www.ildirittoamministrativo.it IL DOLO NEL REATO COMMISSIVO ALLA LUCE DEL RECENTE APPRODO DELLE SEZIONI UNITE IN TEMA DI RICETTAZIONE di Sposato Roberto. (Avvocato abilitato e specializzato nelle professioni legali) L’art. 42 c. 1 c.p., nel prevedere che “nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà” pone l’elemento soggettivo doloso come la tipica ipotesi di imputabilità ad un soggetto di una data fattispecie di reato. Difatti, i successivi commi 2 e 3 dell’art. 42 cit. specificano che, a differenza del dolo, la colpa, la preterintenzione e la responsabilità oggettiva (di cui, tuttavia, l’odierna dottrina nutre perplessità in ordine alla compatibilità con i principi costituzionali) operano, quale numerus clausus, solo nei casi previsti espressamente dalla legge. In ossequio ai principi di colpevolezza, di rieducazione e risocializzazione di cui all’art. 27 Cost., commi 1 e 3, perché un soggetto possa essere responsabile a titolo di dolo bisogna che il medesimo si rappresenti tutti gli elementi costitutivi del reato nonché gli effetti derivanti dalla sua condotta e ponga in essere volontariamente la condotta costitutiva di un illecito penalmente rilevante. Al riguardo, l’art. 43 c.p. delinea gli elementi strutturali del dolo, sia di natura soggettiva che oggettiva. Il delitto si afferma, “è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato della azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. Secondo l’indirizzo prevalente la lettera dell’art. 43 c.p. si pone quale compromesso tra le teorie, della rappresentazione e della volontà, che si contesero il campo, nell’ambito della dogmatica del dolo, prima della emanazione, nel corso del 1930, del Codice Rocco. 1 www.ildirittoamministrativo.it Secondo la teoria della rappresentazione ciò che contraddistingue il dolo è dato dal fatto che il soggetto agente si prefigura, mediante rappresentazione e previsione, quali siano le conseguenze derivanti dalla sua condotta nel momento in cui pone in essere l’azione, mentre l’elemento volitivo si pone quale mero movimento corporeo (es. premere il grilletto di una pistola). La tesi volontaristica, invece, nel ricostruire il dolo pone al centro l’elemento volitivo, una volontà da parte dell’agente posta in essere dirigendo la sua condotta verso il compimento di una azione o l’avverarsi di un evento, mentre il momento rappresentativo, secondo tal dottrina, si pone come requisito implicito. Come poc’anzi detto, quindi, la formulazione dell’art. 43 c.p. sembra accogliere entrambe le tesi, posto che l’intenzione del soggetto agente, perché abbia natura dolosa, richiede non solo una rappresentazione, anche non estremamente specifica, del fatto costituente reato, ma anche la consapevolezza e la volontà di porre in essere l’azione penalmente rilevante così da pregiudicare, effettivamente o potenzialmente (nella forma del tentativo punibile) un dato bene giuridico di rilievo costituzionale. Con riferimento al requisito della consapevolezza la dottrina prevalente ritiene che il soggetto agente, perché possa essere punibile, deve possedere la coscienza dell’illiceità dell’offesa, quindi ad “attentare” o ledere un bene giuridico od un interesse preminente nell’alveo dell’ordinamento giuridico. Tale consapevolezza è evidente nell’ambito dei reati causali puri (si pensi all’omicidio o alle lesioni), mentre appare più difficile riscontrare nell’ambito dei reati di pura condotta o di mera creazione legislativa (ad es. i reati fiscali e tributari). Con riferimento alla nozione di “evento dannoso o pericoloso” varie sono le tesi patrocinate in dottrina che hanno cercato di individuare la sua corretta definizione. Secondo una prima opinione l’evento di cui all’art. 43 c.p. deve essere inteso in senso normativo; tuttavia i limiti di tale tesi si rinvengono nel fatto che, per determinate fattispecie di reato, si pensi ancora una volta ai reati fiscali e tributari, non è facile percepire il disvalore penale della condotta; questo in combinato disposto con il 2 www.ildirittoamministrativo.it principio della ignorantia legis non excusat di cui all’art. 5 c.p. (seppur temperato con le pronunzie storiche della Consulta n. 364 e n. 1085 del 1988), può comportare un possibile vulnus, vista la difficile percepibilità del disvalore penale della condotta, per il soggetto agente. Secondo altra opinione l’evento di cui all’art. 43 c.p. cit. dovrebbe essere inteso in senso naturalistico, ossia riferirsi al verificarsi di un evento; in tal caso i limiti si riferiscono all’ambito di operatività dell’elemento soggettivo doloso commissivo, il quale non si applicherebbe ai reati che presuppongono una determinata azione (si pensi ai reati di mera condotta) mentre troverebbe applicazione solo ai reati che, ai fini della configurabilità della fattispecie penale, richiedono un evento (es. i reati causali puri). La tesi oggi prevalente, invece, ritiene che la categoria dogmatica del dolo debba essere ricostruita non facendo soltanto riferimento all’art. 43 c.p., ma anche ad altri artt. del codice penale quali gli artt. 5-47-59 c.p. In particolare, l’art. 47 c.p. comma 1 nell’affermare che “l’errore sul fatto costituisce reato esclude la punibilità dell’agente” implicitamente richiede che, affinché sia ascrivibile al soggetto agente una responsabilità a titolo di dolo, bisogna che lo stesso si sia rappresentato tutti gli elementi del fatto tipico ed abbia voluto, consapevolmente, gli effetti e le conseguenze, penalmente rilevanti, derivanti dalla sua condotta. Con riferimento all’accertamento del dolo la dottrina e la giurisprudenza dominanti, escludono che l’organo giudicante possa ricorrere a schemi presuntivi con ciò affermando un dolus in re ipsa, ma debba procedere all’accertamento caso per caso mediante il ricorso a massime di esperienza secondo l’id quod plerumque accidit, nonché agli indici di commisurazione della pena di cui all’art. 133 c.p., quali ad es. la natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e da ogni altra modalità dell’azione. Proprio in riferimento agli indici di cui all’art. 133 cit. il dolo si pone, oltre che come 3 www.ildirittoamministrativo.it elemento costitutivo del reato, anche come indice di commisurazione della pena (e forma più grave di colpevolezza). Infatti, espressamente il numero 3 del c. 1 art. 133 cit. prevede che il giudice, nella definizione del quantum di pena spettante al soggetto agente, deve tenere in considerazione anche l’intensità del dolo. Accanto al dolo diretto o intenzionale, ove il soggetto agente si rappresenta tutti gli elementi costitutivi del reato e con volontà agisce consapevole degli effetti e delle conseguenze derivanti dalla sua condotta, la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato la figura del dolo eventuale, per la quale non esiste una specifica disposizione che la disciplini. Il dolo eventuale ricorre quando il soggetto agente, pur rappresentandosi la possibilità che da quella azione, integrando così gli elementi del fatto tipico, possa derivare un evento dannoso e pericoloso, agisce lo stesso accettando così il rischio che l’evento si verifichi. Tale categoria dogmatica ha portato alla sua attenzione sia la dottrina che la giurisprudenza prevalente posto che non sempre è facile distinguere la categoria medesima dalla colpa cosciente o con previsione, la quale presuppone che il soggetto agente si sia rappresentato la possibilità che dalla sua condotta possa scaturire quella data conseguenza, ma ritiene che la stessa non si verificherà, ad es. facendo leva alle sue doti o attitudini idonee ad evitare il concretizzarsi di eventi dannosi o pericolosi. Sul punto varie sono state le tesi poste al tappeto dalla dottrina. Secondo la teoria finalistica dell’azione il discrimen tra dolo eventuale e colpa cosciente risiede nel fatto che quest’ultima opera quando il soggetto agente, nel porre in essere la condotta, adotta tutte le misure precauzionali idonee a prevenire possibili eventi pregiudizievoli, tutto questo non si rinviene invece nell’alveo del dolo eventuale. 4 www.ildirittoamministrativo.it Tale dottrina è stata criticata per il fatto che il dolo eventuale può configurarsi anche nel caso di adozione, da parte del soggetto agente, delle misure precauzionali, e che la colpa cosciente possa operare anche senza l’adozione delle misure stesse. Secondo altra opinione, che opta per il ricorso a criteri intellettualistici, il dolo eventuale presuppone, accanto alla rappresentazione degli elementi costitutivi del reato o delle conseguenze derivanti dalla condotta, la concreta possibilità di verificazione dell’evento; la colpa cosciente, dal canto suo, richiede la astratta possibilità del suo verificarsi. Questa tesi è stata oggetto di integrazione dell’orientamento prevalente della dottrina e della giurisprudenza. Difatti, affinché possa operare il dolo eventuale e non la colpa cosciente, è stato affermato che occorre non soltanto che il soggetto agente si sia rappresentato gli elementi costitutivi del reato o il verificarsi dell’evento, ma che lo stesso sia previsto come possibile o probabile, da ultimo che il soggetto agente accetti il rischio del suo verificarsi ponendo in essere la condotta, questo sulla base della c.d. tesi della accettazione del rischio. La accettazione del rischio di verificazione dell’evento, quindi, rappresenta attualmente, in seno alla dottrina e giurisprudenza dominante, il discrimen, ma anche un quid pluris, tra dolo eventuale e colpa cosciente. Con specifico riferimento all’ambito di operatività del dolo eventuale, si è dibattuto in giurisprudenza, prima dell’intervento risolutore delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sulla sua applicabilità alla fattispecie di cui all’art. 648 c.p. disciplinante il delitto di ricettazione. Secondo una prima impostazione della giurisprudenza di legittimità (Cassazione penale 2 luglio 1982, Cassazione penale 14 maggio 1991) la figura del dolo eventuale non è compatibile con il delitto di ricettazione per due ordini di ragioni. In primis si è posto in evidenza una incompatibilità strutturale posto che si ritiene che, ai fini della configurabilità del delitto de quo, si richiede, tra l’altro, anche la piena consapevolezza della provenienza illecita della res, ponendosi così in 5 www.ildirittoamministrativo.it incompatibilità con il dolo eventuale; dall’altro una estensione del dolo eventuale porterebbe ad una ingiusta compressione dell’ambito di operatività della contravvenzione di cui all’art. 712 c.p. relativa all’acquisto di cose di sospetta provenienza, la quale punisce colui il quale, agendo colposamente, abbia acquistato cose di illecita provenienza. Per altra posizione in seno alla giurisprudenza di legittimità ( Cassazione penale n. 3783, 12 febbraio 1998, Cassazione penale n. 14170, 15 gennaio 2001), invece, la fattispecie della ricettazione sarebbe punibile anche a titolo eventuale e non soltanto a titolo di dolo intenzionale. Da una parte si esclude che il delitto di cui all’art. 648 c.p. richieda la piena consapevolezza della provenienza illecita, dall’altra si afferma che la contravvenzione dell’incauto acquisto di cui all’art. 712 c.p. farebbe riferimento alle sole ipotesi in cui il soggetto per noncuranza, disattenzione ed incuria non adempie diligentemente il compito di accertare la provenienza illecita della res, così configurandosi la fattispecie de qua quale ipotesi meramente colposa, la quale opera nel momento in cui sussistano le condizioni previste dall’art. 712 c.p. Tale giurisprudenza ha posto in evidenza, al fine di avallare la tesi della configurabilità del dolo eventuale, che, nel momento in cui il soggetto agente si trovi in presenza di una res offerta da terzi, sono riscontrabili due situazioni. Nella prima il medesimo, non adempiendo agli obblighi previsti dal citato art. 712 c.p., per disattenzione, imprudenza e negligenza, acquista la res incorrendo nella fattispecie di cui all’art. 712 c.p. Nella seconda, nel momento in cui l’agente si rappresenta la possibilità che la medesima possa avere origine delittuosa ed accetta il rischio della sua illecita provenienza procedendo all’acquisto della medesima, si configurerà la fattispecie di cui all’art. 648 c.p. nella forma del dolo eventuale. Intervenute a dirimere il contrasto sorto tra le sezioni semplici, le Sezioni Unite del massimo Consesso della giustizia ordinaria, con la pronunzia n. 12433 del 26 6 www.ildirittoamministrativo.it novembre 2009, hanno optato per la estensibilità del dolo eventuale alla fattispecie ex art. 648 c.p. Le Sezioni Unite hanno, da una parte, ammesso che non sussista una incompatibilità strutturale tra il dolo eventuale ed il delitto di ricettazione, escludendo quindi che l’agente debba avere la piena consapevolezza dell’illecita provenienza e che tutte le situazioni anche inerenti il dolo eventuale siano coperte dalla fattispecie contravvenzionali di cui all’art. 712 c.p.; dall’altra, hanno escluso che la ipotesi di cui all’art. 712 c.p. concerne i casi tassativi in cui il soggetto agisca colposamente posto che l’ambito di operatività dell’incauto acquisto risulta più vasto. Le Sezioni Unite si spingono oltre, affermando che mere situazioni di sospetto non possano assurgere a condotte inquadrabili nella ricettazione seppur nella forma del dolo eventuale. In particolare, si pone in evidenza che, affinché possa il dolo eventuale configurarsi nel delitto di ricettazione, si richiede un quid pluris del mero sospetto, ossia la possibilità concreta e conseguente accettazione del rischio che la res sia di provenienza illecita; Al fine di accertare ciò la Suprema Corte ha ritenuto che l’organo giudicante possa ricorrere ai parametri di cui all’art. 712 c.p. De jure condito, secondo l’approdo delle Sezioni Unite, se il soggetto agente ha la piena consapevolezza della provenienza illecita della res opera la fattispecie di cui all’art. 648 c.p. nella forma del dolo intenzionale; se il soggetto agente abbia dei sospetti sulla provenienza illecita della res e pur tuttavia, accettando il rischio, abbia agito lo stesso opera anche in tal caso il delitto di ricettazione nella forma del dolo eventuale; da ultimo se sussiste una situazione di sospetto mero ovvero l’agente abbia gito con noncuranza, negligenza, disattenzione ed incuria opera la fattispecie ex art. 712 c.p. 7