INSEGNAMENTO DI
DIRITTO PENALE
LEZIONE XV
“IL REATO OMISSIVO”
PROF. GIANLUCA D'AIUTO
Diritto Penale
Lezione XV
Indice
1
L’omissione ------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
I reati omissivi propri ------------------------------------------------------------------------------------- 5
3
I reati omissivi impropri --------------------------------------------------------------------------------- 6
3.1 La clausola di equivalenza art. 40 cpv ---------------------------------------------------------------- 6
3.2 Obbligo di protezione e di controllo ------------------------------------------------------------------- 8
3.3 Nesso causale tra omissione ed evento -------------------------------------------------------------- 11
4
Elemento soggettivo ------------------------------------------------------------------------------------- 13
Bibliografia ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 14
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1
L’omissione
Il reato può essere commesso attraverso una azione, o comportamento attivo, od una
omissione, ovvero un comportamento negativo; sulla base di questa distinzione i reati si dividono
rispettivamente in commissivi od omissivi. Oggetto di studio di questo capitolo sono proprio i reati
omissivi.
L'omissione nel pensiero penalistico si è imposta più tardi, subendo solo recentemente una
progressiva considerazione che ha spinto la dommatica penale ad una revisione dell'analisi del reato
tradizionalmente fondata sul reato commissivo.
Non pochi problemi ha creato in passato la conciliabilità dell'omissione, che
naturalisticamente è un non facere, con il principio della causalità materiale.
Alcuni autori in passato hanno tentato di delineare un fisicità dell'omissione, la quale
consisterebbe nel diverso comportamento tenuto dal soggetto al posto di quello che avrebbe dovuto
tenere. Tale tesi però si prestava a facili obiezioni in quanto si affermava che chi omette di agire
non sempre compie un'altra azione, perché può essere rimasto totalmente inerte, continuando ad es.
a dormire.
Falliti tali tentativi, la dottrina oggi è concorde nel riconoscere alla omissione una essenza
non fisica ma normativa consistendo essa nel non compiere l'azione possibile, che il soggetto ha il
dovere di compiere.
Per quanto riguarda tale tipo di reato è possibile effettuare una ulteriore distinzione tra i reati
omissivi propri o puri1, ovvero quelli che vengono commessi attraverso il mancato compimento di
una azione che l‟ordinamento richiede che venga eseguita e i reati omissivi impropri, o reati
commissivi mediante omissione2, per integrare i quali il soggetto a seguito di una propria omissione
causa l‟evento. In questa categoria di reati l‟omittente può assumere il ruolo di garante della tutela
di un determinato bene giuridico (cfr. par. 3, nr. 2).
In sostanza:
 i reati omissivi propri, sono quelli per la cui sussistenza è necessaria e sufficiente la
semplice condotta negativa del reo, non essendo richiesto anche un ulteriore effetto di tale
condotta. Tali reati sono tutti tipizzati dal legislatore ed hanno quali elementi costitutivi
1
2
FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte Generale, Zanichelli Editore, pag. 541
AA.VV. Diritto penale, Parte generale, Edizioni giuridiche Simone, 2002 e XIX edizione del 2009, pag. 82
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oggettivi: a) i presupposti, vale a dire la situazione tipica da cui scaturisce l'obbligo di agire;
b) la condotta omissiva; c) il termine (implicito o esplicito) entro cui l'obbligo deve essere
adempiuto;
 reati commissivi mediante omissione detti anche omissivi impropri, nei quali, ai
fini della sussistenza del reato, il soggetto deve aver causato, con la propria omissione, un
dato evento.
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2 I reati omissivi propri
I reati omissivi si distinguono in omissivi propri, o puri o di pura condotta, e omissivi
impropri, o commissivi mediante omissione.
Come già indicato poco sopra, per integrare la fattispecie dei reati omissivi propri è
necessario non eseguire la condotta richiesta dall‟ordinamento, „senza la necessità che si verifichi
un qualsiasi evento naturalistico come conseguenza della condotta omissiva‟3. Quindi, il reato
risulterà commesso tutte le volte in cui il soggetto agente manchi di eseguire la condotta che
avrebbe dovuto compiere e prevista dall‟ordinamento.
Tipico esempio di questa categoria di delitti è l‟omissione di soccorso (art. 593 c.p.),
l‟omessa denuncia di reato (art. 361-364 c.p.), l‟omissione di referto (art. 365 c.p.).
Pertanto, al soggetto agente potrà essere contestato uno di questi reati nel caso in cui non
abbia fatto nulla per soccorrere chi ne aveva necessità, non abbia denunciato il reato o non abbia
redatto o presentato il referto medico.
Logicamente, tali reati si intendono commessi quando chi avrebbe dovuto agire ne aveva la
possibilità4 che va individuata nel senso di capacità materiale di adempiere al comando: se, quindi,
il soggetto non era in grado di eseguire l‟azione o non vi erano le condizioni esterne per compierla,
la commissione del reato sarà esclusa5.
3
4
5
C. FIORE, Diritto penale, Parte generale, UTET, pag. 229
FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte Generale, Zanichelli Editore, pag. 545
FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte Generale, Zanichelli Editore
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3 I reati omissivi impropri
I reati omissivi impropri sono quelli nei quali l‟aver omesso una azione ha causato un evento
che non si sarebbe dovuto verificare; con tali reati, dunque, si viola l‟obbligo giuridico di impedire
il verificarsi di un evento lesivo, previsto dall‟art. 40 cpv del c.p.
Secondo la teoria mista, inoltre, accanto alla posizione di garanzia, gli altri elementi tipici
del reato omissivo improprio sono costituiti da:
1)
presupposto del fatto, vale a dire la situazione di pericolo per il bene da
proteggere: ad esempio la malattia del bambino attiva l' obbligo di garanzia del genitore;
2)
astensione dell'azione sempreché l'azione stessa sia:
1. idonea ad impedire l'evento, nel senso che se tenuta l'evento non si sarebbe
verificato;
2. possibile, dovendo avere il titolare della posizione di garanzia la possibilità
materiale di tenere l'azione impeditiva;
3)
evento, di tipo naturalistico, non impedito, che è quello previsto dalla
fattispecie commissiva;
4)
nesso di causalità tra il comportamento omissivo e l'evento naturalistico
verificatosi, secondo quanto sopra si è detto.
3.1
La clausola di equivalenza art. 40 cpv
L‟art. 40 cpv, stabilisce la c.d. regola dell‟equivalenza tra il non impedire un evento che si
ha l‟obbligo giuridico di impedire e il cagionare lo stesso.
Per equiparare il non impedire al cagionare, nel nostro ordinamento non è sufficiente la
materiale possibilità di impedire l'evento, in quanto l'esigere l'intervento impeditivo da parte di ogni
soggetto in grado di farlo comporterebbe gravi interferenze nella sfera delle libertà individuali e
comprometterebbe l'eccezionalità del reato omissivo improprio.
Si richiede quindi come ulteriore requisito quello dell'obbligo di impedire l'evento anche se
sussistono profonde divergenze sulla natura, le fonti e la portata di esso. In relazione alle fonti
dell'obbligo di impedire, sono tre le teorie formulate dalla dottrina: quella formale, quella
sostanzialistico- funzionale e quella mista.
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a) la teoria formale dell'obbligo di impedire l'evento
Tale teoria che muove dal carattere eccezionale della protezione dei beni altrui, esige che
l'obbligo giuridico di attivarsi sia previsto da fonti formali.
Tali fonti vengono individuate: nella legge; nel contratto; nell'ordine dell'autorità giudiziaria
(sentenza, ordinanza); nella precedente attività pericolosa; nella consuetudine; nella volontaria
assunzione.
b) La teoria sostanzialistico-funzionale
Sviluppatasi in Germania negli anni '50 la teoria sostanzialistico-funzionale s'incentra sul
concetto di posizione di garanzia. Ciò che conta, secondo tale teoria, ai fini della imputazione di un
certo evento non impedito, non è tanto un'obbligazione formale di impedirlo, bensì il fatto che
l'ordinamento attribuisce a determinati soggetti la funzione di garanti di determinati interessi che
non possono essere efficacemente protetti dai loro titolari.
La posizione di garanzia può essere intrinsecamente collegata alla stessa situazione del
soggetto o essere assunta contrattualmente o spontaneamente.
c) La teoria mista
Secondo parte della dottrina (GRASSO, MANTOVANI), nel nostro ordinamento s'impone
una integrazione tra teoria formale e teoria sostanziale. Tale integrazione costituisce infatti l'unico
mezzo per tutelare i principi della riserva di legge e di tassatività, atteso il carattere generico della
clausola di cui all'articolo 40 secondo comma e degli obblighi previsti dalla legge.
Secondo la teoria mista il rispetto del principio della riserva di legge viene salvaguardato
attraverso:
a)
la c.d. clausola di equivalenza costituita per l'appunto dall'art. 40 secondo
comma: “non impedire un evento, si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo”.
Attraverso tale clausola, alle fattispecie commissive di parte speciale vengono ad
affiancarsi altrettante autonome fattispecie omissive improprie, ampliandosi l'ordinamento nel
pieno rispetto del principio nullum crimen sine lege.
Quando all'ambito di operatività di tale clausola, l'equiparazione è possibile solo con
riferimento ai reati causali puri.
Secondo FIANDACA e MUSCO, infatti, depone in tal senso l'inserimento nell'articolo
40 comma II nella rubrica del “rapporto di causalità” a dimostrazione che la clausola va
applicata ai casi in cui affiora il problema del nesso causale tra condotta ed evento. In altre
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parole, secondo tali autori, vi sarebbe il riconoscimento, a livello di normazione positiva, che
la regola di cui all'articolo 40 cpv è applicabile solo ai reati di evento.
Inoltre, nell'ambito dei reati di evento andranno considerati solo i reati causali puri
perché concentrando essi il loro disvalore sulla causazione e non sulle modalità di causazione
dell'evento, consentono quella equiparazione che l'art. 40 secondo comma limita, appunto alla
sola causazione.
b) la delimitazione dei doveri di impedire l'evento ai doveri giuridici come prevede l'art.
40 secondo comma, con esclusione, quindi, di quelli soltanto morali;
c)
la delimitazione delle fonti dei doveri giuridici alle sole fonti formali
costituite:

dalla legge penale, extrapenale di diritto pubblico, di diritto privato;

dal contratto, che in base all'articolo 1372 c.c. ha forza di legge;
 dall'assunzione volontaria dell'obbligo, che viene ricondotta nell'ambito della
negotiorum gestio di cui all'art. 2028 c.c.
In base a ciò devono essere escluse dal novero delle fonti dei doveri giuridici di cui all'art.
40 cpv quelle sublegislative (consuetudini, regolamenti, atti amministrativi), le quali possono
intervenire per integrare elementi di un obbligo posto già dalla legge.
3.2
Obbligo di protezione e di controllo
Sia nel caso del reato omissivo proprio che in quello dell‟omissivo improprio è presente la
c.d. posizione del soggetto garante, il quale altro non è che colui il quale ha l‟obbligo di agire per la
tutela del bene protetto dalla norma.
Nei reati omissivi propri tale soggetto è facilmente individuabile, perché la fonte
dell‟obbligo di agire è sempre presente in una norma penale, ovvero la norma incriminatrice di parte
speciale, che individuerà direttamente il soggetto obbligato ad agire.
Quindi, coloro i quali sono obbligati dalla norma ad agire rivestono il ruolo di garanti del
bene giuridico tutelato.
Nei reati omissivi impropri risulta meno agevole individuare chi ricopra il ruolo di garante,
in quanto, a differenza dell‟ipotesi del reato proprio, non vi è una espressa previsione della
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fattispecie omissiva dovendo fare direttamente riferimento alla clausola di equivalenza stabilita
dall‟art. 40 cpv. c.p.
Ad una teoria un po‟ più risalente (quella della triade o trifoglio), che indicava la legge, il
contratto o la precedente azione pericolosa come elementi dai quali individuare la posizione di
controllo, è subentrata un‟altra, più recente, la quale scinde la posizione di garanzia in due tipi
fondamentali: la posizione di protezione e la posizione di controllo.
Le posizioni di controllo prevedono un dovere giuridico di eliminare specifiche fonti di
pericolo: l‟obbligo, ad esempio di vigilanza nei confronti di persone di cui si è responsabili, è il
caso della posizione dei genitori nei confronti dei figli, soprattutto di quelli minori dei quali
detengono la custodia; oppure in obblighi di sorveglianza relativi ad edifici, manufatti, e cose di cui
si ha la responsabilità della conservazione, utilizzazione e custodia6.
Le posizioni di protezione, invece, sono individuate dal dovere di provvedere alla tutela di
un certo bene giuridico; tale posizione nasce o da un particolare rapporto giuridicamente rilevante,
da un contratto o, ancora, da altri tipi di rapporti che non sono inquadrabili ne con il primo né con il
secondo. Esempio del primo tipo può essere il rapporto genitori-figli, del secondo l‟obbligo della
baby-sitter di sorvegliare un bambino, del terzo il rapporto medico-paziente.
Evidentemente, non essendo un elenco chiuso, i soggetti che ricoprono tale posizione
andranno identificati di volta in volta in relazione al caso concreto.
L'obbligo di garanzia può, quindi, essere definito come l'obbligo giuridico del soggetto,
fornito dei necessari poteri, d'impedire l'evento offensivo di beni, affidati alla sua tutela.
Gli obblighi di garanzia sono classificabili in:
a)
obblighi di protezione, che hanno lo scopo di difendere indeterminati beni
da ogni fonte di pericolo che ne minacci l'integrità;
b)
obblighi di controllo, che hanno lo scopo di neutralizzare determinate fonti
di pericolo per proteggere tutti i beni ad esse sono esposti, non potendo i soggetti minacciati
autoproteggersi senza una ingerenza nella sfera altrui.
Gli obblighi di garanzia siano essi di controllo o di protezione possono altresì distinguersi in
originati e derivati.
6
C. FIORE, Diritto penale, Parte generale, UTET, pag. 239
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I primi nascono in capo a determinati soggetti, in considerazione dello specifico ruolo o
della speciale posizione di volta in volta rivestita; i secondi invece trapassano dal titolare originario
ad un soggetto diverso per lo più mediante un atto di trasferimento negoziale.
Il trasferimento della posizione di garanzia può avvenire anche attraverso assunzione
volontaria che si ha nella ipotesi in cui un soggetto svolga spontaneamente compiti di tutela di certi
beni al di fuori di alcun preesistente obbligo giuridico, stante l'incapacità dei titolari di provvedervi
e sempre che l'assunzione di garanzia determini o accentui l'esposizione a pericolo del bene: ad es.
perché tale intervento o induce ad affrontare un pericolo che altrimenti non si sarebbe corso, ovvero
impedisce l'attivarsi di istanze di protezione alternative.
Sulla base di tali premesse, possono esaminarsi le singole posizioni di garanzia:
a)
gli obblighi di protezione sorgono da:
1) obblighi previsti dal diritto di famiglia:
 dei genitori tenuti a tutelare la vita, l'incolumità, il patrimonio dei figli
minori contro eventi naturali o altrui aggressioni (art. 30 cost. 147 c.c.) nonché del
tutore (artt. 357, 424 c.c.);
 dai coniugi, non legalmente separati, per la tutela reciproca della vita
e incolumità personale (art. 143 c.c.);
2) obblighi previsti da leggi speciali in ragione del ruolo sociale svolto dal
soggetto:
 dei dipendenti dell'amministrazione penitenziaria tenuti a proteggere
la vita e l'incolumità dei detenuti negli istituti di pena (art. 1 e 11 legge 354/75);
b)
gli obblighi di controllo da una determinata fonte di pericolo sorgono in capo a:
1) proprietari di edifici, costruzioni, animali, autoveicoli pericolosi, tenuti ad
adottare le misure impeditive di eventi dannosi alle persone o cose (art. 2054 c.c.);
2) esercenti di attività pericolose, i quali sono tenuti all'adozione delle idonee
misure di salvaguardia (art. 451 c.p.);
3) Coloro che sono tenuti ad impedire i reati commessi da terzi. Tra di essi la
dottrina annovera:
 i titolari di poteri di educazione, istruzione, cura, custodia che hanno
l'obbligo d'impedire che i figli minori, pupilli, scolari, alienati di mente, sottoposti
alla loro vigilanza compiano fatti dannosi;
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 gli amministratori e i sindaci di società i quali avendo un potere
giuridico hanno l'obbligo d'impedire la commissione di reati da parte di altri
soggetti;
 gli appartenenti alla polizia giudiziaria, alla forza pubblica e alle
forze armate.
Nell'ipotesi in cui i titolari della posizione di garanzia ad obbligo di impedire l'evento, siano
più di uno, ciascuno è, per intero, destinatario di quell'obbligo, con la conseguenza che, se è
possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è però, doveroso per l'altro o
per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia
effettivamente ed adeguatamente intervenuto. In giurisprudenza si è, altresì precisato che non è
giuridicamente possibile il trasferimento dall'uno all'altro di detti soggetti, mediante accordo interno
tra di loro, della suindicata posizione e della connessa responsabilità.
3.3
Nesso causale tra omissione ed evento
Dal momento che l‟art. 40 del c.p. prevede che „non impedire un evento che si ha l‟obbligo
giuridico di impedire equivale a cagionarlo è evidente che lo stesso ordinamento prevede un criterio
diverso di imputazione dell‟evento al soggetto rispetto al reato commissivo. E non potrebbe essere
altrimenti visto che l‟omissione non è un dato reale, ma un puro concetto normativo.
Ciò, però, non esclude che dall‟analisi della situazione reale non si possa, attraverso il
criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche, analizzare l‟eventuale omissione e dichiarare se la
stessa abbia prodotto l‟evento, creando quindi un giudizio di equivalenza tra l‟omissione e la
condotta attiva scatenante l‟evento.
Tale giudizio resta comunque ipotetico, perché il nesso causale omissione-evento si basa su
una azione che non è stata eseguita.
Per sapere se l‟azione omessa è stata la causa dell‟evento, bisogna ragionare partendo dalla
situazione reale e immaginare cosa fosse accaduto se la stessa fosse stata eseguita. Solo così si può
giudicare se il soggetto con la sua omissione abbia causato l‟evento, attraverso la supposizione di
un decorso causale differente.
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Logicamente tale discorso andrà eseguito utilizzando la teoria del nesso causale della
sussunzione sotto le leggi scientifiche, cercando le leggi di copertura che giustificano la
connessione tra l‟evento e l‟omissione.
Il problema della causalità dell'omissione si pone ovviamente solo per i reati omissivi
impropri in quanto essi, a differenza di quelli propri, sono caratterizzati dalla necessaria presenza di
un evento in senso naturalistico. Unanimemente la dottrina moderna nega che la condotta omissiva
possa avere efficacia causale poiché naturalisticamente consiste in un non facere che non può
produrre nulla, sicchè l'evento verificatosi è riconducibile a fattori diversi da quelli umani.
Con riferimento all'omissione si può parlare quindi solo di una causalità normativa, in
quanto è la legge che interviene attraverso l'art. 40 comma II ad equiparare il non impedire l'evento
al caginarlo.
Tra la causalità dell'azione e quelle della omissione può tracciarsi la seguente differenza:

la prima è basata su un giudizio di realtà, su un evento che si è verificato
perché il soggetto ha agito;

la seconda è basata su un giudizio ipotetico, su un evento che non si sarebbe
verificato se l'azione impeditiva fosse stata tenuta, sicchè viene definita anche causalità
ipotetica.
Sulla base di tali premesse l'omissione dell'azione impeditiva può essere equiparata alla
causa umana dell'evento quando secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico
l'evento sia conseguenza certa o altamente probabile di detta omissione, in quanto l'azione suddetta
l'avrebbe con certezza o alto grado di probabilità, impedito (MANTOVANI).
Ne discende che non può parlarsi di equiparazione:

nel caso di inutilità del comportamento attivo, quando cioè l'evento si sarebbe
verificato anche tenendo questo;

nei casi di eventi eccezionali, quando cioè , pur essendo la omissione condicio
sine qua non, l'evento è conseguenza non probabile dell'omissione, secondo la migliore
scienza ed esperienza.
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4 Elemento soggettivo
L‟elemento soggettivo del dolo nel reato omissivo è identico a quello previsto per il delitto
commissivo; anche per il reato omissivo è prevista la coscienza e volontà della condotta, per cui il
soggetto agente deve rappresentarsi le circostanze in cui si svolge la condotta e deve volere la
condotta stessa.
Nei reati omissivi il dolo è logicamente costituito dalla volontà di non compiere l‟azione
dovuta in uno con la certezza di poter agire nel modo giusto richiesto dall‟ordinamento.
Questo per quanto riguarda il reato omissivo proprio; per quello improprio, invece, si deve
aggiungere che il soggetto agente deve percepire anche che il suo comportamento è causa
dell‟evento lesivo. In altre parole, il soggetto si deve rendere conto che in quel momento ricopre una
posizione di garante nei confronti del bene tutelato7.
7
C. FIORE, Diritto penale, Parte generale, UTET, pag. 240-242
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Bibliografia
 AA.VV. Diritto penale, Parte generale, Edizioni giuridiche Simone, 2002 e XIX
edizione del 2009;
 ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Giuffrè Editore;
 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte Generale, Zanichelli Editore;
 C. FIORE, Diritto penale, Parte generale, UTET.
 MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1994
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