’intero libro o una sezione andrà nella pagina del rispettivo
occhiello; se si riferisce al singolo capitolo, nello spazio normalmente lasciato tra
l’inizio del testo e il titolo, andrà in entrambi i casi 4-5 righe circa sotto l’ultima riga di
quest’ultimo.
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Esempio di pagine con dedica o epigrafe
Occhiello di un libro con dedica
Epigrafe all’intero libro
LA RICERCA
DELLA LINGUA PERFETTA
IL CUORE VIGILE
A Trude
Io non saprò certamente mai consigliarvi a secondare il bizzarro pensiero, che vi è nato, di fantasticare intorno
alla lingua universale.
Francesco Soave, Riflessioni intorno
all'istituzione di una lingua universale,
1774.
Epigrafe in lingua straniera
Epigrafe a inizio capitolo
DELLA VIRTÙ
CONSIDERAZIONI
DI UN IMPOLITICO
Vergleiche dich!
Erkenne, was du bist!1
GOETHE, Torquato Tasso
I giacobini hanno dichiarato che
la virtù è all'ordine del giorno.
Büchner, La morte di Danton.
Parlare del contrario di una cosa è un'altra maniera
di parlare della cosa stessa, una maniera, anzi, che
può servire benissimo a capirla correttamente. Apro
così il nuovo capitolo prendendo in considerazione
un vecchio libro tedesco – il momernto attuale mi
costringe a dire ancor oggi tedesco – che fa a meno,
con una disinvoltura veramente straordinaria, della
virtù come la intendo io e come oggi soprattutto
deve essere intesa, cioè della virtù politica.
. A un viandante straniero non si addice essere rude
e avere trope pretese. Non si possiede un'ampia
cerchia di conoscenze, perciò non bisogna darsi arie.
Bisogna invece essere cordiali e gradevoli, cercare
di tirar fuori il meglio di sé, per costruire pian piano
1. «Confrontati! Scopri cosa sei!»
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5
IL TESTO
5.1
La gabbia
Ogni pagina del libro è strutturata secondo la gabbia, ossia uno schema fisso sulla
base del quale vengono disposti i vari elementi che devono trovare posto sulla pagina.
La gabbia viene stabilita al momento della progettazione grafica del libro o di una
nuova collana, nel qual caso si mantiene poi generalmente inalterata per tutti i volumi
della serie.
In un normale libro, gli elementi che trovano posto all’interno della pagina sono la
colonna del testo, il numero di pagina e, talvolta, i titoli correnti.
Quando l’originale viene inviato all’impaginazione, è necessario indicare le
caratteristiche tipografiche previste per ciascuno di questi elementi riunendole in
una scheda descrittiva.
5.2
La colonna del testo
All’interno della pagina il testo è organizzato in una o più colonne, le cui dimensioni
sono in funzione del formato del libro e dei margini che si è deciso di lasciare.
Le note e, salvo casi particolari, le illustrazioni, vanno all’interno della colonna di
testo; i numeri di pagina (siano essi in alto o in basso) e i titoli correnti sono al di fuori
di essa.
Le dimensioni della colonna (‘‘ingombro’’) si misurano in righe tipografiche
(1 riga = 12 punti).
La larghezza della colonna è detta ‘‘giustezza’’.
Per quanto riguarda l’altezza, essa è in stretta relazione con l’interlinea; perché la
pagina contenga un numero esatto di righe, il rapporto tra le due deve sempre essere un
numero intero. Per questa ragione l’altezza della pagina si può indicare invece che in
righe tipografiche con il numero di righe di testo.
Se il testo è su più colonne (es.: l’indice analitico), l’ingombro complessivo è dato
dalla somma della giustezza delle singole colonne più lo spazio vuoto lasciato tra una
colonna e l’altra (canalino o gutter).
La prima pagina di ogni capitolo ha in genere un numero di righe inferiore alla
pagina standard, cominciando qualche riga più in basso del margine superiore della
colonna. Lo spazio di bianco nel margine superiore della prima pagina del capitolo
varia a seconda dei casi, trattandosi fondamentalmente di una questione di gusto.
La prima riga del testo comincia sempre alla stessa altezza nella pagina, indipendentemente dalla presenza o meno di un titolo di capitolo o di un sottotitolo e dal
numero di righe che li compongono.
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La gabbia
La gabbia è la griglia regolare sulla base della quale vengono disposti nella pagina
tutti gli elementi che la compongono: la colonna o le colonne del testo, i margini, il
numero di pagina, gli eventuali titoli correnti.
Tale griglia può essere più o meno complessa a seconda del tipo di libro e soprattutto
del tipo di pubblico al quale esso è destinato, che possono richiedere una grafica
accattivante o addirittura ‘‘aggressiva’’ o al contrario semplice e sobria, attenta in
primo luogo alla buona armonia tra l’ingombro del testo e i margini bianchi ai lati.
A questo proposito, le proporzioni classiche prevedono che il margine superiore
abbia un’ampiezza di circa due terzi rispetto a quello al piede, e il margine
all’interno della pagina, quello cioè verso la cucitura, sia leggermente superiore di
quello esterno, specie quando il numero di pagine del volume è importante, in
modo da evitare che, aprendo il libro rilegato, il testo venga a trovarsi troppo
vicino alla cucitura.
5.3
I numeri di pagina
Le pagine di un libro devono essere numerate progressivamente da 1 in poi. La
prima pagina valida per la numerazione è il foglio di guardia (non la copertina).
L’ultima pagina numerata è generalmente l’ultima che contenga del testo; le pagine
successive a questa, che variano a seconda della foliazione (5 4.5), vengono
utilizzate per il «Finito di stampare...» o per altre indicazioni (es.: elenco dei volumi
pubblicati nella stessa collana e simili), o lasciate bianche.
Il numero della pagina può essere posto esternamente alla colonna del testo. Esso
può essere collocato centrato al piede della pagina oppure allineato al filo della
colonna, indifferentemente in alto o in basso nella pagina; in questo secondo caso è
bene variare l’allineamento in modo che il numero stia sempre nel margine più esterno
della pagina, e cioè a destra nelle pagine dispari, a sinistra in quelle pari.
Se il libro ha i titoli correnti, il numero di pagina va di preferenza in alto al loro fianco.
Tra la colonna del testo e il numero di pagina va lasciata almeno una riga e mezzo.
Non tutte le pagine del libro hanno il numero. In particolare il numero non si mette:
« sulle pagine preliminari;
« sulle pagine dell’indice generale;
« sulle pagine con occhiello;
« sulle pagine finali successive all’ultima del testo (cioè quelle col ‘‘Finito di
stampare’’, l’elenco dei volumi della stessa collana ecc.);
« se si è optato per l’allineamento in alto, nella prima pagina di ogni capitolo.
Nel caso in cui il numero di pagina sia abbinato alla testatina, esso va messo o tolto
secondo i criteri che regolano quest’ultima (5 5.4).
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56
Attenzione
È buona regola che tutte le pagine delle bozze siano numerate, sia per facilitare
il controllo dell’esattezza del computo complessivo (nonché per rendere più
agevole la ricostruzione dell’esatta successione delle pagine qualora la bozza
venga scompigliata). Tale numerazione appare in genere al piede o in testa al
foglio di stampa, fuori dai margini del volume, accompagnato spesso da altri
dati utili per tenere sotto controllo il processo di lavorazione (data, versione,
nome del file ecc.).
Per i numeri di pagina si usano di norma le cifre arabe. Si può eventualmente
ricorrere alla numerazione romana quando prima del testo vero e proprio siano previsti
degli apparati (Introduzione, Prefazione ecc.). In questo caso le pagine preliminari
entreranno nel computo delle romane e la prima pagina con il numero arabo sarà
quella con l’occhiello generale.
La numerazione romana contribuisce in un certo senso a sottolineare la divisione
interna al libro tra ciò che è testo e ciò che è apparato. Tale scelta consente inoltre di
procedere nella lavorazione del libro (e soprattutto nella compilazione dell’eventuale
indice analitico o dei nomi), indipendentemente dagli apparati che di solito vengono
approntati solo successivamente al testo.
5.4
I titoli correnti
I titoli correnti, o testatine, sono quelle intestazioni che, in molti libri, vengono
poste nel margine superiore – o, più raramente, in un colonnino laterale – di tutte le
pagine. Scopo del titolo corrente è quello di aiutare il lettore a orientarsi all’interno del
testo, indicandogli in ogni momento la sezione e il capitolo in cui si trova. Per questa
ragione, se sono in genere trascurabili in testi di narrativa, divengono addirittura
indispensabili in opere di saggistica, opere teatrali ecc.
Dal punto di vista grafico, il titolo corrente va in un corpo più piccolo (in genere un
punto in meno) e in una variante del carattere diversa rispetto al testo (es.: in corsivo o
in maiuscoletto); in qualche caso, a sottolineare la separazione dal testo, può essere
utilizzato un filetto.
La testatina non va messa nella prima pagina del capitolo (quella con il titolo) e in
generale in tutte le pagine in cui sono presenti in alto degli elementi anomali – una
citazione centrata, una tabella, un grafico – che potrebbero entrare in conflitto con la
testatina stessa.
Quanto al contenuto, le testatine vanno cosı̀ strutturate: sulla pagina pari (quella di
sinistra) va data l’indicazione più ‘‘ampia’’, per esempio il titolo stesso del libro o il
titolo di sezione; sulla pagina dispari (quella di destra, la più visibile), l’indicazione
più specifica, di solito il titolo del capitolo o del paragrafo. Le testatine delle pagine
con gli eventuali apparati paratestuali recano invece sia sulla pagina pari sia su quella
dispari il titolo del singolo apparato (es.: Introduzione, Note al testo, Indice dei nomi).
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Pica e Didot
Le misure tipografiche si esprimono di norma in punti e in righe (1 riga = 12 punti),
specialmente per quanto riguarda il corpo dei caratteri e l’interlinea; la giustezza e le
altre dimensioni della gabbia sono oggi invece espresse in millimetri.
Attenzione, però. Esistono infatti due sistemi di misura: il sistema Pica, diffuso in
particolare nei paesi anglosassoni, e il sistema Didot (detto anche Cicero), diffuso
nell’Europa continentale. In entrambi le due unità base sono il punto e la riga
tipografica, ma nel primo il punto equivale a 0,376 mm (1 riga = 4,512 mm), nel
secondo a 0,351 mm (1 riga = 4,217 mm).
Il sistema Didot deve il suo nome a François-Ambroise Didot (Parigi 1730 - ivi
1804), discendente di una nota famiglia di tipografi francesi, che lo introdusse nel
1770. Più oscura è invece l’origine del nome Pica, che è propriamente il nome latino
della gazza; esso pare risalire al fatto che tale misura fu desunta dal carattere usato
per la stampa di un libro liturgico della chiesa inglese del tardo medioevo detto
appunto ‘‘pica’’ (resta tuttora poco chiara la relazione tra il libro e la gazza...).
Le tipografie tradizionali lavorano comunemente in punti Didot; i programmi di
impaginazione più diffusi, invece, vista l’origine anglosassone della maggior parte dei
software, consentono di lavorare in entrambi i sistemi; è necessario dunque, al
momento di intraprendere un lavoro, sceglierne uno dei due e attenervisi con coerenza.
5.5
Il carattere e l’interlinea
Tutti i libri all’interno della stessa collana – e spesso tutti i libri dello stesso editore –
hanno di norma lo stesso carattere.
Tranne casi particolari (5 4.7, punto a), la variante usata per il testo base è il tondo.
Le dimensioni del carattere si misurano in punti tipografici; esse variano a seconda
delle necessità, ma, per la maggior parte dei libri, si mantengono entro un intervallo
che va dai 9 ai 14 punti (di solito tra 11 e 12). Anche l’interlinea, lo spazio tra la linea
base di due righe successive, si misura in punti tipografici e varia in funzione del
carattere. Più in particolare, essa non può mai essere inferiore al corpo del carattere (le
parti ascendenti e discendenti dei caratteri verrebbero a toccarsi!); di solito il suo
valore è equivalente o appena superiore a quest’ultimo.
5 Per il rapporto tra l’interlinea e l’altezza complessiva della pagina si veda il
paragrafo 5.2.
Corpo del carattere e valore dell’interlinea vengono sempre comunicati assieme,
convenzionalmente nella forma frazionaria del tipo 11/11 (leggi: undici su undici),
dove il primo numero si riferisce al carattere e il secondo all’interlinea.
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58
Intervenendo sull’interlinea di ogni riga di una pagina, è possibile aumentare o
diminuire di un’unità il numero complessivo di righe in essa: in pratica, a ogni riga
della pagina viene tolta o aggiunta una quantità (frazionaria) di punti pari al valore di
un’interlinea. Aggiungere dei punti per ridurre il numero delle righe si dice interlineare, l’inverso sterlineare.
I programmi di impaginazione compiono in genere entrambe le operazioni in
automatico, per evitare il formarsi di righe ‘‘vedove’’ (5 5.6.4). Tale opportunità va
comunque tenuta presente da parte del redattore nel caso che egli sia costretto a fare un
intervento sul testo impaginato che implichi lo scarto di una riga, ma per il quale non si
vuole (o non è possibile) che vengano interessate le pagine circostanti.
Bisogna però tener presente che le buone regole di grafica editoriale sconsigliano di
abusare di questa funzione perché la presenza di una riga in più o in meno in una pagina
non sfugge all’osservazione.
5.6
5.6.1
I paragrafi
Testi in prosa
Nei libri in prosa la prima riga di ogni paragrafo è in genere rientrata per scandire
meglio il testo nella pagina. La dimensione del rientro non deve essere né troppo
piccola né troppo grande e proporzionata alla lunghezza della riga: di norma essa
equivale a un quadratone oppure alla misura dell’interlinea.
La scelta se usare o meno il rientro nella prima riga del paragrafo è puramente
estetica. Il rientro è una delle più vecchie convenzioni della prassi editoriale, è
elegante e aiuta il lettore nella scansione visiva della pagina e delle righe (per
questo viene talvolta lasciato allineato al margine la prima riga del paragrafo che
segue un titolo).
Esso va evitato quando la giustezza è particolarmente contenuta, come nei testi su
due colonne o in libri di piccolo formato. In questo caso va tuttavia fatto in modo che
la suddivisione in paragrafi rimanga comunque evidente: a tale scopo, se l’ultima
parola di un paragrafo viene a coincidere esattamente con la fine della riga, è bene
evidenziare la fine del paragrafo o restringendo la riga o allungandola, cioè
mandando a capo l’ultima parte di essa (ma attenzione, cosı̀ facendo, a non creare
un righino, 5 5.6.4).
Il rientro non va mai usato:
« quando il testo è a bandiera;
« nelle didascalie;
« nel primo paragrafo delle note al piede (sı̀, in quelli successivi);
« nelle epigrafi.
Per tipi particolari di testo (es.: elencazioni, bibliografie) può essere di beneficio per
il lettore l’utilizzo di paragrafi con la prima riga sporgente e tutte le successive
rientrate di un quadratone.
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Esempio di scheda con le indicazioni per l’impaginazione
Autore: GIANLUCA ANGHINELLI
Titolo: Storia della barca a vela
Collana: I libri del mare
Testo: Times 11/12
Corpo infratesto: un punto in meno rispetto a quello del testo; rientrato a
destra e a sinistra di un quadratone
Corpo note: 8/9
Dida: Times 10/11; stessa giustezza del testo.
Ingombro: giustezza 28 righe tipografiche
altezza 42 righe tipografiche
altezza prima pagina di ogni capitolo 35 righe tipografiche
Titoli correnti: Times corsivo; corpo 10; distanza dal testo: 1,6 interlinee;
tra titolo e testo filetto 0,1
Numero di pagina: Helvetica nero; corpo 10; margine alto della pagina;
allineato a destra pagina dispari, sinistra pagina pari
Titolo di parte: Pagina occhiello; Times M.lo; corpo 14; centrato
Titolo capitolo: Times M.lo; corpo 11; centrato al margine superiore della
pagina
Titolo paragrafo: Times M.etto; corpo 11; centrato; tre interlinee vuote
prima, una interlinea dopo
Titolo sottoparagrafo: Times M.lo/m.lo corsivo; a filo; due interlinee
prima e mezza dopo
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5.6.2
Testi in poesia
Nei libri di poesia rientri e a capo sono ovviamente in relazione con il tipo di
componimento e di verso.
In linea generale si ricorda che:
« la maiuscola a inizio verso si ha solo quando è richiesto dalla punteggiatura;
« se un verso è più lungo della giustezza della colonna, si manda a capo l’ultima parte
di esso e la si allinea a destra, evitando però di separare le parole (non è necessario
che la parte a capo sia preceduta dalla parentesi quadra).
5.6.3
Testi teatrali
Nei testi teatrali la prima riga del paragrafo (quello con il nome del personaggio) è
sempre a filo; sono rientrate di un quadratone tutte le successive.
Il nome del personaggio va distinto dal testo vero e proprio ricorrendo a una diversa
variante del carattere (es.: maiuscoletto) e inserendo un opportuno spazio bianco (es.:
un quadratone) tra i due, senza nessun altro segno di interpunzione.
Eventuali didascalie vanno in corsivo, tra parentesi tonde.
Ogni atto inizia a pagina nuova, come se si trattasse di un capitolo.
Esempio di testo teatrale
Se la mia pianta crescerà lı̀, il raccolto sarà vostro.
Mio nobile Cawdor!
(a parte) Il principe di Cumberland! È un gradino in cui devo
inciampare, a meno di non saltarlo, perché sta sulla mia strada. Stelle,
spegnete la vostra fiamma! La luce non veda i miei tenebrosi e cupi
desideri. L’occhio non veda quel che la mano fa. (Esce)
DUNCAN È vero nobile Banquo: è cosı̀ colma la misura del suo valore, che io mi
nutro delle lodi a lui tributate: sono un banchetto per me. Seguiamolo là dove
la sua cura ci ha preceduti per darci il benvenuto. (Squilli di tromba. Escono)
BANQUO
DUNCAN
MACBETH
SCENA QUINTA
Una stanza nel castello di Macbeth. Entra Lady Macbeth leggendo una lettera.
«Mi sono venute incontro nel giorno del successo, e io ho
appreso da fonti sicure che esse sanno più di quanto non conoscano i
mortali. Quando ardevo dal desiderio...».
Entra un messo
Che notizie mi porti?
MESSO Il re viene qui questa notte.
LADY MACBETH
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Ogni nuova scena va di seguito separata da un adeguato spazio bianco dal testo che
precede (es.: tre interlinee vuote) e che segue (es.: una interlinea vuota), come un titolo
di sottocapitolo; la dicitura ‘‘scena’’ e il relativo numero in numeri romani o in lettere
vanno in maiuscoletto.
5.6.4
Righini, vedove e orfane
Il ‘‘righino’’ è nel gergo tipografico una riga eccessivamente breve rispetto alla
giustezza della pagina e che per questo è ritenuta poco elegante.
Un righino può essere eliminato o allungando la riga o facendo rientrare le sillabe in
esubero nella riga precedente.
La prima soluzione è generalmente preferibile in quanto non altera il numero
complessivo di righe nella pagina. Si può ‘‘rubare’’ qualche sillaba alle righe
precedenti creando degli a capo forzati (ma attenzione cosı̀ facendo a non creare
delle righe troppo larghe), oppure, se possibile, inserendo un termine (un avverbio o
simili) o un sinonimo più lungo (invece di solo, solamente o soltanto) in una delle righe
appena precedenti.
La seconda è attuabile seguendo le stesse procedure elencate qui sopra, all’inverso.
Si noti tuttavia che in questo caso la pagina viene a avere una riga in meno, che va in
qualche modo recuperata: interlineando o sterlineando (5 5.5) la pagina, o facendo
slittare via via una riga dalle pagine successive fino a che non venga recuperata. Prima
di intervenire in questo senso è bene dunque verificare che tale soluzione non provochi
problemi maggiori di quello rappresentato dal righino.
Non è ovviamente possibile stabilire un discrimine assoluto al di sotto del quale una
riga diventa un righino. Molti fattori diversi concorrono a determinarlo (la giustezza
complessiva della pagina, la presenza di altre righe brevi nella stessa pagina ecc.), il
principale dei quali è in definitiva il gusto personale del redattore.
Una riga formata da una sola sillaba è senz’altro un righino (e dei più brutti), una di
tre sillabe può non esserlo in un libro di piccolo formato. In ogni caso si intervenga a
eliminare un righino solo là dove è possibile farlo senza troppi problemi; lo si lasci se si
dovesse constatare che i rimedi sarebbero peggiori del male.
Altra prassi editoriale è quella di lasciare sempre all’inizio di ogni pagina almeno
due righe di testo (meglio ancora tre), evitando che l’ultima riga di un paragrafo finisca
da sola in testa a una pagina (riga ‘‘vedova’’). Se opportunamente impostati, i
programmi di impaginazione sono in grado di evitare automaticamente il formarsi
di tali righe, tuttavia tale limitazione va tenuta presente dal redattore che si accinge a
intervenire su un testo già impaginato con correzioni che implicano un cambiamento
del numero di righe in una pagina e il conseguente slittamento di righe dalle pagine
limitrofe.
È invece per lo più tollerata, anche se non elegante, la cosiddetta riga ‘‘orfana’’,
ossia la prima riga di un paragrafo da sola alla fine della pagina.
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Lo spazio tra le parole e le righe
Nella composizione tipografica a piombo di un testo giustificato, il tipografo
decideva riga per riga quali spaziature interporre tra le parole di una riga in modo
che essa occupasse esattamente l’ampiezza della colonna. Egli aveva a disposizione
una serie di spazi di misura diversa, ossia dei piccoli elementi fissi dello stesso
materiale dei caratteri che doveva manualmente inserire tra le parole. In genere
aveva a disposizione sette tipi di spazi diversi, la cui misura in punti variava in
proporzione al corpo del carattere: due spazi fini (corrispondenti a un ottavo e a un
sesto del corpo), il mezzano (un quarto del corpo), il terziruolo (un terzo), il
quadratino (metà del corpo), il quadrato (uguale al corpo) e il quadratone (il doppio
del corpo); oltre a questi esisteva lo spazio finissimo, uguale per tutti i corpi in quanto
di misura equivalente a un punto tipografico.
I programmi di impaginazione sono invece in grado di intervenire automaticamente
sull’ampiezza dello spazio tra una parola e l’altra per fare in modo che la riga occupi
tutta la giustezza della pagina; in genere è possibile fornire l’indicazione del margine
massimo e minimo entro il quale tale ampiezza deve mantenersi e il programma
lavora poi in piena autonomia. In questo tipo di composizione esistono inoltre tre
diversi tipi di spazio fisso: lo spazio fine (o, all’inglese, thin space), lo spazio medio o
quadratone (in inglese en space, perché la sua lunghezza è pari grosso modo alle
dimensioni della lettera n nel rispettivo carattere e corpo) e il doppio quadratone (o
em space, perché equivalente a una m).
Quello che una volta era difficile da realizzare era la modifica dell’interlinea di
una colonna necessaria affinché il testo arrivi ad appoggiarsi alla base della gabbia
anche in presenza di spaziature non multiple dell’interlinea di base (per esempio
nel caso di titoli o di figure inserite nella colonna); questa operazione veniva fatta
inserendo manualmente dei sottili spessori tra una linea e l’altra. A questa
funzione, che oggi è incorporata nei programmi di impaginazione con il nome
di ‘‘giustificazione verticale’’, bisogna ricorrere però con moderazione, poiché un
testo a più colonne in cui le righe non sono allineate tra una colonna e l’altra può
risultare sgradevole all’occhio.
5.6.5
Altre norme grafiche
Di norma la spaziatura tra le parole all’interno della riga oscilla entro un certo
valore. Può capitare che per le necessità di giustificazione della riga tale spazio sia
talvolta eccessivamente ampio o, al contrario, eccessivamente stretto. In gergo
tipografico, nel primo caso si parla di ‘‘riga larga’’, nel secondo di ‘‘riga stretta’’;
entrambe sono considerate inestetiche, in particolare quando a seguito di ciò la riga
spicca all’interno della pagina e può disturbare la leggibilità.
Nei limiti del possibile in questi casi è dunque necessario intervenire per correggere l’inconveniente. Ciò si può fare in due modi differenti: modificando la sillaba-
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zione in modo da ‘‘rubare’’ qualche lettera alle righe circostanti (ovviamente facendo
attenzione a non creare cosı̀ facendo delle nuove righe troppo larghe) oppure, se il
testo lo consente, allungando la riga tramite l’impiego di un sinonimo con qualche
lettera in più.
Un altro problema frequente nei testi composti elettronicamente (fotounità o
personal computer) è la parziale sovrapposizione che viene talora a crearsi tra caratteri
ascendenti e discendenti su due righe contigue. Il caso più frequente è quello della e
maiuscola accentata (È / É), il cui accento va a sovrapporsi alla parte discendente di
una lettera della riga superiore (p, g, q ecc.). Si presenta dunque la necessità di sfalsare
fra loro tali caratteri intervenendo sulla sillabazione alla fine delle righe coinvolte (o
con lievi interventi sul testo).
Analogamente, risultano talvolta troppo ravvicinati fra loro il segno di punteggiatura in tondo (in particolare punto e virgola, punto interrogativo e esclamativo,
parentesi di chiusura ecc.) e l’ultima lettera di una parola in corsivo. In questo caso è
necessario distanziare leggermente tra loro i due caratteri aumentando manualmente
lo spazio fra di essi.
Infine, ulteriori raffinatezze sono quella di spaiare fra loro le righe in cui più parole
(o parti di parola) identiche vengano a trovarsi incolonnate, specie quando questo
avviene a inizio o a fine riga, e quella di evitare che più righe consecutive terminino
con un a capo (tradizionalmente il limite tollerato è di tre a capo consecutivi).
5.7
Le citazioni
Quando all’interno di un libro viene riportato un brano di un altro testo ciò va
evidenziato anche dal punto di vista tipografico.
Nei paragrafi successivi si danno alcune indicazioni relative ai diversi tipi di
citazione. Qui si ricorda che, in linea generale:
« ogni citazione richiede che vengano dati gli estremi della sua fonte (in nota o tra
parentesi tonde alla fine della stessa citazione nel caso non siano previste note);
« ogni citazione va, se possibile, sempre controllata sulla fonte da cui proviene;
« le citazioni in lingua straniera vanno date di norma nella lingua originale con la
traduzione in nota;
« eventuali omissioni di una parte della citazione vanno segnalate tramite l’uso dei tre
puntini, preceduti e seguiti da uno spazio, anche senza l’impiego delle parentesi
quadre (non è in genere necessario usare i tre puntini all’inizio e alla fine della
citazione);
« quando è introdotta dai due punti, una citazione inizia di norma con la maiuscola;
« tutto ciò che, pur all’interno delle virgolette, non fa parte della citazione (commenti,
spiegazioni, integrazioni) va posto tra parentesi quadre;
« se è necessario porre tra virgolette un termine o un’espressione che si trovano
all’interno di una citazione già tra virgolette caporali, vanno usate le virgolette alte
(‘‘ ’’) e gli apici (‘ ’) per il grado successivo.
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Attenzione
Poiché, secondo le norme che regolano il diritto d’autore, non è possibile citare un
passo di un’opera senza autorizzazione, quando si utilizzano brani di autori ancora
tutelati (o di traduzioni nella stessa condizione) è bene comunicare la cosa a chi
nella casa editrice si occupa di tali questioni affinché, se è il caso, chieda gli
opportuni permessi (spesso tutto si risolve senza problemi, ma è sempre meglio
avvisare preventivamente, specie nel caso in cui le righe citate siano numerose).
5.7.1
Citazioni in prosa
Se breve, una citazione in prosa può andare di seguito nel testo, tra virgolette
caporali (« »).
Se è lunga o altre considerazioni lo consigliano, si può porla al di fuori del testo, nel
quale caso è opportuno distinguerla in qualche modo dal resto, per esempio:
« semplicemente mettendo a capo il blocchetto racchiuso tra virgolette caporali (« »)
nello stesso corpo e giustezza del testo senza spazio aggiuntivo oltre alla normale
interlinea; se la citazione prosegue per più di un capoverso, le virgolette vanno
riaperte all’inizio di ogni capoverso, ma chiuse soltanto alla fine di tutta la
citazione;
« mettendo il blocchetto a capo, senza virgolette, con un rientro a destra e a sinistra (di
solito equivalente a uno spazio corrispondente a quello del rientro della prima riga
del paragrafo del testo principale), separato di mezza o di una interlinea da quanto
precede e segue; spesso in questo caso si usa anche utilizzare un corpo minore.
Anche le citazioni in lingua straniera, specie se particolarmente lunghe, possono
rimanere in tondo.
5.7.2
Citazioni in versi
Se la citazione è breve e estemporanea, essa può essere lasciata di seguito nel testo,
tra virgolette, con i versi separati dalla barra verticale ( | ), piuttosto che da quella
obliqua, con uno spazio prima e dopo; la doppia barra ( || ) indica la separazione di
strofa.
Se i versi sono numerosi si citano ponendoli in un blocchetto centrato nella pagina
sul verso più lungo, nello stesso corpo del testo e senza virgolette di apertura e
chiusura; è bene separare il blocchetto dal testo principale con mezza o una interlinea
bianca.
Se nella stessa pagina vi sono due o più blocchetti di versi, tutti gli incipit dei versi
devono essere allineati fra loro; verrà dunque centrato il verso più lungo di tutti i
blocchetti e gli altri saranno allineati di conseguenza.
Quando un blocchetto è suddiviso su due pagine, ognuna delle due parti deve essere
allineata a sé.
Se la lunghezza di un verso supera la giustezza della pagina, l’ultima parte di esso va
posta a capo allineata verso destra, in modo che la fine del moncherino coincida grosso
modo con la fine del verso cui appartiene.
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Esempio di citazione di lettera
Firenze 24 ottobre 1832
Caro Papà mio,
torno in questo punto da una breve passeggiata che ho fatto dopo un mese
giusto di ritiro. Sto sufficientemente, e spero che le forze mi torneranno presto, se
la stagione mi lascerà fare un poco di moto. Non sono ancora deciso dove passare
l’inverno, e la decisione dipenderà in gran parte dalla mia salute. Caro Papà mio,
scriverei più, ma gli occhi non mi concedono altro. Saluto tutti, e bacio a Lei
affettuosamente la mano.
Il suo Giacomo.
P.S. Aspetto a momenti l’esemplare del Bonafede, che deve già essere in
Firenze.
Se i versi da spezzare fossero particolarmente numerosi, si può pensare all’eventualità di ricorrere a un corpo minore, da usare nel caso per tutte le citazioni in poesia
presenti nel libro.
Anche i versi in lingua straniera vanno in tondo. L’eventuale traduzione va data in
nota, con i versi di seguito, separati dalla barra verticale ( | ), piuttosto che con quella
obliqua, con uno spazio prima e dopo; la doppia barra ( || ) indica la separazione di
strofa.
Si ricorda infine che i versi italiani iniziano con l’iniziale maiuscola solo quando
richiesto dalla punteggiatura, mentre in alcune lingue straniere (es.: inglese) di norma
ogni verso comincia con la maiuscola: tale consuetudine va rispettata nella citazione.
5.7.3
Citazioni di lettere
Quando si cita una lettera nella sua interezza va fatto in modo che, attraverso un
opportuno utilizzo degli allineamenti e degli spazi bianchi tra le diverse parti, venga
riprodotta il più fedelmente possibile la sua struttura originale.
In particolare:
« data e firma vanno giustificate a destra;
« l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il
testo ha i paragrafi rientrati; è invece rientrata la prima riga di ogni successivo
paragrafo;
« la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno
spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto tra la data e l’inizio
della lettera (circa mezza interlinea), tra l’intestazione e il primo paragrafo (circa tre
punti) e tra la fine della lettera e la firma (circa mezza interlinea).
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Diversi esempi di elencazioni
1. data e firma vanno giustificate a destra;
2. l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il
testo ha i paragrafi rientrati; è rientrata la prima riga di...
3. la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno
spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto...
a) data e firma vanno giustificate a destra;
b) l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il
testo ha i paragrafi rientrati; è rientrata la prima riga di...
c) la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno
spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto...
I - data e firma vanno giustificate a destra;
II - l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il
testo ha i paragrafi rientrati; è rientrata la prima riga di...
III - la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno
spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto...
- data e firma vanno giustificate a destra;
- l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il
testo ha i paragrafi rientrati; è rientrata la prima riga di...
- la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno
spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto...
« data e firma vanno giustificate a destra;
« l’intestazione «Caro amico» e simili, se è su una riga a sé, va a filo anche quando il
testo ha i paragrafi rientrati; è rientrata la prima riga di...
« la lettera è separata dal testo da una riga di bianco prima e una dopo; un opportuno
spazio di bianco in aggiunta alla normale interlinea va posto...
5.8
Elencazioni
Un’elencazione per punti può essere fatta di seguito nel testo (se è necessario
risparmiare spazio) o andando a capo per ogni singolo punto.
I singoli punti possono essere evidenziati a seconda dei casi (e delle preferenze
personali) con numeri o lettere (queste ultime preferibilmente in corsivo e minuscole),
o qualcuno dei simboli di solito impiegati in questi casi (un pallino nero, come in
questo libro, una lineetta, un segno di spunta ecc.).
Numeri e lettere sono da preferire se nel testo è previsto un richiamo ai punti
dell’elencazione.
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Tra il simbolo di apertura, qualunque esso sia, e l’inizio del testo va posto uno spazio
fisso (o una tabulazione), in modo che tutti i blocchetti comincino ben allineati;
eventualmente lettere o numeri possono essere seguiti da una parentesi tonda chiusa o
da un punto.
È bene inoltre che le righe successive alla prima comincino rientrate rispetto al
margine, in modo che i singoli punti dell’elencazione risultino ben evidenziati.
Per il segno di interpunzione da utilizzare alla fine di ogni blocchetto ci si regoli in
base alla punteggiatura usata al suo interno: se i blocchetti sono brevi e al loro interno
non vi sono segni di interpunzione, basta la virgola; se al loro interno vi sono delle
virgole, ci vorrà almeno il punto e virgola; se i blocchetti sono particolarmente lunghi e
hanno al loro interno una punteggiatura complessa, si usi il punto.
Fondamentale è che il segno di interpunzione finale sia uguale per tutti i blocchetti.
Quando si usa il punto, ogni blocchetto – anche il primo – inizia con la maiuscola.
Si noti tuttavia che in generale, specie se i punti sono molto brevi, magari di una sola
parola, possono bastare a scandirli la loro disposizione spaziale all’interno della
pagina e gli spazi bianchi che li contornano; di conseguenza si può utilizzare il punto di
chiusura solo per l’ultimo della serie, lasciando i precedenti privi di segni di
interpunzione.
5.9
Le note
Di norma le note vanno a piè di pagina, in corpo minore di un paio di punti rispetto a
quello del testo (di norma 8 o 9 punti). Tra il blocchetto delle note e il testo è bene che ci
siano un paio di interlinee. Il primo capoverso del paragrafo della nota non è rientrato
anche quando i capoversi del testo lo sono, ma, quando cosı̀ si è scelto per il testo
principale, lo sono eventuali capoversi successivi.
Quando le note sono a piè di pagina, la numerazione, di norma, riparte da 1 a ogni
capitolo o anche a ogni pagina. In presenza di un testo breve e di un numero ridotto di
note, la numerazione può essere anche progressiva dal primo all’ultimo capitolo.
Quando le note sono poste a fine capitolo, la numerazione riparte senz’altro da 1 a
ogni nuovo capitolo.
Se invece le note sono poste tutte alla fine del testo, si possono avere i due seguenti
casi: se esse sono raggruppate per capitolo, la numerazione inizierà da 1 a ogni nuovo
capitolo; se esse si susseguono senza divisioni, anche la numerazione delle note sarà
progressiva all’interno del testo. Il primo sistema di numerazione e disposizione delle
note è quello consigliato; gli altri possono essere funzionali a determinati tipi di testo,
ma sono in genere poco apprezzati per le difficoltà di consultazione che implicano.
In particolare, considerazioni di ordine contenutistico (note eccezionalmente
ampie o, al contrario, con meri rimandi bibliografici) o esigenze tipografiche
specifiche possono richiedere che le note siano collocate a fine volume. Anche in
questo caso esse vanno in corpo minore (circa un punto in meno rispetto al testo).
La sezione del libro con le note sarà aperta dal relativo occhiello.
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Le note andranno tutte di seguito, raggruppate per capitolo sotto il relativo titoletto,
che andrà considerato alla stregua di titolo di sottocapitolo di primo livello (5 4.6.
punto c).
Ogni nota deve essere separata dalla successiva da qualche punto in più rispetto alla
normale interlinea (su un’interlinea 11, circa 3 punti).
Per i numeri, si usano di norma le cifre arabe.
Il rimando all’interno del testo va in apice, in corpo inferiore di almeno due punti
rispetto a quello del testo. Esso va sempre posizionato dopo gli eventuali segni di
interpunzione:
esala come profumo dal mondo della volontà.1
«... quello che dice e fa ci sembra naturale e pertanto necessario».2
è stata enucleata dagli esperti della letteratura (Eco),3 e le più sottili fibre
del suo essere...
Il numero corrispondente al piede della pagina va in tondo, nello stesso corpo del
testo della nota, dal quale è separato tramite un punto o un quadratone:
2. Vedi J.W. Goethe, Faust...
Se nella stessa pagina ci sono più note, i relativi blocchetti al piede vanno separati
fra loro da qualche punto in aggiunta alla normale interlinea (es.: circa 2 o 3 su
un’interlinea 10).
Nel caso di una nota estemporanea, specie se a un titolo, invece del numero arabo si
può usare come simbolo di rimando uno dei segni non alfabetici della tradizione
tipografica (di solito l’asterisco), in apice; lo stesso segno va ripetuto a piè di pagina,
separato dal testo della nota con un quadratone.
Attenzione
Una nota a piè di pagina dovrebbe stare tutta all’interno della pagina in cui si trova
il rimando. Può però terminare alla pagina successiva a quella in cui è cominciata
in relazione al numero di note contenute nella pagina e alle loro dimensioni e se il
rimando in apice all’interno del testo è nell’ultima riga della pagina.
5.9.1
Indicazioni bibliografiche nelle note
Quando in una nota viene menzionata un’opera per la prima volta, essa va citata
completa di tutti i suoi dati bibliografici: per essi e per l’ordine in cui vanno forniti, 5 4.8.
Rispetto a quanto detto precedentemente, si ricorda che nelle note il nome di
battesimo dell’autore (spesso, specie se già citato, con la sola iniziale) precede il
cognome, senza virgola fra i due.
Per introdurre l’opera da citare, le formule comunemente utilizzate sono Cfr. (lat.
Confer, Confronta) oppure Vedi/Si veda: l’importante è la coerenza nell’uso una volta
optato per una delle due.
Oltre ai dati forniti in bibliografia, le note hanno in genere un rinvio più puntuale a
una singola parte del libro.
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Il tipometro
Tra i ‘‘ferri del mestiere’’ propri del redattore prima dell’avvento della composizione
elettronica vi era il tipometro. Nella sua forma più comune esso era una sorta di
righello di precisione in materiale trasparente che riportava una serie di scale
graduate in diverse unità di misura: nei modelli più comuni tali unità erano il
millimetro, il pollice, la riga Pica, la riga Didot e alcuni dei più comuni sottomultipli
della riga Didot (6/12, 7/14, 8, 9, 10, 11, 13); qualche modello offriva anche la
possibilità di misurare il corpo del carattere (nel caso, partendo dalla maiuscola).
Il tipometro era indispensabile per calcolare l’interlinea di un testo, verificare se una
pagina era interlineata o sterlineata o se gli spazi tra una parte e l’altra del testo, che
venivano aggiunti manualmente, erano stati inseriti correttamente...
Proprio per l’elevato numero di funzioni riunite in un solo strumento, il suo uso non
era cosı̀ immediato per il neofita. In particolare, una volta noto il sistema di misura
utilizzato nella composizione (di norma il sistema Didot), per calcolare in che
interlinea era composto un dato testo si posizionava lo zero della scala graduata
relativa alla base del primo rigo del testo, si contavano dodici righi di testo e si
guardava quale numero della scala corrispondeva al tredicesimo rigo: tale numero
era il valore dell’interlinea; la linea graduata situata sopra o sotto la base del carattere
del tredicesimo rigo indicava rispettivamente una pagina interlineata o sterlineata.
Una volta stabilita l’interlinea, era possibile, utilizzando la scala adeguata, appurare
velocemente il numero di righi contenuti in una pagina.
Con l’avvento della composizione elettronica, che consente di utilizzare frazioni
minuscole del punto o valori decimali per corpi e interlinee, e che consente la
giustificazione verticale, il tipometro è definitivamente ‘‘andato in pensione’’. Ma
attenzione: è ancora indispensabile sapere sempre quale ‘‘metro’’ usa il programma
di impaginazione!
Si danno qui di seguito alcune indicazioni per il comportamento da tenere nei casi
più comuni.
« Per il volume si usa l’abbreviazione vol. (plurale: voll.), seguita dal relativo numero
in numeri romani maiuscoli.
« La parola tomo non si abbrevia; il numero del tomo, se successivo a quello del
volume, va in numeri romani in maiuscoletto (se il tomo compare da solo il numero
va in maiuscolo).
« Parte o sezione non si abbreviano, l’eventuale numero va dato in lettere.
« Il capitolo si abbrevia in cap./capp.; il numero va in numeri romani in maiuscoletto. Se il capitolo ha un titolo, questo va in tondo tra virgolette, introdotto dai
due punti, dopo i dati relativi al volume; se però il capitolo ha una propria
autonomia all’interno del libro (es.: volumi miscellanei e simili), il titolo del
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capitolo va in corsivo come primo dato, seguito dai riferimenti al volume
introdotti dalla preposizione in:
Eric Auerbach, Mimesis, Einaudi, Torino 1956, 2 voll.: vol. II, cap. VI,
«La cena interrotta», pp. 155-97.
Gianfranco Contini, La verità sul caso Cardarelli, in Esercizi di lettura,
Einaudi, Torino 1974, pp. 34-42.
Giovanni Pozzi, Il tema religioso nelle poesie del Porta, in La poesia di
Carlo Porta e la tradizione milanese, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 71-92.
« Il paragrafo si abbrevia in par./parr. oppure si può utilizzare il simbolo §.
Il numero di pagina è preceduto dall’abbreviazione p./pp.; per i numeri composti,
dalle centinaia in su del secondo numero possono essere date solo le ultime due cifre, a
patto che la penultima non sia zero. Dove possibile, è preferibile citare sempre la prima
e l’ultima pagina, piuttosto che soltanto la prima seguita dall’abbreviazione s./ss. Nel
caso in cui il concetto al quale si fa riferimento ricorra in più punti all’interno di un
numero di pagine citate queste possono essere seguite dall’espressione passim (qua e
là), in corsivo (es.: pp. 54-63 passim).
Casi particolari:
« Nelle opere teatrali, i termini atto e scena non si abbreviano; il numero dell’atto va in
numeri romani e in maiuscolo, quello della scena in numeri romani in maiuscoletto.
« Per la poesia, il numero dei versi è preceduto dall’abbreviazione v. / vv.; eventuali
suddivisioni in canti o simili vanno in numeri romani in maiuscoletto.
« I riferimenti a opere classiche (latine e greche soprattutto, ma in molti casi anche
delle epoche successive) seguono spesso delle regole proprie: in particolare, non è in
genere necessario usare gli specificatori libro, paragrafo, verso ecc. (talvolta è
superfluo persino il titolo dell’opera!), ma basta dare i riferimenti numerici nell’ordine di volta in volta più appropriato. Nel dubbio, chiedere il parere di un esperto.
Erodoto, I, 56.
Odissea, V, 480.
Dante, Paradiso, XXX, 56-58.
Shakespeare, Romeo e Giulietta, I, V, 53-56.
« Per le citazioni dalla Bibbia si dà il nome del libro in tondo, abbreviato e non puntato
(5 12.2), seguito dal numero del capitolo e del versetto, entrambi in cifre arabe e in
tondo, separati fra loro da una virgola.
Gv 4, 13
Se il volume ha una bibliografia che raccoglie tutti e soltanto i volumi citati nel
testo, si può scegliere di dare le indicazioni bibliografiche nelle note in forma
abbreviata. Il metodo di abbreviazione consigliato è quello di indicare il nome
dell’autore seguito dall’anno della pubblicazione dell’opera (se nello stesso anno
l’autore ha pubblicato più opere, queste si distingueranno fra loro tramite una lettera:
es.: Eco 1974a, Eco 1974b).
Si può scegliere di segnalare i dati bibliografici in forma abbreviata anche nel caso
che una o più opere vengano costantemente citate nelle note. In questo caso i dati
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completi vanno indicati in un apposito elenco posto in apertura del volume (o della
stessa sezione delle note, se queste sono in fondo al volume). Tale sistema è
raccomandato in particolare nei casi di opere in più volumi o comunque con dati
bibliografici particolarmente complessi.
Nel caso in cui si debba citare un’opera già citata in precedenza, i riferimenti si
possono dare in forma abbreviata. In particolare:
a) Se essa è stata citata in una nota non immediatamente precedente, va ripetuto il
nome dell’autore (col nome di battesimo puntato, o anche soltanto il cognome) e il
titolo, seguiti dall’abbreviazione cit., in tondo, e dal nuovo riferimento alla pagina; se
il titolo è particolarmente lungo, se ne può citare solo la prima parte, purché esso
rimanga riconoscibile; se il rinvio è a una edizione o traduzione specifica, oppure a una
sezione di un libro già precedentemente citato, si può usare di volta in volta
l’abbreviazione del caso (ed. cit., trad. cit., vol. cit. ecc.):
1. Georges Duby, I peccati delle donne nel Medioevo, Laterza, RomaBari 1997, p. 55.
...
1. G. Duby, I peccati delle donne nel Medioevo, cit., p. 56.
1. L. Azzini, Flussi di valori, reddito e conservazione del capitale nelle
imprese, Giuffré, Milano 1976, p. 76.
...
1. L. Azzini, Flussi di valori, cit., pp. 77-79.
1. Omero, Iliade, trad. di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1963,
XV, 34.
...
1. Omero, Iliade, trad. cit., XVI, 85-93.
Se di un autore è citata sempre la stessa opera, si può mettere soltanto il nome
seguito dall’abbreviazione op. cit. (opera citata), in corsivo, che sostituisce quindi
anche il titolo.
1. James Joyce, Ulisse, Mondadori, Milano 1960, p. 245.
...
1. Joyce, op. cit., p. 320.
b) Se l’opera è stata citata nella nota appena precedente, tutti i dati bibliografici che
rimangono inalterati possono essere sostituiti dall’abbreviazione ibid. (lat. ibidem,
nello stesso luogo), in corsivo, seguita dai nuovi riferimenti (volume, pagina ecc.):
1. Pascal Dibie, Storia della camera da letto, Rusconi, Milano 1988,
pp. 27-28.
2. Ibid., p. 29.
1. H. von Moltke, Gesammelte Schriften und Denkwürdigkeiten, Mittler
& Sohn, Berlin 1891-93, 8 voll.: vol. II, Vemischte Schriften, 1892, pp.
171-228.
2. Ibid., pp. 213-14.
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Nella seconda nota del secondo esempio si intende che il rinvio è alla stessa opera e
allo stesso volume della nota precedente.
c) Se tutti i dati bibliografici di una nota coincidono con quelli della nota appena
precedente, compreso il rinvio alla pagina, si usa l’espressione loc. cit. (lat. loco citato,
nel luogo citato):
1. Reay Tannahill, Storia dei costumi sessuali, Rizzoli, Milano 1985, p. 55.
2. Loc. cit.
5.9.2
Note del curatore e del traduttore
Se oltre alle note dell’autore sono presenti note del curatore o del traduttore, si pone
alla fine di queste ultime rispettivamente l’indicazione [N.d.C.] o [N.d.T.], tra
parentesi quadre e in corsivo (senza spazi tra le lettere; il punto finale della nota va
dopo tali indicazioni).
5.10
Le illustrazioni
Le illustrazioni possono essere collocate:
a) di seguito nel testo, nel luogo via via più opportuno a seconda della trattazione
dell’argomento;
b) accorpate in uno o più punti del libro (es.: al centro, alla fine ecc.).
a) La prima soluzione è consigliabile quando le illustrazioni costituiscano parte
integrante del testo e quando in quest’ultimo vi siano frequenti rinvii a esse.
Se non sono particolarmente numerose, le figure vanno numerate progressivamente
dall’inizio alla fine del volume (ciò facilita tra l’altro i rinvii a esse da qualunque parte
del testo); se esse sono invece numerose, può essere opportuno numerarle per capitolo,
secondo la formula Figura 3.1, Figura 3.2, Figura 4.1, Figura 4.2 ecc.
Nella preparazione di un originale con illustrazioni, il punto dell’inserimento andrà
segnalato apponendo un’opportuna indicazione nel file o a margine dello stampato
(es.: qui Figura 3): sarà l’impaginatore a decidere come collocare l’illustrazione in
base alle sue dimensioni e al punto della pagina in cui cade il riferimento.
In qualche caso può essere opportuno dare un elenco delle illustrazioni: esso va di
norma in apertura di volume, dopo l’indice generale.
b) La scelta di riunire tutte le illustrazioni in un unico punto del volume può essere
dettata da ragioni di contenuto (quando esse non sono parte integrante del testo, ma
semplice fattore di abbellimento) o grafiche (quando per le loro caratteristiche esse
non possono venire stampate sulla stessa carta usata per il testo, se non a scapito
della qualità). Nel primo caso possono essere stampate sulla stessa carta del testo;
nel secondo su una carta dalle caratteristiche più adeguate (es.: carta patinata). In
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Il dimensionamento delle illustrazioni: pixel e risoluzione
Prima dell’avvento dell’elaborazione elettronica delle immagini, quando l’originale consegnato al tipografo era unicamente una stampa fotografica o una diapositiva, era spesso necessario intervenire per adattare l’originale di un’illustrazione
alle dimensioni della pagina o dell’ingombro in cui essa doveva essere collocata;
l’unica modifica possibile, oltre al ‘‘taglio’’ (per evidenziarne solo qualche particolare), era il ridimensionamento proporzionale, eseguito tracciando con squadra e
matita una diagonale e calcolando le effettive dimensioni dell’immagine nel suo
formato finale.
Oggi il formato ‘‘di lavoro’’ delle immagini è solamente quello digitale: anche la
stampa o la diapositiva originale viene infatti dapprima acquisita con uno scanner e
salvata in un file. È dunque fondamentale accertarsi che le caratteristiche di tale
formato siano corrette per l’utilizzo finale.
Per le immagini di tipo raster (o bitmap, in cui ogni punto contiene un’informazione
per ciascuno dei colori fondamentali, tipicamente le fotografie) sono due i fattori che
concorrono a determinare il formato di un’immagine digitale: il numero di pixel (in
altezza e in larghezza) e la risoluzione alla quale l’immagine sarà utilizzata in dpi
(dot per inch, ovvero punti per pollice).
Per fare un esempio, una fotografia da stampare su carta dovrà avere una risoluzione
non inferiore a 300 dpi; ricordando che un pollice equivale a 2,54 cm, per poterla
stampare con una base di 9 cm senza perdita di definizione, dovrà avere una
larghezza di almeno 300 c (9/2,54) = 1063 pixel. La stessa immagine, se sarà
utilizzata in un cd-rom o in un sito Internet (quindi con la risoluzione dello schermo
di 72 dpi) potrà avere una larghezza di soli 72 c (9/2,54) = 255 pixel; questa
larghezza, su uno schermo con definizione di 1024 c 768 pixel, corrisponde a circa
un quarto della larghezza dello schermo.
Il secondo tipo di immagini è quello vettoriale (tipicamente i disegni), in cui i vari
elementi non sono descritti punto per punto bensı̀ con ‘‘istruzioni’’ che ne
definiscono la forma e il colore; tale tipo di illustrazioni è completamente
svincolato dalla risoluzione, in quanto risulta deformabile senza alcuna perdita
di definizione; è compito del software di stampa di rasterizzare queste immagini, e
ciò viene fatto alla massima risoluzione accettata dal dispositivo di stampa.
Bisognerà solamente, in questi casi, assicurarsi che lo spessore dei fili o gli
eventuali testi inclusi nel disegno siano stati dimensionati in modo proporzionato
al formato finale dell’immagine.
entrambi i casi si parla di tavole fuori testo, ciò significa che le pagine su cui le
illustrazioni sono stampate non vengono considerate nel computo complessivo
delle pagine del libro (ma, almeno nel primo caso, esse vanno ovviamente tenute
presenti per la foliazione di stampa!).
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5.10.1
Le didascalie
Le didascalie vanno a blocchetto con una giustezza che si accordi con la relativa
immagine, in tondo e in corpo minore di un punto circa rispetto a quello del testo.
Se l’illustrazione non occupa tutta la pagina, tra il blocchetto della didascalia e il
testo ci devono essere circa due interlinee.
La didascalia può essere preceduta dalla parola ‘‘Figura’’, con l’iniziale maiuscola
e in tondo (eventualmente abbreviata), seguita dal relativo numero; tra il numero e
l’inizio della didascalia va un quadratone.
5.10.2
La legenda
Eventuali scritte all’interno di un’illustrazione (lettering) vanno in tondo, con
l’iniziale maiuscola e senza punto finale.
Si eviti comunque, se possibile, di appesantire l’illustrazione con numerose scritte.
Si adotti piuttosto una serie di simboli, opportunamente spiegati in una legenda
esterna.
5.11
Le tabelle
Le caratteristiche basilari di una tabella devono essere la leggibilità e facilità di
consultazione: si scelgano dunque caso per caso il tipo e il corpo del carattere, i filetti e
l’orientamento più opportuni in funzione di questo.
In generale si ricorda che, dove possibile:
« L’orientamento verticale va preferito a quello orizzontale.
« Di preferenza la tabella deve stare su una sola pagina; se è troppo grande, bisogna
disporla su due pagine affiancate.
« È bene non abbondare con gli accessori grafici (filetti, riquadri, colori ecc.),
limitandoli ai casi di effettiva necessità e orientandoli di norma secondo la direzione
in cui si sviluppa la lettura.
« Eventuali note vanno al piede della tabella, con il corpo, l’allineamento e gli spazi
più opportuni perché siano chiaramente distinte dal testo e dal contenuto della
stessa tabella.
Fra testo e tabella vanno lasciate circa tre interlinee: un’adeguata distanza dal testo
può rendere superfluo il filetto all’estremità superiore o inferiore della tabella; se lo
spazio deve essere per forza limitato si può chiudere la tabella in un box.
La didascalia segue le stesse norme elencate per le illustrazioni (5 5.10.1), con la
sola differenza che essa è introdotta in questo caso dalla formula fissa ‘‘Tabella n’’, in
tondo, con l’iniziale maiuscola, separata da un quadratone dal testo della didascalia.
Analogo discorso vale per la numerazione, che può essere progressiva per l’intero
libro o ricominciare da 1 a ogni nuovo capitolo secondo i criteri esposti nel caso delle
illustrazioni (5 5.10.1).
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5.12
I rimandi interni
Per rinviare da un luogo del testo o da una nota a un altro luogo all’interno di esso si
usano a seconda del caso le seguenti formule:
Vedi sotto/sopra, p. XX (rimando a un punto del testo);
Vedi sotto/sopra, p. XX e nota Y (rimando a un luogo del testo e a una
nota);
Vedi sotto/sopra, p. XX nota Y (rimando alla nota Y, in una pagina che
contiene più di una nota);
Vedi sotto/sopra, p. XX nota (rimando all’unica nota di pagina XX).
Per rinviare a un’illustrazione o a una tabella si possono usare due differenti criteri,
a seconda di dove cade il rinvio: se esso è in forma discorsiva all’interno del testo, si
mantengono i termini interi Figura/Tabella/Tavola; se è tra parentesi, si possono usare
le forme abbreviate Fig./Tab./Tav.
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6
IL CARATTERE
6.1
Font e corpi
Il font (o, un tempo, la fonte) è il disegno, la forma del carattere. Il corpo del
carattere è la sua dimensione, la sua altezza. Le varianti sono le forme in cui si presenta
il carattere: tondo, corsivo, maiuscoletto.
La varietà disponibile di font è immensa ed è andata ampliandosi a dismisura con lo
sviluppo delle tecnologie di composizione e impaginazione. Questa abbondanza di
forme e disegni può fuorviare il grafico che può abusarne nell’intento di creare un
layout innovativo. È un errore da evitare perché porta generalmente alla realizzazione
di una pagina confusa.
I font impiegati nella produzione editoriale non sono moltissimi e, soprattutto, sono
riconducibili a poche grandi famiglie. Generalmente il font è costante per tutti i volumi
della stessa collana e, spesso, per tutta la produzione di uno stesso editore.
Una buona regola è quella di usare due font diversi, uno per i titoli di ogni livello e
uno per il corpo del testo e le note. Per evidenziare qualche parte del testo è bene
intervenire soprattutto sulla variante del carattere.
Il corpo del carattere, cioè la sua grandezza, si misura in punti tipografici. Dopo
l’avvento della fotocomposizione, le dimensioni del carattere possono variare praticamente senza soluzione di continuità da zero all’infinito (compresi i decimali). Di
norma tuttavia il corpo base del testo di un libro è compreso tra i 9 e i 14 punti (in
genere, tra 11 e 12).
Stabilito il corpo del testo base, si usa un corpo minore rispetto a esso per:
« le note (un paio di punti in meno se al piede o a fine capitolo; 1 punto se alla fine del
testo; 5 5.9);
« alcune delle componenti paratestuali (circa un punto in meno, 5 4.7);
« le didascalie delle figure (un paio di punti in meno);
« l’indice analitico (un paio di punti in meno);
« talvolta, le citazioni all’interno del testo (5 5.7.1, 5.7.2 e 5.7.3).
Possono avere un corpo maggiore di quello del testo i titoli di capitolo o sezione (in
genere, mezzo punto o 1 punto in più).
Attenzione
Tranne che per i casi sopra elencati, è bene che all’interno del testo il corpo del
carattere rimanga il più possibile costante. In particolare, è opportuno non variare
il corpo per i titoli di paragrafo o sottoparagrafo; per evidenziarli, si intervenga
piuttosto sulla variante del carattere.
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La classificazione dei caratteri
Fin dalle origini l’arte della tipografia ha sempre dedicato una particolare attenzione al
disegno del carattere. In passato quasi ogni grande stamperia aveva un proprio
carattere, per lo più disegnato e inciso dallo stesso stampatore. Ancor oggi molti dei
caratteri più usati nella stampa portano il nome di qualcuno di questi grandi stampatori
(Baskerville, Bodoni, Garamond...), ma assai di rado in questi casi il carattere
rispecchia esattamente il disegno originale; più spesso si tratta di... imitazioni. Con
l’avvento della fotocomposizione, che permette di elaborare nuovi tipi di carattere con
estrema facilità, si è infatti assistito a un proliferare di caratteri dal nome diverso ma
pressoché indistinguibili al tratto.
Ciò ha reso ancora più arduo il compito che già in passato aveva impegnato generazioni
di studiosi: quello di classificare i caratteri in grandi famiglie. Aldo Novarese, uno dei
più importanti esperti e disegnatori di caratteri tipografici del XX secolo, aveva
proposto una suddivisione in dieci gruppi: lapidari, medioevali, veneziani, transizionali, bodoniani, scritti, ornati, egiziani, lineari, fantasie. Tale suddivisione è oggi
praticamente dimenticata.
Una distinzione fondamentale, sempre valida, rimane quella tra caratteri con grazie (le
grazie sono i piccoli tratti terminali di ciascuna lettera) e caratteri lineari: i primi sono più
adatti per i documenti con parecchio testo, come è appunto il caso dei libri; i secondi si
prestano invece meglio per insegne o grandi scritte isolate come nei segnali stradali.
Ab12
Ab12
carattere con grazie
carattere senza grazie
Nell’esempio qui sopra il carattere con le grazie è un Times (quello usato in tutto il testo
di questo libro), il secondo un Helvetica (quello dei numeri di pagina di questo libro).
Essi sono fra i caratteri più usati; entrambi sono di creazione recente: il Times fu inciso
nel 1931 appositamente per il quotidiano «Times» (da cui il nome) in occasione di
un’operazione di rinnovamento della veste grafica; l’Helvetica fu prodotto nel 1957
dalle fonderie Haas, in Svizzera, per la segnaletica delle ferrovie svizzere.
Un tempo i caratteri erano disponibili in un numero limitato di corpi e di varianti (oltre al
tondo chiaro, il corsivo e, qualche volta, il neretto). Attualmente, le dimensioni del corpo
sono teoricamente illimitate (compresi i valori decimali) e per ogni carattere sono quasi
sempre disponibili, oltre al tondo, il corsivo, il neretto, il neretto corsivo; in qualche caso
(per esempio in quello dell’Helvetica, uno dei caratteri con il più elevato numero di
varianti), esistono addirittura una variante intermedia tra il chiaro e il neretto (medium),
il chiarissimo (extra light), il nerissimo (extra bold) e le versioni compressa (condensed)
e allargata (extended), tutte, a loro volta, nelle varianti tondo, corsivo, neretto.
Si noti infine che, sebbene tutti i programmi di videoscrittura consentano di ottenere le
varianti (corsivo, neretto, maiuscoletto ecc.) a partire dal tondo, ciò non avviene
secondo il rispetto dei canoni tipografici più rigorosi. Ogni font, anche digitale, viene
infatti disegnato all’origine nelle diverse varianti, seguendo per ogni singolo carattere
criteri di armonia e proporzione tra i vari elementi che lo costituiscono; tali criteri sono
necessariamente disattesi da un software che si limita, sulla base di un algoritmo, a
modificare l’inclinazione delle aste o a ispessirle.
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6.2
Varianti
Le varianti del carattere sono le varie forme che (quasi) ogni stile può assumere. Per
la maggior parte dei font esse sono le seguenti: tondo, corsivo, neretto, maiuscoletto,
cui può essere aggiunta la sottolineatura. Alcune di queste varianti possono anche
essere combinate fra loro, ma è cosa che si tende in genere a evitare.
A ciascuna variante è dedicato un paragrafo a sé qui di seguito.
6.2.1
Tondo
Il tondo è la variante di base di ogni carattere. Tranne casi particolari (5 4.7, punto a),
è quella che viene usata per il testo nel suo complesso.
6.2.2
Corsivo
Il corsivo serve per segnalare al lettore che una cosa si ‘‘stacca’’ in qualche modo dal
testo base.
Esso si usa in particolare nei seguenti casi:
« Per tutti i termini stranieri che non siano entrati nell’uso corrente italiano:
è un provvedimento per i soliti happy few
tra i due si stabilı̀ subito un certo feeling
Quanto alla morfologia, si ricorda che, quando un termine straniero è scritto in
tondo, rimane invariato al plurale; quando è in corsivo, va declinato secondo le
regole della lingua di provenienza (5 anche 13.2).
In ambito specialistico possono essere lasciati in tondo anche termini stranieri che
siano specifici della disciplina (in questo caso declinati comunque secondo la
morfologia della lingua di provenienza):
la regolamentazione dei capital gains (in un testo di economia)
l’applicazione di un by-pass (in un testo di medicina)
Può essere opportuno talvolta lasciare in corsivo termini entrati nell’uso italiano,
quando per la loro forma e per il contesto in cui ricorrono potrebbero essere confusi
con un omografo italiano:
salvare il documento in una serie di files (e non: in una serie di file)
le grandi vedettes della rivista italiana (e non: le grandi vedette)
Le citazioni in lingua straniera, specie se lunghe, vanno lasciate in tondo: bastano in
questo caso le virgolette (o la centratura nella pagina, nel caso di versi) a segnare lo
stacco con il resto.
« Per i nomi propri di navi, aerei e altri mezzi di trasporto, o di reparti militari (Orient
Express, Titanic, Folgore).
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« Per i titoli, di qualunque tipo essi siano (libri e articoli, quadri e sculture, film,
canzoni ecc.). Non vanno in corsivo ma in tondo con la maiuscola: Bibbia,
Vangelo / Vangeli, Antico / Vecchio e Nuovo Testamento (vanno però in corsivo i
singoli libri: Genesi, Apocalisse, Vangelo secondo Giovanni).
5 Per i titoli di capitolo si vedano anche i paragrafi 4.8.2 e 5.9.1.
« Per mettere in particolare evidenza una parola, in alternativa alle virgolette:
Ciò che conta è essere, non avere.
« Per i termini in latino della classificazione zoologica e botanica, il primo con
l’iniziale maiuscola, il secondo con la minuscola (Homo sapiens, Quercus alba).
« Per segnalare che una parola è usata in quanto tale e non in relazione al suo
significato (in alternativa è possibile utilizzare in questo caso anche le virgolette):
la parola cane non morde
sulle vocali a, i e u l’accento è sempre grave
« Per i termini di cui si dà spiegazione (in alternativa è possibile utilizzare le
virgolette):
In questo caso crisi va inteso nel senso di...
Attenzione
« Generalmente l’uso del corsivo è alternativo a quello delle virgolette, l’uno
tende cioè a escludere l’altro.
« Per non appesantire troppo il testo con i corsivi, se un termine che va in corsivo
ricorre più volte in un libro, può essere messo in corsivo solo alla sua prima
occorrenza e lasciato in tondo nelle successive.
« La punteggiatura interna a un corsivo va anch’essa in corsivo; quella invece che
separa due corsivi o che si trova alla fine dell’espressione in corsivo va in tondo.
A questo proposito, siccome il corsivo è leggermente inclinato rispetto all’asse
verticale del carattere, può succedere che il segno di punteggiatura in tondo che
segue il corsivo vada in parte a sovrapporsi alla parola precedente: in tal caso è
opportuno intervenire introducendo manualmente un piccolo spazio supplementare tra i due. Il segno di punteggiatura va anch’esso in corsivo quando fa
parte integrante dell’espressione in corsivo («Tu, scoperto a rubare? Non posso
crederci!»; «Intervenne con un perentorio Basta! che troncò sul nascere ogni
polemica»).
« All’interno di un testo completamente in corsivo, tutto ciò che dovrebbe andare
in corsivo va in tondo, oppure in corsivo tra virgolette.
Sul dattiloscritto o nelle correzioni a mano, il corsivo si indica con una sottolineatura semplice della parola (o della lettera) o con l’abbreviazione C.vo.
5 Per il maiuscolo e il maiuscoletto corsivi si vedano i paragrafi 6.2.5 e 6.3.
5 Per l’uso del corsivo nei simboli matematici si veda il paragrafo 10.4.
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La crenatura
Un vantaggio offerto dalla composizione nei sistemi di videoimpaginazione rispetto
alla composizione a piombo è quello dell’accostamento proporzionale dei caratteri
fra loro, a seconda del disegno della singola lettera.
I caratteri a piombo erano infatti sistemati sulla faccia di un blocchetto di uguale
misura per tutti i caratteri dello stesso corpo, indipendentemente dall’ingombro reale
delle singole lettere; questo faceva sı̀ che lo spazio fra una lettera e l’altra della stessa
parola sembrasse diverso a seconda delle coppie di lettere accostate (si pensi alla
coppia AV). Per risolvere l’inconveniente estetico, il tipografo raffilava con un’apposita lima le parti del disegno del carattere sporgenti dai lati del blocchetto su cui
esso era sistemato.
Tale operazione, chiamata kerning (o ‘‘crenatura’’, da cui deriva il nome l’odierna
tecnica) è svolta oggi da opportuni programmi che gestiscono lo spazio tra le coppie
di caratteri a seconda del loro disegno, diminuendolo ove necessario.
6.2.3
Neretto
Salvo casi particolari (es.: libri scolastici, manualistica, dizionari e simili), il neretto
(o grassetto; ingl. bold) è scarsamente utilizzato all’interno del testo; proprio per il
fatto che, date le sue caratteristiche, spicca in modo particolare nella pagina, ne va anzi
fatto un uso assai limitato. Esso si può utilizzare con maggior libertà, ma pur sempre
con parsimonia, per l’evidenziazione dei titoli.
Sul dattiloscritto o nelle correzioni a mano, il neretto si indica con una sottolineatura ondulata della parola (o della lettera), oppure con l’abbreviazione N.tto.
Le stesse considerazioni riguardano l’uso del neretto corsivo, da limitare ai casi in cui
sia strettamente indispensabile. Oltretutto esso è, al pari del neretto, una variante assai
recente e dunque manca a molti dei font tradizionali, oppure vi è stato aggiunto
successivamente non sempre con risultati soddisfacenti sul piano del disegno del carattere.
6.2.4
Sottolineato
Salvo casi molto particolari (es.: riproduzione anastatica di un testo manoscritto), la
sottolineatura non è di fatto mai usata all’interno di un libro a stampa.
Il sottolineato si usa nei dattiloscritti o nella correzione delle bozze per indicare
tutto ciò che nel testo a stampa va in corsivo.
6.2.5
Maiuscoletto
Il maiuscoletto è una variante del carattere in cui le lettere hanno forma uguale a
quella del maiuscolo, ma altezza ridotta (di poco superiore a quella del minuscolo).
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«
Il maiuscoletto si usa nei seguenti casi:
Per i sottotitoli di capitolo e per i titoli dei sottocapitoli.
Nei rinvii bibliografici, per le cifre romane che indicano:
- i numeri di pagina;
- il numero della scena di un’opera teatrale (es.: atto I, scena III),
- il numero di tomo, se è preceduto dall’indicazione del volume (vol. I, tomo II).
All’interno di un testo, invece del maiuscolo, per le sigle, specie se particolarmente
lunghe, o per parole o frasi che richiederebbero quest’ultimo.
Dal punto di vista grafico si ricorda che, in un testo in maiuscoletto:
non si usano le maiuscole (eventuali iniziali che richiedono la maiuscola si scrivono
anch’esse in maiuscoletto);
eventuali corsivi rimangono in tondo tra virgolette;
eventuali apostrofi vanno opportunamente abbassati in modo che siano alla stessa
altezza della linea superiore del carattere:
RETORICA E ERMENEUTICA
LA CRITICA DEL ‘‘LOGOS’’ E DELL’IDEOLOGIA IN «VERITÀ E METODO»
« in una dicitura a lettere tutte in maiuscoletto va comunque in maiuscoletto/minuscolo il prefisso patronimico scozzese Mac / Mc (A CURA DI WILLIAM McGUIRE).
Sul dattiloscritto o nella correzione delle bozze, il maiuscoletto si indica con una
sottolineatura doppia della parola (o della lettera) o con l’abbreviazione M.tto.
6.3
Maiuscolo
Il maiuscolo si usa per i titoli in occhiello e per i titoli di capitolo.
Poiché esso spicca molto nella pagina, all’interno del testo gli si preferisce in genere
il maiuscoletto (5 6.2.5).
Tradizionalmente non si usa il maiuscolo corsivo, tanto che la stragrande maggioranza dei font ne è priva: se all’interno di un blocchetto in maiuscolo ricorre un termine
che andrebbe in corsivo, bisogna usare il tondo tra virgolette.
In una dicitura a lettere tutte maiuscole va comunque in maiuscolo/minuscolo il
prefisso patronimico scozzese Mac / Mc: A CURA DI WILLIAM McGUIRE.
Se in un testo dattiloscritto o nella correzione delle bozze è necessario segnalare che
un termine scritto in minuscolo va corretto in carattere maiuscolo, si usa la tripla
sottolineatura oppure l’abbreviazione M.lo.
6.4
Iniziale maiuscola e/o minuscola
L’iniziale maiuscola si usa innanzitutto quando è richiesto dalla punteggiatura,
ovvero dopo il punto fermo; in genere dopo il punto interrogativo e esclamativo e i tre
puntini se hanno valore di punto fermo; per la prima parola di citazioni tra virgolette
introdotte dai due punti.
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L’iniziale maiuscola si usa inoltre per tutti i nomi propri, tanto di persona che di
cosa. Eccettuati questi due casi, ogni termine va di norma con l’iniziale minuscola.
Talvolta, tuttavia, la maiuscola viene utilizzata anche al di fuori degli stretti ambiti
sopra indicati. La conformità alla prassi editoriale più consolidata, esigenze specifiche
del singolo libro o ragioni di ordine stilistico, possono far propendere per la maiuscola
anche nei casi in cui di norma viene usata la minuscola e viceversa. Premesso questo e
tenuto conto che la tendenza oggi più diffusa è quella a minuscolizzare, si dà qui di
seguito una serie di indicazioni sul comportamento che si consiglia di tenere nei casi
che più frequentemente possono dare adito a dubbi.
a) Vanno di norma con l’iniziale maiuscola:
« I soprannomi (Plinio il Vecchio, Alessandro Magno, Lorenzo il Magnifico).
« Le espressioni antonomastiche (la Pulzella d’Orléans, la Grande Guerra).
« I nomi dei secoli (Duecento, Trecento) e dei decenni del XX secolo (anni Venti,
Trenta ecc.: la parola anni è minuscola).
« I periodi preistorici e geologici (Neolitico, Cambriano, Pleistocene).
« Particolari avvenimenti storici, divenuti unici per la loro eccezionalità; se sono
formati da un nome e da un aggettivo, l’aggettivo ha l’iniziale minuscola (Rivoluzione francese, Vespri siciliani, Patti lateranensi).
« Le festività religiose e civili (Natale, Pasqua, Primo Maggio).
« Gli aggettivi sostantivati indicanti regioni geografiche (Astigiano, Nuorese, Vicentino).
« Limitatamente all’ambito psicologico, i termini Io, Es, Sé, Super-io.
« I nomi dei pianeti, compresi il Sole, la Terra e la Luna quando sono citati in un
contesto strettamente astronomico.
« Nella classificazione botanica e zoologica, il nome del genere, cioè il primo della
serie (Homo sapiens, Quercus alba).
« I nomi degli apparati paratestuali (Appendice, Cronologia, Indice analitico).
« Talvolta, nei termini di cui si intende sottolineare che vanno considerati nel loro
significato più alto e nobile (la Storia, la Giustizia, la Cultura).
b) Hanno invece di preferenza l’iniziale minuscola:
« I nomi dei mesi e dei giorni della settimana.
« I termini via, piazza, viale e simili, come i corrispondenti francesi rue, place ecc. (ma
con la maiuscola gli inglesi Avenue, Street, Square ecc., in quanto posposti al nome).
« Le cariche amministrative, religiose, militari e simili (re – ma Re Artù e simili –,
principe, papa, vescovo, ministro, generale), sia quando sono seguiti dal relativo
nome proprio, sia quando sono citati da soli in sostituzione di esso (ma vogliono la
maiuscola se si tratta di un uso antonomastico).
« Movimenti politici, religiosi, filosofici (stoicismo, umanesimo, rinascimento,
marxismo, cattolicesimo) e relativi adepti (stoici, umanisti, marxisti, cattolici,
come anche francescani, gesuiti).
« Il nome generico nelle denominazioni di scontri e accordi politici (prima/seconda
guerra mondiale, congresso di Vienna, pace di Versailles, trattato di Amsterdam,
concilio di Nicea).
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« Gli appellativi signore, signora, signorina, don, professor(e), dottor(e).
« I nomi di creature mitologiche divenute ormai termini comuni (ninfe, centauri,
sirene, elfi).
c) Per i termini geografici:
« Quando sono formati da un nome comune e uno proprio (o che tale può essere
considerato nella specifica denominazione), ha la maiuscola solo il secondo (mar
Mediterraneo, lago di Garda, capo Sunio, oceano Atlantico, monte Bianco); il nome
comune è però maiuscolo quando costituisce parte integrante del nome proprio
(Terra del Fuoco), nel qual caso il secondo termine, se è un aggettivo, ha di norma la
minuscola (Fiume giallo, Montagne rocciose).
« Nel caso di costruzioni del tipo sostantivo seguito dall’aggettivo, è maiuscolo solo il
sostantivo (America latina, Africa meridionale); è maiuscolo anche l’aggettivo se
viene prima del nome (Gran Bretagna, Medio/Estremo Oriente);
« I termini Nord, Sud, Mezzogiorno, Oriente e Occidente vanno maiuscoli solo se
indicano una specifica regione geografica o fanno parte integrante del suo nome
(polo Nord/Sud, il Nord della Francia, la Corea del Sud, il Mezzogiorno d’Italia, il
ricco Occidente; ma: a nord di Roma, si diressero verso mezzogiorno, il sole
tramonta a occidente).
d) Per i termini designanti istituzioni, enti, società e simili:
« Il termine generico è tendenzialmente minuscolo (l’università di Milano, il comune
di Caltanissetta, il tribunale di Cagliari, uno scontro fra stati), salvo quando si dia la
denominazione ufficiale (l’Università degli Studi di Milano, la Regione Campania,
gli Stati Uniti) o il termine generico sia usato con valore antonomastico (ho studiato
alla Cattolica; le disposizioni della Regione).
« Hanno l’iniziale maiuscola i nomi di facoltà e corsi di studio; se sono nella forma
sostantivo più aggettivo, va in maiuscolo solo il primo (frequento Scienze politiche;
dalle due alle tre si tiene il corso di Filologia romanza).
« Similmente, sono maiuscoli i nomi dei ministeri, ma non i termini generici
ministero e ministro che eventualmente li precedono (ministero dei Lavori pubblici,
ministro della Pubblica istruzione, il Tesoro).
« Quando viene data per esteso una denominazione che esiste anche nella forma
siglata, ha la maiuscola solo il primo nome della serie (Banca nazionale del lavoro,
Partito democratico, Mercato comune europeo).
e) Altri casi particolari:
« Per i nomi di edifici il termine generico va di norma minuscolo, salvo quando fa
parte integrante del nome (palazzo Chigi, palazzo Madama; ma: la Fontana di
Trevi, la Casa Bianca, Ca’ Foscari, Castel Sant’Angelo.
« Per i nomi di popoli e gruppi etnici si usa in genere l’iniziale minuscola (greci,
turchi, aramei, apache, olmechi, wolof, fulbe). In qualche caso può essere opportuno l’uso della maiuscola per evitare confusioni in caso di nomi molto rari, ma è
sempre meglio evitare in quanto si dovrebbe giustificare perché Mapuche è
maiuscolo e francesi minuscolo...
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Le maiuscole di rispetto
Appena si esce dal ristretto ambito dei nomi propri, l’uso dell’iniziale maiuscola
diventa in genere discrezionale e più che di vere e proprie regole è opportuno parlare
di convenzioni redazionali, oltretutto in perenne evoluzione.
Fino a non molto tempo fa la tendenza generale era quella di abbondare nell’uso delle
maiuscole; oggi sembra farsi sempre più strada la tendenza opposta, ma con qualche
resistenza. Anche presso gli editori dichiaratamente favorevoli alle minuscole, le più
tenaci a morire sembrano essere le cosiddette ‘‘maiuscole di rispetto’’, quelle che
soprattutto un tempo venivano usate nel caso di titoli nobiliari (Re, Conte, Principe),
cariche (Presidente, Ministro, Direttore) e, soprattutto, organismi statali (Stato,
Camera, Parlamento).
Mentre per i nomi dei primi due gruppi la minuscola è ormai prevalente ovunque, non
altrettanto si può dire per i nomi del terzo gruppo. Solitamente la ragione addotta per
giustificare la scelta della maiuscola è quella che in tal modo essi si distinguono dai
loro omografi comuni. Il ragionamento è tuttavia pretestuoso. Nella lingua italiana
esistono infatti numerosi omografi per i quali non si avverte minimamente la
necessità di usare l’iniziale maiuscola per poterli distinguere.
«I due deputati si diedero appuntamento per il giorno successivo alla camera» è una
frase certo meno ambigua di «Tutti i capi superarono brillantemente l’esame» (si tratta
dell’ultima prova tecnica in una industria tessile prima del lancio di una nuova
collezione o della verifica delle competenze del personale di una grande azienda?);
eppure solo nel primo esempio si ritiene per lo più necessario l’impiego della maiuscola.
« I termini san / santo / santa vanno sempre minuscoli quando accompagnano il nome
della persona che porta tale titolo (le lettere di san Paolo, sant’Agostino, santa
Chiara); hanno l’iniziale maiuscola quando stanno a indicare il nome di un edificio,
una città e simili: la chiesa di Santa Maria Novella, la basilica di San Pietro, la città
di San Paolo, San Francisco).
« Per i titoli di periodici si segue nei limiti del possibile la dicitura che compare sulla
testata («Corriere della sera», «la Repubblica», «il manifesto»).
Per i nomi stranieri, infine, vanno seguite le regole previste per ciascuna lingua. In
particolare si ricorda che:
« in tedesco tutti i sostantivi si scrivono con l’iniziale maiuscola;
« in inglese vanno scritti in maiuscolo i nomi dei popoli e gli aggettivi da essi derivati,
tutte le parole di un titolo che non siano articoli o brevi preposizioni, gli appellativi
Sir, Lord, Miss, Mr. ecc.;
« in francese vanno scritti in maiuscolo le abbreviazioni Mme (= Madame), Mlle
(= Mademoiselle), M. (= Monsieur) e, nei titoli, il primo sostantivo dopo
l’articolo (5 4.8.1, punto b).
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Attenzione
Non cadete nell’errore - purtroppo meno raro di quel che si pensa - di interpretare
la emme puntata prima di un cognome francese per l’iniziale del nome. Infatti M.
Chirac, significa semplicemente monsieur Chirac e non Marcel Chirac o Marc
Chirac. Questo è favorito dalla tradizione francese – rivoluzionaria per un paese
ossequioso come l’Italia – di non usare titoli più o meno onorifici: per cui si cita
anche il presidente della repubblica semplicemente come ‘‘signore’’.
6.5
Apice e pedice
Si dicono apice o pedice rispettivamente un carattere stampato al di sopra o
lievemente al di sotto della base della riga. Di norma i caratteri in apice o pedice
devono essere di corpo inferiore a quello del testo (almeno un paio di punti).
Apice e pedice sono particolarmente usati in ambito scientifico nelle espressioni,
nelle formule chimiche ecc. (5 10.4 e 10.5).
Sono sempre in apice i rinvii alle note (5 5.9), l’asterisco, il segno ‘‘º’’ usato per
indicare l’ordinale, distinto tipograficamente dal simbolo ‘‘º’’ usato in ambito
scientifico come simbolo del grado nella misurazione degli angoli e nell’unità di
misura della temperatura in gradi Celsius (ºC), nonché i simboli ‘‘—’’ e ‘‘»’’.
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7
NORME GRAMMATICALI
7.1
L’accento
7.1.1
Accento grave e accento acuto
L’accento può essere grave (`) o acuto (´ ). Sulle vocali a, i, u, o quando è in fine di
parola l’accento è sempre grave (à, ı̀, ù, ò).
Sulla o all’interno di parola e sulla e, interna o finale, l’accento è grave o acuto a
seconda della pronuncia aperta o chiusa della vocale: non è quindi indifferente usare
l’uno piuttosto che l’altro. Nei casi in cui esso debba essere segnalato, è bene non
fidarsi della propria pronuncia e consultare sempre un buon vocabolario.
Alcune regole sono di semplice memorizzazione: per quanto riguarda la e finale di
parola l’accento è acuto (é) su ché, cong. causale, sui composti di ‘‘che’’ (affinché,
cosicché, giacché, perché, poiché ecc.), sui composti di ‘‘tre’’ (ventitré, trentatré ecc.)
e ‘‘re’’ (viceré), su né e sé. Per il resto è generalmente grave.
7.1.2
Quando è obbligatorio
Conformemente alla grammatica, l’accento va messo su tutte le parole polisillabiche tronche e sui seguenti monosillabi, per distinguerli dai rispettivi omografi: dà
(verbo), dı̀ (giorno) e relativi composti (lunedı̀, martedı̀ ecc.), là e lı̀ (avv. di luogo), sı̀
(avv. affermativo), tè (bevanda), su è (voce del verbo essere) e nei citati casi di né e sé
(per distinguerli dalla particella pronominale ne e dalla congiunzione se). Riguardo a
sé, per evitare inutili eccezioni, in linea con alcune grammatiche – e con l’abitudine di
alcuni scrittori – è possibile mantenere la grafia accentata anche nelle espressioni sé
stesso e sé medesimo dove non sarebbe necessaria perché l’equivoco non c’è.
L’accento va messo anche sulle parole polisillabiche formate da monosillabi che
usati da soli non lo hanno: quindi, oltre al caso citato dei composti di tre, aldiquà
(contrapposto a aldilà), autogrù, nontiscordardimé, viceré ecc.
Attenzione
Si scrivono senza accento do (verbo e nota) e su (avverbio e preposizione).
L’accento non va mai indicato con l’apostrofo, nemmeno sulle lettere maiuscole
(né e non ne’; È e non E’).
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L’accento
Come molti dei segni di interpunzione e come l’apostrofo, anche l’accento fu
introdotto nell’uso tipografico italiano sull’esempio del greco. Esso fa la sua prima
comparsa, ancora sporadica, alla fine del Quattrocento, e diventa via via più
frequente nel corso del Cinquecento e del Seicento, ma senza che si giunga mai a
una normativa precisa: l’unico dato rilevabile è che, proprio perché l’uso è esemplato
sul greco, prevale di norma l’accento grave in fine di parola e quello acuto
all’interno.
È nella seconda metà dell’Ottocento e nel Novecento che si comincia ad avvertire la
necessità di stabilire delle regole più rigorose. Cosı̀, alcuni propongono di accentare
tutte le parole sdrucciole e qualche scrittore (come Carlo Dossi e, più recentemente,
Gadda) si attiene nelle proprie opere a questa regola, che tuttavia non avrà grande
seguito. Altri promuovono l’uso di due diversi tipi di accento (acuto e grave) per
segnalare la diversa pronuncia aperta o chiusa della e e della o. Muovendo da questa
distinzione, si fa strada la prassi di distinguere anche le altre vocali accentate con lo
stesso criterio per cui si scrive sempre à, in quanto vocale aperta, e ı́ e ú, in quanto
vocali chiuse. Tale uso, che ebbe tra i suoi sostenitori anche figure autorevoli come
Carducci e Croce, si affermò per un certo periodo di tempo e alcuni editori (come
Einaudi) vi si attengono ancor oggi.
7.1.3
Quando è facoltativo (ma consigliato)
All’interno di parola in italiano l’accento non è mai obbligatorio. Può tuttavia
essere utile usarlo per distinguere fra loro termini omofoni e omografi. In questo caso
la scelta è a discrezione del redattore che dovrà decidere di volta in volta sulla base
principalmente del grado di ambiguità che presenta il contesto. Dei due omografi,
andrà di norma accentato quello meno comune (àncora piuttosto che ancóra).
Fermo restando quanto detto, è però bene indicare l’accento nei seguenti casi:
« Per distinguere fra loro gli omografi conseguenti alla scelta di scrivere con una sola
‘‘i’’ il plurale dei nomi in ‘‘-io’’ (5 7.8); in questi casi l’accento andrà di norma
segnalato sul termine parossitono, cioè con l’accento sulla penultima sillaba:
adultèri pl. di adulterio, benefı̀ci pl. di beneficio, demòni pl. di demonio, desidèri
pl. di desiderio, malefı̀ci pl. di maleficio, presı̀di pl. di presidio, princı̀pi pl. di
principio; senza accento invece i corrispondenti proparossitoni: principi pl. di
principe, adulteri pl. di adultero, benefici pl. di benefico, demoni pl. di demone ecc.).
« Corollario del punto precedente: può essere utile nei plurali dei nomi della serie in
‘‘-òrio’’, quando sussista la concreta possibilità di confusione con il corrispondente
plurale della serie in ‘‘-ore’’ (contraddittòri, uditòri ecc.).
« Nelle forme verbali dài e dànno, in dèi (divinità, ma Dei), èra (periodo di tempo),
sètte (pl. di setta), subı̀to, vòlta (arco).
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In alcuni tipi di testi, specie se a carattere prevalentemente didattico, può essere
utile accentare i termini poco comuni (tecnici, antiquati o letterari), quelli la cui
pronuncia è spesso errata nella lingua parlata (edı̀le, rubrı̀ca, utensı̀le), i nomi propri la
cui accentazione può essere dubbia in quanto si discosta da quella prevista (Òbizzo,
Bòvegno, Afragòla ecc.).
7.1.4
Accento circonflesso
L’accento circonflesso di norma non si usa. Esso risulta infatti antiquato e i casi in
cui veniva un tempo utilizzato possono essere risolti altrimenti. In particolare:
« nei casi in cui stava a indicare una contrazione può essere eliminato del tutto o, in
presenza di omografi, opportunamente sostituito dal semplice accento acuto o
grave (es. tòrre, togliere, per distinguerlo da torre);
« analogamente sarà sostituito dal semplice accento grave o acuto nei casi in cui
serviva a distinguere tra loro due omofoni: quindi non vôlta ma vòlta (arco).
5 Per il plurale dei termini in -io (tipo principı̂) si vedano i paragrafi 7.1.3 e 7.8.
7.1.5
Accentazione di termini stranieri
Particolare attenzione va posta nell’accentazione dei termini stranieri, per i quali è
indispensabile conformarsi alle regole previste per ciascuna lingua. In particolare, per
limitarci ai casi più frequenti, in francese l’accento – grave su à (prep.) e où (dove);
acuto, grave o circonflesso a seconda dei casi sulla ‘‘e’’ – va segnalato obbligatoriamente quando la lettera è minuscola; si può omettere sulle lettere maiuscole o in
maiuscoletto.
In spagnolo l’accento è sempre acuto e va posto obbligatoriamente anche sulle
lettere maiuscole o in maiuscoletto. Tranne casi particolari, in spagnolo si accentano
tutte le parole sdrucciole o bisdrucciole; le parole piane che non terminano in vocale, n
o s; le parole tronche che terminano in vocale, n o s.
In caso di dubbio, e per tutte le lingue meno conosciute, è opportuno consultare
un buon dizionario o una grammatica della relativa lingua, oppure ricorrere al
parere di un esperto.
7.2
7.2.1
L’apostrofo
Elisione
L’apostrofo segnala innanzitutto l’elisione, ossia la caduta della vocale finale di una
parola davanti a parola che inizia a sua volta per vocale. Si tratta di un fenomeno
fonetico caratteristico del parlato e da usare con parsimonia nello scritto.
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L’apostrofo
Il primo testo a stampa in cui compare l’apostrofo è l’edizione delle poesie del
Petrarca pubblicata a Venezia nel 1501 da Aldo Manuzio, uno dei più famosi e
importanti tipografi di tutti i tempi, cui l’aveva suggerito il letterato Pietro Bembo.
Il suo uso si afferma con una certa rapidità, tanto che già nel Settecento si può dire che
esso è utilizzato più o meno come oggi. Ma solo più o meno: a lungo infatti si
mantiene l’incertezza tra ciò che va considerato elisione (e che quindi, secondo le
norme attuali, richiede l’apostrofo) e ciò che è invece troncamento (e che quindi
rifiuta l’apostrofo).
Già molte delle grammatiche settecentesche sottolineano che bisogna scrivere un
uomo e non un’uomo, ma ancora nel Novecento uno scrittore di indubbia proprietà
linguistica come Croce, scrive costantemente qual’è e tal’è.
Dal punto di vista grafico, si osservi che, quando segnala l’elisione, l’apostrofo:
« va sempre unito sia alla parola che precede sia a quella che segue;
« non deve mai trovarsi a fine riga. In questo caso occorre intervenire mandando a
capo una sillaba in più o facendone risalire una, mai reintegrando la vocale caduta
(sono corretti del-l’albero o dell’al-bero; scorretti dell’ | albero e dello | albero).
Davanti a parola che inizia per vocale sono generalmente apostrofati gli articoli
determinativi lo e la, soli o uniti a una preposizione, e l’indeterminativo una, con i
relativi derivati alcuna, nessuna ecc.
Si noti però che in assenza di una evidente cacofonia, essi possono mantenere la
forma intera; in particolare è preferibile la forma senza elisione nei casi in cui
l’articolo è posto davanti a un nome proprio, un titolo di opera e simili («... è professore
di Neurologia allo Albert Einstein College...», «l’Introduzione alla Apocalisse di
Mosè», e più in generale in tutti i casi in cui il sostantivo che segue è in qualche modo
evidenziato (nomi in corsivo, tra virgolette ecc.).
Allo stesso modo ci si regoli per gli aggettivi bello, quello.
Non vanno mai elisi gli articoli plurali gli (gli italiani e non gl’italiani) e le (le eliche
e non l’eliche).
Salvo nelle formule stereotipate (d’ora in poi, d’altro canto e simili), da non va mai
eliso. Analogamente, si preferisce di norma non apostrofare la preposizione semplice di.
Salvo il caso di evidente cacofonia (l’ho e non lo/la ho) o di formule stereotipate
(c’è, c’erano), è meglio evitare l’elisione dei pronomi tonici lo e la e degli atoni mi, ti,
ci, si, vi e ne.
Attenzione
Tal e qual non si apostrofano mai (qual è, un tal uomo ecc.).
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7.2.2
Troncamento e aferesi
L’apostrofo viene usato per segnalare il troncamento – cioè la caduta di un’intera
sillaba finale – in be’ (evitare beh o bè), ca’ (in alcuni nomi di palazzi: Ca’ Granda, Ca’
Foscari), fra’ (= frate), mo’, po’, e negli imperativi di’, da’, fa’, sta’, tie’, to’, va’, ve’.
Dal punto di vista grafico, in questo caso l’apostrofo va unito alla parola che precede
e separato con uno spazio da quella successiva.
L’apostrofo si usa per segnalare l’aferesi, cioè la caduta di una vocale o di una
sillaba iniziale. Ciò avviene soltanto all’interno di testi letterari, specie antichi e di
poesia, o in scritti che per ragioni stilistiche mirano a riprodurre la lingua parlata (’sto
per questo e simili).
Dal punto di vista grafico, in questo caso l’apostrofo va unito alla parola che segue e
separato con uno spazio dalla parola che precede.
7.2.3
Altri usi dell’apostrofo
L’apostrofo può venire usato nelle date in forma abbreviata (gli anni ’40, il ’700),
dove tuttavia è preferibile scrivere il numero in lettere (5 10.3).
L’apostrofo non va comunque indicato davanti al secondo elemento delle date
composte unite da un trattino (la guerra del ’15-18 o la guerra del 1915-18, evitare
1915-’18 e ’15-’18).
Va assolutamente evitato l’uso del doppio apostrofo nei casi del tipo i poeti
dell’’800. In questi casi si scriva senz’altro il numero in lettere (i poeti dell’Ottocento);
oppure, se per ragioni di uniformità è necessario lasciare il numero in cifre, si usi un
solo apostrofo (i poeti dell’800).
7.3
7.3.1
La dieresi
In italiano
L’uso della dieresi è facoltativo in italiano, e comunque strettamente limitato
all’ambito poetico, dove ha il mero scopo di segnalare che i due elementi di un
dittongo formano due sillabe distinte (es.: «E il sen che nutre i liberi | invidı̈ando mira»,
Manzoni). Limitatamente a questo ambito, e in testi di carattere didattico, essa può
essere utilmente segnalata.
7.3.2
Su parole straniere
L’uso della dieresi è obbligatorio in francese (noël, Staël ecc.).
In tedesco, dove più propriamente si parla di Umlaut (metafonesi), il segno della
dieresi su ä, ö e ü serve a indicare una determinata pronuncia di queste vocali ed è
quindi indispensabile, sia sulle minuscole sia sulle maiuscole. Vanno evitate le forme
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sostitutive ae, oe e ue (Mädchen e non Maedchen, Ökonomie e non Oekonomie,
Bücher e non Buecher). Si osservi tuttavia che per alcuni nomi propri (Goethe,
Goebbels ecc.) quest’ultima forma è quella entrata nell’uso e quindi è l’unica corretta;
lo stesso può valere per termini con Umlaut in titoli di opere non recenti, che andranno
dunque verificati sull’originale o su un catalogo attendibile.
In latino può essere talvolta utile scrivere con la dieresi termini come poëta, poëma
ecc., per segnalare che le due vocali non formano dittongo; si limiti tale uso all’ambito
didattico o ai termini che, in quanto poco conosciuti, potrebbero creare dubbi nel
lettore circa la corretta pronuncia.
5 Si veda anche il capitolo 13.
7.4
Altri segni diacritici
Alcune lingue straniere possiedono particolari segni diacritici sconosciuti all’italiano, ma indispensabili per una corretta pronuncia. Per questa ragione tali segni
devono essere riprodotti in modo appropriato, in particolare quando si tratti di lingue
che impiegano un alfabeto di tipo latino.
Col diffondersi del sistema UNICODE la maggior parte di essi è oggi disponibile
anche sulle comuni tastiere dei computer (ã/Ã, õ/Õ, å/Å, æ/Æ, œ/Œ, ç/Ç, ñ/Ñ, ß ecc.);
altri vanno costruiti mediante combinazioni sul tastierino numerico (per il comportamento da tenere nella redazione di un dattiloscritto riguardo ai segni non disponibili in
tastiera 5 1.2.1).
A proposito di alcuni di questi segni ricordiamo che:
« Æ/æ e œ/Œ non vanno usati per i termini latini (aeternus, non æternus ecc.).
« œ/Œ va obbligatoriamente usato in francese (cœur, Œuvre).
« La ß (scharfes s) del tedesco va usata dove richiesto dalle norme ortografiche in
vigore dall’agosto 1998; in linea generale si ricorda che essa si usa solo nel
minuscolo, mentre nel maiuscolo è sostituita dalla grafia alternativa SS.
5 Si veda anche il capitolo 13 e in particolare, per i segni diacritici utilizzati nella
traslitterazione da lingue con alfabeto diverso da quello latino, il paragrafo 13.6.
7.5
Grafie errate
Segnaliamo qui alcuni casi in cui più frequentemente vengono commessi degli
errori di ortografia.
« Iniziano con ‘‘aer-’’ tutti i termini del campo semantico di ‘‘aria’’ (latino aer):
aerobica, aerare, aeroplano, aeroporto, aerosol ecc. Iniziano invece con ‘‘are-’’
tutti i termini, molto meno frequenti, riconducibili all’ambito semantico di ‘‘superficie’’ (latino area): areale, areogramma, areola ecc.
« Il prefisso riguardante il ‘‘tempo atmosferico’’ è meteo-, quindi meteorologia e
deriv. (e non metereologia ecc.).
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« Tra gli errori più comuni, tristemente presenti anche su riviste e giornali, quelli
riguardanti l’uso delle doppie (es.: accelerare e non accellerare, avallare e non
avvallare, ciottolo e non ciotolo, collutorio e non colluttorio, essiccare e non
essicare, esterrefatto e non esterefatto, scorrazzare e non scorazzare) e l’uso della
‘‘i’’ (es.: ossequente e non ossequiente, traiettoria e non traettoria, chiacchiera e non
chiacchera).
« Per quanto riguarda nomi propri stranieri, specialmente geografici, si segnalano
alcuni esempi: Mississippi e non Missisipi, Massachusetts e non Massachusets.
7.6
Grafie consigliate
Alcuni termini ammettono differenti grafie ugualmente corrette ed è quindi buona
norma adeguare la redazione allo stile della casa editrice e applicare con rigore il
criterio dell’uniformità.
I casi sono molteplici:
ciò nonostante e simili
fintanto che
gran che
ogni qualvolta
per lo meno / per lo più
quanto mai
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
ciononostante
fintantoché
granché
ogniqualvolta
perlomeno / perlopiù
quantomai
« In altri casi sono attestate diverse grafie che andrebbero usate a seconda del
significato, ma è bene seguire le indicazioni di una buona grammatica o del
vocabolario di riferimento:
familiare (= comune) / famigliare (= della famiglia)
le fila (pl. di filo: tirare le fila) / le file (pl. di fila: serrare le file)
laddove (con valore avversativo) / là dove (= nel luogo in cui)
succeduto (= subentrato) / successo (= accaduto)
« Nella prima persona plurale del presente indicativo e, soprattutto, nella prima e
seconda persona plurale del congiuntivo presente per i verbi il cui tema finisce in gn
va mantenuta la grafia con la i (bagniamo, sogniamo, regniate).
« Nei seguenti termini, infine, la prima variante va preferita alla seconda:
amplissimo
caffellatte
cherosene
kilogrammo e simili
dinanzi
ebbrezza
intravedere
obiettivo e deriv.
Manuale di redazione 2005
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
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ampissimo
caffelatte
kerosene
chilogrammo e simili
dinnanzi
ebrezza
intravvedere
obbiettivo
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pressappoco
psicoanalisi e deriv.
sennonché
shock
soprattutto
succubo
7.7
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
piuttosto che
pressapoco
psicanalisi
senonché
choc
sopratutto
succube
Uso dell’articolo
Si usano sempre gli articoli lo/gli e uno:
« davanti a ‘‘i’’ semiconsonantica (lo ieri, lo iato, uno iugoslavo ecc.);
« davanti a parole che iniziano con due consonanti, compresa la x (gli gnocchi, uno
khmer, lo psicologo, lo xilofono ecc.);
« davanti a parole straniere inizianti per h che nella lingua di provenienza è aspirata
(sempre in inglese e tedesco) e che non siano entrate stabilmente nell’uso italiano
(lo hara-kiri, lo Hegel ecc.; ma l’hinterland, un hobby ecc.).
7.8
Plurali dei nomi in ‘‘-io’’ e in ‘‘-ia’’
Il plurale dei sostantivi con desinenza in -io atona si scrive con una -i semplice;
evitare le forme antiquate in -ii, -ı̂ o -j. Gli omografi che di conseguenza possono
venire a crearsi andranno distinti, nel caso che il contesto diventi ambiguo, mediante
l’impiego dell’accento (5 7.1.3).
Quando la ‘‘i’’ del suffisso è accentata, il termine mantiene ovviamente nel plurale
la forma in -ii (mormorii, restii, stantii ecc.).
Per il plurale dei termini in -cia/-gia, benché siano generalmente attestate nella
tradizione letteraria entrambe le forme (-cie/-ce, -gie/-ge), si ricorda che la consuetudine prevede che la ‘‘i’’ venga omessa quando la ‘‘c’’ e la ‘‘g’’ sono precedute da una
consonante (bilancia, pl. bilance), mantenuta negli altri casi (ciliegia, pl. ciliegie;
camicia, pl. camicie). Nel dubbio, consultare un buon dizionario o una buona
grammatica (es. La lingua italiana di Dardano-Trifone di Zanichelli o L’italiano di
Serianni-Castelvecchi di Garzanti).
7.9
Uso dell’ausiliare con i verbi servili
Con i verbi servili (dovere, potere, volere) coniugati ai tempi composti è buona
norma utilizzare l’ausiliare del verbo principale (es.: «ho dovuto telefonare», «sono
dovuto uscire» ecc.). Si noti tuttavia che se l’infinito retto dal verbo servile è essere,
l’ausiliare è sempre avere (es.: «avrebbe voluto essere al suo posto»).
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8
LA PUNTEGGIATURA
La punteggiatura è uno degli ambiti della scrittura per il quale è più difficile stabilire
norme precise. Molte scelte sono infatti di natura squisitamente stilistica e quindi
soggettive.
Al di qua del vasto campo del discrezionale, vi è tuttavia anche nell’ambito
dell’interpunzione una serie di comportamenti che rispondono a delle precise convenzioni, cui qualunque scritto – almeno in prosa – è tenuto a conformarsi e, come
altra faccia della medaglia, alcuni usi che sono da considerarsi scorretti.
Le indicazioni fornite nei paragrafi successivi riguardano essenzialmente questi due
ultimi aspetti. In generale si ricorda che, salvo dove diversamente indicato, dal punto di
vista grafico ogni segno di interpunzione va sempre unito all’ultima lettera della parola
che precede e separato con uno spazio dall’iniziale della parola successiva.
Attenzione
Va assolutamente evitato ogni intervento sulla punteggiatura nelle opere letterarie
o comunque d’autore.
8.1
Il punto
Il punto (o punto fermo) serve innanzitutto a chiudere ogni periodo di intonazione
affermativa. In tal caso, dopo di esso ci vuole sempre la lettera maiuscola.
Per quanto riguarda l’aspetto grafico, il punto va posto sempre dopo la parentesi e le
virgolette di chiusura, ma prima dell’eventuale numero in apice della nota.
Il punto è usato inoltre nei casi seguenti:
« Per indicare che una parola è abbreviata (punto abbreviativo). Quando sono puntate
singole lettere consecutive, tra di esse non va alcuno spazio (es.: a.C.; s.l.m.; T.S.
Eliot; G.W.F. Hegel). Se l’abbreviazione puntata coincide con la fine del periodo, il
punto non va raddoppiato.
5 Per le abbreviazioni si veda il capitolo 12.
« Nelle espressioni numeriche da diecimila in su, in alternativa allo spazio fine (che è
tuttavia preferibile) per separare fra loro le cifre delle migliaia (5 10.1).
8.2
La virgola
Poiché la virgola è il più ‘‘debole’’ dei segni di interpunzione, il suo uso è forse
quello più discrezionale e vario. Segnaliamo di seguito alcuni casi in cui è tuttavia
opportuno conformarsi a delle norme abbastanza precise.
Manuale di redazione 2005
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La virgola viene usata in modo pressoché tassativo nei seguenti casi:
« Per dividere fra loro gli elementi di un’enumerazione, l’ultimo dei quali invece che
dalla virgola è spesso preceduto dalla congiunzione e. Si noti inoltre che tali
elementi possono essere anche semplici frasi coordinate fra loro (se sono invece
complesse, è preferibile separarle fra loro con il punto e virgola; 5 8.3):
L’inevitabile, scandalosa e beffarda verità sarà molto diversa.
Si tratta di un testo fondamentale per capire l’uomo moderno, le sue
angosce, i suoi traumi, i suoi impulsi.
Scesi le scale, chiesi che mi aprissero, la porta si dischiuse e io balzai in strada.
« Per segnalare un’apposizione o una frase incidentale (in questo secondo caso, con
valore pressoché analogo alle lineette o alle parentesi tonde; 5 rispettivamente, 8.8
e 8.9.1); se essa è all’interno della frase ci vuole una virgola sia all’inizio sia alla fine:
Elemento fondamentale della vita sul pianeta, l’azoto costituisce il 78%
del volume dell’atmosfera terrestre.
Landolfo, cronista del XII secolo, fu autore di una Mediolanensis historia.
I restanti elementi, a differenza di quelli analizzati finora, non hanno
nessun utilizzo pratico.
Si è recato a Torino a trovare Lucia, la figlia di un suo carissimo amico.
Attenzione
Si ricorda che va fatta particolare attenzione a una corretta disposizione delle
virgole quando la subordinata o l’apposizione da comprendere tra due virgole
siano legate alla seconda di due frasi coordinate o subordinate fra loro:
Esempi errati:
Rientrò in casa qualche minuto dopo le sei, e quando scese dopo il bagno,
trovò che la moglie era appena rientrata dal lavoro.
Gli ricordò che sebbene avesse solo pochi anni più di lui, non per questo
doveva mancargli di rispetto a quel modo.
Esempi corretti:
Rientrò in casa qualche minuto dopo le sei e, quando scese dopo il bagno,
trovò che la moglie era appena rientrata dal lavoro.
Oppure: Rientrò in casa qualche minuto dopo le sei, e quando scese dopo
il bagno trovò che la moglie era appena rientrata dal lavoro.
Gli ricordò che, sebbene avesse solo pochi anni più di lui, non per questo
doveva mancargli di rispetto a quel modo.
Se l’incidentale si inserisce in una proposizione che a rigore andrebbe separata
dalla precedente anche con una virgola (es.: «La terra era di chi la voleva, e sapeva
produrre frutti eccellenti»), per evitare di racchiudere tra due virgole una
brevissima porzione di testo, si può omettere la prima di esse:
La terra era di chi la voleva e, come le monache avevano dimostrato,
sapeva produrre frutti eccellenti. Piuttosto che: La terra era di chi la voleva,
e, come le monache avevano dimostrato, sapeva produrre frutti eccellenti.
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« Dopo il primo elemento della frase, quando esso viene poi ripreso da un pronome:
Dai retta a tua madre ... quel Bube, lascialo perdere.
Diari di pittori italiani, ne conosco pochissimi.
« Spesso, tra la frase principale e una subordinata, in particolare quando esse non
siano strettamente legate fra loro. La virgola è pressoché d’obbligo quando la
subordinata precede la principale; discrezionale – ma consigliata, soprattutto se le
due frasi sono di una certa complessità – se la subordinata segue.
Diamo qui di seguito qualche esempio:
Benché non siano cosı̀ astuti come le volpi, i ricci sono spesso più saggi
di loro.
Prima di rivelarsi pienamente come narratore, egli lavorò come giornalista.
Partendo da un’acuta analisi del problema, l’autore propone interessanti
soluzioni.
Se decideranno di togliercela, ci opporremo con tutte le nostre forze.
« Per segnalare una contrazione, in frasi che hanno lo stesso verbo della frase
precedente ma sottinteso; in tal caso è opportuno che le due frasi siano separate
da un segno di interpunzione più forte della virgola.
Il primo prese un caffè macchiato; il secondo, un amaro.
« Per separare interiezioni, vocativi e simili
Ehi, che succede?
Dai, raccontaci cosa ti ha detto!
Da quanto tempo non ti sei fatto vivo, Edgar!
Suvvia, caro amico, non andate in collera.
Macché, neanche per quel giorno cambiò qualcosa.
Ecco, adesso è tutto organizzato.
« In contesti particolari, anche là dove di norma non andrebbe, per evitare ambiguità
di lettura:
La notte, ammirò la straordinaria grazia dei giochi di artiglieria.
All’inizio, del libro non v’era traccia. Poi fu trovato tra le carte della
scrivania.
La terra era di chi la voleva, e sapeva produrre frutti eccellenti.
La virgola non va mai messa:
« Tra soggetto e verbo o tra verbo e complemento. Capita spesso di trovare delle
virgole scorrette di questo tipo nei casi in cui il verbo è lontano dal soggetto o dal
complemento: occorre prestare quindi particolare attenzione.
Esempi errati:
L’uomo che hai incontrato sulle scale, era mio padre.
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L’interpunzione
L’interpunzione è un aspetto assai importante e delicato della scrittura, come ben si
capisce guardando quante cure vi dedicano i grandi autori, sia nella loro pratica
scrittoria sia in discussioni teoriche. Leopardi, che si considerava «sofistichissimo»
in fatto di punteggiatura, scrisse una volta in una lettera al Giordani che «spesse volte
una sola virgola ben messa dà luce a tutto il periodo» e aveva più volte pensato di
scrivere anche un «Trattatello della punteggiatura».
L’idea di usare dei segni appositi per scandire la frase aiutando in tal modo l’opera di
comprensione del lettore si affaccia solo nel Cinquecento. I testi precedenti, tanto
quelli manoscritti che i primi incunaboli, sono del tutto privi di interpunzione oppure
presentano segni diversi da quelli attuali o li usano con criteri del tutto differenti. Agli
inizi del Cinquecento invece, sulla scorta degli studi umanistici, si decide di prendere
a prestito i segni interpuntivi usati nel greco e di adattarli all’italiano. Sono proprio i
tipografi più autorevoli che con la loro paziente opera di regolarizzazione e
uniformazione fanno sı̀ che nel giro di qualche decennio si diffonda un uso della
punteggiatura molto simile a quello odierno; e si noti che tale abitudine incontra
talvolta il disappunto degli stessi scrittori, che si lamentano perché si trovano
inopinatamente introdotti nei loro scritti dei segni di cui stentano a comprendere il
significato.
Da allora della questione punteggiatura si sono occupati sia grammatici e trattatisti
sia scrittori. In particolare alcuni di essi lamentano la scarsità dei segni rispetto alle
necessità della scrittura e vorrebbero introdurne di nuovi: nell’Ottocento, lo scrittore
Carlo Dossi (Zenevredo 1849 - Cardina 1910) propone – e usa in qualche suo scritto –
il ‘‘due-vı̀rgole’’, cioè una virgola sovrapposta all’altra sull’esempio del due punti e
del punto e virgola, che «verrebbe a indicare un distacco tra l’una e l’altra
proposizione, minore di quello della vı̀rgola accoppiata al punto, maggiore della
sèmplice vı̀rgola»; altri, per evitare la confusione fra i tre puntini di sospensione e
quelli usati per segnalare un’omissione in una citazione, vorrebbero che si usassero
nel secondo caso tre virgole consecutive.
Le prime tracce di un’evoluzione che sembra ben lontana dall’essere
compiuta, sono rintracciabili già nelle scimmie.
Notò improvvisamente tra le innumerevoli carte che giacevano sulla
scrivania, il vecchio documento che da tempo cercava.
Esempi corretti:
L’uomo che hai incontrato sulle scale era mio padre.
Le prime tracce di un’evoluzione che sembra ben lontana dall’essere
compiuta sono rintracciabili già nelle scimmie.
Notò improvvisamente tra le innumerevoli carte che giacevano sulla
scrivania il vecchio documento che da tempo cercava.
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« Come corollario del punto precedente, dopo l’ultimo di una serie di soggetti
coordinati fra loro.
Esempi errati:
Marina, Rossella, Michele, Marco, si trovarono al bar a festeggiare.
La grande illusione che il progresso industriale portasse la felicità per
tutti, ristabilisse la pace sociale e riconducesse l’uomo all’armonia con la
natura, è ormai fallita.
Esempi corretti:
Marina, Rossella, Michele, Marco si trovarono al bar a festeggiare.
La grande illusione che il progresso industriale potesse portare la felicità
per tutti, ristabilire la pace sociale e ricondurre l’uomo all’armonia con la
natura è ormai fallita.
Si preferisce non usarla:
« Prima della congiunzione e: ciò vale soprattutto quando la congiunzione si trova tra
due elementi coordinati o prima dell’ultimo elemento di un’elencazione; altre volte la
virgola prima della e è invece ammissibile nel caso di due frasi coordinate particolarmente lunghe («Edgar lavorò per tutta la settimana nel giardino del cappellano, e
tornò alla serra il lunedı̀ successivo»), o addirittura raccomandata per evitare
ambiguità («La terra era allora di chi la voleva, e sapeva produrre frutti eccellenti»).
« Tra due frasi unite dalle congiunzioni né e o:
Non ho visto né l’uno né l’altro.
Ti piace di più questo o quello di ieri?
« Per isolare dal resto brevi avverbi o congiunzioni e simili (comprese semplici frasi
subordinate), salvo li si voglia evidenziare in modo particolare:
Secondo me ci potrebbe essere stato un fraintendimento.
Perciò ritenne di non dover intervenire.
I vicini d’altra parte non si erano accorti di nulla.
E tuttavia egli non era nuovo a imprese di tal fatta.
« Prima di eccetera (o della relativa abbreviazione ecc.).
In ambito matematico, la virgola è usata per separare le cifre intere dai decimali. In
questo caso essa non ha alcuno spazio né prima né dopo (per es.: 1,5; 33,4; 5 10.1).
8.3
Il punto e virgola
Il punto e virgola indica una pausa più forte della virgola ma inferiore al punto. Esso
può essere utilizzato per separare fra loro due o più elementi coordinati se questi
contengono al loro interno delle virgole:
A noi premeva soltanto sottolineare lo stretto margine di manovra e di
autonomia; la scarsa rilevanza degli interventi finora preventivati; e
soprattutto la mancanza di una critica costruttiva, in grado di dare
finalmente una svolta decisiva alla questione.
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Il punto e virgola
Il punto e virgola fa la sua apparizione per la prima volta in un’opera a stampa italiana
nel 1501: è il tipografo veneziano Aldo Manuzio che lo impiega nell’edizione del
Canzoniere del Petrarca curata da Pietro Bembo.
Il suo uso, tuttavia, è oscillato a lungo prima di attestarsi su quello attuale, ossia come
pausa intermedia tra la virgola e il punto. Nell’edizione citata, per esempio, esso è
perlopiù usato al posto della semplice virgola; ancora agli inizi del Novecento alcuni
scrittori (tra i quali il Pascoli) lo usano per isolare una proposizione incidentale, al
posto della virgola o della parentesi.
8.4
I due punti
I due punti indicano che quello che segue è un’esplicazione di quanto contenuto
nella frase che precede: essi sono usati in particolare per introdurre un’elencazione
(5 5.8), una citazione (5 5.7) o un discorso diretto (5 8.10).
Di norma dopo i due punti si ha l’iniziale minuscola. Si ha la maiuscola quando essi
introducono una citazione o un discorso diretto tra virgolette, o un’elencazione i cui
singoli elementi terminano con il punto.
È bene evitare che in una frase i due punti vengano ripetuti più di una volta.
I due punti si usano anche nell’indicazione numerica delle ore, per separare le ore
dai minuti (5 10.3); in questo caso senza spazi né prima né dopo (es.: 12:35).
8.5
I tre puntini
I tre puntini possono essere posti all’inizio o alla fine di una frase per segnalare una
sospensione o un improvviso cambio del discorso, oppure con valore allusivo o per
creare una breve pausa prima... della rivelazione finale (puntini di sospensione).
Quando sono all’inizio vanno sempre separati con uno spazio dalla parola che segue;
quando sono alla fine sono attaccati alla parola che precede e staccati dall’eventuale
parola che segue. Se coincidono con la fine della frase, non va aggiunto il punto fermo.
I puntini sono utilizzati per segnalare un’espunzione all’interno di una citazione. In
questo caso sono separati con uno spazio tanto dalla parola che precede quanto da
quella che segue, eventualmente tra parentesi quadre. Non è necessario, salvo che la
frase sia palesemente incompleta, porli all’inizio o alla fine: trattandosi di una
citazione, va da sé che prima e dopo di essa ci sia nell’originale dell’altro testo.
Dal punto di vista tipografico si noti che i tre puntini non sono formati da tre punti
giustapposti, ma sono un unico carattere, disponibile in tutte le più importanti serie di font.
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Attenzione
Il numero dei puntini non è casuale: devono essere tre e non vanno usate serie più
brevi o più lunghe.
8.6
Il punto esclamativo e il punto interrogativo
Punto esclamativo e punto interrogativo chiudono rispettivamente una frase che è
pronunciata con enfasi o che contiene una domanda.
Di norma non vogliono dopo di sé alcun altro segno di interpunzione, tranne nel
caso in cui essi facciano parte di un titolo o di un’espressione stereotipata:
Ho appena terminato di leggere Avere o essere?. L’ho trovato assai
interessante.
Oppure, chissà?, le era caduto di tasca durante la colluttazione.
Magari!, pensò fra sé, gliel’avessero regalato.
Dopo il punto interrogativo e il punto esclamativo si ha di norma la maiuscola. Può
essere usata la minuscola se si tratta di un’espressione stereotipata oppure se la pausa
non è molto forte (es.: elenco di brevi domande):
Ma dove era stato? chi aveva incontrato? come mai ancora non tornava?
Talvolta punto esclamativo e interrogativo possono essere usati anche in combinazione:
«Per domani?!» osservò incredulo.
8.7
Il trattino
Il trattino, o trattino di sillabazione (hyphen) si distingue tipograficamente dalla
lineetta (5 8.8) e dal tratto lungo per le sue dimensioni ridotte. Esso non vuole di
norma alcuno spazio prima e dopo.
Si usa nei seguenti casi:
« per indicare il segno di a capo;
« per unire due termini strettamente correlati (dizionario Tedesco-Italiano; la linea
Roma-Napoli; il vertice Bush-Blair);
« in alcune parole (per lo più di origine onomatopeica) formate da due elementi uguali
ripetuti (tic-tac, zig-zag, ping-pong);
« tra due cifre, per indicare un intervallo (anche quando esse sono scritte in lettere):
l’anno accademico 1976-1977.
vedi sopra, pp. 56-58.
Greta Garbo (1905-1990), attrice svedese...
Saranno circa venti-venticinque righe.
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Punto interrogativo e punto esclamativo
Oh da quale potenza ricevi questo tuo forte potere
di governare il mio cuore con le tue mancanze,
di farmi accusare di menzogna la mia vista veritiera,
e giurare che la chiara luce non dà grazia al giorno?
È l’inizio del sonetto 150 di Shakespeare (nella traduzione di S. Serpieri): quando
leggiamo per la prima volta questi versi, solo alla fine del quarto capiamo finalmente
quale intonazione dobbiamo dare alla frase; a giudicare dall’inizio, infatti, essa
potrebbe anche richiedere un’intonazione esclamativa.
Ciò non succederebbe se gli stessi versi fossero tradotti in spagnolo: proprio per
togliere ogni possibilità di equivoco nel caso di frasi interrogative o esclamative
complesse, l’ortografia spagnola ha infatti introdotto la consuetudine di mettere
all’inizio di tali frasi lo stesso segno che comparirà alla fine, ma capovolto: «¿Y es
posible que tres hacaneas, o como se llaman, blancas como el ampo de la nieve, le
parezcan a vuesa merced borricos?»; «¡Vive Roque, que es la señora nuestra ama
más ligera que un alcotán ... que todas corren como el viento!».
Convinto fautore di questa consuetudine dello spagnolo, tanto da volerla introdurre
anche nell’italiano (ma senza seguito), fu lo scrittore Carlo Dossi (1849-1910), il
quale la adottò, insieme ad altri accorgimenti grafici, nella sua opera La desinenza in
A; nell’Avvertenza egli osserva che il sistema spagnolo è «utilı̀ssimo per evitare a chi
legge a voce alta – màssime nei perı̀odi lunghi in cui la domanda o la esclamazione
non apparisce chiaramente fin dalle prime parole – di doversi ad un tratto, dinanzi
all’impreveduto punto di ostàcolo, arrestare per cosı̀ dire col pie’ levato fuor di
equilibrio».
« nelle indicazioni bibliografiche, per separare fra loro due titoli pubblicati nello
stesso volume (in questo caso va lasciato uno spazio sia prima sia dopo il trattino):
Leonardo Sciascia, La Sicilia, il mio cuore - Favole della dittatura.
« in ambito tecnico e scientifico (e solo in questo) sono ammesse costruzioni
eccezionali come quella nel seguente esempio:
Uno studio su epato- e nefropatie gravi.
Si preferisce non usarlo:
« per unire tra loro due sostantivi che formano insieme una locuzione con significato
proprio (concetto chiave, spirito guida, guerra lampo);
« negli aggettivi composti quando fra i due elementi non vi è contrapposizione ma essi
indicano anzi un unico concetto (austroungarico, socioculturale, nordoccidentale;
ma la guerra anglo-boera, discipline economico-sociali);
Manuale di redazione 2005
pag 101
23/2/2005
102
« nei colori composti: quando si hanno due aggettivi essi vanno scritti uniti
(grigioverde, biancoceleste); quando si ha un sostantivo e un aggettivo si scrivono
separati (grigio perla, giallo senape).
Attenzione
« Quando il trattino collega elementi fra loro eterogenei come lettere e numeri si
preferisce separarlo lievemente da quanto precede e segue (per esempio con
l’inserimento di uno spazio fine):
Greta Garbo (Stoccolma 1905 - New York 1990), attrice svedese...
« Il trattino è molto usato in francese, in particolare nei nomi propri composti: nel
dubbio, è sempre bene verificare l’esatta grafia su un buon repertorio (JeanBaptiste Le Rond d’Alembert, Étienne-Maurice Falconet ecc.).
« Per l’uso del trattino nei termini inglesi, ci si regoli caso per caso sull’uso
effettivo nella lingua d’origine anche quando essi sono ormai entrati nell’uso
italiano e sono lasciati in tondo (quindi know-how, make-up; ma weekend).
8.7.1
I prefissi
In alcuni casi si usa separare con un trattino un termine preceduto da un prefisso.
Ciò avviene in particolare con i prefissi bisillabi anti, capo, contro, filo, vice. Si limiti
tale uso a costruzioni estemporanee, preferendo di norma la grafia unita (anticrittogamici, caporedattore, vicedirettore). Se l’ultima vocale del prefisso è uguale all’iniziale della parola, la vocale non va ripetuta (es.: antitaliano, filoccidentale).
Attenzione
Il prefisso ex si scrive sempre senza trattino e staccato dalla parola cui si riferisce
(ex professore, ex militante).
8.8
La lineetta
La lineetta o trattino di separazione (en dash) si distingue dal trattino perché ha una
lunghezza circa doppia rispetto a esso, corrispondente di norma alla metà del corpo.
La lineetta è sempre preceduta e seguita da uno spazio.
La lineetta si usa principalmente per isolare una frase incidentale, con funzione più
o meno analoga alla virgola (5 8.2) e alle parentesi tonde (5 8.9.1). Se l’inciso si
trova al centro di una proposizione, la lineetta apre e chiude l’inciso; se questo è alla
fine della frase, dopo l’inciso è sufficiente il punto:
È lo stesso Dio che dispone come il nuovo tipo di vita – la vita di Cristo –
debba propagarsi.
Ci furono una serie di mutamenti continui e repentini – e talvolta
drammatici.
Manuale di redazione 2005
pag 102
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103
Se richiesto dalla punteggiatura della frase principale, la lineetta che chiude l’inciso
può essere seguita da una virgola; al contrario non bisognerebbe mai mettere alcun
segno di interpunzione prima della lineetta di apertura:
Secondo il parere di molti antichi studiosi – e di buona parte di quelli
attuali –, si tratta di un problema di assai ardua soluzione.
Una singola lineetta a inizio riga (separata dal testo che segue con una spaziatura
fissa pari a uno spazio fine) si usa talvolta per introdurre le battute di un dialogo in
luogo delle virgolette caporali, il cui uso è tuttavia da preferire (5 8.10.1).
Attenzione
« Se possibile, va evitato che la lineetta di apertura venga a trovarsi alla fine di
una riga e similmente che quella di chiusura si trovi all’inizio; va assolutamente
evitata la lineetta di chiusura da sola a inizio riga quando essa è seguita da una
virgola.
« In alcune lingue straniere (in inglese e in tedesco, in particolare), la lineetta ha
spesso una funzione diversa da quella dell’italiano: si valuti caso per caso quale
segno è più opportuno usare (generalmente i due punti o i tre puntini).
8.9
8.9.1
Le parentesi
Tonde
Le parentesi tonde si usano:
« Per isolare dal resto della frase un inciso (con valore pressoché analogo alla virgola
o alla lineetta: 5 8.2 e 8.8):
Tutti gli studi citati (tranne il terzo, che analizzeremo in altra occasione)
non contengono alcuna novità di rilievo.
« Per fornire un’indicazione accessoria, come rimandi, brevi esempi ecc.
« Nei riferimenti bibliografici:
– per racchiudere la dicitura ‘‘a cura di’’, nel caso di libri senza autore ma con un
curatore (5 4.8.1, punto a)
– per la traduzione del titolo di opere in lingua straniera non pubblicate in italiano
(5 4.8.1, punto b);
– per l’indicazione dell’anno della ristampa (5 4.8.1, punto d);
– per le date dei periodici, nel caso si ritenga opportuno segnalarle (5 4.8.3, punto c).
« In ambito matematico, nelle espressioni polinomiali per indicare il corretto ordine
di esecuzione delle operazioni (5 10.4).
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La punteggiatura d’autore
Il presente capitolo si apre ricordando che in tema di punteggiatura a ben vedere tutto è
soggettivo. Ciò nonostante nel corso di esso vengono date delle norme abbastanza
rigorose cui – lo ribadiamo ancora una volta – è bene attenersi, specie in una traduzione
e nelle opere a carattere saggistico.
Inutile dire che va invece assolutamente rispettata la punteggiatura d’autore, pur
quando si conceda vezzi insoliti o addirittura in aperto contrasto con gli usi canonici.
Basteranno pochi esempi per renderci conto che anche noti scrittori, unanimemente
considerati maestri di lingua, spesso seguono un uso non conforme alle norme, ma
dettato da motivazioni stilistiche, da necessità di intonazione o anche, perché no?, per
semplice vezzo.
Tale per esempio quello del Carducci (e anche di altri suoi contemporanei e successori)
di non mettere la virgola tra i diversi elementi di una serie:
Dante il Cavalcanti il cronista Giachetto Malespini il padre del Petrarca e
la maggior parte degli scrittori e giureconsulti toscani d’allora...
Sciascia introduce frequentemente una virgola tra soggetto e predicato quando il
soggetto ha una forma composita:
Altro elemento da tenere in conto, è quella specie di esitante sodalizio che
Consolo ha intrattenuto per anni con Lucio Piccolo.
Ma il punto di vista che Diderot inventa e Ortega scarta, si può considerare
meramente ottico...
Questi brevi testi – di Diderot, di Baudelaire – e altri cui ci avverrà di fare
richiamo, sono delle approssimazioni...
(continua nella pagina a fronte)
Attenzione
La parentesi che apre non deve mai essere preceduta da segni di interpunzione;
questi, nel caso, vanno dopo la parentesi di chiusura:
Impaziente di rivederla (erano ormai tre mesi che essa mancava da casa),
giunse alla stazione in largo anticipo.
8.9.2
Quadre
Le parentesi quadre si usano:
« Per racchiudere le abbreviazioni [N.d.T.] e [N.d.C.] nelle note (5 5.9.2).
« Per inserire un elemento estraneo (un commento, una precisazione ecc.) in una
citazione.
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(La punteggiatura d’autore - continua)
D’altra parte esempi simili (nella fattispecie la virgola è prima del
complemento oggetto) si trovano anche nei Promessi sposi:
Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare
nell’animo del poveretto, quello che s’è raccontato...
Ancora più clamorosa la virgola in casi come i due seguenti, dove ha evidentemente lo
scopo di segnare uno stacco, una sorta di sospensione dopo il soggetto per meglio
evidenziarlo:
«L’amore, ha lo stesso meccanismo del gratta e vinci» (Aldo Nove)
«Il prete, non poteva dirle nulla» (Pier Paolo Pasolini)
Ancora da Sciascia e Manzoni due esempi di virgola dopo l’ultimo elemento di una
serie:
La profondità, la complessità, il difficile e l’oscuro nella letteratura e
nell’arte, sono per Savinio qualcosa di simile...
La paura del giorno avanti, la veglia angosciosa della notte, la paura avuta
in quel momento, l’ansietà dell’avvenire, fecero l’effetto.
E si potrebbe continuare a lungo. Non si tratta ovviamente di errori e nemmeno di
«licenze poetiche»; piuttosto di scelte che, al pari di quelle di un vocabolo antiquato o
dialettale letterario gergale, sono prettamente stilistiche; in un’opera letteraria esse
contribuiscono a caratterizzare il testo ma, al pari di una scelta terminologica poco
consueta, risultano stonate in un testo puramente denotativo.
« Per una frase parentetica all’interno delle parentesi tonde (ma è un uso che va
preferibilmente evitato).
« Nei riferimenti bibliografici, per racchiudere le integrazioni alla bibliografia di un
testo tradotto (5 4.8).
« In ambito matematico, come livello intermedio tra la parentesi graffa e la tonda per
indicare l’ordine corretto di esecuzione delle operazioni nelle espressioni polinomiali (5 10.4).
8.9.3
Graffe
Le parentesi graffe si usano:
« In ambiti particolari (es.: filologia).
« In ambito matematico, come livello superiore alle parentesi tonde e quadre per
indicare l’ordine corretto di esecuzione delle operazioni nelle espressioni polinomiali (5 10.4).
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8.10
Le virgolette
Esistono tre tipi di virgolette:
a) le virgolette caporali (« »);
b) le virgolette alte (‘‘ ’’);
c) gli apici (‘ ’).
a) Le virgolette caporali, cosiddette perché richiamano la tipica insegna del grado
sulla divisa militare, si usano nei seguenti casi:
« Per racchiudere le battute di un dialogo (5 8.10.1).
« Per le citazioni in prosa; se la citazione prosegue per più di un capoverso, le
virgolette vanno aperte a ogni nuovo paragrafo e chiuse soltanto dopo l’ultimo
(5 5.7.1).
« Per le citazioni di versi che, per il loro numero esiguo o perché in nota, sono date
direttamente all’interno del testo; i versi centrati nella pagina non necessitano di
virgolette (5 5.7.2).
« Per la traduzione di termini o brevi espressioni in lingua straniera.
« Nei riferimenti bibliografici, per i titoli dei periodici (5 4.8.3) e per i titoli dei
capitoli che non hanno autonomia propria (5 4.8.2).
b) Le virgolette alte si usano quando è necessario porre tra virgolette qualcosa che
già si trova all’interno di virgolette:
Poi aggiunse: «Tu dici: ‘‘Ti ho visto’’. E io ti rispondo: ‘‘Non è possibile.
Non c’ero’’».
« Quando si vuole in qualche modo evidenziare una parola, o segnalare che essa va
considerata in un senso che si discosta dal suo solito e simili (ma è prassi da limitare
il più possibile, in quanto spesso rivela soltanto che a chi scrive sfugge al momento
il termine più appropriato per quel concetto).
« In alternativa al corsivo (5 6.2.2), nel caso in cui per qualche ragione l’uso di
quest’ultimo non sia opportuno, quando si vuole indicare che una parola va
considerata rispetto alla sua forma e non al suo significato.
c) Gli apici si usano solo nel caso sia necessario usare delle virgolette all’interno
delle virgolette alte:
«Poi aggiunse: ‘‘Tu dici: ‘Ti ho visto’. E io ti rispondo: ‘Non è possibile!
Non c’ero’ ’’».
Attenzione
Quando un passo fra virgolette coincide con la fine del paragrafo, il punto finale va
al di fuori delle virgolette; esso va messo anche se il testo all’interno finisce con un
punto esclamativo, interrogativo o con i tre puntini.
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8.10.1
I dialoghi
Per i dialoghi è preferibile l’uso delle virgolette basse, piuttosto che della lineetta,
anche quando il discorso procede per botta e risposta su righe diverse.
Alcuni esempi forniti qui di seguito illustrano il comportamento da seguire per
quanto concerne la punteggiatura di un dialogo tra virgolette.
In linea generale si ricorda che:
« il punto finale va sempre dopo la virgoletta di chiusura e va messo anche nel caso che
il discorso all’interno delle virgolette termini con un punto esclamativo, interrogativo o con i tre puntini;
« anche quando è posposto al dialogo, il verbum dicendi non è mai preceduto da alcun
segno di punteggiatura.
Esempi di dialogo:
Improvvisamente si alzò dalla sedia e disse: «Devo lasciarvi. Mary mi
aspetta».
Improvvisamente si alzò dalla sedia e disse: «Devo lasciarvi. Mary mi
aspetta!».
Improvvisamente si alzò dalla sedia e domandò: «Ma perché Mary tarda
tanto?».
Improvvisamente si alzò dalla sedia e disse: «Devo lasciarvi. Mary...».
«Devo lasciarvi. Mary mi aspetta» disse alzandosi improvvisamente dalla
sedia.
Improvvisamente si alzò dalla sedia: «Devo lasciarvi» disse. «Mary mi
aspetta».
«Non è facile raccapezzarsi» osservò l’impiegato «in questo marasma di
carte».
«No, Jimmy,» disse in tono pacato «penso proprio che non cambierò
mai».
8.11
Altri segni di interpunzione
Altri segni di interpunzione di uso più sporadico sono i seguenti:
« La barra obliqua ( / )
Posta tra due termini, indica un’alternativa di scelta tra i due (e si differenzia per
questo dal trattino che indica invece intervallo o unione). Di norma non vuole alcuno
spazio né prima né dopo; tuttavia, se come spesso accade dovesse trovarsi troppo
ravvicinata alle due parole, è bene farla precedere e seguire da uno spazio fine:
Portare un paio di scarpe da ginnastica e/o un paio di sandali.
Polibio nacque nell’anno 205 (202 / 200 secondo altri).
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« La barra verticale, singola ( | ) e doppia ( || )
Si usano rispettivamente per separare i versi citati e le strofe dei brani di poesia citati
tra virgolette direttamente all’interno del testo (5 5.7.2).
« L’asterisco ( * )
Si usa talvolta come rimando per una nota a piè di pagina, in particolare quando si
tratti di una nota isolata e soprattutto se apposta a un titolo. In ambiti specifici, può
avere valori particolari (per es. in linguistica, precede gli etimi non attestati). In
qualche caso infine, un solo asterisco o, più spesso, tre consecutivi segnalano
un’omissione volontaria da parte dell’autore (es.: «il giorno avanti, il cardinal
Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, era arrivato a * * * »).
« Altri segni, come le parentesi uncinate ( < > ) trovano impiego solo in settori
specialistici (es.: filologia).
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9
LA DIVISIONE IN SILLABE
9.1
In italiano
Quando una parola non sta tutta intera alla fine di una riga, la si può spezzare
secondo i noti criteri che regolano la divisione in sillabe. Tali regole sono in linea di
massima rispettate anche dai programmi di videoimpaginazione, i quali sillabano
automaticamente il documento.
Rimangono talvolta non sillabati (oppure vengono sillabati scorrettamente in
quanto il programma agisce per analogia con casi assimilabili) alcuni termini rari o
tecnici o con nessi consonantici particolari, che non siano presenti nel dizionario
interno del programma: in questi casi è necessario intervenire manualmente, forzando
la sillabazione.
Altre volte può essere necessario intervenire sugli a capo per bilanciare meglio
righe troppo larghe o, al contrario, troppo strette (ovvero, rispettivamente, con uno
spazio troppo ampio o troppo ridotto tra le parole), o ancora per far rientrare o
allungare un righino (5 5.6.4 e 5.6.5).
Dando per assodata la conoscenza delle norme generali che regolano la divisione
sillabica in italiano, ricordiamo qui solo alcuni dei casi meno comuni. Nel dubbio è
comunque bene consultare sempre un dizionario che riporti la divisione in sillabe.
Il criterio per la divisione dei gruppi consonantici complessi è il seguente:
« la sillaba che si manda a capo deve cominciare con un gruppo di consonanti che la
lingua italiana ammette a inizio di parola (ec-zema, tung-steno, Ed-vige, rabdomante);
« la x tra due vocali va a capo (Bi-xio);
« il nesso cq si divide come i gruppi di consonanti doppie (ac-qua, ac-quisto);
« nella sillabazione dei termini che iniziano con un prefisso si possono seguire le
regole generali (es: po-strisorgimentale, su-blunare, tran-spadano) oppure, ed è
preferibile, dividere il prefisso dalla parola (es: post-risorgimentale, sub-lunare,
trans-padano).
Dal punto di vista grafico si ricorda che:
« sebbene consentito dalla grammatica, si eviti se possibile di lasciare una sola lettera
alla fine di una riga (tipo: u-na, a-more);
« sebbene sia grammaticalmente lecito dividere fra loro due vocali consecutive che
non formino dittongo (be-ato, mani-aco, re-altà, voluttu-oso), è buona norma non
mandare a capo una sillaba che inizi per vocale;
« è preferibile evitare che un eccessivo numero di righe consecutive termini con un
trattino di sillabazione. È un fatto puramente estetico e in genere si tollerano fino a
tre righe consecutive che si chiudono con un trattino di sillabazione;
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« mentre è normale andare a capo a fine pagina, è opportuno evitare di farlo quando il
testo è interrotto da un’illustrazione, una tabella, una cartina e simili.
9.2
Nelle lingue straniere
Le parole straniere – almeno per quanto riguarda il francese, l’inglese e il tedesco –
vanno sillabate secondo le regole specifiche di ciascuna lingua. Si deve quindi prestare
particolare attenzione, in quanto il computer tende a comportarsi in questi casi
secondo il criterio dell’analogia all’italiano, che è spesso scorretto.
In francese la sillabazione segue sostanzialmente i criteri dell’italiano, con la sola
differenza che i nessi di due consonanti vanno di norma divisi lasciando la prima delle
due su una riga e l’altra su quella successiva, anche nel caso di s + consonante
(manifes-tement, cons-tatera, excep-tion); si preferisce inoltre non lasciare a capo da
sola una sillaba con una e muta finale (tipo: com-me, cares-se, cet-te).
Lo stesso vale per lo spagnolo: la divisione in sillabe è sostanzialmente analoga a
quella italiana, con la sola eccezione del gruppo s + consonante che si divide lasciando
la s sulla riga precedente e l’altra consonante sulla successiva (res-pira, ins-tinto, perspicaz), e i due gruppi consonantici ll e rr che non sono mai divisibili (a-rroz, po-llo).
Più difficile enucleare delle regole in breve per il tedesco e l’inglese. Per quanto
riguarda il primo, si ricorda che la riforma ortografica introdotta dall’agosto 1998 ha
coinvolto anche le regole di sillabazione ed è importante verificare che il vocabolario di riferimento sia aggiornato. Per quanto riguarda invece l’inglese, si ricorda
che i criteri di sillabazione anglosassoni e quelli americani sono spesso discrepanti
fra loro e che quindi, a rigore, andrebbero seguite le regole corrispondenti a seconda
del contesto (ma senza troppa pedanteria!): per l’inglese britannico si può consultare l’Oxford Dictionary (tra i dizionari bilingui riporta la sillabazione secondo il
criterio oxoniense l’Hazon della Garzanti), per l’inglese americano il Random
House o il Webster; si osservi solo che, anche quando le regole dell’inglese lo
consentono, si preferisce evitare di mandare a capo da sola l’ultima lettera di una
parola (tipo: Mar-y, librar-y).
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10.1
I NUMERALI
Cardinali
In un contesto discorsivo i numeri cardinali si scrivono di norma in lettere; ciò vale
sia per i numeri interi sia per quelli decimali, frazionari e nella rappresentazione
percentuale (uno e ottanta, due terzi, dieci per cento).
Si scrivono però in cifre:
« quando scritti in lettere genererebbero una parola particolarmente lunga;
« quando riproducono indicazioni che sono di norma in cifre, come per esempio nei
numeri civici o quando seguono un sostantivo (Reparto 3, stanza 15);
« i numeri dei rinvii alla pagina, al capitolo ecc.;
« i riferimenti orari, se formati da ore e minuti precisi (13:40; ma le tre e mezzo; 5
10.3);
« le date (ma 5 10.3);
« in ambito scientifico, i numeri che esprimono delle grandezze, specie se accompagnati dal simbolo dell’unità di misura (possono essere lasciati in lettere quelli che
sono inseriti in un contesto discorsivo).
Quando un numero è scritto in lettere:
« le diverse parti di cui è composto non vanno separate fra loro (cinquantasette,
centoquaranta; e non cinquanta sette, cento quaranta);
« il suffisso mila non si separa mai dal numero cui si riferisce (cinquemila, seimila),
mentre milione e miliardo si scrivono sempre separati dal numero cui si riferiscono
(dieci milioni, due miliardi);
« vanno scritte per esteso anche le eventuali unità di misura (venti kilometri; evitare:
venti km e anche 20 kilometri).
Quando un numero è scritto in cifre:
« da diecimila in su, è bene separare i diversi ordini di migliaia (a gruppi di tre,
partendo da destra); come segno separatore si può usare uno spazio fine o un punto
(1450; ma 100 000 oppure 100.000): una volta optato per uno dei due sistemi, esso
va seguito con coerenza all’interno del libro;
« le cifre decimali si separano con la virgola, in questo caso senza alcuno spazio dopo
la virgola (1,25; 7,9).
Attenzione
« Nei paesi anglosassoni il criterio di separazione delle migliaia e dei decimali è
invertito: bisogna dunque prestare attenzione nelle traduzioni e trasformare la
virgola in punto e il punto in virgola a seconda dei casi.
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« È buona norma non dividere un numero in cifre su due righe andando a capo.
« È bene evitare di cominciare una nuova frase con un numero in cifre.
« Le forme ibride del tipo 5 mila, 3 milioni ecc., seppure abbastanza diffuse, sono
sconsigliabili.
Due cifre separate da un trattino breve, senza spazi prima e dopo, segnalano un
intervallo; per i numeri superiori alle centinaia, del secondo numero possono
essere date soltanto le ultime due cifre, purché la penultima non sia zero (57-58;
645-50; 103-105).
10.2
Ordinali
Come i cardinali, anche i numeri ordinali si scrivono di norma in lettere all’interno
dei contesti discorsivi.
Per la scrittura in cifre degli ordinali si può usare il numero arabo seguito dal
simbolo ‘‘ º ’’ (‘‘ ª ’’, per il femminile), collocato in apice e senza spaziatura (1º aprile,
3ª compagnia guastatori), oppure i numeri romani, di norma in maiuscolo.
Le cifre romane si usano obbligatoriamente:
« per i sovrani, papi ecc.;
« per i secoli (5 10.3);
« nelle indicazioni bibliografiche:
– per i singoli volumi (in maiuscolo);
– per i tomi (in maiuscoletto se preceduti dal volume; maiuscolo se da soli);
– nel caso, per i numeri di pagina (sempre in maiuscoletto);
– per le annate delle riviste (maiuscolo).
Anche i numeri romani non vanno mai divisi su due righe; quando segnalano un
intervallo inoltre non si possono usare le forme abbreviate (XXIV-XXV; mai XXIV-V).
Attenzione
In italiano i numeri romani indicano di per sé l’ordinale e quindi non vanno mai
scritti con l’esponente ‘‘ º ’’.
10.3
Date e ore
Il numero dell’anno va sempre in cifre; nelle date che segnalano un intervallo la
seconda può essere data per esteso (1976-1977) o abbreviata alle ultime due cifre
(1976-77). Nel caso del primo decennio del secolo è opportuno tralasciare lo zero
(1908-9, 2001-2).
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Gli ordinali nelle altre lingue
L’uso dei numeri romani per l’ordinale è tipico dell’italiano. In francese, inglese
e tedesco sia le cifre romane sia quelle arabe da sole indicano il numero
cardinale; entrambe indicano invece l’ordinale se sono seguite dall’opportuna
abbreviazione.
In francese l’ordinale è segnalato tramite una e (talvolta anche ème; er per il numero
1) in apice dopo il numero: le XXe siècle, Napoléon Ier, je suis arrivé le 1er; ma Louis
XIV si legge Louis quatorze, cioè «Luigi quattordici».
In tedesco l’ordinale si indica invece apponendo un punto dopo il numero: Karl V.
(Karl der Fünfte), der 1. Mai (der erste Mai, il 1º maggio).
In inglese infine, dove i numeri romani sono scarsamente usati, l’abbreviazione per
l’ordinale è th (st per il numero 1, nd per il 2 e rd per il 3) posta subito dopo la cifra
araba in apice o anche alla base della riga: 1st o 1st (first), 2nd (second), 3rd (third),
the 20th century («il XX secolo»).
I secoli successivi all’anno Mille si indicano con il numero romano (XVI secolo)
oppure a tutte lettere con l’iniziale maiuscola (Cinquecento); per quelli precedenti si
usa soltanto la forma con il numero romano. L’eventuale abbreviazione a.C. (avanti
Cristo) o d.C. (dopo Cristo) va posta di preferenza subito dopo il numero (VII secolo
oppure secolo VII; ma, se è necessario specificare, sempre secolo VII a.C. e non VII
secolo a.C.).
Per i decenni di un secolo il numero va scritto di preferenza in lettere e con l’iniziale
maiuscola; ha invece l’iniziale minuscola la parola ‘‘anni’’ (anni Trenta, anni Ottanta).
Nelle date complete il giorno e l’anno si scrivono di norma in cifre, il mese in lettere
(12 marzo 1962); il primo giorno del mese è sempre indicato con l’ordinale ‘‘1º’’ (ma
la festa dei lavoratori si scrive ‘‘Primo Maggio’’).
In alcuni contesti (es.: riferimento alla data di pubblicazione di una legge e simili) si
può indicare anche il mese in numero; in questo caso i numeri vanno separati fra loro o
con un punto (12.3.1962) o con la barra obliqua (12/3/1962).
Le ore si possono scrivere in lettere quando sono inserite in un contesto discorsivo e
non indicano un orario preciso (le due e un quarto, mezzogiorno e mezzo, le sei e venti).
Si mettono in cifre quando sono all’interno di riferimenti precisi (es.: prontuari,
elenchi ecc.). In questo caso ore, minuti e, eventualmente, secondi sono separati dai
due punti, senza spaziature in mezzo (13:35; 18:15; 6:42:15); se è necessario
esprimere anche le frazioni di secondo, il numero va alla fine separato da una virgola
senza spaziature (15:35:18,4).
Quando si usa la scrittura in cifre è necessario dare sempre i valori previsti dal grado
di approssimazione scelto, anche quando essi sono uguali a zero (15:00).
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10.4
Segni matematici e simboli delle unità di misura
All’interno di un testo discorsivo si scrivono di norma in lettere le percentuali (per
cento, per mille) e le unità di misura (centimetro, kilogrammo ecc.). Si usano invece i
segni e i simboli propri all’interno di testi scientifici in formule, tabelle, prospetti ecc.
Si danno qui di seguito alcune norme relative alle consuetudini tipografiche da
seguire quando si utilizzano i simboli.
In generale si ricorda che:
« I simboli delle unità di misura (5 10.4.1) vanno in tondo, senza punto finale (cm =
centimetro; kg = kilogrammo) e vanno di norma posposti al valore numerico; i
simboli che indicano una grandezza vanno in corsivo, anch’essi senza puntino (l =
lunghezza; s = superficie).
« Le variabili vanno sempre in corsivo (E = mc2); le costanti sempre in tondo.
« Gli operatori matematici (+, –, c ecc.) vanno sempre separati dai numeri o simboli
che precedono e seguono con uno spazio fisso (di norma lo spazio fine), tranne
quando essi indicano il segno algebrico (es.: –3), nel qual caso sono uniti al numero
cui si riferiscono.
« L’operatore di moltiplicazione ha un proprio segno tipografico ‘‘c’’, e non va usata
in sua vece la lettera ‘‘x’’; la moltiplicazione può essere indicata anche tramite un
punto posto a metà altezza della riga (alb=c); tra lettere o tra numeri e lettere
moltiplicati fra loro il segno si può omettere del tutto (ab, 3ab).
« L’operatore di divisione ( ⁄ ) si distingue dalla barra obliqua per la maggiore
inclinazione (ca 45º) e va utilizzato in luogo di essa quando si scrivono le frazioni
con i numeri allineati sulla stessa riga (1 ⁄ 8, 3 ⁄ 2).
« Le parentesi – tonde, quadre e graffe – servono per indicare il corretto ordine di
precedenza nell’esecuzione delle operazioni all’interno delle espressioni polinomiali.
« Quando una divisione viene indicata nella forma frazionaria, la linea orizzontale va
posta a metà dell’altezza della riga, con il numeratore e il denominatore rispettivamente sopra e sotto di essa; poiché una frazione comporta un ampliamento
dell’interlinea, è consigliabile usare questo sistema solo nelle formule centrate
nella pagina, preferendo all’interno del testo la forma con numeratore e denominatore separati dalla barra obliqua (2 ⁄ 3) o quella con l’esponente negativo (2l3-1).
« I numeri o le lettere in esponente o deponente devono essere a un’altezza sufficiente
per essere correttamente interpretati come tali e in un corpo minore rispetto a quello
del testo (a–2; m2; yx).
« Per le formule si utilizzino di volta in volta gli accorgimenti tipografici più
opportuni perché esse siano di agevole lettura e prive di equivoci.
10.4.1
Unità di misura
Tutte le unità di misura hanno un nome (es.: metro) e un simbolo (es.: m): quando
esse ricorrono all’interno di un testo discorsivo va usato il nome; quando sono in un
contesto numerico (formule, prospetti, grafici ecc.), il simbolo.
Tutti i nomi delle unità di misura, in quanto nomi comuni, si scrivono con l’iniziale
minuscola, anche quando il simbolo è una lettera maiuscola (W = watt; K = kelvin) e,
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quando hanno una forma italiana, concordano al plurale (grammo, grammi; metro, metri
ecc.). I simboli delle unità di misura sono sempre invariati al plurale, anche quando
hanno una forma estesa (220 volt; errato: 220 volts) e vanno sempre scritti in tondo.
Il simbolo di un’unità di misura data dal prodotto di due o più unità di misura si
indica con i rispettivi simboli che la compongono separati fra loro dal punto di
moltiplicazione oppure da uno spazio fine; il simbolo di un’unità di misura data dal
prodotto della stessa unità di misura si indica con il simbolo dell’unità di misura base
elevato alla potenza e non con la ripetizione del segno (es.: m2; s2):
m s2
e non m s s
Il simbolo di un’unità di misura data dal quoziente di due o più unità di misura si
indica con il segno di frazione (sia nella forma con la barra obliqua sia in quella con la
linea orizzontale a metà riga) oppure usando gli esponenti negativi:
m
m ⁄ s2 oppure
oppure mls-2
s2
I simboli dei multipli e sottomultipli di un’unità di misura si scrivono facendo
precedere al simbolo dell’unità quello del prefisso senza alcuno spazio interposto
(mm, kg, hm). Si dà qui di seguito un elenco dei nomi e simboli dei prefissi e del loro
fattore di moltiplicazione:
Prefisso
Fattore di moltiplicazione
Simbolo
1018
1015
1012
109
106
103
102
10
10-1
10-2
10-3
10-6
10-9
10-12
10-15
10-18
Manuale di redazione 2005
E
P
T
G
M
k
h
da
d
c
m
m
n
p
f
a
pag 115
Nome
exa
peta
tera
giga
mega
kilo
etto
deca
deci
centi
milli
micro
nano
pico
femto
atto
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116
Nomi e simboli delle unità di misura devono essere quelli stabiliti dal sistema
internazionale; di essi si dà qui un elenco, limitatamente alle unità fondamentali e
derivate approvate (prestare attenzione a maiuscole e minuscole).
Unità di misura fondamentali
Simbolo
m
kg
s
A
K
mol
cd
rad
sr
Nome
metro
kilogrammo
secondo
ampere
kelvin
mole
candela
radiante
steradiante
Grandezza
lunghezza
massa
tempo
intensità di corrente elettrica
temperatura termodinamica
quantità di sostanza
intensità luminosa
angolo piano
angolo solido
Unità di misura derivate
Simbolo
Hz
N
Pa
J
W
C
V
F
W
S
Wb
T
H
lm
lx
Bq
Gy
Sv
Manuale di redazione 2005
Nome
hertz
newton
pascal
joule
watt
coulomb
volt
farad
ohm
siemens
weber
tesla
henry
lumen
lux
becquerel
gray
sievert
Grandezza
frequenza
forza
pressione
lavoro
potenza
carica elettrica
differenza di potenziale elettrico
capacità elettrica
resistenza elettrica
conduttanza elettrica
flusso di induzione magnetica
induzione magnetica
induttanza elettrica
flusso luminoso
illuminamento
attività di un radionuclide
dose assorbita
equivalente di dose
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117
10.4.2
Unità di misura diverse da quelle del Sistema internazionale
Spesso in area anglosassone vengono usate unità di misura diverse da quelle del
Sistema internazionale (miglia, pollici, piedi ecc.): è bene che nella traduzione i dati
vengano convertiti in queste ultime. Ciò è particolarmente consigliato nel caso si tratti
di testi scientifici o di saggistica; possono invece essere lasciati i dati e le unità di
misura originali nei testi di narrativa (es.: «percorsero a piedi le poche miglia che li
separavano dal mare»).
Fa eccezione il miglio marino (nautical mile) che equivale 1,852 km e che, pur
appartenendo alla tradizione metrologica anglosassone, è stato adottato a livello
internazionale e che va sempre usato per qualsiasi misurazione di distanza delle rotte
marine e aeree.
È generalmente consigliato invece non convertire i dati, lasciando anche il nome
originale dell’unità di misura, quando si fa riferimento a misurazioni dei secoli
passati; in questo caso, se il contesto lo richiede, si può eventualmente spiegare in nota
il valore del dato in rapporto agli odierni criteri di misurazione.
Diamo qui di seguito una tabella di conversione delle più comuni unità di misura
britanniche: per passare dalla misura britannica a quella del Sistema internazionale
moltiplicare il proprio dato per il fattore di conversione dell’ultima colonna; per il
passaggio inverso moltiplicare il dato per il fattore di conversione della prima colonna.
Fattore di
conversione
Unità di misura britannica
0,3937
0,1550
0,0610
3,2808
10,7639
35,3148
1,0933
1,1960
1,3080
0,6214
0,3861
2,20462
0,03527
15,3846
0,220
inches (pollici)
square inches (pollici quadrati)
cubic inches (pollici cubici)
feet (piedi)
square feet (piedi quadrati)
cubic feet (piedi cubici)
yards (iarde)
square yards (iarde quadrate)
cubic yards (iarde cubiche)
statute miles (miglia terrestri)
square miles (miglia quadrate)
pounds (libbre)
ounces (once)
grains (grani)
gallons (galloni)
Unità di misura del SI
centimetri
centimetri quadrati
centimetri cubici
metri
metri quadrati
metri cubici
metri
metri quadrati
metri cubici
kilometri
kilometri quadrati
kilogrammi
grammi
grammi
litri
Fattore di
conversione
2,54
6,4516
16,3870
0,38048
0,0929
0,02831
0,9144
0,8361
0,7646
1,6093
2,59
0,4536
28,3495
0,064
4,546
Questa è invece la formula per passare dai gradi Fahrenheit (ºF) ai gradi centigradi (ºC):
ºC = ºF – 32 c 5/9
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118
10.5
Simboli chimici
I simboli degli elementi chimici – e in generale dei nuclidi – si scrivono sempre in
tondo senza il punto.
Ogni simbolo può essere accompagnato da un numero o da un opportuno simbolo
che assume un significato diverso a seconda di dove è posizionato, cioè:
– in alto prima del simbolo indica il numero dei nucleoni (86Kr);
– in basso prima del simbolo indica il numero dei protoni (36Kr);
– in basso dopo il simbolo indica il numero di atomi (SO4);
– in alto dopo il simbolo indica lo stato di ionizzazione o uno stato eccitato (Na+).
Manuale di redazione 2005
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11
LA ‘‘D’’ EUFONICA
La d eufonica è quella che viene talora introdotta quando l’incontro di più vocali
consecutive genera una cacofonia. Come l’elisione, è un fenomeno tipico del parlato e
si consiglia quindi di limitarne il più possibile l’uso nello scritto. In ogni caso sta
imponendosi la tendenza di eliminarla del tutto.
Per consuetudine, si usano le forme con la d eufonica ad e ed soltanto davanti a
parole che iniziano con la stessa vocale.
Non si usa mai od.
La d eufonica non si usa, pur sussistendo la condizione sopra esposta, nei seguenti
casi:
« quando la parola successiva inizia per ad-/ed-:
provò a addentrarsi (e non: provò ad addentrarsi)
foglie di fico e edera (e non: foglie di fico ed edera)
« quando tra la e o la a e la parola successiva vi è un segno di interpunzione:
salı̀ di corsa le scale e, elusi gli inseguitori, fuggı̀ attraverso i tetti
« quando la parola successiva è in qualche modo separata da quanto precede, perché è
in corsivo (es. un titolo) o sta fra virgolette e simili:
nella sua recensione a Assalonne, Assalonne! di William Faulkner ecc.
lo invitò a ‘‘alzare il gomito’’
Una piccola lettera con una lunga storia
L’impiego di una consonante per evitare lo iato tra due vocali consecutive è attestato
in tutta la storia della lingua italiana, fin dalle sue origini. Un tempo anzi tale uso era
forse più diffuso, potendosi estendere oltre che alla e, alla a e alla o anche alla
congiunzione negativa né (ned), forma ancora vitale alla fine dell’Ottocento: «Non
presumo sputar fuori ned un paradosso, ned una novità...» (V. Imbriani).
In poesia l’uso della consonante eufonica rappresentava anche un espediente
metrico, in quanto, evitando la sinalefe tra due vocali consecutive, permetteva,
all’occorrenza, di avere una sillaba in più.
Per quanto riguarda la e inoltre, la forma più diffusa fino al Seicento era quella
latineggiante et, che nelle stampe antiche era per lo più rappresentata con il segno &,
il quale altro non era che una forma compendiata delle due lettere derivata dalla
scrittura a mano. Esso si è conservato fino a oggi, dove viene però usato soltanto in
ambito commerciale nella denominazione di ditte e simili.
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« davanti a nomi stranieri che iniziano con h, e spesso anche davanti a vocale uguale
(l’uguaglianza è infatti per lo più solo grafica e non fonetica):
Fichte e Hegel
si incontrarono a Aberdeen
la chiesa di St Germain a Auxerre
« in tutti i casi in cui non ci si trovi all’interno di un contesto discorsivo, come in un
titolo, nelle indicazioni bibliografiche ecc.:
Antologia della letteratura amorosa e erotica
Il mondo capovolto, a cura di Aldo Brambilla e Enrico Colombo...
La d eufonica può essere mantenuta in alcune espressioni standardizzate come ‘‘ad
esso /ad essa, ad esempio, ad eccezione di, ad opera di’’ e simili.
Attenzione
Per evidenti motivi filologici, va assolutamente evitato di uniformare l’uso della d
eufonica nelle opere letterarie e più in generale nei testi d’autore. Questo vale in
particolare per le nuove edizioni di classici nei quali l’uso della d eufonica è
generalmente abbondante e risulta fastidioso a un redattore moderno.
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12
LE ABBREVIAZIONI
È bene limitare l’uso delle abbreviazioni a note, apparati, rinvii e sim., preferendo
all’interno del testo le corrispondenti forme non abbreviate.
Molte abbreviazioni sono sufficientemente perspicue o comunque universalmente
note e non è quindi necessario darne spiegazione. Se però in un libro si fa uso di
abbreviazioni specifiche, è opportuno fornire un elenco delle stesse con la relativa
spiegazione.
In linea generale si ricorda che:
« quando un’abbreviazione è formata da due sole lettere entrambe puntate, non si
mette alcuna spaziatura tra le due (a.C.; s.d.);
« l’indicazione del plurale si ottiene di norma con un raddoppiamento della lettera
finale dell’abbreviazione (es. vol./voll., fig./figg.);
« nel caso si usino abbreviazioni specifiche diverse da quelle segnalate qui di seguito,
si presti attenzione a evitare di creare doppioni: ogni abbreviazione deve rimandare
sempre a un solo termine.
Diamo qui di seguito un elenco in ordine alfabetico delle abbreviazioni più comuni
(quelle cioè convenzionalmente utilizzabili senza fornirne spiegazione), cui vanno
aggiunte le abbreviazioni bibliografiche (5 12.1).
a.C.
ca.
cfr.
cit.
d.C.
ecc.
es.
f.t.
fig.
n.
[N.d.C.]
[N.d.T.]
pl.
r.
sec.
sim.
sing.
tab.
tav.
Manuale di redazione 2005
avanti Cristo
circa
lat. confer, «confronta»
citato
dopo Cristo
eccetera (non è di norma preceduto dalla virgola)
esempio
fuori testo
figura
numero
Nota del curatore (tra quadre e in corsivo)
Nota del traduttore (tra quadre e in corsivo)
plurale
riga
secolo (ma solo all’interno di parentesi e sim.)
simili (nell’espressione ‘‘e sim.’’)
singolare
tabella
tavola
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Attenzione
Davanti ai nomi propri francesi si possono usare le abbreviazioni M. (Monsieur),
M.me (Madame), M.lle (Mademoiselle); davanti a quelli inglesi Mr (pl. Messrs) e
Mrs; tranne la prima (M.), che si possono scrivere sia col punto sia senza.
Abbreviazioni: punto sı̀ o punto no?
Come osservato nel testo, in molti casi nelle lingue straniere le abbreviazioni formate
per contrazione della parola (quelle cioè che sono costituite dalla prima lettera della
parola e dall’ultima, o dalle ultime) sono spesso scritte senza il punto alla fine o là
dove si ha la contrazione (es. in inglese: S[ain]t, abbreviato in St. o St; in francese:
M[ada]me, abbreviato in M.me o Mme).
Ma questo criterio non vale in italiano, per cui si scrive dr. (da dottor), cfr. (dal latino
confer), ca. (da circa), F.lli (da Fratelli) ecc. Tale almeno è la norma cui attenersi
secondo la grammatica, e per un motivo molto semplice: in questi casi il punto ha la
funzione di segnalare che la parola non va letta cosı̀ come è scritta e nemmeno, come
avviene per molte sigle, compitando le singole lettere che la compongono (es.: CNR,
letto ‘‘ci-enne-erre’’), bensı̀ ‘‘interpretata’’ e pronunciata come se la parola fosse
scritta per intero.
12.1
Abbreviazioni bibliografiche
art.
art. cit.
cap.
cit.
col.
ed. cit.
ed. orig. o ed. or.
et al.
ediz.
f.
fasc.
ibid.
loc. cit.
ms.
n.s.
op. cit.
Manuale di redazione 2005
articolo (di legge e sim.)
articolo citato (di rivista, in corsivo perché sostituisce
un titolo)
capitolo
citato
colonna
edizione citata
edizione originale
et alii, «e altri»
edizione
foglio
fascicolo
ibidem, «nello stesso luogo»
loco citato, «nel luogo citato»
manoscritto
nuova serie
opera citata (in corsivo perché sostituisce un titolo)
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123
p.
par.
r.
s.e.
s.a.
s.v.
s.d.
s.l
sg.
trad. cit.
trad. it. (fr., ingl. ecc.)
v.
v.
vol.
vol. cit.
pagina
paragrafo
recto (contrapposto a verso)
senza editore
senza anno
sub voce
senza data
senza luogo
seguente
traduzione citata
traduzione italiana (francese, inglese ecc.)
verso (contrapposto a recto)
verso
volume
volume citato
Attenzione
Non si abbreviano mai i seguenti termini: libro, tomo, nota, parte, idem, passim
(«in più luoghi»), ad indicem («vedere l’indice»).
12.2
Abbreviazioni bibliche
Nei rinvii bibliografici ai singoli libri della Bibbia si possono usare le forme
abbreviate. Salvo casi particolari (es.: quando per necessità interne al testo si rimanda
a un’edizione specifica della Bibbia), tra le varie possibilità di abbreviazione
(praticamente ogni edizione della Bibbia ha le proprie) si consiglia di utilizzare le
abbreviazioni adottate nella Bibbia a cura della CEI; di esse diamo un elenco alfabetico
qui di seguito.
In generale si ricorda che il rinvio completo è composto dal nome del libro, dal
numero del capitolo e dal numero del versetto; l’abbreviazione del libro non ha il
punto finale e va in tondo; il numero del capitolo e quello del versetto è preferibile
metterli in tondo; tra libro e capitolo non va alcun segno di interpunzione, mentre
numero del capitolo e del versetto sono separati da una virgola (es. Gv 11, 4).
Ab
Abd
Ag
Am
Ap
At
Bar
Manuale di redazione 2005
Abacuc
Abdia
Aggeo
Amos
Apocalisse
Atti degli Apostoli
Baruc
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124
Col
1 Cor
2 Cor
1 Cr
2 Cr
Ct
Dn
Dt
Eb
Ef
Es
Esd
Est
Ez
Fil
Fm
Gal
Gb
Gc
Gd
Gdc
Gdt
Ger
Gio
Gl
Gn
Gs
Gv
1 Gv
2 Gv
3 Gv
Is
Lam
Lc
Lv
1 Mac
2 Mac
Mc
Mic
Ml
Mt
Na
Manuale di redazione 2005
Lettera ai Colossesi
Prima lettera ai Corinzi
Seconda lettera ai Corinzi
Primo libro delle Cronache
Secondo libro delle Cronache
Cantico dei Cantici
Daniele
Deuteronomio
Lettera agli Ebrei
Lettera agli Efesini
Esodo
Esdra
Ester
Ezechiele
Lettera ai Filippesi
Lettera a Filemone
Lettera ai Galati
Giobbe
Lettera di Giacomo
Lettera di Giuda
Giudici
Giuditta
Geremia
Giona
Gioele
Genesi
Giosuè
Vangelo secondo Giovanni
Prima lettera di Giovanni
Seconda lettera di Giovanni
Terza lettera di Giovanni
Isaia
Lamentazioni
Vangelo secondo Luca
Levitico
Primo libro dei Maccabei
Secondo libro dei Maccabei
Vangelo secondo Marco
Michea
Malachia
Vangelo secondo Matteo
Naum
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125
Ne
Nm
Os
Prv
1 Pt
2 Pt
Qo
1 Re
2 Re
Rm
Rt
Sal
1 Sam
2 Sam
Sap
Sir
Sof
Tb
1 Tm
2 Tm
1 Ts
2 Ts
Tt
Zc
12.3
Neemia
Numeri
Osea
Proverbi
Prima lettera di Pietro
Seconda lettera di Pietro
Qoelet
Primo libro dei Re
Secondo libro dei Re
Lettera ai Romani
Rut
Salmi
Primo libro di Samuele
Secondo libro di Samuele
Sapienza
Siracide
Sofonia
Tobia
Prima lettera a Timoteo
Seconda lettera a Timoteo
Prima lettera ai Tessalonicesi
Seconda lettera ai Tessalonicesi
Lettera a Tito
Zaccaria
Sigle e acronimi
Un particolare tipo di abbreviazione sono le sigle, in cui ogni lettera corrisponde a
una parola, e gli acronimi, dove possono essere presenti più lettere di una stessa parola.
Le sigle, e soprattutto gli acronimi, vanno scritti di norma senza il punto fra le
singole lettere e a caratteri tutti maiuscoli o meglio, specialmente se sono presenti
sigle lunghe, in maiuscoletto (ONU, UNESCO, FIAT).
Nei casi in cui le sigle assumono a tutti gli effetti la valenza di nomi propri, è
diventato uso comune, prevalentemente nel linguaggio giornalistico, scrivere le sigle
in maiuscolo/minuscolo (Onu, Unesco, Fiat).
È comunque fondamentale scegliere un metodo di scrittura uniforme delle sigle
all’interno di una stessa opera o di una stessa collana.
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13
LE PAROLE STRANIERE
Per convenzione, quando in un testo sono utilizzati termini o espressioni che non
appartengono alla lingua italiana, essi vengono evidenziati tramite l’utilizzo del
corsivo.
Vanno messe in corsivo tutte le parole straniere che non siano entrate nell’uso
italiano. Quelle di origine straniera ormai assimilate all’italiano (film, handicap,
hinterland, referendum, sport) si lasciano in tondo.
In entrambi i casi il termine va scritto secondo la corretta grafia originale: i termini
francesi hanno dunque l’accento (élite, équipe), quelli tedeschi l’iniziale maiuscola
(Zeitgeist, Gestalt) sebbene si usi la grafia italiana per alcuni termini entrati nell’uso
comune (es.: hotel, lager; e non hôtel, Lager).
Può talvolta essere opportuno lasciare in corsivo termini che, benché entrati
nell’uso, rischiano di confondersi con un termine italiano di diverso significato,
specie quando essi vengano citati in contesti isolati (es.: «disporre il materiale in una
serie di files», e non «una serie di file»).
In testi specialistici possono eventualmente essere lasciati in tondo termini che,
benché non entrati nell’uso comune italiano, sono propri della disciplina in questione.
Analogamente, se un termine straniero che andrebbe di norma in corsivo ricorre di
frequente nel testo, può essere messo in corsivo solo alla prima occorrenza (eventualmente con la traduzione tra parentesi) e poi lasciato in tondo in tutti gli altri casi
(5 anche il paragrafo 6.2.2).
I termini stranieri entrati nell’uso – e quindi lasciati in tondo – si sillabano secondo
le regole dell’italiano; quelli non entrati nell’uso – e quindi in corsivo – vanno sillabati
secondo le regole specifiche della lingua cui appartengono (per le regole di sillabazione nelle principali lingue 5 9.2).
Si danno qui di seguito alcune elementari norme di ortografia delle lingue europee
più comuni, ricordando che è indispensabile quando si citino parole in una lingua
scritta con alfabeto latino utilizzare tutti i segni diacritici che essa contempla evitando
improprie semplificazioni (5 anche i paragrafi 7.3.2 e 7.4).
« In francese l’accento e il segno di dieresi, obbligatori sulle minuscole, possono
essere omessi sulle lettere maiuscole o in maiuscoletto; per il dittongo ‘‘o + e’’
vanno usate le forme proprie œ / Œ (cœur, Œuvre) e non la grafia con le due lettere
separate.
« In spagnolo l’accento è sempre acuto e va messo anche sulle lettere maiuscole;
salvo eccezioni, hanno di norma l’accento tutte le parole sdrucciole o bisdrucciole;
le parole piane che non terminano in vocale, n o s; le parole tronche che terminano in
vocale, n o s.
« In tedesco tutti i sostantivi si scrivono con l’iniziale maiuscola; le parole con Umlaut
vanno scritte apponendo lo speciale segno sopra la vocale e non nella forma con la
Manuale di redazione 2005
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vocale seguita dalla e (Bücher e non Buecher); nei casi in cui è previsto, va usato il
carattere speciale ß (scharfes s) e non la grafia corrispondente ‘‘ss’’ (la grafia ‘‘SS’’
si usa però nelle parole in maiuscolo).
Attenzione
Si mettono in corsivo, secondo le regole sopra esposte, solo i termini comuni;
rimangono sempre in tondo tutti i nomi propri (di persona, di associazioni, di
partiti, geografici ecc.).
13.1
Genere
I termini stranieri entrati nell’uso – e quindi lasciati in tondo – vanno adoperati
secondo il genere ormai consolidato.
Per i termini stranieri non entrati nell’uso – e quindi messi in corsivo – si usa di
norma il genere, maschile o femminile, che essi hanno nella lingua originale (i
Mémoires, le Fleurs du mal, la «Süddeutsche Zeitung»).
I termini che nella lingua originale sono di genere neutro (come, di fatto, tutti i
termini inglesi), possono essere messi al maschile o al femminile a seconda dell’uso o
del genere della corrispondente parola in italiano (la «Review of Books»; la Deutches
Haus ma il Bauhaus).
13.2
Morfologia
Le parole straniere acquisite nella lingua italiana si lasciano in tondo e sono
invariabili al plurale (i film, gli sport, i referendum).
Le parole straniere non entrate nell’uso e quindi scritte in corsivo vanno declinate
secondo le regole della lingua d’appartenenza (le débâcles, i Länder).
Attenzione
Alcuni termini, per lo più derivati dallo spagnolo o dal portoghese, presentano
sia la forma originale (silo/silos) sia quella adattata all’italiano (silo/sili):
quando anche la prima delle due è in genere ampiamente attestata in italiano – e
spesso è addirittura la forma preponderante –, tali termini si lasciano di norma in
tondo pur se declinati secondo le regole della lingua di provenienza. Attenzione
in questi casi a non usare il plurale per il singolare (un silo, un mural/murale
errati: un silos, un murales ecc.)!
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128
Tondo o corsivo
Come è facile intuire (e come ben sa chiunque abbia a che fare con i libri), non esiste
un criterio assoluto per stabilire quando un termine straniero debba andare in corsivo
o possa essere lasciato in tondo.
Essendo la lingua un organismo in divenire e in un contesto culturale sempre più
aperto agli influssi stranieri, non è facile stabilire un discrimine netto tra ciò che è da
considerarsi ‘‘entrato nell’uso’’ o meno. È una questione che varia a seconda, tra
l’altro, del momento storico in cui ci si trova (molti termini dell’informatica avvertiti
come stranieri fino a non molto tempo fa sono oggi del tutto acquisiti) o dell’argomento del libro (lo stesso termine può essere in corsivo in un testo e in tondo in un
altro). In definitiva la scelta è determinata dalla sensibilità personale del redattore, il
cui compito è non solo quello di giudicare la liceità del singolo corsivo in sé, ma
anche (e soprattutto) quello di verificare che la scelta fatta sia uniformemente
rispettata all’interno del testo.
13.3
Derivati di nomi stranieri
Gli aggettivi e i sostantivi italiani derivati da termini stranieri si scrivono di
preferenza secondo la grafia originale e non secondo la pronuncia (nietzschiano e
non nicciano; freudiano e non froidiano; rousseauiano e non russoiano). Tali termini,
inoltre, non vanno mai in corsivo.
Per i termini derivati da nomi di lingue che usano alfabeti non latini, in contesti non
specialistici si possono omettere i segni diacritici particolari usati nella traslitterazione
del nome base (segni di lunga, lettere speciali), partendo di preferenza dalla forma di
trascrizione semplificata (shivaitico da Siva; buddista da Buddha).
13.4
Nomi geografici stranieri
All’interno del testo i nomi geografici che hanno forma italianizzata ampiamente
attestata nella tradizione vanno dati in questa forma (Parigi, Londra ecc.).
Tutti gli altri vanno sempre controllati su un buon atlante (per esempio l’atlante
Treccani o quello del Touring Club) e dati nella forma locale corretta, compresi gli
eventuali segni diacritici particolari.
Attenzione
Nei riferimenti bibliografici i nomi di città vanno sempre lasciati nella lingua
originale (5 4.8.1, punto f).
Manuale di redazione 2005
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13.5
Citazioni in lingua straniera
Lunghe citazioni in lingua straniera possono essere lasciate in tondo: sono sufficienti infatti a segnare lo stacco dal resto l’uso delle virgolette (per la prosa) o la
centratura nella pagina (per i versi).
13.6
Traslitterazione
Per la citazione di parole di lingue scritte in caratteri non latini è necessario ricorrere
alla traslitterazione.
Per ogni lingua scritta in alfabeto non latino esiste una traslitterazione ufficiale (più
avanti in questo capitolo sono riportate le tabelle con la traslitterazione dalle principali
lingue di questo tipo). È bene conformarsi a essa in tutti i casi in cui il testo, perché
specifico su un argomento o rivolto a un pubblico di specialisti, richieda di attenersi a
dei criteri scientifici. Se all’interno del libro si fa un largo uso di termini traslitterati,
può essere opportuno fornire al lettore una tabella che spieghi il valore fonetico dei
segni diacritici particolari usati.
Si può optare per una trascrizione semplificata (in genere ricalcata sull’inglese),
evitando i segni diacritici particolari, in testi di ampia divulgazione (Krishna invece
che Kr.s.n.a), o quando si tratta di termini ormai entrati nell’uso (es.: hashish).
È bene comunque seguire un uso coerente all’interno del testo nel suo complesso.
Le parole traslitterate vanno sempre in corsivo.
È in ogni caso sempre raccomandabile che la traslitterazione venga fatta avvalendosi della consulenza di uno specialista. Nei paragrafi seguenti si danno le tabelle con
la traslitterazione consigliata per le principali lingue con alfabeto non latino, accompagnate da alcune indicazioni di carattere generale valide per ciascuna di esse.
13.6.1
Arabo
Siccome l’arabo si scrive da destra verso sinistra, si ricorda che nel caso si debbano
citare all’interno di un testo brevi frasi o espressioni direttamente in questa lingua, è
bene che esse siano collocate su una riga a sé. Possono invece essere citate di seguito
nel testo italiano brevi parole isolate.
Nella traslitterazione il segno di lunga sulle vocali va indicato mediante l’opportuno
segno (meno bene con l’accento circonflesso). Poiché in arabo le lettere cambiano in
base alla loro posizione nella parola, nella tabella a pagina seguente si danno le relative
forme grafiche. Inoltre dato che le stesse possono essere usate anche per i numeri,
nell’ultima colonna si dà il valore numerico di ciascuna di esse.
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Lettera
Nome della lettera Traslitterazione Valore numerico
isolata iniziale mediana finale
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alif
’
1
bā’
b
2
tā’
t
400
tā’
t (o th)
500
ǧı̄m
ǧ
3
h.a’
h.
8
hā’
h (o kh)
dāl
d
dāl
d (o dh)
700
rā’
r
200
zā’
z
7
sı̄n
s
60
šı̄n
š (o sh)
s.ād
s.
90
d.ād
d.
800
t. ā’
t.
9
z.ā’
z.
900
‘ayn
‘
70
ġayn
ġ (o gh)
fā’
f
80
qāf
q
100
kāf
k
20
lām
l
30
mı̄m
m
40
nūn
n
50
hā
h
5
wāw
w
6
yā’
y
10
pag 130
600
4
300
1000
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131
13.6.2
Ebraico
Poiché l’ebraico si scrive da destra verso sinistra, è bene che se si citano brevi frasi o
espressioni direttamente in questa lingua esse vengano collocate su una riga a sé; le
parole isolate possono invece essere lasciate di seguito all’interno del testo italiano.
Poiché in ebraico le lettere possono essere usate anche per i numeri, nell’ultima
colonna della tabella si dà il valore numerico di ciascuna di esse.
Lettera
Nome della lettera
Traslitterazione
Valore numerico
’alef
’
1
beth
b, b (o bh)
2
gimel
g, g (o gh)
3
daleth
d, d (o dh)
4
he
h
5
waw
w
6
zain
z
7
h.eth
h.
8
t. eth
t.
9
yod
y (o j)
10
kaf
k, k (o kh)
20
lamed
l
30
mem
m
40
nun
n
50
samekh
s
60
‘ayin
‘
70
pe
p, p (o ph)
80
s.ade
s.
90
qof
q
100
reš
r
200
śin
ś
300
šin
š
300
tau
t, t (o th)
400
1. Variante della lettera in posizione finale.
Manuale di redazione 2005
pag 131
23/2/2005
132
13.6.3
Greco antico
Le parole traslitterate dal greco devono sempre avere l’accento (acuto, grave o
circonflesso a seconda di quanto richiesto dalle regole proprie della grammatica; nei
dittonghi l’accento va sulla prima lettera, es.: basiléus). A seconda del grado di
scientificità del testo si può segnalare anche la quantità delle vocali apponendo sulle
lunghe il tradizionale segno (l’accento circonflesso rende superfluo il segno di lunga). Lo
spirito dolce (’) non si traslittera; quello aspro (‘) viene reso con la lettera h. Le lettere con
lo iota sottoscritto (ai , hi , wi ) si traslitterano come dittonghi ai, ei, oi (oppure ai, ei, oi).
Rimangono in tondo e senza accento le parole greche ormai entrate nell’uso italiano
(logos, pathos, topos ecc.).
Lettera
Nome della lettera
maiuscolo
A
B
G
D
E
Z
H
Q
I
K
L
M
N
X
O
P
R
S
T
U
F
C
Y
W
Traslitterazione
minuscolo
a
b
g
d
e
z
h
q
i
k
l
m
n
x
o
p
r
sV1
t
u
f
c
y
w
alpha
beta
gamma
delta
èpsilon
zeta
eta
theta
iota
cappa
lamba
mi (o mu)
ni (o nu)
csi
òmicron
pi
rho
sigma
tau
ı̀psilon
phi
chi
psi
omèga (o òmega)
a
b
g (n davanti a g, k, x, c)
d
e
z
e (oppure e)
th
i
k
l
m
n
x
o
p
r (rh a inizio frase)
s
t
y
ph
ch
ps
o (oppure o)
1. Variante della lettera in fine di parola.
Manuale di redazione 2005
pag 132
23/2/2005
133
13.6.4
Russo
Per il russo è bene usare sempre la trascrizione ufficiale, anche per i nomi propri che
hanno una grafia tradizionale. Quest’ultima può essere data soltanto all’interno di testi
divulgativi e nel caso in cui la grafia corretta si discosti parecchio da quella invalsa
(Krusciov invece che Chruščëv).
Lettera
maiuscolo
A
B
V
G
D
E
Ô
Ð
Z
I
J
K
L
M
N
O
P
R
S
T
U
F
X
C
H
W
Ñ
£
Y
&
é
Q
Â
minuscolo
a
b
v
g
d
e
ò
ð
z
i
j
k
l
m
n
o
p
r
s
t
u
f
x
c
h
w
ñ
"
y
'
è
q
à
Nome della lettera
traslitterato
a
be
ve
ge (pron. ghe)
de
e (pron. ie)
ë (pron. io)
že
ze
i
i kràtkoe
ka
el’
em
en
o
pe
er
es
te
u
ef
cha
ce (pron. tse)
če
ša
šča
tvërdyj znak
y
mjagkij znak
e oboròtnoe
ju
ja
Traslitterazione
a
b
v
g
d
e
ë
ž
z
i
j
k
l
m
n
o
p
r
s
t
u
f
ch
c (pron. ts)
č
š
šč
-1
y
’
e
ju
ja
1. La lettera non viene di norma traslitterata o, nel caso, essa viene indicata con un trattino.
Manuale di redazione 2005
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23/2/2005
134
14
LE FASI DI LAVORAZIONE DEL LIBRO
La lavorazione di un libro attraversa varie fasi, indispensabili per metterne a punto
forma, contenuto e aspetto grafico.
Data la molteplicità degli aspetti da tenere in considerazione, in genere sono
coinvolte nel lavoro più persone, ma è tuttavia opportuno per la buona riuscita del
prodotto finale che ci sia un’unica figura che svolga l’indispensabile funzione di
coordinamento. Essa è generalmente un redattore interno alla casa editrice che potrà
avvalersi all’occorrenza dell’aiuto di colleghi o di collaboratori esterni.
Il redattore incaricato del coordinamento tiene innanzitutto i contatti con l’autore (o
il traduttore) da un lato e con il tipografo o l’impaginatore dall’altro, curando che tutto
si svolga nei modi e con i tempi utili per il rispetto della scadenza finale. A lui inoltre
spetta in genere la decisione su quale soluzione adottare per ogni questione che
potrebbe sorgere riguardo le scelte redazionali specifiche per il singolo testo.
14.1
I diversi ‘‘giri’’ di bozze
Per la maggior parte dei libri, dopo la preparazione dell’originale e il suo invio
all’impaginazione per l’approntamento delle prime bozze (5 2), si hanno diverse fasi
di lavorazione:
a) lettura e correzione delle prime bozze e inserimento delle correzioni;
b) lettura e verifica delle seconde bozze e inserimento delle correzioni;
c) eventuali terze e quarte bozze;
d) riscontro e controllo delle ciano.
a) Le prime bozze sono in genere nella forma di un primo impaginato, ossia in essa
sono grosso modo rispettate tutte le impostazioni grafiche definitive (giustezza e
altezza della pagina, corpi e allineamenti dei titoli ecc.). Compito del redattore è in
questa fase procedere a una lettura del testo per controllare che non siano rimasti refusi
sfuggiti alla lettura dell’originale e verificare che le indicazioni fornite per l’impaginazione siano state rispettate (ingombro, allineamenti ecc.).
Nel caso il redattore non abbia provveduto da sé all’inserimento delle correzioni
effettuate sull’originale, la lettura sarà preceduta dal riscontro (5 14.3), ossia dalla
verifica che esse siano state inserite nel modo appropriato.
Se il lavoro di revisione sull’originale è stato buono, le correzioni sulle prime bozze
dovrebbero limitarsi a qualche aggiustamento relativo all’impaginazione e alla
correzione dei refusi sfuggiti alla prima lettura (di necessità più attenta ai contenuti
e alla forma che al singolo errore di battitura), oltre a qualche piccola sistemazione di
forma (ripetizioni sfuggite o inavvertitamente inserite durante la revisione, utilizzo di
un sinonimo più appropriato, individuazione di eventuali disuniformità terminologi-
Manuale di redazione 2005
pag 134
23/2/2005
che ecc.); assai limitati dovrebbero essere invece gli interventi di maggiore entità,
come il rifacimento di intere frasi, l’aggiunta o l’espunzione di interi paragrafi e
simili: ogni correzione dovrebbe essere tale da non alterare l’impaginazione.
Terminate queste operazioni, le bozze vengono inviate ancora una volta all’impaginazione per l’inserimento delle nuove correzioni relative al testo e all’impaginazione e la preparazione del successivo giro di bozze.
Attenzione
È buona norma che chi rilegge le prime bozze sia una persona diversa da chi ha
preparato l’originale. Un occhio nuovo infatti non solo sarà assai utile per
verificare la buona tenuta del testo nella sua nuova veste, ma vedrà probabilmente
con più facilità eventuali refusi.
In qualche caso le prime bozze impaginate sono precedute dalle cosiddette bozze in
colonna. Si tratta di bozze in cui il testo, pur composto con la giustezza prevista, non è
però suddiviso in pagine con un uniforme numero di righe, ma in lunghe strisciate che
occupano pressoché per intero la lunghezza di un foglio A4; di solito i titoli non hanno
il carattere e l’allineamento definitivo e le eventuali note, stampate su fogli a sé, sono
numerate da 1 a n; inoltre mancano del tutto illustrazioni, tabelle e ogni altro
elemento diverso dal testo base. La prassi delle prime bozze in colonna era quella
normalmente seguita nella fotocomposizione per i libri che presentavano una
struttura complessa, in quanto corredati di tabelle, illustrazioni all’interno del testo
(e relative didascalie), box ecc.
In questi casi non è in genere possibile procedere fin dall’inizio all’impaginazione in
quanto non tutto il materiale è dello stesso tipo e disponibile nello stesso momento.
Viene preparata dunque una stampa delle prime bozze con il solo testo in colonna;
questa viene letta e corretta dal redattore, il quale ha anche il compito di segnalare il
luogo in cui va inserito il materiale aggiuntivo (box, illustrazioni, tabelle); quindi passa
nuovamente il materiale per l’impaginazione e la preparazione delle seconde bozze.
Spesso, per facilitare il compito dell’impaginatore, per i libri di questo genere un
grafico appronta il cosiddetto menabò.
Si ricorre in genere alle prime bozze in colonna anche quando il testo non è
disponibile su supporto informatico e deve essere inserito manualmente; in questo
caso infatti, benché procedere fin dall’inizio all’impaginazione non sia di per sé
sconsigliato, è tuttavia per lo più inutile: a causa degli inevitabili errori che verranno
compiuti da chi ha eseguito la battitura (salti di righe, ripetizioni di frasi già scritte e
simili), il testo necessiterà infatti di correzioni tali per cui numerose righe passeranno
da una pagina all’altra compromettendo inevitabilmente l’impaginazione.
Attenzione
È bene verificare che fin dalla prima bozza vengano controllati accuratamente tutti
i possibili problemi di transcodifica dei caratteri (5 1.2) e di eventuali simboli,
nonché la corretta interpretazione di corsivi e neretti ecc.
Manuale di redazione 2005
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136
Il menabò
Per i libri che presentano una struttura composita, in quanto costituiti da testo,
illustrazioni, riquadri ecc., è talvolta necessario predisporre, a partire dalla bozza del
testo composto, il cosiddetto ‘‘menabò’’. Sembra che il termine derivi dal dialetto
milanese e il suo significato etimologico dovrebbe quindi essere quello di ‘‘menare i
buoi’’; in effetti, scopo del menabò è quello di fungere da guida per chi non conosce la
struttura del libro ma ha il compito di impaginarlo, fornendogli le opportune istruzioni
su come sistemare all’interno della pagina gli elementi di varia natura che ha sul tavolo
di lavoro o... sul disco rigido del suo computer.
Il menabò è tuttora impiegato quando l’impaginatore è esterno alla redazione che
cura la produzione del libro, anche se, spesso, la figura del grafico che ‘‘inventa’’
l’impaginazione di un volume e quella di chi la realizza coincidono.
Per preparare il menabò si utilizzano dei fogli di dimensioni tali da poter contenere le
due pagine affiancate del libro definitivo. Su di esse si disegna con precisione la gabbia
del testo. Quindi, con un paziente lavoro di taglia e incolla, si posizionano tutti gli
elementi che costituiscono ogni pagina nel punto esatto in cui devono essere collocati:
strisciate di testo (ritagliate nel numero di righe necessario dalla bozza composta già
con la giustezza definitiva), illustrazioni (opportunamente dimensionate tramite
l’utilizzo di una fotocopiatrice, o abbozzate a mano in un box delle dimensioni
corrette), didascalie, riquadri e cosı̀ via.
Sulla base del menabò l’impaginatore, o il montaggista della tipografia, provvederà
alla corretta e definitiva sistemazione dei vari elementi nella pagina per preparare la
bozza impaginata o la cianografica.
b) Sulle seconde bozze va innanzitutto fatto il riscontro (5 14.3), ossia la verifica
che tutte le correzioni indicate siano state inserite in modo appropriato. Quindi si
procede alla nuova lettura, che anche in questo caso sarà meglio affidare a una persona
diversa, la quale dovrà porre attenzione agli eventuali refusi sfuggiti alle letture
precedenti e controllare che tutto sia in ordine per la stampa dal punto di vista grafico.
c) Eventuali giri di bozze successive alla seconde sono sempre il segnale che
qualcosa non ha funzionato nelle fasi precedenti. Infatti se la lettura redazionale
dell’originale è il momento della verifica del contenuto e la seconda bozza quello del
riscontro e della verifica dell’impaginazione, ogni bozza successiva non può che
servire a supplire alla scarsa attenzione dedicata nelle fasi precedenti. Purtroppo è una
pratica sempre più diffusa grazie anche alla disponibilità di strumenti sempre più
potenti e di facile uso per l’impaginazione che consentono di intervenire sul testo in
qualunque momento, anche poche ore prima della stampa, aprendo cosı̀ la via a un
approccio giornalistico all’editoria.
Le bozze sono allora pronte per essere avviate alla preparazione dell’impaginato
finale e/o alla stampa.
Manuale di redazione 2005
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137
d) Terminate le fasi di lavorazione redazionale del libro, si preparano gli impianti di
stampa costituiti un tempo dalle pellicole (accompagnate da una fotocopia su carta) e
ora in via quasi esclusiva da file in un formato opportuno.
Gli impianti vengono quindi consegnati alla tipografia per la preparazione delle
lastre di stampa; a partire da questi il tipografo preparerà le cianografiche, che
rappresentano una copia eliografica delle pellicole o una stampa digitale dei file della
versione finale del volume, da sottoporre all’editore per l’ultimo possibile controllo
prima della stampa (per la verifica delle ciano 5 14.5).
14.2
La collazione
La collazione è il raffronto parola per parola, segno di punteggiatura per segno di
punteggiatura, tra quanto è scritto sulle bozze composte e quello che è scritto
sull’originale, in modo da verificare che ci sia fra i due una esatta corrispondenza.
La collazione è necessaria tutte le volte che un testo viene inserito ex novo a partire
da un dattiloscritto (o manoscritto), che si tratti di un intero libro o di un breve appunto.
Non è necessaria nel caso di un testo consegnato su supporto magnetico, in quanto la
transcodifica garantisce di norma il mantenimento integrale del testo.
La collazione deve evidenziare gli errori di battitura nelle parole, ma soprattutto
controllare che siano stati inseriti correttamente i segni di interpunzione, che sia stata
rispettata la paragrafazione dell’originale e che non siano stati compiuti dei salti o
delle ripetizioni.
Più ancora che al singolo refuso (che può essere evidenziato anche nelle successive
letture), chi effettua la collazione deve prestare la massima attenzione agli altri tipi di
errore, quelli in particolare che se non sono visti in questa fase non potranno più
esserlo nelle successive: è il caso per esempio di un salto che generi comunque una
frase di senso compiuto o dello scambio di due segni di interpunzione entrambi
ammissibili in una determinata posizione e via dicendo.
Per tutte queste ragioni la collazione è una delle operazioni più delicate del lavoro
editoriale: essa richiede un’attenzione sempre vigile e una buona dose di pazienza, in
quanto, specie se il testo è di grandi dimensioni, essa comporta un largo dispendio di
tempo (e non esistono trucchi per sveltirla!).
Attenzione
La collazione può essere ritenuta superflua anche nel caso di un testo acquisito con
lo scanner: come per la transcodifica, infatti, anche in questo caso non vi saranno
presumibilmente salti di singole parole o frasi, ma principalmente lettere non
riconosciute o scambiate per lettere simili e quindi tali da generare refusi
evidenziabili con facilità anche a una semplice lettura. Qualche dubbio potrebbe
però rimanere per quanto riguarda la punteggiatura, innanzitutto, ma anche la
paragrafazione, i corsivi e molti altri dettagli. È perciò indispensabile in questi casi
una lettura particolarmente attenta delle bozze, con un occhio sempre puntato
anche sull’originale.
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138
14.3
Il riscontro
Il riscontro consiste nel verificare sulle nuove bozze che tutte le correzioni
segnalate sulla bozza precedente siano state inserite in modo appropriato. Ciò
significa non solo accertarsi che sia stato corretto un refuso o introdotta una nuova
parola senza errori e nel punto indicato, ma controllare che il testo nella zona
circostante all’intervento sia rimasto a posto.
Il riscontro può essere preliminare alla lettura del testo (come nel caso della prima e
della seconda bozza) o l’unico controllo previsto (come nel caso delle pellicole).
Si tratta di un’operazione molto più delicata di quanto a volte si sia portati a credere.
Esso è importante per il controllo della correzione di un errore in sé e per sé, ma non
solo. Se condotto con scrupolo e intelligenza, un riscontro rappresenta una sorta di
situazione privilegiata per dare uno sguardo d’insieme all’intero testo. Per tale motivo
è bene che il riscontro sulle bozze venga fatto da chi è incaricato della lettura, al quale
servirà per farsi un’idea generale del testo, della sua struttura, dei suoi problemi
specifici prima di iniziare a leggerlo; mentre è bene sia il redattore che ha seguito il
libro a incaricarsi del riscontro finale sulle pellicole, in quanto meglio di chiunque
altro egli potrà approfittare di questa scorsa del libro per verificare che tutto sia a posto.
In particolare chi effettua il riscontro deve:
« controllare la correttezza dell’intervento sia in riferimento ai contenuti sia alla
posizione in cui l’intervento è stato effettuato;
« rileggere le righe circostanti, specie quelle che a seguito dell’intervento hanno
cambiato il loro inizio o la loro fine, per verificare che non si siano generati nuovi a
capo sbagliati (soprattutto se nella frase ci sono termini stranieri);
« rileggere l’intera frase in cui si è inserita la correzione, per verificare innanzitutto
che essa sia stata indicata appropriatamente (può capitare anche che il redattore
sbagli nel segnalare una correzione!) e per controllare che a seguito di eventuali
cambi di genere (dal maschile al femminile, o viceversa) o di numero (dal singolare
al plurale, o viceversa) siano state modificate tutte le concordanze.
Attenzione
« Se vi accorgete che una correzione non è stata fatta, non limitatevi a segnalarla
nuovamente ma controllate le righe circostanti per verificare che essa non sia
magari stata inserita per sbaglio in un altro punto della pagina.
« Ogni correzione, in qualunque fase della lavorazione e di qualunque entità essa
sia, va riscontrata puntualmente in redazione: chi esegue la correzione può
commettere errori che sfuggirebbero a qualsiasi altro controllo generale.
14.4
La lettura
Tranne casi particolari, ogni libro prima di venire pubblicato passa attraverso tre
letture diverse: quella dell’originale consegnato dall’autore, quella delle prime bozze
impaginate, quella delle bozze definitive.
Manuale di redazione 2005
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139
Della lettura dell’originale abbiamo parlato diffusamente nel secondo capitolo. In
genere è la lettura che implica i maggiori interventi sul testo, sia per gli aggiustamenti
della forma e dello stile sia per il controllo dei contenuti e per l’adeguamento del testo
alle norme redazionali specifiche.
La lettura delle prime bozze ha lo scopo di:
« verificare che gli interventi operati sull’originale siano congruenti e che il testo
revisionato nel suo complesso regga;
« individuare quanto è sfuggito alla revisione e all’opera di uniformazione e controllare che siano state seguite correttamente le indicazioni relative all’impaginazione.
È bene che la lettura delle prime bozze venga fatta da una persona diversa da quella
che ha effettuato la revisione. Essa potrà e dovrà sottoporre al redattore incaricato del
libro ogni dubbio e ogni perplessità in merito a soluzioni formali e stilistiche non del
tutto convincenti.
L’entità delle nuove correzioni sarà in relazione alla bontà della revisione (e prima
ancora alle condizioni del testo di partenza), ma non dovrebbe essere tale da
condizionare in maniera sostanziale la struttura del libro impaginato.
La lettura delle seconde bozze è – o almeno dovrebbe essere – la lettura finale, con i
vantaggi e svantaggi che questo comporta: preceduta dal riscontro delle correzioni
introdotte nelle prime bozze, essa si effettua su un testo che non dovrebbe più
presentare alcun problema a livello formale e stilistico né richiedere controlli
particolari sui contenuti; tuttavia essa comporta una pesante responsabilità in quanto
nessun altro – tranne i futuri acquirenti del libro – leggerà più quelle pagine e quindi
ogni errore lasciato si ritroverà nel libro stampato.
Anche in questo caso è opportuno che questa bozza venga letta da una persona che
non ha letto le bozze precedenti, la quale ha lo scopo di verificare che il libro sia nel suo
complesso pronto per la stampa, evitando di sindacare su questioni di stile o forma
opinabili (presumibilmente già affrontati e discussi a fondo nelle fasi precedenti) e
limitandosi invece a segnalare eventuali refusi ancora presenti o errori indiscutibili.
Attenzione
Per ottenere un buon livello di correzione è necessario far intervenire più correttori
contemporaneamente su due copie delle bozze. Il lavoro verrà cosı̀ svolto in
parallelo e alla fine sarà necessario effettuare una collazione per riportare le
correzioni di un correttore sulla bozza dell’altro. In questo modo si può prevedere
di ottenere una maggiore accuratezza contando sul fatto che ai due correttori
saranno sfuggiti errori diversi. Non bisogna commettere l’errore di far rileggere due
volte le stesse bozze a due correttori diversi: il secondo correttore sarà
inevitabilmente influenzato dai segni lasciati dal primo e non necessariamente
riuscirà a snidare altri errori.
Se tutto ha funzionato, le correzioni saranno poche e soprattutto tali da coinvolgere
solo brevissime porzioni di testo.
Purtroppo quella descritta è la situazione ideale che assai raramente si riscontra
nella realtà: quando l’autore è vivente e coinvolto nella correzione, spesso, rileggendo
Manuale di redazione 2005
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le bozze impaginate è inevitabilmente portato a migliorarsi e allora interviene anche in
maniera sostanziale sul testo; oppure il libro prevede degli apparati che seguono per lo
più un iter a sé rispetto al testo base, in quanto vengono consegnati successivamente a
esso o necessitano di una lavorazione più gravosa...
14.5
Il controllo delle cianografiche
Anche se non si può più parlare propriamente di cianografiche – ovvero copie
eliografiche delle pellicole montate a segnature a formare gli impianti di stampa – ma
di stampe laser dei file di stampa, il controllo delle cianografiche è l’ultimissima fase
di lavorazione oltre la quale gli errori verranno pubblicati. Per questa ragione è bene
che se ne incarichi il redattore che ha la responsabilità del libro in quanto è certo la
persona che meglio lo conosce e che con più facilità può individuare eventuali
imperfezioni. È probabile anzi che, proprio in quanto responsabile del volume, egli
voglia provvedere personalmente al riscontro finale, in modo da sincerarsi che tutto
sia a posto e poter quindi dare l’assenso per la stampa.
Il controllo delle cianografiche comporta gli ultimi riscontri delle correzioni
effettuate sulle seconde bozze e una verifica della correttezza del montaggio.
Nel riscontro sulla ciano, alle indicazioni fornite sopra (5 14.3) – da compiersi se
possibile con un’attenzione ancora maggiore – si deve aggiungere il controllo
dell’identità della prima e dell’ultima riga della pagina tra le precedenti bozze e le
attuali, e quello dell’altezza della pagina. Ciò è indispensabile poiché, essendo
stampate con una macchina diversa da quella usata fino a quel momento per la
preparazione delle varie bozze, capita talvolta che presentino degli errori – in genere
macroscopici, per fortuna – come appunto, per esempio, la mancanza di un’intera riga
o la sostituzione completa di un font.
Andrà inoltre verificato che ogni pagina non presenti imperfezioni, sbavature,
chiazze e simili, che verrebbero riprodotte sulla pagina del libro stampato.
La verifica della correttezza del montaggio consiste invece nel controllare che le
pagine siano state montate senza salti e che le pagine si succedano nell’esatto ordine
progressivo.
È buona norma, infine, durante il controllo delle ciano, verificare un’ultima volta
l’esattezza dei rinvii alle pagine del libro contenuti nell’indice generale.
14.6
Le correzioni dell’ultimo minuto
Una delle operazioni più delicate nel ciclo produttivo di un libro è l’inserimento di
eventuali correzioni a livello delle ultime bozze impaginate o, ancor di più, delle
cianografiche. Non si parla qui tanto del refuso puntuale passato inosservato nei giri di
bozze precedenti, quanto della sostituzione, dell’aggiunta o della cancellazione di una
porzione di testo, modifiche che possono rendersi necessarie, per esempio, per
effettuare un aggiornamento dell’ultimo minuto. In questi casi la correzione può
generare uno scivolamento del testo nella pagina adiacente, con conseguenze che
Manuale di redazione 2005
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141
Impianti di stampa digitali
L’avvento dell’elaborazione elettronica in editoria non ha solamente modificato gli
strumenti di lavoro del redattore e dell’impaginatore, ma ha avuto importanti
conseguenze sulla produzione finale dei prodotti editoriali.
Tradizionalmente, terminati tutti i giri di bozze e di verifiche, il compositore
procedeva a stampare e sviluppare le pellicole delle singole pagine del libro, che
venivano poi assemblate nel reparto di montaggio della tipografia su sottili supporti
trasparenti (astralon) grandi come il foglio di un’intera segnatura, dai quali finalmente venivano incise le lastre di stampa.
I moderni software di videoimpaginazione producono direttamente dei file di
stampa, documenti scritti in speciali linguaggi di descrizione della pagina; il più
diffuso è il linguaggio PostScript, la cui prima versione venne definita nel 1984 dalla
Adobe Systems: concepito per essere indipendente dal dispositivo di output, esso
può essere usato dalle piccole stampanti laser da ufficio cosı̀ come dalle grandi unità
fotografiche da tipografia ed è oggi considerato uno standard mondiale.
Anche il montaggio delle singole pagine di una segnatura viene sempre più spesso
effettuato con l’ausilio di speciali software. Esistono varie tecniche che consentono
di generare, a partire dai file prodotti con software di videoimpaginazione, l’immagine dell’intera segnatura già assemblata, producendo una pellicola per ogni lato del
foglio di stampa (CTF o computer to film, cioè ‘‘dai file alla pellicola’’) oppure
incidendo direttamente le lastre per la macchina tipografica (CTP o computer to
plate, cioè ‘‘dai file alle lastre’’).
Il formato comunemente utilizzato per questo scambio finale di dati è chiamato PDF
(portable document format, formato portabile per documenti): i file in tale formato
contengono una versione visualizzabile sullo schermo (e in parte modificabile) delle
pagine descritte in linguaggio PostScript.
possono ripercuotersi, a seconda dell’impaginazione, per più pagine. Dopo avere
effettuato la correzione, la redazione produrrà nuovamente solo la pagina incriminata,
da sostituire nelle cianografiche o negli impianti digitali già pronti.
È indispensabile a questo punto verificare con attenzione il risultato dell’inserimento, controllando che la modifica sia interamente contenuta nella pagina o nelle
pagine sostituite, che i numeri di pagina e le testatine non abbiano subito variazioni,
confrontando insomma un gruppo di pagine sovrabbondante, che contenga quelle
corrette, tra la nuova versione e la precedente. Infine, se vi è stato scivolamento di testo
nelle pagine successive, non bisogna dimenticare di controllare nel sommario e
nell’indice analitico che i rimandi ai numeri di quel gruppo di pagine siano ancora
corretti.
Solo dopo aver effettuato tali controlli, una modifica nella fase finale della
produzione di un libro potrà essere liberata.
Manuale di redazione 2005
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23/2/2005
142
I segni del correttore
Alcuni dei più comuni segni di riporto tra margine e testo
unire eliminando tutto lo spazio
allargare lo spazio tra i caratteri
di una parola
sopprimere
allargare lo spazio tra le parole
sopprimere e riunire
ricomporre le righe per allungare
un righino
inserire uno spazio saltato fra parole
ricomporre le righe per far
rientrare un righino
diminuire lo spazio tra sinistra e destra
a inizio riga: eseguire il capoverso
all’interno di riga: mandare a capo
diminuire lo spazio tra alto e basso
scambiare di posto due lettere o
parole nella riga
aumentare lo spazio tra destra e sinistra
spostare le righe evidenziate dove
indicato dalla freccia
aumentare lo spazio tra alto e basso
carattere in pedice
testo di seguito nella riga e non a capo
carattere in apice
a sinistra: togliere una rientranza
a destra: far rientrare il testo
dubbio
a sinistra: far rientrare il testo
a destra: togliere una rientranza
la correzione segnata non va
eseguita
Segni e notazioni per il cambiamento dello stile del carattere
minuscolo
maiuscolo
corsivo
oppure
tondo
minuscolo con
iniziale maiuscola
maiuscoletto
neretto
oppure
oppure
chiaro
Per le notazioni circolettate si usa il segno
o similare, sotto la parola o parte interessata,
riportato al margine con il circoletto all’interno (es.
Manuale di redazione 2005
oppure
pag 142
).
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143
14.7
I segni del correttore
Nella lettura delle bozze si usa segnalare gli errori da correggere con una serie di
segni e artifici che, pur variando in parte a seconda dei gusti e delle abitudini personali,
si basano su un codice consolidato il quale consente che la comunicazione a distanza
tra chi si occupa della redazione e chi si occupa della correzione e dell’impaginazione
avvenga in modo produttivo.
I principi che regolamentano questo codice sono pochi e semplici ed è indispensabile
che il redattore li conosca e vi si conformi per evitare ogni possibile fraintendimento.
Buona parte dei segni convenzionali utilizzati nella correzione delle bozze e del
loro significato sono illustrati nella pagina a fianco.
Ci limitiamo qui a ricordare alcune norme basilari:
« L’intervento da effettuare sul testo va indicato in modo preciso e dettagliato, non
dando nulla per scontato. Chi inserisce le correzioni, infatti, è tenuto a eseguire
pedissequamente quanto segnato sulle bozze, senza doverlo interpretare.
« Le singole correzioni devono essere indicate sui margini della pagina, e non
all’interno del testo.
« Il segno usato come richiamo deve essere identico per forma e colore sia al margine
sia all’interno del testo.
« Ogni segno e ogni correzione devono essere fatti a penna e essere chiaramente
leggibili.
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INTERNET IN REDAZIONE
Nel breve volgere di alcuni anni Internet è divenuto uno strumento fondamentale
del lavoro redazionale per le opportunità di comunicazione a distanza che offre, per la
gestione stessa del lavoro e per il reperimento di informazioni di ogni genere.
La ‘‘rete delle reti’’ comprende ormai miliardi di pagine con documenti, testi, fonti
di consultazione, i cui corrispettivi predecessori cartacei si trovavano (e in buona parte
ancora si trovano) disseminati in biblioteche, aziende, enti, scuole, università,
istituzioni, redazioni sparsi per il mondo. Se si considera che il principale motore di
ricerca, Google, dichiarava (dicembre 2004) di possedere in archivio oltre otto
miliardi di pagine web, risulterà subito chiaro che si è di fronte a una risorsa
informativa enorme, accessibile direttamente dalla propria scrivania, inimmaginabile
solo pochi anni fa. Anche se la lingua principale della rete resta l’inglese, da qualche
anno si assiste al progressivo aumento di pagine in altre lingue.
Di particolare interesse e utilità per i redattori è innanzitutto l’area degli strumenti
terminologici, lessicografici e linguistici – glossari, dizionari, thesauri, banche dati,
corpora, classificazioni ecc. – consultabili direttamente on-line, nonché la possibilità
di ottenere informazioni su strumenti analoghi non direttamente accessibili sul web
(informazioni bibliografiche, biblioteche, norme ecc.). È dunque essenziale la conoscenza degli strumenti (metamotori e motori di ricerca generali e specializzati, portali
generalisti e verticali, software di ricerca ecc.) offerti da Internet e delle metodologie
che permettono di utilizzarli con maggior profitto.
15.1
15.1.1
Strumenti di ricerca
I motori di ricerca automatici
Un motore di ricerca (in inglese search engine) è un sito web che offre
gratuitamente un servizio di ricerca all’interno della rete sulla base di una o più
parole chiave scelte dall’utente. Esistono centinaia di questi motori, di tipologie e
caratteristiche diverse, che svolgono il proprio lavoro di esplorazione del web
(visita alle diverse pagine e catalogazione del loro contenuto) in maniera automatica. Per fare ciò si avvalgono di specifici software (detti crawler o spider, in
italiano ‘‘indicizzatori’’) che navigano perennemente in Internet e archiviano i testi
di tutte le pagine che trovano. Esempi di motori di ricerca automatici sono Google
(www.google.it), Alltheweb (www.alltheweb.com), Altavista (www.altavista.it),
Yahoo! (www.yahoo.com).
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15.1.2
I metamotori di ricerca
Spesso quando si esegue una ricerca complessa è utile consultare più motori di
ricerca. A questo scopo si può ricorrere ai metamotori di ricerca (in inglese metacrawler), che svolgono tale operazione automaticamente. Un metamotore esegue
l’interrogazione del web sulla base delle parole chiave scelte dall’utente, a sua volta
utilizzando contemporaneamente diversi motori di ricerca, e poi riporta i risultati
provenienti dai vari archivi in un’unica lista, raggruppando i duplicati.
Le modalità con cui i metamotori riescono a interpretare e risolvere le differenti
tipologie di ricerca dei motori consultati sono varie, ma la loro efficacia è strettamente
correlata al numero di motori che essi sono in grado di interrogare e alla capacità di
presentare all’utente i risultati ottenuti in un’unica lista. Un esempio di questa
tipologia di strumenti è costituito da Ixquick (www.ixquick.com/ita). In modo
analogo funzionano anche alcuni software di ricerca che è possibile scaricare da
Internet e installare sul proprio computer, come per esempio Copernic (www.copernic.com); tali software offrono la possibilità di gestire i risultati delle proprie ricerche
anche off-line.
15.1.3
I motori di ricerca specializzati
Anche i più potenti motori di ricerca hanno difficoltà a tenere il passo con la rapida
crescita del web. Per questo motivo, negli ultimi anni sono aumentati i siti con motori
di ricerca specializzati (o portali verticali), che offrono servizi di ricerca o di web
directory (5 15.1.4) limitati a ambiti specifici, operando preventivamente una
selezione (in genere gestita da una redazione ‘‘umana’’) e offrendo maggiori garanzie
di reperire siti o pagine contenenti informazioni utili nei vari ambiti di ricerca.
Rientra in questa categoria quel particolare tipo di motori che, più che limitare la
propria ricerca a un ambito specifico, svolge per l’utente particolari funzioni. Di utilità
per redattori, traduttori e linguisti è per esempio il webCorp (www.webcorp.org.uk),
che offre varie modalità di ricerca per utilizzare al meglio il web come corpus testuale.
Interessante anche WaybackMachine (www.archive.org), un vero archivio o museo
del web che permette di guardare nel ‘‘passato’’ di Internet e vedere pagine web di due,
tre o cinque anni fa spesso non più raggiungibili, oppure rivedere versioni precedenti
di un determinato sito.
Sono da menzionare anche i cosiddetti motori di ricerca umani, agenzie di servizi in
cui una vera redazione è a disposizione – di solito a pagamento – per fare ricerche sugli
argomenti indicati via e-mail dall’utente.
15.1.4
Le web directory
Una web directory è un archivio in cui una redazione composta da persone ha
raccolto e catalogato un certo numero di siti, suddividendoli in categorie tematiche. A
differenza di quanto avviene con i motori di ricerca automatici, per comparire in una
web directory un sito deve essere stato segnalato da chi l’ha creato alla redazione della
web directory, che ne valuta caratteristiche e attendibilità, oppure individuato dalla
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redazione della directory stessa. Praticamente ogni motore di ricerca ha al proprio
interno una sezione di web directory (quella di Google, per esempio, è all’indirizzo
http://directory.google.com, accessibile anche dalla home page). Le raccolte più
conosciute e più ricche sono quella di Yahoo! (http://it.yahoo.com) e quella dell’Open
directory project (http://dmoz.org).
I siti web presentati dalle web directory sono suddivisi per argomento e organizzati
secondo una struttura gerarchica di categorie e sottocategorie; ogni sito presentato è
accompagnato da una breve descrizione delle caratteristiche e dei contenuti. È
possibile anche fare una ricerca per parole chiave all’interno di una singola categoria.
Categorie e descrizioni sono suggerite dai realizzatori dei siti web e poi vagliate dalla
redazione della directory.
Se per esempio si vogliono cercare cataloghi di biblioteche specializzate in testi di tipo
economico, in Yahoo! si possono consultare la sezione Risorse>Biblioteche>Economia.
15.2
Modalità di ricerca
Prima di iniziare una ricerca, è importante capire se questa è volta a trovare una
raccolta possibilmente esaustiva di documenti validi e interessanti su un certo argomento, oppure se si vuole trovare la risposta a una domanda molto specifica; nel primo
caso è preferibile scegliere di iniziare la ricerca in una web directory (generalista
oppure specializzata) o con un metamotore di ricerca, nel secondo con un motore di
ricerca possibilmente potente e veloce. Vi sono diverse modalità di ricerca possibili.
15.2.1
La ricerca semplice
Questo tipo di ricerca, in genere la prima a essere proposta dalla schermata di un
motore di ricerca, permette di accedere alle risorse del motore usando una sintassi
quasi naturale. È sufficiente inserire in maniera intuitiva una o più parole chiave per
ottenere un elenco di link a documenti che dovrebbero trattare l’argomento cercato.
Può essere utile inserire subito più parole chiave, per restringere maggiormente il
campo della ricerca ottenendo subito pagine rilevanti.
Altri suggerimenti per ottenere risultati più precisi, validi per gran parte dei motori
di ricerca, possono essere i seguenti:
a) Ricerca di una locuzione o di una frase esatta. È sufficiente racchiudere la
locuzione o la frase tra virgolette alte doppie, per esempio: ‘‘sintassi di ricerca’’.
b) Ricerca di pagine web in una specifica lingua. È una possibilità offerta dalla
maggior parte dei motori; nella home page italiana di Google, per esempio, è
possibile selezionare l’opzione «Cerca solo le pagine in italiano».
c) Inclusione o esclusione di parole. Perché una parola specifica sia sempre inclusa
nella ricerca, in molti motori di ricerca è necessario farla precedere (senza spazi)
dal segno più (+). Perché invece una parola specifica sia esclusa da una ricerca,
questa va preceduta (senza spazi) dal segno meno (–).
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15.2.2
La ricerca avanzata
Quasi tutti i motori mettono a disposizione una maschera di ricerca avanzata, con
indicazioni per trovare i risultati «che contengano tutte le seguenti parole», «che
contengano la seguente frase», «che contengano una qualunque delle seguenti
parole», «che non contengano le seguenti parole» ecc. Altre opzioni sono la ricerca
di documenti messi in rete all’interno di un certo intervallo di tempo, che consente
automaticamente di escludere documenti troppo vecchi o comunque redatti in un
periodo che ai fini della ricerca non interessano, oppure la scelta della lingua dei
risultati della ricerca stessa, o ancora il paese dei siti in cui si stanno cercando
documenti.
Una volta presa confidenza con tutte le opzioni di ricerca avanzata offerte da un
motore di ricerca, il navigatore esperto si troverà probabilmente meglio a utilizzare
direttamente gli operatori (prefissi, suffissi, operatori booleani) che consentono di
comporre vere e proprie espressioni complesse di ricerca.
15.2.3
La ricerca di immagini
I principali motori di ricerca offrono la possibilità di cercare immagini contenute
nelle pagine web. Si tratta di una funzione utile per comprendere meglio termini,
concetti, oggetti e riferimenti incontrati nei testi o, per esempio, per individuare opere
d’arte.
Per stabilire il contenuto dell’immagine, Google analizza il testo situato vicino
all’immagine, la descrizione dell’immagine e altri fattori. La funzione ‘‘Ricerca
immagini’’ di Google permette di ricercare oltre cinquecento milioni di immagini sul
web. Per la ricerca delle immagini possono essere utilizzati tutti gli operatori
normalmente impiegati per la ricerca di testo.
15.3
Strumenti di consultazione
Innumerevoli sono gli strumenti di consultazione disponibili in Internet che
risultano utili in redazione (enciclopedie, dizionari, raccolte di citazioni ecc.), e
ogni redattore finisce col tempo per avere nel proprio elenco di ‘‘Preferiti’’ quelli che
più frequentemente consulta e dei quali ha testato l’affidabilità. Dal momento che
quotidianamente nascono numerosi nuovi siti e altrettanti cessano di esistere (o
giacciono, dimenticati, senza più aggiornamenti e verifiche) è in generale poco utile
fornirne un elenco dettagliato.
Attenzione
Il fatto che la quantità di informazioni reperibili sul web sia gigantesca non
implica necessariamente la loro affidabilità. È assolutamente necessario che ogni
redattore valuti attentamente la qualità delle informazioni offerte da ogni sito
prima di accettarlo come ‘‘banca’’ certificata.
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Sintassi di ricerca avanzata (utilizzando Google)
Sintassi
termine1 termine2
termine1 AND termine2
Significato
restituisce pagine contenenti sia termine1 sia termine2
termine1 AND NOT termine2
restituisce pagine contenenti termine1 ma non termine2
termine1 NEAR termine2
restituisce pagine contenenti termine1 vicino a termine2
termine1 OR termine2
termine1 | termine2
restituisce pagine contenenti termine1 o termine2 o
entrambi
+termine
restituisce pagine contenenti termine (Google aggiunge
automaticamente l’operatore + davanti a tutti i termini
cercati); l’opzione può essere utile per costringere Google a considerare anche quei termini generalmente ignorati, come le preposizioni o le congiunzioni
-termine
restituisce pagine che non contengano termine
~termine
restituisce pagine contenenti termine o uno dei suoi
sinonimi (funziona solo per l’inglese)
"frase"
restituisce pagine contenenti la frase esatta, cioè qualunque serie di parole o caratteri in esatta sequenza
site:dominio
limita i risultati a pagine di un determinato dominio
intitle:termine
limita i risultati a pagine nel cui titolo è contenuto termine
inurl:termine
limita i risultati a pagine nel cui URL è contenuto termine
link:indirizzo
restituisce pagine con un link all’indirizzo indicato
filetype:tipo
restituisce solo pagine di un determinato formato
define:termine
restituisce pagine contenenti una definizione di termine
(funziona solo per l’inglese)
Oltre che a basi di dati virtuali, Internet può essere utile anche per la ricerca di opere
lessicografiche e terminologiche cartacee (banche dati, dizionari, glossari ecc.), sulle
quali in rete è possibile reperire informazioni bibliografiche.
15.3.1
Corpora e biblioteche virtuali
I corpora sono raccolte di testi digitalizzati organizzate per lingue, per ambiti
settoriali (letteratura, filosofia, scienze, stampa ecc.) o periodi storici. I corpora presenti
in Internet sono in genere dotati di un motore di ricerca con il quale l’utente può cercare
parole o sequenze di parole all’interno della raccolta di testi. Alcuni esempi sono il
British National Corpus (www.natcorp.ox.ac.uk), con estratti da libri, giornali, dissertazioni, tesi e altri generi di testi, il Project Gutenberg (www.sailor.gutenberg.org), con
testi dei maggiori autori della letteratura mondiale, generalmente in inglese ma anche in
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lingua originale e Wordtheque (www.wordtheque.com), vasto database di testi letterari
e tecnici sia in lingua originale sia tradotti in oltre 150 lingue. Per l’italiano un archivio
dei classici della letteratura ampio e in continua crescita è offerto dal sito LiberLiber
(www.liberliber.it). Un motore di ricerca specializzato in letteratura è WISDOM:
Knowledge and Literature Search (www.thinkers.net). Simili ai corpora sono le
biblioteche virtuali, vere e proprie biblioteche con cataloghi di testi digitalizzati.
15.3.2
Portali tematici
Detti anche portali verticali (in inglese vortals), in contrapposizione ai portali
orizzontali o generalisti, sono siti dedicati a un settore specifico: editoria, cinema,
affari, musica, scienza ecc. Fra i più interessanti Alice (www.alice.it), portale
dell’editoria con notizie, recensioni, interviste, segnalazioni di appuntamenti e diversi
indici di risorse e indirizzi utili, come motori di ricerca, biblioteche virtuali e non,
periodici, associazioni, editori, fiere, scuole; Biblit (www.biblit.it) è un portale
interamente dedicato alla traduzione letteraria, con gruppi di discussione, informazioni su vari aspetti della professione e un ricco archivio di risorse, quali dizionari,
glossari e altri strumenti di lavoro on-line.
15.3.4
Ricerca bibliografica
Internet offre la possibilità di accedere ai cataloghi on-line di numerose biblioteche (un
elenco è disponibile all’indirizzo www.edigeo.it/EdihomI/Sitoteca/bibloset.htm). Tutte
le maggiori biblioteche italiane hanno un proprio sito e la possibilità di ricerca all’interno
del proprio catalogo. Molte di esse aderiscono inoltre all’OPAC SBN, il cui modulo di
ricerca base è all’indirizzo http://opac.sbn.it/cgi-bin/IccuForm.pl?form=WebFrame:
lanciando una ricerca da tale maschera vengono presentati i dati del libro e l’elenco
delle biblioteche che lo conservano. Tra le biblioteche straniere basterà citare i siti della
Library of Congress di Washington (www.catalog.loc.gov), della British Library di
Londra (www.catalogue.bl.uk), della Bibliotèque nationale de France di Parigi (www.
catalogue.bnf.fr), della biblioteca nazionale di Madrid (www.bne.es) e del Karlsruher
Virtueller Katalog (www.ubka.uni-karlsruhe.de/kvk.html).
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1 IL TESTO ORIGINALE 1.1 L`aspetto fisico