Siamo lieti di ospitare nel nostro atelier la mostra: “La Gesta di Fiume” in occasione del
novantesimo anniversario dell’impresa fiumana.
Continuiamo così l’impegno a diffondere la conoscenza del patrimonio storico ed artistico
abruzzese nella convinzione che il progresso dell’uomo segua orme antiche.
La passione per il nostro lavoro creativo si è fusa con l’interesse storico dell’amico
Maurizio Biondi per la figura di Gabriele d’Annunzio, realizzando una comunione d’intenti
nello spirito del più bello dei motti dannunziani: “io ho quel che ho donato”.
Giampiero e Fabio Verna
INTRODUZIONE
Il 2009 è l’anno del 90° anniversario dell’occupazi one della città di Fiume da parte di
Gabriele d’Annunzio. L’impresa del 12 settembre 1919 si compie grazie unicamente
all’iniziativa di un uomo che non è un politico né un condottiero; è un’ artista che, con una
parabola probabilmente unica nella storia, lega alla figura del poeta quella del campione,
inteso in senso classico. Il Vate che tra il 1908 e il 1915 si fa interprete in Italia del
crescente sentimento nazionalista e l’Eroe che pratica la guerra sino alla vittoria del 1918
compongono la natura del Comandante fiumano, originale sintesi che supera le categorie
della politica sino ad allora conosciute. D’Annunzio si era guadagnato la qualifica di
Comandante volando come capo equipaggio sui velivoli della prima guerra mondiale e,
nell’accezione più ampia legata alla vicenda fiumana, rimarrà tale anche nel definitivo ritiro
gardonese.
Nell’allestimento della mostra sulla “Gesta di Fiume” ho ritenuto utile documentare questo
percorso nel tentativo di fornire una chiave di lettura per un evento che possiede i caratteri
dell’eccezionalità e restituire almeno l’atmosfera psicologica di un decennio che prepara la
nascita di quel fenomeno politico sociale conosciuto come fiumanesimo.
I materiali scelti riflettono da un lato le attitudini del d’Annunzio letterato ed intellettuale:
giornali, riviste, libri; dall’altro testimoniano la sua straordinaria capacità di comunicare,
intesa come l’arte di rendere partecipe il pubblico degli avvenimenti che lo riguardavano.
Attentissimo nel favorire la propria immagine, il poeta utilizza strumenti nuovi come la
fotografia e mezzi classici quali l’incisione. Come è tra i primi a delegare alla fotografia il
compito di comunicare la perfezione esemplare di un personaggio e alla cartolinistica il
compito di divulgarla, così coglie nella medaglia la coincisa sintesi del pensiero che è
legato, come un documento storico completo, alla memoria di un fatto o di una persona.
Lo stile di una vita “inimitabile” ed un’accurata strategia autopromozionale determinano il
proliferare nel corso degli anni di migliaia di cartoline e centinaia di medaglie di carattere
dannunziano, come quella commemorativa della spedizione di Fiume, opera che l’incisore
Adolfo De Carolis realizzò seguendo le dettagliate indicazioni del poeta.
Presso il Comando di Fiume fu creata un’apposita sezione fotografica con il compito di
documentare la cronaca degli avvenimenti sino al suo epilogo. Quelle immagini, diffuse
anche da una serie di cartoline stampate due anni dopo dalle locali edizioni Slocovich in
100 esemplari, e dall’edizione Fantini dedicata alle drammatiche “Cinque Giornate” del
Natale 1920, ci permettono di rivivere oggi, con il fascino del documento d’epoca, i
sentimenti, le ragioni e le suggestioni di quella particolare stagione della storia d’Italia.
“Hic manebimus optime” è il motto inciso nella medaglia di Fiume. La stessa
determinazione sarebbe sempre auspicabile nella difesa dei principi democratici ed unitari
sanciti dalla nostra costituzione, e non c’è da stupirsi che questo auspicio sia tratto
dall’opera di un uomo chiamato Gabriele d’Annunzio.
Maurizio Biondi
IL POETA NAZIONALE: LA GUERRA DI LIBIA 1911-12
La guerra che nel 1911 contrappone la giovane nazione italiana all’antico impero
ottomano per il possesso della Libia determina, in Gabriele d’Annunzio il rinnovarsi di un
sentimento patriottico che non avrebbe avuto più tregua. L’avvenimento permette al poeta,
esule in Francia a causa dei debiti accumulati nell’aureo periodo fiorentino della
Capponcina, di tornare al centro dell’attenzione politica e letteraria italiana. Riprende il
ruolo di vate nazionale, conquistato nel decennio precedente, quale interprete, con
l’opera teatrale La Nave rievocativa della fondazione di Venezia, delle aspirazioni
espansionistiche che iniziavano ad emergere nella società italiana. Celebre è l’invocazione
contenuta nella Sirventese che introduce la tragedia:
“Fa di tutti gli oceani il mare nostro”.
L’occasione risveglia anche la vena poetica, assopitasi dopo la grande stagione che tra il
1898 ed il 1905 aveva visto tra l’altro sgorgare il capolavoro delle Laudi.
Inizia a scrivere Le Canzoni della gesta d’oltremare, dieci liriche che il Corriere della
Sera pubblicherà sulla terza pagina, con il ricco compenso di mille lire ciascuna,
dall’8 ottobre 1911 al 14 gennaio 1912. La raccolta, denominata Merope, costituirà
insieme alle precedenti Maia, Elettra ed Alcione il quarto ed ultimo libro delle Laudi.
Si tratta di una poesia politica e civile, il cui stile declamatorio, impreziosito di rarità
linguistiche, non raggiunge certo le vette liriche dell’Alcione, ma diffusa dalle
cinquecentomila copie giornaliere del Corriere, riscuote un grande successo se non dalla
critica sicuramente tra i lettori del giornale e le truppe combattenti.
D’Annunzio, servendosi di terzine dantesche, rende con la poesia la cronaca dei luoghi
degli uomini e dei fatti d’arme, ricollegandoli alle gloriose gesta degli avi.
Dedica una canzone al capitano Umberto Cagni che il 5 ottobre, con 1600 marinai,
occupa Tripoli e la tiene per cinque giorni sino allo sbarco del corpo di spedizione:
“Tu, come le midolle son nell’ossa, eri in quel pugno d’uomini.
L’odore del coraggio era nella sabbia smossa.”
Nella Canzone della Diana rappresenta il primo
utilizzo bellico del mezzo aereo nella storia. Dopo
una serie di voli di ricognizione effettuati dal capitano
Piazza e dal capitano Moizo, il 1 novembre 1911 il
sottotenente Giulio Gavotti, su aeroplano Etrik, lanciava
a mano tre bombe
sferiche del tipo Cipelli
sull’accampamento nemico dell’oasi di Ain Zara e una
sull’oasi di Tripoli:
“S’ode nel cielo un sibilo di frombe.
Passa nel cielo un pallido avvoltoio.
Giulio Gavotti porta le sue bombe
………………………………………….
Salute o Piazza, Moizo, Gavotti dal tuo lieve spalto
chinato nel pericolo dei venti sul nemico che ignora
il nuovo assalto!”
Anticipando gli eventi compone, con eccezionale tempestività, La Canzone dei
Dardanelli che fa precipitare la decisione dell’Alto Comando di effettuare un colpo di
mano sugli Stretti per colpire direttamente la Turchia e costringerla alla pace.
Il 14 luglio cinque torpediniere d’alto mare, Spica, Perseo, Astore, Climene, Centauro, al
comando del capitano di vascello Enrico Millo, partono dall’isola di Stampalia, nell’Egeo,
facendo rotta sui Dardanelli. Alla mezzanotte del 18 la
squadriglia forza l’imboccatura dello stretto dirigendosi
velocissima, a luci spente, verso la rada di Nagara per
silurare l’ignara flotta turca all’ancora, sfilando sotto i
forti costieri. Dopo venti minuti di navigazione alcune
scintille, uscite dal fumaiolo di una torpediniera, danno
l’allarme. Il cielo si illumina per i fasci delle
fotoelettriche e dalle batterie costiere inizia un violento
fuoco alla cieca, perché le navi italiane si tengono
nell’ombra, sotto costa. Si prosegue aumentando la
velocità. Due sbarramenti di boe e catene vengono
superati con difficoltà e qualche colpo raggiunge gli
scafi senza creare gravi danni. Le siluranti sono
oramai a due miglia dalla flotta turca quando Millo
decide che l’impresa è oramai impossibile e ordina di
virare di bordo: non c’è più l’effetto sorpresa e le navi nemiche, oramai allertate, hanno
acceso i riflettori e puntati i cannoni. A tutto vapore le torpediniere sfrecciano sulla via del
ritorno, beffando le artiglierie ottomane.
L’obiettivo finale non è stato raggiunto ma la missione, soprattutto da un punto di vista
propagandistico, è un successo, dimostrando al nemico che può essere colpito al cuore.
Con la famosa Beffa di Buccari d’Annunzio, durante la prima guerra mondiale, sarà
protagonista di un’impresa analoga.
La Canzone dei Dardanelli, a causa dei sanguinosi versi anti austriaci contenuti,
risulterà l’unica a non essere pubblicata dal Corriere della Sera:
“La schifiltà dell’Aquila a due teste,
che rivomisce, come l’avvoltoio,
le carni dei cadaveri indigeste!”
D’Annunzio insistette con l’editore Treves, che prudentemente avrebbe voluto sostituire i
versi incriminati con dei puntini di sospensione, perché fosse inserita integralmente nel
volume in preparazione delle Canzoni d’Oltremare, prevedendo l’enorme effetto
pubblicitario dell’inevitabile sequestro operato dal governo.
Il 26 gennaio 1912 usciva l’edizione epurata di Merope, con quattordici versi sostituiti da
puntini e con una nota firmata dal poeta:
“Questa Canzone della Patria delusa fu mutilata da mano poliziesca, per ordine del
cavaliere Giovanni Giolitti capo del Governo d’Italia il dì 24 gennaio 1912. G.d’A.”
Nel mese di settembre le trattative di pace da tempo avviate subiscono un’improvvisa
accelerazione a causa dei gravi problemi che l’impero ottomano si trova a fronteggiare nei
Balcani. Il 15 ottobre il Sultanato accetta di firmare la pace impegnandosi di fatto a
cedere Tripolitania e Cirenaica all’Italia.
La guerra di Libia è conclusa. Il colpo inferto all’impero ottomano ed il suo
conseguente indebolimento sarà una delle cause di quella che nel 1914 sarà
chiamata la Grande Guerra.
IL PROPAGANTISTA: INTERVENTISMO 1914
Nel 1914, mentre le nubi di guerra si addensano velocemente sul cielo d’Europa, Gabriele
d’Annunzio continua in Francia la sua vita di artista mondano. Quando però il 28 luglio
l’Austria dichiara guerra alla Serbia, innescando l’effetto domino che coinvolse tutta
l’Europa, il poeta prende immediatamente posizione. Il 13 agosto invia al “Le Figaro” un
Ode pour la rèsurrection latine nella quale sostiene l’ineluttabilità dell’entrata in
guerra dell’Italia al fianco alla “sorella latina”.
Fin dall’inizio risulta chiara l’interpretazione dannunziana della guerra: quello che si stava
combattendo sul continente europeo era un conflitto tra la civiltà latina e la barbarie
germanica, nell’ambito del quale l’Italia avrebbe avuto modo di compiere il suo
Risorgimento.
Indirizza al Corriere della Sera una serie di articoli nei quali descrive, con intensa
partecipazione, l’atmosfera allucinata di Parigi nei giorni della battaglia della Marna,
quando tutto sembrava perduto per i francesi. Riesce ad ottenere il permesso di visitare il
fronte e vi compie due escursioni in automobile prendendo appunti nei suoi taccuini che
poi avrà modo di rielaborare, alternando artisticamente realtà ed invenzione.
Il 30 settembre appare nel “Journal” un appello agli italiani con il quale d’Annunzio dà
inizio alla sua campagna per l’intervento dell’Italia, rimasta sino ad allora neutrale: si tratta
di “combattere la battaglia suprema contro una minaccia imminente di servitù e di
sterminio”.
Da quel momento il ruolo del poeta che nel 1908 aveva esaltato il pubblico teatrale con
l’esortazione “Arma la prora e salpa verso il mondo” e che nel 1911 aveva cantato con
Le Canzoni della Gesta d’oltremare la conquista della Libia, diviene sempre più politico.
L’uomo vede nella guerra l’opportunità di interrompere il suo esilio e rientrare in
Italia, l’intellettuale militante l’occasione di essere protagonista in un momento
storico epocale. L’invito giuntogli agli inizi di marzo 1915 a inaugurare a Quarto, presso
Genova, il monumento dedicato alla spedizione dei Mille, soddisfaceva entrambe le
ambizioni.
Il viaggio di ritorno in treno dalla frontiera franco - italiana a Genova, dove giunse la
sera del 4 maggio 1915, alimentò l’attesa del discorso che avrebbe pronunciato a
Quarto il 5 maggio 1915. L’Orazione per la sagra dei Mille era concepita prevedendo la
partecipazione del Re Vittorio Emanuele alla manifestazione, come inizialmente
concordato. In realtà il governo, il 3 maggio, pur avendo segretamente operato il cambio di
alleanze e deciso l’ingresso in guerra a fianco dell’Intesa,
per motivi di opportunità, ritenne sconveniente la presenza
del sovrano.
L’Orazione, ricca di riferimenti storici e con chiare allusioni
politiche, fu declamata da d’Annunzio, in un clima di
grande entusiasmo e alla presenza di una folla
numerosa, rivolgendosi non alle autorità presenti ma
direttamente al pubblico, con voce “chiara e ferma”,
come riportò il Corriere della Sera:
“…I fuorusciti di Trieste e dell’ Istria, gli esuli
dell’Adriatico a dell’Alpe di Trento, i più fieri allo sforzo
e i più candidi, diedero alle capanne costrutte i nomi
delle terre asservite, come ad inaugurare ed annunziare
il riscatto…”.
L’eco della manifestazione, grazie alla stampa, fu vastissimo e all’ Orazione di
Quarto fecero seguito gli incendiari discorsi romani; questo non deve però far credere
che il ruolo di Gabriele d’Annunzio risulti determinante per l’ingresso in guerra dell’Italia.
La decisione della partecipazione italiana al conflitto a fianco di Francia e Inghilterra, presa
all’insaputa del Parlamento, fu esclusiva responsabilità del Re Vittorio Emanuele e del
capo del governo Salandra. L’impegno di d’Annunzio risultò importante nella formazione
della pubblica opinione e per forzare la mano ad una Camera dei Deputati riluttante.
L’obiettivo principale dell’oratoria dannunziana divenne Giovanni Giolitti, convinto e
autorevole neutralista.
La sera del 14 maggio al teatro Costanzi di Roma, tra il primo ed il secondo atto di uno
spettacolo e dopo le avvenute dimissioni del governo Salandra, d’Annunzio, informato
della denuncia della Triplice Alleanza e della firma del Patto di Londra, accusò
Giolitti di tradimento. Quella stessa sera la folla, che nella giornata aveva assaltato
Montecitorio, compì la più grave delle manifestazioni di quei giorni contro Giolitti che
declinò l’invito regio a formare un nuovo esecutivo. Salandra ottenne il reincarico
ministeriale e con esso il via all’intervento.
La mattina del 19 maggio 1915 d’Annunzio fu ricevuto a Villa Savoia dal Re, che lo
trattenne a colloquio per tre quarti d’ora a passeggio per i viali del parco. Il poeta, che non
riferì mai nulla degli argomenti trattati con il sovrano, qualche giorno dopo gli inviò una
copia delle Canzoni della Gesta d’oltremare con una dedica contenente un verso della
Canzone d’oltremare:
“La sentenza di Dio si dissigilla”.
Il cerchio aperto nel 1908 si chiude e se d’Annunzio era passato, afferma il biografo
Paolo Alatri, dal teatro come politica alla politica come teatro, la sua partecipazione
diretta alla guerra ne legittimerà il ruolo di protagonista.
L’EROE: LA GRANDE GUERRA 1915-18
Nella letteratura e nella storia occidentale è difficile rinvenire la storia di un poeta, di un’
artista famoso e raffinato, di un intellettuale che inaspettatamente decida, passati i
cinquanta anni, di farsi soldato, compiendo audaci imprese, meritandosi le più alte
onorificenze ed interpretando a tal punto le rivendicazioni nazionali da essere scelto
esclusivamente per il suo carisma quale “Comandante” in grado di mettere in crisi un
sistema politico e di governo. Questa è la storia di Gabriele d’Annunzio dal 1915 al 1920.
La Prima Guerra Mondiale costituisce indubbiamente uno spartiacque nella sua vita e
l’individualismo esasperato che l’aveva contraddistinta si apre ad una consapevolezza
sociale maturata in trincea.
Data l’età la partecipazione di d’Annunzio al conflitto fu possibile, dopo molte insistenze,
solo grazie all’intervento diretto del Presidente del Consiglio Salandra, con il beneplacito
del Capo di Stato Maggiore dell’esercito Luigi Cadorna. Nelle intenzioni di entrambi, la sua
partecipazione alla guerra doveva essere essenzialmente simbolica, ma essi non avevano
fatto i conti con la volontà del poeta. Quando, sorprendendo tutti, da ufficiale di
cavalleria con compiti di collegamento egli si trasformò in marinaio e poi in
aviatore, dovette vincere molte resistenze. Scrisse a Salandra:
“Io non sono un letterato dello stampo antico, in papalina e pantofole. E’ più facile
custodire il vento che me…Io sono un soldato. Ho voluto essere un soldato, non per
stare al caffè o a mensa, ma per fare semplicemente quel che fanno i soldati. Ho una
situazione militare in perfetta regola. Non ho soltanto la facoltà, ma il dovere di
combattere.”
Rapidamente lo Stato Maggiore si rese conto dell’enorme potenziale propagandistico che
d’Annunzio rappresentava e gli venne concesso di prendere parte alle operazioni di
guerra. Molto si è ironizzato sul d’Annunzio combattente, una qualifica negata anche da
certa storiografia. Lo storico tedesco Erst Nolte ha scritto in proposito che il poeta non
ebbe modo di vedere il bianco negli occhi del nemico ed afferma che in sostanza egli
rimase solo un osservatore e non pilotò mai un aeroplano. Ebbene d’Annunzio
osservatore lo fu senza dubbio, operando come tale nella specifica specialità aeronautica
ed affrontando numerose e pericolose missioni di bombardamento e mitragliamento. Non
fu pilota dunque ma aviatore, avendo in tale veste qualche naturale difficoltà nel fissare
negli occhi il nemico. Certo il contributo principale del Poeta-Soldato, come venne
chiamato, fu di natura morale, grazie all’eccezionale risonanza nazionale ed
internazionale delle sue azioni.
Dopo le prime missioni a bordo di unità della Regia Marina, d’Annunzio esegue una serie
di voli come “aviatore navale” e sarà proprio un incidente in fase di ammaraggio nel
gennaio del 1916 a fargli perdere l’uso della vista all’occhio destro. Ristabilitosi chiede al
Comando Supremo un incarico a terra. Da lui ci si attende discorsi ma il poeta
partecipa ad assalti, come quello che l’11 ottobre 1916 porta la brigata Lupi di
Toscana alla conquista del monte Veliki. La “Domenica del Corriere” del 19
novembre dedicherà al fatto d’armi la prima pagina.
Quando nel 1917 torna a volare, lo fa partecipando ai ripetuti bombardamenti di Pola
e Cattaro, missioni belliche complesse ed ad alto rischio, coronate dal successo.
Sul cielo di Pola inaugura il famosissimo grido Eja, eja, eja! Alalà!
Il 1917 è anche l’anno della terribile rotta di Caporetto ed il poeta tenta di risollevare il
morale della nazione.
L’incursione nella baia dalmata di Buccari, effettuata con tre motoscafi armati siluranti, i
famosi MAS la notte del 10 Febbraio 1918, passerà alla storia come la “Beffa di
Buccari”.
D’Annunzio, dopo l’azione, lanciò in acqua tre bottiglie
sigillate contenenti un messaggio nel quale si beffava
di una presunta taglia messa dagli austriaci sulla sua
testa.
Nonostante la perizia ed il coraggio con cui fu portata a
termine, la missione risulterà essenzialmente una vittoria
morale della Regia Marina. Fallì infatti il siluramento delle
unità nemiche, ma la presenza a bordo del poeta ne
determinò comunque il successo propagandistico.
Alla Beffa di Buccari Gabriele dedicò la “Canzone del
Quarnaro”:
“Siamo trenta d’una sorte,/ e trentuno con la morte./
Eia, l’ultima! Alalà!/
Siamo trenta su tre gusci,/ su tre tavole di ponte:/
secco fegato, cuor duro,/cuoia dure, dura fronte,/ mani macchine armi pronte,/ e la
morte a paro a paro./ Eia, carne del Carnaro! Alalà!”
Infine il volo che il 9 agosto 1918 porta d’Annunzio, insieme a sette velivoli della 87a
sq. “La Serenissima”, su Vienna, costituisce sicuramente l’atto più noto del poeta
pescarese durante la grande guerra. La spedizione, a metà tra record sportivo e
missione bellica (1.000 km che prevedono il superamento delle alpi, dei quali 800 in
territorio nemico), deve il suo grande successo al carattere puramente dimostrativo.
Da geniale propagandista qual’era, d’Annunzio fu un pioniere di quella forma di
guerra non violenta rappresentata dal volantinaggio aereo. Già nel 1915 aveva
lanciato messaggi e volantini sulle città di Trieste e Trento. Il testo del volantino viennese
ribadiva il concetto di civiltà italica e preconizzava, dopo l’eroica resistenza sul Piave,
l’imminente vittoria:
“…Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siam venuti se non per
la gioia dell’arditezza, non siam venuti se non per la prova di quel che potremo
osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo.
Il rombo della giovine ala italiana non somiglia a quello
del bronzo funebre nel cielo mattutino. Tuttavia la lieta
audacia sospende fra il Santo Stefano ed il Graben una
sentenza non revocabile, o Viennesi.”.
Sul volo di Vienna d’Annunzio non scrisse versi ma un
poeta giapponese,Tsuchii Bansui, dedicò al raid
aviatorio un poema che lo descrive compiutamente:
“…e tu poeta, oltrepassata l’Adria e l’Alpe a volo su l’ali
delle tue fide cicogne, non folgoravi le città nemiche di
mortifere punte. Ma cadere lasciavi sui mortali sparuti
la gloria austera delle tue parole, - sol che si sfalda nei
meriggi estivi- la volontà del tuo certo trionfo…”.
Questa fu la percezione che il mondo ebbe dell’impresa. L’uomo che dalla poesia aveva
ottenuto la fama, in guerra si era guadagnato la gloria.
IL COMANDANTE: L’IMPRESA DI FIUME 1919-20
L’improvvisa fine del conflitto, dovuta sul fronte italiano al collasso dell’impero austroungarico, lascia d’Annunzio disorientato ed insoddisfatto per il mancato riconoscimento, da
parte del presidente americano Wilson, del Patto di Londra. Il sogno di una Dalmazia
italiana era in pericolo a causa dell’affermazione di un principio di autodeterminazione dei
popoli negato però nel caso della città istriana di Fiume, che aveva espresso in un
plebiscito la volontà di annessione all’Italia. D’Annunzio, che definisce “ingiusto”
l’armistizio e “mutilata” la vittoria, nel marzo del 1918 aveva pubblicato il resoconto
della “Beffa di Buccari” con una dedica esplicita sull’esigenza di unire Fiume
all’Italia:
“Agli italiani di Fiume / perchè si mantengano / in fede ferma”.
Era chiaramente un auspicio ma anche una promessa, mantenuta dal poeta il 12
Settembre 1919, giorno in cui, con un improvviso colpo di mano, la cosiddetta
“Marcia di Ronchi”, occupa, tra l’entusiasmo popolare, Fiume.
La preparazione dell’impresa ne rende appieno il significato politico iniziale. Gli incontri
preliminari di d’Annunzio a Venezia con Giovanni Giuriati, presidente del Comitato per le
Rivendicazioni Nazionali, la calorosa visita del duca d’Aosta, i messaggi scambiati con
Mussolini sottolineano il carattere di rivendicazione nazionale che l’occupazione di Fiume
riveste. Ma nell’imprevedibilità del fatto è inscritta anche un altra caratteristica. La
conquista di una città da parte di un poeta famoso alla testa di militari disertori, con un
iniziativa che sembra folle contrapposta alle regole della politica e al nuovo ordine
mondiale che si va definendo dopo la guerra, appare per quel che è: un atto rivoluzionario.
La poesia di d’Annunzio da quel momento si esprime con la parola. La cronaca
fiumana è scandita dal succedersi quasi quotidiano di una serie di discorsi che
esemplificano un nuovo stile politico, fatto di dialogo diretto con la folla ed alimentato da
miti e da riti. Il pomeriggio del 12 Settembre si affaccia per la prima volta dal balcone
del Palazzo del Governo dove espone la bandiera consacrata dal sangue del
capitano Randaccio e può a buon diritto affermare:
“Io volontario, io combattente di tutte le armi, io ferito e mutilato di guerra credo di
interpretare l’ansia profonda di tutta la mia nazione vera dichiarando oggi restituita
per sempre la città di Fiume all’Italia madre”.
Il Consiglio Nazionale fiumano lo nomina Governatore
della città ed egli, rendendosi conto della complessità
del momento, si prepara ad una lunga resistenza
organizzando il governo autonomo di Fiume e
nominando Giuriati capo di Gabinetto.
Da quel momento Fiume diviene la meta di interi
reparti militari, di eroi di guerra come Luigi Rizzo,
addirittura di ufficiali superiori dello Stato Maggiore,
tutti volontari per la causa di Fiume. Più tardi ci
saranno le visite prestigiose di scienziati come Marconi
ed artisti quali Toscanini.
Il 14 novembre 1919 d’Annunzio, temendo l’abbandono
italiano della costa dalmata, rilancia la sfida sbarcando
a Zara e ottenendo dal Governatore Enrico Millo,
l’uomo dei Dardanelli, l’assicurazione che la Dalmazia
del Patto di Londra non sarà mai abbandonata.
Siamo all’apogeo dell’impresa fiumana. Il presidente del Consiglio Nitti cerca un
compromesso attraverso una proposta governativa, definita modus vivendi, con la quale il
governo italiano si impegna ad accogliere la richiesta di annessione all’Italia dei fiumani,
allorché le condizioni internazionali lo avessero consentito. D’Annunzio, convinto che la
proposta non sia altro che un cinico inganno, non accetta né il deliberato del Consiglio
Nazionale fiumano né il risultato del successivo plebiscito, entrambi favorevoli alla
proposta.
La vicenda fiumana, raccontata quasi giorno per giorno da un’imponente
documentazione fotografica ampiamente diffusa dalla cartolinistica dell’epoca, è
emblematica della storia e della personalità dannunziana. Nata come pretesa
nazionalista, si trasforma in un avventura rivoluzionaria. Il 10 gennaio 1920 Alceste
De Ambris, sindacalista rivoluzionario, viene nominato nuovo capo di Gabinetto. Si
afferma un clima da rivolta permanente che, usando le parole del poeta, fa di Fiume la
“Città di vita”; una sorta di piccola “controsocietà” sperimentale nella quale si impongono
idee e pratiche non convenzionali come la libertà sessuale, il nudismo, la dissacrante
originalità dei comportamenti. Persino da un punto di vista economico Fiume, serrata dal
blocco militare italiano, diviene una realtà eversiva, realizzando una sorta di anti –
economia basata sulle sottoscrizioni e su una pirateria che dirotta nel suo porto diverse
navi mercantili.
L’eroe della prima guerra mondiale diviene il “Comandante”, archetipo di una nuova
figura di uomo politico. Il poeta si fa legislatore, concependo una costituzione, la
“Carta del Carnaro”, che dimostra come l’indubbio antiparlamentarismo di
d’Annunzio non fa di lui automaticamente un nemico della democrazia. Il documento,
progressista ed anticipatore sul piano dei diritti civili e politici, pone come fondamento della
Reggenza Italiana del Carnaro, proclamata l’8 settembre 1920, la potenza del lavoro e
prevede la parità dei diritti tra uomo e donna, l’esaltazione della libertà di stampa e di
riunione, l’assoluta tolleranza religiosa, risultando di fatto estraneo alla logica autoritaria
dei regimi del xx secolo. Il fiumanesimo in definitiva non sarà, come molti ritengono, un
precursore del fascismo, ma avrebbe potuto costituirne un’ alternativa. La storia andrà
diversamente. Incapace di concepire un compromesso, prigioniero di un ideale
superomistico, in definitiva privo di vero senso politico, d’Annunzio non accetta il trattato di
Rapallo sottoscritto tra Italia e Jugoslavia. Dopo gli scontri con l’esercito regolare nel
“Natale di sangue” del 1920, il 18 Gennaio 1921 sarà costretto a lasciare una città
che era divenuta un laboratorio istituzionale, politico e sociale troppo pericoloso
per il potere costituito. Queste le sue ultime parole
rivolte ai fiumani:
“Io posso aver errato qualche volta; voi siete stati
perfetti sempre. Rifarò tra poco quella via che feci
sotto il sole di settembre, verso quella Fiume che
resterà sempre nel mio cuore. Se voi mi amate, se io
sono degno del vostro amore quella Fiume voi dovete
preservare contro ogni sopraffazione, contro ogni
insidia, contro ogni vendetta. Viva l’amore, alalà.”.
Aveva governato Fiume per sedici mesi, col solo
potere della parola; sulle rive del lago di Garda, in
quello che chiamerà il Vittoriale degli Italiani, ne
pagherà il prezzo con diciassette anni di silenzio.
LA GUERRA DI LIBIA
R. Teatro S. Carlo
- Programma. Programma della
Straordinaria
Rappresentazione
della Tragedia La Nave, 9 Giugno
1908. “La Nave” venne rappresentata
per la prima volta l’11 gennaio 1908 al
teatro Argentina di Roma. Il superbo allestimento
scenico fu curato da Duilio Cambellotti e l’applauso che seguì l’aprirsi del sipario fu il primo tributato in Italia
ad una scenografia.
Gabriele d’Annunzio
autore della tragedia La Nave. Medaglia realizzata
nel 1908 da Gastone Picchiani in Firenze, mm 24
bronzo. Il verso della medaglia porta incisa la
celebre esortazione “Arma la prora e salpa verso il
mondo” ripetuta più volte nella tragedia.
Guerra Italo-Turca
Il
tenente
Gavotti
lancia
bombe
dall’aeroplano
sul
campo
nemico.
Cartolina illustrata. 1912. L’illustrazione
rende bene la tecnica elementare del lancio
a mano delle bombe, che avveniva dopo
aver strappato con i denti la chiavetta di
sicurezza.
Guerra Italo-Turca 1911-1912.
Piatto commemorativo in ceramica bianca con al
centro scena di un bombardamento aereo
italiano su un accampamento turco, ai bordi
stemmi di casa Savoia e trofei d’Armi in verde,
1920 ca., cm 23.
Nella memoria di Leonardo da Vinci in
onore degli aviatori che combatterono
in Libia.
Medaglia commemorativa
realizzata da M. Nelli tra il 1916 e il 1922,
mm 60 bronzo. La medaglia porta incisi al
diritto versi tratti dalla “Canzone della
Diana”: “Nell’alto cielo un alato spia / sul
nemico che ignora / il nuovo assalto /
Gabriele D’Annunzio”. La medaglia fa
parte di una serie commemorante sia
alcuni fatti bellici avvenuti durante la
campagna di Libia, sia alcuni episodi della
prima guerra mondiale. Le medaglie
furono emesse nel periodo 1916-22.
INTERVENTISMO
“O Italia O Francia”.
Carolina. ill. Ediz. Ars Parva, s.d.. Le “Sorelle latine” fianco a fianco
brandiscono la spada della civiltà.
Quarto, la sagra del 5 Maggio 1915.
Cart. Fotografiche Ediz.Comerio, Milano, 1915. Il
trionfale rientro in patria del poeta. A Quarto, il 05
Maggio 1915, pronuncia il discorso che ne fa il
capofila del movimento interventista nella Prima
Guerra Mondiale.
A Trento!
Cartolina ilustrata da M. Tevini, Ediz. CCM, 1915. La grande
guerra, intesa come ultimo atto del Risorgimento, si combatte
per Trento e Trieste. I versi sono tratti dalla poesia “Alla
memoria di Narciso e Pilade Bronzetti” nella raccolta “Elettra”.
Gabriele d’Annunzio. Il Poeta nazionale.
Cartolina ill. s.d..D’Annunzio ritratto da F. Vecchi ai tempi della
Capponcina.
PRIMA GUERRA MONDIALE
Eia Eia Alalà.
Medaglia commemorativa realizzata
da M. Nelli tra il 1916 e il 1922, mm
60 bronzo. La rappresentazione
aerea in stile futurista del diritto è
sottolineata dal grido di guerra
dannunziano.
La
medaglia
è
dedicata alla guerra aerea della
prima guerra mondiale.
Il cartello di sfida della beffa.
Manoscritto contenuto anche nell’edizizione
della Beffa di Buccali - Fratelli Treves,1818.
I messaggi autografi del poeta, infilati in tre
robuste bottiglie di vetro scuro sigillate ed
ornate di lunghi nastri tricolori, furono
depositate da d’Annunzio nelle acque della
violata baia di Buccari.
Gabriele d’Annunzio al ritorno da Vienna.
Copertina del “Secolo Illustrato”, 1 Settembre 1918,
dedicata al volo su Vienna. La fotografia ritrae il poeta,
appena disceso dal velivolo che lo ha portato sulla
capitale dell’impero asburgico, con indosso il maglione
di volo.
Cielo di Vienna 9 Agosto 1918.
Volantino originale lanciato su Vienna
che reca il testo composto dal
giornalista Ugo Ojetti. Il volantino è
appartenuto a Nunziato Paolucci,
ufficiale pilota di stanza durante la
guerra a Grado, cugino di Raffaele
Paolucci, l’affondatore della “Viribus
Unitis”.
La scrittura nel vento.
Cartolina postale che riproduce un manifestino lanciato su Vienna.
Del tipo con il testo di Ojetti incluso nel tricolore se ne gettarono, in
lingua italiana ed in tedesco, per un numero complessivo di
350.000. Il messaggio dannunziano, ritenuto intraducibile, fu
stampato in 50.000 copie.
FIUME
Volo su Vienna e spedizione di Fiume.
Medaglia prodotta dalla ditta Johnson, Milano, 1918-1919,
bronzo dorato, ovale mm 29x25. Nel diritto sono incise le
date più significative riguardanti il “Comandante” Gabriele
d’Annunzio: 9 Agosto 1918 Vienna. 12 Settembre 1919
Fiume.
L’oratore ed il maestro del simbolo.
Cartolina fotografica con impresso il timbro a secco
del “Comando della città di Fiume. Sezione
Fotografica”. 1920. La bellezza seduttrice di una
voce limpida ed armoniosa, unita al potere ipnotico
di una prosa ritmica ed incisiva, ne facevano uno
straordinario oratore. La tipica posa oratoria, con le
mani sui fianchi, sarà poi mutuata da Mussolini.
Fiume d’Italia, 8 settembre 1920.
Volantino emesso per la proclamazione della Reggenza Italiana
del Carnaro. Inizialmente la proclamazione riguardava la
Repubblica Italiana del Carnaro, con evidenti implicazioni
rivoluzionarie, l’opposizione dei carabinieri presenti a Fiume e
fedelissimi al Re consigliò a d’Annunzio maggiore prudenza.
Proclamazione della Reggenza del Carnaro.
Cartolina fotografica. Ediz. Slocovich, Fiume. Nel
nome del Popolo, il Comandante Gabriele
d’Annunzio proclama la Reggenza Italiana del
Carnaro. Fiume d’Italia, 8 settembre 1920.
Patto di Londra – Patto di Rapallo.
Cartolina illustrata. Ediz. SASTA, Milano,
1920. Rarissima cartolina fatta pubblicare
dall’Associazione Nazionale Volontari di
Guerra 1915-1918, Azzurri di Dalmazia.
Nel momento più critico l’impresa
dannunziana scontò anche il mancato
appoggio di Mussolini.
Le cinque giornate di Fiume 24-28 XII 1920.
Cartolina fotografica. Ediz. Petritich, Fiume, 1926.
Il Palazzo del Comando colpito con i proiettili da
152 lanciati dalla R.N. “Andrea Doria” nell’esplicito
tentativo di eliminare il Poeta. D’Annunzio, ferito al
capo
da
una
scheggia,
si
salverà
miracolosamente. L’episodio assimila l’incarico
affidato al Maresciallo Caviglia a quello portato a
termine dal generale Cialdini nel 1852 contro
Garibaldi in Aspromonte.
L’ultimo discorso del Comandante
d’Annunzio per congedarsi dal popolo
fiumano ( 18-1-1921). Cartolina fotografica.
Ediz.Petritich, Fiume, s.d. Le ultime parole ai
fiumani: “Viva l’amore. Alalà!”
Il Principe di Montenevoso.
Cartolina illustrata. Ediz. Duval, Milano, 1940. Il titolo viene
conferito a d’Annunzio dal Re il 15 marzo 1924, data
dell’annessione di Fiume all’Italia. Splendida cartolina illustrata da
G. Bartoli con il poeta in divisa da Ardito, l’insegna araldica ed il
nastro tricolore dell’amatissima Fiume.
La medaglia di Ronchi.
Medaglia commemorativa della spedizione di
Fiume, incisa da Adolfo De Carolis per la
Johnson, Milano, 1919, bronzo mm 39,5. La
medaglia venne concessa per i titoli acquisiti
dal 12 settembre 1919, data della partenza da
Ronchi, al 5 gennaio 1921, data ufficiale del
completamento dell’evacuazione di Fiume da
parte dei legionari. Venne quindi conferita a
circa 2600 militari nonché a coloro che
“abbiano testimoniato la loro devozione
militante alla causa fiumana”.
L’orchestra Toscanini.
Interessantissimo documento postale che riporta al
recto la fotografia dell’orchestra Toscanini nel teatro
G.Verdi di Fiume ( Studio fotografico Gigi Bassani & C.
Milano.). Sul verso, che reca l’affrancatura con il
quindici centesimi dannunziano ed il timbro del
21.11.1920, campeggiano le firme autografe di
Gabriele d’Annunzio e Arturo Toscanini che indica
anche
luogo e data del concerto. In quella
occasione
d’Annunzio
ribattezzò
Toscanini il Sinfoniaco: “Come quegli
che su le navi armate batteva il ritmo
della battaglia”.
Ricordi dal Vittoriale.
Lettera autografa di Gabriele d’Annunzio,
firmata il Comandante, nella quale al margine
di una richiesta di commissione vengono
ricordati i bombardamenti di Pola. La lettera è
indirizzata al maresciallo Barile, uomo di
fiducia del Poeta, latore di messaggi privati e
delicati.
La Carta del Carnaro
Bollettino ufficiale del Comando di Fiume n. 31 primo settembre 1920
Alcestre De Ambris fu l’ingegnere costituzionale del documento,
Gabriele d’Annunzio l’architetto che lo incorniciò
dal punto di vista artistico e storico.
Il Vate, l’Eroe, il Comandante
Medaglia commemorativa dell’evento
incisa nel 2009 dagli orafi Verna
Testi: Maurizio Biondi
Materiali: Maurizio Biondi
Sergio Guerri
Collaborazione: Carlo Pantaleone
Domenico Verna
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