IAB ITALIA
Rassegna Stampa del 09/02/2015
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INDICE
IAB ITALIA
Il capitolo non contiene articoli
ADVERTISING ONLINE
07/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Lo vesto come me» Padri e figli coordinati
16
07/02/2015 Corriere della Sera - Bergamo
Moda e hi-tech, così Gori taglia le tasse
18
08/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Se i Nobel promuovono l'elisir di lunga vita
20
08/02/2015 Il Sole 24 Ore
Banda ultralarga all'ultima curva
22
08/02/2015 Il Sole 24 Ore
La primavera dell'identità bit
23
09/02/2015 Il Sole 24 Ore
Operai, venditori e informatici in vetta nel recruiting online
25
07/02/2015 Il Fatto Quotidiano
La ridotta dei berluscones L'Agcom nome per nome
26
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Broadband tv febbre da Netflix arriva Carrefour e si riaffaccia Telecom Italia
28
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Paolo Ainio samurai del web
30
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Svod, Tvod e Avod, il dizionario della broadband tv
32
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Pubblicità sempre più "mobile"
33
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Country retail e e-commerce manager le figure più ricercate nella moda
34
09/02/2015 Corriere Economia
Sei mosse per dar scacco alla crisi
35
09/02/2015 Corriere Economia
Social network Perché a Wall Street non piace cinguettare
36
09/02/2015 Corriere Economia
Web & Video Professione Youtuber
38
09/02/2015 Corriere Economia
Umbria Fashion Tourism: quando Moda, Turismo e Cultura fanno "squadra"...
40
09/02/2015 ItaliaOggi Sette
Il falso in rete si può vincere
41
07/02/2015 Il Sole 24 Ore - PLUS 24
Denaro sui titoli digital, high-tech e creatori di App
42
07/02/2015 Il Sole 24 Ore - PLUS 24
Alliance Data System è tra le preferite
44
09/02/2015 Brand News Today
La comunicazione b2b si fa emozionale con le storie delle piccole/medie imprese
47
09/02/2015 Brand News Today
Granarolo lancia il web talent 'Sfide in cucina' legato al Grana Padano
48
09/02/2015 DailyMedia
AutomotoTv cambia marcia con il digitale
49
09/02/2015 DailyMedia
Upa sostiene i giovani talenti con il corso di Alta Formazione
50
09/02/2015 DailyNet
Twitter: al 31 dicembre l'adv vale 432 mln
51
09/02/2015 DailyNet
Seconda acquisizione per Alkemy: si tratta di Tsc Consulting
52
09/02/2015 DailyNet
Europ Assistance ancora con In Target Group
53
09/02/2015 DailyNet
la nuova essenza femminile di Ferragamo in uno spot anche online
54
09/02/2015 Pubblicita Today
GrAnAroLo LAnCiA iL WeB tALent 'SfiDe in CuCinA'
55
09/02/2015 Pubblicita Today
ALKeMy ACQuiStA tSC ConSuLtinG e ConSoLiDA LA LeADerShiP nei SerVizi
DiGitALi B2B
56
09/02/2015 Pubblicita Today
oMG Dà un nuoVo ASSetto A reSoLution Con AMBroSo e foSSi
57
09/02/2015 Pubblicita Today
euroP ASSiStAnCe rinnoVA LA fiDuCiA A intArGet GrouP
58
09/02/2015 Pubblicom Now
Arc Leo Burnett per il lancio di Fiat 500X: tutti i numeri di un successo digitale e non
solo
59
09/02/2015 Pubblicom Now
Alkemy acquisizione tsc
60
09/02/2015 Pubblicom Now
Nasce il web talent "Sfide in cucina" targato Granarolo
61
07/02/2015 Industria e Finanza
ARREDAMENTO ONLINE, SETTORE IN CRESCITA
62
07/02/2015 Industria e Finanza
CRESCE LA DIGITAL ECONOMY
63
07/02/2015 Industria e Finanza
SUBITO ACQUISISCE DOTADV
64
06/02/2015 Espansione
200 milioni per le startup
65
06/02/2015 Espansione
Dot Com alla riscossa Ma ora tocca alle Pmi M.
68
06/02/2015 360com
Sembox ha trovato la soluzione con il tool proprietario SeoTrends
71
06/02/2015 360com
leo burnett italia si aggiudica l'advertising globale di beretta
72
06/02/2015 360com
Fortale porta il... Cashmirino
73
06/02/2015 360com
Sembox ha trovato la soluzione con il tool proprietario SeoTrends
74
06/02/2015 360com
La piattaforma internazionale The Fork arriva in Italia, con la regia di TripAdvisor
75
06/02/2015 360com
Native vs Banner, chi prevarrà?
77
06/02/2015 360com
La (lunga) storia delle mobile app
78
05/02/2015 ADV Express
Al via la nuova edizione del corso di Alta Formazione organizzato da UPA
79
05/02/2015 ADV Express
Michael Page si affida a Diesis Group per la comunicazione
80
04/02/2015 ADV Express
Millward Brown: 10 digital & media trend per il 2015
81
04/02/2015 ADV Express
Il nuovo Cosmopolitan.it: più internazionale, user friendly e native advertising
oriented. Obiettivo 2015: +50% di raccolta
83
04/02/2015 ADV Express
Accordo tra Italiaonline e Overplace per il local advertising a vantaggio delle PMI
84
04/02/2015 ADV Express
Federico Filippa nuovo PR Manager di Subito.it
85
05/02/2015 ADV Express
TRUE COMPANY amplia il team con l'arrivo di Emanuela Cutone, Giovanni Trabucco
e Giuseppe Lay
86
05/02/2015 ADV Express
A Leo Burnett Italia la comunicazione globale della fabbrica d'armi Pietro Beretta
87
05/02/2015 ADV Express
Benetton Group rilancia Sisley e sceglie Fedez per la nuova campagna firmata
Factory 27 (Condé Nast). Sul web il 40% del budget
88
06/02/2015 ADV Express
Nasce 'Sfide in cucina', il web talent del Grana Padano DOP Granarolo
90
06/02/2015 ADV Express
Imille vince la gara e diventa la nuova agenzia digital e social di Corona Extra
91
06/02/2015 ADV Express
Ritorno in tv e sul web per Transitions Optical. Firma DDB
92
06/02/2015 ADV Express
Alkemy acquisisce TSC Consulting e raggiunge oltre 30 mln per fatturato aggregato
93
06/02/2015 ADV Express
Europ Assistance sceglie InTarget Group per il Performance Advertising
94
06/02/2015 ADV Express
Nuovo assetto in Resolution by Omnicom Media Group con la nomina di Ambroso a
Head of Data and Digital Comm. e Fossi a COO
95
06/02/2015 Engage.it
Subito.it acquisisce la startup Dotadv nell'ambito di una collaborazione con Digital
Magics
96
06/02/2015 Engage.it
Europ Assistance e InTarget Group: rinnovata la partnership per il performance
advertising
97
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
07/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Verdini non si sente colpevole «Nani e ballerine fanno festa»
99
07/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
I timori sulla tenuta di Ncd dietro la campagna per i nuovi «responsabili»
101
07/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Le accuse di Bombassei: vogliono conservare il posto in una maggioranza da bulli
103
07/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Dalla missione della troika ai maxi prestiti Tutti i sacrifici (e gli aiuti) della crisi greca
105
07/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Martina: «Il diritto al cibo va inserito nella Costituzione L'Italia sia prima in Europa»
107
07/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Dopo il riassetto Moretti vuole cambiare nome a Finmeccanica
109
07/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Carige, la Fondazione vende tutto
110
07/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La fusione tra gli Aeroporti di Firenze e Pisa
112
08/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Abrignani: meglio non lasciare il tavolo del dialogo
113
08/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Io ingannato, non chino la testa» La svolta per tenere il partito unito
115
08/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Andiamo avanti con le riforme I capilista bloccati? Vedremo»
117
08/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Il «giallo» sul deficit di Atene in tribunale cinque anni dopo «Così è partita
l'austerità»
119
08/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Mercato elettrico da riformare Il rischio di una giungla dei prezzi»
121
08/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Il commercio riparte, con tanti stranieri e forte rotazione
123
08/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Confindustria: un errore modificare il Jobs act sui licenziamenti collettivi
124
09/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
riscoprire la cultura del lavoro
126
09/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Tsipras avverte: manterrò le promesse Scontro con Padoan sul debito italiano
128
09/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Alla gente il Nazareno non interessa Basta divisioni o non vinceremo più»
130
09/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Gli italiani vedono FI in difficoltà Ma per il 92% dei suoi elettori il leader terrà le redini
del partito
132
09/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Partito rovinato dagli ambiziosi, lì non si fa politica»
134
09/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La Russa: la polizia alla festa in casa? Mandata dai radical chic
136
09/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Se la destra vitalista diventa decrepita
138
07/02/2015 Il Sole 24 Ore
F2i apre il capitale degli aeroporti a nuovi soci: in vista maxi-polo europeo*
139
07/02/2015 Il Sole 24 Ore
«Un'Unione dell'energia per l'autosufficienza»
141
07/02/2015 Il Sole 24 Ore
Padoan: riforma da accelerare per le popolari
144
07/02/2015 Il Sole 24 Ore
Valeri: «Ora l'Italia sta ripartendo»*
146
07/02/2015 Il Sole 24 Ore
«Con il Jobs act un passo importante per chi vuole investire in Italia»
148
07/02/2015 Il Sole 24 Ore
L'ad Ravanelli: «Per Metroweb un partner a breve, pronti a supportare lo sviluppo
delle infrastrutture»
150
08/02/2015 Il Sole 24 Ore
Ora via a due grandi riforme
152
08/02/2015 Il Sole 24 Ore
QUASI UNA «PRIVATIZZAZIONE»
153
08/02/2015 Il Sole 24 Ore
«Effetto Bce, Pil oltre lo 0,5% nel 2015»
154
08/02/2015 Il Sole 24 Ore
«Se il fine è pubblico, è giusto che ci sia lo Stato»
156
08/02/2015 Il Sole 24 Ore
Banda larga, Piano in dirittura
158
08/02/2015 Il Sole 24 Ore
Poste Italiane, svolta in vista dell'Ipo
160
09/02/2015 Il Sole 24 Ore
Cercando altre Svizzere
162
09/02/2015 Il Sole 24 Ore
I segnali di una ripresa con i piedi d'argilla
164
09/02/2015 Il Sole 24 Ore
Traffico, capannoni, turismo: tra industria e servizi in cerca di tendenze positive
166
09/02/2015 Il Sole 24 Ore
Longobardi: «Ultima chiamata per la regolarizzazione»
168
09/02/2015 Il Sole 24 Ore
Il jolly della flessibilità
169
09/02/2015 Il Sole 24 Ore
Non c'è solo l'euro nel braccio di ferro tra Atene e Bruxelles
170
09/02/2015 Il Sole 24 Ore
regole complesse e Costi elevati ma la «voluntary» PRENDE QUOTA
172
07/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Mogherini: la Ue con Parigi e Berlino non vogliamo dare armi a Kiev
177
07/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Gli arrivi centristi allarmano la sinistra Bersani: non siamo una porta girevole
179
07/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Il Pd ha cambiato verso più vicina la casa riformista e io perdo una poltrona"
181
07/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Non era razzismo anche Sgarbi dava dell'asino ai suoi avversari"
182
07/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Eurolandia e Draghi imparino dagli Usa serve la solidarietà per avviare la ripresa"
183
07/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Fondazione Carige mette in vendita tutto il suo 19% ma il partner ancora non si trova
184
07/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Risparmi elettrici in bolletta per famiglie e piccole imprese 2,7 miliardi di costi in
meno
185
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
David Remnick: vi racconto novant'anni di New Yorker
187
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Silvio è impazzito non sa più dove andare"
190
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Allarme "Grexit" per la Ue ecco cosa può succedere con Atene fuori dall'euro
192
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Vallanzasca, l'ultima confessione "Dei soldi non mi fregava niente"
194
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
TSIPRAS SOGNA UN'ALTRA EUROPA E L'ITALIA COSA FA?
197
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Ma l'ex Cavaliere non chiude: "Se Renzi mi dà un segnale torno a trattare". Cerchio
rosa sotto attacco
200
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Contento che Silvio abbia cambiato idea il premier ha esagerato"
202
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Se Matteo fa cose di centrosinistra io ci sto"
203
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Ora pronti a votare contro il governo"
204
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Ghizzoni: "La ripresa c'è abbiamo già esaurito i primi 7,75 miliardi e daremo nuovo
credito"
205
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Noi di Charlie Hebdo continueremo a ridere di tutti"
207
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Inutile il quartiere del sesso all'Eur non servono ghetti ma regole nuove"
209
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Pensioni d'oro la proposta Boeri tenta il governo ma ora il dossier resta chiuso
210
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Tfr in busta paga, rischio flop chi non lo lascia in azienda rinuncia al 40 per cento
211
08/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Paolo Prodi
213
09/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Conti in Svizzera, ecco l'elenco tra re e star anche 7mila italiani
217
09/02/2015 La Repubblica - Nazionale
Ucraina, la sfida di Kerry "Soluzione diplomatica ma Putin accetti la sovranità di
Kiev"
219
09/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Basta con i nominati, servono le preferenze"
221
09/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"I numeri ci sono, garantisco io"
222
09/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Ristrutturare il debito è giusto, li aiuterò"
223
09/02/2015 La Repubblica - Nazionale
"Sapevamo tutti cosa stesse accadendo Vedrete: gli indagati aumenteranno"
224
09/02/2015 La Repubblica - Nazionale
OSSERVAZIONI DI TOGLIATTI SUI RAPPORTI CON I PARTITI
225
07/02/2015 La Stampa - Nazionale
E la diplomazia europea tira il freno "Armare Kiev non è una soluzione"
227
07/02/2015 La Stampa - Nazionale
Addio "responsabili", con Matteo è l'ora degli "stabilizzatori"
228
07/02/2015 La Stampa - Nazionale
Il premier si cautela dalle richieste della sinistra Pd
229
07/02/2015 La Stampa - Nazionale
Guerini a Forza Italia "Così rischiate sull'Italicum"
230
08/02/2015 La Stampa - Nazionale
I DUE FRONTI DELL'EUROPA
231
08/02/2015 La Stampa - Nazionale
Così la Nato prova a contenere l'espansionismo militare russo
233
08/02/2015 La Stampa - Nazionale
"Bene le riforme, l'Italia crescerà"
235
08/02/2015 La Stampa - Nazionale
"La mia rivista per far sentire le voci del tempo"
236
09/02/2015 La Stampa - Nazionale
"Italicum, non si torna indietro"
238
09/02/2015 La Stampa - Nazionale
Nel Nord-Est vince il campanilismo Tutti contro le nozze fra le Popolari
240
09/02/2015 La Stampa - Nazionale
Padoan incassa l'ok Ue Il piano salva-banche farà ripartire i prestiti
241
09/02/2015 La Stampa - Nazionale
Comprare casa, è il momento buono Tasse e spese, gli errori da evitare
243
07/02/2015 Il Messaggero - Nazionale
Regioni autonome e no a Kiev nella Nato ma sul piano pesano le sanzioni a Mosca
244
07/02/2015 Il Messaggero - Nazionale
«È stata un'avventura infelice i ceti dinamici votano i dem»
246
08/02/2015 Il Messaggero - Nazionale
Alfano: «L'Ncd esce ricompattato leali al governo su obiettivi precisi»
247
08/02/2015 Il Messaggero - Nazionale
La mossa per spaccare i dem ma Renzi lo gela: non tratto
249
08/02/2015 Il Messaggero - Nazionale
«Finito il tempo dei veti di FI avanti con l'effetto Mattarella»
250
09/02/2015 Il Messaggero - Nazionale
Renzi: subito le unioni civili
251
09/02/2015 Il Messaggero - Nazionale
«Non è sacrilegio cominciare a parlarne Ncd nega i radicalismi, non il buon senso»
253
09/02/2015 Il Messaggero - Nazionale
Lo zar rivuole la Grande Russia: «Non saremo una colonia»
254
07/02/2015 Il Giornale - Nazionale
Un Papa da schiaffi
255
07/02/2015 Il Giornale - Nazionale
La Ditta già in fibrillazione per gli arrivi dei responsabili
256
07/02/2015 Il Giornale - Nazionale
Trasformata in scudo umano per farci vacillare
257
08/02/2015 Il Giornale - Nazionale
Veleni e trappoloni, Verdini smentisce lo strappo
258
08/02/2015 Il Giornale - Nazionale
Sulle riforme è rischio palude Ma il premier ora fa il bullo
259
08/02/2015 Il Giornale - Nazionale
«Dal Pd poco fair play Scelta civica merita rispetto Al governo? Finché ci va»
260
07/02/2015 Libero - Nazionale
Tv e bilanci falsi La verità sui ricatti di Matteo al Cav*
261
07/02/2015 Libero - Nazionale
«Noi Ncd e Salvini incompatibili Berlusconi scelga»
263
07/02/2015 ItaliaOggi
Il nostro programma? Ridurre tasse e vincoli
265
07/02/2015 ItaliaOggi
Senza la copertura del Nazareno Renzi nuota in una vasca di squali
268
07/02/2015 ItaliaOggi
Pd, non è un partito pigliatutti
269
07/02/2015 ItaliaOggi
Il diritto all'oblio è l'unica tutela in rete
270
07/02/2015 Financial Times
Jobs growth illustrates strength of recovery
271
07/02/2015 Financial Times
Lundin and Shell pledge to continue Arctic exploration
272
09/02/2015 Financial Times
Accelerating car sales drive Italy's recovery hopes
273
09/02/2015 Financial Times
Movers & shakers
274
09/02/2015 The Guardian
Court to deliver verdict in Costa Concordia skipper's case
275
07/02/2015 The Independent
Berlusconi faces losing control of his party as support and funding slump
276
09/02/2015 The Independent
Captain of 'Concordia' awaits verdict that could jail him for 26 years
277
07/02/2015 Le Monde
La BCE force les Européens à s'entendre sur le cas grec
278
07/02/2015 Le Monde
Les Athéniens dans la rue pour soutenir leur gouvernement
280
08/02/2015 Le Monde
Si riches équipes britanniques
281
08/02/2015 Le Monde
Sur les marchés, le calme avant la tempête ?
282
08/02/2015 Le Monde
L'encombrant pouvoir de la BCE
284
08/02/2015 Le Monde
Ettore Majorana, génie disparu, réapparu, perdu de vue
285
08/02/2015 Le Monde
Italie : le racisme ordinaire de la Ligue du Nord
286
09/02/2015 Les Echos
A 65 ans, le Club Med s'apprête à entrer dans une nouvelle ère
287
09/02/2015 Les Echos
La Banque d'Italie se prononce pour une « bad bank » avec garantie de l'Etat
288
09/02/2015 Les Echos
Droits de vote double : l'Italie fait machine arrière
289
09/02/2015 Wall Street Journal
Libya's Oil Sector Reels in War
290
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
LA GIUSTA DISTANZA TRA GOVERNO E FINANZIERI
291
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Popolari e quantitative easing il ritorno della Banca d'Italia
292
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Banca Generali, Azimut, Fineco in Borsa la festa non è finita
295
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Auto, meccanica e Nordest ecco dove si affaccia la ripresa
297
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Aziende pubbliche ora tagli selettivi
300
09/02/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Salini Impregilo, Telecom, Fiat neolaureati ai posti di partenza
302
09/02/2015 Corriere Economia
Non nascondiamo la mina del debito sotto il tappeto
304
09/02/2015 Corriere Economia
Esodati I forzati del riposo anticipato rischiano un taglio del venti per cento
305
09/02/2015 Corriere Economia
Borsa Fiere, Ferrovie, Media Si accendono i titoli dell'Expo
307
07/02/2015 Milano Finanza
ORSI & TORI
309
07/02/2015 Milano Finanza
Meglio Casa del Btp
312
07/02/2015 Milano Finanza
Obama leader d'Europa
314
07/02/2015 Milano Finanza
C'è una busta per te
316
07/02/2015 Milano Finanza
Sul diritto all'oblio la posizione della Ue è l'unica tutela
318
06/02/2015 The Economist
Matteo gets his man
319
06/02/2015 The Economist
Charlemagne | Europe's fault lines
320
06/02/2015 The Economist
The enforcer
322
06/02/2015 The Economist
Politics
323
08/02/2015 The Observer
In the Eternal City, the euro remains the eternal problem
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08/02/2015 The Sunday Times
Debt Hard: Greeks hail new action hero
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08/02/2015 Corriere della Sera - La Lettura
Io, Limonov Noi siamo l'Europa E l'Ucraina è un'invenzione
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07/02/2015 Tempi
Quello marcio non sono io
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07/02/2015 Le Magazine du Monde
Corruption en séries.
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63 articoli
07/02/2015
Corriere della Sera
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«Lo vesto come me» Padri e figli coordinati
Per il mio bambino acquisto le stesse scarpe e la stessa felpa È soltanto una moda spinta dai siti di vendite
online oppure è il segno che vogliamo plasmare i piccoli a nostra immagine?
Massimo Sideri
E dopo circa 200 mila anni di evoluzione sprecata finalmente nel 2015 il papà sapiens fece il proprio figlio
(maschio) a propria immagine e somiglianza. Grazie all'e-commerce.
Dimentichiamoci quella generazione di padri che alla domanda «che numero di scarpe ha tuo figlio» si
recavano da una buona cartomante per avere la risposta. Nulla mi mette di buon umore come acquistare
abbigliamento coordinato con quello di mio figlio Riccardo che avendo solo 7 anni non è ancora in grado di
ribellarsi. Anzi: è convinto che sia divertente indossare la felpa Gap stile grunge-fuori-tempo-massimo come
la mia e due paia di New Balance giallo fosforescente numero 43 (le mie) e 33 (le sue). Per non parlare dello
stile lupetto che fa molto gemellini. Una volta erano le madri che costringevano-convincevano le figlie a un
ridicolo coordinato il cui messaggio (anche se non lo riconosceranno mai...) era più o meno: sono così
giovanile che sembro la sorella maggiore. Tramontata l'epoca delle mamme-sorelle siamo ora ai papàfratellini? Per Survey Lab, ufficio ricerche di venteprivee.com , il principale sito europeo di vendite a evento, è
questo il nuovo trend. Pensavo di essere l'unico.
Non si tratta solo di comprare al figlio la stessa maglia del club calcistico di riferimento. Quella del calcio è
tutta un'altra religione, un disarticolato tentativo di trasmettere le frustrazioni da campo di football di periferia
misto alla speranza di diventare dei manager-papà di campioni milionari.
Qui è tutto più sofisticato: vestirsi uguali è un'arte. Il primo sospetto è che tutto faccia parte di una
macchinazione delle multinazionali della serie: 1001 meccanismi trovati dall'ecommerce per farci spendere
con la formula paghi due e prendi due, dove non si capisce bene quale sia il tipo di vantaggio aritmetico.
Devono avere messo sui siti Internet qualche fotografia subliminale che ci ha spinti all'inversione del
comportamento: gli uomini comprano per i figli d'impulso (leggi sconsideratamente) e le donne razionalmente
(leggi con pignoleria): «la papà» e «il mamma» sul web. Il marketing ci va a nozze con molto meno.
Il secondo sospetto è che dietro a quell'atto istintivo che ci fa sentire dei padri migliori ci sia un surrogato
senso di colpa. Non sarà un modo per plasmare i figli a nostra immagine e somiglianza? Quella «delle» papà
sapiens capaci di fare acquisti per la prole sul web, trasmettere i propri caratteri (come se bastassero le New
Balance...), andare ai colloqui scolastici e fare la spesa è una specie tutta da capire in termini sociomerceologici e gli effetti sui malcapitati li scopriremo tra una decina d'anni.
Magari è solo una moda. Ne abbiamo viste onestamente di peggiori. Certo è che il terzo sospetto sia ancora
più machiavellico. Potrebbe anche essere un raffinato piano per acquistare tramite la piattaforma di
ecommerce non tanto prodotti fisici ma una complicità padre-figlio che ha un peso non indifferente quando
nelle diatribe familiari si va alla conta dei voti. Le maggioranze analogiche acquisite con i crediti online
(personalmente acquisto app per mio figlio che poi utilizzo anche io le poche volte in cui posso mettere le
mani sull'iPad) possono spostare gli equilibri secolari del nucleo. Il malcelato fastidio «dei» mamme di fronte
a questo coordinamento nello shopping fisico e digitale fa propendere per quest'ultima ipotesi.
Svelato l'inganno non resta che ricordare che non era certo meglio quando il papà interveniva nel guardaroba
non prima della laurea, per regalare improbabili cravatte regimental.
@massimosideri
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Il caso
Secondo una ricerca di Survey Lab, ufficio ricerche di vente- privee.com, una delle nuove frontiere degli
acquisti online riguarda proprio il «tandem» tra padre e figlio L'identikit del genitore che fa acquisti di
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ControcopertinaFamiglie
07/02/2015
Corriere della Sera
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abbigliamento online: gli uomini comprano d'impulso, le donne con più attenzione e pignoleria
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07/02/2015
Corriere della Sera - Ed. bergamo
Pag. 2
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Varati dalla giunta sgravi per manifatturiero e ricerca: cancellato lo 0,3% di Imu per Palafrizzoni Piano
tecnologico per tutti gli imprenditori: pratiche online e chat attiva con gli uffici comunali Le reazioni
Confindustria: misure che soddisfano. Camera di commercio: bene in chiave Expo
Fabio Spaterna
L'idea era trapelata nelle scorse settimane: il Comune stava mettendo a punto una strategia ad hoc per
recuperare aree dismesse e portare sul territorio una componente imprenditoriale sempre più hi-tech. Ora
dalle parole si passa ai fatti: la giunta guidata da Giorgio Gori ha varato il pacchetto di azioni per attirare
nuove imprese in città. Attende l'approvazione del Consiglio comunale il 23 febbraio, ma il dossier avallato da
sindaco e assessori contiene già elementi definiti e che saranno operativi già da quest'anno.
La «Bergamo città semplice e low tax» (questo il nome del documento presentato ieri) si attrezza per far
tornare investimenti da parte di imprese del territorio e non. «L'iniziativa è unica, realizzata in collaborazione
con tutte le forze imprenditoriali e sociali del mondo del lavoro bergamasco - spiega Gori -, speriamo di
estenderla ai comuni dell'hinterland e, perché no, che possa diventare un esempio in ambito nazionale».
Sgravi fiscali e semplificazioni in chiave digitale sono i due input che hanno ispirato la manovra: se le
agevolazioni sono indirizzate esclusivamente alle imprese dei settori manifatturiero avanzato e terziario hightech (non solo start-up), del processo di digitalizzazione (e sburocratizzazione) potrà usufruire tutto il mondo
imprenditoriale. Spiega l'assessore all'Innovazione Giacomo Angeloni: «Nel 2013 Bergamo era la terza
provincia in Italia per numero di pratiche telematiche, ora puntiamo più in alto». Ecco quindi una serie di
pratiche che sono già state, o saranno a breve, completamente digitalizzate: dalla richiesta di permesso di
costruire alle comunicazioni di inizio e fine lavori, sino alla presentazione di istanze, progetti e dei cementi
armati. Novità anche per i professionisti: verrà implementata la scrivania telematica (con tanto di chat con gli
sportelli) per avere in tempo reale lo stato dell'arte delle pratiche presentate.
Oltre alle aziende attive nell'ambito dell'high-tech, gli sgravi fiscali coinvolgeranno, tra gli altri, anche nuovi
uffici di rappresentanza di aziende non bergamasche. Le categorie coinvolte sono molteplici, ma tutte legate
all'innovazione: dalla ricerca all'editoria, dalla moda alle arti, dall'informatica alla chimica. «Presenteremo
l'iniziativa anche a Milano», precisa Gori, non nascondendo che questa è anche un'operazione di marketing
territoriale. Obiettivo: attirare qui nuovi investitori. Non solo: «Il sistema mira a riqualificare le aree urbanizzate
e oggi dismesse - precisa il sindaco -. Escludiamo di inserire nuove imprese, capannoni o uffici in aree della
città oggi vergini o verdi».
Da qui le varie agevolazioni fiscali, che per i prossimi tre anni (questa la durata del piano) si tradurranno in
meno tasse per le già citate categorie imprenditoriali. A cominciare da un'Imu agevolata per nuove costruzioni
o per il recupero di capannoni inutilizzati da almeno un biennio: «Azzereremo lo 0,3% destinato al Comune, in
caso di 5.700 metri quadri di capannone lo sconto sarà di oltre 21 mila euro», annuncia il vicesindaco Sergio
Gandi, assessore al Bilancio.
Sconti anche per oneri e standard qualitativi, cumulabili a quelli già previsti da una delibera approvata lo
scorso anno dall'amministrazione Tentorio. Nel caso di intervento di un'azienda hi-tech su un'area già
urbanizzata, con volume pari a quello già esistente, lo sconto sarà del 75%. «Per i piani attuativi, che di solito
procedono a rilento, abbiamo anche previsto la possibilità di saldare oneri e opere di urbanizzazione a
seconda degli effettivi avanzamenti del piano, senza dover anticipare tutto», aggiunge l'assessore all'Edilizia
pubblica Francesco Valesini. Soddisfatto il mondo imprenditoriale: «È un passepartout importante, anche in
chiave Expo», commenta il presidente della Camera di Commercio, Paolo Malvestiti. Mentre secondo il
vicepresidente di Confindustria, Matteo Zanetti, «gli sgravi soddisfano in modo significativo il mondo delle
imprese». Ora tocca a loro.
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Moda e hi-tech, così Gori taglia le tasse
07/02/2015
Corriere della Sera - Ed. bergamo
Pag. 2
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Progetto «Low-tax» d'Arco AGEVOLAZIONE Sconti Imu e oneri di urbanizzazione, versamento degli oneri a
rate, semplificazione burocratica LE TIPOLOGIE COINVOLTE TECNOLOGIE PER L'INDUSTRIA Esempio:
Informatica Energia Farmaceutica e biotecnologie Trasporto su strada, ferro e marittimo SETTORI TERZIARI
HI-TECH Esempio: Fornitura di software START UP INNOVATIVE ATTIVITÀ CHE ABBIANO VINTO
ALMENO UN BANDO EUROPEO SULLA RICERCA E L'INNOVAZIONE NEGLI ULTIMI 5 ANNI NUOVI
UFFICI DI RAPPRESENTANZA DI AZIENDE INDUSTRIALI NON BERGAMASCHE (ma con almeno il 40%
di dipendenti laureati) Robotica Ricerca nel campo delle scienze naturali, umane e dell'ingegneria ATTIVITÀ
CREATIVE Esempio: Architettura Moda Cinema e video Musica Editoria
75% di sconto sugli oneri
per opere su aree dismesse
Puntiamo a recuperare aree già urbanizzate e oggi dismesse. Non
a costruire da zero
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 25
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Karplus (premio per la Chimica) e gli altri quattro scienziati garanti di una pillola: «Funziona sui topi» In
Consiglio Siedono nel Consiglio della «start up» creata da un ex professore del Mit di Boston
Mario Pappagallo
La fontana dell'eterna giovinezza, l'elisir di lunga vita, il fungo dell'immortalità (il Reishi) che portò a oltre 80
anni in buona salute uno dei più importanti imperatori della Cinan di qualche millennio orsono. L'umanità, tra
scienza e parascienza, ha sempre cercato il segreto per arrivare a età bibliche in buona salute. Che poi
significa prevenire ogni malattia che vada a minare l'integrità psico-fisica. L'obiettivo di evitare la morte fisica
forse qualcuno lo ha anche sperato, ma senza poi crederci realmente. Meglio immaginare un'immortalità
successiva.
Un salto di qualità, se così si può definire, si è registrato negli anni post mappatura del genoma, allorquando il
«gioco» tra ambiente e geni ha delineato come esistano sostanze in grado di attivare o spegnere geni chiave.
Soprattutto, quanto sia importante evitare i meccanismi infiammatori cellulari. E si è arrivati a individuare
scientificamente una serie di interruttori di lunga vita attivabili dalla restrizione calorica, dal resveratrolo (un
enzima del vino), dalla rapamicina (da una radice dell'isola di Pasqua, oggi potente farmaco anti-rigetto), dal
Nad ( nicotinamide adenin dinucleotide , molecola chiave dei processi metabolici) che agisce come una
restrizione calorica. Tutti elisir sperimentati sui topi: li hanno fatto vivere un terzo in più del naturale. E in
buona salute. Tutti elisir poi falliti sui primati: giovinezza prolungata ma non la vita. E sull'uomo? Ipotesi,
nessun test.
Ecco allora che a un ex professore del Mit di Boston, Leonard Guarente, è venuta un'idea: trasformare uno di
questi elisir, il Nad, in un prodotto da banco da vendere tra aspirine, propoli e omega 3. Ha dato così vita ad
Elysium Health , una start up «garantita» da cinque premi Nobel (nel board scientifico) che da questa
settimana vende Basis , una pillola di Nad. Tra i Nobel, Martin Karplus, vincitore per la chimica nel 2013, che
oggi ha 85 anni.
La start up ha scelto la via dell'integratore, dei «medical food» (categoria solo americana). Il prezzo è stato
fissato in 60 dollari al mese, circa 50 euro. La pillola va presa due volte al giorno tutti i giorni. Per ora è
venduta solo on line, e in mancanza di dati premarketing l'intenzione della compagnia è seguire le persone
che decidono di acquistarla nel tempo per verificarne l'efficacia. Con il passare degli anni i livelli di Nad negli
animali e nell'uomo diminuiscono, quindi l'idea è di rimpiazzare quello perso con la pillola. Che è prodotta,
garantisce Guarente, seguendo tutti gli standard di qualità usati normalmente per i farmaci.
Il precursore chimico del Nad è stato studiato anche dagli italiani, dal gruppo di Giuseppe Remuzzi, con un
lavoro pubblicato nel 2009. «Vero - dice il trapiantologo dell'ospedale di Bergamo e ricercatore del Mario
Negri -, nei topi abbiamo avuto un allungamento della vita del 30%. Ma nell'uomo? Che cosa farà? Per ora
sembra più un'operazione commerciale con 5 Nobel a garanzia».
Studi sull'uomo sono difficili da fare. Occorre letteralmente una vita, con risultati che non saranno valutati
dagli stessi ricercatori che avviano lo studio.
La ricerca più interessante in corso si chiama Early Bird.Intende misurare gli effetti di stili di vita e
alimentazione nel tempo . Unica al mondo, partita nel 2000 su circa 300 bambini di 4-5 anni. Bambini, oggi
adulti (18-19 anni), che sono stati costantemente monitorati. Nel 2017 dovrebbe concludersi, a meno che non
si decida di proseguire.
«Problemi etici per i Nobel che si prestano a un'operazione prettamente commerciale? Non ne vedo. Si tratta
di una start up - commenta il genetista e scrittore Edoardo Boncinelli -. E poi anche loro invecchiano...
Piuttosto, inutile cercare elisir. La lunga vita in buona salute è evento del tutto casuale. Solo fortuna».
@Mariopaps
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Se i Nobel promuovono l'elisir di lunga vita
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 25
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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Chimico
Martin Karplus (nella foto) ha vinto il Premio Nobel per la Chimica nel 2013 assieme a Michael Levitt e Arieh
Warshel Karplus
fa parte
dei cinque
Nobel che compongono
il comitato scientifico dell'«elisir
di lunga vita»
La fonte
La leggenda racconta
di una «Fonte dell'eterna giovinezza» (nella foto, dipinta da Lucas Cranach il vecchio) Si è creduto che
potesse trovarsi in Florida, terra scoperta all'inizio del XVI secolo dall'es-ploratore Juan Ponce de León
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 22
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Banda ultralarga all'ultima curva
il mosaico si sta componendo, tessera dopo tessera. Alla fine sta quasi per fare il suo ingresso (ufficiale) sulla
scena il piano del Governo per dotare l'Italia di infrastrutture a banda ultralarga (sopra i 30 Mbps di velocità in
download) necessario per raggiungere gli obiettivi posti dalla Agenda digitale europea. Risollevare l'Italia dai
bassifondi delle classifiche digitali non sarà facile né a costo zero, ma necessario. In un summit della scorsa
settimana, Confindustria digitale ha fatto i conti sull'apporto potenziale che un utilizzo adeguato delle risorse
in Ict (potrebbero essere fino a 18 miliardi in sei anni) potrebbe portare all'economia del Paese: mezzo punto
di Pil all'anno. Sembra l'uovo di Colombo: si sa che un'adeguata infrastrutturazione porterebbe occupazione,
indotto, economia. Eppure siamo ancora ai calcoli e alle buone intenzioni. Certo, ora c'è da mettere agli atti
che sul piano per la banda ultralarga messo a punto dal Governo si è veramente all'ultima curva. Una volta
avute alcune risposte da Bruxelles, il piano (con obiettivi e incentivi per dotare il paese della banda ultralarga)
sarà ufficialmente licenziato da Palazzo Chigi e diventerà vincolante nel confronti della Ue. Il Paese non
attende altro.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
22
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QUASI PRONTO IL PIANO DEL GOVERNO
08/02/2015
Il Sole 24 Ore - Ed. nova 24
Pag. 11
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La primavera dell'identità bit
L'utente con la password "anagrafica" potrà accedere ai servizi della Pa
Alessandro Longo
Ad aprile 2015 ci saranno i primi cittadini dotati di identità digitale pubblica. Diventeranno 10 milioni entro il
2016. Lo Spid (Sistema pubblico identità digitale) sta per entrare quindi nella fase del confronto con la realtà.
Ed è una fase delicata per tutto il sistema dell'innovazione, perché l'Italia ha scelto di puntare sull'identità
digitale come prima leva per la digitalizzazione di massa. «Lo Spid aiuterà a semplificare l'uso di servizi
digitali pubblici e privati. In questo modo, potrà fare da trampolino per avvicinare gli italiani al digitale», dice
Alessandra Poggiani, a capo dell'Agenzia per l'Italia digitale.
Era anche la visione di Francesco Caio, che aveva preso le redini della strategia sull'Agenda digitale sotto il
governo Letta. Caio aveva individuato tre priorità per uscire dall'impasse: la fatturazione elettronica,
l'Anagrafe unica e appunto lo Spid.
La prima è il trampolino per digitalizzare le aziende, mentre le altre due priorità- complementari tra loro guardano alla popolazione. La sola novità già funzionante (da giugno 2014) è la fattura che completerà il
percorso il 31 marzo, quando diventerà obbligatoria anche verso le Pa locali. Lo Spid ha ricevuto a dicembre
le prime regole attuative, mentre per l'Anagrafe il passo è avvenuto a gennaio. La svolta sta quindi prendendo
forma proprio in queste settimane. Le norme prevedono che entro il 2015 si completerà la transizione dalle
migliaia di anagrafi comunali a quella unica, centralizzata, con i dati della popolazione residente.
L'obiettivo generale è ricondurre a sistema ciò che è sempre stato caotico. E così porre le basi per uno Stato,
una popolazione, un sistema economico moderni grazie al digitale.
Ma è proprio nella fase del varo che tocca confrontarsi con i rischi. Nel caso dello Spid, l'incognita principale è
se le aziende private lo adotteranno con entusiasmo, nel ruolo di fornitori di servizi o di identità al cittadino.
«Le pubbliche amministrazioni dovranno rendere tutti i propri servizi accessibili via Spid entro 24 mesi. Ma il
successo ultimo dipende dalla risposta dei privati», dice Poggiani.
Vediamo infatti come funzionerà lo Spid. L'utente potrà ottenere l'identità in tre modi. Di persona (con
documento normale), via internet (accedendo con un documento evoluto come la Carta nazionale dei servizi)
e persino con una chat audiovideo. Il tutto, presso un "identity provider" accreditato nell'Agenzia (a oggi sono
già pronti Poste Italiane, Telecom Italia e Infocert). Il cittadino avrà, di base, una password "Spid" associata
alla propria anagrafica per accedere a tutti i servizi della pubblica amministrazione e a quelli delle aziende
private che sposeranno il sistema. Troveremo un pulsante "Spid" su vari siti. Con un clic, potremo indicare il
nostro identity provider e quindi autenticarci.
Per usare servizi più delicati (per vedere i risultati dei nostri esami medici, ad esempio), la normativa prevede
un secondo livello di sicurezza. Potrà essere una ulteriore password che arriverà all'utente via sms o con un
app su smartphone. La legge impone agli identity provider di fornire gratis il livello base; quelli ulteriori
potrebbero invece essere a pagamento, per i cittadini. Lo Stato invece non deve sborsare un centesimo: è
una innovazione a costo zero. Questo può rivelarsi un primo punto critico. La stessa Telecom Italia, pur
aderendo a Spid, ha espresso perplessità sulla sostenibilità del servizio per chi lo offre. Di converso, c'è chi
protesta per essere stato escluso dalle nuove opportunità: le Pmi dell'Ict. Assintel e Assoprovider questa
settimana hanno fatto ricorso al Tar contro le norme attuative dello Spid, perché bisogna avere un capitale
sociale di 5 milioni di euro per diventare identity provider. Il ricorso apre un'incognita: potrebbe ritardare
l'entrata in vigore dello Spid.
Un'altra variabile imprevedibile è quanto lo Spid attecchirà tra i servizi. È probabile che i primi saranno degli
enti che partecipano al programma pilota, in corso presso l'Agenzia: Inps, Inail, le Regioni Friuli Venezia
Giulia, Piemonte, Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Marche; i Comuni di Firenze, Lecce e Milano. «Spero
che le banche aderiranno a Spid entro l'anno», dice Poggiani.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
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AGENDA DIGITALE SPID IDENTITY PROVIDER
08/02/2015
Il Sole 24 Ore - Ed. nova 24
Pag. 11
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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È in fondo ottimista Ernesto Belisario, avvocato tra i massimi esperti di Agenda digitale: «Non prevedo ritardi
sui singoli progetti, come lo Spid e l'Anagrafe. Ormai il quadro delle regole è chiaro, le risorse ci sono (sono
quelle europee e nazionali del piano Crescita digitale, ndr). Pure la governance del digitale in Italia sta
trovando una sistemazione». Quella governance che, ancora a ottobre, il sottosegretario alla presidenza del
Consiglio aveva definito "da manicomio". «Sono due, invece, le mie preoccupazioni», aggiunge Belisario. «La
prima: che le risorse siano usate bene. Per esempio, è indubbio che i Comuni hanno bisogno di aiuto per
migrare all'Anagrafe unica. La seconda: che ci sia un buon coordinamento Stato-Regioni. Bisogna così
evitare che l'autonomia degli enti ostacoli l'opera di standardizzazione e centralizzazione che è cardine nell'
Agenda digitale».
Si gioca su questi punti la partita che l'Italia dovrà ben impostare nel 2015, affinché, negli anni successivi, i
cittadini possano coglierne i frutti.
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09/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 13.14
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Operai, venditori e informatici in vetta nel recruiting online
Francesca Barbieri
Operai, venditori e informatici: sono i profili impermeabili alla crisi "certificati" dall'Osservatorio 2014 di
InfoJobs. Secondo il sito di recruiting online che pubblica oltre 20mila nuovi annunci ogni mese, lo scorso
anno le offerte di lavoro su web sono aumentate del 35% rispetto al 2013 (per un totale di 253mila inserzioni
registrate su www.infojobs.it).
Settori e profili
Tra i settori, a svettare è «internet, programmi e servizi informatici», che calamita quasi un quarto (il 23,4%)
delle proposte di lavoro pubblicate, seguito da telecomunicazioni (17,9%), vendite all'ingrosso, commercio e
Gdo (12% del totale).
Buone anche le performance del comparto «eventi e pr» - in crescita di oltre tre punti rispetto al 2013 con il
9,8% delle offerte totali - e marketing e pubblicità, che chiude la "top five" con il 7,5% degli annunci
complessivi.
Tra le figure professionali, sono operai, addetti alla produzione e al controllo qualità le categorie a
collezionare più richieste, con il 21% del totale nazionale (in leggero calo rispetto al 23,7% del 2013).
Percentuali in crescita, invece, per commessi e addetti alle vendite, che passano dal 15% del 2013 al 17%
del 2014, attestandosi come la seconda categoria più ricercata nel nostro Paese.
Sul gradino più basso del podio i tecnici informatici con l'8,8% delle offerte, in lieve crescita rispetto all'8,5%
del 2013.
Gli annunci sul territorio
Restringendo l'obiettivo sul territorio, si conferma al primo posto la Lombardia con il 32% dell'offerta
nazionale, nonostante la leggera flessione rispetto al 33% del 2013. Stesso trend per l'Emilia-Romagna,
seconda con il 12,9%, e a chiudere il podio il Veneto, stabile con il 12,8% degli annunci.
Tra le altre regioni, buona la performance del Lazio, che dal 7,5% del 2013 passa al 9,4% del 2014,
scavalcando il Piemonte (in calo dal 9,7% al 9,1%) come quarta regione d'Italia per numero di offerte
pubblicate. A seguire Toscana, Marche, Campania, Liguria e Friuli-Venezia Giulia.
L'identikit dei candidati
Quali sono le caratteristiche di chi cerca lavoro? Dall'Osservatorio InfoJobs emerge un profilo con formazione
medio-alta (diploma o laurea) e una buona esperienza nel mercato del lavoro.
Nella carta d'identità dei candidati domina la fascia dai 26 ai 35 anni (44% del totale), con i giovani sotto i 25
anni fermi all'11,5 per cento. Tra gli over 35 il target 36-40 anni rappresenta il 17% del totale, a cui si somma
il 18% della fascia 41-50 anni e il 9% degli over 50.
Quanto alla formazione, i candidati con il diploma di maturità in tasca sono il 45% del totale, dato a cui si
somma il 18% che possiede una laurea magistrale e l'11% con un titolo triennale.
Per quanto riguarda l'esperienza, a prevalere sono i lavoratori con un trascorso tra i 5 e i 10 anni, oltre il 24%
del totale, mentre il 21% supera addirittura i dieci anni di attività svolte in passato.
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LA TOP TEN DEI PROFILI
Le dieci categorie professionali più richieste nel 2014
Categoria % su totale offerte Operai, produzione, qualità 20,80 Addetti alle vendite 17,10 Informatici 8,80
Contabili e segretari 8,60 Addetti al retail 8,30 Ingegneri 6,40 Addetti marketing e comunicazione 4,90
Magazzinieri 4,50 Addetti turismo e ristorazione 4,10 Impiegati customer care 3,70
Nota: le percentuali si riferiscono a un totale di 253mila annunci Fonte: InfoJobs
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Trovare lavoro. Osservatorio InfoJobs: +35% gli annunci su web
07/02/2015
Il Fatto Quotidiano
Pag. 5
(tiratura:100000)
AL CENTRODESTRA DI SILVIO FANNO CAPO TRE COMMISSARI SU 5 E PURE LE DIREZIONI CHE
CONTROLLANO FREQUENZE, RAPPORTI CON LE AZIENDE E CONFLITTI D'INTERESSE NON A
CASO... È nell'Authority che nasce la guerra di questi giorni: lo sconto sulle imposte lo hanno voluto Preto,
Martusciello e Posteraro. Unico contrario: Cardani
Marco Palombi
Matteo Renzi è il nuovo padrone della politica italiana? Pochi dubbi. Eppure il precedente proprietario sta
gestendo la sua uscita di scena con sagacia e senso della realtà: schiera le truppe, mobilita gli amici e poi
avvia le trattative. Ormai, peraltro, alla politique politicienne Sil vio Berlusconi ha poco da chiedere e molto
invece alla politica come camera di compensazione dei poteri e dei conflitti (d ' in teresse). È ISTRUTTIVO,
per dire, il modo in cui il " mero proprietario " di Mediaset - giammai in conflitto d ' interessi secondo la legge
Frattini - abbia di fatto colonizzato negli anni l ' Autorità garante per le comunicazioni. Questo ha degli effetti: l
' Agcom, per dire, ha recentemente fatto un regalo a Mediaset da qualche decina di milioni e, ora che si tenta
di correggerlo, i berluscones parlano di vendetta contro l ' ex Cavaliere. Ci si riferisce al nuovo sistema di
imposizione sulle frequenze tv votato dall ' Autori tà a dicembre 2014: non si tassa più dell ' 1% il b ro a d ca s
te r , ma c ' è un prelievo fisso sulla società che gestisce gli impianti. Nel caso specifico, la tassa la
pagherebbe RaiWay per viale Mazzini e Elettronica Industriale per il Biscione. Il risultato ve lo raccontiamo
qui accanto: sconto milionario per entrambi, salasso per i concorrenti (Espresso-Telecom e le tv locali su
tutti). Scelta bizzarra, quella di Agcom, e che va esattamente in senso contrario alle richieste inviate per
lettera dalla Commissione Ue a luglio per aprire il mercato tv italiano. Perché? Forse la risposta è nei nomi,
nei curricula, nella tempistica. I commissari Agcom sono cinque e il maxisconto sulle frequenze fu deciso a
maggioranza: tre sì, un no, un astenuto. L'uni - co voto contrario fu quello del presidente Angelo Cardani, si
astenne il consigliere Antonio Nicita (nominato in quota Pd), votarono a favore gli altri tre. Chi sono? Uno è
Antonio Martusciello, già dirigente di Plublitalia, fondatore di Forza Italia e sottosegretario in un governo
Berlusconi. Un altro è Antonio Preto , una carriera nelle istituzioni europee culminata nel ruolo di capo di
gabinetto di An - tonio Tajani e nella collaborazione con Renato Brunetta. Entrambi sono stati eletti in quota
Forza Italia. Il terzo nome è Ste - fano Posteraro, una vita da funzionario della Camera, indicato all'Agcom
dall'Udc di Casini con la necessaria benedizione dei berlusconiani. Avere una Agcom sensibile alle proprie
posizioni, per così dire, significa avere un sacco di leve da tirare. "L'Autorità è ammanettata al ministero dello
Sviluppo", si lamentava tempo fa il presidente Cardani. Ammanettati, però, si sta in due e i ruoli alla lunga si
confondono: fonti di governo sostengono, ad esempio, che è stato un suggerimento arrivato dall'Autorità a
convincere il ministro Federica Guidi a inserire nel Milleproroghe il rinvio dell'immissione sul mercato delle tv
che ricevono le trasmissioni nella più avanzata tecnologia Dvb T2: la cosa non piaceva a Mediaset per vari
motivi e finisce - per di più - per allontanare il momento in cui le tv di Berlusconi dovranno lasciare le
frequenze della cosiddetta "Banda 700" agli operatori telefonici (e tanti saluti alla banda larga e all'economia
digitale). MA NON SI VIVE mica di soli commissari, c'è bisogno anche di tecnici preparati: l'ultimo giro di
nomine in Agcom ha dimostrato che il network berlu - sconiano lavora con lungimiranza. La direzione
"Infrastrut - ture e servizi di media"ad esempio - che si occupa pure di "po - sizioni dominanti" e "gestione
delle frequenze tv" - da dicembre è stata affidata a Antonio Provenzano , che negli ultimi anni ha lavorato
assistendo i commissari Martusciello e Giancarlo Innocenzi . Quest'ultimo, per chi non lo ricordi, è l'ex
dirigente Mediaset a cui Berlusconi telefonava per far chiudere Annozero di Michele Santoro o lamentarsi di
Serena Dandini: Innocenzi annuiva e metteva a disposizione la competenza sua e quella dei suoi
collaboratori. Alla direzione "Contenuti audiovisivi" invece - che vigila su par condicio e conflitti di interessi e
in generale gestisce i rapporti coi broadcaster - è andata Bene - detta Liberatore, collaboratrice per un
decennio di Antonio Pilati, attuale membro del cda Rai, commissario Agcom tra il 1998 e il 2005. Fu Pilati, nel
periodo in cui era all'Autorità, il vero autore della legge Gasparri, cioè di quella norma che ha cristallizzato il
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La ridotta dei berluscones L'Agcom nome per nome
07/02/2015
Il Fatto Quotidiano
Pag. 5
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dominio Mediaset sul mercato pubblicitario e costretto la Rai a svenarsi per finanziare il passaggio al digitale
terrestre. La tecnica, direbbe Emanuele Severino, non è mai neutra
Foto: MARTUSCIELLO
Foto: Antonio
Foto: ex Publitalia e fondatore di FI
Foto: PILATI
Foto: Antonio, oggi nel cda
Foto: Rai, ha scritto la legge Gasparri
Foto: INNOCENZI
Foto: Giancarlo, ex
Foto: Mediaset, nel " Tran i - gat e " con B.
09/02/2015
La Repubblica - Affari Finanza - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
Pag. 1.26
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Broadband tv febbre da Netflix arriva Carrefour e si riaffaccia Telecom
Italia
Stefano Carli
Broadband tv febbre da Netflix arriva Carrefour e si riaffaccia Telecom Italia a pagina 26 Tutto sta accadendo
molto rapidamente. Lunedì scorso Carrefour, il numero uno europeo della grande distribuzione, ha lanciato
un suo servizio di video on demand chiamato Nolim Film, realizzato grazie ad un accordo con le major Usa.
E' la risposta allo sbarco di Netflix in Francia, si è detto. Ma solo un paio di settimane prima la notizia era di
segno opposto: in Gran Bretagna Tesco, altro gigante della gdo, tra i primi ad entrare nel mercato dei film e
serie tv online, ha alzato bandiera bianca e ha ceduto il suo servizio Blinkbox, che non è mai riuscito a
portare in utile: è la conseguenza dell'incapacità di stare dietro a Netflix. Intanto in Italia, dove Netflix è
sempre dato in arrivo ma la data viene sempre spostata più in avanti, si riaffaccia sul mercato dei video online
Telecom Italia con l'offerta Tim Vision rivista e rinnovata. E cresce Chili Tv di Stefano Parisi, che ha chiuso il
2014 con 450 mila utenti ed è sbarcata da un paio di settimane in Austria e Polonia. Sky tra poco arriverà
nelle case degli italiani con la fibra ottica di Telecom Italia e nuovi pacchetti di offerte legate alle p o t e n z i a
l i t à d e l l a banda ultralarga. Il ciclone Netflix ha rivoluzionato completamente il mercato. L'aver raggiunto i
57 milioni di clienti, 16 milioni dei quali fuori dagli Usa, ha fatto salire la febbre. E le conseguenze si vedono: il
mercato pay sembra abbia raggiunto un picco, almeno nella forma finora conosciuta. Il dato più fresco è tratto
da un report di Analysys Mason citato anche da Daniela Biscarini, responsabile Multimedia Entertainment di
Telecom Italia alla presentazione di Tim Vision: in Italia nei prossimi anni il mercato dei contenuti video a
pagamento crescerà del 17% ma i ricavi dei servizi di pay tv tradizionale caleranno del 6%. E l'Italia in questo
caso non è diversa dagli altri mercati. Ma se Netflix ha scompaginato gli assetti tradizionali della pay tv, ha
aperto anche la concorrenza tra modelli di business diversi. «Dentro questo mercato ci sono tanti segmenti
che non si sono sviluppati finora qui in Europa. Non c'è solo il modello Netflix - spiega Augusto Preta,
direttore di ItMedia Consulting - Non è possibile dire ora quale sarà il modello prevalente. L'unica cosa certa è
che si sta passando da un sistema con al centro il broadcast, le tv tradizionali, ad uno con al centro il
broadband, la banda larga». Secondo l'ultima rilevazione dell'European Audiovisual Observatory, sono attivi
nei diversi mercati nazionali Ue ben 3.088 servizi Vod: 1.104 sono servizi di catch up tv, ossia offerta on
demand di contenuti già passati sui palinsesti tv in chiaro; 711 canali "branded" di broadcaster su piattaforme
Web (tipicamente YouTube); 409 piattaforme di offerta di film on demand; il resto sono tipologie diverse.
Geograficamente, ce ne sono 682 in Gran Bretagna, 434 in Francia, 330 in Germania, 223 sono operatori
Usa che hanno stabilito filiali in uno o più mercati europei. Come si vede un mercato iperframmentato in cui
l'arrivo di operatori di grandi dimensioni, strutturati e con marchi forti potrà fare facilmente la differenza. In
Italia, secondo le stime di ItMedia Consulting, che ha di recente rilasciato il report "Video Killed the Tv Star Come distruggere e le. Stime sui ricavi sono impossibili per mancanza di dati. Apple non dà i valori dei singoli
paesi. E nemmeno Netflix, per cui i dati che girano tra gli addetti ai lavori, di 250 mila utenti abbonati in
Francia tra l'avvio del servizio lo scorso settembre e fine 2014, sono solo ipotesi. Il test francese sarà però
importante per capire come Netflix si muoverò nei mercati dell'Europa continentale. In Gran Bretagna è
andata bene ed è accreditata di una quota di mercato del 14% ma è un mercato anglosassone, dove la lingua
gioca una parte rilevante e con una buona penetrazione della banda larga. Buone infrastrutture ha trovato il
gruppo guidato da Reed Hastings sui tre mercati scandinavi. In Germania, dove le strategie commerciali
decise al tempo del dollaro debole hanno fatto sì che l'offerta sia stata lanciata a 7 euro al mese, però
potrebbe incontrare già delle difficoltà: quello tedesco è un mercato anomalo per una forte reinventare
l'industria audiovisiva" il mercato vale tra i 35 e i 40 milioni, ripartibile per il 60% all'offerta transattiva, il Tvod,
e per il restante 40 a quella per abbonamento (Svod) mentre la pubblicità gioca per ora un ruolo molto
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multi media
09/02/2015
La Repubblica - Affari Finanza - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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marginapresenza di pay-per-view via cavo e utenti abituati a pagare ogni singolo prodotto. Con in più il
vantaggio che questa tipologia di offerta permette di vendere online i film nella finestra subito successiva
all'uscita nelle sale, mentre lo Svod è nella stessa finestra delle pay-tv, ossia intorno ai 20 mesi dopo (varia
nei diversi mercati). Il tema dei contenuti è importante ma può non essere decisivo. In Francia, il confronto tra
Netflix e Canal Plus ha rilevato come l'offerta della pay francese includa più titoli e più nuovi. E per quanto
riguarda l'Italia, diversi analisti sottolineano che siamo il mercato occidentale con la più ampia offerta di film e
fiction tv in chiaro e con il costo medio più basso di abbonamento alla pay-tv, intorno ai 25 euro, mentre negli
Usa i costi delle pay sono molto più alti, sui 70 dollari e questo ha pesato non poco sul boom del modello
Netflix: costi bassi e contenuti. Ma non tutti sono d'accordo che la qualità dei contenuti sia il fattore rilevante.
Non lo è stato per esempio in Danimarca e Norvegia, dove il catalogo Netflix ha sbaragliato quelli
qualitativamente superiori dei concorrenti locali. Per gli analisti la vera competitività di Netflix è infatti nel suo
motore di ricerca e di "raccomandazione". Nessun utente passerà mai più di cinque minuti a scorrere
interminabili elenchi di titoli quindi è strategico un efficiente motore di ricerca (nomi, titoli, genere) e ancora di
più quel sistema che propone agli utenti i titoli in catalogo più vicini ai suoi gusti. Qui è il vero valore aggiunto.
Che spiega tra l'altro come l'ingresso degli operatori online, da Netflix stessa ad Amazon, nella produzione
diretta di contenuti sia una strategia complementare e non direttamente "core": fa molta immagine, consolida
il valore del marchio ma da sola non basta. Un successo come House of Cards non può ripetersi all'infinito,
da solo comunque non basta e inoltre innesca dinamiche di costi crescenti. I veri margini qui si fanno
ottimizzando al massimo la coda lunga delle library. Ed è proprio sul software che profila gli utenti che si
giocherà la concorrenza tra le piattaforme: ci sta lavorando anche Telecom Italia. Sarà pronto tra pochi mesi
e in Telecom sperano che possa essere la killer application per far breccia sul mercato italiano: sia tra gli
utenti che tra i broadcaster da portare sulla piattaforma Tim Vision. Per ora c'è solo La7 e alcune serie Rai di
successo, come Che Dio ci aiuti. Non dovrebbero restare soli a lungo. s. di meo
[ I PROTAGONISTI ] Accanto, il ceo di Netflix Reed Hastings (1), l'ad di Chili Tv Stefano Parisi (2): la sua
società ha raggiunto a fine dicembre i 450 mila utenti e ha appena aperto in Polonia e in Austria; l'ad di
Telecom Itaila Marco Patuano : l'offerta Tim Vision è stata rinnovata e ora è sul mercato con un abbonamento
a 5 euro al mese (3), il ceo di Carrefour Georges Plassat (4)
Foto: Qui accanto, una scena da House of Cards, la serie tv che ha segnato l'ingresso di Netflix nella
produzione di contenuti video di alta qualità e di alto costo
09/02/2015
La Repubblica - Affari Finanza - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
Pag. 1.6
(diffusione:581000)
Paolo Ainio samurai del web
Giovanni Pons
A pagina 6 Ci hanno provato in tanti a diventare il mister internet italiano, ma non ci sono riusciti né Renato
Soru con la sua Tiscali né Silvio Scaglia con la sua e.Biscom, nonostante agli inizi degli anni Duemila fossero
diventati i re della Borsa grazie al boom della new economy. Quando la bolla si è sgonfiata nel 2001, la gran
parte degli imprenditori digitali che avevano cercato di cavalcare l'onda sono finiti sott'acqua. O ne sono usciti
pieni di soldi, come Scaglia grazie alla vendita di Fastweb alla Swisscom. E così l'Italia non è riuscita fin qui a
sfornare il suo Mark Zuckerberg, i suoi Larry Page, una Uber o una Airbnb. Tuttavia c'è un personaggio che
non ha mai beneficiato di una grande ribalta ma che è stato l'unico ad attraversare tutte le fasi della
rivoluzione Internet riuscendo a costruire con pazienza un gruppo che oggi bussa alla porta di Piazza Affari
con il chiaro intento di cavalcare l'onda dell'e-commerce. Si chiama Paolo Ainio e Banzai è la sua creatura
costruita nel 2005. La storia di Ainio affonda le radici in tempi in cui Internet era sconosciuta e a farla da
padrone era la tv commerciale con i suoi spot. Paolo inizia a lavorare negli anni '80 con il padre Mario
imparando i segreti della raccolta pubblicitaria. Poi nel 1989 decide di cambiare aria e va ad Austin, Texas, a
conoscere i primissimi esperimenti di tv on demand. Ritornato in Italia riprende a occuparsi di media e
pubblicità nella società di Marco Benatti, allora a conduzione famigliare, con il compito di contaminarla di idee
innovative. È nella cantina della Cia Medianetwork che Ainio con l'amico Carlo Gualandri mette a punto un
progetto di tv interattiva che viene presentato a un tavolo di Confindustria senza alcun seguito. Poi un
maestro delle pubbliche relazioni come Luciano Segre porta i due giovani ispirati da Ernesto Pascale, l'allora
potente amministratore delegato della Stet, il quale fiuta qualcosa di diverso nell'aria e organizza per loro una
riunione a cui devono partecipare tutti i capi delle controllate Stet. Durante la presentazione, effettuata al
buio, molti ne approfittano per svignarsela ma Ainio e Gualandri riescono comunque a inchiodare il capo della
rete di Milano gettando le basi per Telecom Italia Net, quella che poi diventerà Tin.it e passerà alla storia per
essersi fusa con Seat facendosi valutare 40 mila miliardi di lire. La commessa ottenuta da Telecom permette
ai due pionieri di internet - nei primi anni '90 erano nate solo Dada e la Videolina di Nicola Grauso - di
finanziare la start up di Virgilio, un sito da cui si poteva accedere a una serie di link utili per l'utente. Virgilio
diventò in breve tempo il primo esperimento di pagine gialle sul web, una sorta di motore di ricerca quando
Yahoo muoveva i primi passi e Google non era neanche nella mente di Sergey Brin e Larry Page. L'effetto
moltiplicatore di Internet si percepisce fin da subito, il traffico cresce e bisogna investire nei server che da uno
passano a 10 e poi a 100. Servono soldi e Ainio comincia a innescare sul portale il meccanismo della
pubblicità che in poco tempo porta Virgilio a breakeven. E' il primo brand di successo sul web e comincia a far
gola ai grandi gruppi editoriali. Ainio e Gualandri decidono di accasarsi con De Agostini e Seat che dal 1996 è
stata privatizzata finendo nelle mani di Lorenzo Pellicioli, un manager che proviene dalla pubblicità e che
capisce al volo le potenzialità del nuovo mezzo. Il primo a vendere è Benatti che per il 66% di Matrix (la
società che controlla Virgilio) ottiene 8,6 milioni, una cifra che nel 1999 sembra già spropositata. Ma è niente
rispetto a ciò che si vede qualche mese più tardi quando il contagio americano fa partire a razzo la new
economy innescando un'escalation delle valutazioni. Seat con in pancia Virgilio è l'indiscussa protagonista di
questa "esuberanza irrazionale", per dirla con Greenspan: nel 2000 si fonde con Tin.it formando un'azienda
che il mercato valuta fino a 50 miliardi di euro. Ainio e Gualandri fanno Bingo quando l'amico Pellicioli decide
che Seat deve avere il 100% di Matrix a cui assegna una valutazione senza senso: 2,6 miliardi in base ai
multipli a cui sono scambiate in borsa le azioni di Yahoo e ai 3 miliardi di valutazione del portale Kataweb. Il
33% di Matrix ancora in mano ad Ainio e Gualandri vale in quel momento 858 milioni in azioni Seat vincolate
fino al giugno 2003. Ma lo scoppio della bolla internet in Borsa nel marzo 2001 complica tutto. Il titolo Seat
crolla dopo che la società è stata acquisita dalla Telecom di Colaninno e al momento del successivo
passaggio nelle mani di Marco Tronchetti Provera è già sceso a 1 euro dai massimi di 7 di qualche mese
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[ IL PERSONAGGIO ]
09/02/2015
La Repubblica - Affari Finanza - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
Pag. 1.6
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prima. Il tesoro di Ainio e Gualandri si sta squagliando come neve al sole ma nell'ultimo cda dell'era
Colaninno il direttore finanziario della Telecom, Massimo Brunelli, decide che si può acquisire quell'ultimo
33% di Matrix cedendo 186 milioni di azioni Seat in gran parte immediatamente liquidabili in Borsa. Ainio e
Gualandri si precipitano a vendere perché devono coprire 130 miliardi di lire di debiti con le banche con
garanzia Seat. Il saldo finale per gli uomini di Virgilio non è certo quello che pensavano all'inizio ma 34 milioni
a testa rappresentano comunque un bel gruzzolo per ripartire dopo qualche anno sabbatico. Ed è quello che
fa Ainio nel 2005 gettando le fondamenta di Banzai, inizialmente definita una serra per far crescere i talenti
del web che non avevano soldi per fare gli investimenti ma sprigionavano tante energie positive. I primi
acquisti si chiamano Studenti.it, Eprice, Altervista: Banzai in pratica scommette su tante caselle per poi
decidere quelle che possono crescere e dare soddisfazioni. La selezione naturale porta a concentrarsi sulle
due aree dei media e dell'e-commerce, nelle quali Banzai cerca di individuare modelli di business innovativi e
in linea con quanto il mercato è in grado di pagare. Nei media si spazia da Liquida, aggregatore di notizie
totalmente robotizzato a Il Post totalmente "umano", passando per il successo di Giallo Zafferano. Con Eprice
e Saldi Privati viene messo a punto un sistema per collegarsi via internet ai fornitori che permette di vendere
e consegnare il prodotto soltanto dopo che il cliente lo ha acquistato, minimizzando così i costi di magazzino.
E con la costruzione della prima rete "pick and pay" si riducono vistosamente i costi di trasporto aumentando
il margine di rivendita. Certo, come per tutti gli e-commerce del mondo i margini di guadagno di Banzai sono
ancora bassi, l'1-2% confrontato al 10-12% a cui lavora un colosso come Amazon. Ma il vantaggio risiede nel
fatto che in Italia il mercato del commercio elettronico è all'inizio della sua curva ascendente più ripida: siamo
al 2004 degli Usa e al 2009 della Francia si sente ripetere negli uffici di via Vico a Milano. E dunque, secondo
Ainio, questo è il momento giusto per premere sull'acceleratore e investire massicciamente mettendo a fattor
comune quelle strutture umane e tecnologiche costruite in un decennio di duro lavoro. I segnali di
accelerazione ci sono tutti: nel black friday di novembre scorso le vendite dei Eprice e Saldi privati sono
cresciute del 165%. L'idea è di investire quei 50 milioni che dovrebbero arrivare dalla quotazione in Borsa in
marketing, acquisizione di clienti e advertising puntando sugli stessi settori, media, hi tech e apparel. Con il
crescere della dimensione cresceranno anche i margini che arrivano facilmente al 7-8%. Senza rinunciare
alla sperimentazione: l'apertura di uno store online sul sito di Giallo Zafferano o la rassegna stampa media
internazionale a pagamento di Good Morning Italia. E con una valutazione di Borsa compresa tra 220 e 277
milioni Banzai punta a diventare la più grande azienda internet italiana mentre i prossimi anni diranno se
Ainio avrà saputo conquistarsi il titolo italiano di mister internet. paolo ainio, sator, micheli asociati, s. di meo
Foto: Qui sopra, Paolo Ainio visto da Dariush Radpour La sua storia affonda le radici in tempi in cui Internet
era sconosciuta e a farla da padrona era la tv commerciale
09/02/2015
La Repubblica - Affari Finanza - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
Pag. 26
(diffusione:581000)
Svod, Tvod e Avod, il dizionario della broadband tv
(s.car.)
Il boom del video online costringe a familiarizzare con nuove sigle, finora note solo agli addetti ai lavori e che
indicano diversi segmenti di mercato: Svod, Tvod e Avod. Sono tre diversi modelli di Video On Demand,
ossia del Vod. Lo Svod è il Subscription: un canone fisso mensile che permette di accedere all'intero catalogo
offerto senza altri costi. E' il modello di Netflix, ma anche di Sky Online, di Mediaset Infinty e di Tim Vision. Il
Tvod, Transactional Vod, è la pay-per-view: si compra ogni singolo contenuto. E' il modello di ITunes di Apple
edi Chili Tv. L'Avod, dove la A sta per advertising, è il servizio gratuito per gli utenti e basato sulla pubblicità.
E' il modello di YouTube ma anche quello dei portali Web dei broadcaster dove si possono rivedere online i
programmi già andati in onda. E ci sono modelli spuri. Come Carrefour, che punta soprattutto ad attrarre i
possessori di dvd e blu-ray fisici: Nolim li metterà online salvandoli dal degrado dei supporti fisici sperando
che, a quel punto, sarà naturale fare i nuovi acquisti e noleggi direttamente online sulla stessa piattaforma.
Allettati anche da iniziative di marketing in sinergia con le altre promozioni commerciali.
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[ TECNOLOGIE E MERCATI ]
09/02/2015
La Repubblica - Affari Finanza - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
Pag. 29
(diffusione:581000)
Pubblicità sempre più "mobile"
L'ULTIMA RICERCA DELL'OSSERVATORIO MOBILE MARKETING & SERVICE, PROMOSSA DALLA
SCHOOL OF MANAGEMENT DEL POLITECNICO DI MILANO. PER ACQUISIRE NUOVI CLIENTI E
FIDALIZZARE I VECCHI, PERÒ, CE'È ANCORA MOLTA STRADA DA FARE, SOPRATTUTTO NEL
CAMPO DEGLI INVESTIMENTI
Francesca Tarissi
Mobile advertising in ascesa ma investimenti ancora carenti nonostante la portata dirompente che la
pubblicità su dispositivi quali smartphone e tablet potrebbe avere. È quanto emerge dal "Mobile Marketing &
Service: la partita si fa seria!", l'ultima ricerca dell'Osservatorio Mobile Marketing & Service, promossa dalla
School of Management del Politecnico di Milano. Lo studio è stato condotto su oltre 200 case study di
importanti aziende, con interviste ai marketing manager e facendo un'analisi approfondita dei principali store
di app (Apple, Google, BlackBerry e WindowsPhone). I dati raccolti evidenziano come il 2014 sia stato l'anno
in cui, nella gran parte delle imprese, è maturata la consapevolezza che il mobile è uno strumento
imprescindibile per le strategie di relazione con i propri clienti. Per capire fino a che punto bastano alcuni
numeri: in Italia, ogni giorno, circa 15 milioni di persone si collegano a internet via smartphone. Una cifra che
sale a 16,4 milioni se si considerano anche i tablet. Gli utenti che usano sinergicamente sia il pc che lo
smartphone per navigare nel web sono 13 milioni, mentre coloro che utilizzano solo il pc sono scesi a meno
di 5 milioni. Gli smartphone sono usati in media per 90 minuti al giorno, contro i 70 del computer desktop e,
addirittura, i giovani tra i 18 e i 24 anni hanno un tempo medio di collegamento via smartphone che arriva a 2
ore al giorno (il 60% di questi usa esclusivamente il telefonino). Il tempo speso a navigare da smartphone è
dedicato nell'87% dei casi alle app, prevalentemente social, instant messaging, e-mail. Il mobile è dunque il
perno di un nuovo modo di acquisire nuovi clienti e fidelizzare i vecchi. «I numeri del 2014 ci mostrano una
crescita del mobile advertising italiano dell'80%, che si confronta con un +118% in Europa occidentale»,
commenta Filippo Arroni, head of advertising di Lumata, azienda che ha partecipato alla ricerca. La nota
negativa, però, è che, a fronte di un tale incremento, gli investimenti italiani su mobile sono ancora bassi,
circa il 5% (dati eMarketer) contro il 13%, per esempio, di quelli fatti in Gran Bretagna. Inoltre il mercato
europeo è per tre quarti nelle mani di Google e Facebook, sia a livello di offerta che di domanda. Nel restante
quarto, un numero elevato di player crescono sì in termini di raccolta ma con valori assoluti ancora limitati. In
sintesi, si legge nel rapporto, "il mobile è il grimaldello che apre il portone della multicanalità", che vede cioè il
cliente-utente, durante tutto il percorso di acquisto, al centro di un ecosistema che va dal negozio fisico fino al
volantino pubblicitario digitale. Un fattore che andrebbe dunque valorizzato. «Serve una maggiore presa di
coscienza sulle opportunità offerte dal mobile», conclude Arroni, «che consente livelli di targetizzazione ed
efficacia del tutto sconosciuti agli altri mezzi».
Foto: Ma gli investimenti italiani su mobile sono ancora bassi, circa il 5% (dati eMarketer) contro il 13%, per
esempio, di quelli fatti in Gran Bretagna.
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[ SCELTI PER VOI ]
09/02/2015
La Repubblica - Affari Finanza - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
Pag. 32
(diffusione:581000)
A DELINEARE IL VOLTO MANAGERIALE DEL SETTORE «FASHION & LUXURY» 2014 È UN'INDAGINE
DELLA SOCIETÀ DI EXECUTIVE SEARCH HORTON INTERNATIONAL ITALY. "L'UNICO MODO PER
SVILUPPARE NUOVI BUSINESS È PUNTARE SULLO SVILUPPO INTERNAZIONALE"
Catia Barone
Country retail, e-commerce e product developement manager: sono queste le figure professionali più
corteggiate nel mondo della moda. Quelle che, in tempi di crisi, aiutano le nostre aziende a esplorare nuovi
orizzonti. A delineare il volto manageriale del settore «Fashion & Luxury» 2014 è un'indagine della società di
executive search Horton International Italy. «Il nostro mercato interno è stagnante e l'unico modo per
sviluppare nuovi business è puntare sullo sviluppo internazionale, l'e-commerce e la qualità del prodotto
affidandosi a manager esperti», spiega Luigi Oddi, Managing Partner di Horton International Italy, che
gestisce con Luigi Rossi la Fashion & Luxury Goods Division. La ricetta anti-crisi è aprire negozi o
incrementare la distribuzione all'estero. In entrambi i casi, aumenta la richiesta di dirigenti con caratteristiche
particolari. «Nell'International Business Development le figure piú ricercate a livello manageriale sono il
country retail manager (36%), l'export manager (22%), l'head of merchandising (20%) - continua Luigi Oddi a seguire sales and marketing export manager (14%) e worldwide retail director (8%)». «La professione del
country retail manager - interviene Angelo d'Archangelo, Head International Sales manager di Gaudì - è
cambiata radicalmente. Non esiste più la figura statica di un tempo. Chi ha lavorato nelle grandi aziende della
moda ha seguito tappe molto rigide e mai trasversali: il manager che si occupava della parte retail finanziaria
non seguiva, ad esempio, la parte retail strategica e di merchandising». Oggi il country retail manager deve,
invece, avere una visione molto ampia con un mix di competenze che vanno «dalla profonda c o n o s c e n z
a d e l m e r c a t o (realtà, gusti, tendenze) e del contesto del Paese, fino ai costi di investimento». Intanto, la
vendita on-line si è imposta rapidamente anche nel settore della moda, questo ha spinto le aziende ad
appoggiarsi a grandi provider o a organizzarsi con team interni dedicati, puntando proprio su ecommerce
manager (30%), digital pr manager (25%), web content (20%), esperti di grafica (10%), social media manager
(8%) e community manager (7%). «Le aziende sono alla continua ricerca di e-commerce manager, ma i
candidati disponibili - dice Francesco Bottigliero, ceo fiera digitale e pitti.com e chief digital di Cucinelli continuano ad essere pochi. Il motivo? Il mercato è ancora poco maturo per avere professionisti con una
solida esperienza alle spalle ed esistono pochi corsi di formazione». In realtà, molti mirano alla professione
del digital pr (colui che gestisce i canali on-line dell'azienda per le pubbliche relazioni e strategie di
comunicazione), ma non si rendono conto che il mercato chiede altro: «Chi si specializza in e-commerce può
davvero fare carriera molto più velocemente», conclude Francesco Bottigliero. Novità anche sul fronte
operation. Secondo la ricerca di Horton International Italy, nel 2014 le imprese, invece di potenziare la
gestione della catena di distribuzione, hanno scelto lo sviluppo del prodotto in termini di qualità e artigianalità.
Diretta conseguenza: l'aumento della richiesta di product development manager (28%), industralization
manager (26%), head of pattern makers (20%), technician director (11%), sourcing manager (9%) e logistic
manager (6%). «Con la crisi internazionale le aziende della moda hanno dovuto mettere in discussione il
proprio modello organizzativo e fare un salto di qualità. Così - sostiene Fausto Bacchini, hr director Aeffe
Group - il product development manager (colui che affianca lo stilista e segue lo sviluppo del prodotto) è
diventato il punto di riferimento strategico, la figura più importante». Le competenze richieste si moltiplicano
anche in questo caso (ricerca, merchandising, composizione e avanzamento della collezione, tessuti,
processi, condizioni di pricing) «senza considerare conclude Fausto Bacchini - la profonda conoscenza di tutti
i nostri mercati di riferimento e l'attenta capacità di analisi dei vari contesti». S di Meo
Foto: Nei grafici a destra: in alto, le figure professionali più ricercate nel settore della moda; in basso, le figure
che stanno emergendo in questo comparto ma che hanno a che fare con la tecnologia e Internet
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Country retail e e-commerce manager le figure più ricercate nella moda
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Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
Pag. 21
Sei mosse per dar scacco alla crisi
I. TRO.
Una crisi mai vista richiede interventi mai visti. È questa la richiesta che arriva dal mondo degli ingegneri per
far fronte all'emergenza. Basti pensare che tra il 2008 e il 2014 la flessione degli investimenti nelle costruzioni
è stata del 28%. Rispetto all'anno precedente la contrazione è stata dell'8,5% per le abitazioni, del 3,5% per
gli immobili non residenziali e del 4,3% in opere pubbliche. L'invito, quindi, è a investire adeguatamente
anche le non molte risorse esistenti.
«Sono almeno sei - spiega Fabio Bonfà, vice presidente vicario del Consiglio nazionale degli ingegneri - i
settori su cui incentrare l'attenzione: serve un piano di infrastrutture tradizionali e innovative adeguate a un
Paese moderno e competitivo. Occorre realizzare quanto previsto nei programmi dell'Agenda digitale per
l'Italia, è necessario un programma organico di interventi nel risparmio energetico e nel campo della messa in
sicurezza dal rischio sismico».
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Ingegneri
09/02/2015
Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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Social network Perché a Wall Street non piace cinguettare
Dalle alleanze con Google all'uso dei video Le mosse per convincere i pubblicitari e la finanza In tre mesi gli
utenti entrati nel sito almeno una volta al mese sono aumentati solo dell'1,4%
MARIA TERESA COMETTO
Twitter è la piattaforma di notizie e commenti più influente al mondo. La usano capi di stato come Barack
Obama e star dello spettacolo come Katy Perry per comunicare direttamente con i loro fan (54 milioni per il
presidente americano, 64 milioni per la cantante).
Ma i suoi conti sono ancora in rosso e i suoi utenti «attivi» troppo pochi per i grandi budget pubblicitari. E se
Dick Costolo non riesce a riconquistare la fiducia dei grandi investitori a Wall Street, rischia di dover lasciare il
posto da amministratore delegato che occupa dall'ottobre 2010.
Delusioni
I conti dell'ultimo trimestre, resi noti lo scorso giovedì, confermano la difficoltà di tradurre in un business
redditizio l'importanza culturale di Twitter. Il fatturato - la cui fonte è la pubblicità - è quasi raddoppiato rispetto
a un anno fa, da 242,7 a 479,1 milioni di dollari, ma il trimestre ha chiuso ancora in perdita per 125,4 milioni di
dollari. Soprattutto, il numero delle persone nel mondo che entrano nel loro account almeno una volta al
mese è cresciuto solo dell'1,4% dai 284 milioni di fine settembre ai 288 di fine dicembre: un ritmo sempre più
lento da quando il servizio è partito ormai nove anni fa. Un motivo è che saper usare il mezzo - con le sue
regole sui tweet (messaggi di 140 caratteri massimo) e sull'interazione fra follower (seguaci) - non è così
facile. Costolo ha promesso da tempo di semplificare l'accesso e il funzionamento della piattaforma, ma il
pubblico non si è ancora accorto di un miglioramento.
Un'altra ragione della scarsa crescita è che le conversazioni più interessanti che fioriscono su Twitter - dalle
cronache delle rivolte dei neri americani a Fergusson alle esternazioni dei divi - vengono ormai subito riprese
e rilanciate da altri media, tv e siti Internet, e quindi possono essere seguite anche da chi non è un suo utente
attivo.
Nell'ultimo anno Costolo ha cercato di attirare l'attenzione sul fatto che l'audience di Twitter è molto più
ampia della cerchia degli utenti attivi: mezzo miliardo di persone visitano i suoi contenuti senza «log in»
secondo alcune stime, e ancora di più leggono i tweet da qualche altra parte. Come «monetizzare» questa
popolarità però è un problema tutto aperto. Il ceo sta sperimentando nuove strade: ha annunciato la
settimana scorsa un accordo con la app per la lettura di notizie Flipboard e il portale Internet Yahoo Japan,
grazie al quale potrà vendere pubblicità propria - i tweet «sponsorizzati» - sulle loro piattaforme dove già si
leggono i messaggi. Costolo sta anche cercando di attirare più utenti e quindi traffico su Twitter: ha appena
siglato una collaborazione con Google, concedendo al motore di ricerca un accesso diretto al flusso di tweet,
in modo che possano apparire più facilmente in testa ai risultati delle ricerche e che invoglino così le persone
a iscriversi a Twitter.
Altre novità annunciate nelle ultime settimane sono la possibilità per gli utenti di Twitter di pubblicare video di
30 secondi e conversare privatamente con gruppi di altri utenti. Basteranno questi cambiamenti per
conquistare milioni di nuovi follower, arrivare finalmente al profitto e placare lo scontento di Wall Street?
Pro & Contro
Gli scettici abbondano. E da qualche mese è cresciuto il coro di chi giudica Costolo come non adatto a
sfruttare le potenzialità della sua azienda. Il più plateale è Jim Cramer, conduttore della rubrica «Mad Money»
sulla tv finanziaria Cnbc, che ha addirittura lanciato la campagna «Chiunque ma non Costolo». Fra i grandi
investitori, il gestore Bill Miller del fondo Legg Mason opportunity e quelli di BlackRock l'anno scorso hanno
venduto le azioni Twitter che avevano in portafoglio - ha rivelato il Wall Street Journal -, mentre Walter Price
del Technology fund di Allianz global ha ridotto la sua posizione sullo stesso titolo spiegando che «la gente
sta perdendo fiducia» in Costolo.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Twitter Difficile tradurre il ruolo comunicativo in business
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Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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Schierati in difesa del ceo sono invece i due fondatori di Twitter rimasti suoi azionisti e nel suo consiglio
d'amministrazione, Jack Dorsey ed Evan Williams: hanno dichiarato a un meeting dei dipendenti nel quartier
generale di San Francisco di credere che la sua strategia funzionerà. Poi Dorsey l'ha detto anche con un
tweet: «Non c'è una singola persona che abbia pensato più lungamente a Twitter che @dickc» (quest'ultimo
è il «nome» di Costolo su Twitter).
Oltre a Costolo, il manager oggi più impegnato a rilanciare la società è Anthony Noto, il banchiere di Goldman
Sachs specializzato in dot.com che aveva curato l'Ipo nel 2013 e che dallo scorso luglio è diventato il
responsabile finanziario della stessa Twitter. È lui che sta «vendendo» la teoria della audience allargata ad
analisti e gestori, e che prepara le difese nel caso che investitori «attivisti» decidano di attaccare Twitter
come hanno fatto recentemente con Aol e Yahoo!. Ben sapendo che la difesa più forte non è una trovata di
ingegneria finanziaria, ma la dimostrazione che i tweet possanon valere come e più degli scatti di Instagram
(300 milioni di tenti) o dei «like» di Facebook (1 miliardo e 390 milioni).
@mtcometto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dick Costolo sotto attacco Fonte: ricerca Pew Research Center su adulti americani (1) Utenti attivi al mese
S. Franchino FACEBOOK INSTAGRAM TWITTER PINTEREST LINKEDIN 70% 49% 36% 17% 13% OGNI
GIORNO 17% 24% 24% 29% 25% OGNI SETTIMANA 12% 26% 40% 52% 61% MENO SPESSO 1.390 300
288 70 332 MILIONI DI UTENTI ATTIVI NEL MONDO1 La classifica dei social media Percentuali di utenti
Usa che visitano il sito o la app 51 anni, nato a Detroit, laureato in Informatica alla University of Michigan.
Dall'ottobre 2010 amministratore delegato di Twitter I successi: ha fatto crescere la startup e conoscere il suo
brand, gestito bene l'Ipo I punti critici: continui cambiamenti di strategia per raggiungere il profitto, mentre i
conti sono in profondo rosso e la crescita degli utenti rallenta. In sua difesa: due co-fondatori di Twitter, Jack
Dorsey e Evan Williams Contro di lui: Jim Cramer, conduttore dello show «Mad Money» sulla tv finanziaria
Cnbc e investitori istituzionali sfiduciati Storia & numeri primo Tweet, lanciato dal fondatore Jack Dorsey: just
setting up my twttr quotazione in Borsa, al New York Stock Exchange a 26 dollari per azione 500 milioni
Tweet al giorno 80% Utenti lo usano su apparecchi mobili 77% Degli utenti fuori dagli Usa 35 lingue in cui il
servizio è disponibile 2.710 dipendenti 7 novembre 2013 21 marzo 2006 F.
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Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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Web & Video Professione Youtuber
È il modo per guadagnare in Rete: girare filmati, metterli online e farli cliccare L'obiettivo: trainare pubblicità .
Da Vizy a Mosaicoon ecco i nuovi aggregatori
GIULIA CIMPANELLI
In passato si condividevano parole, poi è stato il tempo delle immagini. Oggi tocca ai filmati e c'è da
scommettere che il video-sharing (la condivisione dei video, appunto) segnerà il futuro di web e social
network. Ogni minuto vengono caricate 100 ore di filmati su YouTube, la piattaforma di condivisone video più
importante al mondo (è il terzo sito più visitato dopo Google e Facebook). Per Cisco, entro il 2017 più dei due
terzi del traffico Internet mondiale (il 67%) sarà generato dal consumo di video e il mercato dovrebbe
superare i 32 miliardi di euro di valore.
Scovare talenti
Non a caso sono sempre di più le startup e le imprese innovative che vi si dedicano, in un mondo in cui
filmare non è più appannaggio dei soli professionisti ma, grazie a nuove tecnologie accessibili, è alla portata
di tutti. Si fonda su questo concetto Buzzmyvideos, network internazionale di video maker su YouTube:
«Scoviamo i talenti - dice la fondatrice, Paola Marinone - e offriamo loro servizi e strumenti tecnologici per la
crescita dell' audience . Lavoriamo anche con le aziende che desiderano intercettare il proprio pubblico di
riferimento in modo innovativo, per esempio grazie a collaborazioni con youtuber (i fornitori di filmati a
YouTube, ndr.)». A quasi due anni dal lancio in Italia, dice l'azienda, oltre 100 mila youtuber hanno chiesto di
entrare a far parte del network. Che oggi conta oggi oltre 5 mila partner autori di video nel mondo, che
generano 200 milioni di visualizzazioni al mese e 16 milioni di utenti iscritti.
Ma chi sono questi youtuber ? «Persone che comunicano le proprie passioni attraverso il canale video - dice
Marinone -. C'è chi realizza contenuti musicali, chi parla di moda, chi di cucina, chi fa sketch comici...».
Alcuni, da Youtube, sfondano poi su altri media, tv in testa. Molti rimangono solo sul web e lì si creano un
posizionamento comunicativo importante, che permette loro di guadagnare.
Ci sono poi i videomaker semiprofessionisti o professionisti, che lavorano per se stessi e per terzi. Anche in
questo caso i sistemi di diffusione stanno cambiando, con nuovi strumenti. Mosaicoon è una startup siciliana
che oggi conta 70 dipendenti e uffici a Palermo, Milano, Roma e Londra. «Ideiamo, produciamo e
distribuiamo video per oltre 800 milioni di utenti - dice l'amministratore delegato, Ugo Parodi Giusino -. Lo
facciamo attraverso Plavid, la nostra piattaforma di videoseeding (la promozione di contenuti video, ndr. ) che
dà visibilità su oltre 10 mila siti web, blog, applicazioni e profili social». È innovativo il metodo di selezione dei
creativi, scelti attraverso Crevity. È un'agenzia in cloud che si basa sul crowdsourcing , la raccolta di massa
delle proposte. «Lanciamo delle "chiamate" e i videomaker partecipano, mandando i loro progetti - spiega
Giusino -. Noi scegliamo il piano più adatto per offrire al cliente il risultato ottimale».
Vizy funziona in modo simile, ma non gestisce la produzione di video. Offre ai clienti (aziende, editori, reti
televisive) la possibilità di acquistare filmati di ogni tipo e qualità, a prezzi più vantaggiosi e con tempi più
rapidi di quelli delle classiche società di produzione, grazie a una rete di oltre 100 mila videomaker (dato
dichiarato).
Promozione virale
Viralize è una piattaforma tecnologica per pubblicare, promuovere e monetizzare i contenuti video online. A
partire da marzo 2015 permetterà a chiunque di guadagnare, condividendo video promossi dal network: «Chi
ha un profilo Facebook forte - dice Ugo Vespier, uno dei fondatori - può promuovere post altrui. Come?
Iscrivendosi a Viralize, in cui troverà una pagina che mostra tutte le campagne disponibili. Potrà scegliere
quali condividere e copiarne il link sul proprio stato. Ogni volta che un amico clicca, verrà indirizzato a un sito
esterno sponsorizzato. Al centro di questo troverà un tasto "play" per visualizzare il video pubblicitario o
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Condivisioni Cisco: fra tre anni i due terzi del traffico Internet verranno dalle riprese online . Il modello «pay
per view»
09/02/2015
Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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legato al marchio. Più persone lo guarderanno con il link condiviso, più l'utente guadagnerà». È un modello di
monetizzazione «per view», per numero di «viste», con un guadagno nell'ordine di alcuni centesimi per ogni
video guardato, in base al budget della campagna. D'altra parte Viralize offre a chi crea i contenuti (agenzie
di produzione, video-maker, film-maker , artisti, musicisti) la possibilità di monetizzare con i propri video
mettendoli a disposizione degli editori. Ma la condivisione non si limita ai filmati.
Un gruppo di italiani ha infatti fondato Faceit, piattaforma di gioco competitiva. I giocatori di videogame si
possono registrare, connettere il gioco al proprio account di Faceit ed entrare in gara. La piattaforma vanta
quasi un milione di utenti su quattro giochi e consente di guardare partite altrui o gareggiare con altri iscritti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Le 4 piattaforme di «video-sharing» Data di nascita Fondatori Investitori Come funziona (1) Dalla fusione tra
l'italiana Userfarm (2009) e l'americana Poptent (2007); (2) fondatore di Userfarm 2009 Vertis, Atlante
Ventures Aiuta a produrre video virali, di cui, poi, gestisce la distribuzione e controlla l'efficacia Ugo Parodi
Giusino www.mosaicoon.com Investimenti 3 milioni di euro totali ricevuti Offre a «video-maker» di talento su
Youtube i servizi per accrescere l'audience e guadagnare attraverso i propri video 2012 (Gran Bretagna)
2013 (Italia) Paola Marinone, Bengu Atamer United Venture www.buzzmyvideos.com 2,2 milioni di euro
Maggio 2013 Marco Paolieri, Maurizio Sambati, Ugo Vespier Club Italia Investimenti 2, P101 Consente di
pubblicare, promuovere e monetizzare i contenuti video online www.viralize.com 500 mila euro Mk capital,
Innogest e TLcom Video content comunità per creare qualsiasi tipo di filmato con più di 100 mila «videomaker
» professionisti Dicembre 2014 in Italia (1) Bruno Pellegrini e Nick Pahade (2) 16,5 milioni di euro Fonte:
Cisco Vni Global IP Traffic Forecast, 2012 - 2017 69% stima della percentuale del traffico Internet mondiale
generato dal consumo di video entro il 2017 Pparra
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Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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Umbria Fashion Tourism: quando Moda, Turismo e Cultura fanno
"squadra"...
Oggi è possibile trovare su internet l'eccellenza della moda in Umbria a chilometro zero, costruendo un
itinerario indimenticabile fra le meraviglie della Regione. Su www.umbriafashiontourism.it, piattaforma web
fulcro dell'iniziativa, sarà interessante mettere in relazione le principali mete turistiche umbre con i fashion
store delle aziende del circuito, scoprendo nuovi itinerari e piacevoli "diversioni" all'insegna della moda e della
qualità, perfetti per un fine settimana in famiglia, in coppia, o con amiche e amici del cuore. I Fashion Store
presenti attualmente nel sito sono: Balormà di Ideasette, azienda con sede a Perugia, che produce da 30
anni maglieria di cashmere; Inuk, marchio lanciato nel 2010 da F.E.A. srl, specializzata nella progettazione e
produzione di capi spalla tecnici e moda, in collaborazione con noti marchi di abbigliamento sportivo;
Taragoni, di Framar srl, piccola realtà con un'esperienza di 25 anni in capispalla; Pashmere, specializzata da
oltre 50 anni in maglieria di cashmere leggero; Giubilei, nata come Confezioni Pigolotti, che vanta oggi una
linea di abbigliamento giovane di qualità, dallo stile ricercato; Tasselli Cashmere, fondata nel 1970,
conosciuta per le sue linee semplici, ben sagomate, di elegante vestibilità; Luxury Cashmere, con sede a
Ripabianca, da 30 anni al servizio dei maggiori Brand Italiani della moda; infine Clouds, dal 1998 apprezzata
da una clientela esigente, per la sua ricerca di nuovi materiali e tecniche di lavorazione. Le località turistiche
coinvolte in questa inedita iniziativa sul web sono Perugia, Assisi, Bevagna, Città di Castello, Deruta, Todi,
Gubbio, Lago Trasimeno, Montefalco. Umbria Fashion Tourism prevede inoltre iniziative speciali per premiare
chi sceglie questo inedito modo di scoprire le bellezze del territorio, con un'apposita fidelity card e omaggi
scelti fra le specialità enogastronomiche del territorio umbro. Sarà così possibile individuare il proprio
itinerario secondo gusti e tempo a disposizione, imparando a conoscere le origini e le tradizioni artigianali e
produttive del territorio e approfittando dei prezzi speciali permessi dalla vendita diretta. Info:
www.umbriafashiontourism. it Moda e Turismo stanno bene insieme
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Umbria Fashion AZIENDE INFORMANO A cura di RCS MediaGroup Pubblicità
09/02/2015
ItaliaOggi Sette - Ed. n.33 - 9 febbraio 2015
Pag. 1
(diffusione:91794, tiratura:136577)
Un caso di successo del made in Italy: in pochi mesi ottenuta da Alibaba la cancellazione di 86 mila prodotti
contraffatti di marchi storici del ciclismo
MARINO LONGONI
La contraffazione su internet si può vincere. Lo dimostra quello che sta succedendo sul più grande sito di ecommerce del mondo: Alibaba, che fino a poco tempo fa era un vero e proprio emporio del falso, tanto che la
stessa amministrazione statale del commercio cinese ha reso noto nei giorni scorsi un dossier elaborato
nell'estate del 2014 con accuse pesantissime nei confronti del più importante sito di e-commerce del mondo,
dichiarando di aver effettuato controlli a campione, acquistando un centinaio di articoli e trovandone
totalmente in regola meno di 20, con più del 50% falsi e il resto non conformi agli standard qualitativi. D'altra
parte chiunque abbia provato a cercare un prodotto preciso, di un marchio importante, si è reso subito conto
che gran parte degli oggetti in vendita era un falso, alcuni in modo grossolano, altri con una certa somiglianza
con l'originale. Ora le cose stanno cambiando. Jack Ma, il presidente di Alibaba, che con la quotazione del
suo gruppo è riuscito a raccogliere in un solo giorno 25 miliardi di dollari, dovrebbe avere tutto l'interesse ad
evitare di passare per un ricettatore. E sta cominciando a rispondere positivamente alle richieste di
cancellazione degli annunci di prodotti contraffatti. Impresa non da poco, che rischia di ridurre drasticamente
il suo giro d'affari. Emblematico quello che è riuscito a fare una piccola realtà italiana, Convey, che da poco
più di un anno è impegnata a tutelare i marchi leader in Italia nel settore delle biciclette sportive e
dell'abbigliamento sportivo. Un anno fa, digitando su uno dei siti di Alibaba la parola Pinarello si sarebbe
potuto accedere a decine di migliaia di prodotti venduti con il marchio della celebre casa italiana, ma che
nulla avevano a che fare con essa. Con un piccolo particolare, mentre un telaio in carbonio Pinarello
autentico costa dai mille euro in su, quelli falsi costavano dai 500 euro in giù. Ora digitando lo stesso nome
non compare più alcun prodotto contraffatto. Provare per credere. Convey dichiara che, grazia alla sua
azione, sono state rimosse 35 mila inserzioni. Tutto senza avviare alcuna azione giudiziaria. Lo stesso
risultato è stato ottenuto per altri importanti marchi legati al mondo delle due ruote. Anche i produttori di
orologi svizzeri stanno cominciando a lavorare nella stessa direzione per evitare di essere sommersi da una
marea di prodotti falsi. Uno degli aspetti più interessanti di questa vicenda è che l'azione di tutela dei marchi
sportivi italiani non è stata promossa per via giudiziale, cosa che avrebbe richiesto tempi lunghissimi e costi
molto alti, ma per via amministrativa mediante reclami circostanziati e intimazione al provider di rimuovere i
contenuti illeciti. In realtà le piattaforme, soprattutto quelle cinesi, si dimostrano collaborative solo quando
sono messe con le spalle al muro. È evidente infatti che, per loro, la cancellazione di un annuncio o
dell'account del venditore signifi ca perdere un cliente e quindi anche ricavi. Succede così che di fronte ad
azioni poco convinte i falsi eliminati rispuntino sotto altra forma (quello che non compare digitando Prada, per
esempio, lo si può trovare con la parola Pra*a). Da qui la necessità di un monitoraggio costante e intenso
della rete per raggiungere risultati soddisfacenti e duraturi. L'esperienza dei produttori di articoli sportivi, però,
dimostra che una tutela, in rete, è possibile.
Foto: [email protected]
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Il falso in rete si può vincere
07/02/2015
Il Sole 24 Ore - PLUS 24
Pag. 23
Piacciono i big Amazon, Google, Facebook, Apple In Italia il digital muove i primi passi ma c'è del potenziale
Lucilla Incorvati
66%
La performance
Quella di Apple nell'ultimo anno; Facebook ha messo a segno il 22%, Google - 6%, Ebay 2,5%, Taiwan Sem.
14,33%
Apple, Google, Amazon, Facebook, ma anche Microsoft, Intel, Samsung. Sono alcuni dei colossi del mondo
high tech- digital da tempo nei radar degli investitori. Internet costituisce ancora un settore molto giovane. Ha
solo vent'anni di vita, molto poco rispetto al settori trasporti o energia. «L'economia digitale continua a
crescere molto più velocemente dell'economia offline - ricorda Paul Greene di T. Rowe Price. Nell'economia
digitale c'è un maggior tasso di innovazione, una più rapida creazione di nuove imprese e una crescente
capacità di crescere repentinamente. Soprattutto l'economia digitale sta sottraendo energia e crescita ai
modelli aziendali offline. Ci aspettiamo che ciò resterà vero a lungo. Mentre ci saranno probabilmente nuovi
player nel settore internet, riteniamo comunque ci sia abbastanza spazio affinché le grandi società pioniere
del settore crescano a lungo».
«Il digital è uno dei megatrend di investimento che caratterizzeranno l'evoluzione dei mercati finanziari nel
prossimo decennio e su cui stanno convergendo le scelte delle maggiori case di investimento - spiega Anna
Lambiase, ad di Ir Top, società indipendente di analisi finanziaria che ha avviato un osservatorio sul settore in
Europa -. Le società digital italiane si distinguono in Europa per gli elevati tassi di crescita sul fatturato 2013
(+28% rispetto a una crescita media europea del 23%) e sulla marginalità (+13% rispetto a +11%), anche se
in termini assoluti il mercato ha dimensioni inferiori (35 milioni la capitalizzazione media contro una media
europea di 111 milioni)».
Se nel 2014 il settore è stato molto importante per lo sviluppo dell' Aim in Borsa (27% della raccolta da Ipo),
c'è attesa per il suo ulteriore sviluppo nel 2015. Tra le prossime Ipo c'è infatti Banzai, leader nell'e-commerce
. Tornando allo scenario internazionale e all'ottica di investimento, per James Gautrey di Schroders ci sono
ancora opportunità molto interessanti nelle azioni a grande capitalizzazione della tecnologia. Se la forza del
dollaro potrebbe pesare su molte società Usa nel 2015, in realtà questo è un fattore sempre più scontato
nelle stime degli analisti. «Tuttavia, un'attenta selezione dei nomi è indispensabile - spiega l'esperto -: il
mercato valuta sempre più nello stesso modo qualsiasi titolo che abbia un dividend yield, senza distinzioni.
Quello tecnologico è storicamente un settore che imponeva un rendimento premio, per compensare gli
investitori del rischio superiore al mercato, oltre che un comparto con numerose differenziazioni tra i player.
Oggi, questi due assunti non valgono più».
Per l'esperto va seguita Apple. «La resistenza degli iPhone continua a sorprenderci positivamente - spiega e Apple sta facendo passi molto intelligenti per assicurarsi la fedeltà dei consumatori: il sistema di pagamenti,
lo streaming della musica, i servizi per la salute. A nostro avviso, il mercato al momento sottovaluta questi
cambiamenti, con il titolo che scambia ancora a un rapporto p/e escluso il cash pari a 11x». Al gestore
piacciono i produttori di software per la sicurezza poiché le crisi che hanno toccato big come Sony, Microsoft,
Ebay obbligano le società a fare grandi investimenti.
«I tassi di crescita stanno accelerando - aggiunge - e la valutazione del leader di settore, Check Point
Software, rimane allettante, pari a 14 volte il flusso di cassa». Google e Facebook dominano il mondo della
pubblicità online al di fuori della Cina sono ben posizionate per continuare a crescere e stanno aumentando i
livelli degli investimenti e il track-record di lungo termine è molto positivo. «Le opportunità di Facebook conclude Gautrey - sono superiori in termini di quote di mercato, ma Google vince il duello sui video grazie a
YouTube. Da non trascurare anche Taiwan Semiconductor che offre una combinazione molto attraente di
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Denaro sui titoli digital, high-tech e creatori di App
07/02/2015
Il Sole 24 Ore - PLUS 24
Pag. 23
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
crescita (15%), dividend yield (3%) e valutazione (p/e di 11 volte)». Su Google, Facebook e Amazon ha
investito anche Greene che ha una view favorevole sui fondamentali di entrambe.
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07/02/2015
Il Sole 24 Ore - PLUS 24
Pag. 24
Alliance Data System è tra le preferite
Abbiamo inserito in portafoglio anche DT e, tra le small cap, Chipbond Technology
Isabella Della Valle
Resp. azionario globale
Russia in caduta libera, nuovo governo in Grecia e Qe. Come influiranno questi eventi sul quadro
europeo?
Oggi non abbiamo un'esposizione diretta sulla Russia, ad ogni modo credo che il contesto economico del
Paese peggiorerà ancora prima di tornare a migliorare. La riduzione dell'accesso ai finanziamenti potrebbe
infatti portare a un calo della domanda da privati e imprese, agendo da freno per quegli esportatori europei
esposti verso la Russia. I risultati delle elezioni greche sono fonte di nervosismo, ma le dimensioni
dell'economia e l'esposizione delle imprese europee verso la Grecia sono modeste e i mercati hanno avuto
tempo di prepararsi dall'ultima crisi greca. Nel complesso credo che l'Europa continuerà a crescere
lentamente e che la Bce manterrà una politica monetaria accomodante. Uno scenario che ci consente
comunque di continuare a concentrarci sulle nostre forti convinzioni azionarie.
La preoccupa un petrolio debole nel medio termine?
La riduzione del prezzo del petrolio potrebbe influenzare i costi di produzione dello shale oil negli Usa,
soprattutto considerando che la portata della produzione dei giacimenti di shale oil e gas diminuisce
rapidamente dopo il primo anno di attività e che potremmo assistere a un rallentamento delle attività di
perforazione. Tutto questo rende più vulnerabili le compagnie Usa del settore e i loro fornitori, anche se il
potenziale di ribasso è già stato scontato dal mercato. D'altro canto, la riduzione del prezzo della benzina
dovrebbe favorire i consumi e influenzare positivamente la redditività del settore aereo. Il rendimento di titoli
come Iag (la holding di British Airways e Iberia), Delta Airlines e Ryanair, che abbiamo in portafoglio, è stato
infatti favorito dal calo del prezzo del petrolio.
In questo contesto come selezionate le aziende da inserire in portafoglio?
Il nostro team tiene conto degli scenari macroeconomici, ma a guidare la selezione dei titoli è l'approccio
bottom-up, basato sulla filosofia Focus on Change. Cerchiamo di individuare un cambiamento fondamentale
positivo che non sia pienamente prezzato dal mercato, come ristrutturazioni aziendali, innovazione di
prodotto, nuovi ingressi sul mercato, oppure eventi esterni ma di forte impatto sul business della società,
come nuove tecnologie, cambiamenti normativi o evoluzione dell'ambiente competitivo).
Meglio le large o le small cap?
Il nostro processo d'investimento si concentra principalmente sui fondamentali, di conseguenza se lo
riteniamo opportuno investiamo sia in small/mid cap sia in large cap. Recentemente ad esempio abbiamo
inserito in portafoglio Deutsche Telekom, perché abbiamo rilevato un cambiamento positivo nel contesto
normativo europeo delle telecomunicazioni, che favorisce il consolidamento del mercato e un rafforzamento
dei prezzi e del ritorno sugli investimenti. Inoltre la società sta investendo nelle reti 4G e sta aggiornando la
propria rete a una piattaforma Ip di nuova generazione: cambiamenti che non sono ancora pienamente
prezzati dal mercato e che potranno guidare la crescita dei ricavi.
Tra le small cap abbiamo investito in Chipbond Technology, azienda quotata a Taiwan specializzata in
semiconduttori e servizi per la produzione di schermi piatti. La domanda per i suoi servizi è destinata a
crescere sostanzialmente con l'aumento di display e televisori che adottano risoluzioni sempre più alte, come
il cosiddetto 4K o l'Ultra-HD.
Vi coprite dal rischio di cambio?
Il mercato azionario globale è molto diversificato e le singole aziende, a prescindere dalla borsa di
quotazione, spesso vendono o producono in tutto il mondo, creando una naturale copertura valutaria per chi
investe nel fondo.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
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IL GESTORE DELLA SETTIMANA Mikhail Zverev standard life investments
07/02/2015
Il Sole 24 Ore - PLUS 24
Pag. 24
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Cosa si aspetta dai mercati azionari per i mesi a venire?
Le opportunità sono diverse. Nel 2014 l'andamento del mercato è stato caratterizzato da una forte
performance dei titoli Usa, in particolare utility, healthcare e beni di consumo. Crediamo che questo rifletta
una cauta rotazione verso l'azionario, che privilegia gli Usa e i titoli difensivi che pagano dividendi. Tuttavia
alcuni di questi settori e azioni sono ora pienamente valutati, e i fondamentali sottostanti non hanno seguito il
rally azionario, restiamo quindi molto cauti su queste aree.
Su quali settori siete più esposti e su quali siete sottopesati?
La nostra esposizione a livello geografico e settoriale sono una conseguenza della nostra selezione bottomup dei titoli. Al momento la nostra maggiore esposizione assoluta è sui settori It e consumi discrezionali, a
riflettere i cambiamenti positivi che abbiamo riscontrato in questi segmenti.
In che modo gestite il rischio?
Non gestiamo il rischio in relazione al benchmark. Il rischio è gestito su diversi livelli, che combinano l'analisi
dei fattori di rischio quantitativo con la l'analisi qualitativa dei rischi fondamentali cui sono esposte le aziende
in cui investiamo. Per fare un esempio, in occasione del crollo del petrolio alcune posizioni sul settore hanno
sofferto, ma il calo è stato compensato dalla forte performance dell'esposizione su compagnie aeree e
trasporti. Il bilanciamento tra le diverse posizioni ha permesso quindi di controllare l'esposizione al fattore di
rischio "prezzo del petrolio", evitando nel momento di crisi una sovraesposizione alla volatilità del greggio.
Quali società reputate più interessanti e perché?
Oltre quelle già citate, che sono tra le nostre maggiori posizioni, è interessante Alliance Data System, che
gestisce programmi di fidelizzazione e analisi dati per marchi di consumo e retailer, che vogliono introdurre i
più sofisticati sistemi di analisi della clientela nel proprio business. Ads li aiuta a raccogliere, mantenere e
analizzare il comportamento dei clienti e a gestire i dati online e offline, al fine di personalizzare al massimo le
campagne marketing. Questo favorirà una crescita più sostenibile e a lungo termine di quanto si aspetti il
mercato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA società capitalizzazione al 3/2/2015 (mln $) eps 2015 p/e 2015 p/e 2016
p/sales 2015 consensus di mercato Alliance Data Systems 18.904 15 19,7 17,1 2,9 Overweight American
Express 85.656 6 14 12,6 2,5 Overweight Discover Financial Services 25.224 5,3 10,6 9,9 2,8 Overweight
MasterCard 93.479 3,5 23,9 20 9,2 Overweight Visa (*) 127.547 10,4 25 21,6 9,2 Overweight I comparable
nota: (*) chiusura esercizi al 30/9/2015 e 2016; (Eps) = utile per azione; (P/E) = rapporto prezzo su utile;
(P/Sales) = rapporto prezzo su ricavi fonte: elaborazione Analisi mercati finanziari su dati Factset 260 220
180 140 100 60 03/02/2012 03/02/2015 alliance data systems s&p 500 composite - price index s&p500 it
services - price index Base 03/02/2012 = 100 Il confronto
Mikhail Zverev, responsabile azionario globale di Standard Life Investments, ha fatto il suo ingresso nella
società nel 2007 come investment director global equities e dal 2010 gestisce il fondo Standard Life
Investment Global Equity Unconstrained. Prima di approdare in Standard Life Investments, Zverev era
Senior equity analyst presso First State Investments. In passato (dal 1998 al 2002) aveva ricoperto dapprima
il ruolo di Investment Banker presso Trigon Capital e poi di analista presso la divisione investment banking
Schroder Salomon Smith Barney. Zverev ha conseguito una laurea in Fisica presso l'Università tecnica
statale di San Pietroburgo e una laurea in Accounting and Finance alla London School of Economics.
ALLIANCE DATA SYSTEM
ANDAMENTO E VOLUMI
Alliance Data System si muove a ridosso dei record storici a 300 dollari, resistenza che ne ha impedito il
proseguimento dell'ascesa. Il confronto con questi livelli è un importante banco di prova per saggiare il
potenziale di crescita: oltre questa soglia verrebbe archiviata la fase laterale triangolare disegnata dal top
dello scorso marzo e si aprirebbero spazi di crescita verso 340 dollari. Per rafforzare la propria posizione il
titolo dovrà però stabilizzarsi oltre quota 300. Il mancato superamento di quest'area confermerebbe invece un
quadro incerto che potrebbe deteriorarsi al cedimento di 272 dollari, minimi degli ultimi due mesi. Solo sotto
07/02/2015
Il Sole 24 Ore - PLUS 24
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questo riferimento le prospettive rialziste verrebbero messe in discussione favorendo approfondimenti verso i
sostegni a 230 dollari, minimi allineati di febbraio, maggio e ottobre 2014. a cura di FTA Online
I COMPARABLE
società capitalizzazione al 3/2/2015(mln $) eps2015 p/e 2015 p/e2016 p/sales 2015 consensusdi mercato
AllianceData Systems 18.904 15 19,7 17,1 2,9 Overweight American Express 85.656 6 14 12,6 2,5
Overweight Discover Financial Services 25.224 5,3 10,6 9,9 2,8 Overweight MasterCard 93.479 3,5 23,9 20
9,2 Overweight Visa (*) 127.547 10,4 25 21,6 9,2 Overweight
Nota: (*) chiusura esercizi al 30/9/2015 e 2016; (Eps) = utile per azione; (P/E) = rapporto prezzo su utile;
(P/Sales) = rapporto prezzo su ricavi Fonte: elaborazione Analisi mercati finanziari su dati Factset
Il gruppo Alliance Data Systems, tramite le divisioni Retail Services, Epsilon e LoyaltyOne, è fra i principali
provider di sistemi di direct marketing, sistemi di fidelizzazione del cliente (carte fedeltà) e gestione e
finanziamento di carte di credito private label. Non esistono gruppi quotati con un modello di business
perfettamente comparabile a quello di Alliance Data Systems, ma in parte l'attività coincide con quella
delleprincipali società emittenti di carte di credito. I multipli P/e stimati per il 2015 e il 2016 sono elevati, ma
inferiori a quelli dei due colossi del settore MasterCard e Visa. La medesima situazione si ripete con il
multiplo P/sales stimato per il 2015. Il consensus su tutte le società è positivo, con giudizio overweight.
09/02/2015
Brand News Today
Pag. 2
La comunicazione b2b si fa emozionale con le storie delle piccole/medie
imprese
Due storie di aziende familiari per la campagna globale di Vistaprint e per un mini film della banca thai
Kasikorn A pag. 9 Le più recenti tendenze in fatto di comunicazione business to business vedono emergere
modalità di interazione e toni di voce più 'umani' . Detto fatto, ecco un'azienda che si è sempre distinta per
una comunicazione direct response e ora ha abbracciato la tendenza con la nuova campagna globale che
segna una nuova direzione nella strategia di marketing, volta ad elevare la percezione della marca e stabilire
una connessione più emotiva con i clienti. Si tratta di Vistaprint, azienda di e-commerce attiva in tutto il
mondo nella fornitura di materiali promozionali e prodotti legati alla stampa e servizi di marketing per la
piccola e media impresa e privati, che la scorsa settimana ha lanciato uno spot diretto dal regista Greg Gray.
E' il primo nella storia dell'azienda a non contenere messaggi commerciali o offerte speciali. Intitolato 'The
Postcard', racconta una storia che potrebbe essere quella di molti dei suoi clienti: un'impresa familiare e il
rapporto tra il proprietario e il figlio, con i prodotti Vistaprint che - come fosse un plot placement accompagnano l'evolversi della vicenda nei momenti chiave. Chiude la tag line 'Everything you create
matters', che enfatizza la qualità e la professionalità dei prodotti con cui le piccole imprese possono
orgogliosamente promuoversi. La creatività è dell'agenzia interna, che conta oltre 120 professionisti negli
USA, Europa e Tunisia, la pianificazione di Havas Edge. Negli USA lo spot sarà trasmesso in tv e online, con
la versione da 3 minuti disponibile sul canale YouTube, accompagnato da adv online, content marketing e pr.
In Europa saranno pianificate nei prossimi mesi versioni dello spot adattate.
Anche la comunicazione della thailandese Kasikorn Bank mette al centro la storia di un'azienda familiare,
sviluppando il rapporto tra il padre imprenditore di un'azienda tessile e la figlia, il cui sogno di carriera nella
danza si sta per avverare. Il minifilm di tre minuti, ideato da McCann Worldgroup Thailand, spiega come le
imprese familiari siano fondate su valori come l'amore, la lealtà e il legame tra i componenti e come la banca
veda queste aziende più come partner finanziari che come clienti. La produzione è firmata da Tonga Film.
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B2B
09/02/2015
Brand News Today
Pag. 7
Granarolo lancia il web talent 'Sfide in cucina' legato al Grana Padano
Granarolo lancia il concorso a premi "Sfide in cucina", web talent rivolto a coloro che acquisteranno Grana
Padano DOP Granarolo in formato grattugiato (confezione da 90g) e/o a spicchio (confezione da 200g). Il
concorso si lega all'attività di advertising di Granarolo durante la nuova edizione di "Masterchef Italia" ed è
esteso a tutto il territorio nazionale. Iscrivendosi sul sito www.sfideincucina.it, i partecipanti potranno
cimentarsi in una delle tre sfide culinarie, nelle quali dovranno realizzare una ricetta in cui sia presente il
Grana Padano DOP Granarolo. La prima sfida, denominata "romantica" (dal 5 al 19 febbraio 2015), consiste
nel realizzare una pietanza da accompagnare a una serata. La seconda è quella "aperitivo" (dal 5 al 19
marzo 2015), per creare un piatto ideale per l'happy hour. Nella terza, la "regionale" (dal 2 al 16 aprile 2015), i
partecipanti si sfideranno nella preparazione del piatto regionale preferito. Saranno gli stessi utenti del sito a
decidere, attraverso una votazione online, il vincitore di ciascuna sfida, che si aggiudicherà un carnet di buoni
acquisto di prodotti Granarolo del valore di 150 € . Il 6 maggio 2015 sarà estratto il vincitore del premio finale:
un robot da cucina della Vorwerk Contempora S.r.l., modello Bimby® TM5. Ma vince anche chi vota: tra tutti
gli utenti registrati, che abbiano espresso almeno una preferenza, sarà estratto un carnet di buoni acquisto
del valore di 100 € .
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TALIA CONTEST WEB
09/02/2015
DailyMedia
Pag. 17
(diffusione:15000, tiratura:15000)
AutomotoTv cambia marcia con il digitale
Il direttore Carlo Braccini annuncia a DailyMedia le principali novità dell'emittente che fa parte del bouquet
Sky
Giulia Zuffi
DailyMedia incontra Carlo Braccini, direttore del canale di Sky AutomotoTV, che annuncia il lancio del canale
nel mondo digitale. AutomotoTv è visibile in chiaro sul canale 148 di sky, nasce nell'autunno del 2012 come
canale tematico verticale esclusivamente dedicato al target di appassionati al mondo dei motori a tutto tondo,
dal prodotto allo sport, al mondo delle elaborazioni, dal motorismo d'epoca al fuoristrada, dalle gare al
turismo. Dalla nascita è rimasto assolutamente fedele alla sua linea editoriale e vuole continuare ad esserlo.
AutomotoTv, infatti, ha un palinsesto completamente dedicato ad auto e moto, 24 ore su 24; sceglie
coscientemente di rimanere verticale e attua il processo di rivoluzione in questo 2015. La società ha cambiato
assetto, spostato la sede operativa a Roma, cambiato concessionaria di pubblicità, affidandosi a Download
advertising, e si prepara a completare la propria offerta con contenuti digitali. Il team di AutomotoTv proprio
queste settimane sta lavorando al restyling del sito web da cui verranno trasmessi i programmi in live
streaminga. Claudio Braccini afferma «AutomotoTV è l'unico canale motoristico nazionale e si prepara ad
accompagnare l'inevitabile ripresa generale del mercato auto e moto, i cui primi segnali si stanno già
delineando, con una vera offensiva di nuovi format, con un'inedita integrazione tra tv e web e con il supporto
di una nuova concessionaria di pubblicità fortemente attiva e motivata come Download». Il mercato di settore
deve riprendersi da una contrazione fortissima degli investimenti e per farlo necessita di nuova linfa, Braccini
afferma infatti «al momento, grazie al successo del canale e al conseguente buon risultato nella raccolta
pubblicitaria, al netto di un settore come l'automotive che ha registrato negli ultimi quattro anni un autentico
crollo degli investimenti, una lieve ripresa del mercato è visibile e AutomotoTv vuole intercettarla rimanendo
fedele al proprio palinsesto. Sopravvivono solo i canali verticali che in grado di resistere alle tentazioni». La
soluzione di Carlo Braccini sta nell'elaborazione di nuovi format nati dalla fusione tra televisione e web e nelle
nuove forme di interazione tra messaggio pubblicitario e redazionale. Le nuove tecnologie rendono le
sponsorizzazioni più accessibili, permettendo anche la brandizzazione totale del palinsesto, «nel 2015
aumenterà considerevolmente il numero delle dirette, non sarà circoscritto alle gare ma anche a speciali per
appassionati, dalla customizzazione al turismo». E mentre le tecnologie digitali facilitano la realizzazione dei
programmi anche i contenuti evolvono grazie alle novità della rete, non come trasposizione dei contenuti ma
integrazione e arricchimento «stiamo lavorando a nuovi format - dice Braccini - che sviluppino brand content
e storytelling, nuove forme di comunicazione ibride tre i due media, in cui convivono il mondo di personaggi di
uno ed i linguaggi dell'altro».
Foto: Carlo Braccini
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Canali
09/02/2015
DailyMedia
Pag. 27
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Upa sostiene i giovani talenti con il corso di Alta Formazione
Su oltre 220 domande di ammissione, sono stati selezionati 25 neolaureati in base al merito e alle
competenze nel mondo della comunicazione
È partita venerdì scorso la nuova edizione del corso Upa di Alta Formazione in Comunicazione nella Network
Society rivolto a 25 giovani di talento, laureati con un brillante percorso di studi. Il corso, totalmente gratuito
per i partecipanti, vuole essere un contributo alla formazione delle nuove leve che si occuperanno della
gestione strategica del brand. Tenuto dai maggiori esperti di marketing e comunicazione - docenti universitari
e protagonisti riconosciuti del mondo delle imprese - il corso si propone di fornire, con una didattica che
alterna lezioni frontali ad attività pratiche, una visione d'insieme delle opportunità offerte dai media digitali e
dai social media al marketing e alla comunicazione aziendale, senza trascurare la comunicazione oine. La
selezione che ha portato alla scelta di 25 giovani è stata effettuata in base al merito e a eventuali competenze
ed esperienze nel mondo della comunicazione. Le domande di ammissione sono state oltre 220 e di elevata
qualità: oltre il 50% dei candidati si sono laureati alle magistrali con 110 lode o 110. La classe che si è
formata è composta da giovani laureati con il massimo dei voti in materie Economiche, in Comunicazione ma
anche in Filosofia, Architettura e in altre materie umanistiche. Tematica di fondo del corso nel 2015 è la
comunicazione e lo sviluppo sostenibile, con particolare riferimento al ruolo centrale svolto dalla
comunicazione nel narrare storie capaci di comunicare il valore aggiunto dato dal legame delle imprese con il
territorio. Territorio da intendersi come luogo simbolico-culturale, come luogo fisico o come medium (come
luogo di eventi e come parte di un marketing mix più ampio). Ampio spazio sarà dedicato alla realizzazione di
alcuni project work basati su casi aziendali reali e centrati sullo sviluppo di un piano integrato di web
marketing e di comunicazione multimediale. Il corso, tenuto presso la sede di UPA a Milano, è organizzato in
collaborazione con Bologna Business School, ExpoLAB Università Cattolica del Sacro Cuore e IULM Università di Comunicazione e Lingue. Al Comitato UPA Formazione aderiscono importanti aziende quali
Assicurazioni Generali, Eni, Ferrero, Intesa Sanpaolo, Lavazza, Veneto Banca e protagonisti di primissimo
piano del mondo della comunicazione come Auditel, Clear Channel, IGP Decaux, Nielsen, OPQ, Piemme,
Publitalia, Mondadori Pubblicità, Rai Pubblicità, RTL 102,5.
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Progetti
09/02/2015
DailyNet
Pag. 1
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Twitter: al 31 dicembre l' adv vale 432 mln
di cui l'88% proviene da dispositivi mobile. per il social ancora nessun utile 23 dtwitter continua a non
generare utili dopo poco più di un anno dal suo debutto in borsa. nel quarto trimestre, ha registrato una
perdita da 125,4 milioni di dollari, più contenuta di quella da 511,5 milioni dello stesso periodo dell'anno
scorso. al netto di voci straordinarie gli utili per azione sono saliti a 12 centesimi da 2 centesimi contro un
consensus da 6 centesimi. i ricavi sono quasi raddoppiati (+97%) in un anno, arrivando a 479,1 milioni da
242,7 milioni, contro attese del mercato per 453,1 milioni. in particolare, i ricavi da pubblicità sono stati 432
milioni (+97% annuale). di questo totale, l'88% è stato generato da dispositivi mobili. per il primo trimestre del
2015 twitter prevede vendite tra i 440 milioni e i 450 milioni (sotto le stime degli analisti da 453,1 milioni) e da
2,3-2,35 miliardi per l'anno, in linea con le previsioni. nei tre mesi terminati lo scorso 31 dicembre twitter è
arrivato a contare 288 milioni di utenti attivi a livello mensile, 4 milioni in più rispetto al trimestre precedente e
circa un quinto di quelli vantati da facebook. Questo significa che il tasso di crescita trimestrale è sceso
all'1,4% (minimo record per il gruppo) dal 4,7% del terzo trimestre. per la prima volta il tasso è inferiore a
quello di facebook, la cui base utenti mensili è salita lo scorso trimestre di circa il 3% a 1,39 miliardi. su base
annuale, gli iscritti a twitter sono cresciuti del 20%, ma la percentuale non è bastata agli analisti, che si
aspettavano un totale di 291 milioni di utenti. l'amministratore delegato dick costolo, in una nota, ha spiegato
che i "primi risultati relativi al trimestre in corso mostrano che in termini assoluti il numero netto di utenti sarà
simile a quello visto nei primi tre trimestri del 2014". secondo i vertici del sito di microblogging gran parte dei 4
milioni di utenti in meno a fine dicembre è dovuta a una falla inattesa nell'aggiornamento di ios8, il sistema
operativo apple, che ha creato problemi di accesso a twitter da safari. costolo, ha spiegato come la società
sia subito intervenuta per porre rimedio al problema, che però non è stato del tutto risolto.
Foto: dick costolo
Foto: dick costolo, amministratore delegato di twitter
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Estero/Bil anci
09/02/2015
DailyNet
Pag. 1
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Seconda acquisizione per Alkemy: si tratta di Tsc Consulting
6annunciata l'operazione che rafforza la struttura in ambito tecnologico alkemy, il primo digital enabler
italiano, apre il 2015 mettendo a segno la sua seconda acquisizione a poco più di due anni dalla costituzione.
entra a far parte del gruppo - che integra all'interno di un'unica struttura servizi di digital advisory, ecommerce
, digital media planning, performance marketing, social media & digital pr, agency - tsc consulting: società
romana, con sedi anche a milano, cagliari e rende (cosenza), specializzata in system integration (open
source & cloud services soprattutto), r&s di tecnologie di frontiera e service per l'area communication ed
ecommerce (innovation lab di cagliari) e quelle abilitanti progetti di comunicazione integrata. francesco
beraldi, insieme ai manager della società, conferisce infatti il 100% di tsc consulting - 80 persone e 7 milioni
di fatturato - nella società milanese guidata da duccio vitali (amministratore delegato) diventando socio con
una quota di circa il 15%. Grazie a questa operazione alkemy raggiunge dimensioni di oltre 30 milioni di euro
per fatturato aggregato e 200 persone per membri dello staff, rafforza inoltre le quote della società in mano al
management. l'acquisizione consente inoltre alla società di consolidare le proprie competenze in ambito
tecnologico e di affacciarsi sul mercato della digital transformation, caratterizzato da ampi tassi di sviluppo. la
crescita costante registrata da alkemy in questi due anni dalla nascita, conferma la validità dei presupposti e
della visione di fondatori e management: la rilevanza sempre crescente del digitale nello sviluppo del
business delle aziende - il comparto cresce infatti a ritmi del 15% l'anno e che supera il miliardo di euro di
valore - insieme alla mancanza, sul mercato, di un attore forte che incorporasse più aree di specializzazione
del digitale. "con tsc consulting a bordo rafforziamo le nostre competenze in ambito tecnologico ed entriamo
anche nel settore della digital transformation. il mercato cioè che ricomprende le tecnologie, la consulenza e
le operations a supporto del digitale. a poco più di due anni dalla nostra nascita, direi che alkemy si posiziona
in come la realtà più rilevante, in italia, in questo mercato" ha dichiarato duccio vitali, amministratore delegato
di alkemy. "l'ingresso in alkemy consente a tsc di affiancare alla nostra area di specializzazione una visione
più ampia, e maggiormente d'insieme, del mercato che ci aiuterà a sviluppare, insieme, soluzioni sempre più
all'avanguardia" dichiarano francesco beraldi - ora presidente della società e board member di alkemy insieme ad alessandra spada, imprenditori e fondatori di tsc consulting, alessandro mattiacci, vice presidente
di alkemy, guiderà lo sviluppo della bu digital transformation come amministratore delegato di tsc.
«l'acquisizione è importante e strategica soprattutto per la nostra divisione advisory, che si pone come
l'interlocutore ideale per chiunque voglia compiere un importante processo di digital transformation del proprio
business», ha dichiarato a dailynet il presidente di alkemy, riccardo lorenzini. con l'acquisizione di tcs, alkemy
consolida la sua leadership nel mercato dei servizi digitali b2b, con un fatturato consolidato di oltre 30 milioni
di euro e un ebitda intorno al 12%.
Foto: duccio vitali
Foto: riccardo lorenzini
Foto: duccio vitalia e riccardo lorenzini, a.d. e presidente di alkemy
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Mercato
09/02/2015
DailyNet
Pag. 12
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Europ Assistance ancora con In Target Group
Rinnovata la collaborazione riguardo alle attività di performance advertising
continua e si consolida il rapporto di partnership tra europ assistance e intarget Group. la compagnia di
assicurazioni leader a livello mondiale nell'ambito dell'assistenza privata ha rinnovato con l'agenzia di digital
marketing l'incarico di performance advertising. "È il quinto anno consecutivo che lavoriamo insieme a
intarget - afferma michele petrilli market manager remote channel di europ assistance -. con la loro
consulenza abbiamo avviato un percorso di progressivo investimento sulle attività adv che ci ha permesso di
raggiungere importanti risultati in termini di fatturato del canale Web. Gli obiettivi del 2015 sono ancora più
ambiziosi, tra tutti quello di trovare importanti sinergie multicanali tra Web e phone. Grazie al lavoro svolto
con intarget siamo fiduciosi di poter confermare anche quest'anno il trend positivo di crescita". la strategia
elaborata da intarget è orientata a un'evoluzione dell'approccio media di europ assistance al fine di
massimizzare il presidio del customer journey degli utenti. due gli elementi fondamentali del piano proposto.
da un parte si punta sul native advertising, con il coinvolgimento di siti editoriali in particolar modo dell'area
travel. l'integrazione sinergica tra le attività promozionali e quelle contestuali permetterà di avere una
copertura capillare, efficace e ad ampio raggio strutturata su una serie differenziata di formati e modalità di
posizionamento. dall'altra, invece, ci si focalizzerà sull'incremento delle performance attraverso un'attività di
funnel optimization volta a ridisegnare i passaggi chiave del percorso di conversione. "mediante il monitoring
e l'analisi di tutti gli step che portano all'acquisto delle polizze europ assistance, sia sul canale web che sul
canale phone, sarà possibile individuare i principali Kpi per ottimizzare il ritorno economico di entrambi i
canali - afferma andrea zennaro, head of advertising a intarget Group -. i primi track di monitoring saranno
focalizzati su attività di recording experience, form optimization e a/b testing su landing e percorsi dei funnel".
un progetto altamente strutturato volto a garantire a europ assistance un significativo incremento del fatturato
del canale web.
Foto: andrea zennaro, head of advertising a intarget group
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Partnership
09/02/2015
DailyNet
Pag. 15
(diffusione:15000, tiratura:15000)
la nuova essenza femminile di Ferragamo in uno spot anche online
Il filmato Emozione diretto da Mert and Marcus è pianificato sul web , oltre che in tv e su stampa
salvatore ferragamo in grande spolvero: l'emozione in arrivo a sorpresa, la nuova fragranza femminile
graziata da uno spot tv. una storia ricca di emozioni attraverso un ritratto di femminilità e armonia incarnato
dalla celebre top model malgosia bela. un fuggevole sprazzo temporale, un momento di riflessione intima
carico di gesti personali che esprimono l'essenza delle emozioni e trasmettono un senso contemporaneo di
innata fiducia in sé. un film, diretto da mert and marcus, che fonde due distinte tonalità di emozione: intimità
ed espressione, introspezione ed esperienza, esaltando la bellezza interiore. lo spot è in onda sull'ex piccolo
schermo dall'inizio del mese, ma la pianificazione riguarda anche la stampa e il web.
Foto: il filmato emozione interpretato da malgosia bela
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Fashion
09/02/2015
Pubblicita Today
Pag. 20
GrAnAroLo LAnCiA iL WeB tALent 'SfiDe in CuCinA'
Granarolo lancia il concorso a premi 'Sfide in cucina', attivo dal 5 febbraio al 16 aprile, Si tratta di un web
talent rivolto a coloro che acquisteranno Grana Padano DoP Granarolo in formato grattugiato (confezione da
90g) e/o a spicchio (confezione da 200g). Il concorso si lega all'attività di advertising di Granarolo durante la
nuova edizione di Masterchef Italia ed è esteso a tutto il territorio nazionale. Per partecipare occorre iscriversi
sul sito www.sfideincucina.it , dopodiché i partecipanti potranno cimentarsi in una delle tre sfide culinarie,
nelle quali dovranno realizzare una ricetta in cui sia presente il Grana Padano DOP Granarolo. Saranno gli
stessi utenti del sito a decidere, attraverso una votazione online, il vincitore di ciascuna sfida, che si
aggiudicherà un carnet di buoni acquisto di prodotti Granarolo del valore di 150 euro. Il 6 maggio 2015 sarà
estratto il vincitore del premio finale: un robot da cucina della Vorwerk Contempora, modello Bimby TM5.
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per grana paDano Dop
09/02/2015
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Pag. 22
ALKeMy ACQuiStA tSC ConSuLtinG e ConSoLiDA LA LeADerShiP nei
SerVizi DiGitALi B2B
Alkemy , digital enabler italiano, apre il 2015 mettendo a segno la sua seconda acquisizione a poco più di due
anni dalla costituzione. Entra a far parte del gruppo, che integra all'interno di un'unica struttura servizi di
digital advisory, eCommerce, digital media planning, performance marketing, social media & digital pr,
agency: si tratta di tSC Consulting , società romana, con sedi anche a Milano, Cagliari e Rende (Cosenza),
specializzata in system i n t e g r a t i o n (open source & cloud services soprattutto), R&S di tecnologie di
frontiera e service per l'area communication ed eCommerce (innovation lab di Cagliari) e quelle abilitanti
progetti di comunicazione integrata. francesco Beraldi , insieme ai manager della società, conferiscono infatti
il 100% di TSC Consulting (80 persone e 7 milioni di fatturato) nella società milanese guidata dall'ad Duccio
Vitali ( nella foto ), diventando socio di Alkemy con una quota di circa il 15%. Grazie a questa operazione
Alkemy raggiunge dimensioni di oltre 30 milioni di euro per fatturato aggregato, un Ebitda intorno al 12% e
200 persone per membri dello staff, rafforza inoltre le quote della società in mano al management.
L'acquisizione consente inoltre alla società di consolidare le proprie competenze in ambito tecnologico e di
affacciarsi sul mercato della digital trans f o r m a t i o n , caratterizzato da ampi tassi di sviluppo. La crescita
costante registrata da Alkemy in questi due anni dalla nascita, conferma la validità dei presupposti e della
visione di fondatori e management: la rilevanza sempre crescente del digitale nello sviluppo del business
delle aziende - il comparto cresce infatti a ritmi del 15% l'anno e che supera il miliardo di euro di valore insieme alla mancanza, sul mercato, di un attore forte che incorporasse più aree di specializzazione del
digitale. "Con TSC Consulting a bordo rafforziamo le nostre competenze in ambito tecnologico ed entriamo
anche nel settore della digital transformation. Il mercato cioè che ricomprende le tecnologie, la consulenza e
le operations a supporto del digitale. A poco più di due anni dalla nostra nascita, direi che Alkemy si posiziona
in come la realtà più rilevante, in Italia, in questo mercato", ha dichiarato Vitali. Alessandro Mattiacci , vice
presidente di Alkemy, guiderà lo sviluppo della business unit digital transformation come amministratore
delegato di TSC.
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IL DIGITAL ENABLER RAGGIUNGE 30 MILIONI DI EURO DI FATTURATO CON UNO STAFF DI 200
PERSONE
09/02/2015
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Pag. 25
oMG Dà un nuoVo ASSetto A reSoLution Con AMBroSo e foSSi
omnicom Media Group , partner certificato di Google Analytics da giugno 2014, fa un passo oltre e rafforza la
sua strategia in ambito crm. Il processo di certificazione, completato 8 mesi fa dal team Analytics guidato da
Mauro Ginelli , è nato per integrare soluzioni analitiche con le attività di comunicazione e di business analysis
dei clienti del gruppo che oggi, consolidata la competenza in ambito dati, prosegue un percorso verso
'l'umanizzazione' del dato. In primis attraverso il nuovo assetto organizzativo di resolution , la business unit
dedicata ai servizi di marketing e comunicazione digitale al servizio dei clienti delle agenzie del gruppo, omd
e Phd . Due le principali novità rispetto all'assetto organizzativo: la guida di odoardo Ambroso , Head of Data
and Digital Communication e la nomina di Guido fossi come Chief Operation Officer, con il compito di
assicurare costantemente l'integrazione di Resolution con tutte le unit di lavoro e in tutte le fasi delle
campagne di comunicazione. Ambroso possiede una solida esperienza, maturata prima nel marketing e poi
in materia di dati e CRM sia presso grandi aziende, tra le quali Nestlé, e successivamente in strutture
consulenziali ampliamente specializzate, come Ammiro Y2K. Fossi ha consolidato il proprio percorso
professionale prima in ambito marketing per grandi aziende italiane (tra cui Manetti e Roberts, Bindi, Enervit)
per poi approdare in Ammiro Y2K nel 2006 come responsabile del crm. "Mai come oggi, nell'attuale contesto
competitivo, siamo convinti che siano le persone a fare la differenza commenta Marco Girelli , ceo di
Omnicom Media Group -. Gli strumenti, senza le teste giuste, sono solo strumenti. I cookies, senza la
capacità di dar loro un volto, non sono che stringhe di dati. Per questo stiamo investendo per inserire nel
nostro team figure professionali con forti competenze verticali, in questo caso nell'ambito di analisi dei dati e
crm, e che grazie alla loro esperienza maturata in diverse realtà possiedono una forte capacità di pensiero
strategico integrato e trasversale. La nostra scommessa è quella di integrare tecnologia ed esperienza di
comunicazione in modo da dare un volto personale e quindi una comunicazione personalizzata e rilevante a
ogni cookie".
Foto: odoardo ambroso
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LA BUSINESS UNIT DI SERVIzI DI MARkETING E COMUNICAzIONE DIGITALE
09/02/2015
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Pag. 25
euroP ASSiStAnCe rinnoVA LA fiDuCiA A intArGet GrouP
Continua e si consolida il rapporto di partnership tra europ Assistance e intarget Group . La compagnia di
assicurazioni ha rinnovato con l'agenzia di digital marketing l'incarico di Performance Advertising. "È il quinto
anno consecutivo che lavoriamo insieme a InTarget - afferma Michele Petrilli Market Manager Remote
Channel di Europ Assistance -. Con la loro consulenza abbiamo avviato un percorso di progressivo
investimento sulle attività adv che ci ha permesso di raggiungere importanti risultati in termini di fatturato del
canale Web. Gli obiettivi del 2015 sono ancora più ambiziosi, tra tutti quello di trovare importanti sinergie
multicanali tra web e phone. Grazie al lavoro svolto con InTarget siamo fiduciosi di poter confermare anche
quest'anno il trend positivo di crescita". La strategia elaborata da InTarget è orientata a un'evoluzione
dell'approccio media di Europ Assistance al fine di massimizzare il presidio del customer journey degli utenti.
Due gli elementi fondamentali del piano proposto. Da un parte si punta sul native advertising, con il
coinvolgimento di siti editoriali in particolar modo dell'area travel. L'integrazione sinergica tra le attività
promozionali e quelle contestuali permetterà di avere una copertura capillare, efficace e ad ampio raggio
strutturata su una serie differenziata di formati e modalità di posizionamento. Dall'altra, invece, ci si
focalizzerà sull'incremento delle performance attraverso un'attività di funnel optimization volta a ridisegnare i
passaggi chiave del percorso di conversione.
Foto: andrea zennaro , Managing Director di InTarget Adv
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PERFORMANCE ADVERTISING
09/02/2015
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Pag. 1
Arc Leo Burnett per il lancio di Fiat 500X: tutti i numeri di un successo
digitale e non solo
Nel giugno scorso Arc Leo Burnett si era aggiudicata la gara per l'ideazione e la gestione della
comunicazione digitale di pre-lancio e lancio della nuova Fiat 500X. La collaborazione ha prodotto
un'operazione di attivazione digitale che ha accompagnato la vettura per oltre sette mesi: dai primi video
teaser al sito di prodotto con l'auto interamente esplorabile in 3D, dalla possibilità di prenotare solo online
l'esclusiva versio ne "Opening Edition" al tour europeo "The Power of X", cul minato nell'evento di lancio
svoltosi pochi giorni fa a Londra. Nel giugno scorso Arc Leo Burnett, l'agenzia guidata da Giorgio Brenna, si è
aggiudicata la gara per l'ideazione e la gestione della comunicazione digitale di pre-lancio e lancio della
nuova Fiat 500X. La collaborazione tra Fiat e Arc Leo Burnett ha prodotto un'operazione di attivazione
digitale che ha accompagnato la nuova vettura per oltre sette mesi: dalla pubblicazione dei primi video teaser
al sito di prodotto con l'auto interamente esplorabile in 3D, dalla possibilità di prenotare solo online l'esclusiva
versione "Opening Edition" al tour europeo "The Power of X", culminato nell'evento di lancio svoltosi pochi
giorni fa a Londra. Uno straordinario lavoro, che ha contribuito al successo del primo Porte Aperte in Italia
dedicato alla nuova Fiat 500X: oltre 70.000 visitatori, più di 12.900 test drive effet tuati. Ecco tutti i numeri
dell'operazione: tre siti, in tre fasi diverse, full responsive, in 19 paesi e 22 lingue: un custom gadget YouTube
localizzato; dieci creatività diverse di display adv; un concorso internazionale; 5 milioni di visite; 50.000
contatti. Per l'agenzia, con la direzione creativa esecutiva di Alessandro Antonini e Francesco Bozza, hanno
lavorato i direttori creativi Matteo Rostagno e Fabiana Dinoi, il direttore tecnico Gianluca Mori, i responsabili
di progetto Alessandro Bulgarelli e Claudia Olivieri, gli art director Davide Cortese e Nello Russo, i copywriter
Federica Magaraggia e Lia Paganini.
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creatività e marketing
09/02/2015
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Pag. 1
pagina 11 Alkemy, il primo digital enabler italiano, apre il 2015 mettendo a segno la sua seconda acquisizione
a poco più di due anni dalla costituzione. Entra a far parte del gruppo - che integra all'interno di un'unica
struttura servizi di digital advisory, e-commerce, digital media planning, performance marketing, social media
& digital pr, agency - TSC Consulting: società romana,con sedi anche a Milano, Cagliari e Rende (Cosenza),
specializzata in system integration (open source & cloud services soprattutto), R&S di tecnologie di frontiera e
service per l'area communication ed ecommerce (innovation lab di Cagliari) e quelle abilitanti progetti di
comunicazione integrata. Francesco Beraldi, insieme ai manager della società, conferiscono infatti il 100% di
TSC Consulting - 80 persone e 7 milioni di fatturato - nella società milanese guidata da Duccio Vitali
(amministratore delegato) diventando socio con una quota di circa il 15%. Grazie a questa operazione
Alkemy raggiunge dimensioni di oltre 30 milioni di Euro per fatturato aggregato e 200 persone per membri
dello staff, raf forza inoltre le quote della società in mano al management. L'acquisizione consente inoltre alla
società di consolidare le proprie competenze in ambito tecnologico e di affacciarsi sul mercato della digital
transformation, caratterizzato da ampi tassi di sviluppo. La crescita costante registrata da Alkemy in questi
due anni dalla nascita, conferma la validità dei presupposti e della visione di fondatori e management: la
rilevanza sempre crescente del digitale nello sviluppo del business delle aziende - il comparto cresce infatti a
ritmi del 15% l'anno e che supera il miliardo di euro di valore - insieme alla mancanza, sul mercato, di un
attore forte che incorporasse più aree di specializzazione del digitale. «Con TSC Consulting a bordo
rafforziamo le no stre competenze in ambito tecnologico ed entriamo anche nel settore della digital
transformation. Il mercato cioè che ricomprende le tecnologie, la consulenza e le operations a supporto del
digitale. A poco più di due anni dalla nostra nascita, direi che Alkemy si posiziona in come la realtà più
rilevante, in Italia, in questo mercato», ha dichiarato Duccio Vitali, amministratore delegato di Alkemy.
«L'ingresso in Alkemy con sente a TSC di affiancare alla nostra area di specializzazione una visione più
ampia, e maggiormente d'insieme, del mercato che ci aiuterà a sviluppare, insieme, soluzioni sempre più
all'avanguardia», dichiarano Francesco Beraldi, ora presidente della società e board member di Alkemy,
insieme ad Alessandra Spada, imprenditori e fondatori di TSC Consulting. Alessandro Mattiacci, vice
presidente di Alkemy, guiderà lo sviluppo della business unit Digital Transformation come amministratore
delegato di TSC. Con l'acquisizione di TSC, Alkemy consolida la sua leadership nel mercato dei servizi
digitali B2B, con un fatturato consolidato di oltre 30 milioni di euro ed un Ebitda intorno al 12%.
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Alkemy acquisizione tsc
09/02/2015
Pubblicom Now
Pag. 12
Nasce il web talent "Sfide in cucina" targato Granarolo
Granarolo lancia il concorso a premi "Sfide in cucina", web talent rivolto a coloro che acquisteranno Grana
Padano DOP Granarolo in formato grattugiato (confezione da 90 grammi) e/o a spicchio (confezione da 200
grammi). Il concorso si lega all'attività di advertising di Granarolo durante la nuova edizione di "MasterChef
Italia" ed è esteso a tutto il territorio nazionale. Partecipare è semplice: iscrivendosi sul sito
www.sfideincucina. it, i partecipanti potranno cimentarsi in una delle tre sfide culinarie, nelle qua li dovranno
realizzare una ricetta in cui sia presente il Grana Padano DOP Granarolo. La prima sfida, deno minata
"romantica" (dal 5 al 19 febbraio 2015), consiste nel realizzare una pietanza da accompagnare a una serata.
La seconda è quella "aperitivo" (dal 5 al 19 marzo 2015), per creare un piatto ideale per l'happy hour. Nella
terza, la "regionale" (dal 2 al 16 aprile 2015), i partecipanti si sfideranno nella preparazione del piatto
regionale preferito. Tutte le ricette dovranno essere realizzate utilizzando uno dei due prodotti Grana Padano
DOP Granarolo promozionati. Saranno gli stessi utenti del sito a decidere, attraverso una votazione online, il
vincitore di ciascuna sfida, che si aggiudicherà un carnet di buoni acquisto di prodotti Granarolo del valore di
150 euro. Il 6 maggio 2015 sarà estratto il vincitore del premio fina le: un robot da cucina della Vorwerk
Contempora, modello Bimby TM5. Ma vince anche chi vota: tra tutti gli utenti registrati, che abbiano espresso
almeno una preferenza, sarà estratto un carnet di buoni acquisto del valore di 100 euro.
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concorsi
07/02/2015
Industria e Finanza
Pag. 3
ARREDAMENTO ONLINE , SETTORE IN CRESCITA
La startup italiana che automatizza la vendita diretta degli spazi pubblicitari online , è stata strutturata da
Digital Magics
Nonostante il perdurare della crisi in Italia e in molti paesi europei, il mercato online di arredamento e design
si dimostra più vivo che mai. Arredatutto.com, il più importante sito di eCommerce italiano per l'ac quisto di
mobili, complementi d'arredo ed elettrodomestici, ha chiuso il 2014 in netta crescita: il fatturato ha superato i
4.3 milioni di euro con un incremento del 43,14% rispetto al 2013. A trainare le vendite è soprattutto
l'interesse estero per gli oggetti di arredamento e design, specialmente per i grandi nomi del Made in Italy
(Artemide, Kartell, Calli garis, Bon tempi Casa, Smeg, Cattelan Italia, Emu). Nel complesso gli acquisti
effettuati da utenti europei (italiani e sclusi) ed extra-europei rappresentano ora il 72,41% del giro d'affari
della società. "I risultati del 2014 confortano la nostra scelta di puntare sul mercato globale - spiega Demetrio
Tri glia, presidente e co-fondatore di Arreda tut to.com - L'obiettivo per il 2015 è continuare nel percorso di
crescita grazie a un catalogo di pro dotti sempre più ampio e all'apertura del servizio in altri Paesi del mondo,
anche fuori dall'Eu ropa". In totale sono circa 200 i marchi distribuiti su Arredatutto.com, che può contare su
un servizio di consegna diretta in UE, Svizzera, Norvegia, Corea e parte degli Stati Uniti e su un'assistenza
online e telefonica in 6 lingue diverse (italiano, francese, inglese, spagnolo, tedesco e coreano).
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E-COMMERCE
07/02/2015
Industria e Finanza
Pag. 4
CRESCE LA DIGITAL ECONOMY
L'Italia supera l'Europa per crescita di fatturato (+28% rispetto a +23%) e di marginalità (+13% rispetto a
+11%)
IR Top, leader in Italia nella consulenza specialistica sulle Investor Rela tions e la Comuni cazione
Finanziaria, ha presentato oggi i risultati dello studio "DIGITAL ECONOMY ON CAPITAL MARKETS", con
dotto dall'Ufficio Studi interno su un campione di 95 società digital quotate sui listini europei. La
presentazione è avvenuta nel corso del DIGITAL INVESTOR DAY organizzato da IR Top con il patrocinio di
Borsa Italiana e di UK Trade & Investment presso l'hotel Park Hyatt di Milano, al quale hanno preso parte
oltre 50 investitori e alcune tra le principali società quotate italiane del settore. L'in dagine ha preso in esame
un panel di 12 società quotate sul mercato AIM Italia (tra cui Axelero, Digital Magics, Expert System, e Go
Internet), 49 in UK, 19 in Germania e 15 in Francia. Dall'analisi emerge un quadro molto positivo per il settore
digital a livello europeo: l'identikit dell'azienda media rileva un fatturato 2013 di 59 milioni di Euro in crescita
del 23%, un EBITDA di 8 milioni di Euro (18% sul fatturato), in crescita dell'11% e una capitalizzazione di 111
milioni; sul mercato AIM UK l'azienda digital rileva in media un fatturato 2013 di 40 milioni di Euro (+37%
rispetto al 2012), un EBITDA di 4 milioni di Euro (18% sul fatturato) in crescita dell'8% rispetto al 2012 e una
capitalizzazione di 107 milioni. Inoltre, le aziende sui mercati Germania e Francia si caratterizzano per
dimensioni più elevate sia in termini di fatturato (93 milioni e 111 milioni rispettivamente) che di
capitalizzazione (160 milioni di Euro e 127 milioni di Euro rispettivamente). Anna Lambiase, ad di IR Top
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
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MERCATO DEI CAPITALI
07/02/2015
Industria e Finanza
Pag. 3
SUBITO ACQUISISCE DOTADV
La startup italiana che automatizza la vendita diretta degli spazi pubblicitari online , è stata strutturata da
Digital Magics
Subito.it, la piattaforma digitale n. 1 in Italia per la compravendita dell'usato con oltre 8,8 milioni di utenti unici
mensili*, e Digital Magics, incubatore certificato di startup innovative e scaleup digitali quotato sul mercato
AIM di Borsa Italiana (simbolo: DM), han no avviato una collaborazione nell'ottica di trovare e sviluppare
soluzioni innovative per la piattaforma digitale di Subito.it e il primo risultato si è concretizzato con
l'acquisizione della startup Dotadv da parte di Subito.it. Dotadv è la prima piattaforma italiana dedicata alle
PMI per la gestione automatica della pubblicità online, che si integra perfettamente con i processi redazionali
e gestionali dell'editore. Il rapporto fra Subito.it e Dotadv, per l'advertising locale e i piccoli inserzionisti, nasce
nel 2014. Avendone riconosciuto le potenzialità e funzionalità, oltre al modello di business estremamente
scalabile, Subito.it ha deciso di estendere e implementare la tecnologia e il software proprietari di Dotadv sviluppati dai fondatori Fausto Preste, Lorenzo Marzullo, Davide Fio ren tini, Arrigo Benedetti Ciampi
integrando la piattaforma e facendola diventare un asset aziendale proprio. L'operazione di cessione a
Subito.it è stata strutturata dai professionisti di Digital Magics. qualificati e specializzati in finanza e gestione
di business digitali. Il processo - avviato e concluso per Dotadv con grande rapidità - è in linea con i servizi di
incubazione e accelerazione di alto profilo, che Digital Magics offre alle startup e alle scaleup del proprio
portfolio, e con i programmi di Open Innovation per supportare le aziende italiane nell'innovazione interna
grazie alle neoimprese digitali. "L'acquisi zione di Dotadv mira a rafforzare il posizionamento e la leadership
di Subito.it nel mercato dell'advertising locale e delle piccole-medie imprese" afferma Melany Libraro, General
Manager di Subito.it. "Grazie all'integrazione della piattaforma, la concessionaria di Subito.it potrà offrire a
tutti i propri clienti soluzioni sempre più personalizzabili. Melany Libraro
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
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FUSIONI
06/02/2015
Espansione - Ed. n.1 - 2 gen/feb 2015
Pag. 12
(diffusione:154456, tiratura:179408)
200 milioni per le startup
Arrivano incentivi per le giovani aziende innovative, non solo soldi ma anche burocrazia più snella. Ne
parlano due incubatoli d'impresa
MARTINO S. DUANE
na circolare del ministero per lo Sviluppo economico ha reso noto l'incentivo per le startup innovative.
Presentare domande e piani di intesa utilizzando soltanto il web diventerà una realtà a partire dalle 12 del 16
febbraio. Lo sportello on line gestito da Invitalia (www.smartstartinvitalia.it) accetterà le domande presentate
fino all'esaurimento delle risorse economiche disponibili e le domande saranno valutate e vagliate secondo
l'ordine di arrivo. La dotazione dello SmartStart è di circa 200 milioni di euro, e contrariamente a quanto è
avvenuto in precedenza, non riguarderà soltanto le regioni meridionali e la provincia dell'Aquila, ma sarà
estesa a tutta Italia. La circolare specifica che i piani d'impresa dovranno avere un contenuto tecnologico
significativo e innovativo, «mirare allo sviluppo di prodotti e servizi nel capo dell'economia digitale» oppure
avere come obiettivo la valorizzazione economica dei risultati della ricerca pubblica o privata. Il finanziamento
è mirato alle startup innovative di piccola dimensione, che abbiano meno di quattro anni di vita e siano iscritte
nella sezione speciale del registro delle imprese. Anche le persone fisiche che intendono avviare una startup
possono presentare domanda accompagnata dai piani d'impresa. L'importo massimo finanziabile, secondo il
piano del ministero dello Sviluppo, è cresciuto fino a un massimo di un milione e mezzo di euro e sarà senza
interessi, vale a dire un finanziamento a tasso zero. Il finanziamento poni arrivare a coprire il 70%
dell'investimento complessivo, ma potrà anche raggiungere l'80% come limite massimo se a costituire la
startup saranno solo donne oppure giovani che non abbiano compiuto i 35 anni, ancora se nel gruppo che da
vita alla startup è compreso un dottore di ricerca italiano che stia lavorando all'estero. Altri vantaggi al Sud II
sud non sarà trascurato: per le startup che nascono nelle regioni meridionali, così come anche per quelle che
vengono avviate nell'Aquilano, è previsto un finanziamento a fondo perduto pari al 20% e un'altra iniziativa è
costituita da servizi specialistici di tutoring tecnico-gestionale per tutte le imprese che non hanno ancora
superato l'anno di vita. Un insieme di regole e strumenti che può contare su un terreno fertile secondo
Stefano Firpo, capo della segreteria del ministero per lo Sviluppo, che commenta: «Con la normativa
approvata a fine 2012 e la sua applicazione a pieno regime a fine 2013, il 2014 avrebbe potuto aprirsi con un
flop. Invece abbiamo già quasi 1.800 startup innovative iscritte al Registro delle imprese e a queste ogni
settimana se ne aggiungono altre, dalle 30 alle 40». «Anche se gli occupati nelle startup sembrano pochi,
perché in media il numero degli addetti è di 2,6, bisogna considerare che l'età media delle imprese innovative
italiane è di circa 18 mesi, dato che sottolinea come abbiano ampie possibilità di ampliamento», sottolinea
ancora Firpo, che conclude: «Come evidenzia la relazione del ministro al Parlamento, gli strumenti messi a
disposizione delle startup sono molti, ma poco conosciuti. E rischiano di non essere utilizzati fino in fondo.
Per questo è importante diffondere la conoscenza della policy, monitorandone l'utilizzo e valutando con
grande trasparenza gli impatti su innovazione e occupazione». Digital Magics La caratteristica principale per
essere considerate startup è l'introduzione, se non la creazione, di tecnologie innovative. L'unica forma
giuridica ammessa è quella delle società a capitale. Nel complesso delle startup iscritte solo il 3,5% impiega
più di 10 lavoratori. La maggior parte di queste piccole imprese tecnologiche si concentra lungo l'asse TorinoMilano-Bologna, ma la Campania con 83 imprese occupa la settima posizione mentre la Puglia con 72
imprese è in decima posizione. I dati riguardano un complesso di 550 startup, il 60% delle quali raggiune i
100 mila euro di fatturato annuo. Dall'inizio dell'anno sono a disposizione anche altri contributi, sotto forma di
credito di imposta per l'assunzione di personale altamente qualificato e per creare occupazione sono previste
flessibilità nei contratti a tempo determinato e indeterminato, stock optino e work for equità semplificati. Un
insieme di provvedimenti che agevola anche i cosiddetti "incubatoli di impresa". «Il termine tecnico è venture
incubator, quindi un incubatore che fa anche investimenti di venture capitai nelle aziende che assiste»,
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
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MATRICOLE
06/02/2015
Espansione - Ed. n.1 - 2 gen/feb 2015
Pag. 12
(diffusione:154456, tiratura:179408)
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
spiega Enrico Gasperini, fondatore e presidente di Digital Magics. «Per dirla in due parole è una specie di
fabbrica di startup dove costruiamo le aziende insieme ai fondatori, agli imprenditori, e aiutiamo a svilupparle
promuovendone la crescita per portarle ai traguardi successivi. Lavoriamo nel comparto digitale, quindi tutte
le società in genere producono software, o prodotti online, o comunque lavorano sulla rete, sul mercato
digitale». «Abbiamo realizzato tutta una serie di servizi che servono per favorire la selezione, la crescita e lo
sviluppo di questo tipo di imprese», prosegue Gasperini. «Le imprese sono startup, quindi nascono da noi
insieme con gli imprenditori, oppure sono aziende un po' più grandi che vengono per attuare programmi di
incubazione più sofisticati, che consentono di partire dalla fase in cui si trovano per essere ulteriormente
sviluppate. Per fare questo abbiamo servizi che vanno dall'aiuto e il supporto per l'accelerazione, consulenza
strategica, commerciale, finanziaria. Un team che aiuta le aziende a costruire la parte tecnologica, le parti di
logistica con servizi di coworking e di lavoro che garantiscono all'impresa un supporto fisico, logistico. E
servizi di tipo commerciale». Quando siete nati? «Siamo attivi come incubatore dal 2008, quindi entriamo nel
settimo anno di attività, in questo periodo di tempo abbiamo fatto 50 incubazioni, vale a dire che qui sono
nate 50 startup, delle quali alcune partecipate anche a livello di equity, e ne sono uscite 10 di cui sei vendute
e quattro chiuse. Nel nostro portafoglio ce ne sono attualmente 40 attive». E da dove vengono i
finanziamenti? «In generale da quelli che i finanziatori iniziali di Digital Magics, tra cui il sottoscritto, hanno
fatto dall'inizio e nel corso degli anni. Poi sono seguiti finanziamenti in equity al momento della quotazione,
prima un bond convertìbile poi la quotazione vera e propria per oltre 10 milioni. In seguito circa altri tre milioni
di finanziamento, fatti con un paio di istituti bancali, che insieme ai profitti delle exit ci hanno consentito di fare
investimenti che oggi sono di oltre 15 milioni». Quali prospettive per il digitale? «H settore in Italia è in un
momento di grande crescita: un po' perché siamo indietro rispetto al resto dell'Europa, quindi stiamo andando
a colmare il gap che ci divide da settori del commercio elettronico come da tutti i vari settori che vengono
impattati dalla digitai economy, da internet. C'è un mercato orientato ai business consumer che offre molte
opportunità per costruire nuove imprese, come prodotti di nicchia o nel mercato globale, con imprenditori
internazionali che vengono prevalentemente dal nord Europa. Il mercato cresce nonostante la crisi. Quanto
poi al venture capitai, agli investimenti nel nostro settore, questo è un settore ancora molto piccolo anche
perché siamo tradizionalmente lenti nel costruire un ecosistema pronto a finanziare il paese, anche questo
come è naturale in virtù della opportunità oggettiva che c'è sul mercato di costruire nuove imprese. Il settore
sta crescendo rapidamente anche perché aiutato da una situazione favorevole dal punto di vista legislativo,
da un paio di anni a questa parte». Tra l'altro, insieme a Expert System, che opera nel campo della
tecnologia semantica, Digital Magie ha esaminato 1,0 milioni di artìcoli di giornali di tutto il mondo per la
ricerca "L'evoluzione del termine startup nella stampa". Il risultato è che il nome più citato risulta essere quello
di Mark Zuckenberg; il primo termine in italiano Piazza Affari; tra le città del nostro Paese la più citata è
Milano; tra le aziende Google, Apple, Microsoft, nell'ordine; termini molto citati sono tuttavia anche nascita di
un'azienda; giovane; idea; innovazione; servizi e prodotti digitali; mercato, lavoro, business, capitale,
investimento, e via dicendo. Nxt Innovation C'è anche chi lavora per le startup sul mercato internazionale.
Come spiega Guido Mastropaolo, partner di Nxt Innovation: «Lavoriamo con aziende soprattutto europee ma
anche in Medio Oriente e in America, siamo molto presenti in Italia, a Milano, come a Parigi o in Canada.
Abbiamo fondato la società in tre e tutti abbiamo una certa esperienza con le corporate, ma abbiamo anche
un trascorso di startup. Ci siamo resi conto che queste, dopo la fase di incubazione, si trovano in difficoltà al
momento dell'accesso sul mercato. Soprattutto in Europa, che non è un mercato facilmente accessibile come
quello americano per esempio, o dove il capitale non è così facilmente reperibile, dove non si può raccogliere
così come invece nella Silicon Valley, è essenziale poter far leverage sugli asset delle corporate per crescere
e svilupparsi. Ci siamo resi conto che la stragrande maggioranza delle aziende, anche grosse, ha una
scarsissima conoscenza di quello che accade in Silicon Valley e in altre parti del mondo, ivi comprese l'Italia,
la Francia, Israele e così via, dove le high tech company che hanno superato lo stadio iniziale di startup, e
sono appunto diventate high tech company, non sono conosciute in quanto molto spesso le corporate che
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non hanno antenne sul mercato e non fanno scoutìng continuo, hanno una scarsa visibilità del panorama
costituito da queste nuove aziende». Come si sviluppa il vostro lavoro? «Abbiamo identificato due bisogni
contemporanei, da una parte quello delle startup e dall'altra quello delle corporate. Ci siamo impegnati a fare
il bridge tra le due realtà, che non significa soltanto falle conoscere, ma promuovere un incontro anche
culturale e quindi di coaching. Quesf ultima attività riguarda soprattutto le startup che molto spesso sono fatte
da persone che non hanno grande familiarità con il mercato e dall'altra parte per le corporate che non hanno
l'abitudine di relazionarsi con delle startup. Il che significa che hanno bisogno di accompagnamento». Fate
scoutìng per le corporate? «Diciamo che per le grandi aziende si fa un lavoro di selezione. Ci incontriamo e
identifichiamo i bisogni di innovazione soprattutto digitale, all'interno della loro catena del valore. Una volta
fatto questo, noi che abbiamo in portafoglio molte startup con le quali abbiamo già lavorato, e siamo in grado
di fare ulteriore scoutìng, selezioniamo un piccolo bouquet di startup che potrebbero essere in linea per
soddisfare i bisogni delle corporate, con queste ultime incontriamo le startup rimaste dopo la prima selezione,
e identifichiamo quelle che sono più adatte a soddisfare i bisogni delle corporate. Poi facciamo un lavoro di
accompagnamento perché il progetto di integrazione tra la high tech company e la corporate possa
procedere. Non ci fermiamo al . momento d'incontro perché, per esperienza, abbiamo verificato che altrimenti
il processo di integrazione non funziona, non procede». Il decreto Restart Italia promette di sveltire dell'iter
burocratico e la semplificazione delle pratiche fiscali per le startup, le più numerose delle quali finora sono
dislocate nell'Italia settentrionale e operano nel settore dei servizi. I »
Fondamentale è l'uso, se non la creazione, di nuove tecnologie
II mercato digitale cresce nonostante la crisi
Foto: IL GOVERNO DA I NUMERI Stefano Firpo, Ministero dello Sviluppo: «Abbiamo già quasi 1.800 startup
innovative iscritte al Registro delle imprese e se ne aggiungono 3040 a settimana».
Foto: FABBRICA DI AZIENDE Enrico Gasperini di Digital Magie: «Costruiamo le startup insieme agli
imprenditori e le aiutiamo a crescere».
Foto: DUE BISOGNI «Abbiamo identificato due bisogni contemporanei, da una parte quello delle startup e
dall'altra quello delle corporate», dice Guido Mastropaolo, Partner di Nxt Innovation.
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Dot Com alla riscossa Ma ora tocca alle Pmi M.
Nel 2014 le aziende digitali sono cresciute ancora e oggi rappresentano il 54% di un mercato che vale in Italia
oltre 13 miliardi. Ma la vera sfida è la "conversione" delle piccole imprese tradizionali, che solo sfruttando a
pieno il traino del web possono superare i confini nazionali e uscire dalla crisi
FRANCO LEONE
.entre i negozi tradizionali aprono i loro siti e muovono i primi passi nelle vendite online, le Dot Com (le
imprese di prodotti e servizi nate su Internet) fanno la parte del leone nell'e-commerce, muovendo ormai oltre
la metà del suo giro d'affari. Sono loro ad aver conquistato, anche nel 2014, la fetta più grande di una torta
che continua a lievitare. E il 2015, secondo gli addetti ai lavori, promette di essere ancora più entusiasmante.
Già lo scorso anno, infatti, le vendite dei siti web nazionali sono cresciute del 17%, per un giro d'affari di 13,2
miliardi di euro. E gli acquisti dei cosiddetti web-shopper, circa 16 milioni di persone, hanno raggiunto i 14,6
miliardi di euro, in aumento del 16%. Insomma, ormai è un fatto: anche gli italiani stanno sostituendo il
vecchio carrello della spesa con Pc, tablet e smartphone. Solo gli acquisti fatti con il telefonino sono arrivati a
valere oltre un miliardo di euro (il 9% dell'e-commerce), 11 doppio rispetto al 2013. Ma la vera sfida è quella
del retail: se per le aziende nate sul web la strada è tutta in discesa, per quelle tradizionali, che si tratti di
piccoli esercizi o di grandi marchi, c'è ancora molto da fare. D passaggio su Internet è un percorso obbligato.
Del resto i dati parlano chiaro: negli ultimi anni il web ha rappresentato un volano formidabile per spingere
l'export italiano. E a guadagnarci possono essere soprattutto le piccole e medie imprese, che grazie alla rete
hanno la possibilità di azzerare il limite dimensionale, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione. Se è
vero infatti che l'eccellenza della produzione italiana è invidiata e richiesta da tutto il mondo, è altrettanto
evidente che le aziende spesso non sono in grado di raggiungere i loro potenziali clienti, cedendo quote di
mercato a competitor semplicemente meglio organizzati. Insomma, è arrivato il momento di attrezzarsi.
Anche perché il tempo stringe: secondo la maggior parte degli esperti, tra dieci anni sarà praticamente
impensabile per qualunque azienda sopravvivere senza essere ben piazzata su Internet. Sulle ali del turismo
A scattare la fotografia del settore è stato recentemente uno studio messo a punto da Politecnico e Netcomm.
In pole position ci sono i servizi turistici, che valgono il 40% degli oltre 13 miliardi incassati dal settore. Grazie
alle agenzie online, ma anche ai siti delle compagnie aeree e ai portali di hotel, i prodotti italiani venduti
all'estero crescono del 24% per un fatturato che supera i 2,5 miliardi di euro. Tutto il resto è dato in gran parte
dall'abbigliamento, l'editoria, l'informatica. Certo, se paragonati agli acquisti retail tradizionali, quelli online
contano ancora poco: il 3,5% di quanto si spende nel commercio tradizionale. Percentuali che però diventano
più consistenti in alcuni settori come l'editoria: in Italia l'e-book è arrivato a valere il 7% delle vendite
complessive di libri. E i prodotti dell'informatica addirittura il 10,5%. Non a caso si tratta proprio dei settori che
anche nel 2014 hanno registrato i ritmi di crescita più alti: l'editoria ha segnato un aumento delle vendite del
34% rispetto all'anno precedente, mentre l'informatica e l'elettronica di consumo hanno visto un progresso del
31%. In recupero anche l'abbigliamento online, che conta il 4% delle vendite totali ed è cresciuto del 25%.
Dot Com contro retail Nel 2014 inizia poi a essere rilevante anche il contributo di alcuni compartì, poco
significativi in passato, ma con un potenziale notevole. In primis quello gastronomico, che vale oltre 200
milioni di euro, in crescita del 30%. Ci sono poi profumeria e cosmetica, che complessivamente hanno
raggiunto lo scorso anno il tetto dei 40 milioni, in crescita del 25%. Restano, invece, sostanzialmente stabili
gli altri settori. A cominciare da assicurazioni, ricariche telefoniche, biglietti per eventi e servizi venduti
attraverso i siti di coupon. Nella classifica dei big, svettano le imprese di servizi: dal trasporto aereo e
ferroviario (Alitalia, Trenitalia, Ntv, Meridiana ecc.) alle agenzie di viaggio online (eDreams, Volagratis), i
portali di hotel (Venere.com), le compagnie assicurative (Genertel, linear), gli operatori del ticketing per eventi
(TicketOne), quelli che vendono prodotti di ogni genere (Yoox, Esselunga). Se nel vastissimo mercato online,
le Dot Com arrivano a pesare per il 54% delle vendite, il restante 46%, appannaggio delle imprese
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SCENARI E-COMMERCE
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tradizionali, è in realtà in gran parte costituito dal contributo delle imprese produttrici di servizi che da sole
pesano per il 32% delle vendite da siti italiani. Il peso dei produttori (di prodotti) e dei retailer tradizionali è
quindi ridotto al 14%. Anche nel 2014 ben 30 importanti imprese tradizionali hanno attivato un sito di ecommerce. Molte nell'abbigliamento e negli accessori, comparto in cui la sensibilità nei confronti dell'ecommerce è ormai particolarmente elevata. Nel 2014 la percentuale di insegne della grande distribuzione con
un sito di e-commerce in ambito non food è salita al 55% (era il 53% nel 2013) e in ambito food al 10% (8%
nel 2013). Una quota importante (30% circa dei brand tradizionali, produttori e retailer, con un sito di ecommerce) si è rivolta a un service provider completo, in grado di offrire lo sviluppo del sito, la gestione della
comunicazione e i servizi logistici. Un approccio di perse positivo, anche se spesso avviene con aspettative
errate da parte dei brand che attribuiscono al canale online capacità di generazione del fatturato ben oltre le
sue potenzialità e trascurano invece la progettazione di iniziative volte a sfruttare al meglio la multicanalità.
Adesso è il turno delle Pini Proprio la multicanalità rappresenta forse la vera sfida per il made in Italy in rete.
Negli ultimi tre anni sono nate almeno una quindicina di piattaforme dedicate ai prodotti italiani di" qualità. La
novità è che il matrimonio tra web ed eccellenze manifatturiere non è più un affare riservato alle grandi
imprese ma coinvolge anche le Pmi. Così, accanto a realtà consolidate come Yoox, che offre una vetrina
digitale ai grandi brand del lusso, gli investimenti delle piccole imprese si devono spostare verso i cosiddetti
aggregatori, che valorizzano le storie dei piccoli produttori. Di fatto, l'e-commerce può essere la risorsa più
importante per potenziare le esportazioni. La strada da fare è tanta, visto che solo il 5% delle imprese italiane
vende online, contro una media europea del 14%. Ma le cose potrebbero cambiare presto, anche perché gli
investitori stanno aumentando e l'affare sembra interessare progressivamente anche banche e istituzioni. Il
gap è anche di tipo culturale: il tessuto imprenditoriale italiano è costituito da aziende che hanno meno di 10
dipendenti e che vedono re-commerce con diffidenza. Inoltre la piccola impresa italiana è poco strutturata.
Ciò significa che raramente all'interno dell'azienda esiste una politica commerciale e di marketing. Così
accade spesso che l'e-commerce diventi un problema in più da risolvere anziché una chance di crescita.
«Eppure bisogna cambiare approccio», spiega Corrado Lenzi, titolare di Polmarket spa, azienda del settore
vinicolo, «perché se non si è online con informazioni complete e approfondite, si rischia di uscire
completamente dal mercato. L'azienda deve quindi organizzarsi per dedicare risorse interne a scrivere testi,
descrivere e fotografare i prodotti, comunicare con i clienti rispondendo in tempi brevi alle loro richieste,
verificare se sono arrivati ordini, spedire la mercé rapidamente, aggiornare costantemente il catalogo e i
prezzi, gestire, analizzare le statistiche del sito, gestire i social network». Per Matteo Resti, che tre anni fa ha
fondato Elite32, società di arredamento di lusso, il web è l'unico driver per l'export delle piccole aziende che
hanno voglia di farsi conoscere: «L'Italia è conosciuta nel mondo per i suoi prodotti di abbigliamento,
calzature, accessori, moda, arredo, design di qualità. Tutte le piccole e medie imprese italiane che producono
questo tipo di prodotti hanno degli spazi di mercato eccezionali. E siccome è comunque molto difficile
affrontare l'export digitale da soli, meglio entrare in una o più iniziative multimarca dove tante piccole e medie
imprese sono presenti insieme a rappresentare il meglio del made in Italy online». Ovviamente il sito web
gioca un ruolo fondamentale. Però non occorre essere dei geni dell'informatica. Ormai sono in molti gli
operatori e i service provider che offrono sul mercato piattaforme prefabbricate su cui è possibile aggiungere
servizi e funzionalità in modo graduale. Questo approccio riduce i costi e permette di far crescere il sito
insieme all'esperienza dell'azienda e alle sue necessità. «La cosa importante per partire bene», spiega Lenzi,
«è costruire un catalogo con prodotti descritti con chiarezza e belle immagini, imparare a utilizzare il database
clienti per promozioni e newsletter e imparare a lavorare sul posizionamento dei prodotti sui motori di
ricerca». Chi è il web-shopper italiano Se è vero che gli acquirenti online hanno superato in Italia i 16 milioni,
c'è però da fare un distinguo tra due tipologie differenti: gli acquirenti abituali, ossia quelli che effettuano
almeno un acquisto al mese, sono circa 10 milioni e generano il 90% circa del valore dell'e-commerce,
mentre quelli sporadici sono 6 milioni. In media spendono mille euro l'anno. Valori che comunque dimostrano
che, almeno sul piano delle cifre spese, l'Italia sta recuperando il terreno perso. Nei principali mercati europei
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non riscontriamo, infatti, valori di spesa molto distanti: si parla di 1.100 euro l'anno per quelli tedeschi, mille
per i francesi e 700 per gli spagnoli. Solo gli inglesi conservano un netto vantaggio con un valore medio di
acquisti annui di circa 2mila euro l'anno. A evolversi, come sottolineato anche dal presidente di Netcomm,
Roberto liscia, è il profilo stesso del consumatore online: «Siamo di fronte alla nascita di un nuovo tipo di
cliente, profondamente diverso dal passato, che ha preso il pieno controllo del processo di acquisto per
soddisfare i suoi bisogni. Non solo acquista online, ma utilizza il web per effettuare acquisti tradizionali
consapevoli». L'Italia resta invece fanalino di coda per quanto riguarda la diffusione dello shopping online: in
Uk i web shopper sono 39 milioni, in Germania 44 e in Francia 29, ossia rispettivamente il 78, il 74 e il 59% di
chi ha una connessione Internet. I*
Insegne GDO con sito
Insegne GDO con sito e e-commerce
COME COMPRANO ONLINE GLI EUROPEI Inglesi • Numero acquisti on line Francesi Italiani Spesa media
annua e commerce
In Italia oltre 16 milioni di persone fanno la spesa online
Foto: IL BOOM È MOBILE Gli acquisti fatti con lo smartphone, ormai hanno superato il miliardo di euro. Ma è
tutto l'e-commerce italiano che sta esplodendo. Come si vede dai grafici sotto, c'è ancora molto da fare. Ma il
gap con il resto d'Europa inizia a ridursi
Foto: ACQUISTI CONSAPEVOLI Gli italiani che fanno shopping online, oggi sono smaliziati e «in pieno
controllo del processo di acquisto», dice Roberto Liscia, presidente di Netcomm
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360com
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Sembox ha trovato la soluzione con il tool proprietario SeoTrends
DAVIDE DE VECCHI
Uno strumento per pianificare ed elaborare strategie di mrktg uno struMento proprietario Che, Mediante api,
storiCizza i dati presenti neL WeB Master tooL e neLL'anaLytiCs di googLe, rieLaBorandoLi in una serie di
report utiLi per vaLutare aL MegLio Le perforManCe deLLa seo. un sostegno per eLaBorare pianifiCazioni e
strategie di WeB Marketing Gli importanti sviluppi tecnologici che hanno caratterizzato il web negli ultimi tre
anni, la sempre crescente importanza dei motori di ricerca - canale fondamentale non solo per l'inbound
marketing, ma anche per raccogliere importanti informazioni sulle caratteristiche e i bisogni dei clienti/utenti e l'esplosione del traco mobile, rendono le fasi di raccolta e interpretazione dei dati propedeutiche alla
elaborazione di una strategia di successo. La scarsità di informazioni che Google restituisce sui principali KPI
utili alla Seo - da tempo il gigante di Mountain View ha deciso di criptare le query di ricerca e di riportare nelle
dashboard del suo Web Master Tool unicamente i dati relativi agli ultimi tre mesi -, hanno reso sempre più
dicile il monitoraggio e la valutazione delle azioni Seo e di capire le sinergie tra queste ultime e gli
investimenti in advertising. «Queste le premesse che ci hanno portato a sviluppare SeoTrends - afferma
Salvatore Cariello, Ceo di Sembox -, uno strumento proprietario che, mediante API, storicizza i dati presenti
nel Web Master Tool e nell'Analytics di Google, rielaborandoli in una serie di report utili per valutare al meglio
le performance della Seo; e più in generale per fornire spunti strategici per elaborare pianificazioni e strategie
di web marketing in completa sinergia». Trend del traco Brand e Nobrand, differenze di query tra mobile e
desktop, analisi del CTR per singola keyword e area semantica/prodotto, indicazione delle principale pagine
di accesso per device, analisi dello scenario competitivo: queste alcune Dashboard che unite al tracciamento
dei KPI più strettamente legati alla Seo (numero e trend dei posizionamenti, trend degli accessi, ecc) fanno di
SeoTrends uno strumento capace di incrementare le attività Seo e le sinergie tra queste ultime e le restanti
azioni di advertising.
i punti di forza che rendono seotrends indispensabile Nella foto qui sotto, salvatore cariello, ceo di sembox,
che sottoliNea i puNti forti di seotreNds e le sue possibili applicazioNi iN ambito azieNdale e Nelle
elaborazioNi strategiche e di marketiNg
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marketplace
06/02/2015
360com
Pag. 7
leo burnett italia si aggiudica l' advertising globale di beretta
L'incarico dato alla sigla guidata da Giorgio Brenna prevede lo sviluppo di tutte le attività di comunicazione,
dai prodotti arma fino alla gamma Clothing&Accessories
Ottavia Quartieri
Dopo una consultazione internazionale che ha visto coinvolte le principali sigle dell'advertising mondiale, il
noto marchio di alimentari Beretta ha assegnato l'incarico a Leo Burnett Italia, l'agenzia guidata da Giorgio
Brenna, come hub internazionale per le proprie attività di comunicazione, in tutti i campi e per tutti i prodotti.
Beretta vanta una tradizione di oltre 500 anni di storia, ed è una delle pochissime aziende internazionali che
si tramanda da 15 generazioni, resistendo oltre che alla crisi anche ai sistemi di globalizzazione che tendono
a riunificare sotto poche e potentissime sigle tutte le aziende di un certo settore. Infatti i fratelli Beretta dal
1812 portano sulle tavole degli italiani e dei consumatori di tutto il mondo prodotti tipici del territorio nazionale,
con certificaizoni DOP e DOC, che si caratterizzano per unicità, genuinità e naturalezza. L'incarico che dovrà
portare a termine l'agenzia Leo Burnett riguarda lo sviluppo delle attività di comunicazione per tutti i prodotti a
marchio Beretta, trasversalmente dai prodotti arma fino alla gamma Clothing & Accessories. L'agenzia è
incaricata di creare un piano di comunicazione che prevederà lo sviluppo di campagne ATL, BTL e Digital nei
principali mercati come l'Italia, gli U.S.A, UK, Francia, Russia, Australia e Nuova Zelanda. Leo Burnett,
dunque, dovrà portare in tutto il mondo la tradizione italiana attraverso i prodotti Beretta.
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06/02/2015
360com
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Fortale porta il... Cashmirino
Il progetto prevede la creazione della piattaforma di ecommerce e una campagna pubblicitaria internazionale
di lancio. E permette al brand di aprirsi ai mercati di italia, svizzera, gran bretagna, usa
Pietro Castagna
Cashmirino, linea moda per bambini, ha deciso di adarsi a Fortale per lo sviluppo del nuovo store online. Il
progetto prevede lo sviluppo della piattaforma di ecommerce e una campagna pubblicitaria internazionale di
lancio. Cashmirino disegna e produce abiti per bambini da 1 mese a 14 anni, utilizzando le più pregiate fibre
naturali di cashmere e cotone. In attività da quindici anni, il marchio è distribuito dai principali top retailer e
department store, con punti vendita a Milano e Londra. E per approcciarsi a un pubblico ancora più ampio
l'azienda debutta, ora, nel mondo dell'e-commerce grazie a Fortale, aprendosi così ai mercati di Italia,
Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti. Fortale ha selezionato Magento come piattaforma per lo sviluppo
tecnologico del progetto, adatta e versatile nella gestione dei pagamenti online nelle diverse valute risulta la
soluzione più efficace per la gestione e la presa in carico degli ordini da parte dell'azienda. L'interfaccia
grafica, studiata in modo da adattarsi a tutti i tipi di device (tablet, desktop e mobile), è stata realizzata
ottimizzando il usso di acquisto attraverso un approccio semplice e intuitivo. In occasione del lancio dell'
online store di www.cashmirino. com, Fortale ha pianificato anche la campagna adv online in Italia, Svizzera,
Gran Bretagna e Stati Uniti con focus nelle aree di Washington e New York. La promozione multilingue
(italiano, francese, tedesco, inglese) prevede attività di keyword advertising su Google, display advertising su
siti in target e Facebook Ads profilati su utenti alto spendenti. Fortale rinnova l'approccio di Cashmirino verso i
propri clienti, garantendo una valida apertura al mercato digitale e internazionale.
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La linea moda per bambini supporta lo sviluppo dello store online
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Sembox ha trovato la soluzione con il tool proprietario SeoTrends
DAVIDE DE VECCHI
Uno strumento per pianificare ed elaborare strategie di mrktg uno struMento proprietario Che, Mediante api,
storiCizza i dati presenti neL WeB Master tooL e neLL'anaLytiCs di googLe, rieLaBorandoLi in una serie di
report utiLi per vaLutare aL MegLio Le perforManCe deLLa seo. un sostegno per eLaBorare pianifiCazioni e
strategie di WeB Marketing Gli importanti sviluppi tecnologici che hanno caratterizzato il web negli ultimi tre
anni, la sempre crescente importanza dei motori di ricerca - canale fondamentale non solo per l'inbound
marketing, ma anche per raccogliere importanti informazioni sulle caratteristiche e i bisogni dei clienti/utenti e l'esplosione del traco mobile, rendono le fasi di raccolta e interpretazione dei dati propedeutiche alla
elaborazione di una strategia di successo. La scarsità di informazioni che Google restituisce sui principali KPI
utili alla Seo - da tempo il gigante di Mountain View ha deciso di criptare le query di ricerca e di riportare nelle
dashboard del suo Web Master Tool unicamente i dati relativi agli ultimi tre mesi -, hanno reso sempre più
dicile il monitoraggio e la valutazione delle azioni Seo e di capire le sinergie tra queste ultime e gli
investimenti in advertising. «Queste le premesse che ci hanno portato a sviluppare SeoTrends - afferma
Salvatore Cariello, Ceo di Sembox -, uno strumento proprietario che, mediante API, storicizza i dati presenti
nel Web Master Tool e nell'Analytics di Google, rielaborandoli in una serie di report utili per valutare al meglio
le performance della Seo; e più in generale per fornire spunti strategici per elaborare pianificazioni e strategie
di web marketing in completa sinergia». Trend del traco Brand e Nobrand, differenze di query tra mobile e
desktop, analisi del CTR per singola keyword e area semantica/prodotto, indicazione delle principale pagine
di accesso per device, analisi dello scenario competitivo: queste alcune Dashboard che unite al tracciamento
dei KPI più strettamente legati alla Seo (numero e trend dei posizionamenti, trend degli accessi, ecc) fanno di
SeoTrends uno strumento capace di incrementare le attività Seo e le sinergie tra queste ultime e le restanti
azioni di advertising.i punti di forza che rendono seotrends indispensabile Nella foto qui sotto, salvatore
cariello, ceo di sembox, che sottoliNea i puNti forti di seotreNds e le sue possibili applicazioNi iN ambito
azieNdale e Nelle elaborazioNi strategiche e di marketiNg
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La piattaforma internazionale The Fork arriva in Italia, con la regia di
TripAdvisor
Insieme a lafourchette, nome con il quale la sigla è conosciuta oltralpe, è già leader nel settore delle
prenotazioni online di ristoranti in Francia, Spagna, Belgio e Svizzera con un network di oltre 20 mila strutture
partner in Europa. Gli esercizi che che ne fanno parte nel nostro paese sono 5.000
Matteo Dedè
eFork, piattaforma internazionale per la prenotazione online e mobile di ristoranti, arriva in Italia a seguito
dell'acquisizione e dell'integrazione di restOpolis e MyTable.it da parte di TripAdvisor. eFork, insieme a
lafourchette, nome con il quale la piattaforma è conosciuta in Francia, è già leader nel settore delle
prenotazioni online di ristoranti in Francia, Spagna, Belgio e Svizzera con un network di oltre 20.000 ristoranti
partner in Europa. Con un network congiunto di oltre 5.000 ristoranti prenotabili in Italia, l'integrazione di
MyTable.it e restOpolis posiziona oggi eFork come market leader nell'e-booking di ristoranti in Italia. La
piattaforma è diretta dal management team de lafourchette, acquisita da TripAdvisor a maggio 2014. A partire
da ieri, dunque,gli utenti italiani possono prenotare un tavolo al ristorante in modo facile e veloce sul sito
www. eFork.it, attraverso l'applicazione eFork per Apple e Android o direttamente dal sito TripAdvisor.
L'ampio network di ristoranti, in continua crescita, include ogni tipo di cucina e chef pluripremiati come Paul
Bocuse, Ferran Adrià, i fratelli Roca, Chicco Cerea, Martin Berasategui e Alain Ducasse. Tutte le opzioni per
scegliere eFork permette ai clienti di scegliere il ristorante in base alla zona, ai prezzi, alle disponibilità, al tipo
di cucina e alle recensioni degli utenti. È anche possibile vedere i menù dei ristoranti e approfittare di oerte
speciali, come menù a prezzo fisso e sconti fino al 50%. Con la prenotazione online, gli sconti sono applicati
automaticamente alla cassa, eliminando l'esigenza di dover presentare un coupon al ristorante. La
piattaforma permette anche agli utenti di controllare la disponibilità in tempo reale, visualizzare orari e
ristoranti alternativi e guadagnare punti fedeltà che danno diritto a ulteriori sconti. «L'Italia è leader nel settore
della ristorazione in Europa sia in termini qualitativi sia in termini quantitativi: è impossibile trovare altrove una
varietà gastronomica paragonabile alla nostra - aerma Almir Ambeskovic, Country Manager, eFork Italia -."Il
nostro obiettivo è aiutare gli italiani a cercare e trovare esperienze culinarie eccezionali, comunicando al
meglio il nostro immenso patrimonio gastronomico attraverso la rete, principale canale utilizzato oggi dai
consumatori per informarsi e prenotare». Bertrand Jelensperger, Ceo di eFork, commenta: «A Parigi, Madrid,
Barcellona, Ginevra e molte altre città, eFork è diventata l'applicazione preferita da chi va al ristorante. Siamo
entusiasti del lancio in Italia, uno dei principali Paesi a livello gastronomico. Questa è una tappa
fondamentale del nostro sviluppo. E da oggi ci impegneremo per diventare l'applica zione di riferimento per gli
amanti della buona cucina e i proprietari di ristoranti italian». Se velocità, semplicità d'uso e promozioni sono
tra i valori aggiunti per gli utenti, eFork si configura anche come uno strumento per dare nuovo slancio al
settore della ristorazione. Grazie alle dinamiche della tecnologia online di eFork, i ristoranti possono costruire
e accrescere la fedeltà dei propri clienti e ottimizzare il tasso di prenotazioni. eFork ore ai ristoranti italiani
l'esposizione a milioni di visitatori unici al mese attraverso le pagine dedicate ai ristoranti italiani di TripAdvisor
e, al contempo, mette a loro disposizione soluzioni di soware gestionali per aiutarli a massimizzare il business
online grazie a prenotazioni essibili, sconti e strumenti per la gestione dei dati. «Se il digitale è il futuro, ogni
ristorante dovrebbe avere un sito ecace e ben posizionato nei motori di ricerca, un'app mobile e un sistema di
prenotazione online - aggiunge Sonia Re, Direttore Generale APCI, l'Associazione Professionale Cuochi
Italiani -. Tutto ciò è spesso al di fuori delle competenze dei cuochi e ristoratori, nonché economicamente
complicato. La soluzione è questa piattaforma, perché permette di gestire le prenotazioni, di sfruttare il
passaparola digitale, di orire un servizio oggi imprescindibile ai potenziali clienti. Per questo abbiamo
abbracciato la piattaforma, certi che farne parte permetterà di sensibilizzare e formare gli operatori del settore
all'impiego di nuovi strumenti di marketing e prenotazione, tutelando e qualificando, nel contempo, il loro
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In seguito all'acquisizione e integrazione di restOpolis e MyTable.it da parte del gruppo che opera in 45 paesi
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
lavoro». L'ultima opinione è di Lino Enrico Stoppani, Vice Presidente Confcommercio Milano e Presidente di
FIPE Confcommercio: «La piattaforma è senz'altro valida perché ore una modalità operativa utile: sia ai
ristoratori, che hanno un riferimento certo della prenotazione, sia ai consumatori. Questa nuova piattaforma è
un'espressione di quella che dovrebbe essere una corretta collaborazione tra i grandi gestori di questi
strumenti e tutti gli stakeholder, a cominciare dai ristoratori». <
Foto: Bertrand JeLensperger, Ceo di thefork
06/02/2015
360com
Pag. 28
Native vs Banner, chi prevarrà?
Il native adv è sempre esistito, sotto vari nomi: pubbliredazionali, contenuti sponsorizzati, sponsored post, e
così via. Si usavapoco perché considerato "debole". Ma le cose sembrano essere cambiate...
Foto: NINJAMARTKETING.IT
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
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advertising
06/02/2015
360com
Pag. 29
La (lunga) storia delle mobile app
Il primo ad avere una "visione" sulle mobile app è stato Steve Jobs, che nel 1983 "predisse" per primo un
centro di distribuzione software con sistemi da acquistare via telefono. Sono passati più di trent'anni da allora
e certamente non tutti "occupati" dalle app mobile come tendenza tecnologica principale. Oggi, però,
rappresentano il settore dell'economia digitale più dinamico sotto ogni aspetto. Ripercorriamo, allora, le tappe
dalla profezia di Jobs in poi, grazie a un'interessante infografica creata dal direttore mobile acquisition di AVG
Technologies, Matt Strain.
Foto: ADWEEK.COM
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
78
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curiosità
05/02/2015
ADV Express
Sito Web
Al via la nuova edizione del corso di Alta Formazione organizzato da UPA
Il corso rivolto a 25 giovani di talento, laureati con un brillante percorso di studi, è totalmente gratuito per i
partecipanti e vuole essere un contributo alla formazione delle nuove leve che si occuperanno della gestione
strategica del brand. Si propone di fornire, con una didattica che alterna lezioni frontali ad attività pratiche,
una visione d'insieme delle opportunità offerte dai media digitali e dai social media al marketing e alla
comunicazione aziendale, senza trascurare la comunicazione offline. Parte venerdì 6 febbraio la nuova
edizione del corso UPA di Alta Formazione in Comunicazione nella Network Society rivolto a 25 giovani di
talento, laureati con un brillante percorso di studi. (Nella foto Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente
dell'UPA). Il corso è totalmente gratuito per i partecipanti e vuole essere un contributo alla formazione delle
nuove leve che si occuperanno della gestione strategica del brand. Tenuto dai maggiori esperti di marketing e
comunicazione - docenti universitari e protagonisti riconosciuti del mondo delle imprese - il corso si propone
di fornire, con una didattica che alterna lezioni frontali ad attività pratiche, una visione d'insieme delle
opportunità offerte dai media digitali e dai social media al marketing e alla comunicazione aziendale, senza
trascurare la comunicazione offline. La selezione che ha portato alla scelta di 25 giovani è stata effettuata in
base al merito e a eventuali competenze ed esperienze nel mondo della comunicazione. Le domande di
ammissione sono state oltre 220 e di elevata qualità: oltre il 50% dei candidati si sono laureati alle magistrali
con 110 lode o 110. La classe che si è formata è composta da giovani laureati con il massimo dei voti in
materie Economiche, in Comunicazione ma anche in Filosofia, Architettura e in altre materie umanistiche.
Tematica di fondo del corso nel 2015 è la comunicazione e lo sviluppo sostenibile, con particolare riferimento
al ruolo centrale svolto dalla comunicazione nel narrare storie capaci di comunicare il valore aggiunto dato dal
legame delle imprese con il territorio. Territorio da intendersi come luogo simbolico-culturale, come luogo
fisico o come medium (come luogo di eventi e come parte di un marketing mix più ampio). Ampio spazio sarà
dedicato alla realizzazione di alcuni project work basati su casi aziendali reali e centrati sullo sviluppo di un
piano integrato di web marketing e di comunicazione multimediale. Il corso, tenuto presso la sede di UPA a
Milano, è organizzato in collaborazione con Bologna Business School, ExpoLAB Università Cattolica del
Sacro Cuore e IULM - Università di Comunicazione e Lingue . L'iniziativa ha il supporto di un Comitato
Scientifico composto da professori universitari e direttori di Master sulla comunicazione e il marketing 2.0:
Fausto Colombo (Università Cattolica, Milano), Guido di Fraia (Iulm, Milano), Roberto Grandi (Università di
Bologna). Il Comitato UPA Formazione - a cui aderiscono importanti aziende quali Assicurazioni Generali,
Eni, Ferrero, Intesa Sanpaolo, Lavazza, Veneto Banca e protagonisti del mondo della comunicazione come
Auditel, Clear Channel, IGP Decaux, Nielsen, OPQ, Piemme, Publitalia, Mondadori Pubblicità, Rai Pubblicità
, RTL 102,5 - si pone da oltre 25 anni l'obiettivo di fornire le conoscenze e gli strumenti utili per sviluppare le
competenze, le esperienze e le capacità dei professionisti della comunicazione e di facilitare l'incontro di
giovani laureati di talento con il mondo del lavoro.
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Relazioni Pubbliche
05/02/2015
ADV Express
Sito Web
Michael Page si affida a Diesis Group per la comunicazione
La collaborazione ha l'obiettivo di valorizzare il brand attraverso analisi, osservatori e ricerche in grado di dare
una visione aggiornata e internazionale sulle tendenze del mondo del lavoro. L'agenzia seguirà anche quella
del brand Page Executive che fa parte di Page Group ed è specializzato in head hunting per posizioni
direzionali e di executive management.Sarà Diesis Group a gestire le attività di ufficio stampa per Michael
Page, società di ricerca e selezione del personale specializzato a livello mondiale nell'ambito del middle e top
management. La collaborazione ha l'obiettivo di valorizzare il brand attivo nei settori banking & insurance,
consulting, digital & new media, engineering & manufacturing, healthcare, finance, oil & gas, procurement &
supply chain, retail, property & construction, sales & marketing, tax & legal, technology attraverso analisi,
osservatori e ricerche in grado di dare una visione aggiornata e internazionale sulle tendenze del mondo del
lavoro. Oltre alla comunicazione di Michael Page, Diesis seguirà anche quella del brand Page Executive che
fa parte di Page Group ed è specializzato in head hunting per posizioni direzionali e di executive
management. EC
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Relazioni Pubbliche
04/02/2015
ADV Express
Sito Web
Millward Brown: 10 digital & media trend per il 2015
Maggior sincronizzazione con i second screen; strategia social, mobile e digitali o più coordinate e integrate;
passaggio da "big" a "intelligent data"; l'invasione di Paid micro-video ads su Vine e Instagram; il Multiscreen
marketing diventerà multigenerazionale; il Programmatic advertising diventerà più creativo e dinamico e
meno "robot-generated"; le nuove metodologie valuteranno l'impatto del programmatic sulla costruzione del
brand; i servizi location -based e il brand engagement saranno più rilevanti e meno intrusivi; il Native
advertising crescerà così come le partnership tra brand e publisher per la creazione di 'native advertorial'; tutti
i touchpoints dei brand diventeranno interattivi, creando una customer experience omnichannel. Questi i dieci
trend previsti da Millward Brown per il 2015. Dal 2009, Millward Brown (parte di Kantar's media), fa delle
previsioni sui principali trend riguardanti il global media e il digitale per l'anno appena iniziato. Ecco i top ten
trend del 2015. 1. La crescita delle nuove tecnologie per una miglior sincronizzazione del second screen
controllabile e misurabile La sincronizzazione del second screen nella pianificazione di campagne
multischermo è diventata pratica comune nel corso del 2014. Il processo si basa su una tecnologia che
'ascolta' e identifica gli spot televisivi, dando contestualmente all'ad server l'ordine di acquistare spazi online
disponibili su una serie di siti tematici. Molteplici studi condotti da Millward Brown hanno dimostrato l'efficacia
della sincronizzazione del second screen nel media planning perché migliora la targetizzazione e la reach nei
confronti degli utenti che vanno online durante i break pubblicitari televisivi. Questa tecnologia sarà
ulteriormente sviluppata per incrementare il ROI degli investitori pubblicitari. 2. Le strategie social, mobile e
digitali saranno più coordinate e integrate Sebbene molti brand abbiano ancora singole strategie e piani di
mobile e social marketing, i publisher gradualmente si orienteranno verso misure cross-device, cross-platform
e approcci cross mediali. 3. Passaggio da "big" a "intelligent data" Nel 2015, sempre più professionisti del
marketing e Ceo considereranno fondamentali i big data, incrementando gli investimenti in piattaforme
tecnologiche e in analisti dei dati. Ci si concentrerà soprattutto sulle metriche legate alla crescita delle vendite
e sull'analisi dei dati riguardanti le vendite stesse. 4. I Paid micro-video ads invaderanno Vine e Instagram Nel
2014, Instagram, la nota piattaforma social di foto e video, ha iniziato a testare spot a pagamento con un
numero ristretto di brand come Taco Bell e Hollister. Quest'anno verranno anche introdotti video a
pagamento di 6 - 15 secondi. I canali offline come la tv potrebbero essere a loro volta influenzati da queste
piattaforme trasmettendo, come avviene su Vine, short film relativi ai brand della durata di 15 secondi 5. Il
marketing multiscreeen diventerà multi-generazionale Una recente indagine Millward Brown negli Usa sulle
preferenze multiscreen ha scoperto le due linee guida nel definire le preferenze di schermo: l'età delle
audience e il tempo e la concentrazione dedicate alla fruizione. Per esempio, I Millenials si sono già spostati
dalla tv e dai desktop alle piataforme mobile, preferendo utilizzare internet sui loro smartphone. Così i digital
marketers che vogliono raggiungere le vecchie audience (Gen x e Baby Boomers) devono equilibrare i loro
messaggi sia ai device mobili che a quelli fissi. 6. Il Programmatic advertising diventerà più creativo e
dinamico e meno "robot-generated" Nel 2014 il programmatic advertising ha dimostrato di essere la tipologia
di digital media spending più efficiente in termini di costi, trasparente e facilmente misurabile. Millward Brown
prevede che grazie ad algoritmi più sofisticati, gli ads programmatici saranno più creativamente adattabili,
human-focused e altamente customizzabili. 7. Le nuove tecnologie valuteranno l'impatto del programmatic sul
brand building Questo significa che chi fa marketing renderà questo tipo di messaggi veramente significativi e
rilevanti per i consumatori. Gli algoritmi saranno rafforzati con più metriche per includere più dati riguardanti le
audience, in linea con l'obiettivo di costruire una brand strategy completa. 8. I servizi location -based e il
brand engagement saranno più rilevanti e meno intrusivi. I brand che rispettano la privacy degli utenti
saranno meglio valutati. 9. Il Native advertising crescerà così come le partnership tra brand e publisher per la
creazione di 'native advertorial'. 10. Con la popolarità e l'ubiquità dei device mobili, tutti i touchpoints dei
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Dati e Ricerche
04/02/2015
ADV Express
Sito Web
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
brand diventeranno interattivi, a cavallo tra digitale e analogico, creando una customer experience
omnichannel.
04/02/2015
ADV Express
Sito Web
Il nuovo Cosmopolitan.it: più internazionale, user friendly e native
advertising oriented. Obiettivo 2015: +50% di raccolta
Il nuovo sito, presentato oggi a Milano, spinge sulla condivisione dei contenuti sui social nework, sulla
navigazione da mobile e su contenuti ad alto tasso di engagement come test, quiz, tanti nuovi modi per
giocare con il brand e rendere le lettrici sempre più protagoniste. Inoltre i native advertising sono
naturalmente inseriti nella navigazione a partire dalla testata della Home Page personalizzabile a a quattro
mani con la redazione (Branded Header). Cancelliere: "Il 2014 si è chiuso con una crescita vicina al +30%
con una quota pari al 17% sul totale raccolta del brand Cosmopolitan ed un'incidenza delle Iniziative Speciali
superiore al 50%. Il peso i di Cosmo.it sul totale raccolta Digital del Gruppo supera di poco il 10%. Presentato
oggi a Milano il nuovo sito di Cosmopolitan: più internazionale, più user friendly e native advertising oriented.
Cosmopolitan è una vera rock b(r)and! spiega in una nota stampa il direttore Francesca Delogu (nella foto): "
La forza del nostro media brand Cosmo, il mensile femminile più ricco di storia e più letto al mondo, è il suo
essere un vero e proprio lovemark multipiattaforma. Ci piace definire Cosmopolitan un Rock Brand perché il
rapporto con le nostre lettrici, le nostre followers è un po' quello che si instaura tra una band e le sue fan.
Cosmo è come un quartetto composto da carta, web, tablet e smartphone, un gruppo musicale in cui ogni
elemento suono in perfetta armonia. 2) Parola d'ordine: condivisione. In un mondo dove lo sharing è
diventato imprescindibile Cosmopolitan.it offre ovunque pulsanti di condivisione all'interno delle diverse aree,
tutti connessi con i principali social network. Il nuovo Cosmopolitan.it è il primo tra i siti internazionali non in
lingua inglese, a utilizzare la piattaforma RAMS proprietaria, che permette sharing immediato di contenuti tra
tutte le 62 edizioni internazionali. 3) E' fatto per essere navigato da mobile: Total responsive, è pensato
soprattutto per un utilizzo Mobile in grado di organizzare la struttura dei contenuti a seconda del device (già
arrivato al 50% di accessi unici). 4) Amplifica ai massimi livelli l'interazione con la propria community grazie a
un'architettura facile e divertente da usare e a tanti contenuti editoriali perfetti per la call to action: test, quiz,
tanti nuovi modi per giocare con il brand e rendere le lettrici sempre più protagoniste 5) Porta ai massimi livelli
l'engagement delle lettrici: sul nuovo sito di Cosmo i contenuti di native advertising sono naturalmente inseriti
nella navigazione a partire dalla testata della Home Page personalizzabile a a quattro mani con la redazione
(Branded Header). Il nuovo sito parte sull'onda del successo raggiunto a Dicembre 2014, con quasi 1 milione
di unique browsers (webtrekk), +42% su Dicembre 2013. Riguardo all'obiettivo di raccolta, Marco Cancelliere
(nella foto) direttore generale advertising di Hearst magazines Italia, spiega ad ADVexpress che la crescita
prevista per quest'anno, grazie al rilancio ed all'utilizzo della nuova piattaforma, è del 50%. Il 2014 si è chiuso
con una crescita vicina al +30% con una quota pari al 17% sul totale raccolta del brand Cosmopolitan ed
un'incidenza delle Iniziative Speciali superiore al 50%. Il peso i di Cosmo.it sul totale raccolta Digital del
Gruppo supera di poco il 10%. EC
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Media
04/02/2015
ADV Express
Sito Web
Accordo tra Italiaonline e Overplace per il local advertising a vantaggio
delle PMI
Con la piattaforma software di Overplace denominata Web Media Center, le aziende locali potranno gestire in
modo semplice e immediato una suite integrata nella directory di Virgilio che pubblicizza la loro attività ed è
ottimizzata per il Mobile.Italiaonline , prima internet company italiana con i portali Libero.it e Virgilio.it e
l'account di posta elettronica Libero Mail e Overplace , giovane società umbra specializzata nello sviluppo di
soluzioni per il mercato digitale locale, hanno concluso un accordo di partnership per rispondere in maniera
innovativa al bisogno di comunicazione e relazione delle micro imprese e PMI italiane, alle prese con le
nuove strategie di ricerca, selezione e acquisto del consumatore digitale. L'intesa è nata con l'obiettivo di
trovare un partner in grado di completare l'offerta digitale di Italiaonline sul mercato Local, presidiata con la
concessionaria di pubblicità ADV Locale, la directory 1254 e gli 8.100 portali locali, uno per ogni comune
italiano. Con la piattaforma software di Overplace denominata Web Media Center, le aziende locali potranno
gestire in modo semplice e immediato una suite integrata nella directory di Virgilio che pubblicizza la loro
attività ed è ottimizzata per il Mobile. La "vetrina virtuale" powered by Overplace è completa di funzionalità
quali: promozioni per ingaggiare e fidelizzare i consumatori finali; coupon per le offerte shock; prenotazioni di
servizi e booking; modulo Facebook per potenziare con efficacia i profili social aziendali; messaggi per l'invio
massivo di offerte e comunicazioni; feedback per la richiesta di recensioni dei clienti; e infine la gestione degli
accessi wi-fi free. E' una soluzione che va incontro ai "social shopper", i nuovi consumatori in costante
aumento, che utilizzano giornalmente servizi quali coupon e booking. Per Italiaonline , la partnership con
Overplace è quindi il mezzo ideale per proseguire il cammino verso la sua mission di comporre un'offerta
completa e competitiva di servizi di comunicazione destinati alle imprese locali. EC
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Internet
04/02/2015
ADV Express
Sito Web
Federico Filippa nuovo PR Manager di Subito.it
Filippa avrà la responsabilità delle attività di media e public relations per la piattaforma digitale n. 1 in Italia
per la compravendita dell'usato e risponderà a Melany Libraro, General Manager di Subito.it.Subito.it (
www.subito.it ) , la piattaforma digitale n. 1 in Italia per la compravendita dell'usato con oltre 8,8 milioni di
utenti unici mensili*, annuncia l'ingresso di Federico Filippa con la carica di PR Manager . Filippa avrà la
responsabilità delle attività di media e public relations e risponderà a Melany Libraro, General Manager di
Subito.it. Classe 1979, laureato in Relazioni Pubbliche all'Università degli Studi di Udine e con un corso di
specializzazione in Social Media Marketing Specialist alla Boscolo Factory School di Milano, Federico Filippa
entra in Subito.it dopo aver maturato un'esperienza decennale nel settore della comunicazione in importanti
realtà del panorama internazionale e nazionale. Filippa nasce come giornalista nel 2002 nella redazione de "Il
Piccolo" di Trieste prima di partire per New York all'Ufficio Stampa della Rappresentanza Diplomatica Italiana
alla Nazioni Unite. Lavora a Milano dal 2005 prima nella Corporate Communications di Siemens, poi in Hill &
Knowlton dove inizia a trattare anche la materia "comunicazione interna" per gli stabilimenti del Gruppo FIAT.
Nel 2011 in Alcantara sviluppa i principali social media aziendali per poi diventare dal 2012 Communication,
Public Affairs and Social Media Manager di NH Italia S.p.A. (NH Hotel Group). "L'ingresso nel team di una
figura come Federico Filippa contribuirà a consolidare ulteriormente e far crescere l'immagine del brand di
Subito.it" ha dichiarato Melany Libraro, General Manager di Subito.it. "Affronto questa nuova avventura con la
voglia di mettere a disposizione tutte le mie esperienze e competenze per rafforzare sempre di più il
posizionamento di Subito.it e con l'entusiasmo di entrare a far parte di una realtà giovane e dinamica che si
sta distinguendo sul mercato italiano per innovazione e passione" ha commentato Federico Filippa . EC
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Persone
05/02/2015
ADV Express
Sito Web
TRUE COMPANY amplia il team con l'arrivo di Emanuela Cutone, Giovanni
Trabucco e Giuseppe Lay
Emanuela Cutone è la General Manager del gruppo ed è già alla guida di tutti i lavori in essere e di tutti i
progetti appena avviati. Giovanni Trabucco è il nuovo Executive Creative Director di TRUE COMPANY.
Giuseppe Lay è Digital Account di TREEWEB. Il gruppo, che ha sede nel cuore del quartiere Isola, conta oggi
uno staff di più di 30 professionisti specializzati nei diversi ambiti della comunicazione, dall'advertising
(TRUE) al digital (TREEWEB), dal branding (3DESIGN) alle public relations (CHILI PR), sino al web
development TRUE LAB.TRUE COMPANY, gruppo italiano di agenzie con competenze nelle specializzazioni
verticali al servizio delle imprese, delle marche e dei prodotti, ha inaugurato il 2015 con l'arrivo di nuove figure
all'interno del gruppo, nello specifico Emanuela Cutone, Giovanni Trabucco e Giuseppe Lay. Emanuela
Cutone è la General Manager del gruppo ed è già alla guida di tutti i lavori in essere e di tutti i progetti appena
avviati. Dopo una laurea in Scienze Politiche alla Luiss di Roma e il master di Publitalia in marketing e
comunicazione ha iniziato la sua carriera in Saatchi & Saatchi prima a Roma e poi a Milano e negli ultimi 14
anni in DVL BBDO come vicedirettore generale. Ha lavorato sia su clienti internazionali (Bayer, Mars, Pepsi)
che nazionali (UBI Banca, CheBanca!, Sisal). Giovanni Trabucco è Executive Creative Director di TRUE
COMPANY. Dopo un'esperienza pregressa di 4 anni in 3DESIGN e 2 anni in White, Red & Green, è tornato
per dare il suo contributo creativo al gruppo. Nella sua carriera ha lavorato sia su clienti nazionali che
internazionali, tra cui Sony, Monterosa Ski, Bosch, Siemens e Gruppo Coin (Upim, Blukids). Giuseppe Lay è
Digital Account di TREEWEB. Di origine sarde, ma trapiantato a Milano è nel settore della comunicazione
pubblicitaria dal 2009. In questi anni ha operato all'interno di agenzie pubblicitarie tra cui Bcube Srl e ALL Srl
e il partner associato KIWIDIGITAL Srl , prima in ambito ATL, poi digital e BTL su eventi e attività
promozionali per numerosi clienti, tra cui Campari e MINI. Il gruppo, che ha sede nel cuore del quartiere Isola,
conta oggi uno staff di più di 30 professionisti specializzati nei diversi ambiti della comunicazione, dall'
advertising (TRUE) al digital (TREEWEB), dal branding (3DESIGN) alle public relations (CHILI PR), sino al
web development TRUE LAB. (Nella foto da sinistra Giuseppe Lay, Emanuela Cutone e Giovanni Trabucco).
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Persone
05/02/2015
ADV Express
Sito Web
A Leo Burnett Italia la comunicazione globale della fabbrica d'armi Pietro
Beretta
, ottenuto in seguito a una consultazione internazionale, riguarda lo sviluppo delle attività di comunicazione
per tutti i prodotti a marchio Beretta, trasversalmente dai prodotti arma fino alla gamma Clothing &
Accessories. L'agenzia guidata da Giorgio Brenna è incaricata di creare un piano di comunicazione che
prevedrà lo sviluppo di campagne ATL, BTL e Digital nei principali mercati come l'Italia, gli U.S.A, UK,
Francia, Russia, Australia e Nuova Zelanda.Dopo una consultazione internazionale che ha visto coinvolte le
principali sigle dell'advertising mondiale, Beretta ha incaricato Leo Burnett Italia, l'agenzia guidata da Giorgio
Brenna (nella foto), come hub internazionale per le proprie attività di comunicazione. Beretta vanta una
tradizione di oltre 500 anni di storia, ed è una delle pochissime aziende internazionali che si tramanda da 15
generazioni. L'incarico riguarda lo sviluppo delle attività di comunicazione per tutti i prodotti a marchio
Beretta, trasversalmente dai prodotti arma fino alla gamma Clothing & Accessories. L'agenzia è incaricata di
creare un piano di comunicazione che prevedrà lo sviluppo di campagne ATL, BTL e Digital nei principali
mercati come l'Italia, gli U.S.A, UK, Francia, Russia, Australia e Nuova Zelanda. SP
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Electronic Arts avvia una revisione del media pan-europeo da oltre 100 mln di euro
05/02/2015
ADV Express
Sito Web
Benetton Group rilancia Sisley e sceglie Fedez per la nuova campagna
firmata Factory 27 (Condé Nast). Sul web il 40% del budget
Con l'obiettivo di potenziarsi sul mercato domestico, il marchio di moda del gruppo al centro di un piano
strategico che ne intende ridelineare la presenza nazionale attravrso una serie di nuove aperture e restyling
dei punti vendita dedicati. A supporto della nuova collezione P/E la campagna che vede il rapper milanese e
la fidanzata Giulia Valentina protagonisti degli scatti del celebre fotografo americano Wayne Maser. Il piano
media curato da Mec prevede uscite stampa, affissioni e web. Riflettori puntati su Sisley. Il marchio di
Benetton Group si rilancia in Italia inaugurando una nuova stagione ricca di aperture e restyling dei propri
punti vendita e torna sulla scena mediatica con la nuova campagna P/E 2015 che vede protagonista il rapper
milanese Fedez e la fidanzata Giulia Valentina ritratti negli scatti del celebre fotografo americano Wayne
Maser. Nel suo portfolio sterminato ci sono i nomi di Elizabeth Taylor, Johnny Depp, Madonna, Mikhail
Baryshnikov, Clint Eastwood e di molte altre celebritiy. "Nel 2015 abbiamo rifocalizzato l'attenzione su Sisley
e il suo potenziamento sul mercato domestico per dare sempre più valore alla sua italianità" ha dichiarato
Gianluca Pastore, worldwide communication director Benetton Group. "E chi meglio di Fedez poteva
rappresentare l'immagine di una marca che ha fatto di sexiness, ironia e unconventional i valori cardine della
propria essenza. Sisley vanta una storia in comunicazione che molte volte ha fatto discutere e la nuova
campagna è stata sviluppata in coerenza con l'approccio passato ma con un occhio di riguardo alle nuove
forme di comunicazione. Sempre più coinvolgenti e interattive. Le domande che compaiono nei diversi
soggetti della campagna (per ora 6 ma diventeranno 9 con i tre per le licenze accessori), sono le stesse che
rivolgiamo alle persone per instaurare con loro un rapporto più intimo e bidirezionale. Il digitale è un canale su
cui noi, a livello di gruppo, investiamo molto: il 40% circa del budget annuo. Anche per questa campagna la
presenza online sarà massiccia e verrà affiancata dal lancio del nuovo sito Sisley firmato Kokokaka e
costruito all'insegna di usability e interazione. " Obiettivi ambiziosi per Sisley che intendono portare il marchio
a valere il 15% del fatturato globale del Gruppo, che ha archiviato il 2014 in linea con l'anno precedente
(chiuso a 1,64 miliardi di euro di sell in). Per il 2015 gli investimenti in comunicazione di Benetton Group
saranno in linea con il 2014 e il 35% degli stessi sarà dedicato all'Italia. A firmare la creatività del nuovo
format di comunicazione Factory 27 sotto la direzione creativa di Cristina Baccelli. La divisione del gruppo
editoriale Condé Nast ha ideato Sisleystories, un'intervista "visiva" realizzata con un personaggio che con la
sua potenza iconica racconta lo stile del marchio. Il concept si basa su un'intervista immaginaria, tradotta
visivamente da una creatività in cui compaiono una serie di domande le cui risposte sono le immagini stesse
della campagna. Sisley ha sempre voluto raccontare molto di più che un semplice prodotto: centro nevralgico
sono persone caratterizzate da personalità poliedriche e contrastanti, da vite appassionate e fuori dagli
schemi. Guarda il video. Fedez, (il suo vero nome è Federico Leonardo Lucia) oltre ad essere musicista,
producer e artista curioso è in assoluto il personaggio mediatico dell'anno, che con Sisley si misura per la
prima volta nella veste di interprete di una campagna di moda. Dalla tv alla carta stampata, dalla rete alle
radio, non si fa che parlare di lui. Soprattutto perché ha inaugurato uno "stile non comune", che conquista
donne e uomini di tutte le età. Fedez ha uno stile metropolitano, veloce, ribelle. Ma anche ironico e
spregiudicato al "punto giusto" da incarnare il mood e l'anima del marchio stesso. Nella campagna sono forti i
riferimenti al protagonista maschile come personaggio della musica e dello spettacolo, con domande
"piccanti" e qualche provocazione in piena coerenza con i core values di Sisley: sensuale e contemporaneo,
capace di seguire i trend con individualismo e creatività. Un mix nel quale si sovrappongono l'ironia e il feeling
della coppia. La campagna è pianificata da Mec su periodici, quotidiani, web e in affissione, a partire dal 12
febbraio, insieme ad un'intensa attività sui canali social. Sisleystories prosegue poi nei flagship Sisley di
Milano, Roma e Firenze, dove a partire dal 25 marzo a Milano, Fedez sarà protagonista di esclusivi eventi in
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05/02/2015
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store. Da febbraio, sul nuovo sito Sisley.com, sarà online un'intervista esclusiva ai due protagonisti, e sarà
possibile visionare la gallery dei loro look preferiti, scelti personalmente dalla collezione Sisley PE 2015.
06/02/2015
ADV Express
Sito Web
Nasce 'Sfide in cucina', il web talent del Grana Padano DOP Granarolo
Su www.sfideincucina.it un concorso a premi in cui creare la tua ricetta con il "Grana Padano DOP
Granarolo". Saranno gli stessi utenti del sito a decidere, attraverso una votazione online, il vincitore di
ciascuna sfida, che si aggiudicherà un carnet di buoni acquisto di prodotti Granarolo del valore di 150 €.
L'iniziativa si lega all'attività di advertising di Granarolo durante la nuova edizione di "Masterchef Italia" ed è
esteso a tutto il territorio nazionale. Il 6 maggio 2015 sarà estratto il vincitore del premio finale: un robot da
cucina della Vorwerk Contempora S.r.l., modello Bimby TM5.Granarolo S.p.A., il maggiore operatore agroindustriale del Paese a capitale italiano, lancia il concorso a premi "Sfide in cucina", web talent rivolto a coloro
che acquisteranno Grana Padano DOP Granarolo in formato grattugiato (confezione da 90g) e/o a spicchio
(confezione da 200g). Il concorso si lega all'attività di advertising di Granarolo durante la nuova edizione di
"Masterchef Italia" ed è esteso a tutto il territorio nazionale. Partecipare è semplice: iscrivendosi sul sito
www.sfideincucina.it, i partecipanti potranno cimentarsi in una delle tre sfide culinarie, nelle quali dovranno
realizzare una ricetta in cui sia presente il Grana Padano DOP Granarolo. La prima sfida, denominata
"romantica" (dal 5 al 19 febbraio 2015), consiste nel realizzare una pietanza da accompagnare a una serata.
La seconda è quella "aperitivo" (dal 5 al 19 marzo 2015), per creare un piatto ideale per l'happy hour. Nella
terza, la "regionale" (dal 2 al 16 aprile 2015), i partecipanti si sfideranno nella preparazione del piatto
regionale Tutte le ricette dovranno essere realizzate utilizzando uno dei due prodotti Grana Padano DOP
Granarolo promozionati. Saranno gli stessi utenti del sito a decidere, attraverso una votazione online, il
vincitore di ciascuna sfida, che si aggiudicherà un carnet di buoni acquisto di prodotti Granarolo del valore di
150 €. Il 6 maggio 2015 sarà estratto il vincitore del premio finale: un robot da cucina della Vorwerk
Contempora S.r.l., modello Bimby TM5. Ma vince anche chi vota: tra tutti gli utenti registrati, che abbiano
espresso almeno una preferenza, sarà estratto un carnet di buoni acquisto del valore di 100 €. Regolamento
e modalità di partecipazione su www.sfideincucina.it
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Internet
06/02/2015
ADV Express
Sito Web
Imille vince la gara e diventa la nuova agenzia digital e social di Corona
Extra
L'agenzia milanese si aggiudica il pitch per la comunicazione digitale 2015 che prevede il restyle del sito web
del brand di birra, la gestione dei social network, il viral marketing e le attivazionisul territorio. Imille seguirà
l'attività social che sarà il fulcro della comunicazione 2015, a cui si connetteranno una serie di attivazioni che,
dallo sport alla musica, da sempre accompagnano Corona. Obiettivo della strategia digital è di creare uno
state of mind attraverso una comunicazione multi-piattaforma fresca, solare e senza etichette. A seguito di
una consultazione che ha visto la partecipazione di tre agenzie, Anheuser-Busch Inbev Italia affida a Imille il
budget digital 2015 di Corona Extra. Come si legge nella nota stampa, Imille ha convinto con una proposta
integrata che interpreta estendendo il nuovo posizionamento della birra messicana. Dopo aver ripreso la
distribuzione del brand Corona nel 2014 AB Inbev Italia metterà in campo molte attività di marketing sul
territorio italiano nel 2015 con un grande focus sul digitale. Nel 2015 Corona estenderà ilsuo 'spirit of the
beach' con diverse attività digitali e sul territorio. Imille seguirà l'attività social che sarà il fulcro della
comunicazione 2015, a cui si connetteranno una serie di attivazioni che, dallo sport alla musica, da sempre
accompagnano Corona. Obiettivo della strategia digital è di creare uno state of mind attraverso una
comunicazione multi-piattaforma fresca, solare e senza etichette. Proprio come sono Corona e il suo target.
Una comunicazione che rispecchi, in ogni sua espressione, le qualità e l'essenza di questa birra, ma anche
tutti i suoi valori. "Non potevamo chiedere di meglio, Corona è il marchio perfetto per Imille perché possiede
la giusta dose di coolness e innovazione che ci permetterà di esprimerci come piace a noi, ovvero lavorare
divertendoci, - ribadisce Paolo Pascolo, Creative Director Imille - abbiamo subito colto la sfida di far crescere
il brand in Itali amettendo in campo idee e soluzioni di grande effetto." EC
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06/02/2015
ADV Express
Sito Web
Ritorno in tv e sul web per Transitions Optical. Firma DDB
On air in primavera sulle principali reti tv e in rete, la campagna di Transitions Optical vuole supportare i
Centri Ottici nel compito di consigliare ai propri clienti attuali e potenziali un prodotto innovativo e riconosciuto
come Transitions. Lo spot televisivo raffigura un dimmer in primo piano, che regola l'intensità della luce
percepita a seconda delle condizioni esterne. Qualunque siano le condizioni di luce, la campagna
pubblicitaria di Transitions mostra in modo immediato come le lenti riescano ad adattarsi perfettamente a
qualsiasi cambiamento di luce.Dopo il successo dello scorso anno, Transitions Optical annuncia che in Italia
in primavera ripartirà la sua campagna di comunicazione 2015 su tv e web, firmata DDB. Da diversi anni
Transitions Optical investe in comunicazione media per accrescere sempre più la notorietà delle sue lenti
dinamiche e incoraggiare coloro che indossano occhiali a valutare i benefici offerti dalle lenti Transitions,
richiedendole così direttamente presso i propri Centri Ottici di fiducia. Nel corso dell'indagine effettuata tra i
consumatori, la campagna media ha dimostrato di potenziare in modo significativo l'immagine del brand
Transitions, spingendo l'utente all'acquisto. Lo spot on air ha catturato l'attenzione degli spettatori, dando loro
un'esperienza reale di 'visione attraverso la lente' e dimostrando la capacità di adattamento delle lenti
Transitions nella vita di tutti i giorni. On air in primavera sulle principali reti tv e sul web, la campagna di
Transitions Optical vuole supportare i Centri Ottici nel compito di consigliare ai propri clienti attuali e potenziali
un prodotto innovativo e riconosciuto come Transitions. Lo spot televisivo raffigura un dimmer in primo piano,
che regola l'intensità della luce percepita a seconda delle condizioni esterne. Qualunque siano le condizioni
di luce, sia che si tratti della luce al tramonto o quella del sole del primo mattino, la campagna pubblicitaria di
Transitions mostra in modo immediato come le lenti riescano ad adattarsi perfettamente a qualsiasi
cambiamento di luce, riuscendo a garantire colori più vividi e migliorando la visione durante tutto l'arco del
giorno. L'immagine del dimmer ha dimostrato di essere efficace per spiegare i vantaggi delle lenti, facendo
vivere al telespettatore una experience in prima persona. Una novità per la campagna 2015: lo spot si chiude
con un importante messaggio ai consumatori 'Scegli le autentiche, chiedi al tuo Centro Ottico il Certificato di
Autenticità'. Un messaggio chiave che permetterà ai Centri Ottici Partner Transitions di differenziarsi
nell'offerta ai propri clienti, offrendo loro la garanzia che stanno acquistando un prodotto autentico di grande
qualità. SP
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06/02/2015
ADV Express
Sito Web
Alkemy acquisisce TSC Consulting e raggiunge oltre 30 mln per fatturato
aggregato
La società romana,con sedi anche a Milano, Cagliari e Rende (Cosenza) è specializzata in system
integration, R&S di tecnologie di frontiera e service per l'area communication ed eCommerce. Grazie a
questa operazione Alkemy raggiunge 200 persone per membri dello staff, rafforza inoltre le quote della
società in mano al management. L'acquisizione consente inoltre alla società di consolidare le proprie
competenze in ambito tecnologico e di affacciarsi sul mercato della digital transformation, caratterizzato da
ampi tassi di sviluppo.Alkemy, digital enabler italiano, apre il 2015 mettendo a segno la sua seconda
acquisizione a poco più di due anni dalla costituzione. Entra a far parte del gruppo - che integra all'interno di
un'unica struttura servizi di Digital Advisory, eCommerce, Digital Media Planning, Performance Marketing,
Social Media & Digital PR, Agency - TSC Consulting: società romana,con sedi anche a Milano, Cagliari e
Rende (Cosenza), specializzata in system integration (open source & cloud services soprattutto), R&S di
tecnologie di frontiera e service per l'area communication ed eCommerce (innovation lab di Cagliari).
Francesco Beraldi, insieme ai manager della società, conferiscono infatti il 100% di TSC Consulting - 80
persone e 7 milioni di fatturato - nella società milanese guidata da Duccio Vitali (Amministratore Delegato)
diventando socio con una quota di circa il 15%. Grazie a questa operazione Alkemy raggiunge dimensioni di
oltre 30 milioni di euro per fatturato aggregato e 200 persone per membri dello staff, rafforza inoltre le quote
della società in mano al management. L'acquisizione consente inoltre alla società di consolidare le proprie
competenze in ambito tecnologico e di affacciarsi sul mercato della digital transformation, caratterizzato da
ampi tassi di sviluppo. La crescita costante registrata da Alkemy in questi due anni dalla nascita, conferma la
validità dei presupposti e della visione di fondatori e management: la rilevanza sempre crescente del digitale
nello sviluppo del business delle aziende - il comparto cresce infatti a ritmi del 15% l'anno e che supera il
miliardo di euro di valore - insieme alla mancanza, sul mercato, di un attore forte che incorporasse più aree di
specializzazione del digitale. "Con TSC Consulting a bordo rafforziamo le nostre competenze in ambito
tecnologico ed entriamo anche nel settore della digital transformation. Il mercato cioè che ricomprende le
tecnologie, la consulenza e le operations a supporto del digitale. A poco più di due anni dalla nostra nascita,
direi che Alkemy si posiziona in come la realtà più rilevante, in Italia, in questo mercato", ha dichiarato Duccio
Vitali (nella foto), Amministratore Delegato di Alkemy "L'ingresso in Alkemy consente a TSC di affiancare alla
nostra area di specializzazione una visione più ampia, e maggiormente d'insieme, del mercato che ci aiuterà
a sviluppare, insieme, soluzioni sempre più all'avanguardia", dichiarano Francesco Beraldi - ora Presidente
della società e board member di Alkemy - insieme ad Alessandra Spada, imprenditori e fondatori di TSC
Consulting, Alessandro Mattiacci, Vice Presidente di Alkemy, guiderà lo sviluppo della BU Digital
Transformation come Amministratore Delegato di TSC. Con l'acquisizione di TSC, Alkemy consolida la sua
leadership nel mercato dei servizi digitali B2B, con un fatturato consolidato di oltre 30 milioni di euro ed un
EBITDA intorno al 12%. SP
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06/02/2015
ADV Express
Sito Web
Europ Assistance sceglie InTarget Group per il Performance Advertising
La compagnia di assicurazioni attiva nell'ambito dell'assistenza privata ha rinnovato con l'agenzia di digital
marketing l'incarico di Performance Advertising. La strategia elaborata da InTarget è orientata a
un'evoluzione dell'approccio media di Europ Assistance al fine di massimizzare il presidio del customer
journey degli utenti. Due gli elementi fondamentali del piano proposto. Da un parte si punta sul native
advertising, dall'altra ci si focalizzerà sull'incremento delle performance attraverso un'attività di funnel
optimization. Continua e si consolida il rapporto di partnership tra Europ Assistance e InTarget Group. La
compagnia di assicurazioni attiva nell'ambito dell'assistenza privata ha rinnovato con l'agenzia di digital
marketing l'incarico di Performance Advertising. "È il quinto anno consecutivo che lavoriamo insieme a
InTarget - afferma Michele Petrilli, Market Manager Remote Channel di Europ Assistance - . Con la loro
consulenza abbiamo avviato un percorso di progressivo investimento sulle attività adv che ci ha permesso di
raggiungere importanti risultati in termini di fatturato del canale Web. Gli obiettivi del 2015 sono ancora più
ambiziosi, tra tutti quello di trovare importanti sinergie multicanali tra Web e Phone. Grazie al lavoro svolto
con InTarget siamo fiduciosi di poter confermare anche quest'anno il trend positivo di crescita". La strategia
elaborata da InTarget è orientata a un'evoluzione dell'approccio media di Europ Assistance al fine di
massimizzare il presidio del customer journey degli utenti. Due gli elementi fondamentali del piano proposto.
Da un parte si punta sul native advertising, con il coinvolgimento di siti editoriali in particolar modo dell'area
travel. L'integrazione sinergica tra le attività promozionali e quelle contestuali permetterà di avere una
copertura capillare, efficace e ad ampio raggio strutturata su una serie differenziata di formati e modalità di
posizionamento. Dall'altra, invece, ci si focalizzerà sull'incremento delle performance attraverso un'attività di
funnel optimization volta a ridisegnare i passaggi chiave del percorso di conversione. "Mediante il monitoring
e l'analisi di tutti gli step che portano all'acquisto delle polizze Europ Assistance, sia sul canale web che sul
canale phone, sarà possibile individuare i principali KPI per ottimizzare il ritorno economico di entrambi i
canali - afferma Andrea Zennaro (nella foto), Head of Advertising a InTarget Group - . I primi track di
monitoring saranno focalizzati su attività di recording experience, form optimization e A/B testing su landing e
percorsi dei funnel". SP
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06/02/2015
ADV Express
Sito Web
Nuovo assetto in Resolution by Omnicom Media Group con la nomina di
Ambroso a Head of Data and Digital Comm. e Fossi a COO
Il Gruppo guidato in Italia da Marco Girelli rafforza la sua strategia in ambito CRM con una nuova
organizzazione della business unit dedicata ai servizi di marketing e comunicazione digitale e la nomina dei
due manager con il compito di assicurare costantemente l'integrazione di Resolution con tutte le unit di lavoro
e in tutte le fasi delle campagne di comunicazione. Omnicom Media Group, partner certificato di Google
Analytics da giugno 2014, fa un passo oltre e rafforza la sua strategia in ambito CRM. Il processo di
certificazione, completato 8 mesi dal team Analytics guidato da Mauro Ginelli, è nato per integrare soluzioni
analitiche con le attività di comunicazione e di business analysis dei clienti del Gruppo che oggi, consolidata
la competenza in ambito dati, prosegue un percorso verso "l'umanizzazione" del dato. In primis attraverso il
nuovo assetto organizzativo di Resolution, la business unit dedicata ai servizi di marketing e comunicazione
digitale al servizio dei clienti delle agenzie del gruppo, OMD e PHD. Lanciata in Italia nel 2013, Resolution è
nata per raggruppare sotto un unico marchio i servizi di marketing e comunicazione digitale, dal Search
all'ottimizzazione di dati al servizio dei clienti. Oggi la dimensione della unit è triplicata, proprio per andare
incontro alle nuove opportunità di un mercato in rapido cambiamento e si ristruttura in modo da rispecchiare
le esigenze organizzative che ne conseguono, innanzi tutto presso le aziende. Due le principali novità rispetto
all'assetto organizzativo: la guida di Odoardo Ambroso (nella foto), Head of Data and Digital Communication
e la nomina di Guido Fossi come Chief Operation Officer, con il compito di assicurare costantemente
l'integrazione di Resolution con tutte le unit di lavoro e in tutte le fasi delle campagne di comunicazione.
Ambroso possiede una solida esperienza, maturata prima nel marketing e poi in materia di dati e CRM sia
presso grandi aziende - tra le quali ricordiamo Nestlé - e successivamente in strutture consulenziali
ampliamente specializzate, come Ammiro Y2K. Fossi ha consolidato il proprio percorso professionale prima
in ambito marketing per grandi aziende italiane (tra cui Manetti e Roberts, Bindi, Enervit) per poi approdare in
Ammiro Y2K nel 2006 come responsabile del CRM. "Mai come oggi, nell'attuale contesto competitivo, siamo
convinti che siano le persone a fare la differenza" commenta Marco Girelli, CEO di Omnicom Media Group.
"Gli strumenti, senza le teste giuste, sono solo strumenti. I cookies, senza la capacità di dar loro un volto, non
sono che stringhe di dati. Per questo stiamo investendo per inserire nel nostro team figure professionali con
forti competenze verticali, in questo caso nell'ambito di analisi dei dati e CRM, e che grazie alla loro
esperienza maturata in diverse realtà (ed in momenti di svolta chiave del mercato) possiedono una forte
capacità di pensiero strategico integrato e trasversale: Odoardo e Guido sono tra queste. La nostra
scommessa è quella di integrare tecnologia ed esperienza di comunicazione in modo da dare un volto
personale - e quindi una comunicazione personalizzata e rilevante - ad ogni cookie." EC
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Internet
06/02/2015
Engage.it
Sito Web
Subito.it acquisisce la startup Dotadv nell'ambito di una collaborazione
con Digital Magics
Facendo sua la piattaforma dedicata alle PMI per la gestione automatica della pubblicità online , il sito di
compravendite conferma la sua attenzione al mondo dell' advertising locale e delle piccole e medie imprese
Subito.it e Digital Magics hanno avviato una collaborazione nell'ottica di trovare e sviluppare soluzioni
innovative per la piattaforma digitale di Subito.it e il primo risultato si è concretizzato con l'acquisizione della
startup Dotadv da parte di Subito.it.Dotadv - si legge nella nota con cui è stato ufficializzato l'accordo - è la
prima piattaforma italiana dedicata alle PMI per la gestione automatica della pubblicità online, che si integra
perfettamente con i processi redazionali e gestionali dell'editore. Il rapporto fra Subito.it e Dotadv, per l'
advertising locale e i piccoli inserzionisti, nasce nel 2014. Avendone riconosciuto le potenzialità e funzionalità,
oltre al modello di business estremamente scalabile, Subito.it ha deciso di estendere e implementare la
tecnologia e il software proprietari di Dotadv - sviluppati dai fondatori Fausto Preste, Lorenzo Marzullo,
Davide Fiorentini, Arrigo Benedetti Ciampi - integrando la piattaforma e facendola diventare un asset
aziendale proprio.Fondata nel 2012, Dotadv ha sviluppato una piattaforma di self-service advertising che
consente di automatizzare la vendita di spazi pubblicitari sul web in pochi semplici click sia per gli editori che
per gli inserzionisti. L'idea si basa sul self-provisioning: l'investitore accede all'offerta dell'editore, sceglie gli
spazi, configura la campagna e realizza il banner durante il processo di acquisto. Ricevuto l'ordine, il
publisher ne controlla la qualità, lo approva e la campagna adv è subito pronta per essere online. Nei due
anni di attività, importanti editori come Citynews (MilanoToday, RomaToday, NapoliToday), Gruppo Monrif
(QN, Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno), Fanpage.it e anche Subito.it hanno scelto la tecnologia di
Dotadv.«L'acquisizione di Dotadv mira a rafforzare il posizionamento e la leadership di Subito.it nel mercato
dell'advertising locale e delle piccole-medie imprese - afferma Melany Libraro, general manager di Subito.it -.
Grazie all'integrazione della piattaforma, la concessionaria di Subito.it potrà offrire a tutti i propri clienti
soluzioni sempre più personalizzabili. Subito.it continuerà a collaborare con Digital Magics e con altri
incubatori nell'ottica di trovare e sviluppare soluzioni innovative per la piattaforma digitale di Subito.it».«Dalla
collaborazione con Dotadv da subito abbiamo riconosciuto il valore del team e del servizio tecnologico.
Qualche mese fa hanno chiesto il nostro supporto nel processo di accelerazione e cessione, per le
competenze e le esperienze del team di Digital Magics. Abbiamo deciso di supportare Fausto Preste e gli altri
fondatori per dare un segnale all'ecosistema del venture capital e alle imprese italiane. Ci sono ancora poche
operazioni di M&A su startup in Italia e il fatto che una realtà in forte crescita come Subito.it e il suo gruppo
industriale internazionale abbiano deciso di investire in una tecnologia digitale italiana, acquisendola, deve
essere da esempio per tutti», aggiunge Alessandro Malacart, partner e co-ceo di Digital Magics.«L'avventura
di Dotadv consiste nell'ottimizzazione di processi comuni a tutta l'industria dell'online advertising, ma Subito.it
ha dimostrato immediatamente un'attenzione particolare per il nostro modello e una velocità straordinaria
nell'implementarlo efficacemente. L'acquisizione è stata la naturale evoluzione di una partnership orientata
alla creazione di nuovo valore. Digital Magics ha giocato un ruolo fondamentale nell'operazione, che per la
sua complessità sarebbe stata di difficile approccio per una startup come Dotadv», commenta Fausto Preste,
fondatore di Dotadv.
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Tecnologia
06/02/2015
Engage.it
Sito Web
Europ Assistance e InTarget Group: rinnovata la partnership per il
performance advertising
La strategia elaborata dall'agenzia è orientata a un'evoluzione dell'approccio media della compagnia di
assicurazioni al fine di massimizzare il presidio del customer journey degli utenti
Continua la partnership tra Europ Assistance e InTarget Group. La compagnia di assicurazioni ha rinnovato
con l'agenzia di digital marketing l'incarico di performance advertising.«È il quinto anno consecutivo che
lavoriamo insieme a InTarget - afferma Michele Petrilli, market manager remote channel di Europ Assistance,
come riportato dalla nota stampa - Con la loro consulenza abbiamo avviato un percorso di progressivo
investimento sulle attività adv che ci ha permesso di raggiungere importanti risultati in termini di fatturato del
canale Web. Gli obiettivi del 2015 sono ancora più ambiziosi, tra tutti quello di trovare importanti sinergie
multicanali tra web e phone. Grazie al lavoro svolto con InTarget siamo fiduciosi di poter confermare anche
quest'anno il trend positivo di crescita».La strategia elaborata dall'agenzia è orientata a un'evoluzione
dell'approccio media di Europ Assistance al fine di massimizzare il presidio del customer journey degli utenti.
Due gli elementi del piano proposto. Da un parte si punta sul native advertising, con il coinvolgimento di siti
editoriali in particolar modo dell'area travel. Dall'altra, invece, ci si focalizzerà sull'incremento delle
performance attraverso un'attività di funnel optimization volta a ridisegnare i passaggi chiave del percorso di
conversione.«Mediante il monitoring e l'analisi di tutti gli step che portano all'acquisto delle polizze Europ
Assistance, sia sul canale web sia sul canale phone, sarà possibile individuare i principali KPI per ottimizzare
il ritorno economico di entrambi i canali - afferma Andrea Zennaro, head of advertising a InTarget Group - I
primi track di monitoring saranno focalizzati su attività di recording experience, form optimization e A/B testing
su landing e percorsi dei funnel».
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Tecnologia
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
143 articoli
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Verdini non si sente colpevole «Nani e ballerine fanno festa»
Francesco Verderami
Non dovendo più scrivere i suoi report per Silvio Berlusconi, Denis Verdini si è messo a scrivere le sue
memorie, che sono per ora fogli scritti a mano, sparsi sulla scrivania. Non è casuale che l'uomo della
trattativa con Matteo Renzi abbia iniziato il racconto dalla fine, perché risalendo il sentiero verso la sorgente
si possono meglio analizzare le vicende, le ragioni e gli errori, propri ed altrui. Certo, l'autobiografia sfocia
sovente nel mare dell'autoassoluzione, e lui in Forza Italia è l'imputato. Che ha scelto la scrittura per dire la
sua verità.
Eccolo l'artefice del Nazareno, «è grazie a Denis, alla sua intuizione, che un anno fa siamo rientrati in gioco»,
aveva esordito Berlusconi all'ultimo vertice di Forza Italia, prima di dargli il benservito: «Ora però dobbiamo
uscire dall'equivoco». Di equivoci nel Patto con Renzi e nella sua gestione ce n'erano stati troppi perché il
leader e il suo ambasciatore potessero riassumerli nella furibonda lite della sera prima. Ed è con un
riferimento a quello scontro che inizia il racconto di Verdini: «In una monarchia il re è la legge. E se il re dice
"la legge sono io", meglio aspettare che si sfoghi». Perciò il giorno seguente, quando era stato richiamato a
corte, aveva disertato l'appuntamento: «Sono a un funerale».
Verdini aveva perso tre volte in un colpo solo: perché era saltato il Patto, perché era stato accerchiato dal
«cerchio magico», e perché - siccome in Forza Italia il leader non sbaglia mai - aveva sbagliato solo lui. Ma
Verdini sentiva di aver vinto: perché il Patto non era davvero saltato, perché non aveva accettato di
dimissionarsi, e perché Renzi aveva annunciato di non voler parlare con altri messaggeri dell'ex premier: «Ho
fatto sapere che, se vogliono, li faccio mettere in contatto con il mio vice al partito, Lorenzo Guerini. Vadano
al Nazareno a parlare con lui. Anche Berlusconi».
Per quanto messo al rogo, Verdini non sembra temere le fiamme dell'inferno politico. Almeno così c'è scritto
nelle sue memorie: «Mi sento sollevato, libero da responsabilità. Osservo nani e ballerine far festa per la fine
del Patto. Io sto seduto sulla riva del fiume in attesa di pescare qualche pesciolino. Come Mike Bongiorno,
sto lì: busta numero uno, busta numero due e busta numero tre...». Non è dato sapere a cosa alluda con
quest'ultimo concetto. Lui, che si muove tra le colonne e però tiene sulla scrivania un piccolo Vangelo rilegato
in pelle rosso fuoco, spesso parla e scrive senza volersi fare decrittare.
E poco più sotto, nello stesso foglio, descrive la scena del Palazzo dopo l'elezione di Sergio Mattarella al
Colle: «Il Pd attende, tranquillo che (frase incomprensibile, ndr)... Fuga di grillini in massa, il comandante zero
alla guida di soldatini con piedi d'argilla, la nuova leva nordista che gonfia il petto. E Renzi sulla tolda di
comando che - libero da patti - addomestica la tigre comunista alla sua sinistra, prepara rappresaglie, e
intanto organizza truppe come faceva Masaniello: quelli con il fazzoletto di qua, quelli senza fazzoletto di là».
La frase meriterebbe un'esegesi, specie quando rivela che Renzi starebbe preparando «rappresaglie»:
Verdini si riferisce forse alle prossime norme del governo in materia di giustizia, fisco ed emittenza?
Più chiaro è invece il riferimento al premier che «organizza truppe» in Parlamento. Sono i nuovi Responsabili,
che oggi vengono pubblicamente lodati dalla vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani, la stessa che quando i gruppi vennero organizzati per salvare Berlusconi - si espose per accusare di mercimonio politico
quella teppa: «Eccoli, i Disponibili, che chiedono un piatto di lenticchie. Questo sarebbe il simbolo giusto per
la loro formazione». Così va il mondo e la (doppia) morale. Verdini non se ne cura. Anzi, essendo l'inventore
di quel brevetto, annota come «ora è facile copiarlo, perché la gente tiene famiglia, non vuole andare a casa,
e bussa alla porta di Renzi. Ai miei tempi fu diverso».
Eppoi, quanto sta accadendo è l'effetto della sfida per il Quirinale, durante la quale il centrodestra ha
commesso degli errori di cui si sente (in parte) responsabile. Il patto di consultazione con Angelino Alfano,
per esempio... Scrive Verdini: «Fu una riunione tra fratelli ritrovati. Ma ci facemmo prendere dai sentimenti,
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
99
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
SETTEGIORNI
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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perdendo il senso della ragione. Renzi lo conosco, non avrebbe permesso che il nostro desiderio si
realizzasse. Infatti andò così. Ncd non poteva a quel punto uscire dal governo. Né deve farlo. Per andare
dove ora? Il centrodestra è in frantumi. Salvini pensa di vincere. Non vincerà mai. Quando in Francia Le Pen
andò al ballottaggio con Chirac, non ci fu partita».
Più che l'analisi della situazione, o il passaggio su Renzi che «conosco» - e che evoca lo stretto rapporto di
Verdini con il premier - colpisce l'afflato verso «i fratelli ritrovati», gli «amici di Ncd e Udc» con cui - prosegue
nello scritto - «ci siamo detti che in prospettiva bisognerà ricostruire. Ma ci vorrà tempo e pazienza. E servirà
che Berlusconi capisca cosa loro hanno spiegato, con garbo e determinazione, quando hanno posto il
problema del rapporto con la Lega e il tema della leadership».
Siccome non è un testo apocrifo, sono sensazionali le rivelazioni contenute in questi fogli, dove - per la prima
volta - un dirigente forzista definisce un «errore la fine del Pdl»: «La rottura fu un errore strategico, perché
dividersi è significato indebolirci reciprocamente. Se non lo avessimo fatto, forse oggi non ci sarebbe stato
Renzi». Così Verdini arriva alla sorgente dei mali del centrodestra, che è la rottura con il governo Letta:
«Resto convinto che la crisi andasse aperta per dare un segno di solidarietà a Berlusconi, ingiustamente
estromesso dal Senato. Ma la mia tesi era che dopo quindici giorni avremmo fatto un altro governo». È la sua
«tesi» che cela però un'altra verità.
Francesco Verderami
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I dissensi
Dopo il voto per il capo dello Stato, cresce la tensione dentro Forza Italia. Quando, il 29 gennaio, Renzi
annuncia che punterà sul nome di Mattarella, Berlusconi reagisce:
violati i patti. L'indicazione per gli azzurri è di votare scheda bianca A finire nel mirino delle critiche è
soprattutto Denis Verdini, che ha gestito la trattativa con il premier sul patto del Nazareno Anche tra i
fedelissimi di Berlusconi cresce una fronda contro l'intesa con Renzi: Mariarosaria Rossi parla dei «disastri
del duo tragico che ha trattato con il premier», riferendosi a Verdini e Letta Ma gli uomini vicini a Verdini, che
martedì scorso ha incontrato il leader azzurro, sostengono che il senatore FI e Letta godono ancora della
fiducia di Berlusconi
La parola
nazareno
Il patto del Nazareno è l'accordo siglato il 18 gennaio 2014, nella sede del Pd (che si trova in largo del
Nazareno) tra Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. L'intesa riguarda le riforme, dalla
nuova legge elettorale alla trasformazione del Senato. Più volte, in passato, il leader azzurro ha sostenuto
che l'accordo toccasse anche altri ambiti, come l'elezione del capo dello Stato. Il governo, però, ha sempre
smentito.
Foto: In Aula I senatori di Forza Italia Mariarosaria Rossi, 42 anni, e Denis Verdini, 63,
discutono nell'aula
della Camera
lo scorso
15 settembre (Ansa)
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
I timori sulla tenuta di Ncd dietro la campagna per i nuovi «responsabili»
Le riforme I rischi riguarderebbero la seconda lettura a Palazzo Madama su Senato e Titolo V
Maria Teresa Meli
ROMA I riflettori sono puntati sullo scontro tra Forza Italia e il Pd. Sulla scena della politica è la battaglia tra i
democratici e gli azzurri a farla da protagonista. Anche se tra i due schieramenti in realtà ieri c'è stata una
prima presa di contatto dopo le polemiche furibonde di questi giorni.
Insomma, la diplomazia sotterranea è già all'opera e questa volta gli ambasciatori di FI non sono stati respinti
con perdite. A organizzare le grandi manovre, come sempre, il vicesegretario Guerini, l'uomo delle
«ricuciture» per eccellenza, e Lotti, la figura chiave del renzismo.
Ma non è quello che avviene sulla scena a preoccupare Palazzo Chigi. Renzi è convinto che sia «tutta
convenienza» di Berlusconi rientrare in gioco almeno per ora. Quel che desta più di un motivo di riflessione è
invece ciò che sta accadendo dietro il palco, lontano dai riflettori e su cui prima o poi al Senato si alzerà il
sipario. Per questa ragione in quel luogo che per il governo si è fatto sempre più insidioso, a Palazzo
Madama, il Pd si è sbrigato a fare incetta di senatori di Scelta civica. Li vuole legati non a un vincolo di
alleanza, come è stato finora, ma a un legame più profondo di comune appartenenza a un gruppo
parlamentare. Anche perché le vedette del Pd di Palazzo Madama, sempre pronte a registrare ogni stormir di
fronda grillina, hanno fatto capire a Palazzo Chigi che dal «Movimento 5 stelle» non vi saranno altre
emorragie a sinistra, Quindi su quella parte non si può fare grande affidamento.
Ma perché tutta questa fretta di rimpinguare il gruppo del Pd e di agganciare i cosiddetti «responsabili»?
Perché ciò che preoccupa veramente non sono tanto le lacerazioni dentro FI, ma quelle che stanno
attraversando l'alleato Ncd. Il Nuovo centrodestra, come si era già visto al momento dell'elezione di
Mattarella, è profondamente diviso tra governativi e parlamentari. E adesso, spiegano al Pd, «anche Lupi e
Alfano non marciano più compatti come prima». Insomma, nel Nuovo centrodestra si sta ponendo con
sempre maggiore insistenza il tema di «che cosa fare da grandi», perché continuare a portare l'acqua al
mulino di Renzi significa condannarsi alla marginalità politica. Allora tanto vale presentarsi con il Pd alle
prossime elezioni.
Queste fibrillazioni nel Ncd non mettono a rischio l'Italicum, che è approdato alla Camera dove il Pd ha una
salda maggioranza. Il problema vero si presenterà quando la riforma del Senato e del titolo V della
Costituzione passerà in seconda lettura a Palazzo Madama. Dovrebbe avvenire a maggio. E allora il rischio
per la tenuta di quella legge e della stessa maggioranza potrebbe diventare reale. Perché Ncd (o almeno
gran parte di essa) potrebbe non votarla e Forza Italia ha già lasciato intendere che alla seconda lettura si
sfilerà. A Palazzo Chigi calcolano che su 70 parlamentari centristi solo 30 sono sicuramente «governativi».
Un po' pochini. A Palazzo Madama ci sono voci di senatori ncd pronti a tornare in FI e quindi all'opposizione.
Si sussurra dei rapporti mai bruscamente interrotti tra Schifani e Berlusconi.
Sia chiaro, nessuno a Palazzo Chigi pensa che Alfano voglia di proposito far cadere il governo, ma riuscire a
tenere in piedi l'esecutivo e la coalizione potrebbe essere difficile. Senza contare il fatto che nel caso in cui la
riforma del Senato non vedesse la luce l'Italicum resterebbe a metà: varrebbe solo per la Camera, ma a
Palazzo Madama rimarrebbe il proporzionale. E l'ipotesi, che pure è stata avanzata da qualche esponente del
Pd, di un decreto per estendere l'Italicum ai due rami del Parlamento non è praticabile. Non si può fare una
legge elettorale per decreto. Come se non bastasse, Renzi, l'unico leader che nei sondaggi è in aumento di
popolarità, l'unico leader che ha un partito con numero di consensi notevole, non può usare in questo
frangente la minaccia di elezioni anticipate. Già, come potrebbe mai un presidente appena eletto sciogliere
subito le Camere? Quindi quella delle urne è un'arma spuntata.
Il rischio, si teme a Palazzo Chigi, è di andare al voto tra un anno (perché oltre, in una situazione così
sfilacciata, la legislatura non potrebbe comunque andare avanti) vincendo il premio di maggioranza alla
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Il retroscena
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 2
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Camera ma ritrovandosi «obbligati a una nuova alleanza con la destra al Senato» per governare. Che fare?
C'è chi pensa di rinviare la seconda lettura della riforma del Senato a settembre per prendere tempo. E chi
pensa il contrario:«Se noi renziani ci fermiamo, siamo perduti, c'è troppa gente che ci vuole acchiappare».
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Gli addii
L'elezione del capo dello Stato ha provocato forti tensioni dentro Ncd per la scelta di votare per Mattarella. La
deputata Barbara Saltamartini ha lasciato il partito, Maurizio Sacconi si è dimesso da capogruppo al Senato
07/02/2015
Corriere della Sera
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Le accuse di Bombassei: vogliono conservare il posto in una maggioranza
da bulli
Andrea Garibaldi
ROMA «Trovo tutto questo, come dire?, di cattivo gusto».
Onorevole Alberto Bombassei, titolare della Brembo (sistemi frenanti), vicepresidente di Confindustria,
dirigente di Scelta civica, il partito di Mario Monti: ce l'ha con gli otto colleghi che hanno scelto il Pd?
«Per me, una sorpresa totale. Con tutto il rispetto e l'amicizia, fare questa scelta quarantotto ore prima del
congresso di Scelta civica! Ci sono rimasto male. Ma non sono gli unici fuori luogo».
Anche Matteo Renzi?
«Noi abbiamo appoggiato il suo governo in modo trasparente e lui l'altra sera in tv ha detto: "Non so se Scelta
civica esiste ancora...". Renzi ha un atteggiamento guascone, sprezzante nei confronti delle rappresentanze
politiche minori. Delega ogni riforma a una "maggioranza bullesca"».
Perché gli otto suoi colleghi hanno guardato verso il Partito democratico?
«Molti di loro sono politici di professione, spero non siano condizionati da uno spirito conservatore, anche
della loro posizione. Li stimo e mi rifiuto di pensare che ci sia opportunismo».
All'interno del grande Pd conteranno più di adesso?
«Più ci si diluisce e meno si conta: è una legge della fisica».
Lei, invece, andrà domani al congresso di Scelta civica (ciò che ne resta)?
«Andrò al congresso. Non salto da un posto all'altro per mantenere la poltrona. E spero che domenica si
decida di andare avanti con il progetto di Mario Monti : una casa comune per liberali, riformisti, cattolici e
laici».
Nonostante i sondaggi che vi danno intorno all'1 per cento?
«Penso che dobbiamo rinegoziare la nostra presenza nella maggioranza di governo: nessuna obbedienza
cieca a chi dice di schiacciare il bottone rosso o quello verde. Se questo non è possibile, ripensiamo pure
tutto, a 74 anni non ho velleità di fare carriera politica».
Quali contenuti dovreste portare al governo?
«Il problema è la disoccupazione. Renzi ha fatto molto per il lavoro, ma se si vuole mantenere l'Italia un
Paese industriale si deve ridurre il costo del lavoro e quello dell'energia, vanno defiscalizzate le nuove attività
industriali».
Lei è anche favorevole al recupero della «concertazione» con Confindustria e sindacati?
«Renzi è il primo presidente del Consiglio deciso a sostenere cambiamenti senza il condizionamento né di
Confindustria né del sindacato. Ma non riconoscere a questi organismi il ruolo di rappresentanza è un
eccesso di opportunismo politico: genera risentimenti e rischia di lasciare macerie».
Lei restò molto colpito dal messaggio di Renzi a Letta: «Enrico stai sereno», poco prima di prenderne il posto
a Palazzo Chigi.
«I vertici di Scelta civica avevano da poco rinnovato la fiducia a Enrico Letta... Nel nostro mondo, non politico,
questo comportamento non è ben considerato. Scrissi a Letta una lettera di scuse».
Ci sono errori che lei può imputare a Monti?
«Ha scelto l'impopolarità nel nome del bene del Paese. Monti non aveva il fisico, lo stomaco per digerire
critiche ingiuste che nell'altro mondo, quello dell'economia e dell'impresa, non sono così comuni».
L'alleanza con Luca Cordero di Montezemolo è presto finita.
«Montezemolo rappresentava un pezzo di Paese importante, era appena stato un buon presidente di
Confindustria. Certo, al momento di candidarsi, fece un passo indietro...».
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L'intervista
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 3
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La storia di Scelta civica è il fallimento dell'impegno della società civile in politica?
«In qualche modo io mi sento respinto dal mondo politico. Non ci si improvvisa politici, ma i politici non
possono improvvisarsi finanzieri o economisti: si poteva e si doveva fare squadra in modo equilibrato».
Lei è stato uno dei finanziatori di Scelta civica. Che cifra ha investito? È pentito?
«Non ho impegnato cifre trascendentali, sono restato al livello di altri imprenditori. No, non sono pentito,
credevo nel progetto».
Non è stato molto presente in Parlamento, intorno al 30 per cento delle sedute.
«Cerco di esserci quando mi sembra utile. E quando ci sono sto attento, mentre la maggioranza dei deputati
fa i fatti suoi al computer. Potrebbe essere più efficiente il lavoro là dentro, grandi sono le perdite di tempo».
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA Renzi è guascone e sprezzante con le forze minori E noi dobbiamo
rinegoziare la presenza nella coalizione di governo I tempi Fanno i politici di professione. È una scelta
assurda, 48 ore prima del congresso di Sc
Chi è
Alberto Bombassei,
74 anni, imprenditore, ha fondato
e guida Brembo spa. Vicepresidente della Confindustria dal 2008 al 2012, è entrato in politica
con Sc, con cui
è stato eletto deputato
nel 2013
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 14
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Dalla missione della troika ai maxi prestiti Tutti i sacrifici (e gli aiuti) della
crisi greca
Giovanni Stringa
ATENE Troika si, troika no. Nel confronto tra chi la vuole e chi no, la terna di Commissione Ue, Fondo
monetario internazionale e Banca centrale europea ha ora incassato un nuovo appoggio della Germania.
«Certamente la Grecia deve continuare a lavorare con la troika», ha detto il ministro delle a finanze Wolfgang
Schaeuble. Il team a tre, considerato un simbolo dell'austerity, non piace a molti, soprattutto in Grecia. Ma le
voci che vedevano una possibile sua disgregazione vengono ora ridimensionate. Il caso è quello del Fmi,
indicato in passato tra le possibili defezioni: ieri il suo direttore esecutivo Carlo Cottarelli (ex Mr Spending
review in Italia) ha detto che è «prematuro» parlare di un addio alla terna da parte del Fondo. Il Fmi, ha
aggiunto Cottarelli, potrebbe rifinanziare il suo prestito alla Grecia, «però ci vuole un nuovo programma»
dopo il no di Atene all'austerity.
Ma la troika non è solo austerity, con tutte le sue conseguenze, dalla disoccupazione galoppante ai conti
tornati in (relativo) ordine: il suo intervento in Grecia - così come il rigore per le politiche di bilancio - è legato
a diversi piani di salvataggio e finanziamento concessi a livello internazionale. Come quello dietro la sigla
Efsf: i 141 miliardi circa versati alla Grecia dallo European financial stability facility. Lo Efsf ha poi chiuso i
rubinetti dei finanziamenti, semplicemente perchè poi sostituito da un nuovo fondo europeo di salvataggio, lo
European stability mechanism. Ed è proprio questo, l'Esm, su cui presumibilmente si concentra una buona
parte delle speranze greche. Dietro il capitale del fondo, già versato o disponibile «su chiamata», ci sono gli
Stati dell'area euro. Tra cui quindi anche l'Italia, con la sua quota del 18%: non poco, visto che l'Esm può
raggiungere i 700 miliardi, di cui 80 versati. Di questi 700, però, «solamente» 500 fanno parte della cosiddetta
«capacità di concedere a prestito». Capacità che l'Esm finanzia emettendo a sua volta obbligazioni, forte del
sostegno dell'eurozona.
Se l'Efsf si è rivelato molto attivo soprattutto sul fronte greco, l'Esm finora ha sostanzialmente garantito 40
miliardi al sistema finanziario spagnolo. Il resto è «open for business», come direbbe la finanza internazionale
creditrice verso Atene. Va poi aggiunta una «goccia» di circa due miliardi rimasta appesa al rubinetto dell'Efsf
e destinata alla Grecia. Ma a una condizione, la solita clausola che vincola anche gran parte dei soldi della
Banca centrale europea: il rispetto da parte di Atene - che non può vantare un rating adeguato - dei piani
concordati con le istituzioni internazionali. Quindi dell'austerity, almeno per come stanno le cose ora. E qui si
gioca probabilmente l'Eurogruppo di mercoledì, giorno in cui una nuova intesa potrebbe fare di nuovo
scorrere i soldi dell'Europa per la Grecia. Che al momento può contare solo su una delle opzioni Bce: il
canale di finanziamento degli istituti greci passando per la banca centrale ellenica (attraverso il programma
Ela). Perché le alternative sono «out», senza il rispetto dei programmi concordati a livello internazionale:
niente acquisti di titoli di Stato tramite il Quantitative easing appena lanciato, nessun sostegno delle «Outright
monetary transactions» (altri acquisti di bond, in un programma per altro mai effettivamente utilizzato), e
nessuna disponibilità ad accettare titoli pubblici a garanzia dei prestiti.
Non vanno poi dimenticati i 26 miliardi di titoli di Stato ellenici comprati dalla Bce in passato (e ora nel
portafoglio di Francoforte) con il Securities market programme poi terminato. E non va dimenticata, nel
capitolo generale degli aiuti alla Grecia, la ristrutturazione del debito del 2012.
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18% la quota
del fondo Esm (meccanismo europeo di stabilità) che fa riferimento all'Italia. In tutto l'Esm può arrivare a 700
miliardi di cui 80 versati alla Grecia
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Retroscena
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 14
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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La vicenda
Mercoledì 11 è convocata una riunione straordinaria dell'Eurogrup-po. Per il ministro delle Finanze tedesco la
Grecia deve continuare
a lavorare
con la troika
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 24
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Martina: «Il diritto al cibo va inserito nella Costituzione L'Italia sia prima in
Europa»
Il ministro dell'Agricoltura: non è l'Expo delle multinazionali Il futuro dei terreni L'idea dell'Università Statale di
spostare sui terreni dell'Esposizione le sue facoltà mi piace Il governo è pronto a fare la sua parte La
Leopolda di Milano Oggi a Milano, con 42 tavoli di lavoro e 500 esperti, vorremmo un confronto aperto in stile
Leopolda per mettere in circuito energie e idee
Elisabetta Soglio
MILANO «Portiamo nelle Costituzioni, a partire dalla nostra, il diritto al cibo». Il ministro alle Politiche agricole
e delegato all'Expo, Maurizio Martina, lancerà la richiesta durante la giornata di lavori che si svolge oggi
all'Hangar Bicocca, prova generale dell'esposizione e momento di riflessione sui contenuti della futura Carta
di Milano.
In quarantadue tavoli di lavoro si incroceranno cinquecento esperti, ci sarà un messaggio di papa Francesco,
dell'ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva e anche, annunciato giusto ieri, del neo presidente della
Repubblica Sergio Mattarella. La chiusura è affidata al premier Matteo Renzi che approda a Milano con una
dozzina di ministri per ribadire il proprio sostegno all'Expo.
Ministro, questa idea della Costituzione?
«La nostra esposizione è dedicata al tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. Dobbiamo dare un
contributo autentico per far sì che il cibo venga assunto come diritto fondamentale. Ad oggi sono 23 i Paesi
che hanno in Costituzione questa voce, dal Brasile all'India al Messico: nessun Paese europeo tra questi. Poi
un altro centinaio, tra cui noi, lo assumono indirettamente perché hanno firmato accordi internazionali. Ma
sarebbe importante assumere questo impegno e portarlo nella prima parte della nostra Costituzione, perché
sia la Repubblica a promuovere politiche per una adeguata alimentazione per tutti. È una sfida per il Paese:
ci misureremo su quanto sapremo chiamare alle loro responsabilità le nazioni. E questo tema incrocia le
sensibilità di molte delle personalità che ascolteremo domani, dal Papa in poi, e incrocia il lavoro che faremo
con i tavoli».
L'obiettivo di questa giornata di consultazioni?
«Vogliamo svelare l'anima di Expo, far comprendere la potenza dei suoi contenuti, raccontare idee che
possono essere condivise e possono diventare buone pratiche per il mondo. Avremo 20 milioni di visitatori
che potranno ascoltare, vedere e imparare. Abbiamo tentato l'avventura dei 42 tavoli tematici, di momenti veri
di approfondimento: può essere riconosciuto come metodo nuovo importante».
Una sorta di Leopolda, come direbbe Renzi?
«L'impostazione aperta è quella: mettere in circuito idee ed energie, finalizzando il lavoro alla stesura della
Carta di Milano, eredità immateriale che immaginiamo possa essere ponte ideale tra quello che accadrà nei
sei mesi di Expo e quello che accadrà soprattutto dopo».
Il direttore della Fao, José Graziano da Silva, vuole usare Expo per lanciare gli Obiettivi del Millennio post
2015.
«E siamo in totale sintonia. Il filo conduttore di tutto il nostro impegno e il nostro sforzo si inseriscono
nell'agenda internazionale: vogliamo vivere il passaggio di Expo come fondamentale verso la discussione sui
prossimi obiettivi del Millennio e siamo felici che tanti abbiano accettato di confrontarsi con noi».
Dopo questi tavoli cosa ci sarà?
«Questo è un punto di partenza. Nei prossimi mesi e soprattutto durante l'esposizione questi tavoli e questi
titoli andranno sviluppati e saranno lo scheletro fondamentale del significato di questo evento».
A Palazzo Marino, sede del Comune, oggi ci sarà un convegno di chi considera questa come l'Expo «delle
multinazionali». Come risponde al dissenso?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'intervista
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 24
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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«Con noi all'Hangar ci saranno associazioni che stanno animando il Padiglione di Cascina Triulza, dove
avranno sede e voce la società civile e le associazioni non governative. Ci sarà la presidente
dell'organizzazione mondiale dei sindacati agricoli; ci saranno esperienze che arrivano dalla terra e legate a
impegni sociali e civili molto importanti. Io invito a non vivere Expo in modo ideologico: abbiamo bisogno di
tutti se vogliamo affrontare questo tema, abbiamo bisogno delle imprese consapevoli e responsabili, dei
cittadini, delle istituzioni, delle associazioni...».
Ministro Martina, qui parliamo dell'eredità immateriale di Expo. E l'eredità materiale? Cosa sarà di questo
milione di metri quadrati di terra?
«Anche l'eredità materiale è una bella sfida e l'ipotesi formulata dall'Università di Milano che vorrebbe
trasferire lì i suoi dipartimenti di Agraria, Scienze e così via è una grande occasione. Mi piace molto, davvero,
e sono sicuro sia questa la strada da percorrere per il dopo Expo: lasciare a Milano e all'Italia un grande polo
formativo e di innovazione».
Il governo è pronto a fare la sua parte?
«Se si muovono anche realtà importanti come la Statale, sicuramente Milano può ambire a costruire un
progetto di grande portata, utile a tutto il nostro Paese. E se ci sarà un buon gioco di squadra il Governo non
si tirerà indietro, farà la propria parte».
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I lavori
Oggi all'Hangar Bicocca di Milano si tiene «Idee di Expo». All'appunta-mento parteciperanno 500 esperti dei
temi legati all'alimentazio-ne. Ci sarà il premier Matteo Renzi. Il Papa e il capo dello Stato invieranno
videomessaggi
Chi è
Maurizio Martina è nato a Calcinate (Bergamo) il 9 settembre '78: diploma all'Istituto agrario e laurea in
Scienze politiche, è ministro dell'Agricoltura
Foto: I preparativi
di ieri all'Hangar Bicocca
(nella foto,
le torri di Anselm Kiefer)
per l'evento «Le idee
di Expo 2015» che getterà
le basi
della futura «Carta
di Milano»,
che vorrebbe diventare un Protocollo di Kyoto sui temi dell'alimenta-zione
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 40
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Dopo il riassetto Moretti vuole cambiare nome a Finmeccanica
Giuliana Ferraino
Più piccola ma più redditizia e con un nome nuovo. Così Mauro Moretti vuole cambiare Finmeccanica, che
guida dallo scorso maggio. Nei prossimi 2 anni il gruppo controllato con il 30% dal Tesoro perderà almeno 3
mila dipendenti (su 54 mila), soprattutto attraverso la cessione di asset, e il giro d'affari diminuirà di quasi il
20%, ma per far crescere tutto quello che resterà, ha anticipato il manager al Financial Times . E per
segnalare il nuovo corso è pronto anche a mettere da parte il nome nato 70 anni fa.
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La Lente
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 40
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Chiesta al Tesoro l'autorizzazione a cedere il 19%. In corsa Bonomi, Malacalza e due private equity La quota
Il valore intorno ai 700 milioni
Erika Dellacasa
GENOVA Il presidente di Fondazione Carige, Paolo Momigliano, avrebbe voluto cedere una quota delle
proprie azioni a un socio con cui stringere patti di governance entro la fine del 2014, ma non è stato possibile
e il tempo a disposizione è sempre meno. Fra maggio e giugno dovrebbe partire l'iter per l'aumento di
capitale di Banca Carige (per massimi 700 milioni) richiesto dalla Bce e Fondazione non ha risorse per
sottoscriverlo. Ieri il consiglio ha cercato di dare un'accelerata - si direbbe una vera e propria spinta - alle
manifestazioni di interesse che l'advisor Banca Imi ha messo sul tavolo. Sono quattro: il fondo americano
Apollo (che ha già acquistato il ramo assicurativo di Banca Carige), Investindustrial dell'imprenditore Andrea
Bonomi, il gruppo Malacalza, il fondo Center Bridge. Le manifestazioni sarebbero in fase abbastanza
avanzata (sono «vestite» dice una fonte) ma non sono ancora offerte formali e dunque ieri il cda della
Fondazione ha preferito rinviare le decisioni non avendo elementi sufficienti. Ha però deliberato di chiedere al
ministero del Tesoro l'autorizzazione a vendere tutta la quota, ossia il 19% di Banca Carige (era già
autorizzato a scendere al 12%).
«Tutte le opzioni sono aperte - ha detto il presidente Momigliano - cerchiamo un socio forte per la banca ma
se nessuno si fa avanti c'è la possibilità di tagliare il cordone ombelicale». Un invito ai quattro proponenti a
«farsi avanti» in modo più netto, con piani precisi e - magari - di far intendere che la porta è sempre aperta a
eventuali new entry. Ma soprattutto con la sua mossa Fondazione vuole rendere chiara l'intenzione di avere
le mani libere. Per vendere tutto il pacchetto tagliando il «cordone ombelicale» con Carige, magari a un unico
socio, oppure per andare sul mercato e giocarsi una partita che, oggi, sembra meno ardua di un mese fa
grazie al rialzo del titolo.
I rumors dicono che all'interno del consiglio ci sono opinioni contrarie alla vendita tout-court, con l'uscita di
scena della Fondazione, e che la richiesta di autorizzazione al ministero ha una valenza più tattica che
concreta. L'obiettivo reale sarebbe quello di mantenere comunque una piccola quota di Banca Carige, fra il 2
e il 4%.
Un bel passo indietro considerato che attualmente Fondazione è socio di riferimento. Ma in questo momento
l'ente sta lottando per la sopravvivenza. E il segnale che Momigliano ha deciso di lanciare è: ci sentiamo liberi
di intraprendere qualunque strada. In ogni caso, vuole andare alla stretta finale: rumors dicono che una delle
quattro proposte (sembra quella di Bonomi) sarebbe più articolata e vicina a una conclusione, ma non ci sono
conferme. Momigliano si è dato un mese per decidere se stringere un accordo con un socio forte o
presentarsi sul mercato.
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I principali azionisti di Banca Carige d'Arco Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia 19,179%
Ieri in Borsa 0,0642 euro +3,05% Bpce Iom sa 9,98% Ubs Group ag 4,624% Altri azionisti 66,217% di cui
12,14% in proprietà 7,037% a Mediobanca come prestatario 646,9 milioni Capitalizzazione Indice delle Borse
Dati di New York aggiornati alle ore 20.00 FTSE MIB 20.760,74 -0,28% Dow Jones 17.859,96 -0,14%
Nasdaq 4.756,68 -0,18% S&P 500 2.060,15 -0,11% Londra 6.853,44 -0,18% Francoforte 10.846,39 -0,54%
Parigi (Cac40) 4.691,03 -0,26% Madrid 10.573,10 0,36% Tokio (Nikkei) 17.648,50 0,82% 1euro 1,1447 dollari
0,32% 1euro 134,2800 yen 0,22% 1euro 0,7473 sterline -0,12% 1euro 1,0534 fr.sv. -0,50% Titolo Ced. Quot.
06-02 Rend. netto% Btp13-22/04/17 1,125% 104,01 0,33 Btp14-23/04/20 1,650% 105,36 0,48 Btp1401/03/30 3,500% 118,77 1,65 Btp14-01/09/46 3,250% 113,53 2,25 Cambi Titoli di Stato
Vertice
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Carige, la Fondazione vende tutto
07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 40
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L'avvocato Paolo Momigliano
a capo della fondazione Carige
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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07/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 43
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La fusione tra gli Aeroporti di Firenze e Pisa
( m. gas. ) L'ultimo ostacolo alla fusione degli aeroporti di Pisa (4,7 milioni di passeggeri annui) e Firenze
(2,2) è caduto durante un consiglio comunale, quello di Pisa, che a sorpresa ha approvato un ordine del
giorno con il quale si dà il via libera all'operazione anche se condizionata a «precise garanzie» e tra queste
l'assicurazione che lo sviluppo di Firenze (realizzazione di una nuova pista e infrastrutture) non peserà sulla
nuova società, ma sarà garantito da un finanziamento pubblico di 150 milioni. È un evento che proietta la
nuova società (si chiamerà Toscana Aeroporti spa) al quarto posto nella classifica dei sistemi aeroportuali
nazionali con 7 milioni di passeggeri annui e un obiettivo di 12 milioni entro il 2029. Gli ultimi due atti della
fusione sono le assemblee dei soci della Adf (Firenze) che si terrà lunedì e della Sat (Pisa) che si svolgerà il
giorno dopo e difficilmente, dopo il «sì» del consiglio comunale pisano, la parte più critica alla fusione, si
potranno avere sorprese. Motore della nuova società è Corportation America del magnate argentino Edoardo
Eurnekian che detiene la maggioranza delle azioni dei due scali toscani ed è proprietario nel mondo di altri 65
scali civili. Secondo alcune indiscrezioni, presidente di Toscana Aeroporti, potrebbe essere Marco Carrai (
nella foto ), l'attuale presidente di Adf e grande amico del premier Matteo Renzi.
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Mediobanca, esce Cereda
( f. ta. ) Mediobanca ha voltato pagina puntando sulla internazionalizzazione e, di conseguenza, cambiano
anche gli uomini al vertice. La prossima uscita è quella del vice direttore generale, Maurizio Cereda, che
lascia la banca d'affari dopo 23 anni di onorato servizio. L'accordo prevede che le strade si separino a fine
marzo ed è stato raggiunto pochi giorni fa, ma era nell'aria da diversi mesi. Nel settembre scorso, nei lavori
preparatori dell'assemblea annuale di ottobre, il manager non era stato confermato consigliere di
amministrazione. Maurizio Cereda seguiva per Mediobanca i grandi gruppi industriali come Enel,
Finmeccanica, Enel. È cresciuto nel gruppo dell'area finanza, che ha rappresentato la forza d'urto dell'istituto,
dopo essere stato assunto nel febbraio 1992. In precedenza aveva lavorato per Rasfin.
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Sangemini, sì al concordato
( ms. s. ) Adesso Sangemini può davvero ripartire. Il Tribunale di Terni ha infatti omologato il concordato
preventivo del gruppo delle acque minerali (marchi Sangemini, Fabia, Grazia, Amerino e Vita di Sangemini),
al termine di un'articolata operazione che era iniziata nel marzo del 2013. L'operazione, il cui valore
complessivo ammonta a circa 150 milioni di euro, è stata attuata mediante un concordato «misto», che ha
previsto, nel corso della procedura, l'affitto a una nuova società delle aziende facenti capo alle società
ammesse a concordato e, dopo l'omologa, la loro cessione alla newco. A rilevare Sangemini è stato il gruppo
Norda, leader nel settore dell'imbottigliamento e della vendita di acque minerali con i marchi Norda e
Gaudianello.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Sussurri & Grida
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 7
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Abrignani: meglio non lasciare il tavolo del dialogo
Il fedelissimo di Verdini: il mio auspicio è che si continui, ma voterò seguendo le indicazioni del partito Le
fantasie Un soccorso a Renzi in Parlamento? Sono fantasie. E in FI serve un bagno di umiltà collettivo
Tommaso Labate
ROMA «Io mi auguro che Forza Italia non abbandoni mai il tavolo delle riforme. Il mio auspicio è questo».
Andare avanti anche se Matteo Renzi vi ha «fregato» col presidente della Repubblica?
«Ovviamente la partita per il Quirinale ha un po' smorzato quello spirito che teneva insieme noi e il Pd dal
gennaio dell'anno scorso. Ma un conto è Renzi, un altro gli italiani. Mica possiamo abbandonare di punto in
bianco quel processo che serve per fare una Costituzione e una legge elettorale migliori...».
Ignazio Abrignani è, in ordine sparso, un noto avvocato civilista, un parlamentare forzista, il responsabile
dell'ufficio elettorale di FI e un fedelissimo di Denis Verdini. Come dimostra la ritrosia ad abbandonare il patto
del Nazareno.
Secondo lei, insomma, non bisogna abbandonare le riforme con Renzi?
«Servono al Paese».
Il comitato di presidenza del suo partito, però, non sembra pensarla così.
«Al contrario. Io ho letto un comunicato in cui si spiegava che, da ora, votiamo solo le cose che ci
convincono. L'abbiamo fatto già, per esempio sulla Costituzione, votando il presidenzialismo. Per cui, di fatto,
non è che sia cambiato granché».
I fedelissimi di Berlusconi vogliono far fuori Verdini, ha visto?
«Verdini era ed è il responsabile organizzativo di Forza Italia. Verdini aveva ed ha, l'ha detto il diretto
interessato, la piena fiducia del presidente Berlusconi. Questi sono i dati di fatto».
Tra i dati di fatto c'è anche che Mariarosaria Rossi ha definito Verdini e Letta un «duo tragico».
«Verdini e Letta sono due dei migliori esponenti della nostra classe dirigente. E questo lo pensano tutti».
Non la Rossi, pare.
«Forse il fatto che Renzi abbia deciso il capo dello Stato da solo ha spinto qualcuno a dire qualche parola di
troppo. La delusione, si sa, fa brutti scherzi».
Antidoti alla delusione?
«Un bagno di umiltà collettivo. E la consapevolezza che dobbiamo continuare ad affidarci a Berlusconi, che è
il nostro leader».
E la storia che voi verdiniani sareste pronti a dare un soccorso parlamentare a Renzi, se ne avesse bisogno?
«Fantasie dei giornali. Nulla di più».
Vede un nesso tra la norma del governo che multa Mediaset e il fatto che Berlusconi abbia fatto la voce
grossa con Palazzo Chigi?
«Oddio, spero di no. Sarebbe come tornare a quell'antiberlusconismo che Renzi dovrebbe aver spazzato».
Per lei Renzi è uno statista?
«Vede, quando una volta Berlusconi sentiva i vecchi vertici del Pd, poi diceva sempre "Ho sentito il segretario
della sinistra". Oggi, quando sente Renzi, dice "Ho parlato col leader della sinistra". Renzi è il primo
esponente della sinistra per cui Berlusconi usa la parola "leader". E io sono d'accordo con la sua
valutazione».
Avanti con le riforme, insomma?
«Questo è il mio auspicio. Naturalmente voterò sempre seguendo le indicazioni del partito anche perché negli
ultimi vent'anni mi sono sempre definito in un solo modo: un berlusconiano. Ma spero proprio che da questo
treno, che abbiamo preso solo per il bene degli italiani, non si scenda. Sarebbe un errore».
Tornando al partito, quanto è malata Forza Italia?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA
08/02/2015
Corriere della Sera
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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«C'è l'aspetto economico, che ci vede in grossissima difficoltà. E poi penso che dobbiamo eleggere con i
congressi i nostri rappresentanti sul territorio. Dobbiamo riscoprirlo, il territorio, e creare una cinghia di
trasmissione con la dirigenza nazionale».
Non mi ha risposto su quanto è malata.
«Vede, io sono a casa da un paio di giorni con 38 di febbre. Forza Italia forse ce l'ha più alta, la febbre».
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Chi è
Ignazio Abrignani, 56 anni, siciliano di Forza Italia, laureato in Legge, avvocato civilista, ex capo della
segreteria politica dell'ex ministro Claudio Scajola, è stato eletto alla Camera nel 2008, rieletto a Montecitorio
alle elezioni politiche del 2013
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 7
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«Io ingannato, non chino la testa» La svolta per tenere il partito unito
Ieri la scelta di andare in tv: si fa opposizione, da lì dialogo con Lega e FdI Il messaggio «netto» Il vertice ad
Arcore, poi la decisione: chiarisco la linea, devo mandare un messaggio netto In Aula Sul Senato non sono
esclusi neanche i voti contrari. Più delicata la partita dell'Italicum
Paola Di Caro
ROMA I toni irridenti di Renzi, il suo «se FI vuole rimangiarsi tutto, buon appetito...». Lo sfogo di Denis
Verdini, sul fiume ad aspettare di prendere «qualche pesciolino» mentre «i nani e le ballerine fanno festa». La
sfida di Raffaele Fitto, in Parlamento e fuori. E la sfilata dei tanti parlamentari disorientati e confusi:
«Presidente, ma qual è la linea? Rompiamo o il patto c'è ancora? Non è che ci esponiamo e domani tu cambi
idea?».
È per replicare a tutti - a Renzi, a Verdini, a Fitto, ai suoi, a un palazzo e un'opinione pubblica che comincia a
non prenderlo più sul serio - che Silvio Berlusconi ieri ha deciso di rompere gli indugi, e cambiare i toni. «Io
ho una faccia sola, una parola sola. Ho detto che il patto non c'è più, e non torno indietro. Sono stato
ingannato e tradito, e adesso non chino la testa. Avrebbero dovuto ringraziarci per il sangue che abbiamo
dato sulle riforme, perché il Nazareno ci è costato moltissimo, e invece ci trattano così. Adesso vedranno...».
Che Berlusconi fosse ancora infuriato per quello che ritiene lo schiaffo di Renzi sul Quirinale era noto. Che
però decidesse di tagliarsi i ponti alle spalle non era scontato. Nonostante il voto in ufficio di presidenza e un
comunicato per dichiarare morto il Nazareno, infatti, in molti perfino nel suo partito pensavano che i rapporti
con il premier non si sarebbero interrotti. Chi guardava a Verdini, convinto che fosse lui ancora l'unico in
grado di riannodare il filo. Chi scommetteva invece su un cambio di scena, con i suoi fedelissimi - da Toti ai
capigruppo - a inaugurare una nuova stagione attraverso il rapporto da poco instaurato con Guerini.
Ma Berlusconi ha capito che un quadro così confuso avrebbe portato pochi risultati e uno pessimo:
l'implosione del suo partito. E ieri, in un vertice con i capigruppo Romani e Brunetta, con Toti, la Bergamini, e
con Ghedini al telefono, ha deciso la sterzata: «Vado in tivù e chiarisco la linea. Devo mandare un messaggio
netto al partito e ricompattarlo: adesso si fa l'opposizione, si torna a dialogare da lì con la Lega e Fratelli
d'Italia», si toglie a Fitto «l'acqua in cui nuota» e «al comando torno io, non ci saranno altri a trattare per me»,
come finora aveva fatto Verdini.
Il risultato di questa uscita lo si vedrà dalla prossima settimana. Brunetta, che guiderà il gruppo in Aula sulle
riforme da martedì, nel suo discorso alla Camera dirà che FI si sente vincolata a votare solo quello che la
convince, mentre andranno ridiscussi i punti che «avevamo accettato solo per dovere di condivisione e di
mediazione in un clima di dialogo». Si cercherà l'intesa con Lega e FdI su emendamenti comuni, si vedrà se
Renzi «è disposto a cambiare qualcosa» e solo alla fine si deciderà che atteggiamento tenere nel voto finale:
«Non è escluso nulla, neanche il voto contrario», dicono da Arcore.
Ancora più delicata la partita della legge elettorale: qui davvero molto dipenderà da Renzi. «Se blinderà tutto,
avremo pochi margini. Ma se si muove qualcosa, anche nel Pd, tutto può succedere...», avvertono gli azzurri.
La partita insomma è da giocare, ma allo stato non sembra che Berlusconi pensi minimamente di aprire nuovi
tavoli. Se accadesse, spiegano i suoi, chiaro che dovrebbe cambiare il format: «L'asse Verdini-Lotti non
esiste più, né per noi né per il Pd, ci dicono...». Per riprendere il dialogo - che negli ultimi giorni era stato
tenuto da Toti e Romani con Guerini - bisognerebbe puntare su incontri «alla luce del sole» per far capire che
«non è solo Renzi a comandare e noi a fare da valletti...».
Ma il clima oggi non è da ritorno al dialogo, non solo perché c'è da ricostruire la difficile alleanza con la Lega
per le Regionali. Se Berlusconi ha deciso di tornare sulla scena, ha bisogno di farlo da guerriero. Almeno fin
quando avrà ripreso le redini del partito, poi si vedrà.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Il retroscena
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 7
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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I dissensi
Il voto sul Quirinale ha acuito le spaccature in Forza Italia. Il 29 gennaio Renzi annuncia che punterà su
Mattarella ma Berlusconi lo accusa di aver violato i patti. Per gli azzurri l'indicazione è di votare scheda
bianca Nel mirino finisce Verdini, che ha gestito la trattativa sul patto del Nazareno. Tra i fedelissimi di
Berlusconi cresce il malcontento contro l'intesa con Renzi: la tesoriera Mariarosaria Rossi parla dei «disastri
del duo tragico che ha trattato con Renzi», riferendosi a Verdini e Letta Gli uomini vicini a Verdini, che
martedì scorso ha incontrato Berlusconi, sostengono che il senatore e Letta hanno ancora la fiducia del
leader azzurro Altra fonte di divisioni è la fronda di Fitto, che da sempre contesta il patto del Nazareno e che
dopo il voto sul Colle ha chiesto l'azzeramento delle cariche interne I fittiani
(in tutto 36 parlamentari) intendono presentare emendamenti propri sul ddl Boschi sulle riforme e non
escludono di esprimersi contro sul voto finale. Per il 21 febbraio, a Roma, stanno preparando la convention
dei «ricostruttori»
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 8
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«Andiamo avanti con le riforme I capilista bloccati? Vedremo»
Guerini: Berlusconi talvolta dichiara senza capire il senso di quello che dice Il partito «Gli arrivi da Scelta
civica? Il partito deve far convivere tutte le culture»
Alessandro Trocino
ROMA Di Lorenzo Guerini, vicesegretario del Partito democratico, sono note le doti diplomatiche e le
acrobazie verbali per evitare pericolosi deragliamenti e inutili polemiche. Ma questa volta, non usa mezzi
termini per rispondere alle parole di Silvio Berlusconi che, al Tg5, parla di rischi di «deriva autoritaria»: «Non
so se definirle più gravi o più ridicole».
Berlusconi avverte «il rischio che vengano meno le condizioni indispensabili per una vera democrazia».
«Sono parole inaccettabili, allucinanti. Parlare di deriva autoritaria nel nostro Paese significa confermare che
qualche volta Berlusconi dichiara senza capire fino in fondo il senso delle cose che sta dicendo».
Nell'intervista sembra confermare la rottura del patto.
«Mi paiono dichiarazioni più di propaganda che di riflessione politica. Il nuovo sistema elettorale l'abbiamo
costruito prima nel confronto con le forze di maggioranza e poi con Forza Italia, con Berlusconi in prima
persona. Insomma, sono tutti passaggi condivisi: come si fa a parlare di deriva autoritaria?».
Perché questo indurimento dei toni?
«Penso che Berlusconi sia preoccupato di ritrovare compattezza interna a Forza Italia».
Berlusconi denuncia la rottura del patto del Nazareno, con l'elezione di Mattarella .
«No, abbiamo sempre detto che il patto riguardava le riforme costituzionali e la legge elettorale: non c'erano
clausole non scritte. Quanto al capo dello Stato abbiamo auspicato la massima condivisione, non c'è stata
ma abbiamo comunque sfiorato i due terzi dei voti. A oggi non ho capito perché Forza Italia non abbia votato
Mattarella».
Ma il patto è davvero rotto? Non c'è possibilità di riaprire il dialogo?
«Al netto della gravità delle parole espresse, io mi auguro comunque la ripresa del buon senso,
dell'intelligenza politica e della responsabilità verso il Paese. Confido che Forza Italia voglia comunque
portare il suo contributo sulle riforme, visto che stiamo parlando di regole del gioco, che come tali dovrebbero
essere condivise da tutti. Mi auguro quindi che voglia essere della partita. Ma ci aspettiamo che d'ora in poi il
pensiero di Berlusconi possa cambiare tutti i giorni sulla base degli umori di quelli che gli stanno attorno. Noi
dobbiamo rispettare il suo partito perché è giusto. Ma faremo capire a lui e agli italiani che è finito il tempo in
cui Berlusconi metteva i veti. Vogliamo essere chiari: se non ci sta, noi andiamo avanti lo stesso».
E come andate avanti?
«Beh, sulla riforma costituzionale non vedo grandi problemi, abbiamo un consenso molto ampio. Quanto alla
legge elettorale, l'unico punto su cui c'è discussione è quello che sta più a cuore a Berlusconi, ovvero i 100
capilista bloccati. Se Forza Italia non sarà della partita, ne prenderemo atto e faremo le scelte che riterremo
giuste in Aula».
Quindi, senza Berlusconi, potrebbero saltare i 100 capilista bloccati?
«Dentro il Pd e dentro la maggioranza c'è un'intesa molto alta sulle soglie, sul premio di lista, sul 40 per cento
per accedere al premio di maggioranza. C'è un solo punto ancora in discussione: il numero dei capilista. Se
Berlusconi si chiama fuori, decide lui il suo destino. Secondo me commette un errore. E lo farebbe anche
contro il suo interesse».
Cercherete l'appoggio dei fuoriusciti? Vi si accusa di aver lanciato una campagna acquisti.
«Non c'è nessuna campagna acquisti in corso. L'arrivo dei parlamentari di Scelta civica non cambia nulla,
perché erano già in maggioranza. I paralleli con il passato sono fuorvianti. A quei tempi, eletti del
centrosinistra passarono nella maggioranza».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'intervista
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 8
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Resta il fatto che non solo da Scelta civica arrivano o stanno per arrivare parlamentari verso il Pd. Non è
trasformismo?
«Dal nostro punto di vista questo denota la grande capacità di attrazione del Pd, di una sinistra riformista
capace di parlare a una platea vasta».
La sinistra pd teme uno spostamento dell'asse.
«L'asse lo stabiliscono le idee e le decisioni. E comunque un partito del 40 per cento deve saper far
convivere tutte le culture e non ripiegarsi solo in una dimensione identitaria» .
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Chi è
Lorenzo Guerini,
48 anni, vicesegretario del Pd, è stato presidente della Provincia di Lodi dal 1995 al 2004 e sindaco di Lodi
dal 2005
al 2012. Eletto deputato nel 2013, l'anno dopo è entrato nella segreteria del partito Il punto che sta più a
cuore all'ex premier è l'unico in bilico Se si chiama fuori decide lui il suo destino
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 12
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il «giallo» sul deficit di Atene in tribunale cinque anni dopo «Così è partita
l'austerità»
L'utopia dell'Europa «La Grecia per recuperare non ha alternative all'uscita dalla moneta unica»
Maria Serena Natale
DALLA NOSTRA INVIATA
ATENE Alle 8 di un sabato mattina la professoressa Zoe Georganta riceve una telefonata: «Erano in cinque,
armati, sono entrati senza mandato e mi hanno preso il computer, ora verranno anche da te». Afferra laptop e
chiavi dell'auto, infila il cappotto sul pigiama e si precipita fuori. «Chiesi ospitalità a una collega dell'università
- racconta oggi al Corriere -. Alla fine nessuno venne a cercarmi, ma da allora il mio telefono fu messo sotto
controllo, i miei collaboratori ed io subimmo forti pressioni, partì la macchina del fango». Era il 2010, si
profilava lo scandalo del deficit greco gonfiato dall'Istituto nazionale di Statistica Elstat, Zoe Georganta faceva
parte del Consiglio direttivo ed era stata la prima ad accusare il presidente, Andreas Georgiou, di aver fatto
lievitare le cifre causando un danno stimato in 200 miliardi di euro e l'apertura del secondo durissimo
memorandum d'intesa con la troika. «Senza quel salto dal 13,6% al 15,4% nel calcolo del deficit sul Pil, tutto
sarebbe stato diverso per la Grecia e l'eurozona». Un caso ancora aperto, nel quale si mescolano rivalità tra
partiti e sospetti di conflitti d'interesse sull'asse Atene-Bruxelles. All'origine dei numeri gonfiati ci fu una serie
di spostamenti di società, nei criteri di calcolo, dal settore pubblico a quello privato. Queste manovre
permisero di inglobare nei conti dello Stato anche il debito di enti in difficoltà, come le ferrovie, che non
rispondevano alle condizioni previste dalle norme comunitarie rispetto a entità e durata delle perdite. Il tutto
complicato da Eurostat, che nel 2010 considerò pubbliche società riclassificate come private l'anno dopo.
Accusato di aver compromesso l'interesse nazionale, Georgiou è in attesa di giudizio. Ha sempre sostenuto
di aver rispettato le leggi.
Professoressa Georganta, a chi segnalò l'errore?
«All'allora ministro delle Finanze George Papakonstantinou, finito a sua volta sotto processo per aver
manipolato la Lista Lagarde (l'elenco dei duemila potenziali evasori greci con conti in Svizzera, ndr ), e al
premier George Papandreou. Mi scontrai con un muro di silenzio e intimidazioni».
Come lo spiega?
«Erano coinvolti il direttore generale di Eurostat, il tedesco Walter Radermacher, e l'ex commissario agli Affari
economici Olli Rehn, che avevano consentito le violazioni consegnando il nostro sistema statistico a un
tecnico estraneo alla realtà greca. Georgiou arrivò all'Elstat dopo 25 anni ai piani alti del Fondo monetario,
mise sempre a tacere le critiche del Consiglio. Concordò i dati diffusi il 15 novembre 2010 solo con
Radermacher».
Perché lo avrebbe fatto? All'epoca si ipotizzò una manovra per spianare la strada alle misure d'austerità .
«Nell'aprile 2010 Eurostat fissò il deficit del 2009 al 13,6% del Pil, con possibili aggiustamenti dello 0,3-0,5%.
Su quelle basi furono siglati gli accordi bilaterali tra la Grecia e i Paesi che accettarono il primo memorandum,
80 miliardi sembravano sufficienti. Quel 15,4% fu uno choc e si corse ai ripari con il secondo pacchetto. Ce
n'è abbastanza per sospettare un piano europeo anti Grecia».
Non crede che salvare Atene sia interesse anche dell'Europa?
«La Grecia è sprofondata e per recuperare competitività non ha alternative all'uscita dall'euro. L'Europa
federale è un'utopia».
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Il profilo
Zoe Georganta nel 2010 faceva parte del Consiglio direttivo dell'istituto nazionale di statistica Elstat. Fu la
prima
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'intervista
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 12
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ad accusare
il presidente Andreas Georgiou
di aver fatto lievitare il deficit pubblico
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 30
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Bortoni (Autorità): non va eliminato il paracadute della «maggior tutela» per le famiglie Le misure Due
caratteristiche della riforma: segnali di prezzo di lungo termine e maggior stabilità
Stefano Agnoli
MILANO L'appuntamento a Bruxelles non è ufficialmente fissato ma è imminente. Si muoveranno il ministero
dello Sviluppo e l'Autorità per l'energia, per spiegare all'Ue come funzionerà il «mercato della capacità»
italiano, primo passo per rimettere in carreggiata un sistema elettrico da tempo sotto stress. I problemi sono
noti: la crisi dei consumi e l'affermazione delle fonti rinnovabili hanno messo in ginocchio i produttori
tradizionali. La sovraccapacità è diventata un male endemico che mette a repentaglio non solo gli
investimenti fatti (e pregiudica quelli futuri) ma ha anche risvolti occupazionali. E d'altra parte la sicurezza va
salvaguardata, soprattutto in un periodo di tensioni internazionali.
Insomma, l'ora di una riforma complessiva del mercato elettrico è giunta. Lo ha ammesso il governo. Lo
riconosce il presidente dell'Autorità Guido Bortoni. «Dieci anni di mercato - dice - sono stati positivi, ci sono
stati recuperi di efficienza importanti rispetto al prezzo amministrato del 2004, ma la criticità sono sotto gli
occhi di tutti». E allora da dove si parte? «Dalle esigenze di riforma che vanno soddisfatte - aggiunge - e in
primo luogo dal fatto che sul versante dell'offerta mancano affidabili segnali di prezzo di lungo termine». La
struttura attuale del mercato elettrico è basata sul breve termine, il che ha certamente contribuito ai
sovrainvestimenti del recente passato sui cicli combinati a gas, che insieme agli incentivi alle rinnovabili
hanno mandato in fibrillazione il sistema.
Se la prima caratteristica della riforma è «l'allungamento della visuale» sui prezzi, la seconda dovrà però
essere quella della maggior stabilità.
Ma come conciliare queste richieste con la necessità di un'offerta «adeguata», cioè con margini di sicurezza
rassicuranti, e con l'obiettivo della «decarbonizzazione» del sistema? Proprio il «capacity market», secondo
l'Autorità, garantisce diversi vantaggi, soprattutto al consumatore, anche se da subito dovrà essere affiancato
da nuovi strumenti di mercato .
Introdotto lo scorso giugno dal Mise, prevede che Terna gestisca delle aste di capacità produttiva di lungo
termine per la fornitura elettrica, e potrebbe partire entro il 2017. Per sue caratteristiche potrà fornire a
produttori e consumatori i segnali a lungo termine desiderati (tra gli altri dall'Enel), ma incontra le resistenze
dei produttori eolici e fotovoltaici, che al contrario di termoelettrici, idroelettrici e biomasse sono più
difficilmente programmabili. Così però mancherebbe un «pezzo» della progettata riforma, quello che, una
volta esaurita la stagione degli incentivi, dovrebbe garantire la remunerazione di lungo termine alle fonti
rinnovabili, anche di nuova generazione. Soluzioni? «Ce ne sono», spiega ancora Bortoni, ma implicano
scelte «politiche» sui tipi di tecnologia da adottare e sulle quantità che potrebbero essere inserite in nuove
aste di capacità.
E i consumatori, ovvero la domanda di imprese e famiglie? Anche qui i nodi da sciogliere non mancano. Due
in particolare: difficile, ad esempio, che grandi imprese «energivore» siano disposte a sottoscrivere contratti
di fornitura più «lunghi» di un paio d'anni. E così per le piccole imprese. Se anche si potesse contare su
famiglie e pubblica amministrazione non si supererebbe comunque un quarto del mercato. Come uscirne?
Probabilmente puntando su aggrega-zioni, formazione di consorzi e regole che li favoriscano, e che fissino
meccanismi di uscita non penalizzanti. L'Autorità potrebbe lavorarci sopra.
Nel frattempo, però, pesa sulle famiglie la prospettiva di un'abolizione tout court della «maggior tutela»,
l'istituto paracadute, parallelo al mercato libero, che ha assicurato spesso ai consumatori «domestici» prezzi
più economici. La possibilità, auspicata dall'Antitrust, potrebbe diventare concreta in nome della concorrenza
e del disegno di legge in preparazione. Per Bortoni, però, una prospettiva del genere non è convincente: «Il
valore aggiunto della maggior tutela - dice - è che dà alle famiglie un segnale di prezzo concreto e praticabile.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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«Mercato elettrico da riformare Il rischio di una giungla dei prezzi»
08/02/2015
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Se lo si eliminasse, tra un anno potremmo ritrovarci a chiedere se i consumatori domestici paghino o meno
un prezzo congruo per l'elettricità, e non avremmo più un riferimento di mercato a cui guardare» .
stefanoagnoli
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Terna 339.481 (-0,1%) ENERGIA ELETTRICA RICHIESTA IL BILANCIO ENERGETICO Variazioni
percentuali della richiesta rispetto all'anno precedente La richiesta di energia elettrica in Italia dall'inizio
dell'anno mercato d'Arco 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 320.268 (-5,7%) 330.455 (+3,2%) 334.640
(+1,3%) 328.220 (-1,9%) 318.475 (-3,0%) 309.006 (-4,0%) PRODUZIONE NETTA 8.067 TOTALE 267.557
5.541 Geotermoelettrica 14.966 Eolica 23.299 Fotovoltaica Idroelettrica 165.684 Termoelettrica 2014
309 mila Gigawattora
la richiesta
di energia elettrica nel 2014. Nove mila in meno rispetto all'anno 2013
267 mila
Gigawattora la produzione
di energia elettrica
in Italia nel 2014, undici mila in meno del 2013
Chi è
Guido Pier Paolo Bortoni, 54 anni, è presidente dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico da
febbraio 2011. Ingegnere elettrico, master post-universitario
al Politecnico
di Milano, è stato il Capo dipartimento per l'Energia
al ministero dello Sviluppo
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 30
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Il commercio riparte, con tanti stranieri e forte rotazione
Dario Di Vico
Il commercio è ripartito. La notizia ha del sorprendente ma la fonte è al di sopra di ogni sospetto: la
Confesercenti che in questi anni di vacche magrissime ha sempre documentato la chiusura delle
saracinesche ovvero la «ruggine italiana». Il secondo semestre del '14 ha visto, dunque, una secca
inversione di tendenza: rispetto al primo semestre dello stesso anno si registrano 57 mila occupati in più di
cui 31 mila in attività gestite da imprenditori stranieri. Analizzando l'intero 2014 la chiusura di punti-vendita
prevale ancora ma rallenta e in alcuni segmenti ci sono inaspettati revamping. Crescono l'ambulantato
(+5.400 imprese),
i negozi di prodotti moda (+7 mila), gli alimentari specializzati ed etnici (+580) e gli shop di informatica (+314).
Continua il trend negativo delle tradizionali botteghe di alimentari generici (-6.238) e delle edicole
(-824). Nella zona di Roma e del Lazio si segnala, poi, il boom dei negozi di frutta e verdura gestiti da
imprenditori africani. In attesa di rilevazioni più robuste alcune considerazioni si possono cominciare a fare.
Innanzitutto il dinamismo degli stranieri capaci non solo di offrire soluzioni low cost per tutti i consumatori ma
anche di creare un circuito commerciale parallelo rivolto agli extracomunitari. In più gli stranieri stanno
occupando (facilmente) nel commercio ambulante spazi lasciati dal ritiro di una parte degli italiani. Ma, al di là
di loro, il commercio appare anche come l'attività più facile da intraprendere per i giovani in cerca di autoimpiego e i dati sulle scelte di indirizzo delle nuove partite Iva lo dimostrano mensilmente. È chiaro che
spesso si tratta di tentativi e non di vere attività strutturate, per cui è facile pensare a una rotazione vorticosa
nelle aperture e nelle chiusure che sta riducendo la durata media di un esercizio. L'arrivo di giovani fa da
pendant allo svecchiamento forzoso indotto dalla recessione che ha spinto i commercianti più anziani ad
anticipare un ritiro che comunque sarebbe avvenuto in tempi non lunghi. In presenza di questi fermenti se si
vuole consolidare il trend positivo diventa decisivo formare e supportare i neo-imprenditori. Stupisce però che
il segretario generale della Confesercenti, Mauro Bussoni, carichi quest'impegno sulle spalle addirittura del
governo. Ma allora le associazioni e le camere di commercio che ci stanno a fare?
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57 mila gli occupati in più nel commercio nel secondo semestre del 2014. Circa 31 mila le attività
gestite da imprenditori stranieri
6.238 le botteghe di alimentari generici in meno rispetto al 2013. Saldo negativo anche per le edicole:
nel 2014 sono 824 ad aver chiuso
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Il caso
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 31
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Confindustria: un errore modificare il Jobs act sui licenziamenti collettivi
Il vicepresidente Dolcetta: decreti da varare senza stravolgimenti I contratti a progetto aboliti? Nelle pmi sono
utili
Enrico Marro
ROMA Confindustria è preoccupata. Proprio ora che si intravedono timidi segnali di ripresa, sarebbe
sbagliato, sostiene, fare marcia indietro sui primi decreti attuativi del Jobs act, attenuando quegli elementi di
flessibilità e semplificazione da tanto tempo attesi dalle imprese, spiega Stefano Dolcetta, vicepresidente per
le relazioni industriali .
Ammetterà che il Jobs act del governo Renzi risponde alle vostre richieste?
«Infatti il nostro giudizio sulla legge delega di riforma del mercato del lavoro è sostanzialmente positivo. In
Italia c'è bisogno di una riduzione del costo del lavoro, che non significa taglio dei salari netti ma del cuneo
fiscale e contributivo, e di una maggiore flessibilità. I primi due decreti legislativi di attuazione della delega, sui
quali si stanno esprimendo con i loro pareri le commissioni parlamentari, vanno nella giusta direzione. Il
problema è che ora il governo non deve né fare marcia indietro accogliendo tutte le richieste di modifica né
fermarsi nella sua azione riformatrice, che richiede il varo degli altri decreti necessari all'attuazione del Jobs
act».
Confindustria è preoccupata per le richieste della commissione Lavoro della Camera. Il presidente Cesare
Damiano (Pd) vorrebbe che il governo, varando definitivamente i primi decreti del Jobs act, escludesse i
licenziamenti collettivi dalle procedure semplificate (indennizzo), ripristinasse la discrezionalità del giudice e
aumentasse l'indennizzo minimo.
«Noi pensiamo che sia sbagliato ricominciare la discussione su questi contenuti, perché tra l'altro si sa dove
si comincia e non si sa dove si finisce. Sarebbe meglio varare definitivamente i due decreti legislativi senza
stravolgerli e senza perdere altro tempo, altrimenti si rischia di perdere il treno di una possibile ripresa».
Le chiedo però di rispondere nel merito. Estendere il licenziamento semplificato anche a quelli collettivi
significherebbe saltare le procedure di accordo con i sindacati. Non crede che così i lavoratori siano meno
garantiti?
«Guardi, le aziende non assumono le persone per poi licenziarle. I licenziamenti collettivi sono necessari
quando l'azienda non può fare a meno di ristrutturarsi. Oggi le procedure sono troppo complesse e ciò frena il
rilancio delle aziende. Una semplificazione, dunque, è opportuna, sul modello, tra l'altro, dei Paesi con i quali
dobbiamo competere».
Damiano dice anche che se si toglie la discrezionalità al giudice, questi deve convalidare anche il
licenziamento di un lavoratore che, per esempio, timbra il cartellino con 3 minuti di ritardo .
«Non credo che un'azienda licenzi un dipendente perché una volta arriva in ritardo. Se però il ritardo è
sistematico, grave e ingiustificato, magari è giusto che l'imprenditore possa far capire che così non si fa».
Con il Jobs act crescerà l'occupazione?
«Forse nella seconda parte del 2015 perché, visto che gli sgravi contributivi finiranno il 31 dicembre, molte
aziende potrebbero avere interesse ad assumere o a stabilizzare i lavoratori. La condizione indispensabile
però è la ripresa, il mercato lo fa la domanda».
Col prossimo decreto di attuazione del Jobs act potrebbero essere cancellati i contratti a progetto.
Favorevole?
«Nelle imprese industriali non sono molto usati, ma in altri settori e nelle piccole aziende potrebbero essere
utili».
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Il profilo
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'intervista
08/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 31
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Stefano Dolcetta,
65 anni, è vicepresidente per la relazioni industriali e
il welfare di Confindustria da maggio 2012. Amministrato-re delegato di Fiamm Spa,
è stato membro
del comitato
di presidenza dell'Anie
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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09/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 1
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riscoprire la cultura del lavoro
Maurizio Ferrera
Per il mercato del lavoro italiano il 2015 potrebbe davvero essere l'anno di svolta. Grazie alla ripresa
dell'economia, le imprese dovrebbero tornare ad assumere. E il Jobs act le incentiverà a offrire occupazione
stabile, disciplinata dal nuovo contratto a tutele crescenti. Secondo gli esperti, entro la fine dell'anno questo
tipo di contratto sarà adottato per circa la metà delle nuove
assunzioni. Non si tratterà solo di un cambiamento di regole. Gradualmente si affermerà una nuova logica di
rapporti fra imprese, lavoratori e Stato: più simile a quella degli altri Paesi europei, più efficace e inclusiva. È
una grande scommessa, che sarà vinta solo nella misura in cui ciascuno capirà qual è la posta in gioco e
come interpretare bene la propria parte.
Per le imprese, tornare
ad assumere in forma stabile significa recuperare la cultura del lavoro (quello
dei propri dipendenti)
come investimento, come
un fattore produttivo che va coltivato dall'interno.
Le statistiche segnalano
che negli ultimi vent'anni
in Italia non si sono
registrati molti progressi,
ad esempio, in termini
di addestramento on thejob o di formazione permanente.
I dipendenti precari
sono stati poi relegati su binari secondari, spesso utilizzati come risorsa
«usa e getta». Non è un
caso che i lavoratori
italiani si sentano molto meno impegnati e coinvolti nell'organizzazione
aziendale rispetto ai loro colleghi Ue.
Lo scarso successo (sinora) dell'apprendistato e di tutte le forme di raccordo fra scuola e imprese è, almeno
in parte, un segnale di poca attenzione per l'insostituibile ruolo che i datori di lavoro devono giocare nel
contesto educativo e culturale dal quale reclutano il proprio capitale umano.
Anche per i lavoratori è necessario un cambiamento di mentalità. Veniamo da una tradizione in cui il posto
fisso a vita è stato per generazioni l'obiettivo più ambito. Ancora oggi, a dispetto del precariato, l'Italia è il
Paese Ue in cui la durata media del rapporto di lavoro è più lunga (15 anni) e in cui il numero di impieghi nel
corso della vita è il più basso: due, rispetto ai quattro della Francia e ai cinque della Danimarca. Si tratta di
una media che sconta l'inamovibilità del nostro pubblico impiego e l'onda lunga dell'articolo 18. Ma
l'aspettativa del tempo indeterminato a vita è ancora molto radicata, anche fra i giovani. Contrariamente a
quanto è successo nei Paesi nord europei, l'avvento della flessibilità in Italia ha coinciso con la
precarizzazione, ossia uno stato di perenne insicurezza, frequenti interruzioni di reddito, «intrappolamento»
nei settori meno qualificati del mercato del lavoro. Non sarà facile recuperare il significato positivo della
parola flessibilità e convincere i giovani che - se si svolgono in contesti adeguati - la mobilità territoriale, il
cambiamento del posto di lavoro o delle mansioni non sono un dramma e anzi possono diventare
un'occasione di crescita. Senza questo salto culturale, le nuove logiche occupazionali sottese al Jobs act non
potranno dare i frutti sperati.
Per ottenere effetti virtuosi dalla riforma deve cambiare soprattutto lo Stato. Non so se il governo Renzi ne sia
pienamente consapevole, ma la sfida è enorme. La flessibilità non degenera in precarietà solo se
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Dipendenti, imprese
09/02/2015
Corriere della Sera
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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l'amministrazione pubblica è in grado di fornire efficienti servizi di ricollocazione e formazione. Il nostro deficit
inizia dalle scuole: la metà degli studenti italiani dichiara di non aver ricevuto alcun consiglio e consulenza
mirata sui percorsi lavorativi post licenza e sulle proprie potenzialità. Negli altri Paesi questa è la norma per la
quasi totalità degli allievi. La metà, di nuovo, dei lavoratori italiani dichiara che, in caso di perdita del posto di
lavoro, la probabilità di trovarne un altro è molto bassa. Il dato medio Ue è inferiore di venti punti. Il segnale è
chiaro: i servizi per l'impiego sono totalmente inadeguati rispetto alle esigenze di un mercato del lavoro
flessibile. Difficile pensare di poterci allineare in tempi rapidi ai modelli nordici. Ma è urgente avviare un
processo di riforma almeno simile a quello seguito da Francia e (soprattutto) Germania.
Qualche settimana fa l' Economist ha aperto una discussione sulla crescente diffusione del «lavoro a
rubinetto»: la produzione di servizi in forma completamente decentrata da parte di mini-imprese capaci di
sfruttare app , cellulari e tecnologia. Sarebbe la fine del lavoro dipendente come l'abbiamo conosciuto finora.
È uno scenario futuribile da rivista settimanale, ma anche un segnale di quanto rapidamente l'economia stia
cambiando grazie al progresso delle conoscenze. Vista dall'Italia, l'epoca del lavoro a rubinetto sembra un
film di fantascienza. Ma non possiamo tirarci indietro rispetto alle concrete sfide di adattamento che oggi ci si
pongono davanti. Rimbocchiamoci le maniche e facciamo uno sforzo collettivo per oltrepassare la soglia della
flexicurity . Sarebbe un grande successo, e basterebbe per almeno una generazione.
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BEPPE GIACOBBE
09/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 5
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Varoufakis: insostenibile l'esposizione di Roma. La replica su Twitter: dichiarazioni fuori luogo, è solida I
danni di guerra Il premier greco: un «obbligo storico» richiedere i danni di guerra alla Germania
Maria Serena Natale
DALLA NOSTRA INVIATA
ATENE «Onore e rispetto». Alexis Tsipras ha la gola secca e l'aria tesa, manda giù lunghe sorsate d'acqua
tra gli applausi. «Manterremo tutte le promesse elettorali - dice al Parlamento greco -. La strada per la
ricostruzione della nostra patria sarà lunga ma renderemo il nostro sogno realtà». Sogno significa cibo e luce
gratis ai più poveri, «risolvere la crisi umanitaria, curare le profonde ferite del piano di salvataggio». Nessun
passo indietro, ma il messaggio è sul filo perché l'Europa ascolta. «Non vogliamo un'estensione del piano di
aiuti. Il memorandum è stato un fallimento. Chiediamo un nuovo accordo-ponte sino a giugno per rinegoziare
il debito». È il guanto di sfida che apre una settimana decisiva, attesa in un clima da duello finale. Nel primo
grande discorso da premier Tsipras evoca più volte la «dignità nazionale» mortificata da anni di sacrifici e
«barbarie», promette tolleranza zero sull'evasione fiscale e lotta agli sprechi, annuncia una Commissione
parlamentare d'inchiesta sull'accordo con la troika, conferma i punti principali che hanno portato la sinistra
radicale al governo, cita «l'obbligo morale di reclamare le riparazioni per l'occupazione nazista». Parla ai greci
che vedono in lui l'ultima speranza ma pensa all'Eurogruppo straordinario di dopodomani, al quale Atene
dovrà presentarsi con una exit strategy credibile per risolvere il problema del debito: «Un problema politico.
La Grecia vuole pagare ma anche raggiungere un'intesa comune con i partner nell'interesse di tutti». Nelle
stesse ore le agenzie rilanciano le dichiarazioni del ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, sostenitore di
una revisione organica delle politiche europee di rigore nella quale inserire il dibattito sulla Grecia, che ai
microfoni Rai di PresaDiretta mette anche l'Italia tra i candidati alla bancarotta. Gli risponde su Twitter Pier
Carlo Padoan: «Il debito italiano è solido e sostenibile. Parole fuori luogo». Guerra di nervi, scrivono i giornali.
Conto alla rovescia. Tsipras chiede tempo e accumula consenso. Il primo sondaggio realizzato dopo le
elezioni registra il 75% di fiducia nella determinazione dell'esecutivo a mantenere la parola. «Questione di
onore e rispetto» dice il premier. Ma le pressioni crescono su tutti i fronti. L'ex presidente della Federal
Reserve, Alan Greenspan, definisce l'uscita della Grecia dall'Eurozona inevitabile. Anche il cancelliere dello
scacchiere britannico George Osborne esprime preoccupazione per lo stallo che si profila nella trattativa, «un
grave rischio per l'economia globale», e avverte che Londra prepara un piano d'emergenza in caso di "Grexit"
e conseguente instabilità finanziaria. Allarmi lanciati alla vigilia del G20 di Istanbul e dell'incontro tra Angela
Merkel e Barack Obama a Washington, nel quale si parlerà anche di Grecia. La Casa Bianca sta premendo
sui leader dell'Eurozona perché aprano al compromesso con Atene. In Parlamento è cominciato il dibattito sul
programma di governo, il voto di fiducia è atteso per la mezzanotte di domani. Ancora due giorni, poi si torna
al tavolo.
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La vicenda
Il primo ministro greco Alexis Tsipras ha detto ieri in Parlamento che non chiederà ai leader europei
un'estensione del piano di salvataggio dell'Unione europea
e del Fmi Ha aggiunto che è possibile negoziare
un accordo di transizione con i prestatori entro la fine del mese per fare andare avanti la Grecia finché non
verrà raggiunto un nuovo patto
sul debito Intanto scoppia la polemica tra Italia e Grecia sui conti pubblici. Il neo ministro delle Finanze Yanis
Varoufakis ha detto a «Presa Diretta» che anche «l'Italia è a rischio bancarotta per il suo debito, ma teme
ritorsioni dalla Germania» Parole forti che hanno obbligato il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Tsipras avverte: manterrò le promesse Scontro con Padoan sul debito
italiano
09/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 5
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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a una replica su Twitter:
«Il debito e sostenibile, le dichiarazioni
di Varoufakis sono fuori luogo». Dialettica aspra a due giorni dalla riunione dell'Eurogruppo in cui i due
dovranno incontrarsi. Oggi comincia il G20 a Istanbul:
la questione greca è sul tavolo
Foto: Il premier greco Alexis Tsipras ieri durante il discorso sul programma
presentato
in Parlamento.
Il leader del partito Syriza ha detto
di voler mantenere
le promesse anti-austerity
Foto: Alle 16.37 di ieri la replica del ministro dell'Economia Padoan alle dichiarazioni del collega greco
Varoufakis sul debito italiano
Foto: «Moratoria», sulla prima pagina
di «Avgi», il quotidiano di Syriza,
il partito del premier Tsipras
09/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 6
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«Alla gente il Nazareno non interessa Basta divisioni o non vinceremo
più»
Calabria, leader dei giovani azzurri: il premier guida il restyling dell'Unione Il confronto costruttivo non c'è più
Ora noi non rinunciamo alla nostra identità Verso le Regionali «I big del centrodestra si siedano a un tavolo
per superare pregiudizi e personalismi» Il dibattito su Verdini o Fitto non mi appassiona senza unità non si va
da nessuna parte
Tommaso Labate
ROMA «C'è l'allarme occupazione, il disastro che il governo ha combinato con le partite Iva, le tasse che
crescono. Lo sa quanto interessa agli italiani del patto del Nazareno?».
Quanto?
«Poco o nulla. Guido un movimento che continua ad attrarre migliaia di giovani. Giovani che si aspettano da
noi uno scatto d'orgoglio e a cui, evidentemente, l'avere un premier quarantenne non basta, se quel premier
non sa rispondere ai loro bisogni».
Ce l'ha con Renzi?
«Io ho sempre pensato che col governo si deve pur sempre parlare. Ma Renzi scoprirà che non basteranno
un paio di tweet per dimostrare che è un uomo solo al comando e per farsi un bagno purificatore nell'Arno
che lo liberi da tutti i vecchi retaggi della sinistra. Da domani dovrà fare provvedimenti con la sinistra pd, gli ex
di Scelta civica, Ndc, forse gli ex M5S, i fuoriusciti di Sel... Voleva guidare il partito della Nazione. E invece
rischia di ritrovarsi alla testa del restyling della vecchia Unione di Prodi».
Annagrazia Calabria, deputata, guida il movimento giovanile di FI. Di solito non rilascia interviste. E,
nonostante l'età, non è una rottamatrice. La sua bussola è «essere giovani non significa essere migliori» ma
«il ricambio generazionale, nella vita come in politica, deve essere fisiologico».
Renzi ha imboccato una deriva autoritaria, come dice Berlusconi?
«Renzi aveva avviato un percorso di condivisione basato innanzitutto su un metodo: quello del confronto
costruttivo con l'opposizione per le riforme istituzionali. Poi deve aver cambiato idea, tanto che è stato lui
stesso ad interromperlo, preferendo ricompattare il suo partito. Di conseguenza, da oggi sul merito delle
riforme istituzionali noi decidiamo di non rinunciare alla nostra identità, votando solo quello che davvero ci
convince».
Il patto del Nazareno s'è risolto in una slavina che, però, ha travolto voi. Verdini, per esempio...
«Non mi appassionano granché questi dibattiti. Ma, visto che me lo chiede, le rispondo con franchezza. Sia
chi in questi giorni attacca, sia chi si difende, deve riscoprire la consapevolezza che divisi non andiamo da
nessuna parte. Vale lo stesso discorso per Fitto».
Che ne sarà di una FI stretta tra Renzi e Salvini?
«Ogni volta che il centrodestra s'è presentato diviso ha perso mentre in diverse regioni del Nord governiamo
tutti insieme con successo. Questo è bene che tutti lo tengano a mente in vista delle prossime elezioni
regionali».
Quindi?
«Tutti i leader del centrodestra devono mettersi attorno a un tavolo e decidere qual è il modo migliore per
vincere, mettendo da parte pregiudizi e personalismi».
Lei è sicura che basti riscoprire l'unità dei moderati per sconfiggere Renzi?
«Per battere Renzi serve l'unità così com'è necessaria un'iniziativa politica che rilanci il nostro progetto di
sempre: meno tasse, più lavoro. Parliamo agli italiani. E poi non dimentichiamo che Renzi a Roma è Ignazio
Marino. Lo sa che cosa pensano i romani di Marino? Renzi, in Liguria, è lo spettacolo delle primarie andato in
scena settimane fa. Insomma, i nodi vengono al pettine per tutti, anche per Renzi.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'intervista
09/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 6
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Chi è
Annagrazia Calabria, 32 anni, laureata in Legge, eletta alla Camera nel 2008 nella lista del Pdl nella
circoscrizione Lazio 1, a 26 anni è la più giovane deputata della XVI Legislatura. Viene rieletta nel 2013
09/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 7
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Gli italiani vedono FI in difficoltà Ma per il 92% dei suoi elettori il leader
terrà le redini del partito
La previsione Per il 44% di tutti gli intervistati la divisione nel centrodestra durerà a lungo
Nando Pagnoncelli
All'indomani dell'elezione del presidente della Repubblica i commentatori hanno dedicato grande attenzione
all'analisi dei vincitori e dei vinti nella partita del Quirinale, decretando in larga misura la vittoria del premier
Renzi e la sconfitta del centrodestra che ne è uscito piuttosto malconcio. Si tratta di una lettura condivisa del
tutto (29%) o almeno in parte (52%) dalla stragrande maggioranza degli italiani mentre solo il 9% non la
condivide e il 10% non si esprime. Ed è un'opinione che prevale tra tutti gli elettorati, compreso quelli di Forza
Italia che non fanno nulla per dissimulare la delusione e la preoccupazione per le possibili ripercussioni della
vicenda sul cosiddetto patto del Nazareno e sul ruolo del loro partito nel prosieguo del processo di riforme
intrapreso insieme alla maggioranza.
Renzi dunque esce vincitore: il suo consenso, quello del governo e del Pd dopo settimane di calo fanno
segnare un'inversione di tendenza e riprendono a crescere. Berlusconi e Forza Italia al contrario registrano
una flessione che, tuttavia, non sembra far presagire una definitiva uscita di scena dalla politica dell'ex
premier. Infatti, oltre un italiano su due (55%), è convinto che Berlusconi saprà ancora una volta riprendere in
mano FI rimanere saldamente a capo del suo partito. È una convinzione che prevale in tutti gli elettorati sia
pure con accentuazioni diverse: da un livello massimo, quasi plebiscitario, tra gli elettori di FI (92%) a quello
minimo tra gli elettori centristi (37%), certamente animati dalla speranza di un cambio di leadership nel
centrodestra. Solo un italiano su cinque (20%) pensa che l'elezione di Mattarella rappresenti il declino
definitivo di Berlusconi come leader politico.
Nonostante le forti divisioni interne a Forza Italia e nonostante Berlusconi negli ultimi anni abbia inanellato
diverse sconfitte e subito un forte calo di popolarità, gli italiani ritengono che all'orizzonte non vi sia un leader
alternativo. Ciò dipende sicuramente dalle caratteristiche di «partito personale» di Forza Italia, il cui destino
appare indissolubile da quello del suo leader, ma anche dalla capacita di riscatto che Berlusconi ha mostrato
in più di un'occasione. Nella vicenda dell'elezione del presidente della Repubblica ha destato scalpore la
decisione del leader di Ncd Alfano di sostenere Mattarella, dopo che aveva annunciato l'astensione sulla sua
candidatura, contravvenendo all'accordo raggiunto con Forza Italia per un candidato comune. Un accordo
che lasciava presagire un avvicinamento tra le due forze politiche, una ricomposizione delle fratture e la
possibile apertura di una nuova stagione per il centrodestra. Ebbene, nonostante il dissenso espresso da
alcuni esponenti di primo piano di Ncd, la maggioranza degli italiani (54%) approva la decisione di Alfano di
appoggiare la candidatura di Mattarella, mentre all'incirca uno su quattro (23%) ritiene che abbia fatto male
perché ha perso l'occasione di ricompattare il centrodestra rendendolo più competitivo rispetto al Pd di Renzi.
Il consenso per la decisione di Alfano è più elevato tra gli elettori del centrosinistra (81%) ed è largamente
prevalente tra quelli centristi (63%), mentre il 25% esprime contrarietà. Gli elettori di Forza Italia vedono
sfumare la possibilità di una futura alleanza e pertanto in larga misura (64%) si dichiarano critici. Molto più
diviso risulta l'elettorato del Movimento 5 Stelle. I giudizi sull'operato dei partiti di centrodestra fanno
registrare un calo per Forza Italia (-2% rispetto a metà gennaio), Lega Nord (-1,6%) e, in misura minore, per
Ncd (-0,6%). In lieve aumento Fratelli d'Italia (+0,2%). La difficile stagione del centrodestra sembra destinata
a perdurare per molti anni secondo il 44% degli italiani mentre un intervistato su tre (34%) ritiene che saprà
riprendersi rapidamente, ricompattandosi attorno alla figura di un leader nuovo e vincente. Appare tuttavia
emblematico l'elevato numero di intervistati (22%) che non riesce ad esprimere una previsione. Più ottimisti
gli elettori di Forza Italia (58%) tra i quali, tuttavia, non è trascurabile la quota di pessimisti (uno su 4). Ed è
interessante osservare che tra i centristi all'incirca uno su due non ritiene che il centrodestra sia destinato ad
invertire la tendenza. Lo scenario politico sembra dunque in evoluzione: Renzi e il Pd sono in ripresa, il
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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09/02/2015
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centrodestra stenta a riprendersi e fa registrare un testa a testa tra Forza Italia e Lega, M5S rimane
saldamente al secondo posto. E i timidi segnali di ripresa fanno prevedere un consolidamento del consenso
per Renzi e il suo governo e una strada in salita per l'opposizione.
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Questa elezione rappresenta una vittoria di Renzi e del PD, ricompattatosi sul nome di Mattarella, e una
sconfitta per il centrodestra, che si è diviso sul voto? 52% 29% 9% 10% L'elezione di Mattarella così per gli
elettori di... Sì, del tutto Sì, ma solo in parte No, per nulla Non so Pd-Psi-Cd Ncd-Centro FI-Destra M5S
L'elezione di Mattarella rappresenta l'uscita di scena definitiva di Silvio Berlusconi come leader politico,
oppure saprà ancora riprendere in mano le redini di Forza Italia? 55% 20% 25% così per gli elettori di... Sì, la
rappresenta Non so No, riprenderà in mano Forza Italia Sondaggio realizzato da Ipsos PA per «Corriere della
Sera» presso un campione casuale nazionale rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne
secondo genere, età, livello di scolarità, area geografica di residenza, dimensione del Comune di residenza.
Sono state realizzate 996 interviste (su 9.012 contatti), mediante sistema CATI, il 3 E 4 febbraio 2015. Il
documento informativo completo riguardante il sondaggio sarà inviato ai sensi di legge, per la sua
pubblicazione, al sito www.sondaggipoliticoelettorali.it. Pd-Psi-Cd Ncd-Centro FI-Destra M5S Anche Alfano
appare in difficoltà avendo scelto di votare per Mattarella pur suscitando le critiche di molti esponenti del suo
partito. Secondo lei... 54% 23% 23% così per gli elettori di... Ha fatto bene Non so Ha fatto male Il
centrodestra italiano riuscirà a riprendersi, ricompattandosi attorno ad un leader nuovo, o rimarrà diviso e in
minoranza in Italia per molti anni? 44% 34% 22% così per gli elettori di... Si riprenderà Non so Resterà diviso
e in minoranza FI-Destra M5S Pd-Psi-Cd Ncd-Centro FI-Destra M5S Pd-Psi-Cd Ncd-Centro CdS 48% 46%
1% 5% 13% 61% 9% 17% 39% 45% 4% 81% 3% 16% 33% 64% 3% 37% 31% 32% 58% 24% 18% 36%
42% 22% 19% 61% 20% 37% 48% 15% 5% 92% 3% 15% 62% 23% 33% 47% 20% 31% 37% 32% 63%
25% 12% 12% 23% 58% 14% 5% 190 i parlamentari (98 deputati e 92 senatori) eletti nelle liste del Popolo
della libertà a febbraio 2013 con Berlusconi candidato premier. A novembre 2013 la spaccatura sull'appoggio
al governo guidato da Enrico Letta portò alla scissione di un consistente numero di deputati e senatori che
hanno dato vita al Nuovo centrodestra
09/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 9
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«Partito rovinato dagli ambiziosi, lì non si fa politica»
Borletti Buitoni, passata con i Democratici: «Non siamo in cerca di poltrone» Le scelte di Monti L'ex premier
ha salvato questo Paese dal baratro poi ha fatto scelte infelici, inadatte al suo carattere
Paolo Conti
roma Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario ai Beni culturali. Lei è stata eletta senatrice nelle liste di Scelta
Civica e ora fa parte del gruppo confluito nel Pd. Ha seguito il congresso del partito che ha appena lasciato?
Pentita della scelta?
«Se la sintesi politica è quella del segretario Enrico Zanetti, cioè che noi avremmo rappresentato una
"invasione di ultracorpi del Pd in Scelta civica", e che saremmo stati "stanati", allora sono certa che ciascuno
dei miei elettori approverebbero la mia decisione che ho compiuto dopo molte incertezze e in seguito a
un'approfondita riflessione».
Cosa contesta nei toni del congresso?
«Nonostante le nostre insistenze, si è voluto organizzare un congresso in tutta fretta, senza un confronto
interno che potesse portare a qualcosa di ben diverso dallo 0,2% che ci viene attribuito nei sondaggi. In
particolare il segretario non ha voluto ascoltare ed ecco il risultato. È la riprova che è bene che la società
civile rimanga società civile. Certe ambizioni personalistiche raramente si inseriscono in un vero quadro
politico».
L'onorevole Alberto Bombassei, intervistato sul Corriere , vi ha accusato in sostanza di «voler conservare il
posto» e di sostenere «una maggioranza da bulli». Considera Matteo Renzi un «bullo»?
«Le maggioranze si calcolano sui numeri e non sui giudizi personali. Mi dispiace che Bombassei,
imprenditore che stimo molto, abbia espresso giudizi personali e non valutazioni politiche. Renzi sta
compiendo una vera rivoluzione in Italia e, come avviene in tutte le rivoluzioni, adotta metodi anche secchi.
Nel caso dell'elezione di Sergio Mattarella ha ottenuto il risultato che voleva: scegliere un ottimo presidente,
riconsolidare l'unità del partito, mettere nell'angolo Forza Italia e Ncd. Ha dimostrato grossa capacità politica
e forza nel realizzare, con il Pd, quelle riforme che erano nell'agenda di Scelta civica, come ha giustamente
sottolineato Pietro Ichino».
Ma lei vuole «conservare il posto»?
«Mai ragionato in questi termini. Io mi sono dimessa da tutti gli incarichi quando mi candidai. Li ho lasciati,
sottolineo, prima e non dopo . Opero come sottosegretario ai Beni culturali con spirito di servizio e in base
alle mie competenze. Il mio incarico è a disposizione del presidente del Consiglio: se lo dovesse ritenere non
più consono agli equilibri politici, accetterei questa decisione con consapevolezza e disponibilità. Vorrei
anche aggiungere che in Scelta civica la questione della politica culturale non è mai stata presa minimamente
in considerazione e che tutto ciò che il ministro Dario Franceschini ha compiuto con la sua riforma del
ministero e con le sue scelte rientra in un progetto politico culturale che condivido pienamente».
Il ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, ha detto: non siamo stati noi a lasciare Monti ma è stato Monti il
primo a lasciare noi un anno e mezzo fa. Pensa anche lei che sia nata lì la crisi di Scelta civica?
«Il senatore Monti ha avuto il merito di salvare il Paese a un metro dal baratro. Poi sono seguite scelte non
felici e anche inadatte al suo carattere. Quando ha lasciato Scelta civica è mancato il riferimento
fondamentale, il perno stesso del nostro partito e non è stato sostituito da nessuno. Ho visto solo piccoli
aspiranti protagonisti, privi di capacità e di autorevolezza...».
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Chi è
Ilaria
Borletti Buitoni,
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'intervista
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Corriere della Sera
Pag. 9
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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60 anni, eletta alla Camera
nel 2013 con Scelta civica,
di cui è stata vicepresidente fino all'addio
di venerdì. È passata al Pd. È sottosegretario ai Beni culturali nel governo Renzi (stesso incarico per il
governo Letta)
09/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 25
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La Russa: la polizia alla festa in casa? Mandata dai radical chic
Due volanti per la musica alta. L'ex ministro: «Mai parlato di zecche comuniste, ma non me lo rimangio...»
Erano le 11.50 di un venerdì prefestivo Assurdo chiamare gli agenti Il party era di mio figlio Io leggevo in
camera
Marco Cremonesi
MILANO «Macché... In realtà, io non ho parlato di zecche comuniste. Ma comunque, come vuole lei: non me
la rimangio...». Venerdì sera, a casa di Ignazio La Russa, in pieno centro a Milano, zona Porta Venezia, la
musica era alta. Tanto che poco prima della mezzanotte sono arrivate due volanti dal Commissariato Città
studi per chiedere di abbassarla. Ma il deputato di Fratelli d'Italia non l'ha presa bene: «Ma a lei sembra
normale che il venerdì sera arrivino non una ma ben due auto per la musica? Erano le 11.50. Non le due di
notte. Di venerdì sera, prefestivo...».
La Russa, via: qualcuno di infastidito ci sarà pure stato. Qualcuno che lei avrebbe, appunto, chiamato
«zecca comunista».
«Ma no, ripeto: zecche non fa parte del mio linguaggio, a Milano nemmeno si usa. No, lì deve essere stato
qualche radical chic accidioso...».
Onorevole, può essere che la musica fosse troppo alta davvero: lei è noto per essere un festaiolo.
«Io? Ma che c'entro io? Era la festa di compleanno di mio figlio. E quindi, a me era stato ordinato di non farmi
vedere. Infatti ero in camera mia, a leggere: "Norvegian wood" di quell'autore giapponese. Come si chiama?
Haruki Murakami».
Beh, allora avrà sentito anche lei che la musica era alta. O no?
«Alta, alta... Ma cosa vuol dire? È vero che, come si usa, era stata alzata quando era arrivato il momento
dell'happy birthday. Però, se la polizia è arrivata in quel momento, doveva essere stata chiamata già da
prima».
A lei quindi sono girate le scatole ed è stato un po' brusco.
«Ma no. Ho detto ai poliziotti: "Con tutto il rispetto per voi, a cui io voglio bene, questa è una porcata che ha
organizzato qualcuno". Tutto lì...».
Ma chi l'ha organizzata?
«Ma che ne so io? Non ne ho la più pallida. Sarà, mi dico, qualcuno dei radical chic che abitano da queste
parti».
Uno dei suoi vicini?
«Ma no, non credo. Tra l'altro, la mia è una casa in cui abitano parecchi giovani. Almeno una volta al mese,
una festa c'è. E con la musica, mica smette nessuno alle 11.50. Normale. Una cosa che si può accettare
benissimo».
Ma non ha detto agli agenti che comunque lei la musica la avrebbe rialzata?
«Ma no. Ho detto loro le stesse cose che sto dicendo a lei. Che alla sera del venerdì, è strano che ancora
prima della mezzanotte arrivi la polizia. Tra l'altro, quale alzare: mio figlio e i suoi amici poco dopo sono usciti
per andare in non so quale discoteca».
Insomma, solo un tiro di qualche vicino radical chic?
«Sì, però io non posso pensare che un venerdì sera ben due volanti vengano impiegate per andare a
chiedere di abbassare il volume a una festa. Già ce ne sono poche, già ci sono tutti i problemi che sappiamo.
E le auto che ci sono, vanno utilizzate per quello? Io continuo a trovarla un'assurdità».
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Chi è
Ignazio La Russa, 67 anni, ex di Msi, An
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INTERVISTA
09/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 25
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e Pdl, ora in Fratelli d'Italia, è stato vice-presidente
della Camera
e ministro
della Difesa
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09/02/2015
Corriere della Sera
Pag. 33
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Se la destra vitalista diventa decrepita
Pierluigi Battista
Impressionante la rapidità con cui è cambiata l'immagine stessa del mondo berlusconiano. Mentre la sinistra
appariva bacchettona, iper-regolamentatrice, pedagogica, altezzosa, proibizionista, prigioniera delle cose
antiche, diffidente di ogni spontaneità, la destra berlusconiana sembrava la «Casa della libertà» parodizzata
dal genio satirico di Corrado Guzzanti: solo che agli elettori di quella casa piaceva esattamente ciò che
faceva inorridire la sinistra del collegio. La destra berlusconiana, figlia della fantasmagoria della tv
commerciale, appariva vitalista, sfrontata, senza complessi, energica, dinamica, carica di futuro. Per la
sinistra signorile, era la vile plebaglia che si permetteva di ignorare le lezioni dell' establishment di antico
lignaggio. Ma per il vasto ceto medio italiano era un messaggio di liberazione, di forza, di spregiudicatezza, di
vigore, di intraprendenza. Il partito del «vietato vietare» sembrava una promessa di meno vincoli, meno
autorizzazioni firmate, meno regolamenti minuziosi. E ora, guardate come sono cambiati i ruoli.
La destra appare decrepita e incartapecorita, prigioniera di una corte che staziona in una reggia sempre più
impolverata. Nella sinistra il maquillage sta cambiando tutto, la rivoluzione generazionale dà la sensazione
della novità. Ma sul piano dell'immagine, la destra è già alla disfatta. Trucemente repressiva e proibizionista,
paurosa di tutto, con una voglia incontrollabile di alzare il ponte levatoio e rinchiudersi per sempre in una
fortezza dentro la quale si respira aria stantia. I curatori dell'immagine berlusconiana, un tempo geni della
comunicazione capace di promuovere una leadership, ora non esistono più, risucchiati nei capricci cortigiani
del cerchio magico. Sono sempre un passo indietro. Non hanno più il fiuto per capire dove va il mondo.
Sembrano appartenere a un'epoca al crepuscolo e infatti i loro leader si muovono come Gloria Swanson in
Viale del tramonto , resa folle dall'incapacità di capire che con l'avvento del sonoro, lei ha perduto tutto.
Anche quando sono giovani, i suoi dirigenti appaiono già vecchi, e non per colpa loro ma per il clima generale
di vecchio mondo al capolinea che emana da ogni loro gesto. Ci vorrebbe un'immersione nella democrazia
per uscire da questo grigiore uniforme. Dove perfino la felpa di Matteo Salvini sembra, al confronto, un'oasi di
freschezza.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Particelle elementari
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.19.21
(diffusione:334076, tiratura:405061)
F2i apre il capitale degli aeroporti a nuovi soci: in vista maxi-polo
europeo*
Laura Galvagni
Laura Galvagnipagine 19 e 21
F2i ha ceduto il 49% di F2i Aeroporti alla cordata composta da Ardian (60%) e Credit Agricole Assurances
(40%). L'accordo di compravendita è stato firmato ieri e ha portato nella casse del fondo infrastrutturale 400
milioni di euro, tutti destinati ai sottoscrittori del Fondo I. La cessione, è il punto di partenza di una strategia di
più ampio respiro. Quello che può sembrare un passo atto a dare il via a una successiva valorizzazione
dell'investimento negli scali italiani è in realtà una mossa funzionale a crescere ulteriormente nel settore.
«L'operazione segna l'avvio di una solida alleanza strategica volta a proseguire la politica di investimento e
sviluppo di F2i Aeroporti», è scritto nella nota diffusa dalla società.
Oggi F2i Aeroporti è proprietario del 35,7% di Sea (Malpensa e Linate), del 70% di Gesac ( Napoli) e del
54,5% di Sagat (Torino). Indirettamente, queste società detengono poi partecipazioni in Sacbo (Bergamo) e
in Sab (Bologna). Peraltro, non va dimenticato che il Secondo fondo F2i detiene un ulteriore 8,6% di Sea.
Complessivamente gli scali che fanno capo al fondo infrastrutturale nel 2014 hanno gestito circa 37 milioni di
passeggeri (+ 4,7% rispetto al 2013), pari al 25% circa del traffico nazionale, per un volume d'affari aggregato
di 900 milioni di euro. Come detto questo è il punto di avvio di una strategia che punta a crescere nel settore
con un occhio alle strutture nazionali e a quelle oltreconfine.
pagina 21 25% Napoli Torino Milano Malpensa Milano Linate Bergamo Bologna La filiera aeroportuale di F2i
SAGAT Torino Bologna SEA Malpensa Linate Bergamo GESAC Napoli 37 milioni Passeggeri totali nel 2014
Quota di mercato Le partecipazioni F2i ha ceduto il 49% di F2i Aeroporti alla cordata composta da Ardian
(asset manager che figura peraltro tra gli sponsor del fondo e già partner in 2i Rete gas) e Credit Agricole
Assurances. L'accordo di compravendita è stato firmato ieri e ha portato nella casse del fondo infrastrutturale
400 milioni di euro, tutti destinati ai sottoscrittori del Fondo I. Con un ritorno sull'investimento che, conti alla
mano, appare interessante. Complice il fatto che, per acquistare le partecipazioni custodite nella holding, F2i
ha speso poco meno di 600 milioni di euro. Peraltro, la cessione, è solo il punto di partenza di una strategia di
più ampio respiro. Quello che può sembrare un passo atto a dare il via a una successiva valorizzazione
dell'investimento negli scali italiani è in realtà una mossa funzionale a crescere ulteriormente nel settore.
«L'operazione segna l'avvio di una solida alleanza strategica volta a proseguire la politica di investimento e
sviluppo di F2i Aeroporti», è scritto nella nota diffusa dalla società. In quest'ottica, merita venga ricordato che
Ardian e Credit Agricole Assurances vantano un know how rilevante nel comparto infrastrutturale, in primis in
quello aeroportuale,dove sono presenti, rispettivamente, nell'aeroporto di London-Luton e negli Aéroports de
Paris. Ardian, tra l'altro, opera in Italia con fondi dedicati alle infrastrutture dal 2007. Fino ad oggi aveva
investito nel settore delle rinnovabili (in partnership con il gruppo Tozzi), nei progetti in ambito ospedaliero
con il gruppo Techint e nella distribuzione gas, con la già citata 2i Rete Gas. Oggi F2i Aeroporti è proprietario
del 35,7% di Sea (Malpensa e Linate), del 70% di Gesac ( Napoli) e del 54,5% di Sagat (Torino).
Indirettamente, queste società detengono poi partecipazioni in Sacbo (Bergamo) e in Sab (Bologna). Peraltro,
non va dimenticato che il Secondo fondo F2i detiene un ulteriore 8,6% di Sea. Complessivamente gli scali
che fanno capo al fondo infrastrutturale nel 2014 hanno gestito circa 37 milioni di passeggeri (+ 4,7% rispetto
al 2013), pari al 25% circa del traffico nazionale, per un volume d'affari aggregato di 900 milioni di euro.
Come detto questo è il punto di avvio di una strategia che punta a crescere nel settore con un occhio a tutte
le strutture nazionali e oltreconfine. Il primo step sarà il closing dell'operazione che, una volta ottenuto il sigillo
dell'Antitrust, dovrebbe venire al più tardi entro i prossimi due o tre mesi. F2i è stata assistita da Hsbc e
Unicredit come advisor finanziari e dallo Studio Legale Giliberti Pappalettera Triscornia e Associati come
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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. INFRASTRUTTURE
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.19.21
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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advisor legale. Ardian e Credit Agricole Assurances sono state assistite da Société Generale, Crédit Agricole
CIB, Mediobanca, Banca IMI e lo Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo. © RIPRODUZIONE Napoli Torino
Milano Malpensa Milano Linate Bergamo Bologna IL NETWORK AEROPORTUALE La rete che fa capo a F2i
LA STRATEGIA DEL FONDO Gli investimenti in F2i nei diversi settori SAGAT Torino Bologna SEA Malpensa
Linate Bergamo GESAC Napoli 25% Quota di mercato Alerion Hfv Infracis Mediterranea delleAcque Gesac
Sea Sagat Metroweb Sasternet Trm Sia TRASPORTI WASTE TO ENERGY GAS ACQUA AEROPORTI TLC
ENERGIE RINNOVABILI RETI IMMATERIALI EnelReteGas 2iGas (exE.OnRete) G6ReteGas Gli investimenti
di F2i
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Un'Unione dell'energia per l'autosufficienza»
Adriana Cerretelli
di Adriana Cerretelli
L'Europa paga l'energia il triplo degli Stati Uniti: per forza finisce in recessione e poi, quando cresce, lo fa a
fatica mentre l'America corre. Al contrario dell'Europa, poi, gli Stati Uniti si muovono, agiscono e reagiscono
di fronte agli eventi. Sarà anche e inevitabilmente molto "energicentrico" Claudio Descalzi (nella foto accanto)
nella sua visione del mondo.
Continua pagina 17
Continua da pagina 1
Però mette subito il dito in una delle grandi piaghe della mentalità e del modello di sviluppo europeo.
Importatrice netta per oltre la metà del suo fabbisogno, il grosso dalla Russia e quasi tutto il resto da Medio
Oriente e Africa, la Ue si trova esposta ai grandi venti di instabilità politica e geo-strategica che le soffiano
addosso, dalle regioni limitrofe e non, e che ne aumentano la vulnerabilità strutturale ai ricatti esterni di ogni
colore.
Bisogna rompere le catene di questa dipendenza sempre più rischiosa e potenzialmente ingestibile puntando
a un mix energetico corretto e sostenibile, bisogna fare e al più presto l'Unione dell'energia. E per costruirla
bisogna riunire intorno a uno stesso tavolo non solo i Governi ma anche i grandi gruppi industriali del settore,
avverte in questa intervista al Sole 24 Ore l'amministratore delegato di Eni, reduce da un lungo incontro a
Bruxelles con Maros Sefcovic, il vicepresidente della Commissione Ue che si prepara a lanciare il grande
patto europeo di stabilità e sicurezza energetica. L'incontro Governi-industria dovrebbe avvenire in aprile.
Salvo sorprese, la proposte concrete di Sefcovic arriveranno il 25 febbraio e proveranno per l'ennesima volta
a colmare una lacuna storica scandalosa, e oggi anche molto pericolosa, che il progetto di euro-integrazione
si trascina dietro dalle origini. I tentativi fatti finora sono finiti in poco o nulla. Non agire questa volta
equivarrebbe però ad esporsi a mani nude alle crescenti tensioni con la Russia di Vladimir Putin che mesta
imperturbabile nella guerra civile ucraina, affonda repentinamente il South Stream, corteggia la Turchia di
Tayyip Erdogan e la nuova Grecia di Alexis Tsipras con l'evidente intento di dividere Europa e Nato.
Significherebbe anche affrontare disarmati il contagio islamista e le minacce terroriste che scuotono i paesi
dell'arco afro-mediterraneo e del Golfo. E forniture relative.
Sarebbe una follia. Soprattutto perché l'Europa oggi è in grado di procurarsi margini di relativa sicurezza e
autosufficienza energetica. Basta procurarle le interconnessioni giuste, spiega Descalzi, andare oltre il
corridoio Est-Ovest per crearne uno Nord-Sud.
Un esempio per tutti. Tra gas nordafricano e gas liquefatto oggi Italia e Spagna dispongono insieme di circa
200 miliardi di metri cubi. Di questi l'Italia ne consuma circa 60, la Spagna 25. C'è dunque un'eccedenza di
quasi 120 miliardi da sfruttare, che potrebbe approvvigionare abbondantemente il mercato europeo quasi
azzerando la dipendenza dai 140 miliardi di gas che ogni anno importiamo dalla Russia, che in certi Paesi è il
fornitore unico. Non è un sogno ma oggi è una mission impossible perché mancano interconnessioni e
meccanismi di reverse flow, cioè il mercato unico europeo.
Le interconnessioni fisiche però non bastano. Quelle regolatorie sono altrettanto essenziali. Perché non si
può immaginare di programmare i massicci investimenti richiesti dalla sfida in un'Unione dai mercati nazionali
compartimentati, con 28 diversi sistemi normativi, spesso fatti apposta per essere tra loro impenetrabili.
Un'armonizzazione a livello europeo deve, continua l'ad di Eni, prevedere vari obiettivi. Prima di tutto deve
favorire lo sviluppo delle risorse nazionali di gas per aumentare la liquidità del mercato, ridurre il prezzo e
stimolare l'economia nel quadro di una normativa e di un piano d'azione europei che assicurino l'applicazione
bilanciata delle normative ambientali e al tempo stesso individuino target nazionali e regionali di esplorazione
e produzione .
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IL COLLOQUIO/parla descalzi, ad di eni
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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D'altra parte la politica energetica europea deve uscire dal paradosso che attualmente la vede stretta tra
l'insostenibilità dei sussidi alle energie rinnovabili e il consumo crescente i carbone nella produzione elettrica.
Se si vogliono raggiungere gli obiettivi di emissione di Co2 fissati per il 2030, si deve ribaltare
progressivamente il mix energetico per renderlo più competitivo e sostenibile dal punto di vista ambientale. In
prospettiva il contributo del gas in Europa deve salire e non scendere come avviene oggi, di pari passo con la
graduale decarbonizzazione delle centrali elettriche. Il tutto accompagnato dalla riforma del sistema ETS per
lo scambio delle emissioni.
La dottrina energetica europea di Descalzi , come il suo gruppo, si ritrovano oggi a fare i conti anche con
l'inatteso calo dei prezzi del petrolio, indotto dalla rivoluzione americana dello shale che sta cambiando la
dinamica strutturale del mercato e mettendo l0Opec in serie difficoltà. Durerà la discesa ed è plausibile un
prezzo intorno ai 50 dollari a barile dopo i 120 ancora di sette mesi fa? E con quali conseguenze sull'Europa
dell'energia? Domande obbligate.
Siamo in una fase nuova per i prezzi, risponde il nostro, perché la produzione da shale è in grado di seguire
rapidamente il mercato. È cresciuta di 3 milioni di barili negli ultimi tre anni, un fatto sconvolgente per l'Opec.
Dove l'Arabia Saudita è in una posizione difficile: se taglia da sola la produzione di 3-4 milioni di barili fa un
favore non solo agli altri membri del cartello che non riducono ma soprattutto ai produttori americani di shale
che aumenterebbero la produzione erodendone le quote di mercato. Tra luglio e novembre il greggio da scisti
ha creato sul mercato uno squilibrio di 1,5 milioni di barili al giorno su una domanda complessiva di 92 milioni:
una quantità irrisoria che da sola non può spiegare il crollo dei prezzi da 120 a 45 dollari.
Determinanti sono stati sia la decisione dell'Arabia Saudita in novembre di lasciare invariata la produzione,
dando spazio al mercato e annunciando di potersi permettere un calo fino a 20 dollari, sia l'attivismo della
speculazione finanziaria, delle transazioni di carta sul petrolio, che valgono 15-20 volte quelle sul mercato
fisico.
Conclusione? Che l'Opec intervenga o no, a un certo punto il prezzo tornerà a salire perché il ribasso attuale
carbura la crescita economica in Europa e Cina, le due aree del mondo più sensibili ai rincari energetici,
quelle che più delle altre hanno visto rallentare la crescita industriale nel quadriennio di prezzi stabili ed
elevati che ha preceduto l'attuale fase depressiva. I prezzi bassi stanno poi provocando tagli del 15-20% dei
grandi investimenti, riducendo l'offerta nel medio-lungo termine che farà a sua volta lievitare i prezzi.
Insomma, il messaggio è chiaro: la manna dei mini-prezzi non sarà per sempre. Anche per questo l'Europa
dell'energia integrata resta una priorità strategica irrinunciabile. Da realizzare in fretta smentendo per una
volta i tempi biblici europei.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il gas russo verso l'Europa 0 20 40 60 80 100 Quota % di gas importato
dalla Russia Gasdotti Grecia 40 Cipro 3 Malta 2 Spagna 14 Irlanda 1 Portogallo 10 Regno Unito 13 Bulgaria
90 Germania 30 R. Ceca 73 Polonia 91 Lituania 92 Lettonia 72 Estonia 69 Romania 47 Austria 9 Francia 17
Belgio 30 Olanda 34 Danimarca 10 Svezia 46 Finlandia RUSSIA Nord Stream Yamal Trans Balcan Soyuz B
ratstvo UCRAINA 76 Italia 28 Slovenia 24 Croazia 34 Slovacchia 98 Ungheria 86 95 mln di m3 al giorno
Export senza passaggio dall'Ucraina 175 mln di m3 al giorno Export via Ucraina
NUMERI E PROSPETTIVE
28
La percentuale italiana
È la percentuale del gas che il nostro Paese importa dalla Russia; per la Germania la quota che viene da
Mosca è del 30%.
200
Miliardi di metri cubi
Tra gas nordafricano e gas liquefatto oggi Italia e Spagna dispongono insieme di circa 200 miliardi di metri
cubi. Di questi l'Italia ne consuma circa 60, la Spagna 25. Vi è dunque un'eccedenza di quasi 120 miliardi da
sfruttare, che potrebbe approvvigionare abbondantemente il mercato europeo quasi azzerando la dipendenza
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Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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dai 140 miliardi di gas che ogni anno importiamo dalla Russia.
1,5
Milioni di barili
Tra luglio e novembre il greggio da scisti ha creato sul mercato uno squilibrio di 1,5 milioni di barili al giorno
su una domanda complessiva di 92 milioni: una quantità irrisoria che da sola non può spiegare il crollo dei
prezzi da 120 a 45 dollari.
Foto:
Claudio Descalzi. Da poco meno di un anno è amministratore delegato di Eni, dove lavora dal 1981
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1,19,20
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Padoan: riforma da accelerare per le popolari
Bufacchi
Il ministro dell'Economia, Padoan, e il vicedirettore generale della Banca d'Italia, Panetta, hanno blindato la
riforma delle banche popolari: il sistema bancario nazionale deve adeguarsi al nuovo quadro internazionale e
contribuire a centrare gli obiettivi dell'Unione bancaria: il rafforzamento e l'efficienza per sostenere la crescita.
pagine 19 e 20
La riforma delle banche popolari va fatta. Va fatta da tempo e ora si farà in accelerazione perché il sistema
bancario nazionale deve adeguarsi all'evoluzione del quadro internazionale e contribuire a centrare gli
obiettivi dell'Unione Bancaria europea: il rafforzamento e la maggiore efficienza degli istituti di credito per
meglio sostenere la crescita e la creazione di posti di lavoro. Così ieri il ministro dellìEconomia Pier Carlo
Padoan e il vice direttore generale della Banca d'Italia, Fabio Panetta hanno blindato la riforma delle banche
popolari. Un intervento che favorisce l'integrazione bancaria e finanziaria in Europa.Intervenuti alla
conferenza organizzata dalla Foundation for European Progressive Studies (Feps) e dalla Fondazione
Italianieuropei a Roma, sul tema «luci e ombre dell'Unione Bancaria e della nuova architettura finanziaria
europea», Padoan e Panetta hanno entrambi sottolineato i progressi fatti finora nel sistema bancario
europeo, e anche italiano, per fermare la spirale perversa tra banche e debito pubblico scatenata dalla crisi
greca del 2010.
Continua pagina 20 Isabella Bufacchi
Continua da pagina 19
Impensabile solo qualche anno fa che l'Europa si sarebbe dotata di una lunga serie di nuovi strumenti:
Efsf/Esm, Meccanismo di vigilanza unico (SSM), Meccanismo unico di risoluzione delle banche e fondo di
risoluzione, QE, Unione del mercato dei capitali e Piano Juncker.
Tutte iniziative che favoriscono una maggiore integrazione. In questo contesto va dunque collocata la riforma
delle banche popolari, necessaria perché «il sistema finanziario globale é cambiato profondamente» ha
sottolineato il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Il decreto del governo sulle popolari é arrivato
perché «riteniamo sia necessaria un'accelerazione e il sistema bancario nazionale deve adeguarsi al nuovo
quadro internazionale». «Le ragioni della riforma - ha spiegato Padoan - sono duplici. Riaffermare che le
popolari sono una parte importante del sistema bancario italiano, che ha fatto bene e farà ancora meglio nelle
nuove condizioni. E poi il sistema bancario deve prendere atto che il mondo é cambiato e la riforma delle
popolari é stata in qualche cassetto per un paio di decenni».
Padoan ha però anche sottolineato la necessità di andare avanti nella mutualizzazione e integrazione
europea, nelle riforme e nel rafforzamento del sistema perchè «bisogna essere molto cauti a voler essere
ottimisti», il calo del prezzo del petrolio, l'euro debole e il QE sono tutti fattori che rendono il quadro
macroeconomico soltanto «un po' più favorevole». Per Padoan «il quantitative easing è molto importante,
sarà un game changer» e il suo impatto potenziale per come aggredirà la bassa crescita e la deflazione è
stato sottovalutato. «Sono molto in disaccordo con chi critica la politica monetaria espansiva della Bce perché
toglie la pressione dagli Stati che devono fare le riforme - ha tuonato il ministro -. Per fare le riforme serve la
consapevolezza del paese che servono e non la pressione esterna».
Fabio Panetta, ripercorrendo i punti di forza dell'Unione bancaria, ha evidenziato che il recente decreto sulle
banche popolari «è parte di un più vasto sforzo di riforma per portare l'economia italiana al livello dei migliori
standard europei di efficienza». «L'iniziativa - ha aggiunto - è il risultato di anni di riflessione sulle lacune della
struttura cooperativa per le quotate o le grandi banche». Per Panetta, l'Unione bancaria abbinata alle
politiche nazionali e alla politica monetaria della Bce sta già contribuendo alla normalizzazione delle
condizioni del credito per famiglie e imprese. Ma ha anche auspicato una maggiore integrazione e
convergenza dell'intero impianto delle regole, comprese quelle riguardanti a livello nazionale le procedure
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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FOCUS BANCHE
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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fallimentari, la tassazione. «Occorre adesso potenziare gli strumenti di finanziamento alternativi al sistema
bancario», ha affermato con vigore promuovendo un'accelerazione della creazione del mercato dei capitali
unico, «un obiettivo ambizioso».
Alla conferenza, Danièle Nouy, presidente del consiglio di vigilanza della Bce e del Meccanismo unico di
sorveglianza ha spiegato come la nuova istituzione, con la formula del "bottom-up", riesce a integrare le
diverse vigilanze a livello nazionale trasformandole in controllori europei: «abbiamo messo insieme il meglio
di due mondi: all'esperienza di Bankitalia, abbiamo aggiunto la 'distanza' di Francoforte». E per far capire
come funziona la vigilanza unica, Nouy ha detto che Fabio Panetta è ora ascoltato dalle banche francesi
tanto quanto da quelle italiane. «Vogliamo essere rigorosi ed equi - ha aggiunto, parlando in prospettiva - le
banche devono essere assolutamente certe della parità di trattamento. E più le banche sono forti, maggiore è
la loro capacità di erogare credito».
.@isa_bufacchi
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA Isabella Bufacchi
Foto:
Bce . Danièle Nouy
Mef. Il ministro Pier Carlo Padoan
Bankitalia. Il vice dg Fabio Panetta
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.19.22
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Valeri: «Ora l'Italia sta ripartendo»*
Monica D'Ascenzo
«Migliora la domanda di credito, per la prima volta vediamo forti richieste di prestiti per l'investimento». Per
Flavio Valeri, chief country manager di Deutsche Bank, in Italia aumentano i segnali di ripresa dell'economia
reale e iniziano a porsi le basi per una ripresa dell'attività economica.
«In Italia ci sono una serie di condizioni prodromiche allo sviluppo del Paese: le riforme passate e presenti,
l'elezione molto lineare del Presidente della Repubblica, la politica espansiva della Bce, l'andamento dei
cambi, i bassi tassi d'interesse, il basso prezzo del petrolio. Le condizioni sono molto propizie». Flavio Valeri,
chief country officer di Deutsche Bank in Italia, è ottimista sulle prospettive 2015 dell'economia italiana, anche
in virtù dei dati sul settore manifatturiero e sui trasporti arrivati nei giorni scorsi: «sono segnali che arrivano
dall'economia reale, bisognerà vedere se saranno confermati nei prossimi mesi ». Fiducia sul fronte del
credito: «L'ultimo comunicato dell'Abi - ricorda - riporta sia la domanda sia l'erogazione in aumento. Inoltre c'è
un contestuale rallentamento dei crediti deteriorati». Monica D'Ascenzou pagina pagina 22
«C'è un allineamento delle stelle positivo per l'Italia. Ci sono una serie di condizioni prodromiche allo sviluppo
del Paese: le riforme passate e presenti, l'elezione molto lineare del Presidente della Repubblica, la politica
espansiva della Bce, l'andamento dei cambi, i bassi tassi d'interesse, il basso prezzo del petrolio. Le
condizioni sono molto propizie». Flavio Valeri, chief country officer di Deutsche Bank in Italia, è ottimista sulle
prospettive 2015 dell'economia italiana, anche in virtù dei dati sul settore manifatturiero e sui trasporti arrivati
nei giorni scorsi: «sono segnali che arrivano dall'economia reale, bisognerà vedere se saranno confermati nei
prossimi mesi».
Siete ottimisti anche sul credito?
L'ultimo comunicato dell'Abi riporta sia la domanda sia l'erogazione in aumento. Inoltre c'è un contestuale
rallentamento dei crediti deteriorati. D'altra parte un'economia in crescita investe, esporta e per questo chiede
più supporto finanziario. Ottimo per le banche.
Negli ultimi anni spesso il credito alle imprese è andato a finanziare il circolante. È ancora così?
Per la prima volta rivediamo una forte richiesta di credito per gli investimenti. Questo è certamente un
segnale importante.
Sul fronte dei crediti deteriorati, invece, si è tornati a parlare di "bad bank". Il ministro dell'Economia
Pier Carlo Padoan ha riaperto all'ipotesi a Davos e il governatore di Banca d'Italia Ignazio Visco,l'ha
definita «un'idea interessante». Cosa ne pensa?
È senz'altro un'idea interessante e va studiata. Alcune banche, peraltro, hanno già provveduto in proprio da
tempo costituendo una propria bad bank. Deutsche Bank, ad esempio, ha costituito tre anni fa una "non core
unit", che si occupa di dismettere attività non più parte del perimetro del gruppo. Per le banche è chiaro che le
partite non core devono essere gestite con società ad hoc. Se diventa una scelta di sistema vedremo come
verrà organizzata.
Il sistema bancario italiano è in mutamento dopo la spinta del decreto sulle Popolari. Se si arrivasse
alla conversione in Spa, ibride o non, potreste valutare operazioni straordinarie in Italia?
Per Deutsche Bank l'Italia è il secondo mercato per importanza dopo la Germania, con 650 punti vendita (tra
filiali, sedi dei promotori e financial shops), 5.500 collaboratori e 25 miliardi di raccolta nel private banking.
Abbiamo assunto 500 promotori Finanza&Futuro e aperto 70 nuove filiali in tre anni arrivando a 340. Per il
futuro intendiamo continuare a crescere, ma per linea organica, nelle gestioni patrimoniali e nel transaction
banking. Non siamo interessati ad avere ruoli di aggregatori, neanche di sportelli. Si tratta di una scelta fatta
cinque anni fa. Come banca d'affari, invece, ci candidiamo a essere advisor o global coordinator in caso di
aumenti di capitale o operazioni straordinarie.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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intervista
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.19.22
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Il consolidamento del sistema bancario italiano potrebbe portare nuovi gruppi stranieri in Italia. Vi
aspettate un aumento della concorrenza?
Secondo i dati Aibe circa il 25% delle attività finanziarie sono già fatte da banche straniere. Già ora il
comparto è molto competitivo, anche perché alcune banche italiane sono molto forti anche su prodotti
sofisticati.
Le banche dovranno affrontare anche la sfida dell'innovazione con competitor, nell'offerta di servizi,
che non sono di origine bancaria...
Sul tema del Fintech ci possiamo attendere delle novità importanti. Le banche da utenti della tecnologia
potranno diventare imprenditori nell'It sia investendo in start up del settore sia attraverso la ricerca delle loro
divisioni tecnologiche. In questa direzione abbiamo ampi margini di crescita.
Un'ultima domanda: come giudica questi primi mesi di unione bancaria europea?
È il primo anno di attuazione e l'interazione con il nuovo sistema di sorveglianza è partita molto bene da
quanto possiamo vedere.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Monica D'Ascenzo
Foto:
Il ceo di Db Italia. Flavio Valeri
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
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«Con il Jobs act un passo importante per chi vuole investire in Italia»
Rossella Bocciarelli
La politica monetaria può sostenere la crescita ma non basta:
ci vogliono le riforme
«Abbiamo bisogno in ogni paese Ue di strutture competitive e di un'industria efficiente. Io credo nella base
industriale dell'Italia. Rafforziamo l'industria, così rafforziamo l'Italia e l'Europa». Matthias Wissmann,
Presidente del VDA (Verband der Automobilindustrie) e vice-presidente del BDI (Bundesverband der
Deutschen Industrie) è convinto delle potenzialità dello sviluppo europeo. «Dobbiamo solo far sì che questo
grande spazio si apra» osserva.
Angela Merkel ha detto a Matteo Renzi che i manager tedeschi, dopo l'implementazione del Jobs act,
ricominceranno a investire e ad assumere. È così?
L'Italia fa parte dei paesi europei particolarmente colpiti dalla crisi. Negli scorsi tre anni il Pil ha registrato un
calo, mentre per il 2015 si prevede per la prima volta una piccola ripresa. Le prospettive lasciano dunque
sperare. La riforma del mercato del lavoro è un passo importante per ottenere la fiducia di coloro che
intendono investire in questo bel paese. Il cammino verso una crescita sostenibile è infatti ancora duro e
pietroso. È decisivo per tutti i paesi europei rafforzare la competitività delle imprese.
Ci sono provvedimenti che l'Italia dovrebbe realizzare per seguire l'esempio tedesco?
Dieci anni fa la Germania era considerata "il malato d'Europa", questo "esempio" non doveva seguirlo
nessuno. Più di cinque milioni di persone erano senza lavoro. Non l'abbiamo dimenticato. Ci sono voluti
grandi sforzi per superare resistenze e realizzare riforme profonde. Ancora più importante era limitare, nella
partnership tra datori di lavoro e sindacati, i costi salariali unitari. Il risultato incoraggia: la competitività è
aumentata, così come la produzione e le esportazioni. È poi seguita un'occupazione maggiormente soggetta
all'obbligo assicurativo, che oggi è a livelli record.
Quindi?
Dal punto di vista italiano ciò significa: mettere in pratica le riforme necessarie con coraggio e
determinatezza, vale la pena.
Secondo gli economisti italiani la Germania dovrebbe importare di più affinché altri paesi Ue possano
crescere.
La Germania è diventata per l'Europa la locomotiva della congiuntura. Se le esportazioni tedesche
aumentano del 10%, le nostre importazioni di prestazioni preliminari, dunque prodotti o servizi dall'Italia e da
altri paesi Ue, incrementano del 9%. Il valore d'importazione pro capite della Germania è maggiore di quello
della Francia. Dal 2007 l'eccedenza delle partite correnti della Germania si è più che dimezzata rispetto
all'Eurozona.
Come si è arrivati a questi risultati?
L'eccedenza commerciale tedesca non è un risultato di provvedimenti politici o interventi statali sul mercato,
bensì frutto di numerose singole decisioni di economia privata prese proprio da medie imprese come quelle
che determinano la struttura economica anche in Italia. L'economia deve riconquistare una tale competitività
giorno per giorno. Non solo alcuni grandi gruppi, ma anche medie imprese a conduzione familiare hanno
osato esporsi verso i mercati mondiali.
Anche l'Italia ha bisogno di ritrovare la strada della crescita.
Certo, l'Italia ha bisogno di crescita economica allo stesso modo della Germania. A tale scopo è necessario
del capitale, che al momento è abbondantemente presente in Europa. E sono necessari soprattutto sforzi da
parte di tutti i paesi Ue.
In che modo?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA MATTHIAS WISSMANN
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Anche l'Italia nel 2014 ha conseguito un'eccedenza di esportazione. Giustamente adesso a Roma non
verrebbe a nessuno l'idea di far abbassare le esportazioni. Le esportazioni di auto dalla Germania all'Italia nel
2014 sono aumentate a 236.900 unità, ma sono circa un terzo al di sotto del livello del 2011. In altre parole:
se l'Italia sta meglio, la gente riprende ad acquistare più vetture nuove.
Ritiene che l'integrazione tra l'industria tedesca e italiana stia progredendo?
L'Italia è uno dei grandi paesi dell'automobile, con un'orgogliosa tradizione e forti marchi. È cosa che
apprezziamo molto: efficienti subfornitori provenienti dall'Italia sono persino membri nella federazione
dell'industria automobilistica VDA, come Magneti Marelli o lo specialista di freni Brembo. Ma anche imprese
come la Alcantara dell'Umbria riforniscono costruttori di automobili tedeschi. Partnership anche nel settore dei
motocicli: la Ducati è società controllata della Audi, la Mercedes-AMG partecipa alla MV Agusta.
La debolezza dell'euro, come conseguenza delle misure della Bce, darà ancora un contributo alla
ripresa nell'Eurozona?
Gli euro in più procureranno sicuramente maggiore liquidità. Le esportazioni dall'Eurozona in altri mercati
costeranno di meno, ma le importazioni diventeranno più care, ad esempio dalla Svizzera o dall'area dollaro.
Fondamentalmente vale questo principio: la politica monetaria può sostenere la crescita, ma non la può
generare da sola.
E dunque riforme...
Tutti i paesi devono svolgere i loro compiti: riforme strutturali, anche sul mercato del lavoro, disciplina nei
costi salariali unitari, flessibilità sul mercato del lavoro, investimenti in ricerca e sviluppo. Anche per le
economie politiche vale il principio: gli antidolorifici portano sollievo, ma non guariscono. L'Europa deve
puntare sull'industria e sui servizi affini, alcuni paesi hanno addirittura bisogno di una reindustrializzazione,
allora avanzano anche crescita e occupazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
IN CIFRE
236.900 auto
Export Germania-Italia
Il numero di automobili esportate dalla Germania in Italia lo scorso anno. Ma l'export verso il nostro paese
resta comunque inferiore di un terzo rispetto ai livelli 2011
+9%
Il traino sulle importazioni
Di tanto aumentano le importazioni tedesche di prestazioni preliminari, cioè di prodotti o servizi,dall'Italia e da
altri paesi Ue, se le esportazioni dalla Germania aumentano del 10%
Foto:
Case automobilistiche tedesche. Matthias Wissmann, presidente Vda
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 19,21
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L'ad Ravanelli: «Per Metroweb un partner a breve, pronti a supportare lo
sviluppo delle infrastrutture»
Laura Galvagni
Di Laura Galvagni
L'operazione aeroporti è tutto fuorché funzionale a ridurre l'esposizione di F2i sul settore. Anzi, «segna l'avvio
di una solida alleanza strategica volta a cogliere nuove opportunità e a proseguire nella politica di
investimento sul comparto». Lo assicura Renato Ravanelli, amministratore delegato di F2i che, in questo
colloquio con Il Sole 24 Ore traccia il profilo del fondo infrastrutturale privato «più importante» d'Italia e tra i
più grandi in Europa: oltre 70 investitori istituzionali come sottoscrittori, il 20% dei quali di matrice estera e 11
con quote di investimento superiori ai 100 milioni (tra queste le due principali banche del paese, Intesa
Sanpaolo e UniCredit). Ravanelli traccia un ritratto dettagliato anche nel tentativo di lanciare un messaggio al
paese: «Il sistema economico italiano ha bisogno di un soggetto come noi capace di convogliare la liquidità
disponibile lungo direttrici compatibili con le necessità di sviluppo industriale. Siamo perfettamente
consapevoli che le infrastrutture possono svolgere un ruolo di motore per l'economia nazionale».
Continua pagina 21
Continua da pagina 19
E in quest'ottica l'operazione Metroweb potrebbe rivelarsi un tassello cruciale. Ma non solo, gli occhi del
fondo sono puntati anche sul comparto delle utility, passione antica del manager, sul ciclo idrico integrato,
sulle rinnovabili e pure sulle autostrade. Ecco perché, mentre il secondo fondo ha già raccolto 800 milioni, in
calendario è già pronto il piano per dare avvio a un terzo fondo.
Cedere il 49% di F2i Aeroporti è un primo passo per dirottare le risorse su altri settori?
Tutt'altro, puntiamo a crescere, in Italia e all'estero. Tanto che abbiamo già allo studio alcune operazioni volte
ad ampliare il portafoglio aeroportuale.
Il controllo di Sea potrebbe essere una di queste?
Come noto siamo già presenti in Sea e guarderemo con attenzione a ogni iniziativa del Comune di Milano
volta a valorizzare la partecipazione che ha nello scalo. Detto questo, intendiamo continuare a supportare gli
aeroporti che controlliamo o a cui partecipiamo. Gli aeroporti sono la porta d'ingresso nel nostro paese e, per
quanto ci compete, lavoriamo perché sia la più accogliente possibile. D'altra parte, deve essere ben chiaro
che F2i non opera secondo l'ottica di un fondo di private equity, i nostri investimenti hanno un orizzonte
temporale di lungo periodo. Noi cerchiamo di creare valore riducendo la frammentazione di quei comparti in
cui l'efficienza è strettamente connessa alla scala, oltre che alla buone gestione manageriale.
E' una politica che paga?
Il patrimonio gestito dalla società di cui sono amministratore delegato è investito in 13 società capogruppo,
sette delle quali sono controllate. Nel 2014 hanno generato un giro d'affari vicino ai 2,3 miliardi di euro con un
margine operativo lordo di 1 miliardo. Il rendimento derivante dal solo dividendo, nel passato esercizio, è
stato superiore al 6% mentre l'Irr si attesta attorno al 12%.
Tra le società in portafoglio, Metroweb ha recentemente catalizzato l'interesse del mercato. Che piani
avete in mente per la società?
Conosco bene Metroweb perché ho contribuito alla sua nascita alla fine degli anni '90. Così quando sono
arrivato in F2i mi sono chiesto se il modello di sviluppo della società fosse ancora adeguato. Stante l'attuale
quadro regolatorio, la risposta è negativa. Oggi Metroweb investe con scarso controllo delle leve che attivano
la domanda quindi con un profilo di rischio troppo sbilanciato. Per questo abbiamo aperto un confronto con
Telecom e Vodafone.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
INTERVISTA
07/02/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Telecom però vorrebbe acquistare la società.
Noi ci siamo attivati per condividere un piano industriale di sviluppo e sceglieremo, insieme a Fsi, nostro
socio in Metroweb, nel più breve tempo possibile quel partner che ci assicuri il rispetto di due condizioni
fondamentali: un piano sostenibile dal punto di vista economico -finanziario e la garanzia che quel progetto
venga realizzato. Senza questo è inutile parlare di governance, è un tema che affronteremo solo nel caso in
cui vengano soddisfatte queste attese.
I patti con Fastweb non impongono dei vincoli alla vendita di Metroweb?
I patti parasociali con Fastweb non costituiscono un ostacolo rispetto ai piani di sviluppo e verranno
pienamente rispettati.
Siete al lavoro per lanciare un terzo fondo? Si dice che guardiate con interesse al settore delle utility,
dal quale lei proviene peraltro.
Un terzo fondo è immaginabile. Quanto alla destinazione delle risorse, guardiamo a quelle aree di business
che devono superare l'eccessiva frammentazione e dove le economie di scala sono un elemento di
differenziazione e di forza importante. Per intenderci, attraverso operazioni di acquisizione e successive
fusioni F2i oggi controlla il secondo operatore nazionale nella distribuzione del gas 2iRetiGas. È questo il
modello che intendiamo replicare.
Il governo sta spingendo perché le utility diano vita a un percorso di aggregazione.
Il governo permette agli enti che cedono quote di municipalizzate di poter investire le risorse raccolte, in
deroga al patto di stabilità, sul territorio per opere infrastrutturali. Questo potrebbe innescare il tanto atteso
percorso di consolidamento al quale noi guarderemo con attenzione. Ovviamente non ci interesseremo solo a
questo. Stiamo investendo molto anche nelle rinnovabili. Abbiamo acquistato il 70% della società eolica di
Edison, a breve pensiamo di trovare l'accordo per l'acquisto del solare di E On che fonderemo con Hfv per
tornare a una redditività adeguata. E poi c'è il ciclo idrico integrato: se si creeranno le condizioni di carattere
regolatorio F2i si candida a entrare nel settore o ad accompagnare le grandi utility nella necessaria
accelerazione della politica di investimenti.
Sentite di aver perso la partita per le torri Wind?
Finché il contratto tra Abertis e Wind non verrà firmato mi sento in gara. Certamente è un'operazione che è
coerente con la nostra strategia. Ritengo, tra l'altro, che sia stata fatta un'offerta molto buona sia
contrattualmente che economicamente. E spero che il venditore la valuti con grande attenzione. Ma ogni
operazione ha un prezzo giusto oltre al quale non bisogna andare.
In quasi nove mesi dalla sua uscita da A2A ha preferito non commentare la fine di quella lunga
esperienza. Oggi si sente di trarre un breve bilancio?
È stata una splendida esperienza manageriale, industriale e umana. Ho preso il timone nel 2012, alla
scomparsa di Giuliano Zuccoli, e mi sono trovato a dover gestire una situazione complessa. Eravamo in
piena crisi finanziaria, il mercato dell'energia era crollato e il titolo era minimi (0,3 euro). Ho lasciato l'azienda
ventiquattro mesi dopo con il le azioni a oltre 1 euro e il debito ridotto di circa 1,2 miliardi. Ora è una solida
realtà industriale che sono certo farà bene anche nei prossimi anni.
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Foto:
imagoeconomica
Al vertice di F2i. Renato Ravanelli
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Ora via a due grandi riforme
Riccardo Sorrentino
Riccardo Sorrentino pagina 3
Torna la ripresa. Anche se timidissima. Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha spiegato ieri che la
nuova politica monetaria della Bce potrà portare a un aumento del Pil italiano a oltre lo 0,5% quest'anno e a
oltre l'1,5% l'anno prossimo.
Dopo tre anni di flessione dell'attività economica e una tendenza negativa che risale al 2008, è una buona
notizia. Anche perché dal calcolo sono esclusi l'effetto del calo del petrolio e del deprezzamento dell'euro, la
cui durata è circondata da troppa incertezza. In ogni caso non ci si può nascondere il fatto - come lo stesso
Visco ha sottolineato - che si tratta comunque di poca cosa. Come poca cosa sarà la crescita del Pil nominale
(Pil reale + inflazione) che definisce la sostenibilità dei debiti: in Italia sia lo Stato che le imprese - non le
famiglie, per fortuna - hanno un'esposizione piuttosto elevata in rapporto al Pil.
Occorre quindi fare di più, e tanto. Anche Mario Draghi, da Francoforte, ricorda sempre che la politica
monetaria non arriva dappertutto. Nessuno ha evocato l'immagine della banca centrale che cerca di spingere
un nastro - compito quasi impossibile: si piega - probabilmente perché ingenerosa verso i poteri delle autorità
monetarie; ma è sicuramente più complicato stimolare la crescita e i prezzi che frenarli.
Il Governatore ha allora elogiato e nello stesso tempo stimolato il Governo per le misure prese e per quelle in
arrivo, che «vanno nella giusta direzione»; e ha sottolineato anche come sia diventato più "aperto" il quadro
europeo su investimenti pubblici e regole di bilancio.
L'aspetto più interessante del suo discorso è però l'indicazione delle altre riforme da fare. Oltre alla necessità
di migliorare la «dotazione di capitale umano» del paese, «insufficiente rispetto allo status di paese
avanzato», Visco ha suggerito due cose sole - scelte quindi con cura, non un mero omaggio retorico - difficili
e decisamente dirompenti.
La prima riforma è economica e civile insieme. «L'intrusione della corruzione e della criminalità organizzata
nel tessuto economico e sociale rimane su livelli intollerabili», ha detto. La corruzione non è una questione
morale, né le mafie solo un problema giudiziario e di ordine pubblico: «Garantire la legalità, anche attraverso
una maggiore efficacia dell'amministrazione della giustizia, consente il buon funzionamento del sistema
produttivo, incoraggia l'attività di impresa, attrae nel Paese risorse umane e finanziarie».
La seconda riforma è finanziaria, non è per nulla nuova, ma è significativa perché suggerita da chi vigila sul
settore bancario. «Nel nostro Paese - ha aggiunto - va proseguita con tenacia l'opera tesa a rendere
l'ambiente più favorevole all'attività di impresa. Una ripresa non effimera degli investimenti richiede che il
risparmio affluisca alle imprese non solo con il ritorno alla crescita del credito bancario ma anche con un
maggiore accesso diretto al mercato dei capitali, non limitato alle imprese più grandi. Ne potranno beneficiare
i settori più innovativi, maggiormente in grado di creare nuova occupazione». Se la Grande recessione ha
fatto emergere i limiti dei mercati finanziari, la crisi di Eurolandia ha mostrato quelli di un sistema in cui le fonti
di finanziamento sono dominate dalle banche.
Il messaggio è chiaro. La ripresa ciclica non basta. Non è sufficiente dare benzina - monetaria e fiscale - al
sistema, ma cambiare decisamente il motore dell'economia e del Paese: la crescita potenziale dell'Italia - in
un certo senso la velocità massima raggiungibile "in sicurezza" - è ormai diventata molto, troppo bassa.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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LE ANALISI
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Alessandro Graziani
La prossima trasformazione in società per azioni delle banche popolari, che storicamente non hanno azionisti
rilevanti, è assimilabile a una «privatizzazione» del settore bancario. Stavolta non ci saranno azioni in
vendita, a differenza di quanto accadde dal 1992 in poi con Credit e Comit. Ma, ora come allora, ci sarà un
vuoto nell'azionariato da provare a riempire. All'epoca fu lo Stato a uscire di scena. Ora saranno gli azionisti
dipendenti-clienti che, dopo l'eliminazione del voto capitario, non conteranno più. Chi li sostituirà?
Continua pagina 5
Continua da pagina 1
Per i vertici delle banche popolari, individuare un futuro nucleo di azionisti forti, che diano stabilità alla
governance mantenendosi complessivamente sotto la soglia di Opa, è la nuova priorità. E già dai prossimi
giorni, il tema sarà oggetto dei contatti tra i banchieri e gli azionisti interessati ad assumere posizioni rilevanti
nell'azionariato delle Popolari. I tentativi di resistere alla trasformazione in Spa decisa per decreto dal
Governo Renzi appaiono ormai puramente come strumenti negoziali, utili casomai per cercare di stemperare
la riforma «annacquandola» con tetti di voto al 3-5% o con l'introduzione di nuove modalità di voto multiplo. A
tutti è chiaro che, anche dopo l'appoggio incondizionato alla riforma annunciato ieri da parte del Governatore
di Bankitalia Ignazio Visco, l'addio al voto capitario e la trasformazione in Spa sono inevitabili. E che la
battaglia parlamentare, a cui la lobby delle popolari non rinuncerà a partecipare, potrà portare solo a rinvii nei
tempi di attuazione (da 18 a 24 mesi?) o all'introduzione di clausole per evitare che si creino in tempi rapidi
posizioni di controllo individuali. Ecco perché, prima ancora di pensare a studiare aggregazioni all'interno del
settore, gli attuali vertici delle principali banche popolari si avviano a promuovere la creazione di nuclei stabili
di soci che ne preservino il controllo. In molti casi (Ubi Banca, Banco Popolare, Bper, Bpm) esistono posizioni
d'investimento precostituite che complessivamente si collocano tra il 5 e il 10% del capitale. Per
incrementarle, si pensa a coinvolgere gruppi industriali locali. Ma c'è anche chi guarda alle grandi e medie
Fondazioni, spesso ormai poco rilevanti negli assetti delle ex banche conferitarie e interessate a rientrare in
gioco in istituti legati al territorio. Ma su questo punto si rischia di aprire un nuovo fronte di tensione con il
Governo.
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C LA PAROLA CHIAVE
Fondazione
Una fondazione di origine bancaria è una persona giuridica privata, autonoma e senza fini di lucro che
persegue scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. Le fondazioni bancarie sono state
introdotte per la prima volta nell'ordinamento italiano con la legge n. 218 del 1990, la cosiddetta «leggedelega Amato-Carli»; l'associazione di settore che ne coordina l'attività è l'Acri.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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QUASI UNA «PRIVATIZZAZIONE»
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 3
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Effetto Bce, Pil oltre lo 0,5% nel 2015»
Visco: riforme nella giusta direzione, ok Jobs Act e Pa - Ora procedere, soprattutto con l'attuazione
Rossella Bocciarelli
MISURE PER LA CRESCITA
«L'acquisto di titoli pubblici non rende meno necessarie, né meno probabili, le riforme per rilanciare i Paesi
Ue.
Le può anzi favorire»
L'allarme criminalità
«L'intrusione della corruzione e della criminalità organizzata nel tessuto economico e sociale rimane su livelli
intollerabili»
MILANO
Nell'economia dell'eurozona e in Italia si stanno manifestando «alcuni sviluppi incoraggianti», grazie alla
politica monetaria espansiva e grazie al fatto che «oggi c'è spazio per un sostegno alla domanda». Per
tornare a una crescita stabile e durevole, però, «nel nostro paese va proseguita con tenacia l'opera tesa a
rendere l'ambiente più favorevole all'attività d'impresa». E, per consentire alle banche di destinare più risorse
al finanziamento dell'economia, è opportuno anche un intervento pubblico che agevoli lo smobilizzo dei
prestiti deteriorati, pesante eredità della recessione.
Di fronte alla gremita platea di banchieri e operatori finanziari venuti ad ascoltarlo all'assemblea annuale del
Forex il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, torna a battere sull'esigenza di continuare sulla
strada delle riforme, dando attuazione a tutto ciò che serve a rendere più competitiva la nostra economia e
puntando su capitale umano e legalità: «L'intruzione della corruzione e della criminalità organizzata nel
tessuto economico e sociale rimane su livelli intollerabili», avverte. Ma sottolinea che «nell'insieme, le misure
introdotte vanno nella giusta direzione» a cominciare dal Jobs act. E, per la prima volta dopo molto tempo, il
Governatore si trova a poter registrare anche un miglioramento di clima: la riduzione della disoccupazione in
dicembre, il miglioramento del sentiment di fiducia di famiglie e imprese. Tutti elementi sui quali, spiega,
«hanno verosimilmente influito il calo del prezzo del petrolio e le variazioni dei tassi d'interesse e del cambio
determinate dalle attese di misure espansive di politica monetaria». Secondo il governatore, però, ai fini del
consolidamento della ripresa, serve una vera e propria "svolta" per gli investimenti. E un contributo decisivo
nel far diradare gli atteggiamenti di attesa e incertezza di imprese e consumatori certamente verrà dal
Quantitative easing da 1.140 miliardi deciso a Francoforte, in una quantità superiore alle attese dei mercati e
senza un limite temporale rigidamente definito. Per quanto ci riguarda «gli acquisti di titoli di stato italiani da
parte della Banca d'Italia potrebbero essere dell'ordine di 130 miliardi». Naturalmente, il Qe «non rende meno
necessarie né meno probabili le riforme volte ad aumentare il potenziale di crescita dei paesi dell'area»,
sottolinea Visco. «Le può anzi favorire, con il miglioramento e la minore incertezza delle prospettive
macroeconomiche».
Bankitalia ha riconsiderato le proprie stime, assumendo che per il nostro paese a parità di condizioni il Qe
vale ben un punto di Pil nel biennio 2015-2016. In tal modo, anche la crescita quest'anno potrà essere
superiore al mezzo punto percentuale e superiore all'1,5% nel 2016 (all'inizio di gennaio via Nazionale aveva
previsto incrementi di Pil pari rispettivamente, allo 0,4% e all'1,2%). Dunque, il miglioramento è netto, anche
se Visco ha ammesso margini d'incertezza connessi all'evolversi delle condizioni geopolitiche (di Grecia,
invece, il governatore non ha parlato, ma ha spiegato che nell'euro area i rischi di contagio oggi sono minori
rispetto al passato). Quanto alle banche, Visco ha ricordato che l'incidenza delle sofferenze in settembre era
al 10,6% e al 18,3% per il totale delle partite deteriorate. E, dopo aver chiarito entro quali, precisi confini di
rispetto della normativa europea sulla concorrenza un intervento pubblico è possibile, ha spiegato che «lo
smobilizzo dei crediti deteriorati è cruciale per consentire alle banche di reperire risorse da destinare al
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Il Forex a Milano L'INTERVENTO DEL GOVERNATORE
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
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finanziamento dell'economia reale». Infatti «opportune agevolazioni fiscali» oppure la prestazione di garanzie
pubbliche sulle attività derivanti dalla dismissione dei prestiti in sofferenza «creerebbero condizioni più
favorevoli allo sviluppo di un mercato privato delle partite deteriorate».
Poi, Visco ha svolto una considerazione che accoglie in pieno le argomentazioni del sistema bancario italiano
rispetto all'esigenza di una normativa di vigilanza chiara e non pro-ciclica: «Negli ultimi anni - ha osservato la necessità di adeguarsi a più stringenti requisiti patrimoniali ha influito sulla propensione delle banche a
erogare credito in una fase congiunturale avversa»; adesso però, avverte il Governatore, «per non ostacolare
il consolidamento dei segnali di ripresa delle economie, occorrerà calibrare con cautela le ulteriori richieste di
incremento delle dotazioni di capitale». Infine, Visco ha affermato che la riforma delle banche popolari
risponde a esigenze da tempo segnalate da Bankitalia, oltre che dal Fmi e dalla Commissione, esigenze
«rese ora più pressanti dal passaggio al sistema di vigilanza unica». La riforma chiede infatti alle banche
popolari più grandi di trasformarsi in spa. E ha una serie di vantaggi, puntualmente elencati da Visco: con la
partecipazione più ampia dei soci in assemblea si riduce il rischio di concentrazioni di potere in capo a gruppi
organizzati di soci minoritari; aumentano gli incentivi al controllo sull'operato degli amministratori. E, quanto
alle banche più piccole, rimane disponibile per loro il modello tradizionale di banca popolare.
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C LA PAROLA CHIAVE
Quantitative easing
È una politica monetaria non convenzionale con cui una banca centrale mira a rilanciare l'economia. La
banca centrale acquista sul mercato titoli di vario tipo (generalmente titoli di stato,ma non solo) stampando
moneta. Con l'obiettivo, da un lato, di tenere bassi i tassi d'interesse e dall'altro, di iniettare sul mercato una
grande massa di liquidità a basso costo.Il quantitative easing della Bce è stato lanciato il 22 gennaio scorso e
servirà a immettere nel sistema economico 1.140 miliardi complessivi. Banca d'Italia (16 gennaio) Fmi (20
gennaio) Commissione Ue (5 febbraio) Banca d'Italia (7 febbraio) 0,5 1,5 0,4 1,2 0,6 1,1 0,4 0,8 2015 2016
Le stime sul Pil dell'Italia a confronto Variazione percentuale annua
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«Sviluppi incoraggianti». Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, durante l'intervento al Forex di
Milano
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 4
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Se il fine è pubblico, è giusto che ci sia lo Stato»
Marco Ferrando
Appropriato nei toni
il discorso di Visco:
il Qe andava fatto
anche prima
Un intervento dello Stato per favorire lo smobilizzo dei crediti in sofferenza in pancia alle banche? Il Governo
ci lavora da settimane, Bankitalia approva (e spinge, viste le parole di ieri del governatore), le banche
guardano con interesse, come si è visto al Forex. Resta il fatto che un'eventuale operazione-sofferenze nessuno parla di bad bank, che in effetti sarebbe assai complessa da mettere in piedi - non sarà facile da
spendere dal punto di vista politico, perché ogni qualvolta si affronta il tema, l'accusa del regalo ai banchieri è
sempre dietro l'angolo.
«Se l'interesse è pubblico, può essere lecito utilizzare risorse pubbliche», osserva il presidente del Consiglio
di Gestione di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro. Che ragiona da economista, prima ancora che da
banchiere: «Se c'è un obiettivo di pubblica utilità che il singolo privato non ha convenienza a perseguire,
allora è giusto che si usino mezzi pubblici. Ma naturalmente, tutte le regole devono essere rispettate: sia il
governo a scegliere e siano i regolatori a vigilare, e non si tratti di un regalo».
Se l'operazione andrà in porto, come si muoverà Intesa Sanpaolo?
Se ci sarà un'iniziativa pubblica, saremo disposti a collaborare principalmente in termini di idee ed
esperienza.
In che senso?
Da anni operiamo attivamente sui non performing loans con i nostri mezzi, quindi privati. È bene ricordare
che quello dei crediti deteriorati è un universo composito, fatto di posizioni diverse che meritano trattamenti
diversi e che richiedono l'apporto delle diverse professionalità che esistono all'interno della Banca.
La gestione delle sofferenze impatta anche sul capitale, un altro dei temi affrontati ieri dal
governatore. In questa fase di avvio della vigilanza unica europea, c'è effettivamente un problema di
aleatorietà dei requisiti, come lamentato da molte banche?
Premesso che il livello di capitale deve essere tale da dare sicurezza e ridurre i rischi, per procurarsi capitale
le banche devono rivolgersi al mercato, e per farlo devono essere in grado di prospettare una situazione
prevedibile. Le richieste devono essere definite anticipatamente e non possono essere unilateralmente
modificate, altrimenti il mercato non riceve proposte credibili.
Vale anche per chi, come Intesa Sanpaolo, si trova molto al di sopra dei requisiti fissati?
Per noi il passaggio alla Vigilanza unica non ha comportato alcun problema: abbiamo avuto indicazioni
chiare, e ci muoviamo in piena sicurezza. La conoscenza preventiva dei requisiti da raggiungere è
fondamentale anche per chi, come Intesa Sanpaolo, vuole sempre restarne ampiamente al di sopra, per
rimare al top in Europa.
L'ha sorpresa, nei toni, il discorso di Visco?
Più che esserne sorpreso, ho notato il tono deciso. credo che sia appropriato alla situazione.
Con il governatore della Bundesbank Jens Weidmann, ad esempio, la distanza rimane notevole.
Nessun governatore dice cose non vere, però l'accento è diverso. Weidmann ritiene che siamo lontani dalla
deflazione, e che molto dipende dalla discesa dei costi energetici; il nostro governatore, in modo più
oggettivo, sostiene che siamo stabilmente lontani dall'obiettivo che la Bce si è posta in tema di dinamica di
inflazione, anche al netto dei costi energetici. I fatti sono gli stessi, ma l'accento è diverso.
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INTERVISTA GIAN MARIA GROS-PIETRO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI GESTIONE DI INTESA
SANPAOLO
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 4
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Però il Qe, alla fine, è partito e le stime sulla crescita finalmente salgono.
È la prova che il quantitative easing era opportuno e sta funzionando. Ma da solo, come ricorda sempre
Visco, non basta. E se fosse stato avviato prima male non avrebbe fatto.
Infine, le popolari. A maggior ragione con l'avallo, peraltro prevedibile, del governatore, non si torna
più indietro. Che ne pensa?
Come ha detto il presidente Bazoli, questo provvedimento non è un attacco alle popolari ma una presa d'atto
del fatto che le banche partite da questa formula hanno avuto una crescita tale da arrivare a una situazione
diversa da quella originaria, dove i soci - relativamente pochi - si conoscevano e si facevano credito a
vicenda. Certamente una diversa struttura giuridica accompagnata a una ormai mutata struttura proprietaria e
dimensionale pone dei problemi di governance e di controllo che vanno considerati. Pensare a cosa succede
dopo è sempre importante, ma più si ritarda più quello che succede può essere un problema.
.@marcoferrando77
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Presidente. Gian Maria Gros-Pietro
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 17
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Banda larga, Piano in dirittura
Allo studio misure per incentivare anche la domanda di servizi in fibra ottica
Andrea Biondi
IL TIMING
Il via libera di Palazzo Chigi
consentirà agli operatori
di prenotare entro il 31 marzo gli interventi per i quali
richiedere le agevolazioni
MILANO
Mappa delle aree in cui sarà possibile investire che è ormai pronta; Piano nazionale per la banda ultralarga
varato in via definitiva dal Consiglio dei ministri entro fine mese al più tardi; misure allo studio per incentivare
non solo la dotazione infrastrutturale, ma anche la domanda di servizi attraverso la fibra.
È attorno a questi tre pilastri che si snoda lo stato di avanzamento del programma del governo per tirare
l'Italia fuori dalle secche di un endemico (e più che mai preoccupante) ritardo digitale. Le speranze in tal
senso sono riposte nel Piano banda ultralarga del governo, arrivato all'ultima curva prima dell'avvio operativo
- che arriverà dopo il via libera del Consiglio dei ministri - ora che a disposizione c'è anche la mappatura del
Mise, fatta attraverso la sua società in house Infratel. In base a questa mappa, a quanto risulta al Sole 24 Ore
sarebbero infatti 96mila le aree bianche (a fallimento di mercato) a 30 e 100 Megabit per secondo (Mbps)
individuate come destinatarie di possibili investimenti "agevolati" in modo tale da raggiungere gli obiettivi:
entro il 2020 banda ultralarga ad almeno 100 Mbps fino all'85% della popolazione assicurando al resto degli
italiani collegamenti da 30 megabit in su. Nessuna conferma dal Mise sui numeri, ma con 96mila aree a
disposizione c'è insomma una torta che per gli operatori pronti a scommettere (mettendo ovviamente le mani
nel portafogli) si prospetta decisamente ampia quanto a dimensioni, ma anche a possibilità. Del resto la
mappa è stata particolarmente dettagliata proprio per permettere anche ai piccoli operatori di partecipare al
banchetto degli investimenti agevolati nelle aree bianche.
Alla base della strategia del governo c'è un mix di agevolazioni che possono essere messe in campo per
favorire l'"offerta" di infrastrutture digitali: da garanzie sul debito e credito d'imposta (al 50% come già previsto
dall'articolo 6 dello Sblocca Italia), fino al fondo perduto e all'intervento diretto, a seconda della dotazione
infrastrutturale che ha permesso una categorizzazione del territorio nazionale in 4 cluster. Il via libera
definitivo di Palazzo Chigi sbloccherà tutto il meccanismo e permetterà agli operatori di partire con le
prenotazioni delle aree nelle quali c'è l'interesse a investire. Cosa che dovrà avvenire entro il 31 marzo. Ci
sarà tempo poi fino al 31 maggio per presentare i progetto che andranno approvati, o meno, entro il 15
giugno.
Si attende quindi solo questo passaggio in Consiglio dei ministri del Piano che è stato in consultazione
pubblica dal 20 novembre al 20 dicembre. Al Mise si sono tenuti incontri con tutti gli operatori tlc e alla fine
sono arrivati da tutti gli stakeholder complessivamente 350 contributi in termini di pareri e idee. Il varo del
Consiglio dei ministri, che renderà il Piano impegno vincolante nei confronti della Ue, avverrà dunque entro
fine mese, preceduto dal preventivo vaglio "informale" di Bruxelles. Un ping pong, quello con gli uffici della
Commissione Ue tutto giocato sul tema dei meccanismi di incentivazione.
Certo, non va dimenticato che di tutto questo si parla mentre i numeri del ritardo digitale dell'Italia pesano
come macigni. Secondo gli ultimi dati disponibili di fonte europea, l'Italia infatti insegue sia come copertura
con la banda larga ad almeno 30 Mbps (21% delle abitazioni contro 62% europeo), sia nelle penetrazioni: la
banda larga ultra-veloce ad almeno 30 Mbps in Italia è utilizzata da meno dell'1% della popolazione contro
una media europea del 6 per cento. L'eco del problema si è sentita addirittura nelle parole del neo presidente
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Tlc. Entro febbraio prevista l'approvazione definitiva in Consiglio dei ministri - Il Mise ha mappato 96mila aree
su cui investire LA RIPARTIZIONE TERRITORIALE
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 17
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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della Repubblica, Sergio Mattarella, che nel suo discorso di insediamento ha fatto cenno al digital divide,
definendolo non compatibile con la Costituzione. Anche per questo il governo vuole ora andare spedito su un
Piano che prevede un utilizzo di risorse pubbliche superiore ai 6 miliardi, ma che deve fare i conti anche con
una dotazione di contributi pubblici che - per paradosso - rischia di essere in eccesso per l'obiettivo dei 30
Mbps nelle regioni del Centro-Sud (in particolare Sicilia, Puglia e Campania) e insufficienti per alcuni territori
del nord (per esempio Piemonte e Veneto).
Nel frattempo, c'è un altro filone di discussione che sta avanzando all'interno del "pensatoio" per il piano
banda ultralarga che vede la partecipazione del vice-segretario generale alla Presidenza del consiglio
Raffaele Tiscar, del sottosegretario per le Comunicazioni Antonello Giacomelli, del presidente della Cdp
(nonché presidente di Metroweb) Franco Bassanini, e dei consulenti governativi Andrea Guerra e Yoram
Gutgeld. In particolare quest'ultimo sarebbe il più convinto sostenitore di misure di incentivazione per la
domanda, senza concentrarsi solo sull'offerta e quindi sulla dotazione infrastrutturale. Consumatori e telco,
ovviamente, ringrazierebbero.
.@An_Bion
© RIPRODUZIONE RISERVATA Caratteristiche, misure e incentivi per tipologia di copertura Cluster A B C D
Copertura attuale (luglio 2014) 30 Mbps (FTTC) 30 Mbps (FTTC) in 102 comuni ADSL ADSL (97%)
Copertura pianif. (dicembre 2016) 30 Mbps (FTTC) 30 Mbps (FTTC) ADSL ADSL Target Upgrade da 30 a
100 Mbps Upgrade da 2-30 a 100 Mbps Upgrade da 2 a 100 Mbps Upgrade da 2 a 30 Mbps Costo €
1.021.297.963 6.143.539.043 4.229.439.807 985.504.122 Misure di incentivazione 7 Defiscalizzazione 7
Defiscalizzazione 7 Defiscalizzazione 7 Il pubblico interviene realizzando direttamente l'infrastruttura di sua
proprietà 7 Credito agevolato 7 Credito agevolato 7 Credito agevolato 7 Intervento realizzato esclusivamente
dal mercato 7 Minimo impiego di risorse pubbliche a fondo perduto 7 Risorse pubbliche a fondo perduto
proporzionalmente maggiore rispetto al cluster B Fonte: Infratel
Cluster A B C D Copertura attuale (luglio 2014) 30 Mbps (FTTC) 30 Mbps (FTTC)
in 102 comuni ADSL ADSL (97%) Copertura pianif. (dicembre 2016) 30 Mbps (FTTC) 30 Mbps (FTTC)
ADSL ADSL Target Upgrade
da 30 a 100 Mbps Upgrade da 2-30
a 100 Mbps Upgrade da 2 a 100 Mbps Upgrade
da 2 a 30 Mbps Costo € 1.021.297.963 6.143.539.043 4.229.439.807 985.504.122 Misure di incentivazione
Defiscalizzazione
Defiscalizzazione Defiscalizzazione Il pubblico
interviene realizzando direttamente
l'infrastruttura di
sua proprietà Credito agevolato Credito agevolato Credito agevolato Intervento realizzato
esclusivamente dal
mercato Minimo impiego
di risorse pubbliche
a fondo perduto Risorse pubbliche a fondo perduto proporzionalmente
maggiore rispetto al cluster B
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 21
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Poste Italiane, svolta in vista dell'Ipo
Previsto il lancio di nuovi prodotti finanziari in capitale di rischio di imprese non quotate
Laura Serafini
L'OBIETTIVO
L'ad Caio vuole portare
la raccolta a 500 miliardi
entro il 2020
Il cambio nel board
all'assemblea del 28 aprile
Le Poste Italiane avviano un processo di metamorfosi in vista della privatizzazione. Ci sono due aspetti,in
particolare, che sono destinati a cambiare l'attività dell'azienda ed entrambi sono legati a uno dei motori della
crescita del gruppo, il Bancoposta. Nel giro di un paio di mesi la società guidata da Francesco Caio e
presieduta da Luisa Todini dovrà rivedere la governance all'interno del cda. Di pari passo si sta lavorando,
come annunciato con la presentazione del piano industriale, al lancio di nuovi prodotti finanziari che diano
maggiori opportunità (sia in termini di rendimento che di soluzioni su misura) ma anche più rischio, come
pacchetti di investimento in capitale di rischio di realtà imprenditoriali italiane non quotate. Nuovi strumenti
che in queste settimane stanno destando qualche preoccupazione tra i sindacati.
Partiamo dalla governance. Poste Italiane dovrà aumentare il numero dei consiglieri presenti nel board: oggi
sono cinque, oltre a Caio e al presidente Todini, Antonio Campo Dall'Orto, Elisabetta Fabbri e Roberto Rao.
La necessità di un adeguamento in realtà nasce dalle disposizioni di vigilanza bancaria emanate dalla Banca
d'Italia, che in Poste diverranno pienamente operative a partire da giugno 2015. Le disposizioni devono
essere applicate al gruppo dei recapiti per via della presenza del Bancoposta, che dal 2011 ha un patrimonio
separato dal quello di altre attività. Il Bancoposta dovrà quindi attenersi ai requisiti patrimoniali richiesti per chi
svolge attività bancaria, ma poichè lo stesso costituisce una divisione del gruppo, anche Poste Italiane dovrà
dotarsi delle governance prevista per la banche. In particolare, nell'ambito del cda devono poter essere
costituiti i diversi comitati previsti dalle disposizioni. Poste Italiane viene equiparata alle banche di maggiori
dimensioni e complessità, per cui con tutta probabilità dovranno essere presenti tre comitati endo-consiliari, i
componenti non possono essere gli stessi (almeno uno deve variare): comitato nomine, comitato rischi e
comitato remunerazioni. Nel board di Poste oggi sarebbe presente solo il comitato remunerazioni.
L'innovazione, con relativa modifica dello statuto, verrà portata all'approvazione - nella parte straordinaria dell'assemblea di bilancio già convocata per il prossimo 28 aprile. Le disposizioni lasciano facoltà alla società
di scegliere il numero dei consiglieri, con un minimo di 7 e un massimo di 12. La società guidata da Caio
probabilmente deciderà di ampliare il cda a 9 consiglieri, predisponendosi in questo modo anche per i
cambiamenti determinati dalla quotazione in Borsa, quando dovranno trovare rappresentanza nel board i
fondi di investimento. Il nuovo assetto richiederà, dunque, l'integrazione di 4 componenti, di cui almeno due
dovrebbero essere donne, nel rispetto delle norme sulle quote rosa. È probabile che, nella scelta dei nuovi
consiglieri, si decida di nominare 3 figure interne al gruppo, in modo tale che queste possano lasciare il posto
ai rappresentanti dei fondi investimento dopo il debutto di Poste a Piazza Affari, atteso per la fine dell'anno.
Sul fronte dell'innovazione degli strumenti finanziari va detto che oggi il Bancoposta vende già, attraverso i
suoi sportelli, prodotti complessi. Ci sono i libretti e i buoni postali, che rendono sempre meno, e costituiscono
lo strumento di raccolta che le Poste fanno per conto della Cassa depositi e prestiti, e dal quale Cdp incassa
circa 250 miliardi l'anno. Il resto della raccolta (168 miliardi su totali 420 miliardi inclusa la quota di Cdp)
proviene da conti correnti, vendita di obbligazioni, certificates, azioni, fondi di investimento, polizze. L'ad
vuole portare la raccolta a 500 miliardi entro il 2020 e per raggiungere questo obiettivo deve inventarsi
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Privatizzazioni. Il gruppo dovrà aumentare il numero di consiglieri da 5 a 9 per ottemperare alle disposizioni di
Bankitalia
08/02/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 21
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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strumenti nuovi che, in regime di tassi bassi, offrano rendimenti più interessanti e siano più tarati sulle
esigenze della clientela. I pacchetti di investimento in capitale di rischio - o nell'economia reale come ama
dire l'ad - sono qualcosa che esce dal tracciato sinora seguito dal Bancoposta. L'idea, ovviamente, non è
quella di rivolgersi per questo tipo di prodotti ai pensionati. L'interlocutore saranno clienti più sofisticati, come
le piccole e medie imprese o i professionisti; il target di investimento sono realtà solide con rendimenti
interessanti, come posso essere, ad esempio, progetti nella green economy. L'approccio innovatore dell'ad,
però, sta creando qualche apprensione tra i sindacati, che si preoccupano degli eventuali rischi a carico dei
dipendenti addetti alla vendita di prodotti finanziari un po' più aggressivi. E ricordano come sia ancora in
corso un'istruttoria della Consob per le procedure di vendita adottate in passato, non sempre rigorose, di
prodotti molto più tradizionali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA c LA PAROLA CHIAVE 7Governance è l'organizzazione interna di
un'impresa, che regola le relazioni fra i soggetti interni all'impresa stessa che a diverso titolo intervengono
nello svolgimento dell'attività e alle forme di tutela dei diversi interessi esterni coinvolti. L'obiettivo di una
buona corporate governance è quello di affidare la gestione dell'impresa alle persone più adatte, tutelando
nello stesso tempo gli interessi di piccoli azionisti, creditori e dipendenti. Governance Nota: dopo rettifiche di
consolidamento ed elisioni di operazioni infragruppo 24.069 26.268 2012 2013 +9,1% VARIAZIONE % VAR.
% 13.833 16.166 5.312 5.390 4.657 4.452 267 260 +16,9 +1,5% -4,4% -2,6% Servizi assicurativi Servizi
finanziari Servizi postali e commerciali Altri servizi I ricavi di Poste Italiane Dati in milioni di euro
09/02/2015
Il Sole 24 Ore
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Cercando altre Svizzere
Stefano Elli
di Stefano Elli
Tempi duri per i renitenti al fisco. San Marino è oramai nella White list, la Svizzera entro il 2017 ratificherà gli
accordi per lo scambio di informazioni in automatico con l'Italia, anche l'Austria rinuncerà a un segreto
bancario non più al riparo della Costituzione. E poi ci sono Ocse, Gafi e Moneyval e le altre organizzazioni
sovranazionali di sorveglianza antiterrorismo e antiriciclaggio.
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Tutti organismi che puntano i loro binocoli sugli altri avamposti della segretezza bancaria, Vaticano incluso. Il
«grande fratello» antievasione, insomma, lavora a cottimo e su scala internazionale.
Dalla Svizzera, dove si susseguono i convegni sul tema (sensibilissimo anche per ragioni occupazionali) si
lanciano moniti contro i tentativi di adozione di tattiche diversive. Così Paolo Bernasconi, avvocato ed ex
procuratore pubblico della procura ticinese, di recente ha tenuto a suggerire la massima cautela a quei
banchieri elvetici che già hanno pensato ad aprire succursali, consociate, filiali in Paesi tradizionalmente affini
(come Singapore, paese in cui sono state aperte molte branch di banche elvetiche), tradizionali mete
alternative alla Confederazione dei capitali in fuga. In primo luogo perché l'autorità bancaria di Berna, la
Finma(Financial market supervisory authority), riterrà le case madri direttamente responsabili di ogni
«nefandezza» eventualmente commessa dalle proprie «subsidiaries» ovunque si trovino.
Oltretutto pure Singapore, per effetto del recepimento di alcuni «suggerimenti» del Gafi ha, da almeno un
triennio, adottato una legislazione più restrittiva sul tema: con l'entrata in vigore del Cdsa (Corruption drug
trafficking and other serious crime act). Legge recepita e trasformata dalla locale authority monetaria (la Mas)
in una circolare che ha imposto alle banche residenti un censimento degli asset in giacenza e dei loro
beneficiari effettivi. Si fa dunque ardua la ricerca di un approdo invisibile agli occhiuti scanner della vigilanza
finanziaria planetaria. Ultimamente sono in molti ad avere puntato lo sguardo lontano. Anzi lontanissimo. Agli
Emirati Arabi Uniti e, in particolare a Dubai. Paesi accoglienti per molte ragioni, oltre a quelle climatiche: un
sistema bancario efficiente (i dati del Gafi elencano 46 insegne bancarie di cui 21 locali e 25 internazionali,
una trentina di intermediari finanziari, cento broker di borsa) il tutto unito a una tassazione a zero per le
persone giuridiche. Ma anche qui creare una holding di diritto locale non è né costoso, né complicato.
Meglio ancora, come suggeriscono molte brochure facilmente reperibili sul web, se si agisce in tandem con
consociate basate a Cipro o a Malta. L'operatività, poi, può essere gestita agevolmente su internet, e non vi
sono fastidiose limitazioni al prelievo di contanti. Certo potrebbe essere imbarazzante trovarsi in coda allo
sportello con taluni latitanti italiani (noti o meno) che hanno scelto proprio Dubai come meta del proprio
espatrio forzoso, oppure con qualche finanziatore di cause e combattenti del terrorismo islamico. Ma ove si
concordi con il principio che «pecunia non olet» ciò potrebbe diventare problema secondario.
Analogo il caso di Cipro: Paese, specie nella zona di influenza turca, piuttosto impermeabile a moniti, moral
suasion, pressioni internazionali. Qui però va fatta attenzione: siamo in piena zona di confine. Un crocevia tra
legale, paralegale, illegale e criminale. Mafie russe si intersecano con quelle cecene, traffici d'armi e servizi
segreti di ogni paese. Occorre essere estremamente risoluti per scegliere una tale piazza e deporvi il proprio
risparmio. Un poco come coloro che a metà degli anni 90 scelsero di investire in azioni di un'emittente che
cavava pregiato marmo nero in Perù. Il denaro da San Marino proseguiva verso i Caraibi. A Saint Vincent alle
isole Grenadines, dove veniva custodito in una banca locale denominata dapprima Owens bank e poi The
New Bank limited. Banca fondata da alcuni membri della famiglia Nano. La banca alla fine degli anni '90
assunse un nuovo dipendente, un signore di etnia giapponese esperto in contabilità che però anziché ad
Harvard, si era laureato a Quantico. Era un agente infiltrato dell'Fbi che, in seguito intervenne con un
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PARADISI FISCALI
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spettacolare blitz e fece chiudere d'autorità la banca e i suoi conti.
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Il Sole 24 Ore
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I segnali di una ripresa con i piedi d'argilla
Stefano Manzocchi
Nel districarci tra le recenti previsioni economiche per il nostro Paese, e parafrasando Mao Tze Tung,
potremmo dire: grande è la confusione sotto il cielo, speriamo che la situazione divenga eccellente. Nelle
ultime settimane si sono susseguiti molti aggiornamenti delle stime del Pil italiano nel 2015/16, accompagnati
da interpretazioni e comunicazioni che talvolta sono apparse piuttosto discordanti. Il mestiere del previsore
economico di questi tempi è arduo: per anni le stime della crescita italiana (e in generale europea) sono state
riviste al ribasso trimestre dopo trimestre. La crisi finanziaria, il lento deleveraging, la brusca contrazione del
commercio mondiale nel 2009, e poi le difficoltà ancora irrisolte dell'Eurozona e delle sue politiche
economiche che ci hanno condotto in deflazione. Tutto ha contribuito a frustrare le aspettative (le speranze?)
di una ripresa sostenuta e generalizzata. Per comprendere le pene del previsore, occorre tener conto di
almeno tre aspetti. In primo luogo, il potenziale di crescita dell'Italia e dell'Europa appare modesto rispetto a
qualche decennio fa, e inferiore a quello di altre macro-aree mondiali. La crescita potenziale è quella che si
stima quando c'è pieno impiego dei fattori produttivi, e dipende dalla crescita degli input e della loro
produttività. Ci si riferisce qui alla cosiddetta Produttività Totale dei Fattori (PTF), che in Italia ristagna da
molto tempo: nei 12 anni prima della crisi è diminuita dello 0,14% in media annua, mentre aumentava anche
di 2 o 3 punti l'anno in tutti gli altri Paesi Ue eccezion fatta per la Spagna (-0,18%).
L'aumento della PTF è favorito da molti elementi, ad esempio innovazione, progresso tecnico, introduzione di
nuovi beni e servizi, buone istituzioni e giusti incentivi per gli attori economici. Rilevano a tal proposito la
qualità del capitale umano, lo sviluppo del sistema finanziario locale, le infrastrutture di trasporto che ad
esempio sembrano dar conto di circa il 10% della dinamica della competitività manifatturiera in Italia.
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Ma le stime della crescita potenziale sono di scarso aiuto quando si tratta di fare previsioni a medio termine
per un Paese, o un Continente, dove l'output gap (scostamento del Pil effettivo da quello potenziale) è così
pronunciato come in questa fase. L'Italia è sotto di un decimo rispetto al Pil degli anni pre-crisi, e di un quarto
se consideriamo la produzione industriale, secondo le valutazioni più accreditate. Quanto di tale scostamento
dipende dal vuoto di domanda generatosi dopo la crisi, o invece dagli "shock strutturali" che hanno investito
la nostra economia rendendo meno competitive le nostre risorse strumentali ed umane? Tra questi shock,
non possiamo trascurare l'avvento della moneta unica che ha cristallizzato l'enorme surplus commerciale
tedesco che grava tuttora sui destini dell'Eurozona, nonostante i proclami della Commissione Ue di
sanzionarlo.
L'ulteriore difficoltà per il previsore è che la crescita potenziale e i divari di competitività sono interconnessi: la
stasi della nostra PTF dal 1995 ha deteriorato nel profondo la competitività dell'industria italiana che
all'esplodere della crisi globale si è scoperta più vulnerabile di altre. E sarebbe illusorio immaginare che il
mercato interno da solo possa nel medio termine sostenere l'industria: remano contro la nostra demografia,
tecnologia e distribuzione del reddito.
Stretto tra tendenze della crescita potenziale, output gap e divari di competitività, il previsore economico ha
spesso un compito difficile. Anche gli sviluppi recenti, come il crollo del prezzo del petrolio, si possono
leggere in modo opposto: come stimolo alla crescita per la maggior competitività delle imprese importatrici di
energia e per la spinta ai consumi per via dell'aumento del potere d'acquisto; oppure come ulteriore tassello
di un quadro deflazionistico assai preoccupante per un'economia che "danza" su oltre 2000 miliardi di debito
pubblico (si veda la nota di Nomisma del 16 gennaio 2015 - Insidie petrolifere). Gli spunti di ripresa sembrano
tuttavia confermati dalla batteria di indicatori che Il Sole 24 Ore pubblica in questo numero e che provengono
da fonti diverse, anche se non mancano come sempre segnali discordanti. La sensazione complessiva è che
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NUMERI & STIME
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molte condizioni sistemiche per un'inversione di tendenza della congiuntura si siano materializzate, come
confermano i principali istituti di ricerca italiani e internazionali. Ma la fragilità dell'Eurozona ha radici
profonde, e senza nuovi sviluppi istituzionali e una diversa rotta delle politiche comunitarie, le prospettive
economiche sono tuttora esposte a molte incertezze che possono minare la fiducia degli operatori.
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09/02/2015
Il Sole 24 Ore
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Traffico, capannoni, turismo: tra industria e servizi in cerca di tendenze
positive
Enrico Netti
Netti pagina 4
I consumi di carburanti segnano un +4,5%, il dato destagionalizzato del consumo di cemento non vede il
segno "meno", il grado di utilizzo degli impianti nell'ultimo trimestre registra una leggerissima ripresa. Non
solo: a dicembre sono stati creati 93mila posti di lavoro, a gennaio il numero dei visitatori nei centri
commerciali è aumentato del 2,3% rispetto allo stesso mese del 2014. E ancora: in un rapido tour tra gli
indicatori congiunturali non possono mancare i dati relativi alla fiducia di imprese e consumatori: alla fine di
gennaio l'Istat ha certificato un leggero miglioramento.
Ci stiamo avvicinando alla fine del tunnel della lunga crisi? È ancora presto per dirlo. Certo, i fattori esogeni
favorevoli - mini-euro, prezzo del greggio intorno ai 50 dollari e Quantitative easing della Bce che partirà il
prossimo mese - aiutano, ma le ombre della Grecia e dell'instabilità geopolitica internazionale (dall'Ucraina al
mondo arabo) restano minacciose all'orizzonte. Comunque i dati ricordati all'inizio si possono senz'altro
interpretare come dei flebili bagliori, germogli di una possibile potenziale ripresa. E i loro effetti si
intravvedono già, visto che venerdì scorso la Commissione Ue ha riconfermato la stima 2015 di crescita del
Pil italiano: dopo sette anni di calo, ora potrebbe salire dello 0,6% (pur sempre, però, la metà dell'Eurozona).
Il motore della ripartenza sarà l'export, mentre la domanda interna avrà un ruolo modesto.
Tra i segnali positivi dell'economia reale ci sono l'aumento dei consumi di carburante (il diesel segna un
+6%), l'incremento della percorrenza dei veicoli pesanti e la crescita a due cifre (+18%) nelle vendite dei
veicoli commerciali. Rimbalzo anche per le immatricolazioni auto: a gennaio sono aumentate di quasi l'11%
rispetto al gennaio 2014. Buone notizie anche dai corrieri aerei, che nell'ultimo trimestre del 2014 hanno
aumentato di quasi il 5% le tonnellate di merci trasportate.
Fanno sperare il saldo 2014 positivo del numero delle imprese, con il dato migliore degli ultimi cinque anni,
l'aumento di mezzo punto del tasso di utilizzo degli impianti e il trend negativo dell'andamento delle scorte.
«C'è ancora un'ampia quota di capacità non utilizzata, che fa da freno ai nuovi investimenti - spiega Sergio
De Nardis, capo economista di Nomisma -, ma gli indicatori del manifatturiero mostrano un minimo
miglioramento, anche se non si vede ancora una vera ripartenza».
Conferme in tal senso arrivano dai consumi elettrici: a parità di temperatura e calendario, continuano a calare
e lo scorso mese, secondo Terna, gestore della rete elettrica nazionale, hanno fatto segnare un -1,1% su
gennaio 2014. Il dato congiunturale mostra però un +0,1% su dicembre, in un trend che «comunque resta
discendente».
Chi si sta muovendo per tornare a pieno regime - «banche permettendo» premette Massimo Moretti,
presidente Cncc - è il comparto dei centri commerciali. «Nei prossimi 2-3 anni saranno realizzati o avviati
progetti per circa un milione di metri quadri di nuovi shopping center». Un effetto anticipatore? Forse,
soprattutto alla luce del maggiore afflusso di clienti registrato a gennaio dall'Experian Footfall index.
Anche dal turismo, pur in un anno che dal punto di vista climatico non ha certo aiutato, Federalberghi
annuncia il +1,1% di presenze negli hotel, mentre l'Osservatorio di Bit2015 rivela che i vacanzieri nel periodo
natalizio hanno aumentato (+3%) la spesa media procapite (a quota 622 euro).
Il grande ammalato resta il comparto dell'edilizia. Nel primo semestre 2014 la superficie autorizzata dai
permessi di costruire (fonte Istat) vede flessioni a due cifre, intorno all'11 per cento. Diminuisce il consumo di
cemento, che lo scorso anno è arretrato del 7,5 per cento. A dicembre, dato destagionalizzato, c'è stato un
rimbalzino sul mese precedente. «Servono riforme strutturali e politiche che puntino sui fattori "reali" di
sviluppo, tra cui il rilancio dell'edilizia - dice Giacomo Marazzi, presidente di Aitec (industria del cemento) -. La
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CONGIUNTURA
09/02/2015
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maggiore flessibilità nell'applicazione del patto di stabilità va esercitata in questa direzione, concentrando le
risorse sul finanziamento delle infrastrutture e sulla riqualificazione del territorio».
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72,9
Tasso % di utilizzo degli impianti nell'ultimo trimestre 2014
IL CRUSCOTTO DEGLI INDICATORI
CONSUMI DI CARBURANTI
+4,5%
I consumi di benzina, gasolio e Gpl sono passati alle 2.972 migliaia di tonnellate del dicembre 2014 (+4,5%)
dalle 2.672 del dicembre 2013 (fonte: Mise-Unione Petrolifera)
TRAFFICO VEICOLI PESANTI
+3,7%
A dicembre cresce (+3,7%) il traffico dei veicoli pesanti rispetto al dicembre 2013. Su base annuale c'è un
aumento dello 0,7% (fonte: Aiscat)
VENDITA VEICOLI COMMERCIALI
+18%
Le consegne nel novembre 2014 crescono dell'8,3% e nel periodo da gennaio a novembre 2014 segnano un
+18% (fonte: Centro studi Promotor)
EDILIZIA PER IL SETTORE INDUSTRIALE
+12,9%
Ricavi a 3,95 miliardi (+1,3%) dai 3,9 del 2013. I metri quadri costruiti sono 2,1 milioni (+12,9%) dai 1,86 del
2013 (fonte: Scenari Immobiliari)
NUOVI PERMESSI DI COSTRUIRE
-10,8%
Nel non residenziale nel primo semestre 2014 il calo della superficie autorizzata è del -10,8% sullo stesso
periodo del 2013. Nel residenziale del 11,4% (fonte: Istat)
CONSUMO DI CEMENTO
+6,9%
Il dato destagionalizzato di dicembre mostra un aumento del 6,9%, a 1.717mila tonnellate, rispetto a
novembre. I consumi dell'anno sul 2013 segnano un -7,5% (fonte: Mise-Aitec)
UTILIZZO DEGLI IMPIANTI
72,9%
Nell'ultimo trimestre si è arrivati al 72,9% contro il precedente 72,4%. Bisogna tornare al 1° trim 2011 per
trovare un valore analogo (fonte: Istat)
PRESENZE IN HOTEL
+1,1%
Saldo positivo nel 2014 con le presenze che segnano un +1,1% sul 2013 grazie al +1,5% degli ospiti stranieri
(fonte: Osservatorio Federalberghi)
MERCI VIA AEREA
+4,7%
Nel 4° trimestre il traffico merci è stato di 252,2 migliaia di tonnellate (+4,7% sul 4° trimestre 2013). Per
l'intero anno l'aumento è del +5% (fonte: Assaeroporti)
VISITATORI DI CENTRI COMMERCIALI
+2,3%
Indice a gennaio 2015 è pari a 109,45 con un aumento del 2,3% sullo stesso mese del 2014 (fonte: Experian
footfall index)
09/02/2015
Il Sole 24 Ore
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Longobardi: «Ultima chiamata per la regolarizzazione»
Valentina Melis
Valentina Melis pagina 2
«Per descrivere la differenza tra gli scudi fiscali del passato e la voluntary disclosure, possiamo dire che quelli
erano una fotografia, e questa è un film vero e proprio».
Usa questa immagine Gerardo Longobardi, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti e degli
esperti contabili, per spiegare che la voluntary disclosure è una ricostruzione storica, quindi lunga e
complessa, del comportamento di chi ha nascosto ricchezze all'estero. E aggiunge: «È davvero l'ultima
spiaggia per chi ha disponibilità finanziarie oltre confine e vuole evitare il rischio di non poterle più usare».
Perché secondo lei la voluntary disclosure è l'ultima spiaggia, Presidente Longobardi?
Per diversi motivi. Innanzitutto, dal 2009, anno dell'ultimo scudo fiscale, la sensibilità e l'etica internazionali
sono cambiate moltissimo. C'è un atteggiamento completamente diverso nei confronti dell'occultamento di
ricchezze nei paradisi fiscali, che infatti oggi sono definiti "Stati canaglia".
Lo scambio di informazioni tra i Paesi è sempre più intenso: con l'accordo siglato a Berlino a ottobre del
2014, 58 Paesi si sono impegnati ad adottare come standard lo scambio automatico di informazioni dal 2017
e dall'anno successivo i Paesi aderenti diventeranno quasi 100. Anche la lotta al terrorismo internazionale
rafforza questa tendenza alla collaborazione e a monitorare come si muove il denaro.
Bisogna tenere conto, poi, dell'introduzione del reato di autoriciclaggio (con la stessa legge sulla voluntary
disclosure, ndr): chi sceglie l'emersione non è perseguibile, su questo fronte, per i fatti commessi fino al 30
settembre 2015, fino a quando, cioè, sarà possibile aderire alla procedura.
I professionisti avranno un ruolo di primo piano nella voluntary disclosure. Che impegno comporterà,
concretamente, per voi commercialisti?
Per ogni cittadino che aderirà all'emersione, ci sarà un vero e proprio accertamento dell'agenzia delle Entrate.
Le verifiche del professionista dovranno essere molto approfondite, in molti casi sarà necessario andare
all'estero, confrontarsi direttamente con le banche coinvolte nelle operazioni. Insomma, potrebbe non essere
sufficiente la finestra di tempo individuata, con la scadenza delle domande al 30 settembre 2015.
Quali sono, a suo avviso, i punti più critici della voluntary disclosure all'italiana, disegnata con la
legge 186/2014?
Una prima criticità è data dal fatto che la legge sulla voluntary disclosure non esclude esplicitamente l'obbligo
per i professionisti di segnalare operazioni sospette ai fini della normativa antiriciclaggio. Su questo punto,
crediamo che sia necessario un intervento normativo.
Sul fronte operativo sarà difficile fare il calcolo delle somme dovute dai contribuenti tra imposte, interessi e
sanzioni.
L'importo può infatti variare, a seconda dei casi e dei Paesi coinvolti, dal 4,6% a oltre il 90% del capitale
investito.Ed è complicato capire come giocano il cumulo delle sanzioni e gli eventuali sconti.
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Foto:
A Telefisco. Gerardo Longobardi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Intervista. IL PRESIDENTE DEI COMMERCIALISTI
09/02/2015
Il Sole 24 Ore
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Il jolly della flessibilità
di Giuseppe Chiellino
Grazie alla decisione della Commissione europea di allentare, per quanto possibile, la morsa dell'austerità,
quest'anno l'Italia potrà aumentare il deficit di due decimi di punto e spendere circa 3,6 miliardi di euro, senza
violare il patto di stabilità e di crescita. È la cosiddetta "clausola per gli investimenti" che dopo tre anni di
pressioni, è stata sbloccata.
Continua pagina 7
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Quei 3,6 miliardi sono destinati a cofinanziare gli investimenti previsti dai fondi europei, quasi tutti del vecchio
periodo di programmazione 2007-2013. Un'opportunità che è figlia di un paradosso: i ritardi accumulati negli
anni scorsi (l'Italia è di gran lunga il Paese più indietro nella spesa) consentono ora di avere le mani un po'
più libere sui conti.
Sarebbe una negligenza irresponsabile, anche alla luce del nuovo corso di Bruxelles sulla flessibilità, se
regioni e ministeri responsabili dei programmi 2014-2020 non utilizzassero tutti gli strumenti disponibili e le
strategie individuabili per accelerare in modo finalmente efficace l'attuazione dei programmi operativi e
dunque gli investimenti. Altrimenti non solo si sprecano risorse pubbliche preziose, ma viene vanificato il
risultato (per certi versi insperato) ottenuto dal governo in termini di flessibilità.
Le cause della cronica incapacità di spesa dei fondi strutturali sono state ampiamente discusse anche su
queste colonne. È diffusa la consapevolezza che si tratta di una partita difficile, perché tocca tanti punti deboli
del sistema-Paese: dalle competenze amministrative alla complessità della macchina burocratica oltre che
dei programmi. Affrontare e sciogliere questi nodi, anche sotto la spinta delle istituzioni comunitarie, sarebbe
un risultato - in termini di modernizzazione - ben al di là di un uso efficace delle risorse. Questa settimana si
riunisce a Palazzo Chigi per la prima volta lo steering commettee per avviare il monitoraggio dei Piani di
rafforzamento amministrativo con cui regioni e ministeri devono accompagnare i programmi operativi.
Insieme all'Agenzia per la Coesione, che muove i primi passi, si tratta della principale innovazione del nuovo
ciclo di programmazione dei fondi. Per non sprecare ciò che di buono è stato fatto sinora, è indispensabile
che il governo non perda l'occasione di partire con il piede giusto ed eviti gli errori del passato.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'ANALISI
09/02/2015
Il Sole 24 Ore
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Non c'è solo l'euro nel braccio di ferro tra Atene e Bruxelles
Adriana Cerretelli
di Adriana Cerretelli
«Siamo d'accordo sul nostro disaccordo», ha riassunto Wolfgand Schauble al termine del tete à tete a Berlino
con Yanis Varufakis. «No, non siamo d'accordo nemmeno sul disaccordo», gli ha ritorto immediatamente il
greco.
Non poteva essere più gelida e insieme volutamente manifesta la divergenza tra i due protagonisti di quella
che potrebbe diventare la seconda devastante crisi dell'eurozona. Gli ingredienti di una rottura, mentre
ancora non è cominciato il vero negoziato, purtroppo ci sono tutti. La speranza è che alla fine il buon senso e
il senso della misura prevalgano insieme alla consapevolezza che siamo tutti sulla stessa barca e, se uno
dell'equipaggio affoga, anche gli altri inevitabilmente ne saranno travolti. Anche se nessuno può dire con
esattezza in quale misura. Nell'incertezza, però, meglio evitare di provare a scoprirlo.
Continua pagina 12
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I segnali che l'eurozona sta imboccando una china pericolosa sono inequivocabili. Se a Berlino Schauble e
Varufakis non hanno fatto niente per nascondere l'abisso che li divide, probabilmente anche a uso delle
rispettive opinioni pubbliche che stanno su opposte barricate, quell'abisso insieme alla decisione della Bce di
chiudere dall'11 febbraio i rubinetti della liquidità alla banche elleniche ha spinto i greci a rinserrare i ranghi, a
scendere in piazza ad Atene per esprimere il sostegno al Governo.
«Syriza manterrà le promesse elettorali, il Governo negozierà duramente per la prima volta da anni e metterà
la parola fine alla troika e alla sue politiche», ha dichiarato in parlamento subito dopo l'incontro di Berlino il
premier Alexis Tzipras. «Non cederemo ai ricatti, non soccomberemo, non abbiamo paura, non torneremo
indietro», gridavano intanto i manifestanti fuori, in piazza Syntagma.
Brutti segni. Il nazionalismo greco è un'idra pericolosa, può diventare suicida e incontrollabile, dice la storia
del paese. «Quella dell'Europa è una storia di disaccordi e compromessi», aveva ricordato qualche giorno
Tzipras in visita a Bruxelles alle istituzioni europee. «Io devo tener conto del voto democratico e degli impegni
europei», aveva aggiunto fissando i suoi paletti negoziali.
Questa volta nessuno può permettersi il lusso di tirare troppo in lungo le trattative né di arroccarsi su una
mitragliata di no inamovibili. Bisogna decidere presto per non risvegliare troppo i mercati. Anche per questo,
memore del contagio scatenatosi tre anni fa, Draghi ha fischiato subito la fine della ricreazione: per la Grecia
ma anche per l'Eurogruppo, chiamato a decidere al più presto su una crisi che tra l'altro ha già visto scendere
in campo l'America di Obama e la Russia di Putin a fianco delle rivendicazioni della nuova Grecia: la prima
spezzando la sua lancia a favore dei suoi appelli alla crescita per sanare i debiti, la seconda pronta a erogarle
aiuti qualora quelli europei venissero meno.
Oggi e domani di Grecia si parlerà al G-20 dei ministri finanziari a Istanbul. Il giorno dopo, mercoledì 11, cioè
lo stesso giorno in cui la Bce cesserà l'erogazione di fondi ad Atene, si terrà a Bruxelles la riunione
straordinaria dei ministri Eurogruppo alla quale Varufakis si presenterà con il piano preciso circa le intenzioni
del suo Governo, apparentemente deciso a non chiedere la proroga del programma di assistenza europeo,
che scadrà a fine mese. Il giorno dopo sarà il vertice Ue dei capi di Stato e di Governo a pronunciarsi, si
spera anche con indicazioni precise. Da trasmettere alla nuova riunione dell'Eurogruppo in calendario per il
lunedì successivo.
Se prevalesse lo spirito costruttivo, nel giro di una settimana la partita greca potrebbe dunque chiudersi
rapidamente, senza morti né feriti. Ma notoriamente l'Europa non si distingue per i riflessi pronti. E poi
l'accordo è obiettivamente molto difficile da raggiungere: per i creditori come per il debitore. Se i primi non
intendono perdere (troppi) soldi, il secondo non può perdere (troppo) la faccia.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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DAL G20 ALL'EUROGRUPPO
09/02/2015
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Di mezzo ci sono non solo la credibilità e gli interessi dei singoli attori. Ci sono le reazioni delle pubbliche
opinioni europee, più o meno tutte sedotte dalle sirene del nazionalismo, del populismo e del sempre più
scarso europeismo, ostili per una ragione o per l'altra ai partiti tradizionali e ai governi in carica. C'è l'esigenza
di fare qualche inevitabile concessione alla Grecia senza però creare precedenti che inducano gli altri Paesi
sotto programma a pretenderne altrettante. C'è l'imperativo di salvare l'euro da se stesso. Per combinare
insieme tutte le tessere di questo puzzle apparentemente impossibile, ci vogliono una volontà politica
collettiva forte e una lungimiranza non da meno. Ci saranno?
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09/02/2015
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regole complesse e Costi elevati ma la «voluntary» PRENDE QUOTA
Cento professionisti confermano l'interesse per la regolarizzazione
a cura di Rossella Cadeo Mauro Meazza Valentina M
Giovedì 29 gennaio, il direttore dell'agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, non ha nascosto l'ottimismo
rispetto alle aspettative della voluntary disclosure: «Dai primi segnali - ha dichiarato in apertura dei lavori del
Telefisco 2015 - ci aspettiamo un'adesione massiccia. Stiamo attrezzando gli uffici e formando il personale».
Il giorno successivo è arrivato il rilascio del modello e delle istruzioni definitive ed è così partita ufficialmente
la "collaborazione volontaria" con il fisco per regolarizzare capitali o patrimoni detenuti all'estero (o anche in
Italia) in violazione delle norme fiscali.
Sarà un ottimismo ben riposto, quello del direttore? «Il Sole 24 Ore» ha provato a verificarlo con un
sondaggio in sette domande, inviate a professionisti e operatori del risparmio. E l'esito sembra confortare la
posizione delle Entrate. Del resto, i roadshow e i convegni che si stanno svolgendo in queste settimane in
molte città d'Italia per illustrare la novità fanno spesso il tutto esaurito. All'appuntamento milanese organizzato
ancora a fine gennaio da Mps con gli esperti del Sole 24 Ore si sono presentati in 600 (il roadshow prosegue
in altre città, date e sedi sono visibili su www.eventi.ilsole24ore.com/mps). E incontri di formazione e
informazione vengono organizzati anche nella vicina Svizzera, che è stata per decenni meta privilegiata per i
capitali desiderosi di sottrarsi al fisco italiano.
I risultati del sondaggio
Analizzando le risposte raccolte dal sondaggio, la voluntary risulta sicura destinataria di un elevato interesse
e accreditata di considerevoli aspettative di successo. Più contenuta è l'attenzione per il rimpatrio solo
giuridico e molto ridotta la curiosità per l'emersione del "nero" domestico. Sono questi, in estrema sintesi, i
giudizi che emergono dai risultati visibili in queste due pagine.
Il sondaggio è stato condotto presso un centinaio di professionisti, tra notai, commercialisti, esperti di diritto
tributario, consulenti finanziari, responsabili di grandi istituti di credito e società di gestioni finanziarie (l'elenco
su www.ilsole24ore.com, all'interno del dossier dedicato al rientro dei capitali). Ma ecco i dettagli.
Per quanto riguarda la prima domanda, l'interesse è innegabile: in 31 (su cento rispondenti) lo percepiscono
elevato tra la loro clientela e in 17 molto elevato (quasi la metà). Che lo strumento abbia ottime possibilità di
partecipazione lo confermano le risposte al secondo quesito: in 40 hanno risposto positivamente e in 6 molto
positivamente. Se si aggiungono i 35 che si aspettano un risultato medio, si supera l'80% di aspettative
ottimistiche. Più contenuta la propensione alla voluntary disclosure con rimpatrio giuridico, cioè lasciando i
patrimoni all'estero, dopo averli riportati in chiaro. E molto più bassa la predisposizione alla "sanatoria"
domestica, cioè relativa agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenuti in Italia: in questo caso,
meno di un quarto ha rivelato qualche interesse.
Quanto alle motivazioni che potrebbero spingere ad aderire, vincono di larga misura gli «accordi
internazionali per lo scambio di informazioni». A una certa distanza seguono l'opportunità di garantirsi una
«tutela dagli accertamenti dell'amministrazione finanziaria» (18 risposte) o una «copertura per i reati tributari
e l'autoriciclaggio» (15).
L'elemento che invece più fa da freno è il notevole costo dell'operazione (47 interpellati su 100), seguito dal
timore per la propria "privacy fiscale". Un orientamento confermato dall'ultimo quesito, quello sul rapporto
costi/benefici, dove quasi la metà degli esperti interpellati giudica l'adesione «costosa», mentre il 40% la
definisce «equa».
A ciascuno la sua disclosure
A margine del sondaggio, emergono poi chiaramente alcune caratteristiche della disclosure 2015, segnalate
anche dalle schede che presentiamo in queste due pagine e richiamate negli altri articoli. In primo luogo, le
differenze con gli scudi fiscali degli anni zero, rispetto ai quali la voluntary si presenta senza il tratto
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Rientro dei capitali IL SONDAGGIO
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dell'anonimato e con costi notevolmente più alti.
Ma proprio dal lato dei costi emerge un'altra caratteristica importante: è di fatto impossibile poter stimare un
costo medio dell'emersione per tutti i contribuenti. Le variabili nei conteggi di imposte e sanzioni, le infinite
vicende che possono aver interessato patrimoni e capitali negli anni da considerare fanno sì che la procedura
possa essere definita "sartoriale".
© RIPRODUZIONE RISERVATA QUANTO È ELEVATO L'INTERESSE MOSTRATO FINORA DAI SUOI
CLIENTI PER LA VOLUNTARY DISCLOSURE? 1 Nullo 7% 2 Basso 15% 3 Medio 30% 4 Elevato 31% 5
Molto elevato 17% 1 0 10 20 30 40 50 QUALE POTREBBE ESSERE, A SUO GIUDIZIO, L'ELEMENTO PIÙ
IMPORTANTE PER ADERIRE ALLA VOLUNTARY DISCLOSURE? Accordi internazionali per lo scambio di
informazioni 48% Ostilità di banche e gestori verso investimenti passibili di contestazioni fiscali 13%
Possibilità di disporre di nuova liquidità 6% Tutela da accertamenti dell'amministrazione finanziaria 18%
Copertura per i reati tributari e l'autoriciclaggio 15% 4 0 10 20 30 40 50 QUALE POTREBBE ESSERE, A
SUO GIUDIZIO, L'ELEMENTO PIÙ IMPORTANTE PER NON ADERIRE ALLA VOLUNTARY DISCLOSURE?
1 Inefficacia degli accordi internazionali per lo scambio di informazioni 9% 2 Difficoltà nei conteggi necessari
all'adesione 5% 3 Perdita di anonimato ed eventuali denunce di terzi 21% 4 Inadeguatezza della normativa
18% 5 Eccessivo costo dell'operazione 47% 5 0 10 20 30 40 50 Il bilancio dei precedenti «scudi» Le somme
rientrate in Italia con i provvedimenti del 2001-2003 e 2009-2010 77,75 104,56 Miliardi scudo 2001-2003
Miliardi scudo 2009-2010 di cui Rimpatri 46,042 mld Regolarizzazioni 31,719 mld di cui Rimpatri 102,057 mld
Regolarizzazioni 2,503 mld TOTALE 182,3 Miliardi Capitali totali riemersi Fonte: Uic e ministero
dell'Economia QUALE PREVISIONE SI SENTE DI FARE SULLA PERCENTUALE DI SUCCESSO DELLA
VOLUNTARY DISCLOSURE? 1 Scarso o nullo successo 7% 2 Basso successo 12% 3 Medio 35% 4 Elevato
40% 5 Molto elevato 6% 2 0 10 20 30 40 50 QUANTI CLIENTI SI SONO MOSTRATI INTERESSATI AL
RIMPATRIO SOLO DI TIPO GIURIDICO, SENZA RIPORTARE GLI ASSET IN ITALIA? 1 Bassa o nulla 21%
2 Scarsa 22% 3 Media 27% 4 Elevata 24% 5 Molto elevata 6% 3 0 10 20 30 40 50 HA OSSERVATO TRA I
SUOI CLIENTI QUALCHE INTERESSE PER LA VOLUNTARY DISCLOSURE DOMESTICA? 1 Nullo 32% 2
Basso 45% 3 Medio 16% 4 Elevato 7% 5 Molto elevato 0% 6 0 10 20 30 40 50 IN ESTREMA SINTESI,
QUAL È IL SUO GIUDIZIO SUI COSTI / BENEFICI DELLA VOLUNTARY DISCLOSURE? 1 Troppo costosa
11% 2 Costosa 36% 3 Equa 40% 4 Conveniente 11% 5 Molto conveniente 2% 7 0 10 20 30 40 50
DOPPIO AIUTO ONLINE
Il forum con gli esperti
Gli esperti per la voluntary disclosure: su internet è attivo da oggi un forum per sottoporre quesiti agli esperti
del Sole 24 Ore. Sarà data priorità alle questioni di carattere generale e le domande potranno fornire spunti
per articoli sul sito e sul quotidiano. È possibile anche effettuare ricerche sulle risposte già disponibili.
L'indirizzo è www.ilsole24ore.com/
forumrientrocapitali
Il dossier digitale
Sul sito del Sole 24 Ore (www.ilsole24ore.com) è gratuitamente a disposizione dei navigatori il dossier online
sulla voluntary disclosure e il rientro dei capitali. Con il testo dei provvedimenti ufficiali diffusi dalle Entrate,
articoli e commenti apparsi sul Sole 24 Ore. Il dossier - realizzato con il contributo del Monte dei Paschi di
Siena - viene via via aggiornato con nuovi contributi e documenti. L'indirizzo rapido per raggiungerlo è
www.ilsole24ore.com/rientro
capitali
IL SONDAGGIO CON I CENTO ESPERTI
Le risposte di professionisti e operatori alle sette domande del Sole 24 Ore
Il questionario
Sette domande per testare la temperatura della voluntary disclosure, in vista del suo debutto operativo: nei
giorni scorsi «Il Sole 24 Ore» ha interpellato cento professionisti (dottori commercialisti, avvocati, esperti
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contabili, operatori di banche e gestori) per verificare l'interesse nei confronti della «collaborazione» lanciata
dalla legge 186 del 15 dicembre 2014, in vigore dal 1° gennaio
Le domande
Le sette domande intendono evidenziare le aspettative nei confronti della voluntary disclosure, sia valutando
il comportamento tenuto finora dalla clientela, sia esprimendo alcuni giudizi sulla normativa e sulla
convenienza dell'operazione. Tutti i partecipanti hanno avuto a disposizione una sola risposta, così da
evidenziare (specie nel caso delle domande n. 4 e n. 5, relative ai motivi per aderire o per non aderire)
l'argomento percepito come assolutamente più importante
I partecipanti
L'elenco completo dei partecipanti al sondaggio è riportato sul sito internet del Sole 24 Ore, all'interno del
dossier sul rientro dei capitali. Il dossier - accessibile gratuitamente a tutti i navigatori, grazie alla
collaborazione con Mps - contiene articoli e documentazione sulla voluntary disclosure e viene via via
aggiornato con nuovi contributi. L'indirizzo da digitare è www.ilsole24ore.com/rientrocapitali
LE CARATTERISTICHE
LE REGOLE
ISTANZA TELEMATICA
La domanda per aderire alla disclosure dovrà essere trasmessa telematicamente. Venerdì 30 gennaio
l'agenzia delle Entrate ha approvato il modello definitivo e il software per la compilazione. L'adesione può
riguardare sia le violazioni internazionali sia quelle nazionali. Possono essere sanate le violazioni commesse
entro il 30 settembre 2014
LA DOCUMENTAZIONE
La richiesta dovrà essere accompagnata dall'invio (entro 30 giorni) tramite posta elettronica certificata di una
relazione e dalla documentazione che dovrà servire a ricostruire, tra l'altro, gli investimenti e le attività
finanziarie all'estero e i redditi che sono serviti a costituirli o acquistarli. Tutta la procedura per aderire alla
collaborazione volontaria si dovrà concludere entro il 30 settembre di quest'anno
LE PUNTATE PRECEDENTI
GLI SCUDI FISCALI
Un carniere da oltre 182 miliardi. A tanto ammontano i capitali rientrati in Italia con gli «scudi fiscali» del 20012003 e 2009-2010. Nel dettaglio con il provvedimento previsto dal Dl 350/01 esteso con lo «scudo bis» del
2003 sono stati effettuati rimpatri per oltre 46 miliardi e regolarizzazioni per 31,7. Il remake del 2009 ha poi
aperto un paracadute per 104,56 miliardi, dei quali rimpatri per oltre 102 miliardi. Ai primi posti tra i Paesi di
origine delle emersioni figurano Svizzera, Lussemburgo e San Marino
LE DIFFERENZE
IL FORFAIT E L'ANONIMATO
Il meccanismo degli scudi fiscali dei primi anni 2000 era essenzialmente basato sul pagamento di un forfait
che consentiva di sanare gli illeciti derivanti dalle attività estere non dichiarate al fisco italiano. In più veniva
garantito l'anonimato per chi aderiva alla sanatoria
LO SCONTO SULLE SANZIONI
L a voluntary disclosure si basa su un meccanismo molto diverso, in base al quale il contribuente che vuole
accedere alla procedura deve ricostruire interamente la sua posizione fiscale e contributiva. Di fatto, si arriva
a un "recupero" della tassazione di tutte le attività patrimoniali e finanziarie detenute illecitamente all'estero
con un vantaggio in termini di sconti sulle sanzioni. Quindi non è più possibile regolarizzare soltanto in parte il
proprio patrimonio oltre confine
GLI ACCORDI
LA DATA SPARTIACQUE
Bisognerà cerchiare sul calendario la data del prossimo 2 marzo. È il giorno entro cui, secondo la scansione
temporale prevista dalla legge sul rientro dei capitali (la 186/2014), i Paesi black list potranno sottoscrivere
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un'intesa con l'Italia per lo scambio di informazioni. La firma dell'accordo farà in modo che non si applichi il
raddoppio della sanzione previsto dal Dl 78/09 sul contrasto ai paradisi fiscali per i contribuenti che intendono
regolarizzare violazioni in quei Paesi
L'ACCORDO CON LA SVIZZERA
Proprio in quest'ottica c'è grande attesa per l'accordo con la Svizzera. L'intesa (compresa anche la parte sui
frontalieri) è stata raggiunta nei giorni scorsi e la firma vera e propria dell'accordo da parte dei ministri delle
Finanze arriverà a metà febbraio
Schede a cura di Chiara Bussi e Giovanni Parente
LE DISCLOSURE DEGLI ALTRI
FRANCIA
In Francia lo scudo fiscale è stato introdotto nel 2009 sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy. La misura, che
concedeva uno sconto sulle imposte per chi faceva rientrare i capitali, è stata abrogata un anno dopo
I BENEFICIARI
16.350
USA
Gli Usa hanno introdotto una sanatoria nel 2009 . A chi rimpatriava i capitali offshore era richiesto il
pagamento delle tasse e degli interessi per i precedenti sei periodi d'imposta e una sanzione del 20% delle
somme rientrate
LE ADESIONI
14.700
GERMANIA
Il cancelliere Schroeder ha scelto la strada dello scudo fiscale nel dicembre 2002 per finanziare le
infrastrutture. Prevista un'aliquota fissa del 25% sul denaro rimpatriato. L'iniziativa si è però rivelata un flop
I CAPITALI RIMPATRIATI
224 mln euro
GRAN BRETAGNA
Londra ha introdotto la Ndo (New Discosure Opportunity) nel maggio 2011. Imposto il pagamento di tutte le
tasse dovute anno per anno fino a un massimo di 20 anni oltre una sanzione del 10% degli asset rimpatriati
IL RICAVATO
445 mln sterline
LA COPERTURA DELLA VD
I REATI TRIBUTARI
Uno dei principali vantaggi della voluntary disclosure è rappresentato dalla copertura per chi aderisce dalla
contestazione di alcuni reati tributari. Si tratta per l'esattezza di: dichiarazione fraudolenta mediante uso di
fatture o altri documenti per operazioni inesistenti o mediante altri artifici, dichiarazione infedele, omessa
dichiarazione, omessa versamento di ritenute certificate, omesso versamento dell'Iva
L'AUTORICICLAGGIO
La legge sulla voluntary disclosure ha anche introdotto il reato di autoriciclaggio. L'adesione alla procedura di
rientro dei capitali garantisce al contribuente interessato uno «scudo» anche da questa nuova fattispecie così
come dalle conseguenze penali per le violazioni relative al riciclaggio
DA TELEFISCO
I SOGGETTI «COLLEGATI»
La voluntary disclosure è stata al centro di alcuni chiarimenti forniti dalle Entrate durante Telefisco 2015. Sui
soggetti «collegati» a chi presenta l'istanza, l'Agenzia ha precisato che vanno considerati tali quanti hanno
una posizione rilevante rispetto alle attività estere da regolarizzare oppure un «collegamento» con il reddito
evaso. Tutti questi dovranno essere indicati nel modello per la richiesta
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I TITOLARI EFFETTIVI
La legge europea dello scorso anno ha esteso l'obbligo di dichiarare al fisco le attività estere anche ai titolari
effettivi di quei patrimoni. A Telefisco l'Agenzia ha chiarito che la voluntary disclosure è possibile anche per
questa tipologia di contribuenti per sanare le violazioni commesse a partire dal periodo d'imposta 2013
LA STIMA DI GETTITO
PRENOTATI 671 MILIONI
In base alle stime del Governo Letta a febbraio 2014, gli incassi derivanti dal rientro dei capitali per lo Stato
potrebbero arrivare a 8 miliardi. Sulla voluntary disclosure regolata dalla legge 186/2014 non ci sono stime
ufficiali di incasso. Il Governo, però, ha già prenotato 671 milioni delle entrate attese: è l'importo che sarebbe
dovuto arrivare dall'aumento delle tasse sui carburanti, previsto dal 1° gennaio 2015 ,poi congelato dal
decreto milleproroghe, nell'ipotesi di recuperare questa somma grazie al rimpatrio dei capitali. Sotto, la
pagina del Sole 24 Ore che ha dato notizia dello stop agli aumenti sulla benzina
07/02/2015
La Repubblica
Pag. 1
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Mogherini: la Ue con Parigi e Berlino non vogliamo dare armi a Kiev
ANDREA BONANNI
A PAGINA 4 Mogherini: la Ue con Parigi e Berlino non vogliamo dare armi a Kiev BRUXELLES IL
PRESIDENTE Hollande e la cancelliera Merkel fanno la spola tra Kiev e Mosca, tra Poroshenko e Putin, per
proporre quella che definiscono «una pace europea». E lei, che è l'Alto rappresentante della Ue per la politica
estera? Non si sente tagliata fuori? Federica Mogherini sorride nell'auto blindata che corre verso l'aeroporto.
È appena uscita da un incontro con il vice-presidente americano Biden e sta partendo per Monaco dove oggi
e domani si ritrova il Gotha della diplomazia mondiale. «A parte il fatto che questi sono vertici a livello di capi
di Stato e di governo, e il mio riferimento sono i ministri degli Esteri, da mercoledì seguo passo per passo in
contatto costante con Berlino questo tentativo. Merkel e Hollande sono portatori di una proposta
autenticamente "europea". E questo, se permette, è un fatto positivo. Da mesi diciamo come Ue che
appoggiamo gli sforzi diplomatici in ogni formato, e su questo abbiamo lavorato tanto...».
Come è nata questa svolta? «Il lungo silenzio si è rotto dopo il bombardamento di Mariupol e la dura
reazione della Ue.
Al Consiglio dei ministri degli Esteri europei abbiamo preso la decisione di estendere fino a settembre le
sanzioni esistenti e abbiamo concordato, restando uniti, una nuova lista di nomi da colpire. A questo punto si
è mosso qualcosa per rilanciare gli accordi di Minsk. Berlino ci ha subito informati e consultati. Ma le riunioni
a livello del gruppo di contatto non facevano progressi e intanto la situazione sul terreno diventava ogni ora
più drammatica. Così il presidente Hollande e la cancellieria Merkel hanno lavorato insieme al presidente
ucraino Poroshenko a una proposta per arrivarea una soluzione. Ne hanno discusso a lungo. E adesso
Merkel e Hollande hanno messoa punto una proposta europea. Sono arrivati al Cremlino contando sul
sostegno di tutti i ventotto governi dell'Unione». Proprio tutti-tutti? Anche la Grecia di Tsipras? «All'ultima
riunione dei ministri degli Esteri, la decisione di allungare la lista delle personalità da sanzionare è stata presa
all'unanimità. Come è stato deciso all'unanimità di aumentare gli sforzi per trovare una soluzione politica alla
crisi. Decisione che, come si vede, sta dando i suoi frutti: intanto qualcosa si è mosso. Verso la Russia ci
possono essere in seno all'Unione sensibilità diverse. Ma sulla crisi Ucraina gli europei si sono mossi finora in
modo straordinariamente unito». Sì però in questa vicenda l'Europa continua a chiedere dei cessate il fuoco
che vengono promessi e poi regolarmente violati. Ha senso continuare a proporre tregue temporanee senza
dare, almeno in prospettiva, il senso di un accordo complessivo che risolva davvero il rapporto
UcrainaRussia? «Quando la gente muore sotto le bombe, chiedere una treguao un cessate il fuoco ha
sempre senso. E considero un successo che si sia riusciti ad aprire un corridoio umanitario per evacuare i
civili da Debaltseve.
Comunqueè vero che si deve discutere di un piano di pace che preveda una soluzione globale, ed è quello
che noi stiamo cercando di ottenere. Ma questa soluzione deve essere discussa e accettata in primo luogo
dagli ucraini. Solo loro hanno il diritto di decidere che cosa fare del proprio Paese».
Tutti parlano con Putin. Ma finoa che punto il Cremlino controlla i separatisti filo-russi? «Difficile rispondere
con esattezza a questa domanda.
Ma una cosa è certa: senza il sostegno politico, finanziario e militare del Cremlino i separatisti non
potrebbero fare quello che stanno facendo. Quindi Putin ha in mano gli strumenti per risolvere il problema».
Non crede che, come propone qualcuno negli Usa ma pure al di qua dell'Atlantico, anche noi dovremmo
dare armi al governo ucraino? «Se stai cercando una soluzione politica, come stiamo facendo noi con uno
sforzo ai massimi livelli, fornire armi ad uno dei contendenti non mi sembra un gesto molto coerente. La
fornitura di armi è sempre una decisione bilaterale dei singoli Stati che non coinvolge direttamente la Ue. Ma
non vedo nel panorama europeo una spinta in questo senso. Anche negli Stati Uniti se ne discute, ma non è
stata presa nessuna decisione. Molto dipenderà dalla nostra capacità di trovare una soluzione pacifica a
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07/02/2015
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questa crisi che non ha, comunque, nessuna possibilità di soluzione militare».
Intanto però la Nato sta rafforzando le difese. Come giudica questa decisione? «È evidente che non tocca a
me giudicare le scelte di un'altra organizzazione internazionale. Però ricordo che la decisione di rafforzare la
forza di intervento rapido venne presa al vertice di Cardiff, in agosto, e che l'obiettivo era di potenziare la
capacità di intervento militare tanto ad Est quanto a Sud. E poi ho notato con piacere che il segretario
generale della Nato ha detto di sostenere la missione di Merkel e Hollande». E gli americani? Non ha a volte
la sensazione che remino contro i vostri sforzi di mediazione? «No. Sono appena uscita da un lungo incontro
con il vice presidente Biden e il presidente Juncker. Mi sento regolarmente con il segretario di Stato Kerry,
che ritroverò adesso a Monaco. Gli americani sono, come noi, molto preoccupati. E, come noi, sono convinti
che l'unica via di uscita da questo conflitto sia una soluzione politica.
So che sono stati molto contenti dell'iniziativa di Hollande e Merkel e che sperano porti a risultati concreti.
Nessuno, in Occidente, sta soffiando sul fuoco che divora l'Ucraina. Ma nessuno può permettersi di voltare la
faccia dall'altra parte davanti ad una aggressione militare».
PER SAPERNE DI PIÙ eeas.europa.eu/index_en.htm europa.eu/pol/cfsp/index_it.htm
L'UNITÀ
"La decisione di aumentare gli sforzi per trovare una soluzione politica è stata presa all'unanimità
GLI STATI UNITI
"Siamo in costante contatto. Anche gli americani sono convinti che la via d'uscita deve essere
diplomatica
Foto: GLI AIUTI Una donna con un pacco di aiuti umanitari nella città di Debaltseve dove esercito ucraino e
ribelli filo-russi si sono accordati per una tregua LADY PESC Federica Mogherini è a capo della diplomazia
europea dal primo novembre 2014
07/02/2015
La Repubblica
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Gli arrivi centristi allarmano la sinistra Bersani: non siamo una porta
girevole
L'ex segretario: "Io non voglio un Pd stretto, ma il passaggio sia politico, no a opportunismi"
GIOVANNA CASADIO
ROMA. Ci fu la cena all'Hotel Bernini tra Gennaro Migliore, all'epoca ancora braccio destro di Nichi Vendola,
e Lorenzo Guerini, il vice segretario del Pd. Era giugno e i deputati dem erano 293, oggi sono balzati a 310.
Al Senato sono saliti a 113 dagli originari 108. Più non quantificabili spostamenti nei territori.
Insomma un Pd "acchiappatutto", da Sel a Scelta civica passando per adesioni in ordine sparso. Il partito
che vuole Renzi: allargato e rafforzato, il Partito della nazione, interclassista e a vocazione maggioritaria.
Fumo negli occhi per la sinistra dem, che da ieri, dopo l'approdo dei montiani (senza Monti) agita il vecchio
pomo della discordia: l'Agenda Monti appunto, lo spauracchio delle politiche di rigore, dalla riforma delle
pensioni di Elsa Fornero alla Troika Ue.
E perciò «addio sinistra», per dirla con Stefano Fassina.
Peggio ancora è il sospetto che la voglia di allargare e soprattutto la necessità di consolidare la maggioranza
al Senato così da avere i numeri per portare a casa le riforme istituzionali, porti a arruolare «Scilipoti,
trasformisti, opportunisti», un danno per il Pd, un "do ut des" dai confini opachi. Massimo D'Alema in
un'intervista al Messaggero mette in guardia dagli eventuali smottamenti del centrodestra, dalla transumanza
di forzisti inquieti della corte di Verdini. Mentre l'ex segretario Pier Luigi Bersani avverte: «Non che io voglia
un Pd stretto, ma non deve trattarsi di spostamenti opportunistici piuttosto si spieghi il passaggio politico, non
si allarga solo spostando persone». Stesso concetto rilanciato da Davide Zoggia e twittato all'indirizzo del
capogruppo a Montecitorio Roberto Speranza: «Non mi convince questa migrazione in massa di Scelta
civica, ci sono troppe differenze di linea politica».
«Macché, è un ritorno a casa per molti di loro», reagisce il vice segretario Guerini elencando Pietro Ichino,
Linda Lanzillotta, Alessandro Maran, Gianluca Susta, Irene Tinagli, ex dem. «Il Pd è un campo democratico
ampio - continua - in linea con la vocazione maggioritaria che impresse Veltroni. Gli arrivi rafforzano la sua
capacità di attrazione». Nell'ala sinistra del campo malumori e perplessità. I bersaniani sono irritati, una
pattuglia di montiani erano andati via proprio dal Pd dell'ex segretario. «Un partito non è una porta girevole da
cui si entra e si esce a seconda di chi vince il congresso», è stato lo sfogo di Bersani con i suoi collaboratori.
«Overbooking, posti solo in piccionaia», aveva ironizzato Vendola dopo la scissione di Sel.
Ma loro, i migranti, dall'ex vendoliano Gennaro Migliore all'ex montiana Ilaria Borletti Buitoni come si
accingono ad affrontare la traversata a bordo del Pd? Imbarazzati? A disagio per l'eterogenea compagnia?
Per Borletti Buitoni - sottosegretaria al Beni culturali, famiglia dell'imprenditoria lombarda che creò la
Rinascente raccontata nel libro "Cammino controcorrente" - «le scissioni di Scelta civica, quelle sì sono
imbarazzanti. Per il resto l'Agenda Monti ha un'impronta riformista e le politiche di Renzi sono di un Pd che
non è quello che era due anni fa. La rivoluzione politica impressa da Franceschini al ministero mi vede in
assoluta sintonia». All'altro opposto, Migliore ricorda che già Renzi vantò «il Pd che va da Migliore a
Romano». Ovvero da lui fino all'ex capogruppo montiano a Montecitorio. «Un Pd soggetto di governo e nel
Pse. Non faccio mai scelte per le quali sentirmi in imbarazzo - precisa Certo spero che la cultura della sinistra
conti di più dentro il partito». Ma molti timori bollono in pentola. Fassina, che coniò lo slogan "Rottamiamo
l'Agenda Monti", ragiona: «I naufraghi cercano approdo,e questoè normale. Salgono sul Transatlantico che è
il Pd. Ma questo dove va? Qual è la sua direzione?». Ricorda quando Monti faceva pressione su Bersani
perché gli mettesse il silenziatore. «L'arrivo dei montiani non è la causa ma la conseguenza di uno
spostamento dell'asse dem verso politiche liberiste». Sul Jobs Act ad esempio, Ichino insegna.
«Siamo in un partito ormai centrista e all'orizzonte c'è il Partito della nazione», s'inalbera Pippo Civati,
dissidente democratico, alla ricerca di una cosa di sinistra.
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IL RETROSCENA
07/02/2015
La Repubblica
Pag. 6
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Da 293 a 309 I DEPUTATI All'inizio della legislatura i deputati del Pd erano 293. Ora con ex Sel e ex Sc sono
309 I NUMERI
da 108 a 113 I SENATORI Anche i senatori sono aumentati, passando da 108 a 113 dall'inizio della
legislatura
Foto: Pierluigi Bersani, ex leader del Pd
07/02/2015
La Repubblica
Pag. 7
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"Il Pd ha cambiato verso più vicina la casa riformista e io perdo una
poltrona"
SILVIO BUZZANCA
ROMA. Onorevole Susta, lei adesso rientra nel Pd... «Sì, perché oggi ci sono condizioni diverse. Quattro o
cinque anni fa il Pd aveva assunto una fisionomia di sinistra, socialista, mentre io e altri vagheggiavamo il
partito riformista del Lingotto. Adesso il ciclone Renzi ha cambiato tuttoe noi ritroviamo nella politica del
premier l'incrocio con l'agenda Monti. E dunque ci convince l'appello di Renzi a ricostruire una casa
riformista».
Questo movimento porta verso il Partito della Nazione? «Al momento non entriamo nel Pd, ma nel gruppo
del Senato perché ci sono ancora molti aspetti da chiarire. Io, per esempio, sono vicepresidente del Partito
democratico europeo e non aderirei mai al Partito socialista europeo. Ma in effetti il nostro percorso prefigura
il Partito della Nazione, rafforza politicamente questa prospettiva.
È un work in progress che interesserà anche altri soggetti dell'area riformista».
Allora voi domenica non andate al congresso...
«No, non ci saremo, e auspichiamo che altri arrivino sulle nostre posizioni».
Ma non vi lasciate molto bene con gli amici di Scelta civica. Aleggia lo spettro di Scilipoti... «Io sono stato
presidente del gruppo per un anno e mezzo e quindi, caso mai, la poltrona la perdo. Sul piano personale è
"una critica che non mi tocca perché vado a fare il senatore semplice. E non entro nel Pd, e, dunque se ci
fossero le elezioni domani mattina...».
Si parla di rimpasto.
«Alcuni la poltrona dentro al governo ce l'avevano prima e continuano ad averla. Altri come Enrico Zanetti
stanno al governo da due anni: speriamo che continui con Scelta civica e che ce la faccia. Avremmo
sbagliato noi. Ma siamo sicuri di no». La minoranza del Pd non gradisce molto il vostro arrivo.
«Ricordo che quando è nato il Pd io ero segretario regionale della Margherita del Piemonte.
Il nostro arrivo serve a rafforzare la componente liberaldemocratica e sappiamo che questo crea qualche
problema nel Pd».
Monti è rimasto solo...
«L'Italia dovrà rendere merito a Monti di avere salvato l'Italia dal baratro. E senza il 10 per cento di Scelta
civica del 2013 il rinnovamento del Pd non sarebbe avvenuto come è avvenuto». PER SAPERNE DI PIÙ
www.governo.it www.partitodemocratico.it
Foto: "'Italia dovrà rendere merito a Monti di avere salvato il Paese dal baratro
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'INTERVISTA/ GIANLUCA SUSTA
07/02/2015
La Repubblica
Pag. 9
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"Non era razzismo anche Sgarbi dava dell'asino ai suoi avversari"
SOTTOTIRO Giuseppe Cucca, capogruppo Pd nella Giunta Immunità "Condanno la frase di Calderoli, ma la
valutazione è stata fatta da un punto di vista del diritto non da quello politico"
CONCETTO VECCHIO
SENATORE Giuseppe Cucca, avvocato di Nuoro. Calderoli aveva detto: "La Kyenge sembra un orango", e
voi del Pd l'avete assolto. Come lo spiega ai suoi elettori? «Ma non l'abbiamo assolto. Abbiamo solo respinto
la richiesta del senatore Crimi che sosteneva che la frase non rientrasse nelle prerogative dell'articolo 68,
sulla libertà d'espressione del parlamentare».
Lei invece l'ha definita una "critica politica".
«Non mi ci riconosco».
Dal verbale: "La frase va valutata nell'ambito di un particolare contesto di critica politica".
«Questi verbali sono sintetizzati in una forma troppo sincopata. Concordo con il collega Moscardelli: la frase
è stata estrapolata da un contesto politico, ovvero un comizio».
"Spesso nella satira si paragonano persone ad animali, senza che tali circostanze diano luogo a fattispecie
criminose". Nemmeno in questa frase si riconosce? «Mi riferivo a un famoso esempio nel quale Sgarbi aveva
dato dell'asino a non so chi...».
Ma per lei dare dell'orango è come dare del somaro? «No, non è la stessa cosa. Infatti la frase di Calderoli è
gravissima. Tutti noi l'abbiamo sottolineato, senza esitazioni, pubblicamente. Perfino lui in audizione ha
ammesso di avere detto una porcheria».
E allora perché l'avete ritenuta insindacabile? «Per me integra il reato di diffamazione.
Solo che manca la querela di Cécile Kyenge, e quindi noi eravamo chiamati a valutare la richiesta del
tribunale di procedere nei confronti di Calderoli per istigazione all'odio razziale, un reato d'ufficio».
Insisto: perché quella frase non è razzismo? «In questo caso abbiamo ritenuto che non fosse ravvisabile
l'elemento del dolo».
Resta il fatto che avete negato l'autorizzazione. Non prova imbarazzo? «Guardi, tutta la mia storia è quella di
un democratico sincero, di anti-razzista, e ora questa polemica mi amareggia moltissimo.
Ma noi dovevamo solo valutare la richiesta da un punto di vista del diritto».
Quindi non lo reputa un errore politico? «Ma lei continua a confondere il piano politico con quello giuridico.
La Giunta è un organo giurisdizionale».
Ma lei è un senatore del Pd! «Ho sempre agito secondo coscienza, se ci fosse stata la querela avremmo
accolto la richiesta dei giudici».
L'onorevole Kyenge si sente abbandonata dal suo stesso partito. Non ha ragione? «A Cécile vorrei dire:
nessuno di noi ha mai pensato di sminuire la portata dell'offesa».
Il Pd annuncia che in aula rovescerà il verdetto. Rifarebbe tutto? «Mi sono attenuto al rispetto del principio di
legalità. Non spetta a me decidere sull'aula, prendo atto che il partito cambia giudizio».
Foto: Giuseppe Cucca senatore Pd
Foto: Per me quella frase è reato di diffamazione.
Se Cécile avesse querelato sarebbe stato diverso
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intervista
07/02/2015
La Repubblica
Pag. 15
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"Eurolandia e Draghi imparino dagli Usa serve la solidarietà per avviare la
ripresa"
Fitoussi: i dati americani dimostrano che il rigore non paga e la Bce poteva rinviare la decisione sui titoli della
Grecia Italia e Francia non sostengono Tsipras per colpa del regime del terrore della Merkel
EUGENIO OCCORSIO
ROMA. «Che amarezza questa differenza fra Europa e America. Tsipras e Varoufakis sono tornati a casa a
mani vuote, e non è un gran momento per chi sperava che almeno riuscissero a far cominciare il dibattito in
Europa sulla rigidità dell'austerity imposta dalla Germania, e sulle sue conseguenze drammatiche per le
economie più deboli. Intanto assistiamo ai dati sulla crescita straordinaria dell'occupazione negli Usa». JeanPaul Fitoussi aveva salutato con grandi speranze la vittoria di Syriza firmando con altri economisti liberal un
manifesto di sostegno. Ora è frastornato per il fallimento della missione europea dei due leader. «I dati Usa
sono la miglior prova, quasi inoppugnabile, che una politica di espansione iniziale porta sul medio termine
frutti certi. Esattamente l'opposto di quanto si sta facendo in Europa».
Però i patti sono stati sottoscritti da tutti i governi. Non crede che quello che spaventi è che uno di questi
affermi di non volerli rispettare senza presentare piani alternativi? «E' una questione di realismo, di verificare
come la terapia adottata non abbia avuto altro effetto che quello di aggravare il male. Cos'altro deve
accadere perché ci si renda conto dell'eccezionale sforzo di solidarietà che è richiesto dai fatti? Mi stupisco
soprattutto per il comportamento di Draghi». Draghi? Non le risulta che il capo della Bce non potesse fare
diversamente, e che una volta verificata dalla viva voce di Varoufakis la decisione greca di non stare ai patti
non potesse fare altro che chiudere il rubinetto del credito? «E perché? Aveva una serie di opzioni,a partire
dal rinvio di una mossa così drastica. Prima che i fondi alla Grecia potessero essere considerati aiuti agli Stati
contro i trattati, c'era una serie di altri passaggi. Poteva aspettare e non fare nulla».
Perché Tsipras non ha ottenuto nulla neanche dai potenziali alleati Francia e Italia? «Per l'equilibrio del
terrore instaurato dalla Merkel. La paura che qualsiasi apertura esplicita ad Atene possa ritorcersi contro di
loro e far schizzare lo spread. Spero che almeno in privato questo sostegno ci sia». Ma Tsipras e Varoufakis
non hanno fatto nessun errore? «Beh, un po' di intemperanze verbali, come il riferimento al nazismo in
Germania. Il guaioè cheè un problema vero, ce l'hanno in casa con Alba Dorata». Come giudica l'apertura di
Obama alla Grecia? L'America teme che nasca l'unione economica ortodossa con Mosca e Belgrado?
«Guardi che la Russia non ha i soldi neanche per aiutare se stessa, figurarsi la Grecia. No,è che lì la scuola
economica razionale, non dico neanche keynesiana ma ragionante, ha più seguito che in Europa».
Foto: Jean-Paul Fitoussi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA
07/02/2015
La Repubblica
Pag. 24
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Fondazione Carige mette in vendita tutto il suo 19% ma il partner ancora
non si trova
La mossa di Momigliano per evitare un possibile tracollo in vista del nuovo aumento di capitale da 700 milioni
GIOVANNI PONS
MILANO. La Fondazione Carige in difficoltà si gioca l'ultima carta per non scomparire.
Chiedendo al Tesoro l'autorizzazione a poter vendere per intero la quota del 19% che ancora possiede della
banca genovese, cerca di mettere alle strette i potenziali compratori e chiudere l'operazione prima che si
avvicini troppo l'aumento di capitale. Entro fine febbraio dovrebbe essere approvato dalla Bce il piano messo
a punto dalla banca per colmare la carenza di capitale emersa nell'ottobre scorso a seguito di stress test e
asset quality review. All'appello mancano circa 700 milioni e l'unica strada è ormai l'aumento di capitale,
considerando anche la vendita delle assicurazioni peraltro non ancora completata. E si sa che, con un
aumento annunciato nella sua dimensione, il mercato fa presto a fare i conti e ad adeguare il prezzo di Borsa
al futuro livello della sottoscrizione. Per fortuna della Fondazione, la quotazione di Carige è salita non poco
dopo Natale, complici le indiscrezioni su gruppi interessati a quel 19% che però ancora non sono venuti allo
scoperto. Dunque o il presidente Paolo Momigliano riesce a trovare un accordo con un compratore nei
prossimi giorni, oppure la situazione si fa molto difficile e vi è anche la possibilità di un collocamento integrale
del 19% sul mercato.
Nell'uno o nell'altro caso sarà comunque difficile per l'Ente portare a casa più di quei 120 milioni che servono
a coprire l'indebitamento. Tra i pretendenti ci sono il fondo di Andrea Bonomi e la famiglia Malacalza,
entrambi con offerte a prezzi ben inferiori a quelli di Borsa. In teoria, il tempo gioca a favore dei potenziali
compratori, visto che il prezzo andrà adeguandosi all'aumento. Ma nello stesso tempo a nessuno conviene
far fallire la Fondazione ed entrare a Genova facendo la figura dello sciacallo. Quindi è possibile che nei
prossimi giorni le trattative con Bonomi o con Malacalza entrino nel vivo in modo da poter dare a Carige un
nuovo azionista forte in grado di giocare la partita delle aggregazioni con le Popolari.
Foto: AL TIMONE Il presidente della Fondazione Carige, Paolo Momigliano
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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IL PUNTO
07/02/2015
La Repubblica
Pag. 24
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Le stime del ministero dello Sviluppo. I fondi vengono in gran parte dal taglio agli incentivi del fotovoltaico e
dalla risoluzione anticipate del Cip6 Il fronte dell'eolico polemizza con il governo: "Il settore vola ma non in
Italia" L'incognita dei ricorsi presentati dalle associazioni del solare e dai fondi internazionali
LUCA PAGNI
ROMA. I primi sconti sono arrivati con l'aggiornamento trimestrale delle bollette, in vigore dal primo gennaio
scorso. Un meno 3 per cento medio complessivo per le famiglie e le Pmi frutto del calo dei prezzi della
materia prima, connessi al crollo del greggio. Ma nel corso dell'anno, il costo dell'energia elettrica dovrebbe
scendere ancora, mano a mano che avranno applicazione pratica le disposizioni contenute nel decreto
Competitività.. Quando tutti i provvedimenti saranno in vigore, i risparmi dovrebbe arrivare a quota 2,7
miliardi, di cui 1,7 miliardi per le piccolee medie imprese e il rimanente per le famiglie. A prendersi la
responsabilità dei numeri è il ministero per lo Sviluppo economico retto da Federica Guidi. Sotto certi aspetti
si tratta di una stima di massima, visto che per raggiungere questa cifra in parte ci sono stati tagli che si
possono già quantificare, in parte dipendono da quanti operatori del fotovoltaico aderiranno a un meccanismo
volontario che allunga i tempi degli incassi per l'energia prodotta. Sullo sfondo rimane poi l'incognita dei
ricorsi presentati dalle associazioni industriali del solare e dai fondi internazionali contro lo Sblocca-Italia per i
tagli retroattivi contro gli incentivi.
Al netto di queste possibile incognite, il ministero dello Sviluppo economico ha reso note le cifre delle
manovre approvate dal governo anche per ricordare che il taglio delle bollette per le Pmi era stata una delle
prime promesse del governo Renzi, addirittura citata dal presidente del Consiglio nel suo discorso di
insediamento. Ma da dove sono stati presi i fondi per i risparmi ai consumatori? Come si legge in un
documento del ministero, la voce principale arriva proprio dal fotovoltaico: 420 milioni di incentivi tagliati agli
impianti più grandi (oltre i 200kilowatt) con un sistema di rimodulazione su più anni, cui si aggiungono altri
600 milioni grazie a un meccanismo per cui si paga solo il 90 per cento degli incentivi durante l'anno e il
rimanente 10 per cento l'anno successivo «dopo la misura reale delle produzione».
Un'altra cifra consistente (600 milioni) arriva dalla risoluzione anticipata dalle convenzioni Cip6, la tariffa di
"favore" concessa agli operatori che nel corso dell'ultimo decennio hanno riconvertito - rendendoli più
efficienti - impianti per la produzione di energia. Altri 150 milioni arrivano dalla riduzione dei benefici alle
grandi industrie "energivore". Tra le altre voci significative, la riduzione di 23 milioni dagli sconti sul prezzo
dell'energia riconosciuti ai dipendenti delle imprese di distribuzione per arrivare a un milione e mezzo che il
Vaticano dovrà pagare in più per la fornitura di energia, visto che è stata cancellata parte del beneficio di cui
godeva per elettricità a prezzi ridotti.
La linea del governo sul bollette soddisfa Pmi e consumatori, ma quella sulle energie rinnovabili non trova
l'apprezzamento degli operatori. Oltre al fotovoltaico, anche il fronte dell'eolico polemizza con il ministero. Lo
ha fatto ieri il presidente di Anev, l'associazione nazionale energia del vento Simone Togni. «L'eolico vola - si
legge in una nota - ma non in Italia. Un'analisi di Bloomberg dice infatti che negli Usa il mercato è cresciuto di
sei volte nel 2014. E in Cina le installazioni sono aumentate del 38% rispetto al 2013. Un trend significativo
che rappresenta un punto di svolta per l'attenzione mondiale alle energie rinnovabili».
Ma non è così nel nostro paese: «In Italia siamo al palo, con una logica perversa e autolesionista nel giro di
due anni si è consumato il delitto perfetto da paese pioniere della tecnologia e leader nel settore della
componentistica elettrica e meccanica, siamo diventati fanalino di coda in Europa con soli 107 megawatt
installati nel 2014». I motivi? Un sistema delle aste che non ha funzionato e un sistema di incentivi ridotti.
dati in milioni di euro Risparmio annuo atteso
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Risparmi elettrici in bolletta per famiglie e piccole imprese 2,7 miliardi di
costi in meno
07/02/2015
La Repubblica
Pag. 24
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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a favore Pmi
di cui di cui
70
70
313
0X
694
1.008
30 30 0 X
420 420 0 X
23 23 0 X
80 80 0 X
600 287 313 X 1.223 910
150 150
104 50 54 X
140 60 80 X
614 293 321 X
1,5 0,6 0,9 X
456 218 238 X 1.466 271
2.689 1.681 I risparmi nella bolletta elettrica Pacchetto taglia bollette Le altre misure FONTE: ministero
sviluppo economico Estensione della platea dei soggetti al pagamento degli oneri di sistema Totale A favore
di tutti gli altri consumatori già in bolletta da gen 2015 Oneri di funzionamento del Gse Spa Rimodulazione
incentivi al fotovoltaico Cancellazione sconto per i dipendenti del settore elettrico Rimodulazione del sistema
tari!ario elettrico delle Ferrovie dello Stato Rimodulazione meccanismo di pagamento al fotovoltaico di cui di
cui Rimodulazione incentivi alle fonti rinnovabili non fotovoltaiche di cui Recupero prelievo componente A2
Riduzione beneÞci del sistema di interrompibilità Risoluzioni anticipate convenzioni Cip6 Riduzione beneÞci
Vaticano Riduzione spesa per i certiÞcati verdi di cui TOTALE RISPARMI di cui di cui di cui di cui in bolletta
nel corso del 2015
Foto: AL TIMONE Il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi
08/02/2015
La Repubblica
Pag. 1.32.33
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David Remnick: vi racconto novant'anni di New Yorker
ANTONIO MONDA
David Remnick: vi racconto novant'anni di New Yorker NEW YORK N NOVANT' ANNI DI STORIA, il New
Yorker ha avuto soltanto cinque direttori. David Remnick, ultimo in ordine di tempo, tiene le redini della rivista
dal 1998. Corrispondente in Urss per il Washington Post , ha vinto un premio Pulitzer nel 1993 per La tomba
di Lenin: gli ultimi giorni dell'impero sovietico , a cui hanno fatto seguito altri cinque libri coronati da grande
successo, tra i quali King of the World , dedicato a Muhammad Ali, e The Bridge, sul presidente Obama. Nato
a Hillsdale, New Jersey, cinquantasette anni, padre dentistae madre insegnante d'arte, Remnickè sposato
con Esther Fein dalla quale ha avuto tre figli. Colto, brillante e dalla battuta pronta, interpreta alla perfezione il
ruolo del direttore moderno, con un occhio alle innovazioni tecnologiche e un altro alla tradizione. Del resto, a
cominciare dal dandy Eustace Tilley, icona del New Yorker , la forza della rivista è stata proprio nella
combinazione tra la celebrazione del rito e una costante attenzione alle novità culturali e sociali. Questa
duplicità si rispecchia in un altro elemento con cui Remnick interpreta la propria direzione: riesce a essere
estremamente autorevole e nello stesso tempo cordiale e ironico. Lo incontro a pochi giorni dallo storico
trasloco della rivista, immortalato sulla copertina dell'ultimo numero disegnata da Bruce McCall: da Times
Square alla Freedom Tower, il grattacielo sorto sulle ceneri delle Torri gemelle, nel quale Si Newhouse ha
acquistato ventiquattro piani per le riviste della sua Conde Nast. «Sto vedendo la città dalla stessa
prospettiva che ebbero le vittime dell'attacco al World Trade Center», osserva Remnick con una punta di
inquietudine, «ma ho sempre creduto nella forza positiva dei cambiamenti».
Il New Yorker nasceva il 21 febbraio 1925 intorno all'"Algonquin Round Table", il celebre circolo di scrittori
della New York anni Venti, a pochi passi da Times Square: il cuore della città... «Sì, effettivamente la storia
della rivista si è sviluppata nello spazio di pochi isolati, ma devo dire che questo cambiamento geografico
offre un rapporto più organico con una zona determinante per la storia della città: il porto. Non credo tuttavia
che tutto ciò possa avere un impatto significativo sulla nostra proposta culturale».
Quanto vende oggi il New Yorker ? «Gli ultimi dati si attestano sul milione e cinquantamila copie. E si calcola
che ogni numero sia letto mediamente da tre persone. Più della metà della tiratura viene effettuata fuori da
New York, e potrà sorprenderla scoprire che in California vendiamo più che nello stato di New York. Il motivo
è che lì ci sono due grandi città, Los Angeles e San Francisco».
Quali sono state le svolte principali in questi novant'anni? «La rivista nasce in un'America precedente la
Grande depressione, immersa nell'Età del jazz, e dunque caratterizzata da raffinatezza e leggerezza. La
prima grande svolta avviene in coincidenza con la Seconda guerra mondiale: è il momento in cui i reportage
e i saggi diventano più lunghi, più profondi. La seconda grande svolta è quella dell'11 settembre. È evidente:
la maturazione è avvenuta sempre grazie a momenti dolorosi».
Lei è stato il primo direttore a fare un endorsement presidenziale: John Kerry contro George W. Bush.
«Mi sarebbe sembrato ridicolo non farlo: leggendo i nostri articoli era assolutamente chiara la nostra
posizione. Si è trattato quindi di un endorsement assolutamente prevedibile, che tuttavia non ebbe alcuna
fortuna: Kerry perse».
Poi ci fu un secondo endorsement , stavolta coronato dal successo: in una famosa copertina del 2008
raffigurò il presidente Obama e la moglie Michelle in posa da terroristi, sotto un quadro di Bin Laden.
«A me quella copertina parve una parodia degli stereotipi di certa destra».
Tuttavia il presidente Obama la definì "un tentativo non molto riuscito di fare satira".
«Questo dimostra che la nostra satira, riuscita o meno che sia, è libera da condizionamenti,e che può
divertireo offendere chiunque».
La tragedia di Charlie Hebdo invita a riflettere sul fatto che possano esistere limiti alla satira, o no? «Io non
credo,e in questo sono assolutamente con Voltaire. Voglio dire che lo sono anche nel momento in cui lotto in
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA LA DOMENICA / IL PERSONAGGIO
08/02/2015
La Repubblica
Pag. 1.32.33
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prima linea per attaccare l'antisemitismo dello stesso Voltaire».
Davvero non pensa che la satira possa diventare una copertura per veicolare messaggi di odio o disprezzo?
«Il rischio ovviamente c'è, ma eviterei di aprire la porta alla censura.
Credo che quei casi siano facilmente identificabili dai lettori: e sarebbe sbagliato sottovalutarli».
Sinceramente: le piacciono le vignette di Charlie Hebdo ? «No e non le avrei mai pubblicate, ma rivendico la
possibilità, per chiunque, di farlo».
La carta stampata è in crisi: il futuro è digitale? «Devo correggerla, è il presente a essere digitale. Per quanto
ci riguarda non possiamo che adeguarci al meglio. I nostri siti hanno circa dodici milioni di visitatori al mese.
Affrontiamo il problema delle inserzioni pubblicitarie, tutte concentrate su compagnie come Google o Yahoo,
nella consapevolezza che l'unico modo per sopravvivereè essere unici. Noi proponiamo testi che cercano di
risultare sempre profondi e che si rifiutano di risolvere in venti secondi qualcosa avvenuto venti secondi
prima».
Il New Yorker è celebre anche per i "fact checkers": lei ne ha ben sedici sotto contratto.
«Proporre la massima accuratezza dei testi, controllandone ogni aspetto, è un altro modo attraverso cui
cerchiamo di distinguerci. Ovvio che questo aumenti il lavoro, i tempi e i costi».
Come mai non esistono testate come il New Yorkera Londra o a Parigi? «Sono splendide città e grandi
capitali, ma oggi non hanno la stessa centralità. Tuttavia negli ultimi anni ho assistito a vari tentativi di
imitazioni, falliti uno dopo l'altro: sono rimasto in particolare colpito da una testata russa, arrivata a una
cinquantina di numeri, e da un'altra di Hong Kong. Copie spudorate, con le vignette, con i testi lunghi,
insomma con tutto ciò che caratterizza la nostra rivista».
Ma New York è ancora la capitale del mondo? «Oggi il mondo ha numerose capitali, ma non credo si possa
seriamente pensare che Pechino o Shanghai abbiano la stessa forza di attrazione di New York, non in termini
culturali».
Cosa ha imparato dalla sua esperienza russa che leè poi servita per dirigere un giornale prettamente
newyorchese? «Facevo il cronista sportivo quando a ventinove anni sono stato improvvisamente catapultato
al centro di un impero che stava crollando. Quello che ho riportato a casa è stata la conoscenza di una realtà
diversa e lontana, con la quale non bisogna mai dimenticare di confrontarsi».
C'è qualcosa che invidia in un'altra rivista? «Certamente alcuni scrittori, ma anche scelte editoriali di testate
come l' Atlantic : si tratta tuttavia di una gelosia positiva, che cresce su un terreno sano. Intendo dire un
terreno in cui non esista solo l'approccio twitter».
2 FEBBRAIO 2015 "ADIEU", LA REDAZIONE TRASLOCA DA TIMES SQUARE A GROUND ZERO:
DISEGNO DI BRUCE MCCALL 21 FEBBRAIO 1925 SULLA PRIMA COPERTINA IL DANDY EUSTACE
TILLEY DISEGNATO DA REA IRVIN 23 LUGLIO 1927 NEL DISEGNO DI STANLEY W. REYNOLDS
L'AMERICA PRIMA DELLA GRANDE DEPRESSIONE 31 AGOSTO 1929 NON È ANCORA IL "MARTEDÌ
NERO" MA È GIÀ PANICO A WALL STREET: DISEGNO DI THEODORE G. HAUPT 27 LUGLIO 1940 IL
NAZISMO E LA DEPORTAZIONE DEGLI EBREI. L'ILLUSTRAZIONE È DI CHRISTINA MALMAN 15
LUGLIO 1944 ANCORA REA IRVIN, PRIMO ART DIRECTOR DEL "NEW YORKER", PER LA COPERTINA
DEL D-DAY 26 GENNAIO 2015 A CINQUANT'ANNI DALLA STORICA MARCIA DI MARTIN LUTHER KING,
LA COPERTINA DI BARRY BLITT 23 DICEMBRE 2013 PAPA FRANCESCO È UN "ANGELO DELLA
NEVE" SULLA COPERTINA DISEGNATA DA BARRY BLITT 16 DICEMBRE 2013 PER LA MORTE DI
MANDELA IL TESTO DI NADINE GORDIMER E IL DISEGNO DI KADIR NELSON 19 GENNAIO 2015 UNA
TOUR EIFFEL A FORMA DI MATITA PER "CHARLIE HEBDO", A DISEGNARLA È ANA JUAN 21 LUGLIO
2014 I NEW YORKERS ADORANO LA SPIAGGIA DELLA LORO CITTÀ: CONEY ISLAND DI MARK
ULRIKSEN 1 SETTEMBRE 2014 "LA RIVOLTA DI FERGUSON" ILLUSTRATA DA ERIC DROOKER E
RACCONTATA DA JELANI COBB
28 AGOSTO 1995 "DIVING IN", UNA DELLE TANTE COPERTINE DEL MAGAZINE FIRMATE DA
LORENZO MATTOTTI 11 FEBBRAIO 1961 CHARLES ADDAMS, CREATORE DELLA "FAMIGLIA
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ADDAMS", PER IL GIORNO DI SAN VALENTINO 15 AGOSTO 1970 LA GUERRA IN VIETNAM SULLA
COPERTINA DEL MAGAZINE: LA DIPINGE COSÌ ILONA KARASZ 29 MARZO 1976 IL MONDO VISTO
DALLA NONA AV., LA FIRMA DELLA COVER È QUELLA DI SAUL STEINBERG 23 APRILE 1990 IL
PIANETA È INQUINATO: ROBERT MANKOFF, CARTOON EDITOR, FIRMA LA COPERTINA 13
SETTEMBRE 1993 ART SPIEGELMAN RACCONTA IL FENOMENO DEI RAGAZZINI ARMATI NELLE
SCUOLE USA 8 NOVEMBRE 2004 TRA UN UOMO E UNA DONNA GIOCO DI SGUARDI SUL METRÒ: LA
COVER È DI ADRIAN TOMINE 24 SETTEMBRE 2001 ART SPIEGELMAN E FRANÇOISE MOULY: NERO
SU NERO, ATTACCO ALLE TWIN TOWERS 17 DICEMBRE 2007 UNO DEI NOVANTA NATALI DEL "NEW
YORKER": QUESTO LO FIRMA BOB STAAKE 8 APRILE 1950 CONSTANTIN ALAJALOV ILLUSTRA "FOR
ESMÉ-WITH LOVE AND SQUALOR" DI SALINGER 24 GIUGNO 2013 "ZIO SAM TI ASCOLTA", IL CASO
NSA VISTO DA RICHARD MCGUIRE 21 LUGLIO 2008 BARACK E MICHELLE OBAMA IN VERSIONE
TERRORISTI: COVER SCANDALO DI BARRY BLITT
Foto: NON PUBBLICO ARTICOLI CHE IN VENTI SECONDI CERCHINO DI SPIEGARE UN FATTO
ACCADUTO NEI VENTI SECONDI PRECEDENTI DAVID REMNICK, 57 ANNI
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"Silvio è impazzito non sa più dove andare"
GOFFREDO DE MARCHIS
SE BERLUSCONI parla di deriva autoritaria «dev'essere impazzito».
Matteo Renzi è irritato per le accuse dell'ex premier. Un conto sono le minacce al patto del Nazareno per
tenere unito un «partito spaccato in quattro pezzi». Un altro sono le insinuazioni sulla natura democratica
delle riforme e del governo. «Non saprei dire se certi riferimenti sono più ridicoli o più gravi», dice Renzi ai
suoi interlocutori. A PAGINA 4 GOFFREDO DE MARCHIS ROMA. Se Berlusconi parla di deriva autoritaria
«dev'essere impazzito». Matteo Renzi è irritato per le accuse dell'ex premier.
Un conto sono le minacce al patto del Nazareno per tenere unito un «partito spaccato in quattro pezzi». Un
altro sono le insinuazioni sulla natura democratica delle riforme e del governo.
«Non saprei dire se certi riferimenti sono più ridicoli o più gravi», dice Renzi ai suoi interlocutori. «È una vera
follia, anche perché quei provvedimenti Forza Italia li ha difesie votati più di una volta». Si verificherà nei
prossimi giorni fino a che punto il leader di Fi vuole tirare la corda. Palazzo Chigi non ha intenzione di
strappare la tela costruita nell'ultimo anno. «Lo conosciamo bene. Cambierà di nuovo idea. Aspettiamo di
vedere come va a finire la loro faida interna».
Renzi continua a non capire quale alternativa abbiano i forzisti. «Forse pensano di ricucire i rapporti con
Salvini - dice il premier -. Ma così ci regalano definitivamente Alfano». Da Arcore la squadra renziana ha altri
segnali: è un momento difficile per la destra ma passerà e gli impegni verranno rispettati.
Sono questi i messaggi dei fedelissimi dell'ex Cavaliere. Però l'uscita sull'autoritarismo è un salto di qualità
nella lunga serie di effetti collaterali all'elezione di Sergio Mattarella al Colle.
«L'unica preoccupazione di Berlusconi sono i capolista bloccati e nell'Italicum ci sono - ragiona Renzi -. Mi
sembra impossibile che corra il rischio di veder rispuntare le preferenze. O peggio ancorai collegi che tra
l'altro restano la mia soluzione preferita». Ecco la minaccia rivolta ad Arcore. Su questo cambiamento alla
legge elettorale, il premier avrebbe dalla sua parte tutto il Pd e potrebbe modificare la norma alla Camera,
dove sarà esaminata tra un mese, e farla approvare in fotocopia al Senato, sebbene lì i numeri siano meno
certi. Ma senza il dissenso della minoranza del Pd i pericoli sono ridotti al minimo.
Certo, la rottura può invece fermare invece o rallentare l'abolizione del Senato. Una riforma che però già
domani torna in aula a Montecitorio e non ha problemi di voti anche in assenza di quelli di Forza Italia. Così
verrebbe approvata in seconda lettura. Può allora Berlusconi far saltare il tavolo con una strada in discesa
determinata proprio dal patto del Nazareno? Questa è la domanda che si fanno nel governo e la cui risposta
sembra scontata: no, non può, perderebbe la faccia. Gli ostacoli alla legge costituzionale però non sono
irrilevanti. Anche con l'Italicum approvato, l'esecutivo avrebbe il problema di un possibile voto con due sistemi
diversi: maggioritario alla Camera e proporzionale al Senato.
Un pasticcio. Per questo Renzi sta mettendo in campo tutta la forza dei diktat, degli ultimatum e delle notizie
sui nuovi arrivi in casa Pd, ossia della campagna acquisti in Scelta civica come la chiamano i più diffidenti. Il
clima comunque è caldo. Il vicesegretario Debora Serracchiani usa il sarcasmo: «Deriva autoritaria?
Berlusconi è quasi commovente», scrive su Twitter. L'altro vice Lorenzo Guerini, l'uomo del patto sempre
presente agli incontri con Berlusconi, insiste sulle riformee non si fa spaventare dalle minacce azzurre.
«Berlusconi è incoerente tra ciò che dicee ciò che ha votato. Mi sembrano dichiarazioni un pò fuori controllo e
registro, fatte per tenere insieme il proprio partito piuttosto che espressione di valutazioni di merito reale»,
dice. E sia chiaro: «Noi andiamo avanti e siamo al miglio conclusivo delle riforme.
Quanto alla deriva autoritaria, Berlusconi a volte dichiara senza capire il senso delle cose che dice». Fare da
soli è uno slogan che risuona ormai da qualche giorno nelle stanze del Pd. È un po' tattica, un po' strumento
di pressione per gli alleati, un po' propaganda. Ma è vero che le conseguenze politiche del voto per il
Quirinale rafforzano Renzi e la transumanza dei parlamentari di Scelta civica lo dimostra. In un certo modo
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IL RETROSCENA
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annacqua anche la rivendicazione di una vittoria della minoranza nel metodo Mattarella. Il ministro Maria
Elena Boschi spiega che con l'ingresso degli ex Sc «l'assetto del governo non cambia. Scelta Civica è già
parte della maggioranza e molti suoi esponenti entreranno nel Pd già membri del Governo con ruoli
importanti». Come dire: non ci sono ribaltoni. E in fondo non cambiano nemmeno i numeri per la
maggioranza in Parlamento, sia per le riforme, sia per le leggi ordinarie.
La Boschi nobilita il passaggio dei parlamentari da una formazione all'altra: «È una scelta politica, è
sicuramente la volontà di alcuni senatori e deputati di partecipare ancora in modo più forte e più integrato a
questo processo di rinnovamento del Paese che il Pd sta portando avanti e che sta guidando». Ma se non
cambia l'assetto del governo e dei numeri, a Palazzo Chigi ragionano sulle conseguenze di una rottura vera e
non recitata del patto del Nazareno. Diventerebbe necessario per esempio ricucire in modo serio e strutturale
con il partito di Alfano, l'Ncd. Non ci sarebbe più una rete di protezione rispetto alle iniziative dei dissidenti
dem. Per le riforme, la soluzione è semplice: dare ai bersaniani quello che vogliono e che piace anche a
Renzi: un rapporto diretto tra gli elettori e gli eletti. Su altri provvedimenti, come stava per succedere con il
Jobs Act, il peso dei ribelli aumenterebbe. Quindi Renzi non molla l'osso, vuole sfruttare la scia del voto
presidenziale, i suoi inevitabili effetti sugli equilibri delle Camere e continuare ad attirare nell'orbita del Pd
altre forze, altri parlamentari. Il presidente del consiglio avverte che potrebbe ridurre i capilista bloccati Il
ministro Boschi: con l'ingresso di Scelta civica nei Dem non c'è un cambio di maggioranza
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.governo.it
Foto: ALLA PIRELLI Il premier Matteo Renzi ieri a Milano mentre incontra alcuni dipendenti del Centro di
ricerca e sviluppo della Pirelli.
Ad accoglierlo il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera VICESEGRETARIO Debora Serracchiani,
vicesegretario Pd, ironica su Twitter: "Quasi commovente"
Foto: Al Colle PANNELLA: CIAO SERGIO ll presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto ieri al
Quirinale Marco Pannella. Al centro del colloquio fra il capo dello Stato e l'anziano leader le campagne
radicali su carceri e giustizia. Pannella che ha anche girato un video, trasmesso da Radio radicale tv, ha
salutato il presidente con un "ciao Sergio". FOTO: ANSA
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Allarme "Grexit" per la Ue ecco cosa può succedere con Atene fuori
dall'euro
FEDERICO RAMPINI
A PAGINA 11 Allarme "Grexit" per la Ue ecco cosa può succedere con Atene fuori dall'euro NEW YORK. É
allarme Grexit. L'uscita della Grecia dall'euro torna ad essere possibile.
Tutte le capitali, da Berlino a Washington, da Bruxelles a Roma, devono misurarsi con questo scenario. E
quindi chiedersi cosa succederebbe: quali costi, quali benefici, chi ci guadagna, chi ci perde. Grexit è la crasi
di "Greece exit", indica appunto l'uscita dalla Grecia. Un evento senza precedenti: finora nell'unione
monetaria si entrava soltanto. Una via d'uscita non è prevista nei trattati, è un percorso extra-costituzionale.
Non basta chiedersi i pro e i contro per Atene. Quali gli effetti sugli altri Paesi? Si scontrano due dottrine. Una
è la teoria della zavorra diffusa in Germania: la Grecia è un peso morto, se ci lascia la nave dell'euro
procederà più leggera e veloce. La seconda è la dottrina del precedente: Grexit crea un precedente, dimostra
che l'unione monetaria si può disfare, è un club da cui si esce; questo genera un'incertezza sulle possibili
uscite di altri come Spagna o Italia; e di conseguenza i mercati esigono dai titoli del debito pubblico italiano o
spagnolo rendimenti più alti per proteggersi dal rischio.
Non a caso molti cercano di esorcizzare questa possibilità: il presidente dell'Eurogruppo, l'olandese Jeroen
Dijsselbloem, tuona che «non esiste una mappa, un manuale d'istruzioni per l'uscita della Grecia».
A questi esorcismi si contrappone una visione celestiale di Grexit: la panacea, il rimedio miracoloso per tutti i
mali di cui soffre il piccolo Paese mediterraneo dissanguato da sei anni di austerity. Finalmente libero di
tornare alla sua moneta nazionale, la dracma, quindi di svalutarla a gogò. E attraverso l'arma della
svalutazione competitiva: boom dell'export, boom del turismo straniero, fine dei tagli alla spesa, ripresa
dell'occupazione. Lieto fine hollywoodiano. Gli scenari che stiamo usando, possono spingere Angela Merkel,
Mario Draghi, o Alexis Tsipras, verso scelte irreversibili, magari fondate su calcoli sbagliati? Il settimanale
tedesco Der Spiegel sostiene che Berlino non ha più paura di Grexit. É la stessa sensazione che ha
l'Amministrazione Obama, preoccupata dai segnali che riceve. Citando le parole di un alto dirigente tedesco
in visitaa Washington: «Sarebbe una catastrofe solo peri greci. Per l'eurozona sarebbe uno shock minore, di
modesta entità.
In quanto all'economia globale: un nonevento». La Grecia, in fondo, è un nano economico: 2% del Pil
europeo, zero virgola qualcosa dell'economia mondiale. Le due narrazioni possono allearsi, convergere,
rafforzarsi. Da una parte i tedeschi che si convincono di poter affrontare Grexit. Dall'altra i greci attratti
dall'idea di una rinascita economica propiziata dal ritorno alla dracma. Due studi autorevoli invitano alla
prudenza. Un terzo, invece, tifa per l'uscita (o l'espulsione) della Grecia. L'istituto economico Ifo, importante
centro studi tedesco, sostiene che alla Germania conviene lasciare che Tspiras se ne vada dall'euro. Anche
calcolando le perdite per le banche tedesche creditrici, alla fine Berlino risparmierebbe. I tedeschi in caso di
Grexit ci rimetterebbero 75,8 miliardi, sì, ma salvare la Grecia in queste condizioni gliene costerebbe 77,1. La
Fondazione Bruegel di Bruxelles,e la Ieseg School of Management di Lilla, propendono per la tesi opposta:
Grexit sarebbe un disastro per tutti.
Vediamo la "sequenza Grexit". Primo, constatata l'impossibilità di trovare un nuovo accordo fra Tsipras e la
Troika europea, Atene annuncia la sua secessione. Secondo, tutti i contratti locali - stipendi e pensioni, debiti
e crediti, depositi bancari - vengono convertiti dallo Stato greco in dracma, d'autorità. Questo apre un enorme
contenzioso, nei casi in cui vi siano controparti estere che pretendono la restituzione in euro e fanno ricorsi in
tribunali stranieri: complicazione grave e potenzialmente costosa, ma soprattutto foriera d'incertezza; nella
transizione possono verificarsi fenomeni di panico, corsa agli sportelli, a cui il governo reagisce con blocco
dei conti correnti e divieto di esportare capitali (i ricchi e i politici li hanno già esportati...). La dracma viene poi
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LO SCENARIO
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svalutata in modo poderoso, per esempio del 50%. Fenomenale aiuto per l'industria greca che deve
esportare all'estero, e che ora offre uno sconto automatico, meno 50% sui prezzi.
Idem per il turismo, le coste greche diventano molto più a buon mercato di quelle italiane o spagnole. Ma altri
ci rimettono all'interno della Grecia: i risparmi sono svalutati, petrolio e materie prime costano molto di più, si
scatena una forte inflazione che diminuisce il potere d'acquisto delle famiglie. Infine la Grecia è tagliata fuori almeno per qualche anno - dai prestiti internazionali, come accadde all'Argentina dopo il default. Le banche
greche isolate dal mondo rischiano di fallire: un'opzione è nazionalizzarle a spese del contribuente. Il saldo
finaleè incerto. Nonè escluso che Atene governata dalla sinistra di Syriza debba nuovamente far ricorso a
tagli di spesa e nuove tasse, sia pure in una versione più equa rispetto all'euro-austerity.
De te fabula narratur: la sequenza illustrata qui sopra si applicherebbe a uno scenario di uscita dell'Italia o
della Spagna.
Con una variante in positivo, nel caso italiano. Gli studi Ifoe Bruegel concordano nell'avvertire i greci che per
loro i benefici dalla maxi-svalutazione rischiano di essere deludenti: la Grecia ha poca industria esportatrice,
non basta svalutare per avere prodotti appetibili sui mercati esteri. L'Italia, al contrario, è la seconda potenza
manifatturiera europea dietro la Germania. Sotto questo aspetto un'uscita dell'Italia e un ritorno alla lira ha più
senso di Grexit. Tutti gli altri costi - svalutazione dei risparmi, iperinflazione, rischi sistemici per le banche restano validi per l'Italia. Ma perché evocare l'uscita di Italia e Spagna? A parte il fatto che alcune forze
politiche auspicano proprio questo, la vera rispostaè che Grexit scatenerebbe questo gioco di aspettative.
Una volta dimostrato che si può, perché fermarsi a una sola uscita dall'euro? I mercati comincerebberoa
scommettere su chi sarà il prossimo. Gli investitori chiederebbero un risarcimento anticipato, per proteggersi,
prima di comprare Btp italiani: con enorme aggravio del debito pubblico. L'austerity, in quel caso, non farebbe
che cominciare. E la preoccupazione dell'America, che la Grecia finisca nell'orbita di Vladimir Putin, passa
quasi in secondo piano...
PER SAPERNE DI PIÙ www.ecb.europa.eu www.imf.org
L'ipotesi dracma.
Si ricomincia a parlare di un eventuale ritorno alla moneta nazionale greca
La Germania non ha più paura, convinta che per l'unione monetaria sarebbe solo uno shock di lieve entità Ma
per altri sarebbe la dimostrazione che il patto si può disfare e che Italia e Spagna potrebbero seguire
Quali conseguenze per l'Europa se la Grecia uscisse dall'euro TESI DELLA "ZAVORRA" Tanto meglio per
chi resta: L'eurozona andrà avanti con meno problemi e meno incognite.
Contagio meno probabile che nel 2012 Maggiore omogeneità tra i paesi membri (Portogallo e Irlanda sono
riabilitate) TESI DEL "PRECEDENTE" Grexit crea un precedente, e dimostra che l'unione monetaria si può
fare e disfare Aumento Incertezza e possibili attacchi speculativi sui paesi più indebitati, prossimi candidati a
uscire (Aumento spread tra Germania e paesi indebitati)
FONTE: Sole 24 Ore
Esposizione al debito greco. Dati in miliardi di euro I CREDITORI DELLA GRECIA
TOTALE PAESI
315,1 187,4
5,8 7,2 1,2 42,0 36,8 0,9 11,8 1,4 25,0 32,5 26,0 69,2 Fondo monetario internazionale Bce 10,3% 8,3%
59,4% 22,0% Altri TOTALE CREDITORI Esposizione dei Paesi: Efsf e prestiti bilaterali 187,4 Belgio Austria
Francia Germania Irlanda Italia Portogallo Spagna Olanda Finlandia 55,3
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Vallanzasca, l'ultima confessione "Dei soldi non mi fregava niente"
CARLO VERDELLI
MILANO DEI soldi non me ne è mai fregato niente». Vallanzasca sposta gli occhi azzurri opaco verso chissà
dove. «Una baita in montagna, una bella donna, champagne. Sembra poco?». Beh, pochissimo rispetto ai 41
anni di carcere che le sta costando il sogno. «Quarantacinque, prego». Una stanzetta per colloqui della casa
di reclusione di Opera, freddo polare. Vallanzasca ha un giubbotto blu abbottonato fino al collo. A PAGINA 21
Oggi ha 64 anni, di cui poco più di un terzo vissuti in libertà. Soltanto Raffaele Cutolo, il camorrista,
ha passato più tempo di lui in prigione. Eppure in questi giorni l'ex bandito della Comasina avrebbe
potuto es- sere lontano dalle sbarre, se lo scorso giugno un vigilante non lo avesse sorpreso all'uscita di un
supermercato (un Esselunga, la stessa catena del primo colpo importante, nel 1972), con un paio di mutande
e qualche attrezzo da giardinaggio che non aveva pagato. «Qualcuno mi ha incastrato, ma non ho capito
perché», dice, «mentre io in passato mi sono preso anche colpe non mie». A Opera occupa una cella singola.
I suoi compagni di prigione si chiamano Bernardo Provenzano, Mario Moretti e Fabrizio Corona. «Ho
un'agenda fittissima», scherza, «qui mi reclamano. Del denaro non me neè mai importato niente. Una baita in
montagna, champagne e bella compagnia, questo conta.
Sembra poco?». MILANO «DEI soldi non me ne è mai fregato niente». Vallanzasca sposta gli occhi azzurri
opaco verso chissà dove. «Un baita in montagna, una bella donna, champagne.
Sembra poco?». Beh, pochissimo rispetto ai 41 anni di carcere che le sta costando il sogno.
«Quarantacinque, prego. Io sono nato in matricola, come si dice tra gente di galera». Nella sua sterminata
fedina penale ne risultano 41.
«Ma va'. A parte il minorile, che comunque sempre gabbio è, magari si sono dimenticati i due anni per una
rapina a Lambrate nel 1969, o era il 1970, boh. Sì, sto un po' perdendo la memoria.
Lei dov'era l'11 settembre? O quando abbiamo vinto il Mondiale del 1982? Ogni persona sa perfettamente
cosa faceva in giorni così. Io no, forse ero in qualche braccetto speciale. I carceri non sono tutti uguali ma
rendono tutto uguale». Una stanzetta per colloqui della casa di reclusione di Opera, freddo polare nonostante
le finestre chiuse. Vallanzasca ha un giubbotto blu abbottonato fino al collo, mani lunghe e curate, capelli corti
e radi, e uno Swatch nero con lancette arancioni. «Me l'ha portato la mia donna. Qui non si può tenere il
Rolex, perchéè di metallo. Sempre indossato Rolex, anche se il mio ciulava un minuto al giorno. Questo
almeno non ruba». Lei invece pare non aver smesso: un furto in un supermercato, almeno così ha stabilito il
giudice, le ha cambiato il pezzo di vita che le restava davanti. «Qualcuno mi ha incastrato.
Sul processo, lasciamo perdere: tutto quello che ho chiesto, dalle impronte sulla merce al confronto con chi
mi accusava, mi è stato negato. Nei mille tribunali dove sono stato, mi sono preso anche responsabilità non
mie. Quali? Acqua passata. Ma stavolta, dai».
Stavolta è obiettivamente diversa da tutte le altre. Oggi, o domani, sarebbe potuto essere il primo giorno di
libertà di Vallanzasca Renato. La domanda di scarcerazione era pronta, il cancello della prigione semiaperto.
Magari, per festeggiare, andava alla cooperativa dove lavorava a offrire uno sciampagnino. Possibile, no?
Federica, la direttrice del centro per orti e giardini, non prova neanche a sorridere. «Basta che non scriva che
stava qui. Quando i clienti scoprivano che da noi c'era il bandito Vallanzasca, si tiravano indietro». L'ex
bandito Vallanzasca sta dentro da un secolo, sono passati vent'anni dall'ultima evasione, gli hanno pure
rubato la bicicletta quando era in permesso. «Però un cognome così non si dimentica». La cooperativa di
Federica riunisce persone con varie disabilità e detenuti in via di reinserimento. Tra loro, per un anno, c'è
stato anche il signor Renato, regolare contratto tra gli 800 e i 1100 euro al mese e pranzo gratis. «Aveva un
bel modo, gentile coi ragazzi, tante operatrici ne erano affascinate. E lui ci giocava un po': gli piace troppo
piacere. Il personaggio vince sulla persona, e questo lo fotterà sempre».
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INTERVISTA AL BANDITO: I MIEI 45 ANNI IN CARCERE
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L'Italia ha avuto tanti delinquenti.
Ma pochi, o nessuno, come Renato Vallanzasca. E uno solo lo batte per durata della pena scontata:
Raffaele Cutolo da Ottaviano. Un boss della criminalità organizzata contro un bandito da strada: 49 per
l'imperatore di camorra contro i 41 (o 45) del ras della Comasina. Che però stava per sfilarsi dall'ingrato
podio. Non fosse stato per due paia di mutande marca Sloggi, che lui assicura non metterebbe mai perché
indossa solo boxer Versace, più altra minutaglia da giardinaggio, per un totale di 65,97 euro; non fosse stato
per un giudice molto puntiglioso, che gli ha rifilato10 mesi per tentata rapina (2 in più di quelli richiesti
dall'accusa); non fosse stato per le conseguenze (revoca della semilibertà e stop a ogni beneficio per almeno
3 anni), Renato Vallanzasca sperimenterebbe un'ebbrezza dimenticata: rivivere fuori. Non succederà, e
moltissimi, non solo i parenti delle vittime che ha fatto, saranno sollevati.
Quando Vallanzasca diventava Vallanzasca, Matteo Renzi aveva un anno, Berlusconi 40 e neanche una tv,
il muro di Berlino sembrava infrangibile, la lira eterna e Nicola Di Bari vinceva Sanremo. La prima cosa
incredibile è che, quarant'anni dopo, Vallanzasca è saldamente conficcato nella memoria di questo Paese e
fa ancora notizia, basta che respiri o riporti la soffiata di un camorrista sulla morte di Pantani. La seconda è
che il regno del balordo che prese Milano per la coda e con la sua banda la fece girare fu brevissimo:
neanche sette mesi, il tempo di gestazione di un orso. Una settantina di rapine, 6 omicidi (tra cui 4 poliziotti,
tutti in scontri a fuoco stile western), 4 sequestri di persona, più una guerra vinta col clan Turatello. Il tutto tra
il 28 luglio 1976, prima fuga di Vallanzasca da un penitenziario, e il 15 febbraio 1977, arresto definitivo a
Roma. Seguiranno tre evasioni in stile col personaggio, macabri regolamenti di conti dentro le mura, persino
uno smargiasso matrimonio a Rebibbia come fosse Broccolino. Ma il più, a inizio 1977, è già alle spalle:
all'epoca il "fiore del male", come l'ha colto nell'essenza Carlo Bonini nell'unico libro che il protagonista ha
controfirmato, ha soltanto 26 anni e 10 mesi. Eppure le ferite che si lascia dietro non si rimarginano, come
non sbiadisce la traccia delle sue spavalderie, lo sguardo beffardo e assassino, una specie di codice d'onore
mai disonorato (nessun tradimento di compagni, una strafottenza per qualsiasi potere portata all'estremo).
Solo una tardiva dichiarazione di resa, 1999, proprio nella prefazione del libro di Bonini: «La mia esistenza è
un naufragio assoluto». Sessantaquattro, anzi 65 il prossimo 4 maggio, di cui solo una ventina vissuti fuori da
una prigione, infanzia compresa. Il fiore del male è appassito, ma stava per uscire dalla serra in ferro che si
era costruito con le proprie mani.
Quattro ergastoli (più 295 anni), e lo lasciavano andare? Succede per diversi criminali lungodegenti: scontata
una cospicua fetta di pena, si prova a ridargli un lembo di dignità. Qualcuno usa male la carta, come Izzo
Angelo, il demonio del Circeo: 4 mesi dopo che era libero, omicidio di altre due donne. Il jolly toccava a
Vallanzasca. Non c'è modo di verificare se l'avrebbe sprecato. «Lo Stato ha voluto infierire sul suo nemico, di
fatto condannandolo a morte per due mutande», dice disperato, nel senso proprio di "senza speranza",
Ermanno Gorpia, il suo ultimo e giovane avvocato. «Ma sì, ci appelleremo, se va bene fisseranno l'udienza
tra due o tre anni, intanto non è che lui ringiovanisce».
La vita, anche quella di Renato Vallanzasca, è fatta di coincidenze. Il primo arresto importante, nel 1972, fu
per una rapina a una Esselunga, in viale Monte Rosaa Milano. Aveva 22 anni, e fu il vero inizio del suo
romanzo criminale. L'ultima condanna, nel novembre scorso, è per lo stesso reato e sempre in una
Esselunga di Milano, viale Umbria: neanche un anno di punizione supplementare, che però basta a
catapultare l'ombra ingrigita di Vallanzasca alla casella di partenza.
Primo effetto: il trasferimento da Bollate, dove ormai dimorava in una cella aperta e col Rolex al polso, a un
istituto di tutt'altra pasta come Opera, 37° penitenziario sperimentato in carriera.
Un altro record; come l'enormità dei 5 chili e 700 grammi alla nascita. Oppure le sigarette. «Sono arrivato a
110 al giorno, 5 pacchetti e mezzo. Risparmiavo sugli accendini: con una appicciavo quella dopo». Ingabbiato
nel giubbotto blu, Vallanzasca ricorda e ricorda, come se girare la testa indietro fosse l'unica salvezza per
affrontare quel che ha davanti. «Poi ho smesso. Di botto. Cazzo, 35 giorni senza cagare, il mio corpo non
capiva. Appena sono arrivato a Opera ho comprato una stecca di Marlboro rosse. Saranno le ultime.
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Fino a qualche anno fa, a calcio, davo ancora la paga a tutti. Adesso mi viene il fiato grosso anche a
scendere le scale. Devo avere qualcosa ai polmoni. E non è che l'arietta di Opera aiuta».
Un diverso, Vallanzasca, nel "gene" e nel male. E impermeabile alla superstizione. È un venerdì 13, metà
dello scorso giugno, 7 di sera. Il signor Renato stacca dal lavoro nella cooperativa dei fiori e va a fare spesa
in un supermarket da 17 casse; mette nel cestello una fetta d'anguria, insalata, mortadella e una busta di
salmone, paga gli acquisti, fa per uscire quando un vigilante che l'ha tenuto d'occhio dalla "travespia", un
corridoio sopraelevato da cui si sorvegliano i vari comparti (numero 1, giardinaggio; numero 5, intimo), lo
ferma e gli chiede di aprire il borsone nero che ha con sé. Dentro, una mesta refurtiva: le Sloggi, una forbice
rasa erba, un flacone di fertilizzante. Il signor Renato dice che qualcuno gli ha infilato dentro quella roba per
incastrarloe che comunqueè pronto a saldare, e poi è meglio per tutti chiuderla lì per evitare casini. Il
vigilante, Emmanuele Mento, esclude di aver visto qualcuno infilare alcunché nel borsone. Documenti, prego:
"Vallanzasca". Arrivano i carabinieri, al comando del maresciallo Milo Fidelibus, e finisce il resto. Al processo
per direttissima, il giudice Ilaria Simi decide che l'imputato ha mentito e in più ha minacciato il vigilante, quindi
lo punisce. Ma Vallanzasca le ha rubate o no le mutande e il resto della paccottiglia da giardiniere fai da te? Il
bottino fa pensare a un omaggio ai colleghi della cooperativa, un "ghe pensi mi" da trapassata grandeur. O
magari una malevola manina voleva davvero vendicarsi per qualcosa. Chissà.
Tra le 225 carceri italiane, Operaè la più grande per numero di condannati in via definitiva (quasi mille). Un
imponente cronicario di ex "qualcosa": Bernardo Provenzano, ex capo della mafia; Mario Moretti, ex
comandante delle Br; gli Schiavone, ex signori di Gomorra; fino a Fabrizio Corona, ex ragazzo spericolato.
Tra le navate di questi sciagurati, contano zero le eventuali motivazioni psicologiche di Vallanzasca: una
bravata, magari inconscia, per scongiurare il terrore di saltare da un muro che in quarant'anni è diventato un
Everest. Nemmeno il direttore del carcere, Giacinto Siciliano, ha una spiegazione: «Forse la condanna nella
condanna di Vallanzasca è l'impossibilità di diventare uno come gli altri».
Qualcuno bussa alla porta della cella frigorifera che ospita il colloquio. Vallanzasca dice sarcastico: «Mi
reclamano. Sa, ho un'agenda fittissima». Lo aspetta una cella singola. «Se sogno di notte? Sempre cosette a
sfondo sessuale. Saranno tuttii porno che girano in galera». Sorriso sotto i baffi. Mai visto in una foto senza
baffi. «Solo una volta li ho tagliati, quando sono scappato dall'oblò di una nave a Genova. Di solito uno se li
mette finti per non farsi riconoscere. Io, il contrario».
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it
IL PRIMO ARRESTO Il primo arresto nel '72, a 22 anni.
A fine "carriera" conterà per rapine, omicidi e sequestri condanne pari a 4 ergastoli e 295 anni di reclusione
L'EVASIONE Vallanzasca evade scappando nel 1987 attraverso un oblò del traghetto che da Genova
avrebbe dovuto portarlo in carcere all'Asinara LE TAPPE DI NUOVO IN CELLA Sorpreso a rubare un paio di
slip in un supermercato viene condannato a 10 mesi l'anno scorso. Senza questo episodio avrebbe lasciato il
carcere in questi giorni
I MONDIALI
Chiunque ricorda cosa faceva quella sera del 1982: io, no. Forse ero al gabbio...
LE SIGARETTE
Ne fumavo 110 al giorno, poi stop. Ho il fiato grosso per le scale, qui l'aria non aiuta...
L'OROLOGIO
Lo Swatch me lo ha portato la mia donna.
Niente Rolex: è di metallo, vietato
08/02/2015
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EUGENIO SCALFARI
L'ITALIA e la Grecia nel loro rapporto con l'Europa e con i propri elettori si trovano in due situazioni molto
diverse tra loro ma anche accomunate da alcune importanti analogie. Entrambi i loro leader hanno promesso
molto, i due Paesi sono funestati da pesanti debiti e vorrebbero cambiare la politica economica europea.
Entrambi infine sono ammirati e politicamente amati dalla maggioranza degli elettori nei loro rispettivi Paesi.
Comincerò dunque ad occuparmi di Alexis Tsipras e concluderò con Renzi: ci riguarda molto più da vicino e
si merita dunque il finale. Il governo greco guidato da Tsipras e dal suo ministro delle Finanze si poneva
all'inizio quattro obiettivi: trasferire il suo debito all'Europa per cinquanta anni e senza interessi; ottenere nuovi
prestiti senza rimborsare quelli già scaduti ed effettuati da vari Paesi, tra i quali anche l'Italia, e dalla Bce;
rifiutare la "Troika" e gli impegni da lei imposti; negoziare una nuova politica economica europea ed anche
istituzioni più democratiche e meno burocratiche alla guida dell'Europa. Il primo obiettivo è stato ovviamente
rifiutato e fu Draghi qualche giorno fa a dirglielo con la dovuta fermezza. Del resto, avrebbe suscitato proteste
più che giustificate da parte del Portogallo e di altri Paesi membri dell'Eurozona che la "Troika" ha assistito
imponendogli i massimi sacrifici da essa presunti come inevitabili medicine.
Il secondo (nuovi prestitie prolungamento di quelli in scadenza)è stato anch'esso rifiutato: un Paese
fortemente debitore non può contrarne altri a cuor leggero senza neppure accettare il controllo della "Troika".
< PAGINA SU questo punto Draghi ha chiesto il rimborso immediato del prestito concesso direttamente dalla
Bce, in mancanza del quale la Banca centrale non rinnoverà il suo sostegno alle banche greche in stato di
pre-fallimento.
Il terzo obiettivo, la politica di crescita, sarà il vero oggetto delle consultazioni che si apriranno nei prossimi
giorni e che probabilmente avranno soluzione positiva; se vogliamo evitare il default della Grecia e lo
scossone che ne deriverebbe all'intera economia europea è su questo tema che bisogna lavorare. Questo,
del resto, è un obiettivo condiviso da gran parte dei Paesi dell'Eurozona e dalla stessa Banca centrale.
Infine la revisione delle istituzioni di Bruxelles. Il significato di questa richiesta è verosimilmente un passo
verso l'Unione federata anziché confederata, con le relative cessioni di sovranità da parte degli Stati
nazionali. Questa a me sembra la posizione più positiva tra quelle che Tsipras spera di ottenere; non riguarda
solo la Grecia e dovrebbe essere quella di tutta l'Unione.
Purtroppo non lo è, neppure dell'Italia, ma lo è però della Bce. Può sembrare paradossale che la spinta
verso gli Stati Uniti d'Europa venga da un Paese che si trova sull'orlo d'un precipizio e grida anche nelle
piazze la propria disperazione. Potrebbe esser messo in condizione di uscire dall'euro e chiede non solo
flessibilità e soccorso monetario ma addirittura la nascita di uno Stato che si chiami Europa ed abbia i poteri
finora dispersi su 28 Paesi.
Se si verificasse su questo punto una coincidenza politica tra Tsipras e Draghi, anche l'adempimento degli
impegni economici della Grecia diventerebbe più facile. Ma gli avversari sono molti, anzi tutti, Renzi
compreso: i governi nazionali non vogliono perdere la loro sovranità.
Ecco un tema sul quale Renzi dovrebbe dare le dovute ma mai fornite spiegazioni. La sua passione per il
cambiamento riguarda solo l'Italia e non l'Unione europea della quale siamo perfinoi fondatori? Siamo così al
tema Renzi che direttamente riguarda noi, europei ed italiani.
Il nostro presidente del Consiglio ha fatto, con l'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, un vero capolavoro
politico, l'abbiamo scritto domenica scorsa e lo ripetiamo. Personalmente ho parecchie riserve su Renzi ma la
verità va riconosciuta e sottolineata proprio da chi su altri temi ha manifestato e dovrà ancora manifestare
ampi motivi di dissenso.
Si parla, a proposito del Pd renziano, di partito della Nazione. Esiste già oppure è un obiettivo per il quale
Renzi lavora alacremente? E qual è il significato di un'immagine che prende quel nome come vessillo? Ci
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TSIPRAS SOGNA UN'ALTRA EUROPA E L'ITALIA COSA FA?
08/02/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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sono due modi di intendere quel nome. Uno, indicato nei suoi scritti, è sostenuto da Alfredo Reichlin e
significa un partito che ha capito quali sono i concreti interessi del nostro Paese e cerca di attuarli utilizzando
gli insegnamenti della Storia e dell'esperienza.
Pienamente accettabile.
L'altro modo di intendere quel nome è un partito che riscuote un tale consenso elettorale da essere di fatto
un partito unico avendo ridotto gli altri a piccole formazioni di pura testimonianza.
Questo è il senso che Renzi ha dato a quel nome, naturalmente non escludendo affatto il primo significato
ma subordinandolo al potere concreto e quasi esclusivo del partito della Nazione.
Per ora tuttavia quel partito non c'è: nell'attuale Parlamento, diretta espressione del popolo sovrano, siamo in
presenza di una situazione tripolare. Fu eletto col "Porcellum" e il Pd lucrò il premio di maggioranza alla
Camera, ma restarono tre grandi schieramenti: Pd, Pdl (i berlusconiani allora avevano il nome di Popolo della
Libertà) e il Movimento 5 Stelle.
Tripolare. E tale durerà fino al 2018, stando all'impegno assunto e sempre ripetuto da Renzi nelle sue
pubbliche esternazioni.
Un Parlamento tripolare non consente l'inverarsi del partito della Nazione, ma ne permette l'avvio, anche con
le riforme della Costituzione e in particolare con quella che riguarda il Senato, sempre che arrivi in porto, visto
l'ultimo voltafaccia di Berlusconi. L'ex Cavaliere, bruciato dall'elezione di Mattarella, ha improvvisamente
scoperto che c'è una deriva autoritaria nelle riforme che aveva sostenuto fino a ieri. E che quindi il patto del
Nazareno non c'è più: vedremo quanto a lungo manterrà questa posizione. L'uomo, si sa, non è famoso per
la sua coerenza. Ma vale comunque la pena di riprendere il tema del Senato, specie ora che spetterà al
nuovo Capo dello Stato promulgare le leggi una volta che arrivino sul suo tavolo. Quella legge di riforma
prevede che il Senato (continuare a chiamarlo così mi sembra ridicolo) diventi Camera delle Regioni, ne
sostenga gli interessi in Parlamento, sia il custode dei loro poteri amministrativi e legislativi, ne sorvegli la
legalità dei comportamenti ed eventualmente ne punisca quelli ritenuti politicamente illegittimi. Quanto al
resto, il Senato previsto perderà quasi tutti i suoi poteri attuali salvo quelli che riguardano leggi costituzionali e
trattati europei. Sono favorevole a riservare il potere di fiducia soltanto alla Camera, in nessun Paese
europeo di solida democrazia la cosiddetta Camera Alta detiene quel potere e ben venga dunque su questo
punto il regime monocamerale.
Ma proprio perché dare o togliere la fiducia non spetterà più ai senatori, possiamo e anzi dobbiamo lasciare
intatti i loro poteri di controllo sull'Esecutivo e sulla pubblica amministrazione.
Il potere Legislativo ha un duplice ruolo: quello di approvare le leggi e quello di controllare il governo nei suoi
atti esecutivi. Ridurre al monocamerale anche questi atti dell'Esecutivo ha il solo significato di accrescere la
sua libertà di azione; la rapidità è un bene che l'esistenza di due Camere non ha mai danneggiato, come
molti sostengono ma come i dati smentiscono. Quindi la legge di riforma può e deve su questo punto essere
emendata.
Ancor più necessario - perché può rischiare anche l'incostituzionalità - è modificare il testo di legge per
quanto riguarda l'elezione dei senatori. La riforma attualmente prevede che siano designati dai Consigli
regionali. Qui c'è un'incoerenza di estrema gravità: un organo preposto alla vigilanza sulle Regioni, i cui
membri sono eletti da chi dovrebbe essere da quell'organo controllato ed eventualmente sanzionato, anziché
dal popolo sovrano. Per di più in un Paese dove una delle maggiori fonti di malgoverno e corruzione è
presente proprio nei Consigli regionali. Mi sembra assolutamente necessario che sia il popolo ad eleggere
direttamente i senatori. Mi permetto di segnalare quest'aspetto della legge di riforma costituzionale affinché
sia adeguatamente modificato. La forma attuale è un fallo e l'arbitro ha diritto e dovere di fischiare
indicandone la punizione (in questo caso la modifica). Post scriptum . In una recente intervista televisiva a
Maria Latella, il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha preannunciato un suo disegno di legge che
presenterà nei prossimi giorni. Riguarda l'obbligo del vincolo di mandato che attualmente è escluso da un
articolo della Costituzione. Ora anche i Cinquestelle dicono la stessa cosa. Dunque Grillo e Salvini vogliono
08/02/2015
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che un membro del Parlamento eletto su candidatura del partito cui aderisce non possa in alcun caso votare
contro il suo partito del quale ha l'obbligo di eseguire pedissequamente gli ordini. Se la sua coscienza glielo
impedisce, la sola via di fuga che può adottare sono le dimissioni dal Parlamento. Se questa proposta
venisse accolta, sarebbe sufficiente un numero di parlamentari estremamente limitato. Magari una
cinquantina, che rappresentino proporzionalmente i consensi ottenuti dal partito cui appartengono.
Per di più non ci sarebbe nemmeno bisogno di discussioni e basterebbe spingere dei bottoni per registrare il
voto di quel gruppetto di persone. Una proposta così può essere fatta soltanto da chi vuole instaurare per
legge una dittatura. Oppure da un pazzo. Scelgano Salvini e Grillo in quale di questi due ruoli si ravvisino.
PER SAPERNE DI PIÙ www.syriza.gr www.partitodemocratico.it
08/02/2015
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Ma l'ex Cavaliere non chiude: "Se Renzi mi dà un segnale torno a trattare".
Cerchio rosa sotto attacco
CARMELO LOPAPA
ROMA. Così come stanno arrivando al traguardo, le riforme figlie del patto del Nazareno a Silvio Berlusconi
non stanno più bene.
Senza la condivisione del presidente della Repubblica (ormai andata), ma soprattutto senza una qualsiasi
forma di riconoscimento concreto del suo ruolo, del suo contributo, del suo «sacrificio», come lo definiva ieri
nel lungo vertice di Arcore col consigliere Giovanni Toti, con i capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani,
con la portavoce Deborah Bergamini e con Maria Rosaria Rossi. Non già Denis Verdini, ormai lontano, anche
fisicamente, volato via all'estero per un paio di giorni dopo lo strappo. Ecco, da Palazzo Chigi non è arrivato
nessun aiuto per tirarlo fuori dall'angolo nel quale i guai giudiziari lo hanno cacciato, è una delle accuse più
cocenti.
Matura così, in quelle quasi quattro ore nel fortino presidiato dai "falchi" - o meglio dal «cerchio rosa», come
qualcuno adesso lo bolla dentro Forza Italia - la video-intervista di una manciata di minuti sparata alla tv
ammiraglia di casa Mediaset nell'edizione di punta delle 20. Il leader sembra leggere un messaggio dei suoi,
stavolta usa toni perentori, ultimativi, ha tutta l'aria di minacciare rottura. Eppure non è così, non del tutto, a
dispetto dell'apparenza. Nonostante da martedì alla Camera si faccia sul serio, perché sulla riforma
costituzionale che prevede tra l'altro la cancellazione o quasi del Senato ripartono le votazioni ed entro
sabato è previsto il voto finale. E Forza Italia che farà? Quando si chiede a chi ha partecipato al lungo vertice
di Villa San Martino se il tutto si tradurrà a questo punto in un voto finale negativo in aula, la posizione si fa
più sfumata, meno rigida. «Presenteremo dei sub emendamenti, Brunetta ne ha già depositati quasi un
migliaio, se la maggioranza accetterà di confrontarsi, bene, altrimenti vorrà dire che non ci saranno margini»,
è la risposta dei dirigenti più vicini in questo momento al leader.
Mercoledì intanto sarà riunita l'assemblea dei gruppi parlamentari e Berlusconi in persona porterà il
documento di rottura fatto approvare la scorsa settimana dall'ufficio di presidenza ristretto. Quello che già
dava l'addio al patto del Nazareno. Difficile, molto difficile fare retromarcia, anche perché le repliche ironiche
della segreteria renziana alla sortita tv di ieri sera non lasciano marginia cambi di rotta («La famiglia stia
vicina al Cavaliere», affonda Ernesto Carbone tra gli altri). Ma semmai il dialogo dovesse ripartire - sottolinea
uno dei commensali di ieri ad Arcore - «non potrà certo avvenire con gli interlocutori di prima, da Verdini a
Letta». Sono altri ambasciatori che adesso Palazzo Chigi dovrebbe prendere in considerazione, è il
messaggio, da Toti a Romani, da Bergaminia Brunettae la Rossi.È il cuore del problema, il vero motivo
dell'exploit maturato ieri nell'arco di un pomeriggio, secondo la lettura che danno invece gli uomini più vicini al
"defenestrato" Verdini: «Sono loro, Toti e le donne vicine al capo, la Rossi e la Bergamini in testa, gli artefici
di questo disastro, tutto costruito ad arte solo per scalzare Denis e prenderne il posto». Semmai una trattativa
si potrà mai riaprire davvero, a questo punto, con Matteo Renzi.
La reazione di Berlusconi è molto impulsiva. Spiegano i suoi che il blitz del governo su Mediaset in
commissione, giovedì, non gli sia piaciuto affatto. «Sono deluso, Renzi usa metodi che non mi piacciono, si
conferma un arrogante, altro che patto..» ripeteva ancora ieri l'ex premier. Davanti a lui, appunto, schierato lo
stato maggiore intenzionato a bruciare tutti i ponti che Verdini ha costruito nell'ultimo anno con Renzi e il suo
governo. Molto ha influito, in ultimo, la lettura dei giornali di questi due giorni, che accreditavano il senatore
toscano ancora attivo, Palazzo Chigi disposto a parlare solo con lui, i tentativi di Toti e Romani falliti, il canale
delle riforme ancora aperto sotto traccia a dispetto di Berlusconi. «Presidente, così vieni delegittimato, non
possiamo accreditare questa lettura», hanno ripetuto in coro al leader forzista i dirigenti più motivati.
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IL RETROSCENA
08/02/2015
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Anche perché, hanno insistito quasi tutti i presenti al pranzovertice, «le riforme sono ormai al traguardo, il Pd
se le approva da solo anche senza di noi, piuttosto bisogna neutralizzare Fitto da una parte e Salvini dall'altro
che ci accusano di inciuciare col governo». Argomenti che avrebbero convinto alla fine Berlusconi, non fosse
altro perché gli ultimi report registrano Fi ancora in caduta tra il 12 e il 14 per cento. E le elezioni regionali
sono alle porte.
Da qui, l'esigenza del capo di ribadire la linea della rottura («Renzi non ha rispettato i patti»), mettendoci la
faccia, stavolta davantia una telecamera, fino all'accusa mai osata: «Deriva autoritaria». Chi conosce bene le
cose di Arcore invita però alla prudenza.
Ad attendere per esempio cosa accadrà dopo il consueto pranzo del lunedì con i vertici delle aziende.
Perché posizioni come quella di ieri sera di certo non hanno fatto fare salti di gioiaa Fedele Confalonieri e
Ennio Doris, già piuttosto preoccupati dopo la presentazione della norma penalizzante su Mediaset e Rai
dell'altro giorno. E cosa accadrà nei prossimi giorni? Giovedìè atteso il voto in commissione sulla
prescrizione, il 20 febbraio in Consiglio dei ministri l'esame della delega fiscale con la discussa norma sullo
sconto per la frode sotto il 3 per cento dell'imponibile.
L'uscita di ieri, poi, non muta la posizione di Raffaele Fittoe dei suoi. L'ex governatore pugliese coni suoi
«ricostruttori» va avanti per la sua strada, ormai. Il 21 da Roma parte per il tour che lo porterà in tutta Italia.
Partito nel partito. «Questa nostra azione- ripeteva ancora ieri - è una grande opportunità per Forza Italia e
anche per Silvio Berlusconi. Altro che restare imprigionati in mesi di sterili liti condominiali». Il leader forzista
giura nell'intervista di voler ricostruire l'unità del centrodestra.
Ma Matteo Salvini ha già voltato le spalle. E ieri Gaetano Quagliariello è stato altrettanto chiaro: «Grande
rispetto» ma ora «bisogna guardare avanti».
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.forzaitalia.it
IN CAMPO DENIS VERDINI L'ambasciatore berlusconiano presso Palazzo Chigi, contesta la linea del
cerchio magico ed è stato messo sotto accusa per il Patto del Nazareno.
MARIA ROSARIA ROSSI È una delle principali esponenti del cerchio magico che ora i verdiniani definiscono
"cerchio rosa".
Contesta la linea trattativista RAFFAELE FITTO Si pone in una posizione "terza" tra i pattisti e i falchi. Punta
a rovesciare i rapporti di forza interna e nella sostanza a guidare il partito
08/02/2015
La Repubblica
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"Contento che Silvio abbia cambiato idea il premier ha esagerato"
Il dissidente Minzolini: "Quello era un accordo di comodo ma ha sbagliato chi fino ad oggi è rimasto in
silenzio"
(c.l.)
ROMA. Il Pd non ha rispettato i patti, dice ora Berlusconi.
Avevate ragione voi frondisti, senatore Augusto Minzolini? «Qui non si tratta di avere ragione o meno. La
soddisfazione lascia il tempo che trova. Quel che non doveva essere fatto purtroppo è stato fatto ma, come si
dice, meglio tardi che mai».
E ora? «Sono contento che Berlusconi condivida per la prima volta un'evidenza lampante: il combinato
disposto Italicum più riforma costituzionale contiene in sé un tasso di autoritarismo superiore a quello che la
sinistra rimproverava anni fa alla destra per la sua riforma. Renzi da buon neofita del decisionismo ha
esagerato».
Ma Fi è stata determinante nel far passare quelle riforme.
«Era un accordo di comodo a senso unico, che Renzi ha strappato e sfruttato a suo piacimento.
Gestito come l'elezione del presidente della Repubblica: con l'imposizione».
È così certo che sulla riforma non maturi poi l'ennesimo dietrofront? «Dobbiamo essere seri. Io ho votato
contro, al Senato, com'è noto. Questi non sono temi su cui si può scherzare. O cambia profondamente la
riforma, alla Camera, o si vota no. Adesso abbiamo un Renzi guascone, fanfarone e va bene. Ma noi stiamo
introducendo delle regole che potrebbero essere utilizzate a suo piacimento da un futuro uomo nero,
ponendo le condizioni per un regime».
Ora tutta la colpa viene addossata a Verdini. Corretto? «Verdini secondo me le ha sbagliate tutte, sia chiaro.
Ma anche quelli che, a differenza mia, non si sono alzati per dire che si stava sbagliando, hanno delle
responsabilità. La dialettica interna in un partito è importante: negli organismi dirigenti le varie anime devono
essere rappresentate. Funziona così in un partito che punta a rappresentare una larga fetta della società».
È una mossa per recuperare consensi in vista delle regionali? Ancora possibile? «Sì è ancora possibile, ma
ora occorre una linea coerente e trasparente».
Foto: Renzi è un guascone ma su questi temi non si scherza.
O cambia la riforma o alla Camera si vota no
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA
08/02/2015
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"Se Matteo fa cose di centrosinistra io ci sto"
TOMMASO CIRIACO
ROMA. Il senatore Francesco Campanella è stato fra i primi epurati del Movimento 5stelle. Colpevole,
secondo la Casaleggio associati, di mostrarsi troppo autonomo, troppo dialogante in Parlamento.
Adesso che la rottura del patto del Nazareno sembra aprire nuovi scenari, che farà? «Se Renzi cambia
radicalmente rotta su riforme e lavoro, possiamo certamente ragionare». Senatore, non si tratta naturalmente
di entrare nel Pd. Piuttosto, con lo strappo di Berlusconie la fine del patto tra i due leader, è possibile sedersi
a un tavolo con la maggioranza? «Parlo per me e dico che il M5S delle origini era impostato per battersi per
le cose a vantaggio dei cittadini, dalla riduzione degli sprechi all'efficienza della macchina dello Stato.
Finora invece il governo ha scelto la strada della sregolamentazione delle norme sull'ambiente,
dell'annichilimento delle regole del lavoro e dell'abbattimento dei principi di bilanciamento dei poteri
costituzionali. Questa iniziativa sembrava in linea più con il volere e i desideri del centrodestra che non con
quello di Renzi o del Pd, almeno del Pd del 2013».
Questo fino a ieri. E da domani? «Ora bisogna capire se questo sodalizio con il centrodestraè davvero
venuto meno: se non è così, allora il voto lo cerchino da altri. Se invece si vuole ridiscutere tutta
l'impostazione, dando attenzione alla solidarietà che dovrebbe essere il Dna del Pd, parliamone».
D'altra parte lei è stato cacciato dal M5S perché non ha mai escluso a priori il confronto.
«E oggi sarebbe insensato trincerarsi dietro a un no sempre e comunque. Un atteggiamento proprio invece
dei Cinquestelle».
Non temete di essere bollati come disponibili, responsabili o peggio ancora? «Senta, se una negoziazione
politica viene fatta nel perseguimento di obiettivi che fanno parte del proprio bagaglio di desiderata politici,
allora va bene. Se invece mi accordo per un posto di governo o per altri vantaggi, allora si rientra nel
trasformismo. In questa legislatura il trasformismo è soprattutto dei partiti. Il M5S, che dovrebbe funzionare in
modo democratico, è semplicemente un partito autocratico. Il trasformismo delle persone è un modo per
esorcizzare il trasformismo dei partiti». E Renzi come si sta muovendo, dal Collea queste ultime aperture che
vanno oltre il perimetro del patto del Nazareno? «Nelle scelte politiche e tattiche si è dimostrato molto
efficace. Ora il problema è: quali sono queste scelte politiche? L'efficacia ce l'ha, ma finora l'ha applicata a
obiettivi che non si possono condividere. Almeno fino a questo momento».
NEGOZIAZIONE
Una negoziazione va bene se viene fatta nel perseguimento degli obiettivi del proprio bagaglio
politico
Foto: EX GRILLINO Francesco Campanella, ex grillino, potrebbe essere uno degli "stabilizzatori" della
maggioranza di governo al Senato
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'INTERVISTA1/ IL SENATORE FRANCESCO CAMPANELLA, EX M5S
08/02/2015
La Repubblica
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"Ora pronti a votare contro il governo"
ALBERTO CUSTODERO
Enrico Zanetti, sottosegretario all'Economia, altri otto senatori vi hanno abbandonati: cosa sta succedendo in
Scelta Civica? «Non parlerei di scissione, ma di «trasloco».
Sono sette parlamentari e un viceministro che hanno risposto a un appello di Matteo Renzi. Ma con loro non
se n'è andato nessun iscritto, nessun delegato o coordinatore regionale e provinciale. Hanno solo traslocato
all'interno della maggioranza da un gruppo all'altro, tutto qui». Oggi lei sarà eletto segretario. Ma c'è ancora
Scelta civica? «Certo che c'è. Al congresso ci saranno tutti i delegati, gli otto «traslocati» non ne hanno
portato via neppure uno». Come spiega la «campagna acquisti» del Pd? «Non la chiamerei campagna
acquisti».
E come la vuole chiamare? «Un'opa del Partito democratico lanciato nei confronti dei nostri senatori, un atto
politicamente sgradevole. Ma ad eccezione di Susta, gli altri non hanno peso politico al di fuori del governo, li
do già per desaparecidos».
Questa Opa, come la definisce lei, cambierà qualcosa nei rapporti con Renzi? «È ovvio che, visto come si è
comportato il segretario democratico, sarà d'obbligo un chiarimento. Sia ben chiaro. poiché siamo noi vittime,
il pallino ce l'hanno loro. Mi aspetto che siano i democratici a venirci a spiegare qual è la loro idea. Certo è
che se continueranno in futuro a telefonare ai nostri deputatati a uno a uno per «traslocarli» al Partito
democratico, sarà difficile la collaborazione con noi». In quanti siete rimasti? «Alla Camera siamo 23, non mi
stupirei di perderne per strada un paio, ma non di più. Il gruppo è forte, compatto. Al Senato c'è solo
Benedetto Della Vedova, ma non so come si posizionerà se la sua mozione di sciogliere il partito, come
penso, sarà respinta».
Se non si chiarirà con il Pd, lei valuta anche l'ipotesi di togliere l'appoggio al governo, e magari di dimettersi
da sottosegretario all'Economia, l'unica e ultima carica dell'Esecutivo che vi è rimasta? «In base a ciò che ci
diranno, vedremo. Ma se manco si faranno sentire, rimarremo sulle cose da fare al governo, ma con un grado
di collaborazione inevitabilmente mutato. Ci riserveremo di non votare ciò che non ci piacerà».
Lei oggi sarà incoronato leader. Come definirebbe la linea politica di Scelta Civica? «Noi vogliamo provare
ad aggregare forze popolari riformatrici, liberal democratiche.
Abbiamo la stessa voglia di cambiare il Paese che avevamo quando il partito è stato fondato da Mario Monti.
Ora che non c'è più il fondatore, proseguiremo noi su quel solco».
UN'OPA
Da parte del premier c'è un'opa su di noi quelli che se ne sono andati non avevano peso politico
Foto: OGGI IL CONGRESSO Enrico Zanetti, sottosegretario all'Economia, è candidato alla guida di Scelta
Civica
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'INTERVISTA 2/ ENRICO ZANETTI, LEADER IN PECTORE DI SCELTA CIVICA
08/02/2015
La Repubblica
Pag. 10
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Ghizzoni: "La ripresa c'è abbiamo già esaurito i primi 7,75 miliardi e
daremo nuovo credito"
L'amministratore delegato di Unicredit: "Stiamo vedendo segnali concreti" "Le riforme spingono ad assumere:
da noi disponibili 1.500 posti"
ANDREA GRECO
MILANO. Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, la crescita italiana di cui parla il
governatore Visco è realmente solida? «Negli ultimi tre-quattro mesi vediamo segnali concreti e fattuali,
facilitati dall'indebolimento dell'euro che favorisce l'export, dal calo dei costi energetici e dai tassi bassi che
aiutano le imprese. E anche dall'impatto di riforme del governo come quella del lavoro, che spinge ad
assumere: noi stessi andiamo avanti con il programma di 1.500 assunzioni». Vale anche per la domanda di
credito? «La domanda cresce: l'accelerazione di fine 2014 s'è confermata a gennaio, al punto che i 7,75
miliardi presi dalla Bce lo scorso settembre con l'operazione Tltro pensavamo di impiegarli in nove mesi
invece li abbiamo già esauriti per le tante richieste di credito buono, da aziende di alta qualità. Principalmente
medie imprese, che non hanno bisogno delle banche per finanziarsi a breve termine, ma che tornano a
pianificare investimenti a medio lungo».
Ci sono rischi di gelata sui germogli? «I maggiori sono geopolitici: i problemi in Russia, Ucraina, Grecia
possono influire negativamente. Allo stesso modo il mancato completamento delle riforme da parte dei
governi potrebbe riportare il nervosismo sui mercati nell'area euro, che si stanno posizionando per cogliere
una ripresa ancora fragile».
Cosa indicano i flussi delle sofferenze creditizie? «Unicredit ha visto stabilizzarsi le sofferenze a fine 2014, e
pensiamo chei nostri crediti classificati (tutti quelli in mora, ndr ) scenderanno nel 2015. Anche la mortalità
delle aziende si sta stabilizzando, come segnalato da alcuni dati recenti».
Lei già da un anno parla di nuovo scenario di fusioni per le banche italiane. Con la riforma delle Popolari
siamo al dunque? «Una vera attività di consolidamento si avvierà solo dopo la riforma annunciata della
governance delle popolari, e una volta affrontato il problema delle sofferenze, con la creazione di un veicolo
che consenta alle banche di ridurre il peso dei vecchi crediti. Oggi è complicato per un operatore investire in
banche con sofferenze significative nel bilancio; comunque confermo che noi non siamo interessati».
Nemmeno alla Banca popolare di Milano, che vanta una fitta rete nel cuore lombardo dove voi avete maglie
larghe? «Certo occorre restare sempre vigili su quel che succede intorno. Ma in questo momento non è una
nostra opzione strategica, e per due ragioni: una che la nostra quota di mercato sta salendo in tutte le aree di
business, quindi stiamo già crescendo e non vogliamo distrarci: l'altra che abbiamo intrapreso un percorso di
sviluppo interno con forti investimenti, anche sulla rete informatica, per ridurre i costi».
Verrà prima la legge sulle Popolari o le loro fusioni? «Se guidassi una popolare, legge o non legge penserei
che la riforma va avanti e cercherei di anticipare i tempi. Può darsi che qualcuno lo faccia: il treno è partito,
chi ha più forza può muovere e anticipare il trend».
Come valuta l'ipotesi allo studio di una bad bank di sistema? «Noi abbiamo già affrontato il problema del
credito, e non saremo coinvolti. Vediamo quale sarà il progetto tecnico, che dovrebbe riguardare le banche
medio-piccole. Il discorso più critico sarà evitare gli aiuti di Stato, e l'eventuale impatto sui contribuenti italiani.
Per me si possono creare le condizioni per evitare sia uno che altro, se si crea un veicolo destinato a
comprare sofferenze a prezzi conformi a quelli di mercato, e che le gestisca per ottenere un ritorno positivo.
Bisogna, insomma, sgombrare il campo dal pensiero di favori alle banche. Per le banche medio-piccole
sarebbe un'occasione unica, perché troverebbero compratori per i loro crediti deteriorati».
A tre mesi dall'avvio, qual è il bilancio preliminare sulla vigilanza europea? «Intanto che è un fatto concreto:
c'è stato un vero takeover delle responsabilità dei regolatori locali. Finora i rapporti sono buoni, noto un
approccio molto pragmatico e diretto da parte di Francoforte: che non vuol dire sia tenero, ma con relazioni
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA
08/02/2015
La Repubblica
Pag. 10
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molto costruttive. Ovvio che è ancora un periodo di adattamento, e c'è la necessità di armonizzare sempre
più le regole e le interpretazioni: e mi pare che il ruolo della Bce finora sia più questo che non la vigilanza
spicciola. Il percorso è molto costruttivo».
Settimana prossima, su richiesta della Bce, le banche anticiperanno i conti del 2014. Quali sono le
tendenze? «Intanto i bilanci bancari saranno caratterizzati dai maggiori accantonamenti emersi dai test Aqr e
di stress, che su richiesta di Francoforte saranno caricati sui conti d'esercizio. Per qualcuno l'effetto sarà di
finire l'anno in rosso, non per Unicredit perché anticipammo molte svalutazioni nel 2013. Sul fronte ricavi,
molto dipenderà dalla capacità delle banche di riprezzare i crediti, dopo la nuova liquidità fornita dalla Bce
nell'ultima parte dell'anno. Poi sarà interessante vedere il costo del rischio, e il tasso di conversione dei crediti
in bonis a classificati».
e medie imprese programmano investimenti a lungo termine
Non siamo interessati alle popolari, ma occorre restare sempre vigili "AMMINISTRATORE DELEGATO DI
UNICREDIT FEDERICO GHIZZONI
08/02/2015
La Repubblica
Pag. 13
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"Noi di Charlie Hebdo continueremo a ridere di tutti"
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANAIS GINORI
PARIGI. Gérard Biard ieri non è andato davanti alla sede di Charlie Hebdo per ricordare l'attacco del 7
gennaio. «Non ne avevo voglia. E poi non siamo mai stati appassionati di commemorazioni o cerimonie»,
racconta il direttore della redazione del settimanale satirico che si è salvato perché un mese fa era a Londra.
Un giorno come un altro. «Spero di prendermi una bella sbronza», aggiunge Biard. Il trigesimo della strage
non c'è stato, per Parigi e la Francia ieri era business as usual , come fanno gli inglesi. Il pellegrinaggio laico
in rue Nicolas Appert è continuato in modo discreto, tra fiori e messaggi. Charlie Hebdo continua a non
essere in edicola, anche se la redazione si è lentamente rimessa al lavoro. «È quello di cui tutti sentivamo
bisogno».
Il giornale sarà in vendita solo il 25 febbraio. Perché questo ritardo? «Abbiamo bisogno di tempo. Non
abbiamo ancora una casa, siamo provvisoriamente ospitati a Libération . Abbiamo visitato dei locali in cui
forse potremo fare la nostra nuova redazione. Ma serviranno lavori per garantire la sicurezza». Cosa ci sarà
sul prossimo numero di Charlie? «Per il momento ci facciamo domande, e non abbiamo tutte le risposte. In
fondo, però, lo facevamo già prima. Un giornale si deve adattare continuamente al mondo che lo circonda,
penso sia lo stesso per voi di Repubblica . Nel nostro caso, è solo un po' diverso».
Anche perché siete diventati un simbolo? «Vogliamo tornare a fare quello che facevamo prima.
Non vogliamo cambiare, sarebbe come dare ragione ai terroristi. Continueremo a ridere e a scherzare su
tutti. Su Maometto, Gesù, Buddha. È l'attualità che ci guida. Non siamo prigionieri di ossessioni. Se fossimo
stati in edicola in questi giorni avremmo fatto la copertina sulle orge di Strauss-Kahn». Il disegnatore Riss,
che ha preso il posto di Charb come direttore editoriale, parla di una "rifondazione" del giornale. È così? «Lo
faremo passo passo. Ci reinventeremo un nuovo giornale. È nella nostra natura. Il Charlie Hebdo in cui sono
arrivato nel 1992 non assomiglia in nulla a quello del 2014. Abbiamo già qualche idea su come andare avanti.
Ci sono alcuni nuovi disegnatori che stiamo provando».
Appena nominato, Riss ha già ricevuto minacce di morte da parte un ex ministro pachistano. È davvero
possibile non pensarci? «Sarebbe illusorio credere che le minacce smetteranno come per magia. Nel caso
dell'ex ministro pachistano forse il governo francese potrebbe intervenire, cercando di chiarire le relazioni
diplomatiche con quel Paese».
Vi farete beffa anche di François Hollande, che vi ha sostenuto e difeso? «Tutte le istituzioni hanno avuto un
comportamento impeccabile. Ma continueremoa scherzare, a fare il nostro lavoro, segnalando errori e punti
di criticità della politica francese: non mancheranno occasioni». Cosa farete dei soldi, oltre due milioni di euro,
che avete ricevuto in donazioni? «Una parte sarà devoluta alle famiglie delle vittime. E poi vogliamo creare un
fondo per la libertà d'espressione anche se non sappiamo ancora come e con chi. Ci piacerebbe poter
aiutare e difendere vignettisti perseguitati nel mondo, e ce ne sono tanti». Sulla difesa della laicità siete tutti
d'accordo? «Non c'è discussione. È per questo che siamo stati attaccati. È la nostra identità profonda. Non
arretreremo».
Il Papa ha detto: "Se uno mi offende la madre, gli do un pugno" «Non è la prima cavolata che dice un Papa,
non sarà l'ultima. A noi, comunque, non interessa tanto».
Cosa rispondete a quelli che dicono "Je ne suis pas Charlie"? «Ci sono sempre stati. Continueranno ad
esserci. È giusto così. Non siamo nati per piacere a tutti».
E se sono dei bambini nelle scuole francesi a dirlo? «Forseè il segnale che c'è un ritardo da recuperare nella
società francese, ma anche nei media. Noi giornalisti non dovremmo accontentarci di frasi vuote. Dobbiamo
indagare, andare a fondo. Tutti si devono interrogare dopo quel che è accaduto. Noi l'abbiamo sempre fatto.
Ora, forse, saremo un po' meno soli».
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L'INTERVISTA / IL DIRETTORE GÉRARD BIARD
08/02/2015
La Repubblica
Pag. 13
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LA LAICITÀ
""
Non arretreremo sulla laicità, è per questo che siamo stati attaccati Ora forse saremo meno soli
IL PAPA
Il pugno del Papa? Ha detto una cavolata, non è la prima detta da un Pontefice, non sarà l'ultima
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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08/02/2015
La Repubblica
Pag. 18
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"Inutile il quartiere del sesso all'Eur non servono ghetti ma regole nuove"
LAURA SERLONI
ROMA. «No a iniziative spot, sì alla regolamentazione della prostituzione ma con una discussione seria sul
fenomeno». Così la vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, sull'idea del Comune di Roma di creare delle
zonea luci rosse nel quartiere dell'Eur. Creare una zona a luci rosse? «In una città come Roma mi piacerebbe
che il fenomeno venisse affrontato nella sua complessità. Non è moralismo, ma i dati ufficiali ci dicono che
l'80% delle donne è vittima di tratta: questo ci basta per capire che l'argomento è serio». La zona a luci rosse
è riduttiva? «Non servono iniziative spot solo per placare gli animi dei cittadini».
La zona tollerata non rischia di essere uno strumento che favorisce la prostituzione? «Non ho una
preclusione sulle zone, ma non è sufficiente trovare solo un'area dove mandare le prostitute perché vorrebbe
dire solamente spostare il problema, quindi creare dei ghetti».
Un'idea che in Italia ha soltanto un precedente, a Mestre. Diversi Comuni hanno più volte tentato la strada
dello "zoning", ma l'impresa è sempre stata seppellita da una valanga di polemiche.
«Questo ci dimostra che il tema è importante. Non si risolve il problema con una zona riservata. Da qui le
polemiche e il blocco di ogni iniziativa perché manca un dibattito approfondito». Trentaquattro anni nella Cgil.
E proprio il sindacato si è espresso a sostegno della "red zone" all'Eur.
Come mai questa presa di posizione così netta? «Credo sia legata all'esigenza di trovare una
regolamentazione, ma spero che anche loro non si fermino solo a questo».
L'iniziativa ha diviso il Pd romano.
«Non servono blitz.
Marino prima di annunciare la creazione di una zona tollerata in città dovrebbe discuterne con il suo
consiglio».
Lei pensa di sostenere il disegno di legge della senatrice dem Spilabotte che regolamenta la prostituzione
riconoscendone diritti e doveri? «Sì, con questo ddl la prostituzione non è un lavoro come un altro, ma non
giriamo neanche la testa dall'altra parte sul fenomeno. È un intervento soft».
A PALAZZO MADAMA Valeria Fedeli, vice presidente del Senato No a iniziative spot: è una questione seria
e va affrontata dal Comune partendo dal dialogo L'AVVENIRE: VERGOGNA "Degrado capitale": così
l'Avvenire ha bollato ieri il progetto di Roma LA POLEMICA
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'INTERVISTA/ VALERIA FEDELI, VICEPRESIDENTE PD DEL SENATO
08/02/2015
La Repubblica
Pag. 24
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Pensioni d'oro la proposta Boeri tenta il governo ma ora il dossier resta
chiuso
Un taglio del 10% sugli assegni oltre i 3 mila euro farebbe incassare ogni anno 4 miliardi
VALENTINA CONTEc
ROMA. Sarà l'anno della sforbiciata alle pensioni d'oro? «Quando verrà il momento, faremo discussioni su
tutto», si è lasciato sfuggire ieri Giuliano Poletti, uscendo dal convegno sull'occupazione organizzato dal Pd a
Torino. Il ministro del Lavoro non esclude dunque che la proposta di equità, battezzata così dall'economista
Tito Boeri prima di diventare presidente Inps, possa essere esaminata dal governo. Sarà dura però.
«Mi sento di escluderlo», aveva detto il premier Renzi nella conferenza stampa di fine anno. Aggiungendo
che «la leadership è mettersi accanto persone più brave di se stessi», come nel caso di Boeri. Ma «questo
non vuol dire che le loro idee diventano programma di governo».
Pietra tombale? Non secondo Poletti, ben conscio che se la riforma Fornero non cambia «rischiamo un
problema sociale». E che «uno strumento flessibile» per chi è vicino alla pensione ed è senza reddito, in
quanto esodato o licenziato, è ormai ineludibile.
Dove trovare i soldi? La proposta di equità di Boeri, ad esempio, potrebbe garantire 4 miliardi all'anno. Lo
ricorda lo stesso professore della Bocconi, in un'intervista andata in onda domenica scorsa nella puntata di
Presa diretta su Raitre, ma precedente alla sua nomina a numero uno dell'istituto di previdenza. «C'è un
problema di fondo qui», spiega Boeri.
«Nel passato abbiamo fatto promesse previdenziali eccessive. Persone che andavano in pensione a 404243 anni, in condizioni di salute ottime, potendo continuare a lavorare. E alle quali abbiamo garantito
pensioni piene, cioè molto più di quanto avevano versato. Il peso di tutto questo l'hanno pagato e lo pagano i
giovani. Un'iniquità pazzesca». Ecco dunque la proposta «per ridurre almeno in parte l'iniquità». Introdurre un
prelievo «del 20-30%» sulla sola differenza tra l'assegno pieno e i contributi versati. In totale, spiega Boeri, un
sacrificio «al massimo del 10% e riservato alle pensioni più alte, diciamo dai tremila euro in su al mese».
Poletti ci pensa, Renzi non vuole. Che farà Boeri?
Foto: AL GOVERNO Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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IL PUNTO VALENTINA CONTE
08/02/2015
La Repubblica
Pag. 24
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Ecco le prime stime di quanto si perde con l'anticipo costi ancora più alti rispetto a chi investe in un fondo I
confronti di Progetica a parità di reddito. Manca ancora un decreto attuativo
VALENTINA CONTE
ROMA. Optare per il Tfr in busta paga, dal prossimo primo marzo, può costare caro. Il 40% in meno di
ricchezza futura, se si scelgono i soldi subito anziché lasciarli in azienda. Addirittura tra due e tre volte in
meno, se si rinuncia al fondo pensione. Anche per questo, la misura inserita dal governo Renzi nella legge di
Stabilità rischia il flop. In ogni caso, nelle più rosee previsioni, l'auspicato impatto sui consumi non andrà oltre
lo 0,1%. L'ufficio parlamentare di Bilancio, nella sua analisi della Finanziaria 2015, lo scrive chiaro: solo 2,7
miliardi dei possibili 4 miliardi richiesti verrebbero consumati. Il restoa bollette, rate, tasse.
Se dunque pure il caos burocratico fosse superato in tempo utile (manca ancora il decreto attuativo della
norma a pochi giorni dalla sua entrata in vigore), i lavoratori ci penseranno bene. Primo, perché non si tratta
di risorse extra (come il bonus da 80 euro), ma di soldi propri, di fatto un trasferimento di patrimonio.
Secondo, perché le tasse sono più alte (l'anticipo è soggetto agli scaglioni ordinari Irpef e non alla più
conveniente tassazione separata riservata alla liquidazione futura). La relazione tecnica alla legge di Stabilità
quantifica queste entrate extra in 2,2 miliardi quest'anno e 2,7 il prossimo. Denari che andranno a
compensare l'Inps, per i mancati incassi del Tfr dalle aziende più grandi, sopra i 50 addetti. Terzo motivo,
perché ci si perde.
Basta guardare ai conti fatti per Repubblica da Progetica.
Un trentenne che oggi guadagna mille euro netti al mese, può certo avere 2.800 euro nei prossimi 40 mesi
(dal primo marzo al 30 giugno 2018). Ma rinuncia a 4.500 euro futuri, ottenuti lasciando i soldi in azienda,
oppure ad 8 mila euro, destinando il Tfr alla previdenza integrativa. Peggio ancora per un quarantenne con
busta paga da duemila euro: incassa circa 5.500 euro in poco più di tre anni, da qui al 2018, ma rinuncia nei
due casi a 9.200 e addirittura 13.600 euro. Un cinquantenne con salario da 2.500 euro, porta a casa oltre 7
mila euro ora grazie all'idea del premier Renzi, sacrificando però oltre 11 mila e 13 mila euro, nei due casi
(azienda e fondi), quando dovrà andare in pensione. E le perdite future, avverte Progetica, potrebbero essere
anche più ingenti, se la speranza di vita del lavoratore fosse più ampia di quella stimata dall'Istat (nei tre casi,
paria 22, 21 e 20 anni, con età della pensione a 67 anni). Augurabile.
Il possibile flop della misura non è d'altronde legato solo al mero ed ovvio calcolo delle convenienze
personali. Ma anche ad alcuni dati di fatto. Se, come scrivono gli esperti dell'ufficio parlamentare di Bilancio,
almeno un terzo dei più bisognosi saranno tentati (redditi bassi e difficoltà di reperire credito), tra questi non vi
saranno i giovani precari. I cocopro non hanno Tfr, i contratti a tempo determinato sono abituati a ricevere la
liquidazione ad ogni cambio di contratto. E questo purtroppo avviene spesso. Chi ha già optato per i fondi è
fuori.
Come pure gli statali. L'operazione è poi irreversibile: si sceglie ora, si incassa fino al 30 giugno 2018, senza
possibilità di rinunciarvi. In aggiunta, problemi di liquidità e contabilità per le aziende (soprattutto piccole).
Infine, il segnale contraddittorio a giovani e famiglie: dopo aver caldeggiato il secondo pilastro per integrare
magre pensioni, ora si spinge al consumo. Non solo, si aumentano anche le tasse sui fondi pensione
(dall'11,5 al 20%).
Un capolavoro. AZIENDA O BUSTA PAGA
-37% MILLE EURO AL MESE Per un trentenne il costo di avere oggi il Tfr è del 37% rispetto a lasciarlo in
azienda
-41% DUEMILA EURO AL MESE Per un quarantenne il costo dell'anticipo del Tfr sale al 41 per cento
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Tfr in busta paga, rischio flop chi non lo lascia in azienda rinuncia al 40
per cento
08/02/2015
La Repubblica
Pag. 24
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
-37% TREMILA EURO AL MESE Per un cinquantenne il costo dell'anticipo del Tfr si aggira sul 37 per cento
Meglio il Tfr in busta paga o in un fondo pensione? (fondo pensione linea bilanciata)
Maggior rendita vitalizia in pensione
31 euro
70 euro
2.800 euro
137 euro
5.480 euro
181 euro
7.240 euro
8.184 euro +192%
54 euro
13.608 euro +148%
56 euro
13.440 euro +86% FONTE: Progetica mese durata 3 anni e 4 mesi > 22 anni TOTALE 30enne, 1.000 euro
netti mensili Tfr netto in busta paga oggi mese durata 3 anni e 4 mesi > 21 anni TOTALE 40enne, 2.000 euro
netti mensili Tfr netto in busta paga oggi Maggior rendita vitalizia in pensione mese durata 3 anni e 4 mesi >
20 anni TOTALE 50enne, 2.500 euro netti mensili Tfr netto in busta paga oggi Maggior rendita vitalizia in
pensione
Foto: AL GOVERNO Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan
08/02/2015
La Repubblica
Pag. 52
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Paolo Prodi
Fratello maggiore di Romano è cresciuto in una grande famiglia vivendo la guerra e appassionandosi alle
vicende centenarie della chiesa I ricordi di una vita di studi, viaggi e bilanci sul sacro "C'era troppa violenza
nella politica per questo ho scelto di fare lo storico"
ANTONIO GNOLI
DI PAOLO Prodi (fratello maggiore del più noto Romano) colpiscono due cose: l'ossessione con cui ha
inseguito e studiato le relazioni tra il potere e il sacro e il fatto che sia rimasto, malgrado ciò, un uomo felice.
Una felicità leggera, contagiosa, che neppure i recenti malanni hanno seriamente scalfito. Nella grande casa
bolognese dove vive si aggira con una lentezza dovuta ai postumi di un blocco renale che lo ha costretto a
passare parte delle feste natalizie in ospedale. «In quei giorni pensavo alla cosa più ovvia: alla vita che è un
bene prezioso che va difeso. Ma riflettevo altresì sul nostro destino collettivo.
Sulle malattie che stanno aggredendo l'Occidente». Ecco dunque il professore di storia. L'uomo che ci ha
regalato dei libri importanti, aggiungerei bellissimi, come quelli dedicati al "sacramento del potere", alla storia
della giustizia, e al furto in Occidente (tutti pubblicati da il Mulino).
Terzo di nove fratelli, sposato con quattro figli, Paolo Prodi esprime nei riguardi della famiglia non solo i
doveri del buon cattolico ma anche il senso di una genealogia, di una storia, per meglio dire, tutta italiana:
«Le nostre radici affondano nel tardo Quattrocento quando un Tunin Prodi zappava la terra arida e dura
dell'Appennino». Andò avanti per quanto tempo? «Fino a quando la fame non fece capire a mio nonno
contadino di scendere in pianura. Era già la fine dell'Ottocento. Mio padre fu il primo che poté studiare e
laurearsi alla scuola di ingegneria di Bologna».
Fu un salto sociale notevole.
«Arrivò dopo decenni di sofferenze e ristrettezze. Di certe famiglie si tende a vedere l'aspetto dinastico;
quella mia è invece una storia italiana di crescita lenta e difficile, la stessa che avrei visto realizzata nell'Italia
degli anni Sessanta. Abitavamo a Reggio Emilia, dove mio padre era impiegato. Il suo stipendio non bastava.
Giovanni, il più grande dei fratelli, durante l'università lavorava per permettere a noi più piccoli di studiare».
Giovanni era un matematico.
«Andò in cattedra prima dei trent'anni perché aveva risolto un teorema. Da bambino avevo una certa
soggezione dei fratelli più grandi. Avevamo legami stretti, ma al tempo stesso intuivamo che ognuno avrebbe
scelto la sua strada. Il che non impedì delle preferenze. Giorgio, oggi medico e scrittore, il più laico, mi
indirizzava durante il liceo nelle letture: alcuni testi di filosofia e poi i romanzi di Dostoevskij. Fu una
rivelazione per me che avevo fino a quel momento letto Angelo Tasca sul fascismo e, quando uscì nel 1948,
la prima edizione dei Quaderni di Gramsci».
Non erano letture amene, diciamo prevedibili, per un ragazzo.
«Ero preso dalla politica. Come stregato. E di riflesso amavo i libri che ne parlavano. A 14 anni avevo
conosciuto Giuseppe Dossetti. Fu uno degli incontri fondamentali. Quando in anticipo di quasi due anni presi
la maturità Dossetti mi mandò a studiare alla cattolica di Milano. La guerra era alle spalle e con essa i drammi
che avevo vissuto».
Quali in particolare? «A 13 anni, nel 1945, vidi uccidere il mio parroco accusato dai partigiani di
collaborazionismo con i tedeschi. Vidi le morti di alcuni amici più grandi. Partigiani cattolici come Giorgio
Morelli e Mario Simonazzi.
Chi ricorda più i loro nomi? Morelli faceva un giornale a Reggio. Gli spararono sei colpi di pistola.
Sopravvisse per un po'. Non ce la fece. Morì l'anno dopo, nel 1947, nel sanatorio di Arco dove lo avevano
portato».
Che cosa ne ha concluso? «Che la sinistra non ha saputo fare i conti con quel passato. Furono molto difficili i
rapporti con la componente comunista. A Reggio e dintorni si respirava un clima di violenza, di omertà, di
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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intervista r cult / Straparlando.
08/02/2015
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paura. Molte cose che accaddero in quel periodo sono ingiustificabili. Ricordo che andavo dai cugini a
prendere il latte. E la sera ci riunivamo nelle stalle a discutere. Volevamo una società più giusta. E c'era chi
per ottenerla attendeva la rivoluzione. Era questa la vera spaccatura».
Lei come la risolse? «Non la risolsi. Davanti al bivio in cui mi trovai scelsi». Bivio tra cosa? «Tra la politica e il
mestiere dello storico. Scelsi quest'ultimo. Dopo la laurea, nel 1956, andai un periodo a Parigi nel centro che
Jacques Maritain aveva fondato. In seguito entrai in contatto con quelli che sarebbero divenutii miei due
maestri: Delio Cantimorie Hubert Jedin, quest'ultimo insegnava storia della Chiesa a Bonn».
Come conobbe Cantimori? «Fu Dossetti a favorire l'incontro. Avevamo letto sulla rivista Società una
recensione di Cantimori al libro di Jedin su Riforma cattolica e Controriforma. Era interessante perché
diversamente dalla vulgata crociana si coglievano nel mondo cattolico secentesco una serie di fermenti e di
novità che erano stati trascurati». Cioè il giudizio sulla controriforma non si esauriva come reazione al mondo
di Lutero? «Esattamente. La questione appariva più complessa. Anche agli occhi di un marxista come
Cantimori.
Ad ogni modo, dopo Parigi, vinsi una borsa di studio per Bonn».
Parigi era, tra le tante cose, anche il regno delle "Annales".
«Il gruppo di storici che si raccolse attorno a quella rivista fu straordinario. Lessi allora per la prima volta
Marc Bloch che era stato fucilato dai tedeschi nel 1944 come uno dei capi della resistenza. Il suo libroI re
taumaturghi fu alla base della grande rivoluzione storiografica. Poi nel 1958 lessi un bellissimo articolo di
Braudel sul concetto di "lunga durata". Pensai alla visione grandiosa dello storico che analizza i fatti
riconducendoli in quel grande fiume sociale che attraversa mondi ed epoche diverse. Mi pareva di stare in un
meraviglioso romanzo. Peccato che quella visione trascurasse la storia delle istituzioni».
Interpretavano cosa accadeva nella società.
«È vero. Ma ogni società si regge sulle istituzioni.
Non può farne a meno. E qui tornava utile la lezione di Cantimori, ma soprattutto quella di Jedin».
Cantimori era anche consulente dell'Einaudi e provò a bloccare la pubblicazione di Mediterranee di Braudel.
«Senza riuscirci, per fortuna. Certo, alcune tesi non erano condivisibili. Ma il libro di Braudel era un grande
affresco storiografico. Come si poteva ignorare? D'altra parte gli anni che passai in Germania sotto la guida di
Jedin mi convinsero che per comprendere la modernizzazione dell'Occidente, e in particolare dell'Europa,
occorresse analizzare la relazione tra il potere e il sacro».
Da cosa le veniva questa convinzione? «Principalmente dal fatto che occupandomi dello stato pontificio mi
ero interessato al rapporto tra potere temporale e spirituale».
Ma non era questo rapporto che la modernità aveva messo in discussione? «Su questo aspetto bisogna
essere chiari. La grandezza dell'Occidente è consistita nel non espellere il sacro dal suo orizzonte. Ha
imparato a tenerlo a bada senza scacciarlo. Si è creata così una tensione fra i due poli - cioè fra il sacro e la
politica - che ha reso possibile la resistenza agli abusi stessi del potere. E ha permesso tra l'altro la nascita di
un terzo potere: il potere economico. La modernità si è sviluppata grazie alla fibrillazione di questi tre poli».
Modernità e Occidente sono oggi in crisi. Perché? «La ragione principale, secondo me, è nella caduta del
sacro. È sempre meno un polo di quella dialettica che fu indispensabile alla idea stessa di sovranità. Per
secoli l'Occidente era riuscito a non far prevalere né l'uno né l'altro».
E poi cosa è accaduto? «Abbiamo avuto la crisi degli Stati sovrani, il predominio del grande capitale
finanziario senza fissa dimora, e il consumismo come modello antropologico. Il combinato di questi tre
elementi ha rotto gli argini della modernità. Ha svelato le debolezze dell'Occidente». È in queste debolezze
che si è inserito l'Islam? «L'Islam, spesso lo si dimentica, è un'eresia del cristianesimo». In che senso?
«Proviene da lì. Ma non ha mai affrontato la modernità. E rifiutando l'idea di Chiesa ha escluso nella propria
storia secolare la possibilità di sviluppare quel dualismo che è stato alla base del cristianesimo occidentale».
Con quali conseguenze? «Quella più vistosa è che l'Islam - lo si vede nelle frange più estreme e aggressive non ha mai distinto il sacro dalla politica. Ciò cheè sovranoe per sua stessa natura sacro».
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La religione come arma? «Una religione che non ha attraversato la modernità. E il cui richiamo al
trascendente è un lamento contro il potere del consumo che ormai domina nel mondo occidentale».
Anche nel cristianesimo ci sono elementi di critica al capitalismo e al consumismo.
«È vero, ma è pur sempre dentro una dialettica tra poteri distinti. Questo mi fa venire in mente gli anni
Sessantae come, io cattolico di sinistra, mi posi di fronte alla teologia della liberazione».
Come si pose? «È una parte della mia vita un po' strana. Durante il Concilio Vaticano II avevo fatto amicizia
con un uomo straordinario: Ivan Illich. Andai a trovarlo Cuernavaca, in Messico, dove viveva. La nostra
fantasia ci aveva spinto a immaginare un cristianesimo meticciato, che tenesse conto anche delle altre
esperienze. Con il suo aiuto volevo mettere in piedi in Brasile un istituto similea quello che Dossetti aveva
creatoa Bologna. Mi scontrai con la teologia della liberazione. Vedevo con una certa preoccupazione
confondersi ideologia e religione». Quanto meno reagivano alle dittature latino americane.
«È vero, gran parte degli esponenti della teologia della liberazione finì in galera. Qualcuno ucciso. Ma per un
europeo non poteva essere una risposta valida». Questo suo impegno come si conciliava con l'attività
accademica? «Coesistevano. Avevo insegnato a Bologna. Poi fui chiamato a Trento con il compito di
trasformare una facoltà di sociologia in una vera università».
Trento era una delle roccaforti della contestazione.
«La spinta sessantottina si era esaurita. Volevo creare una università pubblica ma non statale. Una
università, vista la posizione geografica, italo-tedesca. Ma i tedeschi rifiutarono».
Perché? «Dissero semplicemente: keine mischung , nessuna mescolanza. Ho fatto il rettore per tre anni e
per altri 25 il direttore dell'istituto storico italo germanico».
Illich lo ha più rivisto? «Quando fu chiamato a insegnare all'università di Brema andai a trovarlo. Capitava
che mi invitasse per qualche seminario; come del resto facevo io. L'ospitavo qui a casa. Portava con sé un
sacco a pelo. Gli ultimi due anni della sua vita furono terribili. Devastati da un tumore. Per lenire il dolore
fumava oppio. Ricordo l'ultimo seminario a Trento. Oltre me e Illich c'era Alexander Langer. Discutevamo sull'
homo monolingus . Eravamo in una stanzetta. A un certo punto sembrava una fumeria. Povero Ivan, era
fantastico su quel suo ragionare attorno alla lingua. Mi manca».
Cosa prova? «Le grandi amicizie sono come i ponti: ti permettono di attraversare territori che da solo non ce
la faresti. Sono nell'età dei resoconti. Mi guardo indietroe vedo che tipo di traiettoria è stata la mia. Vedo la
mia famiglia. Una tribù composta da un centinaio di persone tra figli, nipoti e fratelli. Dopo che è morto
Giovanni è come se si sia rotto qualcosa. A volte mi consolo passando un po' di tempo al pianoforte. È stata
la mia passione. L'ho studiato. Ma devo ammettere che sono un cane».
La musica ha un rapporto con il sacro? «Quando ascolto La passione secondo Matteo di Bach non è
possibile non pensare a quella relazione. Ho quattro figli: il terzo insegna pianoforte; altri due diplomati in
violino. Illich mi disse che avevo fatto studiare musica ai miei figli come ribellione alla scuola.
Non lo so. Però penso che la musica sia un linguaggio universale e c'è un rapporto maestro allievo che
altrove si è perso. Sono un pianista fallito. Ma i ricordi con la mia maestra di pianoforte sono stupendi».
Avere un passato da ricordare è bello. E il futuro? «Il futuro non è più quello di una volta, il primo a dirlo mi
pare fu Valéry. L'eclisse del sacro ha portato all'eclisse delle aspettative.È cresciuta la sofferenza psichica e
la tristezza. Resto però un uomo occidentale».
Si può ancora avere fiducia nell'Occidente? «Il mondo si disintegra e si ricompone. Bisognerà vedere su
quali basi. Se quelle "neoconfuciane" dove ciascuno ha un suo posto fisso, e ho l'impressione che qui si
riproducano le caste, oppure se la coscienza individuale ritroverà la forza di progettare una nuova società,
con la sua parte di utopia».
LE TAPPE LA FAMIGLIA Figlio di Mario, ingegnere, e Enrica, maestra elementare, è terzo di nove fratelli.
Romano è stato Presidente del Consiglio, Giovanni, Vittorio, Franco e Giorgio sono stati docenti universitari
di matematica, fisica e oncologia LA POLITICA Ciriaco De Mita lo volle responsabile culturale della
Democrazia Cristiana, poi scelse di seguire Leoluca Orlando nel movimento La Rete, con cui si candidò nel
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1992. Un anno dopo si allontanò dal partito in contrasto con Orlando L'UNIVERSITÀ Studi di scienze politiche
a Milano, si è perfezionato a Bonn, ha insegnato Storia moderna a Trento, dove è stato rettore e preside, poi
a Roma e a Bologna. È stato membro dell'Accademia dei Lincei e presidente della Giunta storica nazionale
I SAGGI Tra i fondatori della casa editrice e dell'associazione Il Mulino, ha scritto saggi sul Concilio di Trento,
Una storia della giustizia, Il Sovrano Pontefice, Settimo non rubare. Furto e mercato nella storia
dell'Occidente (Il Mulino)
Foto: DISEGNO DI RICCARDO MANNELLI
Foto: LA BIOGRAFIA Paolo Prodi è uno storico e docente universitario italiano, nato a Scandiano il 3 ottobre
1932. Tra i fondatori del Mulino, ha insegnato nelle università di Trento, Roma e Bologna, ed è stato
presidente della Giunta Storica Nazionale e membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei
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Conti in Svizzera, ecco l'elenco tra re e star anche 7mila italiani
GIANLUCA DI FEO LEO SISTI
UNSISTEMA opaco, che in alcuni casi ha esplicitamente aiutato i protagonisti dei traffici più biechi e gli
evasori fiscali, permettendogli di nascondere capitali colossali nei forzieri svizzeri. Dopo voci e smentite la
celebre lista Falciani viene finalmente resa nota: si tratta dell'elenco di quasi 100mila clienti di tutto il mondo
che avevano affidato circa cento miliardi di dollari alla banca Hsbc. ALLE PAGINE 12 E 13 UN sistema
opaco, che in alcuni casi ha esplicitamente aiutato i protagonisti dei traffici più biechi e gli evasori fiscali,
permettendogli di nascondere capitali colossali nei forzieri svizzeri. Dopo voci e smentite la celebre lista
Falciani viene finalmente resa nota: si tratta dell'elenco di quasi 100 mila clienti di tutto il mondo che avevano
affidato circa cento miliardi di dollari alla banca Hsbc. L'esame del database realizzato dal network di
giornalismo Icij, che verrà pubblicato in Italia da l'Espresso , è un atto d'accusa ai metodi più spregiudicati
della finanza offshore. Perché tra i correntisti ci sono uomini che si sono arricchiti grazie alle dittature, al
commercio di armi e di "diamanti insaguinati", ci sono politici di moltissimi paesi e soprattutto una sterminata
lista di imprenditori sospettati di evasione fiscale: solo gli ispettori britannici ne hanno individuati 3600.
Solo i cittadini italiani compresi nella lista sono più di settemila, con quasi sei miliardi e mezzo affidati
all'istituto fino al 2008. Anche a livello internazionale, moltissimi i nomi noti: dalla top model australiana Elle
MacPherson agli attori Christian Slater, John Malkovich e Joan Collins; dal re di Giordania Abdullah II al
monarca del Marocco Mohammed VI; dal nobile arabo Bandar Bin Sultan al principe del Bahrain Salman bin
Hamad al Khalifa; dai piloti di Formula Uno Fernando Alonsoe Heikki Kovalainen ai cantanti Phil Collins e
Tina Turner.
L'operazione "Swissleaks" porta la firma del network di Washington International Consortium of Investigative
Journalists (ICIJ): lo stesso team di giornalismo investigativo che ha smascherato i meccanismi usati dal
Lussemburgo per concedere tasse ridotte alle società di mezzo mondo, facendo finire sotto accusa il
presidente della Commissione Ue Jean-Claude Junker. Questa volta si tratta invece dei documenti raccolti da
Hervé Falciani, un funzionario italo-francese di Hsbc. Nel 2008 la banca svizzera lo ha accusato di avere
sottratto le informazioni, ma il suo arresto in Costa Azzurra su richiesta delle autorità svizzere si è trasformato
in un clamoroso autogol: Falciani ha collaborato con i magistrati francesi e consegnato gli elenchi dei conti.
Materiali analizzati adesso da Icij che per portare avanti le verifiche ha coinvolto più di 140 giornalisti di 45
testate: tra queste Le Monde , Guardian , Bbc , Suddeutsche Zeitung e, per l'Italia, l'Espresso .
L'esame dei conti mostra come all'ombra dell'anonimato garantito da Hsbc, politici inglesi, russi, ucraini,
indiani, tunisini o egiziani hanno curato affari d'ogni genere. Ci sono numerosi conti di Rami Maklouf, cugino
del presidente siriano Bashar al Assad considerato la mente finanziaria del regime di Damasco. Rachid
Mohamed Rachid, ministro egiziano del Commercio con l'estero, scappato dal Cairo durante la rivolta contro
Mubarak, aveva 31 milioni di dollari. Ingenti i depositi di Gennady Timchenko, miliardario e amico intimo dal
presidente russo Vladimir Putin, finito nella lista nera delle sanzioni americane dopo la crisi ucraina. E c'è un
deposito perfino riconducibile a Li Xiaolin, figlia dell'ex primo ministro cinese Li Peng che fu protagonista della
repressione di piazza Tienammen.
Molti i capitoli neri della lista. Include almeno duemila commercianti di pietre preziosi, tra cui alcuni broker
che si ritiene abbiamo trafficato quei "diamanti insanguinati" usati per finanziare le guerre africane.
In un caso i documenti mostano come i funzionari della banca fossero a conoscenza dei sospetti. Nel file di
Emmanuel Shallop, successivamente condannato per questi traffici, annotano: «Abbiamo aperto un conto per
lui basato a Dubai... Il cliente è molto cauto attualmente perché sente la pressione delle autorità belghe per le
sue attività nelle frodi fiscali sui diamanti». Avevano conti alla Hsbc pure faccendieri accusati di avere fornito
armi per i massacri in Liberia e una serie di mediatori coinvolti nelle indagini per il pagamento di tangenti sulle
vendite di sistemi bellici sofisticati. Ci sono addirittura depositi intestati agli esponenti di una Ong saudita
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ARMI E DIAMANTI: SU L'ESPRESSO I SEGRETI DELLA HSBC
09/02/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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indicata tra i finanziatori di Al Qeada. I vertici di Hsbc hanno inizialmente intimato al network giornalistico di
distruggere tutti i dati. Poi, davanti alla mole di elementi scoperti dai cronisti, l'istituto ha riconosciuto che «la
cultura e gli standard dei controlli erano molto più bassi di quanto avviene oggi. La banca ha intrapreso passi
significativi per aumentare le verifiche e respingere i clienti che non rispettano i nuovi parametri». Resta però
il problema della finanza oscura, che muove i capitali nel mondo per sottrarli ai controlli di ogni tipo. Di fronte
alle rivelazioni di Swissleaks, l'economista Thomas Piketty ha sottolineato: «L'industria off-shore è la
maggiore minaccia per le nostre istituzioni democratichee per le basi del nostro contratto sociale. L'opacità
finanziaria è uno degli elementi chiave delle diseguaglianze».
La lista Falciani sui conti di Hsbc 81.458 conti di 106.458 clienti per un totale di 102 miliardi di dollari Belgio
3003 conti 6,2 miliardi Brasile 8660 conti 7miliardi Francia 9198 conti 12,4 miliardi Israele 6571 conti 10
miliardi Italia 7463 conti 7,4 miliardi Libano 2972 conti 4,8 miliardi Paesi Bassi 649 conti 4,6 miliardi
Lussemburgo 259 conti 2,8 miliardi Germania 2096 conti 4,4 miliardi Turchia 3105 conti 3,4 miliardi Arabia
Saudita 1508 conti 5,8 miliardi Spagna 2688 conti 2,3 miliardi Emirati Arabi Uniti 1124 conti 3,4 miliardi Stati
Uniti 4491 conti 13,6 miliardi Venezuela 1138 conti 14,7 miliardi Regno Unito 8828 conti 21,7 miliardi di
dollariL'INCHIESTA
GIORNALISTI E INVESTIGATORI Le nuove rivelazioni sulla lista Falciani si possono leggere sul sito
dell'Espresso, che fa parte del Consorzio internazionale di giornalisti investigativi Icij per cui lavorano
un'ottantina di giornalisti appartenenti a trenta testate
Russia 704 conti 1,7 miliardi Siria 684 conti 1,2 miliardiI VIP
RE, MODELLE E SPORTIVI Tra i correntisti della banca svizzera Hsbc ci sono la supermodella Elle
MacPherson, il re del Marocco Mohammed VI, il pilota di Formula Uno, Fernando Alonso (nelle foto dall'alto
in basso). I conti rivelati sono circa 100 mila su cui sono depositati circa 100 miliardi di dollari. I clienti italiani
sono circa settemila
Foto: COLOSSO Hsbc è uno dei più grandi gruppi bancari del mondo. La sua sede è a Londra.
I conti rivelati nel 2009 dal tecnico informatico Hervè Falciani sono quelli di circa 100 mila depositi in
Svizzera
09/02/2015
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Ucraina, la sfida di Kerry "Soluzione diplomatica ma Putin accetti la
sovranità di Kiev"
CHUCK TODD
SEGRETARIO Kerry, alla conferenza di Monaco il vicepresidente Biden ha detto che gli Stati Uniti avrebbero
fornito assistenza all'Ucraina. Nelle sue parole c'era un'accusa implicita su ciò che la Russia sta facendo.
Quand'è che gli Stati Uniti forniranno più assistenza e artiglieria pesante all'Ucraina? «Non posso dire con
precisione ciò che sarà fornito, ma non ho dubbi che all'Ucraina saranno destinati ulteriori aiuti, di natura
economica e non solo. Lo facciamo perché ci rendiamo conto che non esiste una soluzione militare. La
soluzione è politicae diplomatica, ma il presidente Putin deve accettare un'offerta. Noi siamo impegnati a
difendere a qualsiasi costo la sovranità e l'integrità dell'Ucraina».
Ritiene che il presidente Putin si stia comportando in maniera razionale? «Non ho intenzione di parlare di
carattere. Putin sta lasciando alla comunità globale un'unica alternativa: continuare a imporre nuove sanzioni
o fornire ulteriori aiuti all'Ucraina. Mi auguro che a un certo punto si renda conto che non sta solo
danneggiando l'ordine mondiale, ma sta anche creando enormi danni alla Russia. Sono convinto del fatto che
con il tempo ciò si ritorcerà contro di lui, e contro la Russia.
Sta giocando la carta del nazionalismo, ma la gente in definitiva vuole solo vivere una vita migliore».
Cambiamo scenario: a che punto sono gli Usa nel cammino verso l'obiettivo di indebolire e in ultima istanza
distruggere l'Is? «Siamo sulla buona strada. Ne sono assolutamente convinto. La coalizione è forte e più
determinata che mai, in particolare all'indomani dell'uccisione del pilota giordano. Il 22% delle zone popolate
in mano all'Is sono già state riprese solo con gli sforzi dell'esercito iracheno, che è stato riaddestrato e messo
nelle condizioni di riprendersi alcuni territori. Abbiamo fatto fuori una parte significativa della dirigenza dell'Is.
Le loro strutture sono state attaccate e non sono più in grado di comunicare apertamente come prima, né
possono più spostarsi in convogli come facevano prima. Rimane ancora molto da fare. Lo abbiamo detto sin
dall'inizio: questa è un'operazione che richiede tempo.
Ma siamo convinti che tutto si stia muovendo nella giusta direzione».
Non tutti concordano sul fatto che gli Usa stiano f a c e n d o abbastanza. Il capo della provincia curda in
Iraq, Barzani, ha detto di aver bisogno di maggiori aiuti. Qual è la sua risposta? «La parola chiave non è
"velocemente".
Barzani ha detto che la situazione con il tempo si risolverà. E noi abbiamo più volte sostenuto che ci vorrà
del tempo. Il fatto è che l'esercito iracheno deve essere rimesso in piedi. Per vincere questa guerra occorrono
truppe di terra, ed è chiaro che non saranno americane né europee. Saranno truppe irachene. È ciò che gli
iracheni vogliono. Tuttavia, non sono ancora pronti a passare all'azione: per loro sarebbe un grave errore
muoversi prima di essere pronti. Comprendo dunque l'impazienza di Barzani. I peshmerga si sono dimostrati
particolarmente coraggiosi e audaci; noi abbiamo fornito loro enormi quantità di munizioni e armi.
I nostri alleati stanno facendo altrettanto». Ma non è stata proprio la pazienza, l'attesa prolungata, a
permettere all'Is di affermarsi? È perché non abbiamo reagito con sufficiente prontezza che adesso paghiamo
il prezzo? «L'Is è riuscito a prendere piede in Iraq soprattutto perché l'esercito era diventato un'entità settaria
e perché purtroppo nelle zone sunnite non vi erano abbastanza persone in grado di tenergli testa. Vi sono
dunque molte ragioni per le quali oggi ci troviamo dove ci troviamo. Dobbiamo renderci conto però che sin dal
primo istante ci siamo dati da fare per sostenere l'Iraq e mettere insieme una coalizione».
Parliamo del nucleare iraniano. Gli Usa vogliono una soluzione "tutto o niente", o esiste anche la possibilità
di accettare temporaneamente l'attuale status quo ? «L'unico caso in cui riesco ad immaginare che si possa
accettare una proroga dell'attuale status quoè se si stabiliscono i dettagli di un accordo. Se nelle prossime
settimane non riusciremoa stabilirei punti fondamentali che devono essere fissati, credo sarà impossibile
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Stati Uniti L'intervista Parla il segretario di Stato americano "Non crediamo esista una via militare la Russia
deve dire sì alla nostra offerta le sue scelte danneggiano l'ordine mondiale"
09/02/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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prorogarlo». (Copyright Nbc)
LA CRISI CON L'IRAN
"Se non arriveremo ad un accordo sulla questione nucleare, non potremo più tollerare lo status quo
LA LOTTA ALL'IS
"Siamo sulla buona strada però tutti devono sapere che questa è un'operazione che richiede tempo
PER SAPERNE DI PIÙ www.nbcnews.com www.cnn.com
Foto: IN FUGA A Debaltsevo, Ucraina orientale, i residenti cercano la salvezza scappando con gli autobus
Nella foto in basso il segretario di Stato Usa John Kerry
09/02/2015
La Repubblica
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"Basta con i nominati, servono le preferenze"
Finora nelle trattative si è visto solo il modello Verdini. Ora è il momento del confronto fra leader
UMBERTO ROSSO
ROMA. «Niente capilista bloccati, ma preferenze: è l'unico antidoto vero al populismo. Settanta per cento di
candidati eletti con questo sistema, ai partiti al massimo un trenta per cento di nominati».
Onorevole Boccia, che fa, torna sul luogo del delitto? Questa proposta, presentata dal senatore Gotor, è
stata bocciata in Senato.
Anche dal suo partito, il Pd.
«Riprendiamola quella discussione, cheè stata strozzata. Perché pensa a tutti gli italiani e non ai destini
personali.E perché, dentro il partito, fa sentire tutti a casa».
Però per Renzi la legge elettorale è quella uscita dal Senato, esclude modifiche. «Io penso che in cuor suo
anche il segretario vorrebbe le preferenze.
Una serie di circostanze l'hanno spinto su un'altra strada. Ora magari le circostanze sono cambiate. Renzi
sia fermo nel chiedere il rispetto dei tempi ma anche umile nel sapere ascoltare ancora».
Il patto del Nazareno si è rotto e quindi si può rimettere mano all'Italicum? «Io dico che finora nelle trattative
sulla legge elettorale dall'altra parte del tavolo siè visto solo il modello targato Verdini. Adesso, siccome a
quanto pare l'ambasciatore nel suo partito è finito sconfessato, è arrivato il momento di un confronto diretto
fra i leader».
Si sono aperti nuovi spazi? «Ho l'impressione di sì». A dispetto dei tamburi di guerra, Renzi e Berlusconi a tu
per tu per riparlare delle preferenze? «Il segretario del Pd, il leader di Forza Italia, e anche Beppe Grillo. I
capi delle tre forze più importanti».
Ma quel che teme di più Berlusconi non è proprio un passo indietro sui cento capilista bloccati? «Noi
dobbiamo approvare una legge elettorale che durie resista per 50 anni, non cinque. Ora, Berlusconi è uno
che conosce bene il consenso diretto, la scelta da parte dei cittadini, quindi le preferenze. Qualsiasi capo
partito lungimirante può benissimo accontentarsi di portare a casa il trenta per cento di fedelissimi eletti.
E poi, potrebbe essere anche interessato per un'altra ragione».
Quale? «Anche su un altro punto si può cambiare l'Italicum. Premio di maggioranza alla lista al primo turno,
e va bene, ma se scatta il ballottaggio allora il premio andrebbe allargato anche alle coalizioni apparentate,
sul modello dei comuni. E messa così credo che il centrodestra non la veda male».
Vuol stravolgere l'Italicum? «No, non va stravolto. Però diciamo la verità: il sistema dei capilista bloccati non
è democratico. Nei collegi, pure se non prende nemmeno un voto, il capolista viene sempre eletto, per effetto
del quorum nazionale. Risultato: 400 nominati e 250, soprattutto dei partiti più piccoli, nel rodeo delle
preferenze».
Foto: MINORANZA PD Francesco Boccia deputato democratico
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L'INTERVISTA/FRANCESCO BOCCIA (PD)
09/02/2015
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"I numeri ci sono, garantisco io"
Tanti amici pronti a venire allo scoperto con l'obiettivo di arrivare alla fine della legislatura
TOMMASO CIRIACO
ROMA. È come se avvertisse in anticipo ogni movimento, ogni sussulto di Palazzo Madama. Il senatore di
Gal Paolo Naccarato non ha dubbi: «Renzi pensi a governare bene e a fare riforme davvero efficaci, che al
Senato ci pensiamo noi. Non avrà problemi di numeri».
Senatore, lei dice: anche se qualcuno si sfila, il governo andrà avanti comunque. Ma come? «Senta, io vivo
al Senato. E posso assicurarle che esiste ormai l'area degli "Stabilizzatori- Orizzonte 2018».
C'è chi parla dei nuovi Responsabili.
«Qui non c'è nessuno che tratta su nulla. Qui c'è una convergenza spontanea e unilaterale di un nutrito
numero di senatori. Sono quelli per i quali viene prima il Paese e poi gli interessi dei partiti».
E chi sono questi stabilizzatori? «Al momento giusto si paleseranno. Tanto più aumenteranno i rischi per
questo governo sui provvedimenti al Senato, tanto più aumenteranno gli stabilizzatori. Per evitare che la
navigazione dell'esecutivo subisca contraccolpi. Renzi tenga solo la barra dritta.
L'importante è che faccia riforme, riforme, riforme. Non solo quella elettorale e quella costituzionale».
Da dove provengono? «Sono amici appartenenti a tutte le opposizioni. E d'altra parte è normale che chi è in
maggioranza veda come fumo negli occhi gli stabilizzatori, perché li spingono verso l'irrilevanza».
Intanto piovono su di voi le prime accuse di trasformismo.
«Le respingo. Piuttosto mi preoccupano quelli con gli occhi rivolti all'indietro. Siamo in un'altra epoca e loro
sono al paleolitico. Ho visto che il mio amico Cicchitto riparla di responsabili. Beh, lui si che se ne intende,
visto che all'epoca era capogruppo».
Sulle riforme ci sono i numeri anche senza Forza Italia? «Certo. E io metto in conto anche eventuali crisi
mistiche di un pezzo del vertice del Ncd. La verità è che ci sono tante prefiche che non si rassegnano all'idea
che abbiamo eletto Mattarella».
Già ai tempi di Letta consigliò a Berlusconi di evitare strappi. Non le diede ascolto. Stavolta lo farà? «Non
credo che Berlusconi abbia rotto con Renzi».
Foto: Paolo Naccarato
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L'INTERVISTA/ PAOLO NACCARATO: RIFORME ANCHE SENZA FORZA ITALIA
09/02/2015
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"Ristrutturare il debito è giusto, li aiuterò"
'è mai andata la Merkel in Grecia mentre l'economia affondava? Ora c'è la favola della ripresa
EUGENIO OCCORSIO
ROMA. Il 20 gennaio 1961 nel suo discorso inaugurale, John Kennedy disse: «Nessuno deve negoziare sotto
la morsa della paura. E nessuno deve aver paura di negoziare». La frase l'aveva scritta John Kenneth
Galbraith, l'economista che di Kennedy fu consigliere. Ce la ripete James Galbraith, che di Kenneth è il figlio
ed è anch'egli un economista di primo piano, docente all'università del Texas dove è collega e grande amico
di Yanis Varoufakis, neo-ministro delle Finanze greco, con il quale ha scritto il libro "Modesta proposta per
uscire dalla crisi dell'euro". «Negli anni '60 si parlava di guerra fredda», dice Galbraith. «Oggi è analogo
l'acerrimo confronto sui debiti e la depressione che flagellano un Paese, la Grecia, che non merita di essere
messo all'angolo. Dalla Merkel, da Draghi, da Bruxelles, da nessuno».
Domani c'è la fiducia a Tsipras. Lei ci sarà? «Sto prendendo l'aereo per Atene. Sarò a fianco di Varoufakis e
lo aiuterò a preparare il progetto per il negoziato: vi rendo noto cheè una delle menti più lucide e brillanti
dell'economia attuale. Come potevano pretendere,i capi europei, che già avesse pronto il contro-piano se le
elezioni sono state convocate in tutta fretta alla fine del 2014? Non è possibile che venga isolato solo perché
rompe gli schemi». Quali schemi? «In questi anni abbiamo visto decine di vertici paludati, in cui con reciproco
compiacimento i capi dell'Europa prendevano atto della crisi e nominavano qualche comitato con l'impegno di
"fare il punto" dopo uno o più mesi. Senza mettere in discussione il mantra reazionario del rientro dal debito
quale unica priorità, l'unico modo per uscire dalla crisi. Intanto la Grecia affondava. Ma la signora Merkel c'è
andata? Ha visto le condizioni in cui vive, anzi ormai sopravvive, la gente? Sento parlare di ripresa, di risultati
conseguiti: ma quale ripresa? Quali risultati? Solo un intervento politico deciso, di rottura, di solidarietà, può
restituire dignità all'Europa. Invece appena Tsipras pronuncia la parola "ristrutturazione del debito" che vuol
dire allungare i tempi, aspettare la risalita del Pil per restituirli, forse concederne qualcuno nuovo, scatta la
tagliola di opposizioni, di minacce, insomma la sindrome della paura. Si devono calmare gli animi per
cominciare un negoziato vero. Ho sentito qualche capo europeo esasperato perché ad ogni cambio di
governo greco si sentono fare proposte nuove e si deve ricominciare daccapo: scusate, ma allora le elezioni
che si fanno a fare? Allora non le facciamo per niente e facciamo governare tutto alla Germania o alla Bce».
Propone qualcosa di simile all'intervento statale con cui l'America è uscita dalla recessione? «L'intelligenza di
Obama non è stata creare nuovi strumenti bensì valorizzare quelli esistenti: social security, Medicare,
Medicaid, sussidi di disoccupazione. Accorgimenti di cui si dotano i Paesi evoluti per affrontare i momenti
difficili. Anche in Europa ce n'erano: con l'ossessione dei debiti li state distruggendo tutti».
Foto: ECONOMISTA James Galbraith insegna all'università del Texas come Yanis Varoufakis
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'INTERVISTA/ JAMES GALBRAITH: VAROUFAKIS VIENE ISOLATO PERCHÉ ROMPE GLI SCHEMI
09/02/2015
La Repubblica
Pag. 17
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Sapevamo tutti cosa stesse accadendo Vedrete: gli indagati
aumenteranno"
MANCATI CONTROLLI Il nuovo datore non verifica: non ha alcun interesse a farlo
FLAMINIA SAVELLI
ROMA. Mario (nome di fantasia) è un ex pilota Alitalia che oggi vola per una compagnia aerea degli Emirati
Arabi.
Eraa conoscenza di quanto facevano i suoi colleghi finiti indagati? «Sapevamo tutti cosa stesse accadendo:
molti lo facevano da anni. Sono certo che il numero degli indagati sia molto superiore ai 36 di oggi. E che non
siano coinvolti solo i colleghi di Alitalia. Già dal 2009 alcuni piloti cassintegrati avevano cominciato a lavorare
fuori dal Paese».
Come crede che sia stato possibile eludere i controlli? «Ogni pilota, anche se non operativo, è obbligato a
effettuare ore di volo e ad aggiornare i brevetti. Per questo è possibile andare all'estero e passare inosservati.
Ma soprattutto, in molti hanno cominciato a svolgere i corsi come insegnanti scegliendo le mete all'estero
perché meglio retribuite».
Secondo la Guardia di Finanza alcuni sarebbero stati assunti e acquisito svariati benefit...
«Il sistema in realtà lo consente, ovviamente dipende dal tipo di contratto di lavoro che può essere
concordato anche solo in base alle ore di volo, e dunque alla compagnia estera non interessa verificare. Di
fatto,i piloti avrebbero dovuto dichiarare la situazione in Italia».
Lei è stato un pilota A l i t a l i a per oltre 15 anni, poi si è trasferito. Come mai? «Quando ho fatto domanda
per la nuova compagnia, nel 2013, in Alitalia si parlava già di nuove liste di cassintegrati. Io sarei stato in
cima alla lista per anzianità. Ma ho una famiglia, due figli piccoli e non potevo rischiare. L'alternativa era fare
come i colleghi finiti nell'indagine della Finanza. Ho preferito andarmene».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'INTERVISTA
09/02/2015
La Repubblica
Pag. 21
(diffusione:556325, tiratura:710716)
OSSERVAZIONI DI TOGLIATTI SUI RAPPORTI CON I PARTITI
MARIO PIRANI
TRA le nostre carte abbiamo reperito due manoscritti di Togliatti, uno rappresenta delle considerazioni, in
forma di domandee risposte, sulla politica dell'allora governo di Unità Nazionale e l'altro è interessante
soprattutto dal punto di vista della propaganda del partito e dei suoi rapporti con la direzione del Pci. Chi non
è abituato alla lettura degli scritti togliattiani, potrà avere un piccolo spaccato di una visione politica di chi
aveva partecipato alla ricostruzione del nostro Paese dopo la guerra.
Il primo dei due documenti contiene risposte manoscrittea sei domande su fogli riciclati, dattiloscritti sul retro,
firmati in calce e datati Venezia, 14 settembre 1946: Che cosa pensa della crisi ministeriale in corso dopo le
dimissioni Corbino? (Corbino era uno dei capi del Partito Liberale allora Ministro del Tesoro, ndr) «Non v'è
una vera e propria crisi ministeriale, mi pare. Si tratta di sostituire Corbino, e non mi pare sia poi cosa così
difficile».
Quale dovrebbe essere secondo il P. C. la politica e l'azione del Ministero del Tesoro? «Applicare il
programma del governo, cioè essere disciplinato al governo stesso, e quindi agli interessi di tutto il paese e
non a quelli dei gruppi plutocratici che, nella loro visione egoistica esclusiva, tentano con tutti i mezzi di
sabotare la ricostruzione nazionale».
È favorevole o meno, il P. C., a una unificazione dei dicasteri Finanze e Tesoro? «Nel momento presente no.
E non solo per ragioni di equilibrio del gabinetto attuale. Soprattutto perché la concentrazione dei portafogli,
oggi, significa chei vari ministri diventano i direttori generali, il contabile generale dello Stato, uomini, cioè che
non hanno responsabilità politiche di fronte al paese». Quali gli attuali rapporti col Partito Socialista?
«Francamente cattivi. Il patto di unità d'azione, di fatto, da alcuni mesi non funziona. È questa del resto una
delle cause per cui le classi lavoratrici hanno visto e vedono diminuire l'efficacia della loro azione». Che cosa
pensa sul movimento comunista d'Italia (dissidenti, internazionalisti)? «Alla sommità, qualche piccolo gruppo
di sbandati e di provocatori, che non possono giocare nessuna parte nella politica, a patto che i partiti operai
sappiano restare uniti e adempiere alla loro funzione di guida delle masse nella lotta per la ricostruzione del
Paese».
Rapporti con la D. C. sono suscettibili di miglioramento nell'ambito della collaborazione governativa? «Mi
pare di sì; ma occorre una cosa: che i dirigenti democristiani liquidino nell'animo loro e nell'ispirazione della
loro condotta il preconcetto spirito anticomunista, che avvelena i rapporti tra noi e loro. Non si può stare al
governo coi comunisti e in pari tempo pensare che i comunisti sono qualcosa come dei banditi, uomini politici
senza fede, antinazionali ecc.O anticomunismo o feconda collaborazione coi comunisti nell'interesse del
popolo, ai democristiani la scelta». Nel secondo manoscritto commenta una proposta di propaganda: «A me
non piace edè proprio il tipo di propaganda che non mi va.
Troppa letteratura, impostazione impressionistica e non di ragionamento logico. Serve per i già convinti che
avran voglia di leggerlo, ma ci faran fatica! Chi vorrà farsi un'idea delle cose dovrà andare a cercare gli
argomenti col lanternino, in mezzo alla zeppa letteraria, e naturalmente ne ritrarrà la impressione che noi
facciamo della letteratura perché abbiamo qualcosa da nascondere. Non capisco perché non si possa
scrivere qualcosa di semplice, chiaro, in ordine cronologico, con gli argomenti ben elencati, come in un atto di
accusa. Ma queste cose nessuno le sa più fare.
Son tutti letterati! Inoltre mi pare sbagliata anche la impostazione. Io non tratterei i fatti come una ritorsione
per Spataro (segretario della Dc, ndr.) ad esempio, perché questa impostazione contiene già in sé qualcosa
di difensivo. Li tratterei come un attacco della reazione dc alla organizzazione operaia, alla solidarietà ecc.
Tutto sommato, farei rifare con altro criterio.
P. s. Forse le mie critiche investono un poco tutto il ns. modo di fare la propaganda. Lo riconosco.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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LINEA DI CONFINE
09/02/2015
La Repubblica
Pag. 21
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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La mia aspirazione è che i ns. propagandisti scrivano per la gente semplice. Guardate come sono scritti gli
opuscoli dc contro di noi!» La ricostruzione di un Paese in ginocchio e con forti tensioni sociali, il rapporto con
gli altri partiti, il governo di unità nazionale, il rapporto con le masse che si rappresentavano, la propaganda,
che oggi verrebbe definita "comunicazione" con il Paese, sono temi di nuovo sul tappeto, naturalmente in
condizioni storiche e geopolitiche completamente diverse, con soluzioni che oggi devono necessariamente
essere differenti e che una generazione nuova è chiamata a interpretare.
Sebbene quelle considerazioni facciano parte della preistoria di una parte del panorama politico attuale,
gettate su foglietti di carta ingiallita e riciclata da documenti in disuso, ci fanno ragionare sul modo di pensare
in politica di un'altra generazione. Si può buttare nel cestino o farne tesoro.
07/02/2015
La Stampa
Pag. 2
(diffusione:309253, tiratura:418328)
E la diplomazia europea tira il freno "Armare Kiev non è una soluzione"
Conferenza sulla sicurezza di Monaco: dialogo con Mosca
TONIA MASTROBUONI INVIATA A MONACO
L'anno scorso la Conferenza sulla sicurezza di Monaco prestò il suo palcoscenico internazionale all'annuncio
della Germania, con la benedizione del presidente della Repubblica Gauck, di volersi «immischiare di più»
per usare un'espressione del ministro degli Esteri Steinmeier, abbandonando la tradizionale riluttanza a
intervenire nelle crisi militari internazionali. Ma quest'anno, alla responsabile della Difesa von der Leyen è
toccato invece il compito di tirare il freno, anche in nome degli alleati europei. Ruolo di primo piano Sulla crisi
in Ucraina, la più violenta scoppiata in Europa dalla fine della guerra fredda, la ministra ha puntualizzato che
«focalizzarsi solo sulle forniture di armi potrebbe aggiungere benzina al fuoco». Niente soluzioni militari,
dunque, e per parte tedesca, ha aggiunto, l'abbandono della vecchia timidezza per un ruolo di primo piano
«non vuol dire che guideremo con l'emetto prussiano». Lo stesso compito è toccato al segretario generale
della Nato, Jens Stoltenberg, dopo gli annunci dei giorni scorsi su impegno numericamente maggiore per le
forze anticrisi Nrf e un'accelerazione dei tempi delle truppe di intervento rapide che potrebbero agire a Est.
«La guerra fredda è storia e rimarrà tale», ha detto durante la prima giornata della Conferenza sulla
sicurezza. E pur ammettendo che il conflitto in Ucraina «sta peggiorando», Stoltenberg ha gettato ieri acqua
sul fuoco: «la Nato non sta cercando uno scontro con la Russia». Anzi, «il nostro obiettivo è includere la
Russia, non isolarla». Passi cauti Il motivo è chiaro, spiega una fonte diplomatica: nelle stesse ore in cui
prendeva avvio il tradizionale appuntamento di Monaco, la cancelliera Merkel e il presidente francese
Hollande erano impegnati nella più delicata missione da mesi, un colloquio a Mosca con Vladimir Putin. E la
compattezza con cui anche gli altri partner europei hanno respinto ieri qualsiasi ipotesi di un invio di armi in
Ucraina per non irritare i russi, spiega una fonte diplomatica, non amplia neanche troppo il divario con la linea
apparentemente più aggressiva degli Stati Uniti, che nei giorni scorsi sembravano pronti all'invio di aiuti
militari a Kiev. «Ora sono più cauti» ragiona la fonte. In linea con i partner europei, il responsabile italiano
degli Esteri, Gentiloni, ha sottolineato che «bisogna insistere sulla linea del dialogo» e ha ribadito la posizione
dell'Italia, contraria all'invio di armi in Ucraina. Qualsiasi soluzione militare «è un azzardo», ha concluso.
Gentiloni è impegnato nei giorni monacensi in una decina di incontri bilaterali con i suoi omologhi, il più
importante dei quali è quello previsto per oggi con il responsabile degli Esteri russo, Lavrov. Anche la
responsabile della Difesa, Pinotti, ha ribadito ieri che occorre raffreddare il clima con Mosca. Ieri sera ha
incontrato a cena il collega francese, oggi è previsto un bilaterale con Von der Leyen. Intanto, ieri è emersa
anche qualche novità sull'impegno concreto dei tedeschi in Iraq, in particolare sulle armi da 13 milioni di euro
che fornirà ai Peshmerga impegnati nei combattimenti contro Isis. E Von der Leyen ha definito le modalità di
intervento tedesche «guida dal centro», intendendo che qualsiasi intervento o aiuto militare tedesco nelle
zone di crisi sarà sempre e rigorosamente coordinato con i partner europei o della Nato.
Foto: Vertice Il segretario Nato Stoltenberg con la ministra von der Leyen
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Retroscena
07/02/2015
La Stampa
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Addio "responsabili", con Matteo è l'ora degli "stabilizzatori"
E sul programma parte la trattativa riservata con Alfano
UGO MAGRI ROMA
Renzi si sente forte, e lo è. Aveva un unico tallone d'Achille, rappresentato dai numeri risicati della sua
maggioranza a Palazzo Madama. Ma la battaglia su Mattarella ha cambiato la geografia politica del Senato
perché, alla prova del fuoco, i nemici se la sono data a gambe prima ancora di combattere, e tanti altri (molti
di più) si sono fatti avanti per dare soccorso al vincitore. Se non piace l'immagine, eccone un'altra che circola
tra i senatori: se qualcuno lo tradisse, il messia Renzi non resterebbe mai con 11 apostoli in quanto alla porta
del Cenacolo ci sarebbe la fila per rimpiazzare Giuda. Ecco la ragione per cui, viene spiegato, i centristi di
Area Popolare sono stati costretti a ripiegare su Mattarella che all'inizio non era la loro prima scelta per il
Colle. Hanno dovuto cedere quando si sono accorti che, se il premier per vendetta avesse voluto cacciarli dal
governo, realmente sarebbe stato in grado di farne a meno. Di qui una ritirata strategica e una ricucitura
intelligente, anche sul piano dei rapporti personali, tra il capo dei resistenti Alfano e Renzi. I frutti della pace
Si sono immediatamente colti nell'intesa operativa in materia di Giustizia. Ed è notizia di queste ore che, per
effetto della ritrovata piena sintonia tra Matteo e Angelino, è stata avviata riservatamente una sorta di verifica
programmatica (sebbene Palazzo Chigi non accetterà mai di definirla con un termine così logoro). Entro la
prossima settimana Ncd metterà nero su bianco una sorta di agenda contenente le priorità su cui il governo
farebbe bene a concentrarsi. A lavorarci sono più d'uno, e il coordinatore nazionale Quagliariello è
sicuramente della partita. A sua volta Renzi farà giungere ai centristi alcuni desiderata, vale a dire le materie
su cui Ncd in contraccambio dovrà deporre le armi. Non sarà facile individuare i punti di caduta su materie
controverse come unioni civili e «jus soli», ma il tentativo verrà sviluppato con spirito generoso da entrambe
le parti. Ruote di scorta Pronti a rimpiazzare Alfano, casomai Ncd avesse rotto col premier, c'era una folla di
pretendenti. I più chiacchierati sono gli ex-grillini, ben 17 a Palazzo Madama. È su parte di loro che Renzi
avrebbe contato in prima battuta. Ma non solo su questi nuovi Responsabili (così si chiamavano gli ascari
berlusconiani che puntellarono in Parlamento il governo del Cav nel 2010). Ci sono anche i cosiddetti
«Stabilizzatori», un plotoncino di «cani sciolti» da non confondere con i «Ricostruttori» fittiani. Si tratta di 5-6
senatori che non fanno parte della maggioranza, in quanto aderenti a Gal, ma in caso di necessità sarebbero
pronti a sostenere il governo. Spiega il loro leader Naccarato: «Si va consolidando in forma spontanea
un'area pronta a controbilanciare marosi, beccheggi, rollio e sussulti che Renzi può incontrare nella sua
navigazione verso il 2018...». Perfino tra le file «azzurre» c'è una quantità di senatori, stimabili tra i 15 e i 20,
pronti a votare per il governo se fosse l'unico modo di evitare le elezioni anticipate. Fanno capo a Verdini,
sebbene Denis neghi di tirare le fila perché, spiega chi gli sta vicino, «lui non farebbe mai nulla contro
Berlusconi». Loro invece hanno già le valige in mano.
Foto: Il governo pronto a essere puntellato anche dagli "stabilizzatori" di Naccarato
Foto: Il Ncd Ha dovuto cedere su Mattarella quando i centristi si sono accorti che, se il premier avesse voluto
cacciarli dal governo, sarebbe stato in grado di rimpiazzarli
Foto: Verifica È stata avviata in modo riservato. Entro la prossima settimana Ncd metterà nero su bianco
un'agenda con le loro priorità. E il Pd dirà le sue
Foto: Naccarato L'onorevole cossighiano guida una pattuglia di sei pronti a dare una mano a Renzi
Foto: Ruotino Renzi ha una folla di pretendenti come ruota di scorta. I più chiacchierati sono senza dubbio gli
ex grillini, ben 17 a Palazzo Madama, su cui contare in prima battuta
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Retroscena
07/02/2015
La Stampa
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Il premier si cautela dalle richieste della sinistra Pd
MARCELLO SORGI
Battezzata da Matteo Renzi, l'operazione "responsabili" che ha portato nelle file del Pd otto parlamentari di
Scelta civica, procede e promette nuove sorprese. L'ingresso a tutti gli effetti nella maggioranza dei senatori
del Gal, il gruppo per le autonomie, oltre a mettere in sicurezza il governo al Senato, potrebbe segnare una
tendenza verso nuove adesioni, singole o collettive. Sebbene finora il grosso degli spostamenti sia avvenuto
in un'area che già sosteneva l'esecutivo, la possibilità di allargarla a personaggi come l'ex-ministro della
Difesa Mauro, dà l'idea della portata della manovra. Mauro infatti qualche mese fa fu sostituito in
commissione perchè dal suo voto (contrario) dipendeva il cammino delle riforme. Ma non si tratta solo di
mettere in campo forze destinate a sostituire i senatori di Forza Italia, dopo la svolta del partito dell'exCavaliere che ha portato all'annuncio della rottura del patto del Nazareno. Il premier punta a cautelarsi dalle
richieste della sinistra Pd di rimettere in discussione la riforma del Senato e la legge elettorale, in nome
dell'unità ritrovata sull'elezione di Mattarella. Il metodo del confronto non può essere praticato e dismesso
secondo le convenienze, obietta la minoranza Democrat. E Bersani polemicamente si chiede cosa abbiano
ottenuto in cambio i transfughi. Renzi ieri è tornato a rivolgersi a Berlusconi, avvertendolo che il governo ha i
numeri per portare a termine le riforme. Un discorso fatto a suocera (il leader del centrodestra) perché anche
nuora (la minoranza Pd) intenda. Il premier infatti non ha alcuna intenzione di rimettere mano al testo
dell'Italicum, che dopo la lunga battaglia al Senato potrebbe essere approvato definitivamente alla Camera se
solo fosse votato senza emendarlo, o a quello della riforma del Senato, sul quale si riprende a votare martedì.
Sarà un test interessante, se si considera che, pur disponendo a Montecitorio di una maggioranza larga e
autonoma, nel precedente passaggio alcuni emendamenti vennero respinti con solo una ventina di voti e con
l'aiuto di Forza Italia, che compensava il largo ricorso ai franchi tiratori degli oppositori Democrat. Da
Berlusconi per ora non arriva nessun segnale di marcia indietro. L'ex-Cavaliere non ha gradito
l'emendamento in materia di tv che comporta un aggravio per le casse di Rai e Mediaset, la nuova
formulazione del falso in bilancio e il monito di Renzi sul 20 febbraio, data in cui il governo dovrebbe
riformulare il decreto fiscale rinviato dopo le polemiche sulla cosiddetta norma "salva-Silvio". Ma che
succederebbe se, malgrado l'Aventino ordinato da Berlusconi, Denis Verdini, l'interlocutore di Renzi dentro
Forza Italia, decidesse di staccarsi con un gruppo di parlamentari in difesa del patto del Nazareno?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Taccuino
07/02/2015
La Stampa
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Guerini a Forza Italia "Così rischiate sull'Italicum"
"Se si tirano indietro sulle riforme ridiscutiamo tutto"
CARLO BERTINI ROMA
Anche senza Forza Italia i voti per fare le riforme li abbiamo. Ma se loro si tirassero indietro commetterebbero
un errore storico. Anzi due». Quali, onorevole Guerini? « P r i m o : i n t e r ro m p e re i l cammino di riforme
che da sempre auspicano, che hanno condiviso fin qui e che potrebbero intestarsi anche loro per gli anni a
venire. Secondo: bloccare il superamento delle barriere del ventennio passato che hanno impedito il
riconoscimento reciproco tra due schieramenti che hanno perso tempo e delegittimarsi a vicenda». Ce ne
sarebbe pure un terzo. Rischiare di perdere i capilista bloccati dell'Italicum che Ber- lusconi fortissimamente
vuole. «Questo lo dice lei. Certo, se Forza Italia facesse marcia indietro sulla riforma costituzionale, sarebbe
un segnale negativo sul quadro complessivo degli accordi. Ma che vantaggio avrebbero a mettere a rischio
l'impianto dell'Italicum così faticosamente costruito insieme? Quando si voterà alla Camera ognuno farà le
sue valutazioni con intelligenza e senza emotività». Vi accusano di ricattare Berlusconi sulle tv, ora passate
alle minacce sulla legge elettorale? «Nessun ricatto, ci mancherebbe, una cosa sono le riforme, altra sono
alcuni provvedimenti di merito su cui non ci deve essere alcun condizionamento: i piani sono del tutto
distinti». Del resto pure voi avete i vostri problemi: a non volere i capilista bloccati è la minoranza Pd.
«Appunto. Tutto si tiene e quindi invito gli azzurri a fare una riflessione politica, pur s e n z a vo l e r i n ge r i
re n e l l e questioni interne ad un altro p a r t i t o. E p e r q u e l c h e r i guarda il Pd, ricordo che l'elezione di
Mattarella non è stato un altro capitolo del congresso. Limitiamoci a registrare con piacere il consenso così
ampio sul Quirinale, che ci ha permesso di suturare la ferita del 2013: due anni fa il Pd fallì, oggi la sua
compattezza è stata decisiva ed è merito dell'iniziativa del segretario in carica». Tradotto: ha vinto Renzi e
non Bersani. Torniamo ai numeri: il premier dice che anche senza Forza Italia avete i voti per fare le riforme.
È davvero così? E se l'Ncd dovesse perdere pezzi? «Siamo a un punto avanzato della riforma costituzionale
su cui c'è ampio consenso e la possiamo approvare in tempi rapidi. Abbiamo i numeri per portarla avanti fino
in fondo, ma se quelli di Forza Italia dovessero sottrarsi nell'ultimo miglio, andremo avanti perché è una
riforma che serve anche per la credibilità del paese all'estero. Ma io non credo a smottamenti dell'Ncd in
Senato, così come a ripensamenti da parte di Forza Italia. Perché tutti hanno a cuore l'interesse del paese,
una lunga fase di stabilità di qui al 2018, anche per intercettare la ripresa economica che si profila
all'orizzonte». È vero che ci sarebbe comunque un soccorso azzurro di una ventina di "responsabili" vicini a
Verdini? «Ripeto: la maggioranza ha i numeri sufficienti in Parlamento per fare le cose che servono al
paese».
Foto: Scenari «Che vantaggio avrebbero a mettere a rischio l'impianto dell'Italicum?»
Foto: Vice segretario Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd
Foto: I ricatti «Nessun ricatto I piani tra riforme e singole misure sono del tutto distinti»
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
230
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Intervista
08/02/2015
La Stampa
Pag. 1
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BILL EMMOTT
L'Europa si trova di fronte a due trattative importanti ma pericolose: quella tra la Russia, la Germania e la
Francia sull'Ucraina, l'altra tra la Grecia e la Germania sul futuro dell'euro. Quale ha maggiori probabilità di
successo? Beh, è difficile dirlo. Ma le due trattative condividono una caratteristica comune che può offrire un
indizio. Tale caratteristica è che in entrambi i casi le parti opposte nei negoziati hanno iniziato con analisi
completamente diverse del problema su cui stanno negoziando. Quando si analizza un problema, o si
diagnostica una malattia, in modo opposto è molto difficile concordare una soluzione o una cura.
Nell'Ucraina, la Russia di Vladimir Putin vede un Paese che storicamente e culturalmente è stato a lungo
parte della Russia, e vede la ribellione che sta sostenendo nell'Est come uno sforzo legittimo per mantenere
l'Ucraina e la Russia l'una vicina all'altra. La tedesca Angela Merkel e il francese François Hollande, così
come la maggior parte dei loro colleghi dell'Unione europea, vedono invece un Paese sovrano che viene
violato dal suo potente vicino di casa, dopo ll precedente dell'annessione della Crimea. Non ci può davvero
essere un terreno comune tra queste posizioni. Un cessate il fuoco in Ucraina orientale potrebbe calmare le
acque per un po', ma il fatto è che l'Ucraina o è indipendente o non lo è. L'alternativa, che l'America fornisca
al governo ucraino un equipaggiamento migliore, così da metterla in grado di fronteggiare i ribelli foraggiati
dalla Russia, potrebbe convincere Putin che la battaglia non si può vincere - ma potrebbe anche convincerlo
a voler vedere il bluff dell'America e portare a un escalation del conflitto. Cerchiamo quindi di concentrarci su
un tema più allegro: il confronto tra il nuovo governo greco la Germania della signora Merkel. In questo caso
la negoziazione offre qualche speranza in più. E' vero che le analisi di base delle due parti sui problemi
economici della Grecia, e in effetti quelle sulla zona euro nel suo complesso, sono completamente diverse.
La Germania vede una malattia causata dal debito greco e per la quale l'austerità è la cura principale. La
Grecia vede un debito causato dallo sconsiderato credito tedesco, vede che gli ultimi pacchetti di salvataggio
hanno aiutato soprattutto le banche tedesche, e vede l'austerità come causa solo di povertà e non di
recupero. Come nel caso dell'Ucraina, non ci può essere via di mezzo tra un creditore che insiste sul fatto
che tutti i debiti devono essere pagati per intero, perché condonare i debiti sarebbe immorale e un debitore
che dice che l'onere di tali crediti deve essere ridotto, altrimenti le conseguenze saranno, quelle sì, immorali.
Il tour delle capitali europee, compresa Berlino, compiuto la settimana scorsa dal nuovo, anticonformista
minis t ro d e l l e Fi n a n z e g re co, Yanis Varoufakis, ha chiarito quanto grande sia il divario tra le due parti.
Detto questo, c'è una differenza fondamentale tra la politica nazionalista vista nel conflitto ucraino e
l'economia nazionalista del caso greco. E' che in economia, e in particolare nelle transazioni finanziarie, c'è
più spazio per la creatività. Se le due parti vogliono una soluzione pacifica, in una trattativa economica ci
sono abbastanza variabili e dimensioni per rendere possibile un tale accordo. Per la Grecia, due aspetti di
quella trattativa potrebbero offrire una via d'uscita - e un anche un modo per far convergere le diverse analisi
della Germania e della Grecia. Il primo risiede nel modo di affrontare il peso del debito sovrano della Grecia.
Un'ulteriore cancellazione è inaccettabile. Un accordo speciale per la Grecia sarebbe insostenibile tra gli altri
membri della zona euro. Quindi, occorre convertire la proposta iniziale della Grecia, di uno scambio di parte
del debito in nuovi bond legati alla sua crescita economica, in una regola che può essere applicata non solo
alla Grecia, ma a tutti i membri della zona euro, ora e in futuro. Tale norma deve lasciare ai governi l'obbligo
di rimborsare i loro debiti, ma con l'opportunità di ridurre l'onere degli interessi annui e del rischio in cambio di
condizioni concordate sulla riforma economica interna. Quelle riforme economiche nazionali possono essere
inquadrate nel contesto di un'iniziativa a livello europeo per estendere e completare il mercato unico,
secondo le linee proposte diversi anni fa da Mario Monti, prima di diventare presidente del Consiglio. Queste
riforme interne sono anche la sede per il secondo elemento che può indurre alla speranza. Qui, c'è già un
terreno comune nelle analisi tedesca e greca. Syriza, il nuovo partito di governo in Grecia, sarà pure di
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I DUE FRONTI DELL'EUROPA
08/02/2015
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estrema sinistra, ma afferma di voler porre fine al capitalismo clientelare che in Grecia è dominato da
oligarchi miliardari e di voler combattere la corruzione e l'evasione fiscale. Questo dovrebbe essere musica
per le orecchie tedesche. Il modo migliore per avere sia la competitività che la trasparenza. In altre parole, un
mercato unico liberalizzato. Quindi un percorso saggio verso l'accordo potrebbe partire da quel terreno
comune. Se le riforme possono essere concordate, trovare modi per rendere il debito abbordabile sarebbe
più facile. E può essere attuato come progetto europeo e non solo greco. Una dimostrazione di solidarietà
europea è esattamente ciò di cui l'Unione europea ha bisogno. Perché qui sta la ragione ultima per essere
più fiduciosi sulla Grecia che sull'Ucraina. L'esistenza del pericolo chiaro e presente di un allargamento della
guerra alle frontiere dell'Ue in Ucraina deve rendere tutti gli Stati membri, ma soprattutto la Germania, ansiosi
di mantenere l'unità e la solidarietà, e quindi appassionarli a una vera soluzione europea al problema greco.
Così, l'irriducibilità della situazione ucraina dovrebbe rendere più facile da affrontare la natura irriducibile della
situazione greca. Syriza è un po' troppo amichevole con la Russia per il gusto tedesco. Ma sicuramente
lasciar perdere quell'amicizia sarebbe un prezzo che vale la pena pagare. traduzione di Carla Reschia
Foto: Illustrazione di Koen Ivens
08/02/2015
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Così la Nato prova a contenere l'espansionismo militare russo
Gli alleati hanno allestito una forza di reazione rapida che a breve arriverà a 30 mila uomini Mosca ha
schierato truppe speciali e mezzi corazzati anche in Georgia e Transnistria
PAOLO MASTROLILLI INVIATO A NEW YORK
Alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, il vice presidente americano Biden ha detto che «non vogliamo
incoraggiare la guerra, ma consentire all'Ucraina di difendersi». Così v o l e v a s p i e ga r e p e r c h é
Washington sta considerando di armare Kiev, ed è irritata per i dubbi degli alleati europei sulle sanzioni, che
lo stesso Biden aveva definito «inappropriati e fastidiosi» a Bruxelles. Prima di lui, il comandante della Nato
Philip Breedlove era stato ancora più esplicito sulla diplomazia: «Se ciò che si sta facendo non produrrà
quello che volete ottenere, forse allora tutti gli attrezzi nella nostra borsa dovrebbero essere usati, e i mezzi
convenzionali non andrebbero esclusi a priori». Tradotto dal linguaggio ufficiale, gli Usa si preparano alla
guerra? Prepararsi al conflitto Il problema va oltre la crisi ucraina, e si capisce leggendo quello che il
comandante dello U.S. Army in Europa, Frederick Hodges, ha detto al Wall Street Journal: «Io credo che i
russi si stiano mobilitando ora per una guerra che pensano avverrà entro cinque o sei anni. Non dico che
cominceranno una guerra in questo lasso di tempo, ma prevedono che alcune cose avverranno, e loro si
troveranno coinvolti in un conflitto di qualche genere, di qualche scala, con qualcuno». La chiave della
posizione americana probabilmente sta in queste parole. Nella crisi ucraina Washington non vede solo un
problema contingente legato a Kiev, che potrebbe essere risolto dalla diplomazia o dal riarmo delle forze
governative; ci legge invece un mutamento strategico di lungo termine nelle posizioni di Mosca, che almeno
per ora si traduce nella fine dell'approccio collaborativo seguito dal crollo del Muro di Berlino in poi. Putin ha
scelto la strada del confronto, del ritorno alle sfere di influenza, e fino a quando sarà al potere bisogna
prepararsi al peggio: «L'Europa - ha detto l'ex comandante della Nato Wesley Clark - deve capire che si
comporta come Hitler nel 1939». Allora il continente scelse la strategia dell'appeasement, e finì come
sappiamo: ora, se si vuole la pace, bisogna come minimo preparare la guerra, sperando naturalmente che
nel frattempo le sanzioni economiche, il calo del petrolio e la pressione politica compatta riescano invece a
fermare Mosca. Le forze in campo Ma come si presenta la Nato a questo braccio di ferro? Il primo passo è
stato fatto con la creazione della nuova forza di reazione rapida, che ha una punta di lancia di 5.000 uomini
pronti a schierarsi ovunque in 48 ore, ma arriverà ad avere fino a 30.000 soldati a disposizione, con posti
comando e basi in Polonia, Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia e Lituania. In pratica quasi tutto l'ex Patto di
Varsavia, più le repubbliche baltiche. Pochi uomini, però, se si considera che l'esercito ucraino punta ad
avere circa 250.000 militari, e i ribelli 100.000, con alle spalle gli «omini verdi» di Putin e l'intero apparato
russo, che non ha schierato solo le forze speciali Spetsnaz, ma anche i carri armati T-80, i sistemi di difesa
aerea, jamming e guerra elettronica. I reparti di Mosca, peraltro, sono già anche in Transnistria e Georgia, e
in questo il generale Hodges legge una strategia di espansione che va anche oltre l'Ucraina. L'insicurezza
europea Il ministro della Difesa tedesco Ursula von der Leyen ha detto che armare Kiev non serve, perché i
ribelli con Mosca alle spalle potranno sempre superare qualunque aiuto offerto ai governativi. Ha ragione
nello specifico, ma le sfugge che l'analisi americana ormai va oltre lo specifico: in gioco c'è l'intera sicurezza
europea, come ha detto Biden nell'intervista a «La Stampa», e bisogna far capire a Putin che l'Occidente è
determinato a difenderla. Non a caso, il ministro degli Esteri Lavrov si è già lamentato che «l'aviazione Usa
ha intensificato le sue attività più di quella russa». Hodges infatti si preoccupa delle forze complessive in
campo. Gli effettivi dell'esercito Usa sono scesi sotto i 500.000 uomini per la prima volta in dieci anni, e solo 4
alleati Nato rispettano l'impegno ad investire il 2% del Pil nella difesa. Il nuovo trattato Start, firmato a Praga
nel 2010, prevede di ridurre le testate nucleari a 1.550, più 700 missili intercontinentali e 800 lanciamissili. Ma
mentre il Pentagono ha annunciato la rimozione dei vettori da 50 silos sotterranei, e sta convertendo B -52 e
sottomarini nucleari in anticipo rispetto alla scadenza de 2018, Mosca nelle sue esercitazioni «simula gli
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Retroscena
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attacchi atomici contro le capitali occidentali». Roba da Guerra fredda.
5000 uomini La nuova forza di intervento rapido che la Nato sta organizzando
2% Pil Solo 4 Paesi della Nato rispettano l'impegno a investire il 2% del Pil in difesa
78 miliardi Le spese militari in dollari che la Russia ha sostenuto nel 2014 La cifra corrisponde a circa il 3,5
per cento del Pil
870 miliardi Sempre di dollari stanziati dalla Nato La maggior parte, quasi 700 miliardi, sono però le spese dei
soli Stati Uniti
Le forze in campo NATO RUSSIA 1.685.810 5.421 10.409 1.837 845.000 2.550 5.436 1.389 Spagna
136.000 324 173 12 ITALIA 181.000 320 234 18 26.500 68 30 14 15.850 68 30 20 71.400 899 437 69 31.300
311 80 42 Turchia Ungheria Slovacchia Romania Bulgaria 510.600 7.822 2.504 352 80.000 270 180 90 380
140 19 Forze russe al confine con l'Ucraina
Foto: A Donetsk Un miliziano filorusso si appresta ad armare un tank
Foto: DOMINIQUE FAGET /AFP
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"Bene le riforme, l'Italia crescerà"
Visco: nelle Popolari meno gruppi di potere, col piano Draghi il Pil salirà oltre lo 0,5%
FRANCESCO SPINI MILANO
La decisione della Bce di procedere all'acquisto di titoli di Stato avrà un effetto sul Pil di oltre un punto
percentuale nel biennio 2015-2016. Di conseguenza la crescita italiana ora è «valutabile al di sopra dello
0,5% quest'anno e dell'1,5% il prossimo» contro gli 0,4% e 1,2% indicati in precedenza, annuncia il
governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nella cornice del congresso Assiom Forex di Milano. Qui
spiega che l'impegno di Via Nazionale nell'acquisto di titoli di Stato italiani dovrebbe essere «dell'ordine di
130 miliardi». Non solo Bce. In occasione dell'incontro con la comunità finanziaria, l'inquilino di Via Nazionale
promuove l'azione del governo Renzi, dà l'imprimatur alla riforma delle banche popolari e dice di sì alla «bad
bank» a cui sta lavorando il ministero dell'Economia a stretto contatto con Palazzo Koch. Criminalità
intollerabile Visco sa bene che le misure di politica monetaria non bastano a «consolidare e rafforzare i
segnali di ripresa». Ma a suo giudizio «nell'insieme le misure sinora introdotte vanno nella giusta direzione»,
a cominciare dalle nuove norme sul lavoro. In un contesto economico ancora non facile, chiede impegno per
«una migliore qualità dell'offerta formativa» per i giovani in quanto «la dotazione di capitale umano in Italia è
bassa nel confronto internazionale». E segnala come «l'intrusione della corruzione e della criminalità
organizzata nel tessuto economico e sociale» rimanga «su livelli intollerabili». «Spazi per aggregazioni» Per
le banche auspica «strutture di costo più snelle» e segnala «spazi per aggregazioni» per «razionalizzare le
strutture organizzative» e «innovare i processi produttivi e distributivi». Quando affronta il capitolo Popolari
non accoglie obiezioni alla trasformazione in Spa delle maggiori. La riforma, spiega, «risponde a esigenze da
tempo segnalate da noi, dall'Fmi e dalla Commissione Ue e rese ora più pressanti dal passaggio al sistema di
vigilanza unica». La Spa, dice «accresce la capacità di ricorso al mercato dei capitali», una «più ampia
partecipazione dei soci in assemblea riduce il rischio di concentrazioni di potere in capo a gruppi organizzati
di soci minoritari». E ci sono maggiori incentivi «al controllo sull'operato degli amministratori». Insomma, la
riforma risponde a un adeguamento al nuovo quadro internazionale, come ha detto il ministro Padoan, e ciò,
spiega Visco, «non vuol dire soccombere a un non meglio definito capitale straniero» ma «accrescere la
capacità produttiva, organizzativa e patrimoniale» in un contesto più ampio. Restano le Bcc le loro
«debolezze» che derivano «dalla dimensione» e «dalla concentrazione, a volte eccessiva, dei rischi di
credito». Preferibile, anche qui, un «maggior grado di integrazione». La bad bank di Stato Sui crediti che le
banche faticano a riscuotere, Visco dà l'ok all'ipotesi bad bank. Sì all'intervento diretto dello Stato «nel
rispetto della disciplina europea sulla concorrenza» con «il pieno coinvolgimento delle banche nei costi
dell'operazione e un'adeguata remunerazione del sostegno pubblico». Auspica «opportune agevolazioni
fiscali o la prestazione di garanzie pubbliche sulle attività» che derivano dalla vendita dei prestiti in
sofferenza. Questo per alleviare il pesante fardello che le banche si sono caricate con la crisi e ridare fiato al
credito per famiglie e imprese.
ALLARME CORRUZIONE Come la criminalità rimane su livelli intollerabili, attraverso la giustizia
bisogna garantire più legalità
REGOLE E CREDITO Per non ostacolare la ripresa occorrerà calibrare con cautela le richieste di aumentare
le dotazioni di capitale Ignazio Visco Governatore della Banca d'Italia
Foto: Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia
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ECONOMIA &FINANZA /IL GOVERNATORE DI BANCA D'ITALIA AL FOREX: SÌ ALL'INTERVENTO DELLO
STATO PER I CREDITI DETERIORATI DELLE BANCHE
08/02/2015
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"La mia rivista per far sentire le voci del tempo"
Alain Elkann
Otto anni fa lei ha dato vita a una nuova riv i s t a , « La pham's Quarterly». Di che cosa tratta? «Di storia ma
abbraccia le arti: poesia, romanzi, quadri, sculture, architettura. E' tutto patrimonio storico. Sono d'accordo
con Faulkner, "il passato non è mai morto. Non è nemmeno passato". Credo che la storia sia una risorsa
preziosa, da cui abbiamo un'infinità di cose da imparare. Ecco un'altra citazione, da Goethe: "Colui che non
può contare su 3000 anni si trova a vivere alla giornata"». Ogni numero ha un argomento? «Sì. Guerra,
religione, stranieri, memoria, politica, giovani, morte; e per ogni soggetto facciamo riferimento ai grandi libri.
Se stiamo parlando di politica citiamo Cicerone, Platone, Tucidide, Jefferson, Napoleone, Hitler. Portiamo le
voci del tempo». Di che cosa parla il prossimo numero? «Filantropia, nel numero estivo. In autunno, la moda.
Scegliamo a seconda di quello che sembra interessante al momento. Il denaro, l'ambiente, la giustizia...». Chi
sono i vostri lettori? «Due tipi: quelli oltre i cinquant'anni, che vorrebbero aver prestato più attenzione a
scuola, e i ventenni che sentono di non avere alcun contesto stabile, perché Internet e la tv vanno troppo in
fretta: la storia dà loro un contesto». Lei è uno scrittore, è stato per molti anni direttore di «Harper's». Come è
cambiata la sua vita? «Parecchio. C'è stata la rivoluzione informatica, il passaggio dalla parola stampata
all'immagine elettronica. Sono migliorato come scrittore grazie alla pratica. Ogni mese per 30 anni ho scritto
un articolo. Ma mi trovo anche sempre più in disaccordo con lo spirito dei tempi. Sono cambiati i mezzi di
comunicazione e anche la struttura del pensiero politico». In che senso? «Nella repubblica americana dei
padri fondatori c'erano 3 milioni di persone. Chi aveva diritto di voto era alfabetizzato, sapeva leggere e
scrivere. L'idea di democrazia implica l'alfabetizzazione. Oggi siamo 320 milioni di persone, di cui 60
analfabeti. Sanno leggere un menu e un segnale stradale, ma non sanno costruire un pensiero. Così la
politica è fatta di gesti, frasi a effetto, tv, slogan. Non può essere portatrice di idee complesse che in tv non
funzionano: la struttura del pensiero è diventata cultura della celebrità, per essere visti, non ascoltati. È la
"bella figura". C'è molta meno libertà rispetto a cinquant'anni fa». Perché? «Dagli anni 80 il paese è diviso in
una nazione di ricchi e in una di poveri: è un'oligarchia commerciale. I ricchi sono sempre più spaventati.
Della morte, dei poveri, degli stranieri, dei terroristi, delle malattie. I governi degli ultimi 40 anni hanno fatto
del loro meglio per instillarci la paura. Ora la gente ha paura di dire quel che pensa, paura di sfidare, paura di
contraddire. Non importa per chi votano. Oggi vota solo il 50%, sanno che il voto non ha senso». Non ne ha
del tutto? «Se nel 2000 fosse stato eletto presidente Gore, forse nel 2003 non avremmo invaso l'Iraq, che è
stata una stupidaggine assoluta. Ma certo chiunque venga eletto, democratico o repubblicano sarà
assoggettato, apparterrà alle aziende, alle banche, all'apparato militare industriale». Che pensa dell'America
di oggi? «Stiamo cercando di tenerci su, di far finta che l'idea democratica sia ancora viva in America. Non è
così. Ci stiamo raccontando troppe bugie. La nostra letteratura è la pubblicità, le due principali forme di
espressione sono la predica e lo spot». E quindi il «Lapham's Quarterly» è una rivista pessimista? «A lungo
termine non sono pessimista. A lungo termine la storia porta al cambiamento. Nulla rimane uguale». La gente
non avrà più paura? «Forse troverà un'idea che darà coraggio. Per 2000 anni ha trovato il coraggio nella
Chiesa cristiana». Lo troveranno nell'Islam? «Non lo conosco abbastanza. So che la fede nel capitalismo non
va bene. E' finito, così com'è finito il marxismo. Sia il marxismo, sia il capitalismo hanno promesso il paradiso
in Terra. Il paradiso in Terra non esiste». Che dire della violenza che dilaga? «È la perdita di un'idea migliore,
il risultato dell'ignoranza e della paura. Ci vuole un rapporto più costruttivo tra uomo e natura. L'idea di
crescita infinita su un pianeta che ha risorse limitate è assurda. Abbiamo bisogno di una nuova filosofia, da
cui le persone possano trarre coraggio, significato e fede. Il leader più significativo oggi è il Papa. Ascoltare
Obama, Cameron, Putin, Merkel, Netanyahu è una perdita di tempo. L'ultimo politico che ho davvero
ammirato è stato Vaclav Havel». Qual è il suo ruolo come scrittore e quello di una rivista come la sua? «Il mio
ruolo è rovistare tra le macerie della storia e trovare un'idea, la fenice nella cenere: ho fiducia
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INTERVISTA Domenica con Lewis H. Lapham Giornalista e scrittore
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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nell'immaginazione umana, è in grado di trovare la scintilla. C'è un bellissimo libro di Stephen Greenblatt sul
Rinascimento, parla della scoperta del De Rerum Natura di Lucrezio scritto nel I secolo a C e poi riscoperto
nel XIV secolo da un collezionista di libri italiano. È uno dei primi documenti che dà origine al Rinascimento
italiano. Io non l'ho trovata, ma penso che la nuova idea verrà fuori della storia; ecco perché la rivista se ne
occupa». traduzione di Carla Reschia
Foto: NEVILLE ELDER/CORBIS
09/02/2015
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"Italicum, non si torna indietro"
FRANCESCA SCHIANCHI
Le critiche di Fi mi fanno sorridere: hanno votato e scritto le riforme con noi Mi auguro che nel Pd ci sia senso
di responsabilità: i numeri non mi preoccupano A PAGINA 7 Una settimana di sedute a ritmo serrato per
tentare di chiudere la riforma costituzionale alla Camera. Poi verrà la volta della legge elettorale, su cui «non
si torna indietro»: il testo del Senato è «buono ed efficace», va approvato definitivamente a Montecitorio così
com'è, «spero entro l'estate». Un cronoprogramma da portare avanti senza timori per i numeri: «Mi auguro
che Forza Italia torni sui suoi passi, ma se così non fosse, noi comunque non ci fermeremo: i numeri li
abbiamo e andiamo avanti», fa sapere il ministro delle riforme Maria Elena Boschi. Ministro, la legge
costituzionale riuscite a chiuderla in seconda lettura entro sabato? «Ci proviamo. Abbiamo chiesto e ottenuto
un calendario impegnativo - tutti i giorni dalle 9 alle 23 - perché è importante dare il segnale che le riforme
restano la priorità, e a chi parla di forzature antidemocratiche ricordo che lavorare tutti i giorni non è più di
quello che fanno gli italiani. Noi ci proviamo, ma molto dipende dall'atteggiamento delle opposizioni, se
faranno ostruzionismo o meno». Si vedrà anche cosa farà Forza Italia, se deciderà di non sostenere più la
riforma... «Mi auguro che Forza Italia torni sui suoi passi, ma se così non fosse, noi comunque non ci
fermeremo. Non siamo preoccupati per i numeri: lo dimostra il fatto che abbiamo chiesto subito di ripartire
con le riforme. Con Fi in questo anno abbiamo fatto un lavoro serio, è strano che ora improvvisamente si
mettano a criticare riforme che hanno votato e collaborato a scrivere». Berlusconi parla di rischio di una
deriva autoritaria. «E' una critica che respingo al mittente, ma che mi fa sorridere. Credo che Forza Italia
debba preoccuparsi più di evitare la propria deriva, il naufragio del partito». Ma il patto del Nazareno è rotto
definitivamente? «Se è rotto, lo ha rotto Forza Italia. Fin dall'inizio era chiaro che riguardava solo la legge
elettorale e le riforme costituzionali, e il Pd lo ha rispettato. Rompere perché abbiamo eletto una persona
perbene come Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica mi dispiacerebbe per Forza Italia». Se Fi si
tira indietro sulle riforme, potreste minacciare di cambiare i capilista bloccati cari a Berlusconi? «Non si tratta
di minacciare nessuno. Abbiamo fatto la legge elettorale con loro: ora, se vogliono continuare a contribuire,
bene, altrimenti noi andiamo avanti lo stesso. L'Italicum non si cambia più, non si torna indietro. Il testo del
Senato è buono ed efficace e rilanciare sempre significa farla fallire». Darà un dispiacere a chi, come il
deputato della mino- ranza Damiano, già chiede di cambiare i capilista. «Mi dispiace, ma ne abbiamo parlato a
lungo e abbiamo accolto molte modifiche della minoranza. Non siamo stati sordi alle richieste, ma ora se si
fanno altre modifiche alla Camera significa ricominciare, e questo non è serio. Spero che riusciremo ad
approvarla definitivamente entro l'estate». Ma come fate se vengono meno i voti di Fi? «Non voglio
sottovalutare il contributo politico di Fi, ma noi abbiamo contato su quei voti perché c'era un accordo. Li
abbiamo coinvolti, come abbiamo cercato di coinvolgere tutte le opposizioni, incluso il M5S, perché riteniamo
sia il metodo giusto per scrivere le regole, non per calcoli numerici». Ma in qualche occasione sono stati
numericamente fondamentali. «La maggioranza è autosufficiente come ha dimostrato su tante altre leggi che
Forza Italia non ha votato, come il Jobs act per esempio. Sui loro numeri ci abbiamo contato perché c'era un
accordo: se non dovesse più esserci, la maggioranza sarà ancora più responsabilizzata, soprattutto al
Senato». E' un messaggio per la minoranza del Pd? «Con l'elezione del presidente della Repubblica abbiamo
saputo trovare una grande compattezza, e non era scontato. Mi auguro che in tutto il Pd ci sia un forte senso
di responsabilità perché stiamo facendo riforme serie e importanti. Ma non sono preoccupata per i numeri».
Non è preoccupata perché, come vi accusano, state cercando di fare campagna acquisti? «Ricordo che i
senatori di Scelta civica passati al Pd non hanno cambiato schieramento. Continuano a votare la fiducia.
Personalmente, ho il massimo rispetto per chi crede ancora in Scelta civica, ma c'è chi vuole partecipare al
cantiere del più grande partito europeo, il Pd, ed è nostro dovere accoglierlo». Si parla però anche di un
vostro dialogo aperto con vari esponenti dell'opposizione in Senato. «Il dialogo c'è sempre con tutti. E ci sono
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INTERVISTA AL MINISTRO BOSCHI
09/02/2015
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momenti importanti, come l'elezione del capo dello Stato o le riforme, in cui sarebbe meglio avere una
maggioranza più ampia. Se in altre forze - nel gruppo misto dove convivono sensibilità molto diverse, o tra gli
ex M5S - ci saranno persone che si sentiranno di appoggiare le riforme non ci vedo niente di strano. Ma di
certo noi non facciamo campagna acquisti. Alla fine comunque decideranno gli italiani con il referendum, e
già pregusto il momento in cui Berlusconi, Salvini, Brunetta e Grillo faranno campagna elettorale insieme
contro questa riforma. E sarà interessante capire da che parte stanno gli italiani».
Il calendario serrato delle sedute una forzatura antidemocratica? Ricordo che lavorare tutti i giorni è quello
che fanno tutti gli italiani Rompere perché abbiamo eletto una persona perbene come Sergio Mattarella al
Quirinale mi dispiacerebbe per Forza Italia Mi auguro che in tutto il Pd ci sia un forte senso di responsabilità
perché stiamo facendo riforme serie e importanti. Ma non sono preoccupata per i numeri Maria Elena Boschi
Ministro delle Riforme
14 ore Tour de force per la legge costituzionale: in aula si lavora dalle 9 alle 23
esponenti A passare da Scelta Civica al Pd 5 senatori, 2 deputati e un vice ministro
Foto: Risoluta Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi ribadisce la linea del governo: il cammino delle
riforme non si può interrompere LUIGI MISTRULLI /EMBLEMA
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La Stampa
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Nel Nord-Est vince il campanilismo Tutti contro le nozze fra le Popolari
Veneto Banca e Vicenza a rischio scalata dopo il decreto Renzi
ALESSANDRO BARBERA INVIATO A VICENZA
Guido Piovene raccontava la sua Vicenza come «una piccola Roma, un'invenzione scenografica, dalla
cultura svaporante in capriccio e dalla vanità patrizia d'un gruppo di signori di media potenza». Piazza dei
Signori ha la stessa immutabile bellezza di quello che nel Medioevo era il mercato cittadino. Uno dei pochi
segni di modernità sono le insegne di una filiale di Veneto Banca, aperta da pochi mesi fra la Basilica
Palladiana e il palazzo del Monte di Pietà. Veneto Banca non è di Vicenza, e a dispetto del nome è ancora
una popolare, una di quelle in cui ogni socio ha un voto. Non è quotata in Borsa, e secondo il decreto Renzi
dovrà trasformarsi in società per azioni entro 18 mesi. All'ultima assemblea, lo scorso aprile, c'è voluta una
tensostruttura montata in un campo di Montebelluna, non lontano dalla sede. Partecipano più di seimila soci,
fra i quali Roberto Bettega. Il momento è delicato: due ispezioni della Banca d'Italia e della Consob avevano
fatto emergere «carenze del governo societario e nei controlli interni», carenze «nella capacità di reddito e
dei livelli patrimoniali». Quell'assemblea decide l'azzeramento del consiglio e il ridimensionamento a direttore
generale di Vincenzo Consoli, l'uomo che con piglio decisionista aveva trasformato la piccola popolare in una
banca così grande da rientrare fra quelle vigilate direttamente dalla Banca centrale europea. La Banca d'Italia
invita i vertici a valutare la fusione con l'altra popolare veneta non quotata, quella di Vicenza. Fra Natale e
Capodanno del 2014 si riuniscono per discuterne con il presidente Gianni Zonin. È già il secondo tentativo.
La riunione va male. Veneto è in difficoltà, non abbastanza da accettare quella che a Montebelluna giudicano
una resa incondizionata ai rivali vicentini. «Mentre in Lombardia nascevano campioni europei, quella delle
banche del Nord est è una storia di litigi e di occasioni perse», racconta Maurizio Sacconi. Cattolica
assicurazioni, Antonveneta, Cassamarca, le Casse di risparmio di Padova, Rovigo, Venezia, la Popolare di
Marostica sono tutte state assorbite da altri gruppi. All'appello ne mancano tre: oltre a Vicenza e Veneto, la
Popolare di Verona. Se quest'ultima è già quotata e con un modello di gestione simile ad una società di
capitali, le altre due devono iniziare da zero, o quasi. Se domani si trasformassero in società per azioni, non
ci sarebbe nessun
44 miliardi Sono gli attivi della Popolare di Vicenza, quinta banca del Paese
35 miliardi Sono gli attivi della Veneto banca di Montebelluna, sesta banca italiana
Il buon senso vorrebbe che almeno due banche venete decidessero di fondersi Giorgio Santini
Senatore per il Veneto del Partito democratico
Sul risiko delle Popolari ci vuole un atterraggio morbido per evitare devastanti conseguenze sociali
Luca Zaia Presidente della Regione Veneto
334 miliardi Il totale degli impieghi delle 36 banche popolari censite da Mediobanca
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Reportage
09/02/2015
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Padoan incassa l'ok Ue Il piano salva-banche farà ripartire i prestiti
Il governo accelera sulla legge per la "Bad bank di sistema"
FABIO MARTINI ROMA
In politica ci sono parole che si pensano, ma non si dicono. Matteo Renzi conosce la regola e continua a
ripetere che ci sono «segnali di ripresa» economica, ma sta attentissimo a scandire l'espressione "proibita":
non parla mai di «svolta» già in atto. Espressione ottimistica che, declamata anticipatamente, potrebbe avere
un effetto-boomerang: effetto che non ha portato bene a personalità dal lessico misuratissimo. Come Mario
Monti: nel luglio 2012 vide «una luce in fondo al tunnel», che poi non si è mai accesa. Per una volta Renzi sta
col freno tirato, ma in questi giorni ha metabolizzato l' opportunità che si è aperta: una volta stabilizzato il
quadro politico con l'elezione del Capo dello Stato, se ora davvero arrivasse la ripresa, a quel punto il suo
governo potrebbe aprire le vele. Renzi ovviamente spera in una ripartenza forte del sistema-Paese. E infatti
non perde occasione per iniettare robuste dosi di ottimismo della volontà, come ha fatto anche due giorni fa,
chiudendo a Milano la kermesse sull'Expo ed elencando tutti i fattori che nelle ultime settimane stanno
creando i presupposti di una svolta: cambio euro-dollaro, costo del petrolio, maggiori opportunità nelle regole
europee, jobs act, segnali nella produzione industriale. Ma Renzi stesso e il ministro dell'Economia Pier Carlo
Padoan hanno capito che quei segmenti non bastano. Spostano decimali, non punti pieni di Pil. E dunque
urge un catalizzatore-moltiplicatore di quei segnali. E lo hanno individuato in un provvedimento battezzato
"Bad bank di sistema", in sostanza una leggina che consenta alle banche la radicale cancellazione dei crediti
palesemente deteriorati, oramai inesigibili. Un fardello sul portafoglio prestiti, già oggi enorme, (ammonta a
181 miliardi di euro) e che continua a paralizzare la propensione ad erogare nuovi prestiti. Di fatto ingolfando
le potenzialità di ripresa. La settimana scorsa Padoan è andato a Bruxelles per verificare se una legge di quel
tipo, potesse essere interpretata come un aiuto di Stato mascherato e perciò vietato. Missione delicata. Il
ministro ha interpellato il commissario agli Affari economici, il francese Pierre Moscovici; il vicepresidente
della Commissione europea con delega all'Euro, il lettone Valdis Dombrovskis e il commissario alla
Concorrenza, la danese Margrethe Vestager. La "notizia" è questa: i tre commissari, sia pure con alcune
perplessità, non hanno opposto pregiudiziali. Ora il provvedimento sulla bad bank è nei "cantieri" del
ministero dell'Economia, come ammette Padoan: «Ci stiamo lavorando». Ma soprattutto due giorni fa,
intervenendo al congresso della Assiom Forex, è stato il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco a dare
la sua autorevole e a questo punto decisiva benedizione all'operazione "Bad bank". Definendola «cruciale».
Auspicando un «coinvolgimento delle banche nei costi dell'operazione», ma anche la «garanzia di
remunerazioni adeguate» al sostegno pubblico. In altre parole, lo Stato aiuta le banche a liberarsi dei propri
fardelli ma chiede la restituzione di quei prestiti. Una soluzione che eluderebbe l'accusa di «aiuto di Stato» e
soprattutto - e su questo Renzi è sensibile - sgonfierebbe le contestazioni sull'ennesimo "regalo" alle banche.
Il provvedimento richiederà ancora qualche settimana ma sugli effetti di sistema che avrebbe, il viceministro
Enrico Morando, l'unico politico all'Economia, non ha dubbi: «E' vero il premier non ha messo le fanfare
nell'annunciare la svolta e fa bene, perché sa che per avere più posti di lavoro, serve un'impresa più forte. In
un sistema bancocentrico come il nostro, ripresa vera ci sarà quando si potrà riaprire il rubinetto del credito.
Poiché l'eccesso di sofferenze non è risolto dal pur fondamentale Qe della Bce, i segnali di ripresa
diventeranno certezze, proprio quando il provvedimento della "Bad bank" dispiegherà i suoi effetti».
Segnali di ottimismo
1140 miliardi È il valore del piano della Bce che acquisterà titoli di Stato (60 miliardi di acquisti al mese) per
cercare di rilanciare la ripresa
1,13 euro/dollaro Il forte calo della moneta unica dovrebbe dare ossigeno alle esportazioni delle nostre
imprese
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
241
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Retroscena
09/02/2015
La Stampa
Pag. 3
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
242
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51,69 dollaro/barile La discesa del prezzo del petrolio abbasserà la bolletta energetica dell'Italia di circa 20
miliardi
Così le banche 200 150 100 50 83 75,6 84,8 149,6 179,3 nov. 2014 /nov 2013 -1,6% +3,5% -1,4% -0,4%
181,0 dic 2014 /dic 2013 -1,6% +3,6% -1,8% +0,1% Sofferenze lorde novembre '13 9,1% agosto 2014
ottobre '14 Variazioni - LA STAMPA miliardi di euro 7,8% novembre 2013 Attività di dicembre (miliardi di
euro) 1.701 1.258,3 1.820,6 1.417,5 9,5% novembre 2014 novembre '14 Sofferenze lorde/ impieghi *
Sofferenze nette (senza svalutazioni) Fonte: Abi - *2,8% a fine 2007 Raccolta Depositi Impieghi (privati e
P.A.) Prestiti a famiglie e imprese non finanziarie
Foto: Da sinistra il premier Matteo Renzi col ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan
09/02/2015
La Stampa
Pag. 17
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Comprare casa, è il momento buono Tasse e spese, gli errori da evitare
I rischi: calcolare male imposte e costi. Attenzione a non sforare il budget a disposizione
SANDRA RICCIO
Comprare casa è il principale investimento nella vita della maggior parte degli italiani. Oggi l'acquisto è
diventato più accessibile. Questo perché i prezzi degli immobili sono scesi e i tassi dei mutui sono finalmente
ai minimi. Un'occasione da non perdere. A patto però di non commettere errori. Questione di timing
Innanzitutto va detto che oggi i tassi sui mutui sono di nuovo a livelli minimi con il variabile sotto all'1,6% e il
fisso intorno al 3%. Un buon livello che però potrebbe calare ancora nei prossimi mesi. Occorre quindi farsi
bene i conti e capire se è il caso di aspettare ancora. Le spese accessorie E' questo uno degli sbagli più
frequenti che commette chi compra casa. Non sembra ma tante volte la complessità dell'operazione di
compravendita fa perdere di vista quei particolari che possono sembrare solo dettagli ma che finiscono con il
pesare sul conto finale. Sono le tante spese legate ad un immobile, da quelle condominiali agli interventi
straordinari sul palazzo. Se gli interventi sono già stati deliberati dall'assemblea L'assegno finale lo dovrà
staccare chi ha appena acquistato, Si tratta quindi sempre di verificare se il palazzo ha stabilito interventi
importanti. Occhio al Fisco Al prezzo finale dell'immobile va sempre aggiunto un 10% di costi aggiuntivi legati
alle imposte catastali, all'iva o all'imposta di registro. Meglio eccedere nel calcolo della somma necessaria. Le
ristrutturazioni Tante volte chi compra casa non mette in conto i costi per la ristrutturazione o i tanti costi
inattesi che si possono presentare. Per esempio gli impianti elettrici e idraulici tante volte possono essere
sottodimensionati o usurati e chi acquista se ne accorge solo a operazione avvenuta. Vale lo stesso per
l'isolamento termico o acustico. Una soluzione può essere quella di guardare alla data di costruzione
dell'immobile o meglio ancora indagare su eventuali problemi interrogando i vicini. Sconti, non tirare la corda
Le trattative in genere portano sempre a una riduzione sul prezzo iniziale che si ferma al 1015% circa.
Tentare di ottenere molto di più può far sfumare l'affare, soprattutto se la casa è appena stata messa in
vendita. Impegni troppo pesanti Chi acquista con il mutuo deve ragionare bene sul reale budget che ha a
disposizione e sui futuri impegni finanziari che potrebbero riguardare l'intero nucleo familiare. In questo
conteggio rientra anche la decisione sul tipo di tasso sul mutuo. «Il variabile oggi è molto basso e parte
dall'1,6% vale a dire un punto e mezzo in meno del fisso che è al 3% - spiega Roberto Anedda, Direttore
Marketing Mutuionline -. Il tasso fisso costa quindi un po' di più ma offre la garanzia di una rata costante e
certa per tutta la durata del finanziamento». Nel caso la scelta vada sul variabile è sempre meglio mettere da
parte ogni mese una quota che corrisponda a metà della rata in modo da avere le spalle protette in caso di
imprevisti rialzi repentini dei tassi. E' bene poi mai fermarsi alla prima proposta di mutuo ma confrontare le
varie banche sul mercato. I costi sul mutuo Sono voci di cui molte volte le famiglie non sono nemmeno a
conoscenza e che possono far salire il costo finale. E' il caso delle polizze vita sui finanziamenti. Arrivano a
valere diverse migliaia di euro, non sono obbligatorie e nel caso di rottamazione del mutuo vanno ristipulate e
pagate da capo. Non pensare agli sgravi Un vantaggio che offre il mutuo è quello della possibilità di detrarre
gli interessi passivi dall'Irpef. Ogni anno si può arrivare a una quota che è al massimo di 800 euro. Si riesca a
usufruire di questo bonus soprattutto nei primi anni del finanziamento quando la componente degli interessi è
più alta.
Trend, spread e tassi 2 1,15 1,10 2,16 1,85 4,0000 2,8571 1,7142 0,5714 4,51% 5,24% 3,07% 1,65%
Variabile - LA STAMPA Febbraio 2008-2015 Fisso Fonte: Elaborazione su rilevazioni www.mutuionline.it
Evoluzione spread medio su mutui casa, durata 20 anni Evoluzione migliori tassi su mutui casa, durata 20
anni 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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tutto SOLDI LAVORO IN CORSO
07/02/2015
Il Messaggero
Pag. 3
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Regioni autonome e no a Kiev nella Nato ma sul piano pesano le sanzioni
a Mosca
Rimozione dell'artiglieria e cessate il fuoco Il nodo della Crimea, in crisi dopo l'indipendenza L'ipotesi di
accordo punta sull'integrità territoriale dell'Ucraina, con statuti speciali per le aree filorusse LA RUSSIA HA
PERSO MILIARDI A CAUSA DEI PROVVEDIMENTI DI EUROPA E USA POSSIBILE RIDUZIONE DELLA
STRETTA
Giuseppe D'Amato
MOSCA . Nessuno conferma, nessuno nega. La ragione è che la trattativa è appena iniziata, ma i suoi
termini sono noti. Il Patto di pace prevede un'intesa principale che riguarda questioni geostrategiche sullo
stile Yalta 1945. L'Ucraina, in sintesi, rinuncia al suo desiderio di aderire all'Alleanza atlantica ed in cambio la
Russia riconosce l'integrità territoriale della repubblica slava vicina. Ma il tranello sta, però, nei dettagli, come
sempre. Non è chiaro ad esempio ancora quanto a lungo varrà questo Patto e che cosa si intenda con
precisione per «integrità territoriale». Quale è la sorte della Crimea, che dopo un referendum contestato si è
unita nel marzo scorso alla Russia? Per il Donbass e Lugansk si è sempre parlato di ampia autonomia o
territori a regime speciale all'interno dello Stato ucraino. Fin dall'inizio della crisi i russi hanno spinto per la
"federalizzazione" della repubblica sorella ex sovietica in modo da avere le mani libere. Lo stesso schema era
stato tentato con la mediazione Kozak in Moldova nel 2006 per la Transnistria. Kiev è d'accordo sulle
autonomie per dare sfogo ai vari regionalismi interni, ma non vuol sentir parlare di alcuna federalizzazione del
Paese. I capitoli del Patto riguardanti le regioni orientali sono un aggiornamento degli accordi settembrini di
cessate il fuoco concordati a Minsk. Le mappe delle aree occupate dai contendenti dovranno essere
modificate, poiché i separatisti hanno conquistato ampie porzioni di territorio governativo. In precedenza era
l'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, a dover dividere i nemici, ora è stata
tirata in mezzo una forza di interposizione straniera. Gli ucraini pretendono che sia composta da occidentali, i
separatisti da ex sovietici. I PROVVEDIMENTI Il cessate il fuoco deve essere immediato come la rimozione
delle artiglierie. Sul fronte politico, nel documento di Minsk, erano già previste per dicembre elezioni locali
nelle terre in mano ai separatisti, saltate per una consultazione organizzata in novembre dalle due
Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. La stampa federale scrive dei possibili futuri scenari. Due le
sensazioni, che se ne ricavano. La prima è che le vere vittime di questa tragedia sono i civili, i quali vedono
trasformate le loro terre in un campo di battaglia. La seconda è che i veri giocatori di questa partita attendono
l'occasione giusta per mollare il classico bidone all'altro. Una cosa è guerreggiare in queste province, un'altra,
completamente diversa, è dare da mangiare a tre milioni di persone in distretti le cui infrastrutture sono in
parte distrutte e le cui industrie sono tecnologicamente superate. LA TRANSNISTRIA Non abbiamo i soldi per
sostenere la piccola Transnistria - è scritto su un sito dei liberali russi - dove abita tanta gente quanto nella
sola Lugansk, figurarsi per una fetta dell'Ucraina orientale con tutta quella popolazione! C'è poi il capitolo
della sempre più isolata Crimea, entrata in profonda crisi, dove il turismo - principale settore economico - è
crollato del 60% l'estate scors. La dipendenza dalle forniture di elettricità ed acqua dall'Ucraina resterà a
lungo ed il ponte, che unirà la penisola alla Russia, verrà costruito, se tutto andrà bene, non prima del 2018
per un totale di oltre tre miliardi di dollari. Ma questa avventura alla Russia è già costata troppo. Secondo il
ministero delle Finanze federale le sanzioni occidentali hanno mandato in fumo da 40 a 60 miliardi di dollari. Il
recente downgrade del Paese da parte delle agenzie di rating potrà provocare un danno da 20 a 30 miliardi.
A questa montagna di soldi vanno aggiunti i circa 150 persi per il crollo del prezzo del petrolio. La Russia e le
sue aziende non possono rifinanziarsi sul mercato internazionale a medio e lungo termine. Se lo Stato
federale ha ancora buone riserve valutarie (380 miliardi) i privati (in particolare le compagnie parastatali) sono
esposte per 650 miliardi, 100 da restituire nel 2015. Anche da qui la necessità di un buon accordo sulla
questione Ucraina.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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IL RETROSCENA
07/02/2015
Il Messaggero
Pag. 3
(diffusione:210842, tiratura:295190)
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Foto: John Kerry e Arseniy Yatsenyuk
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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07/02/2015
Il Messaggero
Pag. 6
(diffusione:210842, tiratura:295190)
«È stata un'avventura infelice i ceti dinamici votano i dem»
«IL FONDATORE È QUELLO CHE SE NE È ANDATO VIA PER PRIMO»
Diodato Pirone
Senatrice Lanzillotta, perché torna nel Pd e perché proprio ora? «Rispetto al 2013 è cambiato tutto. Allora,
come è scientificamente provato dagli studi dei flussi elettorali, Scelta Civica sottrasse a Silvio Berlusconi i
voti con i quali avrebbe vinto le elezioni. Oggi il Pd, che non ha più i condizionamenti di allora come la Cgil, è
il vero motore delle riforme». Proprio nessun rimorso per la fine di Scelta Civica? «Scelta Civica ha
rappresentato quei segmenti dinamici del ceto medio italiano che, sulla basi di valori liberaldemocratici,
intendono contribuire a far uscire l'Italia dalla crisi. Alle europee questo elettorato si è spostato su Renzi
inviandoci un segnale persino brutale». E Monti? «Il senatore Monti mantiene una statura internazionale. Ma
la sua avventura politica non è stata felice. La politica è una cosa complessa e spesso è fatta di amarezze.
Lui ha scelto di tirarsene fuori. Più che noi a lasciare lui è stato lui a lasciare noi». Siete in otto ad entrare nel
Pd ma per lei è un ritorno a casa. «La nostra è una scelta collettiva che ha un valore politico. Non si tratta di
assicurare i numeri al governo al Senato perché eravamo già in maggioranza quanto di riconoscere che con
l'arrivo di Renzi il Pd è ritornato alla missione originaria: essere l'energia riformatrice del Paese». Lei dopo la
rottura del 2009 col Pd torna sui suoi passi. «Per me quel passaggio fu traumatico. Così come è stato difficile
elaborare il risultato del 2013. Ci aspettavamo di rappresentare, come Scelta Civica, una forza centrale in
grado di garantire assieme al Pd la governabilità e la modernizzazione del Paese e invece fu proprio il Pd di
Bersani a non reggere quella prova. Ora però il centro non c'è più nella società che si sta polarizzando fra chi
vede nell'Europa il futuro del Paese e chi è antieuro e xenofobo. E non ci sarà più neppure nella politica». Nel
Pd non tutti vi accoglieranno a braccia aperte. «E' un partito con una forte dialettica come accade nelle grandi
formazioni politiche di centrosinistra, come il Labour inglese o i democratici americani, dove convivono anime
più radicali accanto a quelle liberal. Trovo che sia meglio così rispetto all'afonia de i monoliti socialdemocratici
come è ad esempio la Spd tedesca». Cosa dice a chi resta in Scelta Civica? «Capisco il rammarico di chi ha
scelto di celebrare il congresso. Ma noi avevamo detto già due mesi fa che ci sembrava una scelta sbagliata.
L'Italia non ha bisogno di partitini ma di grandi forze che spingano il cambiamento».
Foto: Linda Lanzillotta
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'intervista Linda Lanzillotta
08/02/2015
Il Messaggero
Pag. 1
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Alfano: «L'Ncd esce ricompattato leali al governo su obiettivi precisi»
Barbara Jerkov
Auna settimana dal voto per il Quirinale, calmate le polemiche, è il momento, per il leader di Ncd Angelino
Alfano, di fare un'analisi. «Gli italiani hanno un ottimo presidente che noi abbiamo votato». A pag. 6 Auna
settimana dal voto per il Quirinale, calmate le polemiche, è il momento giusto per fare un'analisi di questo
voto. I sondaggi premiano l'iniziativa di Renzi, viceversa il centrodestra ne è uscito logorato. E' davvero così,
ministro Alfano? Insomma, chi ha vinto e chi ha perso? «Gli italiani hanno un ottimo presidente che noi
abbiamo votato proprio perché la sua persona ci convince. Per Renzi sarà stato un successo se le riforme
costituzionali e la legge elettorale non si bloccheranno e quindi dovremo attendere alcune settimane per un
giudizio definitivo. Per l'oggi, noi possiamo dire di avere fatto la scelta giusta che non mi pare punita dai
sondaggi, anzi». Intanto però Berlusconi dichiara di fatto morto il Patto del Nazareno e anzi vede nelle riforme
in cantiere «un rischio di deriva autoritaria», annunciando che da questo momento in poi Forza Italia si ritiene
sciolta da ogni impegno. E' la fine delle riforme, ministro? «Ho detto che dovremo aspettare alcune settimane
perché lì si capirà se questo voto annunciato caso per caso dal presidente Berlusconi si traduce in un
sostanziale no o in un sì senza patto e senza amore». Che fine ha fatto quel patto dei moderati stretto tra lei
e Berlusconi per esprimere una candidatura comune? Sembrava essere il primo passo verso una
ricomposizione del centrodestra: è già finito prima ancora di decollare? «Si è recuperato un rapporto dopo
mesi di duro scontro. Non abbiamo intenzione e interesse a disperdere le opportunità di questo dialogo che
va nel solco di una ricomposizione, sui contenuti, del centrodestra. Anche se, questa volta, non ha prodotto il
risultato auspicato perché, su una persona come il presidente Mattarella, non è stato possibile conciliare il
nostro patto di governo con il loro patto del Nazareno che sostenevano essere stato tradito». Resta il progetto
di dar vita a candidature comuni in vista delle prossime regionali, tra Ncd e FI? «La nostra partecipazione al
governo non ha cambiato natura: era e rimane legata alla situazione di emergenza di questa legislatura, alla
realizzazione di nostri obiettivi programmatici ben precisi e alla mancanza di una reale attuale possibilità
alternativa con il centrodestra». E con la Lega di Salvini, sempre in vista del voto di primavera, che rapporto
immagina? «E' un problema nel problema e pure grande. Basti pensare all'ultima elezione in Emilia: Lega
vincente in centrodestra perdente. Un ottimo risultato della lista della Lega, ma con un candidato presidente,
per l'appunto un leghista, che ha conseguito il peggiore risultato di sempre. Se guidano loro, vanno bene loro,
ma il centrodestra perde. Non è una formula che ci interessa perché è un pessimo affare per i moderati». A
proposito di Salvini: in queste ore è in Sicilia, la sua Regione. Pensa che la proposta di una Lega depadanizzata possa fare presa sul Sud e fare concorrenza a voi e a Forza Italia? «Ripeto una cosa che vale
da Bolzano a Lampedusa: se Salvini ci vuole portare fuori dall'Europa e dall'Euro, è chiaro che milioni di
moderati sceglieranno Renzi e così la Lega sarà ingrassata col voto di protesta, ma il Pd governerà anche la
prossima legislatura». Dentro al suo partito l'elezione di Mattarella ha provocato non pochi scossoni: Sacconi
si è dimesso da capogruppo, Saltamartini ha lasciato Ncd. Pentito della sua decisione di votare il nome
indicato da Renzi per il Quirinale? «In realtà è il contrario: proprio il nome alla fine mi ha indotto alla scelta di
votare per il neo presidente. Avrei avuto dissensi sia con scheda bianca (che per definizione non è un atto
ostile al candidato) che votandolo. Ho fatto la scelta giusta e ne rivendico la piena responsabilità perché
tengo sempre a mente la serietà che da noi ci si aspetta. Ho ricevuto grandi attestati di stima per questa
scelta da parte della nostra base . Se c'è qualche fermento a Roma, che tra l'altro già sta rientrando, posso
dire che invece i nostri attivisti e i nostri eletti hanno apprezzato e compreso la decisione e ci spingono ad
andare avanti». Ma l'Ncd si è diviso, ministro. «No, il partito esce ricompattato da questa dura prova e
Barbara Saltamartini ha annunciato ora una decisione maturata quando abbiamo fatto i gruppi unici con
l'Udc. Ovviamente questa rinnovata unità avviene alla faccia di chi voleva destabilizzare noi per destabilizzare
il governo. Ogni volta che c'è un nostro momento complicato, si scatenano le forze più disparate ad
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'intervista
08/02/2015
Il Messaggero
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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aggredirci. Anche stavolta hanno fallito. In sostanza, dopo una settimana di tempesta mediatica, non se n'è
andato nessuno». In più d'uno, nell'Ncd, ha invocato a questo punto una verifica di governo: Renzi ha
respinto seccamente la richiesta dicendo che non accetta "riti da prima Repubblica"... «Lo penso anch'io e
per questo io non l'ho chiesta. Il partito è uscito ricompattato su una linea di sostegno al governo che si
qualifichi su obiettivi precisi. A me interessa una cosa: abbiamo degli obiettivi chiari su altre leggi da scrivere
con la mano destra. Credo si debba rimettere al centro dell'agenda alcuni temi, innanzitutto le condizioni di
chi lavora per lo Stato». E dunque chiede di scrivere nell'agenda di governo? «Vogliamo portare a casa
risultati: sicurezza, Forze dell'Ordine, riduzione delle tasse sulla casa, partite Iva, sostegno alla famiglia, Sud,
no profit. Ragioniamo di come cambiare l'Italia e non di come regolare i rapporti di forza». In queste ore nella
maggioranza stanno accadendo parecchie cose: l'altra gamba moderata della coalizione, Scelta Civica, è
confluita in massa nel Pd. I suoi rappresentanti al governo rafforzano di fatto la componente del Pd... Ritiene
che questo possa far tornare per forza di cose la questione verifica e/o rimpasto? «Pensiamo che il
presidente del Consiglio non ne abbia l'interesse e neanche l'intenzione. Noi lavoriamo su obiettivi e gli
italiani si aspettano da noi serietà, competenza e concretezza. Siamo stati noi a garantire stabilità all' Italia
quando tutto sembrava precipitare e Grillo intravedeva la rivincita. Non perderemo questo connotato che ci ha
fatto votare da un milione e duecentomila cittadini della Repubblica. Ovviamente una stabilità che produce
risultati». C'è chi vede nel giro di vite sul falso in bilancio o sull'aumento del canone per le frequenze tv le
prime conseguenze concrete dei mutati rapporti con Berlusconi... «Sono certo che il Pd non ragioni nella
logica di reazioni e ritorsioni. Chi ha il potere non può e non deve ragionare così nei confronti di chi è
all'opposizione e infatti, ribadisco, sono certo che così non sia». In Senato, per far arrivare a destinazione le
riforme nonostante lo strappo di Berlusconi, appare inevitabile l'arrivo dal centrodestra di quelli che si sono
già autocandidati come "gli stabilizzatori". Un apporto che la imbarazza o la rassicura? «Ancora non li ho visti
perché quelli che hanno aderito al Pd non aggiungono nulla in quanto sono già della maggioranza e alcuni
del governo. Vedrà che Renzi non vorrà rendersi schiavo dei mille ricatti di singoli parlamentari. E questa
sarà la nostra forza. Noi gli offriamo una lealtà sulle riforme e sulle misure concrete e lo facciamo da partito
politico di persone serie».
08/02/2015
Il Messaggero
Pag. 5
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Per il premier però l'interlocutore con il centrodestra resta unicamente Verdini Il videomessaggio per scuotere
palazzo Chigi e aprire un tavolo su nuove basi PESA IL NODO DEI 50 MILIONI IN PIÙ ALL'ANNO CHE
MEDIASET POTREBBE DOVER SBORSARE
Marco Conti
IL RETROSCENA R O M A Batte un colpo, ancora un po' più forte sperando che da palazzo Chigi qualcuno
risponda. Lo fa di sabato pomeriggio, pesando attentamente le parole e provando il monologo-intervista più di
una volta per evitare toni troppo duri. Alla fine il risultato che Silvio Berlusconi voleva lo ottiene collocando
Forza Italia con tutti e due i piedi fuori del Patto del Nazareno. Insieme a Toti e ai capigruppo Romani e
Brunetta, il Cavaliere, da Arcore, lancia un estremo video-appello a Matteo Renzi che serve a ricompattare il
partito e a dare anche un senso alle barricate che il gruppo della Camera di FI dovrebbe fare da martedì
quando si comincerà a votare la riforma costituzionale. PASSAGGIO Accennare, senza entrare nel merito, a
una possibile «deriva autoritaria», significa per l'ex presidente del Consiglio tentare un fronte comune con la
sinistra del Pd oltre che con la Lega e il M5S. Mettere alla prova la coesione del Pd sperando sul noto e più
volte sperimentato "tafazzismo" della sinistra, significa per il Cavaliere dimostrare che senza FI il governo non
va avanti. L'esatto opposto di ciò che invece Renzi intende provare. Ovvero che «nessuno può porre veti» e
che il rapporto tra i due contraenti del Patto non è mai stato paritario. Ovvio che ciò abbia fatto crescere
l'irritazione del Cavaliere. «Oltre allo sgarbo» ricevuto al momento della scelta del Capo dello Stato, «ora fa
anche lo strafottente», sosteneva ieri mattina Berlusconi convocando l'inattesa riunione del gabinetto di crisi
ad Arcore. Il passaggio al Pd di un pacchetto di parlamentari di Scelta Civica è stato l'ultimo campanello
d'allarme che ha spinto l'ex premier a serrare i ranghi. Il timore che anche qualcuno di FI possa fare lo stesso
lo preoccupa e certificherebbe la marginalità di FI sia alla Camera che al Senato. All'irritazione per i 50 milioni
di euro in più che Mediaset dovrà pagare, Berlusconi aveva risposto cercando un interlocuzione grazie ai
buoni uffici che Toti e Romani hanno subito messo in atto. Senza considerare, forse, che Renzi sul Patto si
attende solo un "sì" o un "no" perché «non c'è da trattare nulla» e che comunque Verdini resta l'unico
interlocutore con il quale palazzo Chigi ha discusso sinora. Oltre, ovviamente, Berlusconi. L'ex premier sente
aria di libertà e della ripresa dell'attività politica che, una settimana dopo l'8 marzo giorno di conclusione dei
servizi sociali, lo porterà a Napoli per sostenere la candidatura di Caldoro. ICONA Il passaggio alla Camera
delle riforme costituzionali e dell'Italicum lo dà per scontato, ma attende la maggioranza alla terza lettura del
Senato nella quale la maggioranza dovrà dimostrare di essere super coesa. A palazzo Chigi non si stracciano
le vesti per le dichiarazioni del Cavaliere che candida ancora se stesso per riunire il centrodestra. Prospettiva
che allarma anche coloro che dentro il partito di Alfano spingono per un dialogo a destra, ma in buona
sostanza anche Fitto che considera Berlusconi «un'icona» e che non ottiene l'azzeramento dei vertici di FI. A
Renzi non sembra vero poter dimostrare, dopo mesi di accuse sul contenuto del Patto, che Berlusconi non ha
«poteri di veto» e sostiene di attendere con «curiosità» le modifiche «non autoritarie» che intende proporre
alle riforme costituzionali e alla legge elettorale che FI ha già votato.
Il Patto del Nazareno ANSA RIFORMA TITOLO V COSTITUZIONE LEGGE ELETTORALE NUOVO
SENATO Distribuzione dei seggi a livello nazionale con sistema proporzionale Camera elettiva con premio di
maggioranza del 20% a chi raggiunge il 35% dei voti a livello nazionale Riforma poteri e competenze di
Comuni, Città metropolitane, Province, Regioni a statuto ordinario e speciale Circoscrizione su base
provinciale o subprovinciale Niente preferenze e liste bloccate di pochi nomi Doppio sbarramento: 4-5% per i
par titi in coalizione, 8% per i par titi non coalizzati Non più elettivo, composto da rappresentanti delle
autonomie locali
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
249
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La mossa per spaccare i dem ma Renzi lo gela: non tratto
08/02/2015
Il Messaggero
Pag. 5
(diffusione:210842, tiratura:295190)
«Finito il tempo dei veti di FI avanti con l'effetto Mattarella»
«D'ALEMA PARLA DI STALINISMO? QUELLA STORIA NON CI APPARTIENE»
Claudio Marincola
ROMA «Berlusconi che parla di deriva autoritaria è quasi commovente...». Debora Serracchiani, portavoce
pd, non prende troppo sul serio le parole del Cavaliere, «resto convinta che Forza Italia, che rispetto, non
abbia alcun interesse ad abbandonare il percorso delle riforme. Faremo capire agli italiani che è finito il tempo
in cui Berlusconi poteva mettere i veti». Sarà un caso ma anche D'Alema di recente ha ironizzato sui metodi
"stalinisti" di Palazzo Chigi per una foto in cui compare il presidente Mattarella ma lui sarebbe stato "tagliato".
«Non ho visto quella foto, ironia per ironia le rispondo che quelle esperienze proprio non ci appartengono. Più
in genere posso dire che il metodo con cui è stato scelto il presidente è operativo da sempre. Sia per le
riforme, sia per i passaggi più delicati del Jobs act abbiamo sempre cercato un accordo ma non sempre è
stata trovata la sintesi». D'Alema parla anche di un metodo-Mattarella da prendere come esempio. «Non so
cosa intenda Massimo D'Alema per metodo Mattarella. Posso dire, per avervi partecipato, in che modo è
stato individuato il nome del presidente della Repubblica: eravamo consapevoli di quello che esprimevano i
nostri 345 elettori. Sapevamo che avevamo un colpo: non potevamo sbagliarlo, ci siamo resi conto che altri
suscitavano perplessità e diffidenza». D'Alema, tra le righe, quella scelta un po' la rivendica. «Torno a dirle: il
criterio che abbiamo seguito è stato quello di incontrare tutte le delegazioni. E tutti ci ripetevano un concetto
comune: era arrivato il tempo di un presidente che avesse un'esperienza politica tale da resistere agli stress
test, una figura in grado di garantire imparzialità, non giocatore ma arbitro. Alla fine seguendo questa strada
non è stato difficile arrivare a Mattarella». One man show: Renzi può farcela da solo? «Lei prima parlava di
un metodo Mattarella. Io parlerei piuttosto di un effetto Mattarella. Chi ha vissuto questa esperienza si è reso
conto che alla fine a tirare un sospiro di sollievo non è stato un partito o un gruppo politico, ma il Paese.
Siamo riusciti a fare una scelta condivisa in poco tempo con sollievo di tutti. Molti di noi hanno acquisito la
consapevolezza che in tempo di crisi la gente ci chiede questo. Nei circoli del Pd, che venivano da un periodo
a dir poco difficile, si respirava una bella atmosfera. C'era fierezza. Questo effetto Mattarella, e vengo dunque
alla sua domanda, ci dà forza e può contagiare anche il Parlamento. C'è anche il sollievo di aver cancellato
quella brutta pagina di due anni fa. E la spinta si è già vista. Per definire i ddl anti-corruzione e il falso in
bilancio è bastata una riunione. Dobbiamo continuare con questa determinazione. L'Italicum va approvato in
tempi brevi alla Camera con il testo che è stato licenziato dal Senato. Il ministro Boschi ha detto che dalla
prossima settimana ci lavorerà dalle 9 alle 23, sabato compreso». Sul canone delle frequenze tv lo sconto a
Mediaset è saltato. «Ci sono precisi vincoli europei: non è stata una ritorsione, solo la mera ratifica di una
direttiva». Scelta civica è confluita nel Pd. Il trasformismo ormai è diventata una prassi. «Per alcuni, penso a
Maran, Lanzillotta, Ichino, si è trattato di un ritorno. Non c'è stata nessuna campagna acquisti». Accogliereste
a braccia aperte anche Scilipoti? «Non credo proprio che ve ne siano le condizioni e non sarebbe un valore
aggiunto».
Foto: L'intervista di Massimo D'Alema al Messaggero
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'intervista Deborah Serracchiani
09/02/2015
Il Messaggero
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Il premier accelera su coppie di fatto e ius soli dopo lo strappo di Berlusconi sulle riforme Il Cavaliere attacca:
«Torneremo a fare opposizione a 360 gradi, compatteremo il partito»
Marco Conti
«Unioni civili e ius soli, subito dopo le riforme costituzionali ed elettorali». Lo aveva promesso e adesso
Matteo Renzi è deciso ad accorciare i tempi perché, sostiene, si tratta di argomenti «in cima al programma
dei millegiorni». Si comincerà dal Senato - subito dopo l'ok al ddl anticorruzione - con il testo sulle unioni civili
che ricalca il sistema in vigore in Germania. Intanto Berlusconi attacca: «La nostra opposizione torna a 360
gradi». A pag. 2 Menafra e Pirone alle pag. 2 e 3
IL RETROSCENA R O M A «Unioni civili e ius soli, subito dopo le riforme costituzionali ed elettorali». Lo
aveva promesso ed ora Matteo Renzi è deciso ad accelerare perché, sostiene, si tratta di argomenti «in cima
al programma dei millegiorni». Si comincerà dal Senato - subito dopo il ddl anticorruzione con il testo sulle
unioni civili già incardinato in commissione e frutto dell'intesa raggiunta nella maggioranza che ricalca il
sistema in uso in Germania. Alla Camera basterà attendere il varo delle riforme costituzionali, in agenda la
prossima settimana, per incardinare lo ius soli "temperato" per i figli di stranieri che hanno concluso un ciclo
scolastico.
PROGRESSISTI Due riforme che hanno fatto discutere le forze di maggioranza come i partiti d'opposizione
ma che hanno il pregio di essere a costo zero, malgrado il grande impatto sociale. Due argomenti destinati a
raccogliere in Parlamento maggioranze allargate che rischiano di creare ulteriori complicazioni alla linea
dell'opposizione dura riproposta anche ieri mattina da Silvio Berlusconi. Lo scorso ottobre il Cavaliere,
parlando alla Camera, schierò il partito sostenendo la linea dell'esecutivo. «La legge tedesca sulle unioni civili
è il giusto compromesso tra le libertà di tutti e il rispetto profondo dei valori cristiani della famiglia», ebbe a
dire l'ex premier. Stessa sintonia con Renzi sullo ius soli: «Era una nostra proposta», «siamo d'accordo e
riteniamo che dare la cittadinanza ad un figlio di stranieri sia doveroso quando questa persona ha fatto un
ciclo scolastico e conosce la nostra storia». Resta da vedere se anche su questi due argomenti vale la linea
espressa sull'Italicum o se piuttosto Berlusconi le giudicherà annoverabili tra le «riforme positive» evocate ieri
anche per non doversela vedere con una fetta del partito che lo scorso ottobre lo costrinse ad ufficializzare a
Montecitorio la posizione "aperturista" di Forza Italia. In sostanza Berlusconi sa di dover fare i conti in materia
con le posizioni progressiste della fidanzata Francesca Pascale e con la foto che lo ritrae ad Arcore insieme a
Vladimir Luxuria. Dalle mancate reazioni dei suoi risulta chiaro che la giornata trascorsa in famiglia a
Pontassieve ha contribuito a rendere flebili le minacce berlusconiane. Renzi continua a pensare che alla fine
il Cavaliere non strapperà e farà votare la riforma costituzionale che da domani si voterà a Montecitorio. Per
la legge elettorale, che non cambierà, c'è più di un mese di tempo per ricucire prima dell'approdo in aula. E'
comunque evidente che il presidente del Consiglio sembra divertirsi nel lavorare anche sulle contraddizioni
dell'opposizione e di un pezzo di sinistra del Pd che, dopo l'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale e la
rottura del patto del Nazareno decretata dal Cavaliere, sollecita un riequilibrio a sinistra dell'azione del
governo. Modifiche alla legge elettorale non sono però all'ordine del giorno di palazzo Chigi così come è
quasi impossibile una riscrittura del jobs act attraverso i decreti delegati. Uno spazio per dire e fare quel
«qualcosa di sinistra» evocato a suo tempo da Nanni Moretti, il premier lo ha individuato nei diritti civili.
Ovvero approvando due riforme attese da anni e sulle quali si è consumato un duro scontro ideologico. Più o
meno indifferente ai toni minacciosi che provengono dall'opposizione e da dentro la maggioranza - ieri è stata
la volta di Scelta Civica - Renzi tira diritto sull'agenda di governo senza farsi imporre mediazioni e partendo
da una sostanziale e ritrovata unità del Pd. A chi lo accusa di fare campagna acquisti replica sottolineando
che la maggioranza non è mutata nei numeri. Anzi, sarebbe stato un errore non aprire le porte del Pd a chi lo
ha lasciato di recente. Marco ContiLe frasi LA LEGGE SULLE UNIONI CIVILI VERRÀ PRESENTATA NELLE
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Renzi: subito le unioni civili
09/02/2015
Il Messaggero
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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PROSSIME SETTIMANE Renzi, 3 febbraio Renzi, 2 febbraio IL PERCORSO DELLE RIFORME È
IMPEGNATIVO: COSTITUZIONE, MA ANCHE DIRITTI CIVILI E IUS SOLI
GARANTIRE LA CARTA SIGNIFICA LIBERTÀ COME PIENO SVILUPPO DEI DIRITTI CIVILI NELLA SFERA
PERSONALE E AFFETTIVA Mattarella, 3 febbraio
Così in Europa Svezia ANSA Islanda Por togallo Irlanda Scozia Inghilterra Galles Spagna Nor vegia Francia
Olanda Belgio Svizzera Slovenia Germania Danimarca Croazia Finlandia Irlanda del Nord Sì al matrimonio Sì
alle unioni civili Ungheria Austria Paesi europei che hanno legalizzato le unioni tra omosessuali
20 Le proposte di legge in commissione sulla cittadinanza: una d'iniziativa popolare
li anni di residenza regolare nel nostro Paese necessari, per lo ius soli, a guadagnarsi la cittadinanza
Foto: Matteo Renzi
09/02/2015
Il Messaggero
Pag. 2
(diffusione:210842, tiratura:295190)
«Non è sacrilegio cominciare a parlarne Ncd nega i radicalismi, non il
buon senso»
«NON SONO PRIORITÀ RISPETTO AD ALTRI TEMI PIÙ ATTUALI E URGENTI» «L'IMPORTANTE È
RISOLVERE LE QUESTIONI SENZA ERIGERE BARRIERE IDEOLOGICHE»
Sara Menafra
R O M A Ius soli e unioni civili alla tedesca. Almeno sulla carta non sembrano i temi più congeniali ad un
partito moderato come il Nuovo centro destra. Il viceministro alla giustizia Enrico Costa, però, non tira il freno,
anzi. A sentir lui, una mediazione su questi argomenti si può trovare, a patto di non fare forzature.
Viceministro, passate le riforme istituzionali Renzi sembra intenzionato ad affrontare quelle civili, lei che ne
pensa? «All'interno del Ncd io sono tra quelli che provengono da una cultura liberale e non ho alcuna
pregiudiziale nell'affrontare questi argomenti. Finora questi argomenti sono stati gestiti come fossero
bandierine da piantare, invece di forme mature di espressione rispettose della Costituzione. Nel 2000, come
consigliere della Regione Piemonte sono stato il primo a presentare una proposta per la costituzione del
registro delle unioni civili, per disciplinare le diverse forme di convivenza. Anche il tema dello ius soli è stato
affrontato più volte, ricordo che nel 2006 la commissione Affari costituzionali aprì un ampio dibattito
sull'argomento». Sulla carta non sembrano i temi più congegnali all'elettorato del Nuovo centro destra. Dopo
l'approvazione delle riforme e l'elezione del capo dello stato, questo tema sembra nuovamente dar più spazio
all'agenda di Matteo Renzi che alla vostra... «Per il nostro elettorato i diritti civili hanno grande importanza.
Siamo un partito di buon senso che rifiuta i radicalismi. E ci aspettiamo che questo metodo, affrontare il tema
senza demagogie, discutendo sulle forme, aprendo il dialogo e puntando ad una sintesi costruttiva ad ampio
raggio sia seguito dall'attuale governo anche in questo caso. Ricordo personalmente per averlo vissuto
direttamente l'andamento del governo Monti. Anche questo era sostenuto da forze eterogenee ma c'era un
reciproco o potere di veto che portava all'inerzia. Questo governo quando assume l'onere della sintesi è in
grado di svolgerla con un approccio costruttivo e non impeditivo». Ma sono davvero prioritarie le riforme dei
diritti civili? «Non sono priorità rispetto ad altri temi più attuali e più urgenti, ma credo che queste analisi e
queste riflessioni debbono partire ed evolversi. Non è un sacrilegio cominciare a parlarne in modo più
puntuale». Nel merito, potrebbe non essere facile trovare la sintesi. Unioni civili alla tedesca vuol dire stessi
diritti contenuti nel matrimonio per tutti, anche le coppie omosessuali, escluse le adozioni. «Credo che
l'approccio scelto finora dal Senato, che sta ipotizzando di applicare i diritti del matrimonio in modo
automatico alle unioni civili sia un approccio divisivo e che si debba rivedere questa base di partenza».
Stesso discorso per lo ius soli che prevede di dare la cittadinanza a tutti i nati in Italia. Quale mediazione è
possibile? «Ripeto, non voglio entrare nel merito ora. L'importante è avere un approccio non radicale per
risolvere le questioni senza ergere barriere ideologiche. Con un calendario che consenta un dibattito ampio».
Foto: Enrico Costa
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'intervista Enrico Costa (viceministro alla Giustizia)
09/02/2015
Il Messaggero
Pag. 9
(diffusione:210842, tiratura:295190)
PUTIN NON HA ANCORA INTENZIONE DI CEDERE SULL'UCRAINA PER LUI QUESTA È «LA MADRE DI
TUTTE LE BATTAGLIE» MOSCA È INDEBOLITA DALLE SANZIONI MA È IN GRADO DI RESISTERE ALLE
PRESSIONI PER UN ALTRO ANNO
Giuseppe D'Amato
IL RETROSCENA M O S C A Questa è la "madre di tutte le battaglie", il tanto temuto ed atteso colpo di coda
contro il declino provocato dalla globalizzazione del XXI secolo. La Russia non vuole rinunciare al suo ruolo
di potenza, se non più globale, almeno in Europa ed in Asia. Il «se non vogliamo diventare una colonia»,
appoggiatemi di Vladimir Putin alla sua gente riecheggia sfide lontane in cui viene tirata a mezzo la stessa
«missione» di questo popolo, che ripete orgogliosamente di aver fermato prima i mongoli, poi Napoleone,
quindi Hitler. Adesso Mosca si presenta come il baluardo ultimo per la difesa delle tradizioni in genere e dei
valori familiari in particolare contro la deriva occidentale. I NEMICI Sono i rapporti russo-europeo-americani
ad essere entrati da tempo in crisi. L'Ucraina, Paese strategico centrale di questa area del Vecchio
Continente, si è trasformata nel logico campo di battaglia. Non è un caso che l'accorta diplomazia post
Guerra Fredda firmò nel 1994 il Memorandum di Budapest, fornendo a Kiev ampie garanzie sulla sua
integrità territoriale. Dal marzo 2012, quando Vladimir Putin è tornato al Cremlino, il presidente lavora per la
storia e per far uscire la Russia dall'empasse geopolitico successivo al 1991. Troppe misure, all'apparenza
insignificanti, davano queste sensazioni. Ad esempio, perché i deputati federali e tutti i funzionari dello Stato
hanno dovuto chiudere i propri conti bancari all'estero e disfarsi persino delle proprietà immobiliari in altri
Paesi? Perché si sono privilegiate scelte nazionali in econom i a a s c a p i t o d e l l a concorrenzialità? E i
miliardi buttati in spese militari? I TEMPI La tempistica è pure fondamentale. La tempesta ucraina è scoppiata
nel momento in cui il gigante slavo aveva i forzieri pieni ed il prezzo del petrolio alle stelle. La gente
straboccava di orgoglio patriottico per la vittoria alle Olimpiadi invernali di Sochi. Nostre fonti ci avevano
raccontato nel marzo scorso che la campagna militare pianificata in Ucraina era fino a dicembre. Oggi la
Russia ha capitali ancora per 12-24 mesi. Fin dall'inizio si sapeva che Mosca avrebbe potuto resistere a
medio termine (2-3 anni). Poi il suo vantaggio sarebbe terminato. Ecco perché all'improvviso Putin appare più
morbido. Dopo «l'adesione» della Crimea con un'azione tecnicamente perfetta, il presidente era stato
convinto che si sarebbe potuta creare la «NovoRossija», la «Nuova Russia», privando Kiev del suo sbocco al
mare arrivando fino alla Transnistria. Gli ucraini hanno reagito facendo fallire il progetto, imbottigliandolo in
alcuni distretti del Donbass e Lugansk. Ottenere la «federalizzazione» della repubblica slava sorella e non
discutere della restituzione della Crimea sono gli obiettivi locali del Cremlino. Quelli veri sono altri. GLI
EQUILIBRI Vladimir Putin non è d'accordo su questo ordine mondiale, costruito da «chi si sente vincitore»
della Guerra Fredda. Un primo risultato importante per il Cremlino sarebbe che l'Ucraina rinunci ad aderire
alla Nato. Il secondo che le cancellerie che contano tornino ad ascoltare la voce di Mosca. Il terzo chimerico
che gli attuali equilibri internazionali mutino. LE CRITICHE Nelle settimane passate colpiva che Putin si
lamentava come i senatori Usa avessero bloccato la turnazione di funzionari nelle istituzioni finanziarie
mondiali a discapito di quelli del Brics, i Paesi emergenti. Restano alcune domande aperte: l'Occidente è
stato sufficientemente inclusivo con Mosca? Quali errori sono stati compiuti? Da buon russo Putin si giocherà
tutto ed alzerà la posta all'infinito. Il rischio che la Russia fallisca finanziariamente è sentito come non vicino.
La speranza è che la buona stella aiuti come in passato e soprattutto il prezzo del barile aumenti il prima
possibile. Avversari politici in casa che possano intimorire "lo zar" non si vedono ancora all'orizzonte.
Foto: DECISO Vladimir Putin intende dialogare con l'Europa ma prima vuole porre una serie di condizioni
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
254
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Lo zar rivuole la Grande Russia: «Non saremo una colonia»
07/02/2015
Il Giornale
Pag. 1
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Un Papa da schiaffi
Marcello Veneziani
Confesso di seguire divertito la svolta manesca di Papa Francesco. Prima il pugno a chi parla male della
mamma o di Madre Chiesa, poi il calcio nel fondo schiena ai corrotti e il manganello contro i preti pedofili, ora
la sculacciata ai figli e l'elogio del padre picchiatore. E per la curia pedate all'osso sacro e olio santo da
trangugiare al posto dell'olio di ricino? Papa Giovanni mandava ai bambini una carezza tramite i loro genitori,
Papa Manesco invece manda ai pupi un fracco di bufitone (ceffone in spagnolo e nei dialetti del nostro sud);
anche se poi, in un soprassalto di carità, suggerisce di non mollare la pizza in faccia ma sul culetto. Almeno
in queste maniere spicce, Papa Francesco segue la linea di don Camillo ed entra nel mirino del Telefono
azzurro. Del resto, il Papa non considera i figli sempre una benedizione di Dio nel nome del cristiano
«crescete e moltiplicatevi», perché se superi la modica quantità, dopo il terzo figlio lui ti degrada al rango
zoologico (in base alle parole del Papa io che sono un quarto figlio sarei un coniglio). Il messaggio di limitare
le nascite è valido per il Terzo mondo, non da noi dove c'è denatalità e i condom battono i conigli. A parte i
sussulti maneschi, da parroco all'antica o alla sudamericana, Papa Francesco celebra nel suo magistero le
nozze tra Ovvietà e Progressismo un po' furbetto. La prego, Santità, non faccia pure lei il democristiano di
sinistra, anche se sono tornati di moda. Sennò pure noi rimpiangiamo Anagni, dove volavano gli schiaffi ai
papi.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
255
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Cucù
07/02/2015
Il Giornale
Pag. 4
(diffusione:192677, tiratura:292798)
La Ditta già in fibrillazione per gli arrivi dei responsabili
La strategia del premier mette in allarme la sinistra del partito: gli ingressi dei montiani e degli ex grillini
rischiano di rispostare l'asse al centro. D'Alema avverte: «No agli Scilipoti» BERSANI NON CI STA «Non può
essere solo uno spostamento opportunistico»
Roberto Scafuri
Roma Matteo Renzi si allarga, è risaputo. Ma dall'elezione di Mattarella in avanti, si rischia la tracimazione,
l'esondazione, lo straripamento. Non solo in tv, soprattutto tra i banchi parlamentari: sul carro arrivano i
montiani, e forse anche altri «responsabili». Segnale chiaro, per quanto per ora ininfluente dal punto di vista
dei numeri. «Cosa cambia? Facevano già parte della maggioranza», sottolinea Paolo Corsini, uno dei
senatori più lucidi tra quelli che in Senato si sono opposti allemodalità brutali (prendere o lasciare) di certe
riforme renziane. Nonsfugge però che un Pd«pigliatutto» cambia la possibilità della sinistra di incidere e
contare. Sull'uscio di casa ci sono anche molti ex grillini e persino qualche forzista. «Se tra di essi ci fosse
Verdini - mette le mani avanti Massimo Mucchetti - direi che sarebbe assai imbarazzante per il segretario far
entrare un uomo che deve rispondere dell'accusa di bancarotta del Credito cooperativo. Anche in questo
caso, comunque, poco cambia: i pasdaran del Nazareno votavano già in linea con i renziani». Il pericolo di
trasmutazione genetica c'è, se ne avvede per tempo Massimo D'Alema, che in un'intervista al Messaggero ha
lanciato l'allarme: «Non si arruolino Scilipoti di turno, il governonon può puntare a sostituire il Patto del
Nazareno con il trasformismo parlamentare». Preoccupato l'ex leader Pier Luigi Bersani: «Io non sono affatto
per un Pd più stretto ma, se lo si deve fare più largo, ragioniamo politicamente. Non può essere solo uno
spostamento di persone... Un conto sono le scelte di tipo personale, opportunistico, secondo me sempre
disdicevoli, un conto è quando c'è un passaggio politico». Pure Mucchetti e Corsini distinguono fior da fiore.
«Uno come Ichino, per esempio,è una persona stimabile che può dare contributi importanti, che siano
condivisibili o meno. Tutt'altro paio di maniche è quando il ripensamento è dettato da convenienza
personale». Così, per Corsini, l'importante è che nella sua azione «il Pd continui a fare il Pd e non il PdR, il
partito di Renzi». Non si fa illusioni Stefano Fassina, che considera «fisiologico» l'arrivo dei montiani, visto
che la riforma del lavoro «è ormai in gran parte coincidente con l'agenda Monti. Il punto sta nell'asse politico e
il profilo programmatico del partito. Ma questo da tempo». L'asse si sposta verso destra, è innegabile. Gli ex
prodiani (ora bindiani) come Franco Monaco non ci stanno: «Ci si risparmi lo spettacolo non esaltante dei
cosiddetti responsabili. Il partito a vocazione maggioritaria non può essere confuso con il partito pigliatutto. I
numerinonsono tutto». Non acaso, invece,Renzi ricorda a ogni pie' sospinto che «si va avanti, i numeri ci
sono». Con lui gran parte del partito. I Giovani Turchi, che pure si erano voluti distinguere nel voto a
Mattarella, ritengono che il «segnale chiaro sia rivolto a Forza Italia, e alcuni ritorni o ripensamenti non
mutano il quadro», come spiega Antonio Boccuzzi. Così come non cambieranno le possibilità di frenare le
riforme in corso d'approvazione. «Spero che Renzi si renda conto che l'idea di comandare con continui
appelli all'obbedienza è rischiosa», è stato il monito di D'Alema. Ma ormai l'appello di Gianni Cuperlo al
premier suona come una tromba in un quartetto d'archi: «Cambiamo pure l'Italia, ma facciamolo con la
sinistra, Matteo». E il disincanto di Pippo Civati come il grido dell'ultimo dei mohicani : se la rottura del
Nazareno e le conseguenti «transumanze fossero una cosa seria, si sarebbe già aperta una crisi». Ma l'aria
non è quella, né si può dire: piove, governo ladro.
Lìder maximo
LA RIVENDICAZIONE
Noi marginali? Abbiamo avuto un'influenza determinante nell'elezione del capo dello Stato. Mattarella era il
candidato indicato dalla minoranza del Pd
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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il retroscena
07/02/2015
Il Giornale
Pag. 12
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Trasformata in scudo umano per farci vacillare
Un gesto mediatico che mira a dividere il fronte avversario
Gian Micalessin
Forse già oggi qualche anima bella ci racconterà come la morte di Kayla Jean Mueller sia la conseguenza
della risposta eccessivamente bellicosa e violenta della Giordania. Balle. Kayla Jean Mueller era già morta da
mesi. Da quando lo stato islamico ha adottato la sua spietata politica degli ostaggi. Una politica che non
prevede pietà o compassione, ma solo il patibolo preceduto da una cinica e spregiudicata manipolazione del
prigioniero. Da questo punto di vista la fine di Kayla Jean Mueller non è diversa da quella del suo
connazionale James Foley e degli altri ostaggi ammazzati dall'Isis. Anche il suo cadavere serve al Califfato e
ai suoi agit prop per insinuare la paura nel cuore di un Occidente inerte, radicalizzare la lotta e attirare a se
tutti i fanatici islamisti convinti che la «guerra santa» non debba prevedere esclusioni di colpi. Per capirlo
basta scorrere il comunicato in cui viene annunciata la sua morte. Leggendolo apprendiamo che sotto le
macerie della prigione bombardata dagli aerei giordani è morta solo lei. I suoi carcerieri, gli aguzzini che
l'avevano in custodia, sono invece scampati alla morte. Nessun mujahed , spiega infatti il comunicato dell'Isis,
è stato ferito o ucciso. A questo punto tutto è chiaro. Con l'avvicinarsi degli aerei giordani la povera Kayla è
stata trasformata da ostaggio a scudo umano. Un inconsapevole scudo umano abbandonato dentro una
prigione senza più secondini e uomini armati. Uno scudo umano condannato a morire per dimostrare alla
Giordania, agli Stati Uniti, all' Europa in genere che colpire l'Isis significa subire contraccolpi difficili da
sopportare per il debole stomaco delle democrazie occidentali. Ma accusare la Giordania di aver causato la
morte di Kayla non è solo una scusa per la nostra inerzia. È anche il segno della miopia di chi ignora i rischi
corsi dal regno hashemita. Da quel regno sono usciti oltre 2500 jihadisti diventati miliziani del Califfato. Tra i
giovani delle tribù giordane, ormai sempre più svincolati dagli insegnamenti degli anziani e degli sceicchi
tradizionali, i proclami del Califfato fanno sempre più adepti. A Zarqa, cittadina 13 chilometri a nord di
Amman, iniziò, del resto, la sinistra parabola del decapitatore Abu Musab Zarqawi il fondatore di quell'«Al
Qaida Iraq» ribattezzata Isis dal suo successore Al Baghdadi. Ecco perché Amman non può limitarsi a
piangere il pilota bruciato vivo dall'Isis, ma deve portare alle estreme conseguenze quella lotta che
Washington e i suoi hanno continuamente rinviato. A differenza del Qatar, della Turchia e dell'Arabia Saudita
- i nostri finti e infidi amici sempre pronti ad agevolare sottobanco l'Isis e le altre formazioni jihadiste - la
Giordania rischia di diventare con Siria ed Iraq la terza nazione bersaglio dell'Isis. Per questo non può
permettersi il lusso di sottostare ai suoi ricatti e alla sue menzogne. Né di adeguarsi alle croniche ed
estenuanti esitazioni di noi occidentali.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
257
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il retroscena
08/02/2015
Il Giornale
Pag. 3
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Veleni e trappoloni, Verdini smentisce lo strappo
Le ricostruzioni pilotate del «Corriere della Sera» e del «Fatto» riaccendono faide interne
Fabrizio de Feo
Roma Non è certo uomo incline alle segrete confessioni, Denis Verdini. Così come non è esattamente una
fonte preferenziale per i «retroscenisti», i giornalisti incaricati di sbirciare dietro le quinte dell'ufficialità.
Avviene così che quando il Corriere della Sera pubblica a firma di una delle sue prime firme - Francesco
Verderami - un retroscena su un «diario» a cui il dirigente toscano starebbe lavorando, la curiosità sulla
veridicità dello «scritto» diventa subito forte. Un dubbio subito «soddisfatto» dal protagonista che prende
carta e penna e detta la sua smentita. «Mi vengono attribuite frasi e dichiarazioni nelle quali non mi
riconosco. Non è mai stato mio costume parlare con i giornalisti, riceverli nel mio ufficio né tanto meno
distribuire loro miei appunti personali, come invece sembra dall'articolo di Verderami». Ma quali rivelazioni
conteneva l'articolo? Il retroscena si concentra sugli eventi degli ultimi 15 giorni. «Mi sento sollevato, libero da
responsabilità. Osservo nani e ballerine far festa per la fine del patto del Nazareno. Io sto seduto sulla riva del
fiume in attesa di pescare qualche pesciolino», le frasi attribuite a Verdini. Poi la ricostruzione del Romanzo
Quirinale. «Il Pd attende tranquillo... Fuga di grillini in massa, il comandante zero alla guida di soldatini con
piedi d'argilla, la nuova leva nordista che gonfia il petto. E Renzi sulla tolda di comando che - libero da patti addomestica la tigre comunista, prepara rappresaglie e organizza le truppe come Masaniello». Poi una
riflessione sull'incontro con Alfano. «Fu una riunione tra fratelli ritrovati, ci facemmo prendere dai sentimenti
perdendo il senso della ragione». Infine sul centrodestra. «Per costruirlo ci vorrà tempo e pazienza. E
bisogna che Berlusconi capisca cosa loro (Ncd) hanno spiegato con determinazione e garbo quando hanno
posto il problema del rapporto con la Lega e della leadership». Con una postilla in cui definirebbe un errore la
rottura del Pdl. In verità non esiste alcun diario da cui queste impressioni sono state attinte. Verdini, piuttosto,
ha l'abitudine di scrivere report settimanali che invia ad Arcore in cui analizza la situazione politica, perché
«verba volant, scripta manent». Report che sono nella disponibilità di pochissime persone. Le frasi appaiono
così come un patchwork, un taglia e cuci che riporta parzialmente il pensiero verdiniano. «Sono i soliti
pasticci», sorride amaro l'interessato. Ma tra i parlamentari a lui vicini si fa notare che il pensiero di Verdini
sulle mosse compiute da Ncd è ben diverso. In realtà il giudizio è duro sia per quanto riguarda la rottura del
Pdl che - secondo Verdini - gli alfaniani nel novembre 2013 avrebbero potuto evitare restando vicini a
Berlusconi e mantenendo le posizioni di governo, facendo nascere un nuovo esecutivo. Sia per quanto
riguarda la gestione della trattativa con Renzi per il Colle. Un braccio di ferro nel quale non sono mai riusciti a
far percepire la minaccia reale di una crisi. Perdendo completamente ogni potere contrattuale.
Foto: DISCUSSO Denis Verdini è nel mirino
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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il retroscena
08/02/2015
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Sulle riforme è rischio palude Ma il premier ora fa il bullo
Renzi punzecchia il Cavaliere per spingerlo a rientrare nel Patto del Nazareno Il vero obiettivo è evitare che
salti la legge sul Senato prevista prima dell'estate CAMPAGNA ACQUISTI Bersani: «Spostamenti
opportunistici». Zoggia: «Politiche troppo diverse» L'INVITO DI GUERINI «Mi auguro che Fi recuperi
l'intelligenza politica necessaria»
Laura Cesaretti
Roma Chiusa la partita del Quirinale, a Palazzo Chigi si prevedono alcuni mesi di navigazione
ragionevolmente tranquilla nelle aule parlamentari. Senza neppure la necessità di «campagne acquisti» che
infatti, spiegano, non sono affatto in corso. Ma verso la tarda primavera, e le bellicose esternazioni di Silvio
Berlusconi ieri rafforzano il presagio, per il governo Renzi potrebbe arrivare il redde rationem. La seconda
lettura della riforma del Senato dovrebbe iniziare a maggio a Palazzo Madama. E se davvero Forza Italia si
sfilasse tirandosi dietro un pezzo di Ncd, come ha lasciato intendere il Cavaliere parlando di riforme «non
urgenti» e di potenziali «derive autoritarie», il caposaldo del disegno renziano potrebbe saltare. «Berlusconi
che parla di derive autoritarie è quasi commovente», replica piccata la vicesegretaria del Pd Debora
Serracchiani. Mentre Lorenzo Guerini accusa di «incoerenza» il Cavaliere. «Mi auguro - aggiunge - che Fi
recuperi l'intelligenza politica necessaria, ma sia chiaro che noi andiamo avanti lo stesso». È quello
l'orizzonte che preoccupa Renzi, e che lo porta ad alzare il tiro su Berlusconi (vedi emendamento sulle
frequenze tv) con l'intento di spingerlo a rientrare nel «Patto». Una preoccupazione dissimulata, ma presente
nonostante l'ostentazione di sicurezza che fa ad esempio il ministro Boschi: «Spero in un ripensamento di
Berlusconi, ma i numeri per andare avanti ci sono». Martedì ricomincia alla Camera l'esame della riforma del
Senato e del Titolo V della Costituzione,e la conclusione è prevista per sabato ma potrebbe slittare di qualche
giorno a causa dei numerosissimi emendamenti delle opposizioni che puntano, Fi inclusa, a far saltare il voto
finale. Sui numeri però a Montecitorio non c'è alcuna incertezza, la maggioranza è ampia e autosufficiente, in
grado di rendere innocue anche le fronde interne della sinistra Pd. Nel frattempo inizierà in commissione
Affari costituzionali il cammino dell'Italicum, per la terza e definitiva lettura. E dal Pd si guarda con qualche
allarme al ruolo che potrebbe giocare, complicando le cose per Renzi, il presidente della commissione
Francesco Paolo Sisto, che è di Forza Italia. Anche qui, però, c'è l'antidoto già pronto: a marzo infatti, chiusi i
primi due anni di legislatura, si voterà di nuovo, per prassi, sui presidenti di tutte le commissioni parlamentari.
E Forza Italia ne detiene diverse, inclusa quella di Sisto, sia alla Camera che al Senato: frutto della mancata
vittoria del Pd e della inesistenza di una maggioranza a inizio legislatura. Oggi però una maggioranza c'è, e il
Pd è in grado di riprendersele, se volesse. «Sisto dunque potrebbe pensarci due volte, prima di ostacolare la
legge elettorale», ragionano nel Pd. Di qui ad allora, però, la maggioranza dovrebbe tenere senza eccessivi
problemi, e per questo le polemiche - anche interne al Pd - sulle «campagne acquisti» sono liquidate come
pretestuose e infondate da Palazzo Chigi. Per ora, infatti, l'unico acquisto del Pd è stato quello del drappello
di Scelta civica: un acquisto pronto da tempo, ma che è stato deciso di rinviare a dopo il voto per il Quirinale
per fair play . Ma si tratta di parlamentari già in maggioranza e che spesso già facevano parte del Pd (Ichino,
Lanzillotta, Maran, Susta). Se la minoranza Pd si inalbera, con Bersani che denuncia «spostamenti
opportunistici» e Davide Zoggia che lamenta «troppe differenze di linea politica» è solo perché l'arrivo di
esponenti riformisti e liberal rischia di rendere ancor più minoritaria e ininfluente l'ala sinistra del Pd.
Foto: PREMIER Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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08/02/2015
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«Dal Pd poco fair play Scelta civica merita rispetto Al governo? Finché ci
va»
Il sottosegretario: «Ma quale scissione Chi è andato via non aveva un iscritto...»
Felice Manti
«"Evoluzione riformista"? Sarebbe stato preferibile un dignitoso silenzio. È una questione di buon gusto».
Enrico Zanetti è un filino arrabbiato. Colpa dell'Italia che ha perso a rubgy o dei suoi ex colleghi di partito
come il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini che se ne sono andati? «Non esaspero i toni mi sento preso
in giro da persone con cui ci si stava confrontando sul presidente di Scelta civica», dice il sottosegretario
all'Economia che oggi potrebbe diventare il nuovo leader di Sc. Che cosa resta di Scelta civica dopo la
scissione? «Scissione vuol dire che un pezzo di un partito se ne va...». Beh, un quarto degli eletti... «Sono
otto persone. Un partito è fatto anche dai coordinatori, dai delegati, da migliaia di persone. È una fuoriuscita
minima che fa scalpore perché raggruppa la quasi totalità delle persone che grazie a Sc hanno avuto cariche
istituzionali. E se ne vanno per difendere quei posti». È gente senza voti? «È gente senza iscritti, l'unico è
Gianluca Susta. Parliamo di un ministro, un viceministro, un sottosegretario e un vicepresidente del Senato,
tutti contrari alla mia mozione, che non sono neanche riusciti a prevalere in un "partitino" come lo definiscono
loro. Se non sei capace di importi al congresso sei messo male. Sputi nel piatto in cui hai mangiato e che tu
hai contribuito a rimpicciolire perché ne eri dirigente». E ora si dovrebbero dimettere? «Io non le chiedo
anche se ricordo che qualche anno fa il segretario del Pd tuonò a Porta a porta "chi cambia partito dovrebbe
dimettersi"». E lei? Si dimetterà dal governo? «I rapporti tra alleati e quelli nel governo sono separati. Tra noi
e Pd serve un chiarimento. L'invito mirato a singoli esponenti è un comportamento... antipatico». Al governo
non cambia niente? «È evidente che con così poco fair play tra partiti di maggioranza è possibile che da parte
nostra ci sia una minore disponibilità ad accettare alcune scelte che rispondono alle nostre priorità».
Insomma, metterete altri veti... «Non ne abbiamo mai messi, è una leggenda metropolitana. Se i ritmi di
governo sono stati meno sostenuti è perché sono esplose le contraddizioni dentro i "partitoni". Se il Pd ci
rispetta, bene. Altrimenti restiamo al governo finché ci convince». Se dovesse vincere il congresso? «Domani
ribadirò gli stessi concetti, come ha fatto ieri anche Alberto Bombassei. È un sentire comune nel partito». E
Benedetto Della Vedova? «So che andrà al Misto, ma è un dato tecnico perché con la fuoriuscita il gruppo è
stato spazzato via. Lo invito a riflettere. Rispetto agli altri... funamboli ( ride ) è stato coerente, non è
entrato...». Nel pacchetto di mischia del Pd... «( Ride di nuovo )... Spero che accetti il risultato del congresso
e rimanga nel partito. Altrimenti pazienza...». È stato il più coerente Spero che resti con noi "Ci hanno preso
in giro Meglio stare in silenzio Qualche anno fa tuonò: chi cambia partito si dimetta A Della Vedova Ai
transfughi A Renzi REALTÀ VIRTUALE Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi prova uno
strumento per la «realtà' virtuale» al convegno: su Expo 2015 Ncd mastica amaro dopo le mosse del Pd su
Quirinale e riforme
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SCENARI POLITICI La crisi dei centristi l'intervista » Enrico Zanetti
07/02/2015
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Tv e bilanci falsi La verità sui ricatti di Matteo al Cav*
FRANCO BECHIS
Che sia più politica che sostanza,si capisce dai toni. Dopo avere lanciato il sasso all'indomani della rottura del
patto del Nazareno, con quei due pugni allo stomaco di Forza Italia (stangata su tasse Mediaset e nuova
legge sul falso in bilancio), il Pd ieri ha iniziato a nascondere la mano. Con un sasso nel pugno e un fiore
stretto (...) segue a pagina 7 segue dalla prima (...) nell'altra mano è sceso in campo direttamente Matteo
Renzi, che nella sua e-news ha fatto sfoggio di entrambi gli atteggiamenti. Forza Italia si rimangia il
Nazareno? «Buon appetito», ha scritto Renzi in versione pugile: «Noi non abbiamo cambiato idea. Ho
sempre detto che voglio fare accordi con tutti e che non ci facciamo ricattare da nessuno. Perché i numeri ci
sono anche senza di loro». Poi ha allargato il sorriso e teso la mano: «Spero che dentro Forza Italia
prevalgano il buon senso e la ragionevolezza. Se ciò non dovesse accadere noi continueremo a rispettare
Berlusconi e il suo partito come rispettiamo tutti i partiti che ottengono i voti dei nostri concittadini: il nostro
obiettivo non è parlar male dei nostri avversari, ma lavorare bene per l'Italia». La linea del capo del governo è
soprattutto questa seconda, e il pugno gli serve semplicemente per non farsi trascinare dentro vicende e
regolamenti dei conti tutti interni a Forza Italia. Secondo l'interpretazione che si coglie sia nella cerchia più
stretta del premier, sia con qualche sarcasmo all'interno di Forza Italia, il patto del Nazareno non sarebbe
archiviato. Ma i segnali politici lanciati nelle ultime ore hanno lo scopo di dare un altro messaggio a
Berlusconi: «Se ti interessa riprendere il filo del dialogo, lo si fa con chi lo ha tessuto fino ad oggi: Dennis
Verdini e Gianni Letta. Altrimenti ognuno per la sua strada, e auguri». Non è questione di scortesia la scelta
degli ambasciatori di Renzi - in primis il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti - di rifiutare
ogni contatto con altri possibili ambasciatori che si sono fatti avanti nelle ultime 24 ore, come Maria Rosaria
Rossi e Giovanni Toti. I due chiamano al telefonino, lasciano messaggi in segreteria telefonica, contattano
anche gli uffici. Lotti non si fa trovare e non richiama nemmeno. Fra gli azzurri il gesto viene interpretato
maliziosamente come un atto di amore nei confronti di Verdini, che all'interno del suo partito viene accusato
di essere fin troppo testa di ponte del premier. Ma al di là delle simpatie personali, il governo cerca soprattutto
di non entrare anche solo dando filo ora a questo o a quel dirigente, in una confusa guerra satrapica interna
al partito di Berlusconi. Si tratta però di puri messaggi politici, e lo erano anche gli «avvertimenti» arrivati
dall'esecutivo giovedì: né sulla tassa Mediaset, né sul falso in bilancio c'è qualcosa più di un annuncio.
L'emendamento proposto al "milleproroghe" infatti contiene solo un principio generale, che può fare oscillare i
costi amministrativi delle frequenze digitali sia per Rai che per Mediaset da un euro a 50 milioni. Il quantum
però verrebbe deciso - sempre che l'emendamento venga approvato - da un successivo decreto del ministro
dello Sviluppo Economico, Federica Guidi. Ieri il renziano Michele Anzaldi che aveva soffiato il giorno prima
sul fuoco della norma-vendetta su Mediaset, ha gettato acqua sul fuoco (come si deve fare quando i
messaggi sono solo politici), sostenendo che oggi Mediaset paga 13 milioni l'anno e che al massimo
rischierebbe di doverne pagare qualcuno in più: 17,5 milioni. E usando la chiave politica gli ha replicato
Augusto Minzolini: «Non importa che siano 5,10 o 50 i milioni in più da pagare. Quelli interessano Mediaset,
non noi. Ma se il governo doveva intervenire sulla materia in un senso o nell'altro avrebbe fatto bene a farlo in
un altro momento, non certo all'indomani della rottura del cosiddetto Patto del Nazareno. È una questione di
stile e galateo politico». Anche il Mattinale di Renato Brunetta ha usato quella chiave: più della sostanza, la
forma politica che avrebbe per Renzi il senso di dare questo messaggio: «Chi resiste, chi non accetta la
regola fiorentina della sottomissione, sappia che ne pagherà le conseguenze». Però nelle stesse ore
all'Economia si stavano svolgendo riunioni tecniche sul famoso decreto fiscale che contiene quella
depenalizzazione per evasori e frodatori fiscali fino al 3 per cento dell'imponibile. Tutte le proposte di modifica
della norma sono state cassate dai vertici del ministero, su imput del ministro Pier Carlo Padoan (e
probabilmente dello stesso Renzi). Anche quello è un segnale politico, ed è di apertura verso Berlusconi. Di
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07/02/2015
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lui e del Nazareno Renzi ha bisogno, soprattutto in vista del Consiglio dei ministri del prossimo 20 febbraio.
Quel giorno oltre al decreto fiscale approderà in consiglio un nuovo capitolo del jobs act, quello sulle formule
contrattuali. E inevitabilmente tornerà a spaccarsi il Pd, con il premier che avrà necessità di una mano sia da
parte di Angelino Alfano che da Forza Italia. Il Nazareno è magari congelato, più propriamente addormentato.
Ma pronto ad essere risvegliato.::: LA SCHEDA LE FREQUENZE TV Lo scorso 30 settembre una delibera
dell'Agcom fissava gli importi dovuti da Rai e Mediaset per l'uso delle frequenze del digitale terrestre. I due
operatori avrebbero dovuto pagare per il 2014 13 milioni di euro ciascuno invece dei 50 milioni in totale pagati
nel 2013. Il Milleproroghe approvato a fine 2014 in Parlamento rinviava la questione al 2015. Ma un
emendamento del governo riapre la questione, cancellando pertanto lo sconto riconosciuto dall'Agcom a Rai
e Mediaset. Ora l'emendamento del governo è atteso la prossima settimana nelle commissioni Affari
costituzionali e Bilancio della Camera. IL FALSO IN BILANCIO Giovedì inoltre la maggioranza di governo ha
deciso di estendere la punibilità del reato di falso in bilancio, prevedendo che sia punibile non solo in seguito
a una querela di parte, come avviene dal 2002, ma sempre, d'ufficio.
Foto: Denis Verdini e Matteo Renzi in Senato [Ansa]
07/02/2015
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«Noi Ncd e Salvini incompatibili Berlusconi scelga»
GIANCARLO PERNA
L'ufficio di Maurizio Sacconi, presidente Ncd della Commissione Lavoro del Senato, è un compendio della
sua vita. C'è una vecchia foto con Bettino Craxi che rimanda al suo passato socialista e quella a fianco di
Silvio Berlusconi suo leader per una quindicina d'anni fino alla scissione di Angelino Alfano. (...) segue a
pagina 8 segue dalla prima (...) C'è, più in vista delle altre, la foto di Marco Biagi, il professore suo grande
amico ucciso dalle Br perché voleva abolire l'articolo 18 e modernizzare il Diritto del Lavoro. Obiettivi che
Sacconi ha ereditato e sono ancora il suo cruccio irrisolto. C'è poi il corredo religioso da alto prelato. Un
crocifisso in stile Cimabue sopra lo scrittoio,tre icone lignee della Madonna di foggia trecentesca e una Bibbia
in bella mostra che rappresentano il suo recente fervore di cristiano che ha ritrovato l'intensità della fede. C'è,
infine, il senatore medesimo che appare piuttosto crucciato e che, infatti, mi accoglie con un'osservazione
lugubre: «Siamo invecchiati insieme». «E me lo dici pure!», penso io che però non posso dargli torto. È dal
1979 che ci incrociamo quando lui, ventinovenne, entrò per la prima volta alla Camera dove facevo il cronista
parlamentare. Era un deputatino socialista veneto molto legato al chiomato Gianni De Michelis e che si fece
subito notare per due cose. Era un grandioso imitatore dei personaggi dell'epoca, da Craxi a De Mita a Pertini
e un gran secchione appassionato di argomentiforti: bilancio dello Stato, Finanziaria, scala mobile e cose
così. Qualche anno dopo, infatti, divenne sottosegretario al Tesoro e ce lo tennero sette anni di fila (19871994) perché ormai ci si raccapezzava solo lui.Era già deputato da quattro legislature quando arrivò il ciclone
che spazzò via Psi e prima Repubblica. Sacconi saltò le tre legislature successive,senza però restare a casa.
Infatti il Cav, occhio lungo, lo pregò a corte. All'inizio, ne fece il proprio consigliere economico, poi
sottosegretario al Lavoro del suo secondo governo (2001-2006) e, nel Berlusconi IV, lo promosse ministro del
settore (2008-2011). Dal 2006, Sacconi è tornato in Parlamento,questa volta come senatore. Da allora è lì.
Sommando il prima e il dopo, fanno sette legislature che, aggiunte alle poltrone di ministro e sottosegretario,
sono una gran bella carriera. Il tutto per dire che, viste le premesse, non si capisce perché mi stia davanti con
il muso lungo. «È seccato per avere dovuto dare le dimissioni da presidente dei senatori Ncd in seguito al
voto su Mattarella?», chiedo. «È più profondo di così», esordisce Sacconi con l'abituale tono paziente verso i
giornalisti, categoria che include tra i diversamente intelligenti. «Ho dato le dimissioni perché undici
senatoriNcd avevano pubblicamente annunciato di votare Mattarella, prima ancora che il partito lo avesse
deciso. Con ciò indebolendo la nostra capacità negoziale verso Renzi. Mai avuto nulla contro la persona del
nuovo capo dello Stato, ma è ovvio che la successiva determinazione di votarlo è stata condizionata
dall'atteggiamento di quei senatori a causa dei quali ho deciso di rimettere il mandato». «Cosa intendeva con
quel "più profondo"?», chiedo. «È la seconda ragione delle mie dimissioni», replica. «L'atteggiamento tenuto
con noi da Renzi ha creato una situazione nuova che non so dove porterà. Il metodo del premier, che si è
accordato con la sua sinistra, può compromettere le riforme in corso, soprattutto quella del Jobs Act che più
mi sta a cuore. Da non più capogruppo sarò più libero di rifiutare proposte inaccettabili e che potrebbero
portare a una rottura politica tra noi e Renzi». «Senatore, sembra che lei abbia una zeppola in bocca. Parli
chiaro. Lei teme che il governo Renzi, ormai legato alla sinistra dem e a Vendola possa, con i decreti delegati
sul Jobs Act, reintrodurre il vecchio articolo 18 e altri legacci per mantenere ingessata la legislazione sulle
assunzioni. Ci vuole tanto a dirlo, cribbio?». «Ooo - fa lui -. Io voglio leggi che liberino la creatività italiana.
Dobbiamo sbottigliare la società operando sulla Giustizia, Fisco e Lavoro. Soprattutto il lavoro. La riforma non
è solo utile in sé per consentire più assunzioni nell'epoca delle incertezze ma è la prova della discontinuità
dell'Italia, la cui storia è stata segnata dal più forte partito comunista dell'Occidente che espresse la propria
influenza proprio nelle leggi sul lavoro. Siamo l'unico Paese in cui le assunzioni o sono a vita o non sono. E
questo è un ostacolo per farne di nuove che va eliminato. Il Jobs Act, così com'è, non serve. Tanto che l'Ue
prevede per il 2015 l'aumento della disoccupazione italiana. Aggiungici il timore che la legge possa essere
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Intervista a Sacconi
07/02/2015
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peggiorata dalle nuove alleanze di Renzi...».«E ce n'è abbastanza per giustificare il suo cipiglio inviperito»,
dico io. «Esatto», conferma lui. Uscirete dal governo se Renzi traligna? «È quello che ci siamo detti». Intanto
vi siete riavvicinati al Cav. «Il nodo è Matteo Salvini. La Lega di Bossi era una domanda ruspante di più
liberalismo per il Nord: meno tasse, meno burocrazia, ecc. Quella di Salvini è una destra estrema, scettica
verso l'Europa e verso la Nazione. È lo scetticismo universale di Salvini che non va e che, rispetto al vitalismo
di Bossi, ne fa un decadente». Contrario all'uscita dall'euro? «La liquidità scomparirebbe all'istante. Dall'oggi
al domani, niente più stipendi». Una riunificazione NcdFi? «Riunificazione, no. Un rassemblement come in
Francia con De Gaulle, tra noi che aderiamo entrambi al Ppe e con gli amici di Fdi che già conosciamo per
essere stati insieme». Che pensa di Renzi? «È l'espressione, più giovane e vitale, del politico tradizionale. Ha
meritoriamente introdotto la velocità nei procedimenti politici. Non ha però una visione che ispiri la sua
azione. La mancanza di convinzioni profonde può farlo procedere a zig zag e questo mi inquieta». Padoan,
titolare dell'Economia? «Ministro mentalmente ordinato che conosce le istituzioni sovranazionali. Dovrebbe,
con più coraggio, alleviare i contribuenti subissati di tasse immobiliari dovute a comuni inefficienti che
scaricano le loro incapacità sui proprietari». Che fare? «C'è una mia proposta. Se un comune supera
l'aliquota - non il tetto massimo già esistente, ma uno più basso da fissare - è automaticamente considerato
incapace e viene commissariato». Il Cav? «Il ceto medio in particolare gli deve molto. È stato il solo
imprenditore italiano che ha affrontato a viso aperto la spaventosa anomalia italiana della possibile presa di
potere comunista in un Paese occidentale. Ne saremmo usciti impoveriti». È ancora il condottiero? «Con
affetto sincero vorrei dirgli: aiutaci a costruire una grande offerta politica liberal-popolare, sapendo che non
sei candidato in prima persona ad attuarla. Fai il king maker del nuovo centrodestra». Pensa al vagolante
Angelino? «Alfano,verso cui ho affetto e leale amicizia, è più determinato di quanto appaia. Non va giudicato
nel breve ma nel medio periodo». Carbura lento? «Dopo anni, ha rotto con Berlusconi.Se ha avuto il coraggio
di farlo con lui che era come suo padre, vuole che non lo abbia per rompere con Renzi, di cui nemmeno è
parente?». A lei cos'è rimasto del socialista che fu? «Sono per un nuovo umanesimo politico che metta al
centro l'uomo. Il motto che detesto è: fiat iustitia et pereat mundus . L'uomo prevale anche a sulle regole». Il
suo cattolicesimo i cui simboli ci scrutano dalle pareti di quest'ufficio? «In politica sono laico e pro divorzio e
aborto. Da laico difendo la vita, contro eutanasia e manipolazioni genetiche, e sono contro la parificazione del
matrimonio ad altre forme di convivenza». Più a suo agio nel Ppe che tra i socialisti Ue? «Il Pse di oggi è
imbastardito da fior di comunisti. Tuttavia anche noi nel Ppe il partito della cancelliera Merkel - dobbiamo
precisare il concetto di solidarietà europea, riequilibrando il rapporto tra nord e sud dell'Ue. Per evitare che
prevalga una logica baltica a scapito del Mediterraneo». Orfano di Craxi? «Nostalgico». Nostalgico di
Berlusconi? «Orfano».Sopra, Maurizio Sacconi con Gianni De Michelis al quale era molto legato al suo
esordio, nel 1979, da giovane deputato socialista. A sinistra, con Silvio Berlusconi del quale è stato
sottosegretario e ministro del Lavoro e a cui è legato da 15 anni di battaglie fino alla scissione di Alfano e alla
nascita di Ncd [Ansa e Fotogramma] VECCHI AMICI
07/02/2015
ItaliaOggi
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Il nostro programma? Ridurre tasse e vincoli
Pistelli
a pag. 5 S'era dimesso Maurizio Sacconi da capogruppo del Ncd al Senato, non appena Angelino Alfano,
segretario di quel partito, aveva annunciato l'appoggio a Sergio Mattarella, chinando il capo al premier Matteo
Renzi. Veneto di Conegliano (Tv), classe 1950, lunga militanza nel Psi prima di passare, come molti altri, a
Forza Italia, ministro del lavoro dell'ultimo governo Berlusconi, Sacconi aveva animato la nascita del Nuovo
centro destra, quando il Cavaliere aveva minacciato di far cadere l'esecutivo di Enrico Letta. Nell'attuale
maggioranza s'era impegnato come presidente della Commissione Lavoro, sul Jobs Act, non senza
polemizzare col governo e col Pd, rei di annacquare la portata della riforma. Domanda. Sacconi, che fa?
Resta o lascia come Barbara Saltamartini? Risposta. Una premessa, anzi due. D. Prego. R. La prima è che le
mie dimissioni sono state presentate al presidente del Senato, quindi sono irrevocabili. D. La seconda? R. La
seconda è che confermo la mia leale amicizia con Alfano, Gaetano Quaglieriello e gli altri, coi quali
compimmo la scelta di evitare una deriva greca all'Italia. D. Quando decideste di rimanere al governo con
Letta... R. Se in quel momento avessimo prodotto una crisi istituzionale, questa si sarebbe sommata a quella
economica, gravissima, e ne avremmo generato inesorabilmente una di sistema. Come la Grecia. Anche se
l'Italia è ovviamente diversa, con fondamentali economici migliori. E poi... D. E poi? R. Avremmo alimentato il
successo di movimenti antieuropei come quello rappresentato, in quel momento, dal M5s di Beppe Grillo.
Credo, at vo ci P in coscienza, che non avremmo evitato il commissariamento della Troika... D. Le differenze
politiche fra voi e il Pd stanno però emergendo... R. Sì, le ricorrenti differenze tra noi e loro, confermano che
questo è un governo di emergenza, fra forze opposte, bipolare. Lo si vede proprio in queste ore, mi scusi... D.
Si riferisce a Scelta civica, i cui senatori aderiscono al Pd? R. Esatto. Il Pd sta aggreando a sé Scelta civica e
noi, dall'altro lato, aggreghiamo gli altri moderati della maggioranza e lavoriamo nella prospettiva di una
ricomposizione dell'area liberalpopolare, alternativa allo stesso Pd. Il governo cioè si va defi nendo come
bipartitico: Ncd-Udc e pezzi di Scelta civica, cioè Area popolare, e il Pd, che si ricompone e ingloba gli exmontiani. D. Che succederà, onorevole? R. Questo dovrebbe rendere l'attività di governo trasparente quanto
alla necessità di continue mediazioni, continua ricerca di comune denominatore, consapevoli di essere tra noi
alternativi. Saranno mediazioni faticose, soprattutto sui capitoli della liberazione della vitalità italiana: lavoro, fi
sco e giustizia. D. Ma questo lo ha sempre detto anche Alfano: alle prossime elezioni, ognuno andrà per la
sua via. R. Ora, c'è ancor più consapevolezza, nel gruppo dirigente Ncd, che l'unica prospettiva è la ricomp o
s i z i o n e d e l l ' a r e a liberal-popolare. E lavorarci, insieme a Forza italia, per costruire l'alternativa a
Renzi. Contemporaneamente, però, dovremmo decidere anche come regolarci con Matteo Salvini. D. Lei che
ne pensa? R. L'area che stiamo costruendo è quella che si riferisce al Partito popolare europeo, che signifi ca
avere principi e cultura comuni. Le proposte di Salvini mi sembra che siano assai lontane dal popolarismo
europeo. D. Per esempio? R. Vedo innanzitutto due difetti: lo scetticismo verso l'Europa, con l'idea dell'uscita
dall'euro. Ma anche lo scetticismo verso la nazione, che Salvini, al più, considera sommatoria di identità
locali. D. Voi, invece? R. La nostra cultura riconosce la nazione nei suoi principi tradizionali, come la vita e la
famiglia, nella prevalenza della società sulla dimensione pubblica, nel primato dello stato unitario sulle
disastrose gestioni delle Regioni e dei comuni, E poi, noi pensiamo all'Europa come confederazione di
nazioni. Siamo noi, l'area della Nazione, altro che il partito di Renzi. D. E su questi principi, lei dice, Renzi non
c'è... R. Non appartenogono certo alla sinistra, moderata o radicale che sia. D. Senatore, torniamo al
governo. Lei parlava di faticose mediazioni, prima. Come si immagina che procederete? Sul Jobs Act le
frizioni non sono mancate. R. Sul Jobs Act, il primo decreto è un timido passo in avanti. Molto meno di quello
che serviva al lavoro, però non nuoce. D . C h e cosa sarebbe servito? R. Sarebbe stato utile alla crescita del
lavoro il superamento di quell'unicum europeo che è la reintegrazione del licenziato, ossia l'indossolubilità
potenziale del rapporto di lavoro «fi nché morte o pensione non vi separi». Ma ora dobbiamo evitare il peggio.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA SACCONI
07/02/2015
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D. E cioè? R. Che nel prossimo provvedimento non si arrivi alla controriforma, come già accontroriforma,
come già accadde per la legge di Elsa Fornero, ossia che un'incerta essibilità in uscita si combini con una
certa rigidità in entrata. Bruceremmo posti di lavoro. D. A che si riferisce quando parla di rigidità in entrata? R.
All'annunciata eliminazione di alcune forme contrattuali, come la collaborazione a progetto. D. Beh, Renzi ne
usa spesso l'acronimo, «cocopro», per indicare tutto ciò che deve cambiare. R. Invece è un contratto talora
obbligato e insostituibile: per esempio per le attività in outbound dei callcenter, della ricerca di mercato, del
recupero crediti, laddove cioè il lavoratore ha la libertà di scegliere il tempo di lavoro ed è remunerato a
risultato. D. Anche altre forme contrattuali? R. Lo stesso vale per il lavoro intermittente, nel quale non è
prevedibile l'inizio della prestazione, o per i contratti di associazione in partecipazione come nel rapporto tra
artisti e case discografi che. Pensiamo davvero di fare di Vasco Rossi un lavoratore dipendente? D. Sacconi
ma come arrivate al 2018? R. Ci arriviamo se, insieme, facciamo cose utili. Non sarà semplice: noi vogliamo
abolire i vincoli e diminuire le tasse. D. Il Pd invece? R. La loro tentazione è aggiungere quantomeno vincoli
mentre, sulle tasse, fanno molta fatica sopratutto a imbrigliare quelle locali sugli immobili, propensi come
sono a difendere i comuni, anche quelli ineffi cienti. Per non dire della anomalia giudiziaria di cui
consideriamo un simbolo l'abuso delle intercettazioni. D. Lei parla di ricomposizione dell'area liberal-popolare
da farsi con FI, la quale è in preda al «tutti contro tutti». Come farete? R. Se il progetto è ambizioso allora si
evitano i tanti piccoli progetti di individui e di frazioni che si scatenano proprio quando manca la prospettiva.
Nella sfi ducia del futuro cercano solo scialuppe o ciambelle di salvataggio. D. Non sarebbe stato meglio
andarse ora, come sta facendo la Saltamartini? R. I movimenti interni all'area che si vuole ricomporre non
aiutano ma esaltano le divisioni. D. Cosa accadrà quando, prima o poi si tornerà alle urne? R. Se la legge
elettorale rimane quella impostata, la prospettiva è di organizzare una lista, espressione dell'Unione dei
movimenti liberalpopolari, che vada al ballottaggio con Renzi. Per poi fare appello a tutti coloro che non si fi
dano della sinistra. D. Per tornare alla giustizia, alcuni radicali come Emilia Rossi hanno criticato il ruolo che
stanno avendo magistrati in servizio come Nicola Gratteri, nella formulaGratteri, nella formulazione delle
proposte di riforme. R. La responsabilità, alla fi ne, è sempre della politica. Il fatto che si utilizzino competenze
tecniche è una costante del lavoro ministeriale. D. Per esempio? R. Premesso che il centrodestra deve
essere molto autocritico per quanto non ha fatto nell'ultimo ventennio in materia di giustizia, dobbiamo
riconoscere che in questi mesi sono stati avviati alcuni percorsi relativi alla effettività della responsabilità civile
e contabile del magistrato, allo suo stesso tempo di lavoro, alla promozione di soluzioni extragiudiziali delle
controversie in ambito civilistico e di lavoro. Abbiamo bisogno di una giustizia certa e veloce perché è un
fattore di competitività, incide sulla crescita. SEGUE DA PAG. 5 D. Lei ha citato fisco, lavoro e giustizia ma
non le questioni etiche sulle quali però si è impegnato molto in passato, come sull'eutanasia. Quando Renzi,
come ricorda spesso, affronterà il tema delle unioni civili, che farete? R. Sono un laico. Difendo le leggi sul
divorzio e sull'aborto dagli attacchi di chi vuole banalizzarli. A Renzi chiediamo di essere pragmatico e non
ideologico. D. Che signifi ca? R. Signifi ca che siamo favorevoli a mettere i conviventi nelle migliori condizioni
per regolarsi fra di loro ed avere riconosciuta la loro situazione dai servizi pubblici. Cosa diversa è volere il
matrimono per tutti e provvidenze pubbliche per tutti, quando invece queste ultime sono state disegnate in
funzione della procreazione: dagli assegni familiari alle pensioni di riversibilità. Proponiamo la ricerca
condivisa di soluzioni concrete a problemi concreti. D. Per fare che cosa? R. Anche per contrastare
l'omofobia, per rispettare le relazioni affettive di tutti, per riconoscere la dignità di ogni persona, servono meno
ideologia ed un clima di condivisione. Non si ottiene tutto questo spaccando la nazione e negando i principi
della Costituzione che si basa sulla famiglia come società naturale. Proprio nei giorni scorsi ho depositato la
proposta di legge per un testo unico sulle convivenze: fa una ricognizione di quello che c'è già e suggerisce
quello che manca. D. Veniamo al premier Renzi, senatore. Ai molti socialisti che ho intervistato, ho chiesto se
trovavano realistico l'accostamento fatto da alcuni fra lui e Bettino Craxi. Lei che ne pensa? R. Renzi e Craxi
hanno in comune l'aver voluto imprimere un'accelerazione ai processi decisionali. Dopodiché... D.
Dopodiché? R. Di punti di contatto non ne vedo altri. D. Deluso? R. Certamente dalla mancata cancellazione
07/02/2015
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dell'art. 18. D. Dopo la famosa direzione del Pd in cui fece concessioni alla minoranza dem... R. Esatto. Si è
confermata la natura tendenzialmente conservatrice del Pd. Risentiamo ancora di essere stato il Paese
occidentale col più grande partito comunista la cui in uenza si e' esercitata soprattutto sulla regolazione del
lavoro. Lo pensano tutte le istituzioni sovranazionali: il lavoro è il benchmark, la pietra di paragone, del
cambiamento. I grandi risultati della Germania, dieci anni or sono, i miglioramenti spagnoli oggi, le fatiche
della Francia vengono da lì. E per tornare a Craxi... D. Torniamoci... R. La sua scelta di bloccare la scala
mobile non servì solo a fermare una spinta in azionistica ma fu percepita come segno di leadership e di svolta
dell'Italia. I suoi effetti indotti furono anche maggiori di quelli diretti. Allo stesso modo sarebbe potuto
accadere con l'articolo 18. © Riproduzione riservata
Foto: Maurizio Sacconi
07/02/2015
ItaliaOggi
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Senza la copertura del Nazareno Renzi nuota in una vasca di squali
Diffi cile far passare le riforme da lui promesse
SERGIO SOAVE
Tra le varie maggioranze che si sono viste in opera negli ultimi mesi, pare che ora Matteo Renzi abbia scelto
di puntare su quella costituita dal Partito democratico attorniato da vari «cespugli», cioè da raggruppamenti
parlamentari nati da scissioni o da accordi individuali, chiamati a contribuire al passaggio dei provvedimenti
ma poco titolati per condizionarne i contenuti. Anche il Nuovo centrodestra di Angelo Alfano, anch'esso uscito
da una scissione del gruppo di Forza Italia ma che aveva in un recente passato ottenuto qualche successo
nelle negoziazione programmatica, soprattutto sulla riforma del diritto del lavoro, ora pare ridotto alla
condizione ancillare, che provoca risentimenti e ribellioni, che sono la conferma di una condizione
strutturalmente subalterna. Si direbbe che a Renzi è riuscito, alla fi ne, il gioco che aveva tentato senza
successo Pierluigi Bersani, ma se è così, questa manovra corre gli stessi rischi di insabbiamento che
costrinsero alla rinuncia Bersani, che fu battuto soprattutto per le defezioni interne al suo partito.
Abbandonando la controgaranzia fornita dal patto del Nazareno e cioè del soccorso azzurro sulle tematiche
di carattere istituzionale, Renzi deve ottenere il completo consenso, anche nelle votazioni a scrutinio segreto,
dei parlamentari democratici, il che dovrebbe essere assai più arduo del previsto. Inoltre il carattere un po'
estemporaneo della maggioranza costruita con il taglia e incolla non si trasferirà facilmente nell'elettorato
popolare, che comunque sarà chiamato a pronunciarsi sulle riforme costituzionali in un referendum senza
quorum obbligatorio. C'è chi dice che Renzi abbia deciso la rottura del patto con Silvio Berlusconi proprio
perché i suoi sondaggi gli facevano ritenere che una campagna contro la costituzione del Nazareno avrebbe
portato a una maggioranza di voti negativi nel referendum. Se anche fosse così, non si capisce perché quello
stesso testo che era stato in sostanza concordato con Forza Italia, sarebbe ora destinato invece a fare il
pieno dei consensi a sinistra. Non sembra che si possa trasferire lo schema adottato con una certa furbizia e
un buon successo nell'elezione di Sergio Mattarella nella battaglia per le riforme della Costituzione. L'elezione
del presidente, riservata a grandi elettori, si poteva gestire con manovre complesse, senza contare che sulla
persona del candidato proposto non esistevano preclusioni da nessuna parte. Approvare una modifi ca dei
meccanismi costituzionali e farla approvare da una maggioranza attiva di cittadini è tutto un altro paio di
maniche e non sembra che Renzi si renda conto dei problemi che comporta. © Riproduzione riservata
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IL PUNTO
07/02/2015
ItaliaOggi
Pag. 4
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Pd, non è un partito pigliatutti
Con gli ex di Scelta civica, il Pd non si rafforza ma si diluisce
ALESSANDRA RICCIARDI
Nel giorno in cui il Pd allarga il proprio perimetro con l'ingresso degli otto «responsabili» di Scelta civica, e tra
questi alcuni ex Pd di peso, non tutti sono convinti che sia una buona mossa. Così il Pd rischia di diventare
«un partito pigliatutti», attacca Franco Monaco, deputato democratico, già collaboratore di Romano Prodi e
tra i fondatori del movimento politico dell'Asinello. Che su gli ex di Sc ha le idee chiare: «Si facciano da
parte». Domanda. Il Pd si rafforza, lei non festeggia? Risposta. Per nulla. Una cosa è la vocazione
maggioritaria e inclusiva di un partito, che prescrive di allargare la base di consenso tra gli elettori, altro è
reclutare il ceto politico senza tenere conto della coerenza e della linearità dei percorsi individuali. Certi
disinvolti riposizionamenti non andrebbero incoraggiati. Sarebbe preferibile piuttosto puntare sull'unità del
partito, che ha dato buoni frutti, come ha dimostrato l'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale. D. Chi come
Lanzillotta ed Ichino faceva già parte del Pd e ora vi ritorna sostiene la piena linearità del proprio percorso. È
il Pd che è cambiato, loro rimangono coerenti con la piattaforma politica di Scelta civica. R. L'agenda Monti
sarebbe allora il programma del Pd? Seguendo il loro ragionamento, gran parte dei parlamentari del Pd
dovrebbero dire che la piattaforma di Bersani, con la quale sono stati eletti, è diversa da quella di Renzi e
dunque dovrebbero andarsene... Nella dinamica di un partito si è maggioranza o minoranza, ma prevale
sempre il principio di appartenenza al soggetto politico. Questo valeva ieri, quando la maggioranza era in
mano a Bersani,e vale oggi che c'è Renzi. Piuttosto, invece di premiare i riposizionamenti, andrebbero
trasmessi segnali di coerenza e di rigore, se la priorità, richiamata anche da Mattarella, è quella di rinsaldare
il rapporto tra cittadini e istituzioni. D. I numeri però in politica contano. R. Ma non sono tutto, un partito
grande e plurale non può trasformarsi in un partito pigliatutti. D. Lei è molto duro con i cosiddetti responsabili.
R. La responsabilità è una parola impegnativa. Non andrebbe sprecata per gli scilipoti di ieri e per chi si
riposiziona oggi e ha magari un profi lo più dignitoso. Se qualcuno ha sbagliato politicamente a puntare su
Scelta civica abbia ora la responsabilità di farsi da parte. D. Certo ora siete molto plurali, da Stefania Giannini
di Scelta Civica a Gennaro Migliore, ex Sel e prima ancora Pci. Parlare di un'identità di partito ha ancora
senso? R. Io ritengo di sì, anche in una stagione post ideologica e pur trattandosi di un partito grande e
inclusivo. Continuo a pensare, a differenza di Renzi, che è dannoso e velleitario puntare alla reductio ad
unum del campo del centrosinistra, ossia a un modello bipartitico anziché bipolare. D. Perché dannoso e
velleitario? R. Un solo partito al centro del sistema politico, circondato da forze minori non competitive in
termini di governo, e con l'insorgenza di una destra lepenista, quella oggi capeggiata da Matteo Salvini, è uno
scenario che mi preoccupa. Non è necessario credo evocare Bobbio per rammentare che la politica
democratica è competizione tra parti. D. Per molti quello che lei tratteggia negativamente è invece la
realizzazione di un sogno democratico, quello del partito della nazione. R. L'accezione è convincente se il
partito si fa carico dell'interesse generale del paese e se non nasconde la presunzione di occupare tutto lo
spazio della politica anziché considerare se stesso come parte tra le parti. D. Lei dice però che il tentativo di
Renzi è velleitario. R. Abbiamo un precedente, quello di Walter Veltroni e Silvio Berlusconi nel 2008, quando
provarono a realizzare il bipartitismo con una legge elettorale fortemente maggioritaria. Ottennero due
risultati, nell'immediato far cadere il governo Prodi e, nel medio periodo, disarticolare le coalizioni prima di
centrosinistra e poi di centrodestra. La storia della politica italiana è pluralistica, sono convinto prevarrà anche
questa volta. © Riproduzione riservata
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA Franco Monaco, deputato dem, già collaboratore di Prodi, dissente dalle acquisizioni di Renzi
07/02/2015
ItaliaOggi
Pag. 3
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Il diritto all'oblio è l'unica tutela in rete
Cresce negli Stati Uniti la campagna mediatica contro il «diritto all'oblio» e cioè la decisione emanata lo
scorso maggio dalla Corte di giustizia europea che ha imposto ai motori di ricerca sulla rete di cancellare (in
taluni casi) link ritenuti «inadequate, irrelevant or no longer relevant» (inadeguate, irrilevanti o non più
rilevanti). Come noto questa storica decisione ha creato una serie di problemi interpretativi in particolare
relativi sia alle condizioni soggettive e oggettive che qualificano il diritto del singolo a chiedere le
cancellazioni, sia relativi al perimetro di estensione della disposizione della Corte. A questo ultimo riguardo,
Google (il principale interessato dalla disposizione e che ha rimosso sinora più di 250.000 links) ha deciso di
applicare la disposizione solo ai propri siti in essere negli Stati membri Ue, per esempio Google.fr in Francia o
Google.de in Germania. Mentre nessuna cancellazione è stata ritenuta valida fuori dalla Ue in particolare nel
sito internazionale Google.com (il sito principale negli Stati Uniti). Così secondo la Corte europea e non pochi
esponenti di primo piano delle istituzioni comunitarie di Bruxelles, si inficia completamente l'efficacia della
disposizione in quanto ciò che viene cancellato sui siti regionali può restare facilmente rintracciabile sul sito
internazionale. Da qui la richiesta europea che le cancellazioni, una volta decise, siano estese a tutti i siti del
motore di ricerca anche fuori della Ue. Negli Usa taluni considerano questa richiesta molto pericolosa,
addirittura una sorta di legalizzazione della censura sulla rete. L'autorevole New York Times due giorni fa si è
spinto ad affermare che la decisione della Corte Ue rappresenterà un forte esempio per autocrati come Putin
o Erdogan per arrivare a imporre le cancellazioni di link che semplicemente non piacciono al potente di turno.
Ora è evidente che la materia è molto delicata ed è giusto che venga dibattuta e approfondita nei dettagli
anche tecnico-giuridici; ma non si può arrivarne a disconoscere l'importanza fondamentale. In un contesto
come quello della rete dove, di fatto, non vige nessuna regola e tutti possono mettere online qualunque
notizia vera o falsa che sia per di più protetti dall'anonimato, il «diritto all'oblio» rappresenta una prima (e
sinora unica) vera tutela per i diritti fondamentali dell'individuo. Il dr. Giovanni Maria Ferrari, lettore assiduo
della rubrica, mi chiede se il diritto d'autore così come lo conosciamo è nato in Italia. Rispondo che sì è nato
da noi; in particolare si può affermare che il moderno diritto d'autore nasce con l'invenzione della stampa a
caratteri mobili e quindi con la possibilità di stampare un numero rilevante di copie di libri che non si
distinguevano le une dalle altre. Da qui la necessità di tutelare editori e autori da possibili falsi, il che fu fatto
attraverso la concessione di «privilegi» da parte del principe a garanzia del lavoro editoriale e autoriale. Il
primo «privilegio» di cui si ha notizia storica fu concesso nel 1469 dalla Repubblica Veneta allo stampatore
Giovanni de Spira. * delegato italiano alla proprietà intellettuale CONTATTI: [email protected]
Foto: Mauro Masi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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IL PUNTO DI MAURO MASI*
07/02/2015
Financial Times
Pag. 2
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Data hand Obama a boost and suggest Fed may raise interest rates in June
SHAWN DONNAN - WASHINGTON
The US economy added 257,000 jobs in January in another sign of the strength of the nation's recovery. The
news caused an already strong dollar to surge. It also offered an economic fillip for Barack Obama, the
president. Here are five things to note from yesterday's non-farm payrolls report: 1. The US recovery looks
very real Jack Lew, Treasury secretary, told Congress this week that the US economy appeared to have
entered a "self-sustaining" recovery. Yesterday's jobs numbers clearly added to that case and economists
overwhelmingly saw them as good news. Also included in the January report were upgrades to previouslyreleased November and December figures. Those seemed to indicate that initial gross domestic product
figures released last week, which showed the US economy grew by just 2.6 per cent in the final quarter of
2014, may be due for their own upward revision. In the past three months, the US economy has created more
than 1m jobs, the strongest pace of job growth since 1997. 2. The good news means the Fed is more likely to
start raising rates in June The Federal Reserve last month changed its assessment of the labour market from
"solid" to "strong". Yesterday's data "unequivocally vindicated this wording change", said Harm Bandholz,
chief US economist at UniCredit. "Given the fact that most FOMC [Federal Open Market Committee]
members see the plunge in oil prices, which will push inflation rates even lower in the coming months, as a
positive for the US economy, we remain convinced that the Fed continues to get closer to its first rate hike,"
he wrote. But two big events lie ahead. Janet Yellen, chairwoman of the Fed, is due to testify to Congress this
month and the FOMC meets again on March 17-18. The question there will be whether the committee drops
a reference to being prepared to be "patient" in raising rates. If that language goes, it will be seen as teeing
up a June increase in rates. 3. The strong dollar only got stronger and that remains a concern One of the
fears hanging over the US economy is that the recent surge in the dollar will prove a drag on exports and
slow the recovery. Thursday's trade data offered some evidence that the strength in the dollar is biting, with
exports in December falling and imports rising. The slower than anticipated growth recorded in the last
quarter of 2014 was also blamed in part on falling exports. That is generating concerns in Congress and
demands for the Obama administration to do more to address what some are calling "currency manipulation"
in places such as China, Japan and the eurozone. But the concerns are not only US ones. The International
Monetary Fund and the Bank for International Settlements have both warned that too many companies in
emerging economies have taken on dollar-denominated debt in recent years. And that could end badly. 4.
Wages for workers are finally rising. But is it enough? Average hourly earnings increased 12 cents after falling
5 cents in December. That took the annual rate of wage growth to 2.2 per cent in January, the highest seen
since August. Many economists seized on that figure and argued that, taken together with lower oil prices, the
higher wages should help boost consumer spending and keep the economy insulated from any global turmoil.
However, even the government admitted that may be too rosy a view. Jason Furman, head of the president's
economic advisers, said the rates of wage growth were too low and "more must be done to ensure all families
can feel the strengthening recovery in their own lives". 5. More people are looking for work. . . and that is a
good thing The US unemployment rate actually rose slightly in January, to 5.7 per cent. But that was seen as
a good thing. The main reason for it was an increase in the participation rate, which measures the number of
workers and also those looking for jobs. There were 703,000 more people working or looking for jobs in
January and that brought the labour force participation rate up 0.2 percentage points to 62.9 per cent of the
population. That good news was tempered by the fact the number of long-term unemployed was unchanged
at 2.8m, or almost a third of the total unemployed.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Jobs growth illustrates strength of recovery
07/02/2015
Financial Times
Pag. 9
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Oil & gas
MICHAEL KAVANAGH - LONDON
Lundin Petroleum this week joined Royal Dutch Shell in committing itself to continue drilling in the Arctic
despite the tumble in oil prices since last summer. Ashley Heppenstall, the Swedish group's chief executive,
said: "It is critical that exploration continues in the region despite current markets." The commitment of most
oil majors and independent drillers to the environmentally fragile region has recently faltered owing to the oil
price drop. However, last week Shell confirmed plans to drill this summer in the Chukchi Sea north of Alaska.
Analysts have pointed to the Arctic as an area from which oil companies could retreat since the price of crude
has fallen. This week Statoil, the state-controlled Norwegian oil group, said that it was considering whether to
delay development of its Johan Castberg project in the Norwegian Arctic as part of a review of capital
spending. Chevron of the US has shelved plans to drill in the Beaufort Sea in the Canadian Arctic, while
Statoil, Denmark's Dong Energy and France's GDF Suez have all recently handed back exploration licences
in Greenland. Last year western sanctions against Moscow prompted ExxonMobil of the US to pull out of an
exploration joint venture with Rosneft in the Russian Arctic. Despite a waning of interest among oil operators
in Arctic waters, Eni of Italy is pushing ahead with plans for a platform at the Goliat field in the Norwegian
Barents Sea that will be the northernmost offshore oil production site in the world. Arctic projects have been
given the cold shoulder by groups including Statoil and GDF Suez as they review capital spending amid a
drop in the oil price
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Lundin and Shell pledge to continue Arctic exploration
09/02/2015
Financial Times
Pag. 2
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Upbeat data help sustain prime minister's economic and political reform agenda
JAMES POLITI - ROME
At a Volkswagen dealer in eastern Rome, Bruno Buonavoglia senses that something is changing. Valentino
Automobili, the business where the 60-year-old car salesman works, usually sells about 130 vehicles a month
from its three locations, but last month sales reached about 150. "January didn't go badly and February didn't
start terribly either," Mr Buonavoglia says. "I can't really explain it, but there are some small signs of
recovery." Across Italy, dealers have seen new car registrations jump - to 131,000 in January, a 10.9 per cent
increase compared with last year, according to transport ministry data. The rebound is one of a handful of
economic indicators offering a glimmer of hope that the eurozone's third-largest economy will finally post
growth in gross domestic product in 2015 after three years of recession. "A series of data over the past month
have been comforting: this really should be the year of a shift in the cycle," said Luca Paolazzi, chief
economist at Confindustria, the biggest Italian business lobby. "Things are moving in the right direction."
According to a forecast by the European Commission released last week, Italy is expected to generate growth
of 0.6 per cent in 2015. This is sluggish by global or even European standards, but could feel like a boom for
Italy after the economy shrank 0.5 per cent last year and 1.9 per cent in 2013. Such a turn could prove
positive for the eurozone as a whole, since it would be likely to improve Italy's public finances and diminish
fears that Rome could face a new debt crisis. It could also help sustain the economic and political reform
agenda being pursued by Matteo Renzi, Italy's prime minister. But there have been plenty of false dawns,
notably in 2014 when some were predicting growth in excess of 1 per cent for the year, and Italian forecasts
are often revised lower. What makes this year different, many economists say, is a combination of external
factors that will help sustain the economy even as domestic demand remains low. "Importantly, two new
supportive factors will help," UniCredit economists Chiara Corso and Loredana Federico said in a recent note.
"A significant euro weakening and the plunge in oil prices, which will underpin the recovery of foreign and
domestic demand." The European Central Bank's quantitative easing programme will also improve financial
conditions and access to credit, economists note. Among the most encouraging recent signs in Italy are a
jump in business confidence in January to the highest level in three and-a-half years and a rise in consumer
confidence to a three-month high. There have also been small increases in manufacturing activity and
industrial production and a drop in unemployment, although this remains high at 12.9 per cent. Italy plunged
back into deflation last month, with the consumer price index dropping by 0.6 per cent, but that figure was
partly driven by lower energy prices which could help consumption. Paolo Mameli, senior economist at Intesa
Sanpaolo, says he is proceeding with "extreme caution". "In recent Italian history the impact of expected jolts
hasn't always translated into growth because the situation is so weak and the recession has lasted so long,"
he says. "But if this trend continues over the next few months we will revise our estimates upwards." He
currently forecasts GDP growth of 0.4 per cent this year. For now, the car dealers at least are a little less
worried. An upturn in Italian car sales could bode well for the wider economy
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Accelerating car sales drive Italy's recovery hopes
09/02/2015
Financial Times - Ed. weekly review
Pag. 24
(diffusione:265676, tiratura:903298)
C Shankar Athreya has moved from Singapore, where he was global head of strategy and business
development at Olam International, to London to take up a job as head of farmland investments at Insight
Investment. C Private equity firm Warburg Pincus has a new partner, René Obermann. Mr Obermann, who
was most recently chief executive officer of Ziggo, will focus on the telecommunications, media and
technology sectors. C Ignazio Rocco di Torrepadula has joined Tikehau Capital Italy as a senior adviser,
having previously held a similar role at the Boston Consulting Group. C Paul Harris has left Brevan Howard in
Jersey, where he was head of administration, to join Carne Group. He will be available to serve as an
independent fund director. C Mena Capital has experienced some changes at the top, with two new
managing partners. Slim Feriani, formerly executive chairman, chief executive and chief investment officer at
Advance Emerging Capital, comes in as chief executive, while Roger Allen joins as head of business
development. C March Gestión de Fondos has hired Lorenzo Parages as head of distribution. Mr Parages
was previously in charge of Allfunds Bank's investment services operations in Latin America. Mr Parages
began his career within the equity sales division of Banco Urquijo, before moving to Axa Investments as a
financial adviser. C Mirae Asset Global Investments has appointed Sander van Ouwerkerk to lead its Benelux
and Nordic sales efforts. Mr van Ouwerkerk joins from Acadian Asset Management. C Adrian Mulryan has left
ETF provider Source, where he was general counsel, to join law firm Arthur Cox as a partner in its asset
management and investment funds group. C Candriam has hired Matthieu David as head of Candriam
Investors Group Italy. He was formerly director of external distribution in Italy for BNP Paribas Investment
Partners. Candriam has also added Alessandro Malinverno and Ergys Luga to its Italian sales team. C Andy
Gboka (pictured above) has joined the team managing Bellevue Asset Management's BB African
Opportunities fund. Until last year, Mr Gboka was a senior analyst with Exotix. C Nikko Asset Management
has hired an Edinburgh-based head of solutions marketing. Cameron Kuwahara joins from Citigroup Global
Markets, where he was a senior sales director in Singapore. He also worked for Bank of America/Merrill
Lynch Securities and Deutsche Securities Tokyo. C The UK's Pension Protection Fund has appointed Hans
de Boer as chief risk officer. Mr de Boer has held a variety of risk management roles at RBS and ABN Amro.
C Kames Capital has hired Matt Harding as an investment analyst focusing on North American equities. Mr
Harding joins from the restructuring team at consultancy Zolfo Cooper. C Benjamin Tolub has joined
Sycomore Asset Managers as a senior analyst. Mr Tolub used to be an analyst at Millenium Partners.
Benjamin Tolub has joined Sycomore Asset Managers
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Movers & shakers
09/02/2015
The Guardian
Pag. 18
Stephanie Kirchgaessner
An Italian court is expected to announce a verdict this week in the case against Francesco Schettino, the
captain of the Costa Concordia cruise ship that capsized in 2012, killing 32 people. If he is found guilty,
Schettino could face more than 26 years in prison.The decision will draw a line under a disaster that shook
Italy at a time when the country's confidence was already hit by years of economic turmoil.It was Schettino's
hubris that came to define the Costa Concordia tragedy, and made it more significant than simply a terrible
maritime accident."Many Italians saw his tale as a metaphor for our country's woes," said Gianni Riotta,
former editor of Il Sole 24 Ore. "Schettino's inept saga reminded us of our ruling class's crass failure to steer
Italy in the future."The cruise ship ran aground on 13 January after Schettino drove the ship too close to the
Tuscan island of Giglio, where it hit rocks, ripping a hole in the hull. The captain told the court he made the
manoeuvre as a favour to the ship's head waiter, whose family was from the island, and to please the
passengers. He denied he did it to impress a Moldovan dancer, his lover at the time, who was with him.About
4,000 passengers and crew members were on board, though they were not made aware of the severity of the
accident until much later.Schettino has been charged with manslaughter, causing the accident, and
abandoning ship as hundreds of passengers were trying to evacuate the sinking vessel in the dark of night.A
recorded radio conversation between Schettino, who was on a lifeboat, and Gregorio de Falco, a coastguard
captain, captured the chaos of the night and solidified Schettino's vill ain status in public opinion, given De
Falco's repeated, exasperated orders to Schettino, demanding he return to the ship and direct the
evacuation.De Falco's plea for Schettino to "get back on board, for fuck's sake", became so popular that Tshirts were printed with the saying.Schettino has defended his actions, saying he saved lives by steering the
ship towards shore after it hit the rocks. He has also blamed faulty generators and his crew for botching his
orders.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Court to deliver verdict in Costa Concordia skipper's case
07/02/2015
The Independent
Pag. 25.29
Disgraced former Prime Minister blamed for demise of the once-mighty Forza Italia
MICHAEL DAY IN ROME
Da pagina 25 It has dominated the centreright of Italian politics for 20 years, but now the wheels appear to be
falling off the Forza Italia party, in line with the declining fortunes of its founder, the billionaire media mogul
and three-time Prime Minister Silvio Berlusconi.Membership of the party, which Mr Berlusconi created in 1993
and with which he swept to power months later, has collapsed from a high of 400,000 to just 60,000. Its
accounts are in the red and at the end of last year it sacked 50 workers.In December, instead of the usually
sumptuous Forza Italia Christmas dinner, the tycoon's political troops were treated to a forlorn outing to a
non-descript trattoria on the outskirts of Rome - even if the mogul took the microphone and regaled diners
with selfaggrandising jokes.Meanwhile, Forza Italia's poll ratings have sunk to 15 per cent and it is in danger
of being overtaken by the rightwing Northern League, which has surged on an immigrant-baiting, anti-euro
ticket.The impression of chaos has been underlined by the emergence of one leading dissident, Raffaele
Fitto, who has publicly attacked the mogul's leadership.Marcello Veneziani, a leading political pundit at Mr
Berlusconi's conservative newspaper Il Giornale, told The Independent that Forza Italia was in crisis, and
blamed a fight for the succession. "The real problem is that the Berlusconi era is ending. That's why the party
is exploding," he said.But if Forza Italia's problems are in part financial and internecine, the other menace is
political: Matteo Renzi. Italy's young, cocky, and ambitious Prime Minister appears to have run rings around
Mr Berlusconi, using the mogul's political support to pass political reforms when it suited him, before dumping
him when it did not.After the humiliation of his communityservice stint for tax fraud and his expulsion from
parliament, the tycoon could at least take comfort from the fact that Forza Italia was still in a position to make
deals with Matteo Renzi's government over political reform.But last week Mr Berlusconi let it been known that
the "Nazarene pact" (named after the address of the party headquarters where it was thrashed out) with Mr
Renzi over reforms was dead. Wheeler-dealing Mr Renzi effectively replied: "Fine, we don't need you any
more."By last week securing the election as head of state of Sergio Mattarella - a political enemy of Mr
Berlusconi - Mr Renzi has managed to assuage left-wing rebels in his party.He carried out this sly manoeuvre
only after enlisting Mr Berlusconi's support to push electoral reforms through the Senate. And the Prime
Minister received another boost yesterday with news that six centrist senators from the small Civic Choice
party were preparing to defect to his Democratic Party.Mr Berlusconi originally felt compelled to deal with Mr
Renzi in the hope of legislative guarantees to protect his business empire, badly wounded by a vicious
recession. "Everything has been about saving his businesses," said political scientist Lorenzo de Sio of
Rome's LUISS University.But even that backroom guarantee now appears to have been ripped up: new
media laws regarding broadcast frequencies will, according to La Repubblica newspaper, add €50m to the
costs of Mr Berlusconi's cash-strapped Mediaset TV empire.Mr Berlusconi formed Forza Italia and entered
politics 21 years ago to avoid prison and save his business from leftwing opponents.But now, pundits say,
things are coming full circle. Among the legislation that he introduced in the 1990s to protect himself and his
companies, the bill to remove the crime of false accounting from the penal code was among the most
notorious.Mr Renzi is now reintroducing this crime. "It will be good for legality, good for encouraging foreign
investment," said Mr De Sio. "And given who got rid of it, its reintroduction will be very symbolic."
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Berlusconi faces losing control of his party as support and funding slump
09/02/2015
The Independent
Pag. 25
MICHAEL DAY
Da pagina 23 Three years and one month after he crashed the CostaConcordia on to rocks off the Tuscan
coast with the loss of 32 lives, former captain Francesco Schettino will learn this week if he is to spend most
of his remaining years in prison.Prosecutors in the regional capital Grosseto are demanding that Mr Schettino
be sentenced to more than 26 years after the vessel he was captaining, with more than 4,000 passengers
and crew aboard, partially capsized on the night of 13 January 2012, close to the island of Giglio.Mr
Schettino, 54, is charged with multiple manslaughter and causing a shipwreck. He is also accused of
abandoning ship ahead of his passengers. The ex-commander, who became a national hate figure, created
more headlines when he sought to defend himself from the latter charge byclaiming he had "fallen into a
lifeboat and couldn't get out".The prosecution says Mr Schettino should face incarceration immediately if
convicted due to the gravity of the crime and the risk he might flee the country. In Italy most defendants
remain free pending appeals."Francesco Schettino has lied to everyone, to the press, to the court, to the
maritime authorities," prosecutor Maria Navarro said in justifying her call for a sentence of 26 years and three
months. "He has never accepted responsibility."With summing up continuing today, court sources say a
verdict is unlikely before tomorrow evening. Most observers, noting the severe attitude taken by the
threeperson judging panel, have predicted a guilty verdict on one or more of the charges.Mr Schettino was in
command of the 290m vessel, when in a deviation from its standard route, it passed very close to the shore of
Giglio to perform a crowd-pleasinginchino or salute. During this manoeuvre a collision with rocks tore a 50m
hole in the ship's side.Senior coast guard officials have said the almost-hourlong delay in calling for the ship
to be abandoned was to blame for most, if not all, of the fatalities.Lawyers for Mr Schettino, who denies the
charges, have defended his delayed evacuation order by claiming in closing arguments that the ship was still
the safest place for passengers and that he gave the order once it became clear that the Concordia was
going to sink.Last April, there was controversy when Costa Cruises, the owner of the Concordia, made a deal
with an Italian court that limited its criminal liability with a fine of just €1m (£750,000).Giuliano Leuzzi, a lawyer
for the national consumer group Codacons, which is leading a class action against the cruise operator, said it
was "unacceptable and unbelievable" that the court in Grosseto was not taking into account "serious
malfunctions of the ship" that had been identified by two expert reports the court itself had commissioned.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Captain of 'Concordia' awaits verdict that could jail him for 26 years
07/02/2015
Le Monde - Ed. dossier
Pag. 1,3
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En fermant l'un de ses guichets aux banques grecques, l'institution « renvoie » les Etats à « leurs
responsabilités », a commenté François Hollande Ce n'est pas la première fois que Francfort fait de l'arme
des liquidités une arme politique. Avant Athènes, Chypre, Dublin et Madrid en ont fait les frais En Grèce, la
décision de Mario Draghi a été vécue comme un insupportable « chantage ». Jeudi soir, des milliers
d'Athéniens sont descendus dans la rue Le gouvernement Tsipras et ses partenaires européens ont moins
d'un mois pour trouver un accord sur la dette grecque L I R E P A G E S 2 E T 3 Coup d'Etat financier », «
diktat politique », « pistolet sur la tempe »... La décision de la Banque centrale européenne (BCE) qui,
mercredi 4 février, a fermé l'un de ses guichets aux banques grecques, a suscité une pluie de commentaires
indignés dans la presse européenne. Le premier ministre grec, Alexis Tsipras, a dénoncé un « chantage » .
Les autres chefs d'Etat européens, eux, ont dans leur ensemble jugé légitime la décision de Francfort. Lors
de sa conférence de presse, le président Fran çois Hollande a ainsi déclaré que l'institution « renvoie » les
Etats à « leurs responsabilités ». La BCE, elle, affirme que ses règles sont claires : jusqu'ici, elle acceptait les
bons du Trésor que les banques grecques lui offraient en garantie contre ses liquidités uniquement parce que
le pays était sous le plan d'aide de la « troïka » (BCE, Commission européenne, Fonds monétaire
international). Puisque Athènes rejette la « troïka », l'institution n'avait pas d'autre choix que de rejeter à son
tour ses titres. Il s'agirait donc d'une décision purement technique. Et pourtant, soulignent nombre
d'analystes, elle aurait pu attendre la fin du plan d'assistance, le 28 février, avant d'agir. En prenant les
devants, elle a renvoyé M. Tsipras et les gouvernements européens dos à dos. Ne comptez pas sur moi pour
financer la dette grecque pendant que vous tardez à vous entendre sur sa renégociation , leur dit-elle en
substance. « Elle a sifflé la fin de la récréation », résume un fin connaisseur de l'institution. Une position
délicate Ce n'est pas la première fois que la BCE sort de son rôle purement monétaire pour envoyer un
message politique. Le sujet est sensible. Explosif, même, car en théorie, l'institution agit en toute
indépendance des gouvernements. « En vérité, la position de la BCE est délicate » , explique Alan
Lemangnen, chez Natixis. « Elle est le reflet des défaillances de la zone euro elle-m ême : cela met tout le
monde un peu mal à l'aise », ajoute Eric Dor, économiste à l'école de management Iéseg. Le 19 novembre
2010, JeanClaude Trichet, à l'époque président de la BCE, avait ainsi envoyé une lettre au ministre irlandais
des finances, Brian Lenihan. Dévoilée il a peu, celle-ci a fait scandale dans l'île verte. « Ce n'est que si nous
recevons par écrit un engagement du gouvernement irlandais (...) sur les quatre points suivants que nous
pouvons autoriser d'autres injections monétaires vers les institutions financières irlandaises », écrivait le
Français. Avant d'exiger de l'Irlande de « prendre des actions décisives en matière de consolidation
budgétaire, réformes structurelles et restructuration du secteur financier » . En d'autres termes, M. Trichet
menaçait de couper les liquidités d'urgence indispensables à la survie des banques irlandaises, si le
gouvernement n'entrait pas sous un plan de sauvetage européen. Ce qu'il fit presque aussitôt... En 2013, le
même bras de fer se joua entre Chypre, au bord de l'explosion financière, et l'institut monétaire. Le 21 mars,
le conseil des gouverneurs fit savoir par communiqué que la fourniture de liquidités d'urgence serait
maintenue jusqu'au 25 mars. Mais qu'au-delà, ces aides « ne pourront être envisagées que si un programme
Union européenneFMI est mis en place » . Condition que le gouvernement chypriote finit par accepter. En
août 2011, la BCE envoie également une lettre au premier ministre espagnol José Luis Zapatero et surtout à
Silvio Berlusconi, alors président du conseil italien. A l'époque, la crise des dettes commence à contaminer
l'Italie. M. Trichet lui enjoint alors de mettre en œuvre un cocktail de mesures : « privatisations de grande
ampleur », « révision des règles de licenciement », « baisse des salaires publics »... La BCE abuse-t-elle
donc de sa position pour dicter sa loi aux Etats ? Ceux que le Guardian appelle les « maîtres non élus de
Francfort » ne vont-ils pas au-delà de leur rôle ? « En vérité, tout le monde a des attentes démesurées et
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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La BCE force les Européens à s'entendre sur le cas grec
07/02/2015
Le Monde - Ed. dossier
Pag. 1,3
(diffusione:30179, tiratura:91840)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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schizophréniques envers l'institution : on voudrait à la fois qu'elle en fasse plus pour la croissance, mais
qu'elle soit plus discrète politiquement », glisse un député européen. Il faut rappeler qu'en tant que banque
des banques, le BCE ne peut se permettre de porter trop de risques à son bilan. Si elle acceptait de prendre
les bons du Trésor grecs en garantie, pourtant classés en catégorie « spéculative » par les agences de
notation, c'était uniquement parce que le plan d'aide lui garantissait que le pays ne risquait pas de faire
défaut. Et donc, qu'elle n'essuierait jamais de pertes. « Son rôle n'est pas de prendre les risques à la place
des investisseurs privés : on le lui reprocherait » , remarque M. Dor. « Répondre à une carence » Si la BCE a
fait des recommandations aux Etats pendant la crise, c'est aussi... parce qu'il fallait bien que quelqu'un le
fasse. On a tendance à l'oublier, mais les investisseurs ne faisaient alors plus confiance aux pays
périphériques et pariaient sur l'explosion de la monnaie unique. Il était urgent de redresser les déficits - ou
d'en montrer la volonté - pour éteindre l'incendie. Puisque les Etats étaient incapables de parler d'une voix, la
BCE a retroussé ses manches. « Elle a comblé, parfois avec maladresse, le vide politique européen » ,
reconnaît un diplomate. De fait, l'institution n'a jamais été à l'aise avec le rôle qu'elle a dû prendre, un peu
malgré elle, au sein de la « troïka ». « Il s'agissait de répondre à une carence, l'Europe n'étant pas dotée des
institutions adaptées » , déclarait aux Echos du 5 février Peter Praet, son chef économiste. « Cela ne signifie
pas que nous sommes satisfaits de la situation actuelle » . Aujourd'hui, la BCE ne rêve que d'une chose :
tourner enfin la page de la « troïka »... L'institut monétaire a renvoyé le premier ministre grec, Alexis Tsipras,
et les gouvernements européens dos à dos
En un an la Bourse d'Athènes a perdu 40 % ÉVOLUTION DE LA BOURSE D'ATHÈNES DEPUIS JANVIER
2012
07/02/2015
Le Monde - Ed. dossier
Pag. 3
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Adéa Guillot
Dignité et démocratie. Ces deux mots couraient sur toutes les lèvres au soir du jeudi 5 février, à Athènes, sur
la place Syntagma (place de la Constitution) lors d'une manifestation organisée en soutien au gouvernement
grec, élu le 25 janvier.Sotiris et Irini Papadrayiannis sont venus en famille, avec leur petit garçon de 4 ans, "
dire à l'Europe, et à l'Allemagne en particulier, que l'on ne peut pas ignorer le vote des Grecs et montrer
autant de mépris des règles démocratiques ". Quelques heures après l'annonce, mercredi, de la Banque
centrale européenne (BCE) de sa volonté de couper, en partie, le robinet des liquidités bancaires à la Grèce,
un appel a été lancé sur les réseaux sociaux invitant les Grecs à manifester.Le porte-parole du
gouvernement, Gabriel Sakellaridis, a réagi en assurant que le système bancaire grec n'avait rien à craindre.
Il a dit que " la Grèce refus - ait - de faire l'objet de chantage, tout comme elle ne fera chanter personne ". Le
gouverneur de la Banque de Grèce, Yannis Stournaras, a réaffirmé, jeudi, qu'il n'y avait pas de problème de
liquidités et a rappelé que la décision de la BCE n'était pas inaltérable et que, si un accord était trouvé entre
la Grèce et ses créanciers, alors l'institution monétaire pouvait revenir sur sa décision, " comme elle l'a déjà
fait dans le passé ".Le premier ministre, Alexis Tsipras, a quant à lui rappelé, lors d'un entretien téléphonique
avec le gouverneur de la BCE, Mario Draghi, qu'il " était lié par un mandat clair du peuple grec " d'en finir
avec l'austérité." Nous serons tous les soirs ici à Syntagma, promet Vassilis Kafetsopoulos, un jeune docteur
de 28 ans au regard sombre.Pour soutenir l'effort du gouvernement, et faire pression pour qu'il ne cède pas.
Nous lui avons donné un mandat ; il doit s'y tenir. " Le jeune homme brandit une pancarte indiquant : " Nous
ne sommes pas une colonie de Merkel ". Derrière lui, un groupe de gardiennes d'école licenciées brutalement
de la fonction publique il y a dix-neuf mois crie à plein poumons un slogan sans équivoque : " Nous sommes
en démocratie ici ! L'Allemagne doit nous respecter ! "Le ressentiment vis-à-vis de l'Allemagne est très
partagé. " Je suis aussi très déçue par la France. A quoi bon appeler l'Union européenne une union si c'est
pour manquer à ce point-là de solidarité ? ", interroge Vivi Manolopoulou, une manifestante. " Et pourtant, ce
que propose Yanis Varoufakis - le ministre des finances grec - est un virage logique que doit prendre
l'Europe. Je ne comprends pas le jusqu'au-boutisme allemand sur l'austérité, alors que ça ne marche pas.
Notre économie ne redémarre pas. L'Europe ne redémarre pas alors que l'Amérique qui a suivi une autre
piste est sortie de la crise ", affirme la jeune femme." Je suis satisfait de ces premières semaines, affirme
Sotiris, le père de famille, car la voix de la Grèce se fait entendre pour la première fois depuis quatre ans, et
c'est la première fois que l'on a l'espoir d'une négociation possible et pas juste de diktats humiliants. C'est en
tout cas ce que je veux apprendre à mon fils ce soir. A lutter pour une Europe des peuples et pas une Europe
des banques. " Sotiris et sa compagne pensent que si l'Europe n'accepte pas de négocier et que le
gouvernement Tsipras - " la réponse de la gauche à la crise " - échoue, alors " cela ouvrira la voie au
fascisme ".A quelques pas de la place, la grande rue commerçante d'Ermou continue, elle, d'accueillir ses
clients, la plupart indifférents à ce qui se passe à quelques mètres d'eux. " Moi je crois que ce gouvernement
a annoncé trop vite et a crispé nos créanciers avant même que les vraies négos ne commencent ", regrette
un marchand de chaussures. " Que croient-ils là-haut, demande l'un de ses clients en désignant le haut de la
place et les manifestants, que l'argent tombe du ciel ? Il va falloir en passer par les exigences européennes.
Je crois que ce gouvernement nous mène droit au mur. "Deux semaines après un scrutin qui redéfinit
drastiquement les équilibres à la fois en Grèce et en Europe, les Grecs hésitent toujours entre espoir de
changement et crainte de lendemains qui déchantent.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Les Athéniens dans la rue pour soutenir leur gouvernement
08/02/2015
Le Monde - Ed. dossier
Pag. 2
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E. A. (Londres, correspondance)
Les clubs de football anglais sont en train de devenir une catégorie à part, bien plus riches que ceux du reste
de l'Europe. Pendant la saison 2013-2014, ils étaient quatorze à figurer dans le top 30 des équipes ayant le
plus gros chiffre d'affaires, selon le classement annuel réalisé par le cabinet Deloitte. L'Italie est le deuxième
pays le plus présent, avec cinq équipes, tandis que la France n'en compte que deux. Désormais, des clubs
comme Sunderland ou Southampton affichent des revenus similaires à ceux du Benfica ou de l'AS Roma,
pourtant beaucoup plus connus à travers le monde.Cette domination des clubs anglais est relativement
nouvelle. Si Manchester United, Arsenal ou Chelsea font depuis longtemps partie des équipes les plus riches,
l'émergence des équipes de seconde catégorie est plus récente. Lors de la saison 2012-2013, seuls huit
clubs anglais faisaient partie du top 30.Leur soudaine percée s'explique essentiellement par l'inflation des
droits télévisés. La saison 2013-2014 a été la première à laquelle s'appliquaient les droits de retransmission
décidés en 2012, qui avaient atteint 3 milliards de livres (4 milliards d'euros) sur trois ans. A l'époque, cela
représentait un bond de 70 % du prix des droits.L'argent des droits irrigue, en effet, tous les clubs de Premier
League. Pour moitié, il est réparti à égalité entre les vingt équipes qui participent à ce championnat. Un autre
quart dépend des résultats réalisés par chaque club. Enfin, le dernier quart dépend du nombre de fois que le
match d'une équipe est diffusé en direct. Il faut enfin ajouter à cela les droits vendus à l'étranger, qui sont
répartis à égalité entre les clubs. C'est ainsi que Liverpool a été le club le plus rémunéré pendant la saison
2013-2014, touchant 97 millions de livres (130 millions d'euros), tandis que Cardiff City était le club le moins
bien loti, avec quand même 62 millions.Où va cet argent ? " Presque tout est reversé aux joueurs et à leurs
agents ", se désole John Beech, de l'université de Coventry (Angleterre). Les salaires des footballeurs
suivent presque symétriquement les droits de retransmission. Et voilà comment Wayne Rooney empoche
désormais 20 millions d'euros par an (hors sponsors) à Manchester United, Radamel Falcao 18 millions dans
la même équipe, et Yaya Touré 17 millions à Manchester City.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
281
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Si riches équipes britanniques
08/02/2015
Le Monde - Ed. dossier
Pag. 6
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Audrey Tonnelier
Le dirigeant du constructeur automobile sud-coréen Hyundai Motor et son héritier ont levé 1,1 milliard de
dollars (0,9 milliard d'euros) en vendant un bloc d'actions qu'ils détenaient dans la branche logistique du
groupe, Hyundai Glovis, ont indiqué, vendredi 6 février, des responsables. La cession permet ainsi d'aider la
famille Chung à réduire sa participation dans Hyundai Glovis à 29,99 %, contre 43,39 % auparavant.
L'objectif est de se conformer aux nouvelles règles antitrust visant à freiner les transactions intragroupe, à
savoir celles entre les filiales de conglomérats familiaux ou " chaebols ". Elles sont considérées comme
déloyales par le gouvernement, en particulier lorsque les membres de la famille détiennent une participation
de plus de 30 %. - (AFP.)Il n'est pire aveugle que celui qui ne veut point voir ", dit le proverbe. Les marchés
boursiers joueraient-ils à se bander les yeux ? La question mérite d'être posée. Alors que la semaine écoulée
a été riche en soubresauts politico-économiques, les Bourses mondiales ont affiché une étonnante sérénité.
Du lundi 2 au vendredi 6 février, le CAC 40 a grimpé de 1,88 %, tandis que le Footsie londonien s'adjugeait
1,54 % et le Dax allemand, 1,42 %. Même optimisme outre-Atlantique, où Wall Street a été portée par le
rebond du baril de pétrole. Le Dow Jones a gagné 3,84 % en cinq jours tandis que le Nasdaq, l'indice des
valeurs technologiques, s'adjugeait 2,35 %.Pourtant, en matière de rebondissement, Mario Draghi, le
charismatique patron de la Banque centrale européenne (BCE), et Yanis Varoufakis, le ministre grec des
finances aux allures de rock star, ont fait fort. En jeu, rien moins que la renégociation de la colossale dette
grecque, honnie par le nouveau parti de gauche radicale au pouvoir à Athènes, Syriza, alors que la Grèce est
depuis plus de quatre ans sous perfusion de la " troïka " des bailleurs de fonds (BCE, Fonds monétaire
international et Commission européenne).Entre ces deux-là, on se doutait bien que ce ne pouvait être le
grand amour. Mais un accord semblait à portée de main, lundi 2 février. Athènes avait officiellement renoncé
à demander l'effacement pur et simple de sa dette, proposant des solutions alternatives. La tournée
européenne de M. Varoufakis et d'Alexis Tsipras, le nouveau premier ministre grec, devait permettre
d'approfondir les pistes de discussion avec les principaux responsables politiques du Vieux Continent. Le 4
février au matin, la visite de M. Varoufakis à Francfort, au siège de la BCE, avait semblé ferme mais
courtoise.Mais à la nuit tombée, vers 21 h 30, c'est le coup de tonnerre. La BCE, qui vient de tenir son
conseil mensuel des gouverneurs, change subitement de ton : elle ne prêtera plus à la Grèce tant que le pays
refuse la tutelle de la " troïka ".L'Allemagne, vent debout contre tout aménagement des accords passés entre
Athènes et ses bailleurs de fonds, s'est engouffrée dans la brèche. Le ministre des finances, Wolfgang
Schäuble, a ainsi affiché jeudi à Berlin ses " désaccords " avec son homologue grec. Allant jusqu'à lancer : "
De mon point de vue, nous ne sommes mêmes pas tombés d'accord sur le fait de ne pas être d'accord " !
Ambiance...La Bourse d'Athènes a plongé de plus de 3 % jeudi. Mais, ailleurs en Europe, point de panique.
Pas même une légère angoisse. Les indices ont quasiment tous terminé la séance dans le vert ou à
l'équilibre. A Paris, le CAC 40, en grappillant 0,15 %, a même franchi le seuil symbolique des 4 700 points.
Cela ne lui était plus arrivé depuis... juin 2008 !Les analystes financiers en perdent leur latin. " Nous sommes
nous-mêmes un peu surpris que les marchés n'aient pas réagi plus négativement aux dissensions entre la
Grèce et l'Europe ", avoue Sylvain Goyon, responsable de la stratégie actions chez Natixis Global
Research.Et de chercher des éléments d'explication. Les investisseurs ont sans doute préféré voir le verre à
moitié plein. D'abord, au moment où la tension montait d'un cran à Francfort, une bonne nouvelle arrivait de
Bruxelles. La Commission a indiqué jeudi que la croissance atteindra 1,3 % en zone euro en 2015, alors
qu'elle prévoyait 1,1 % auparavant. Ensuite, sur le front des entreprises, les nouvelles sont également
encourageantes : sur la soixantaine de sociétés de l'indice EuroStoxx 600 qui ont publié leurs résultats pour
le dernier trimestre 2014, les deux tiers sont meilleurs que prévu.Surtout, les marchés ont toujours les yeux
de Chimène pour " Super Mario ". Il continue de bénéficier du crédit que lui a apporté sa fracassante annonce
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Sur les marchés, le calme avant la tempête ?
08/02/2015
Le Monde - Ed. dossier
Pag. 6
(diffusione:30179, tiratura:91840)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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du 22 janvier : 1 140 milliards d'euros de rachat de dettes (quantitative easing, QE) dans les dix-huit
prochains mois. " En zone euro, la perspective du QE et l'espoir d'une amélioration conjoncturelle sont plus
forts que tout (...). Les indices actions restent guidés par un principe simple : "Don't fight the ECB" - "Ne pas
aller à l'encontre de la BCE" - ", confirme le courtier Aurel BGC." Tout le monde se dit - à raison - qu'avec des
taux durablement bas et une économie européenne en reprise, il faut acheter des actions ", abonde M.
Goyon.Mais ne serait-ce pas le calme avant la tempête ? " Attention à ne pas tomber dans l'optimisme béat.
Ignorer les risques (escalade en Ukraine, défaut de la Grèce, progression du parti de gauche radicale
Podemos en Espagne...) n'a jamais prémuni efficacement contre leur occurrence ", prévient M. Goyon. Façon
de dire que tout ce qui est aujourd'hui habilement caché sous le tapis pourrait bien ressortir prochainement...
Il faudra bien, alors, que les investisseurs ouvrent les yeux.
08/02/2015
Le Monde - Ed. dossier
Pag. 6
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Marie Charrel
Un grand pouvoir implique de grandes responsabilités. " La célèbre phrase du comics américain Spider-man
ne vaut pas seulement pour Peter Parker, l'homme-araignée défendant la veuve et l'orphelin. Elle s'applique
aussi à merveille à la Banque centrale européenne (BCE). Et à son président Mario Draghi - alias " Super
Mario ", comme le surnomme parfois la presse.Cette semaine, l'institution a été vivement critiquée pour sa
décision du mercredi 4 février. A savoir, fermer l'un de ses guichets de refinancement aux banques grecques,
en refusant les obligations souveraines et les dettes garanties par l'Etat grec qu'elle acceptait jusque-là de
prendre en garantie (les " collatéraux "). Beaucoup ont qualifié cette décision de politique, jugeant que la BCE
outrepassait ici son mandat.Peut-être. Mais c'est oublier que tous les gouverneurs de l'institution n'étaient pas
favorables à cette mesure. Ils étaient même très divisés sur le sujet. Mais ce mois-ci, du fait de la rotation des
votes, les gouverneurs des banques centrales de France, Grèce, Irlande et Chypre n'avaient pas voix au
chapitre. C'est oublier, surtout, que la BCE est aujourd'hui la seule institution supranationale qui fonctionne à
peu près bien dans la zone euro. Or, comme la nature, l'économie a horreur du vide. Les politiques
européens ayant laissé le champ libre, la BCE a pris la place, plus ou moins malgré elle. Faute de mieux, elle
est condamnée à jouer ce rôle d'arbitre. Elle est d'ailleurs la première à s'en lasser.Pour preuve, en
suspendant ses faveurs à la Grèce, elle a coupé court au scénario dans lequel les chefs d'Etat se
complaisaient déjà. A savoir, celui de faire durer les négociations avec Athènes jusqu'en mai. Pendant ce
temps, espéraient-ils, la BCE continuerait de financer la dette grecque sans broncher. Trop facile !Ce n'est
pas tout. A y regarder de près, l'institution est loin d'avoir pris les Grecs par surprise. De fait, le ministre des
finances, Yanis Varoufakis, a ainsi, à plusieurs reprises ces derniers mois, tweeté que le scénario d'un "
chantage " aux liquidités par la BCE était possible. Tout en jugeant ce genre de menace " peu crédible ".En
vérité, la partie qui se joue entre Athènes, Francfort et Bruxelles est loin d'être aussi tranchée qu'il n'y paraît.
Tout le monde pense avoir un coup d'avance. Nous sommes en pleine théorie des jeux. M. Varoufakis est
convaincu que la zone euro, et en particulier Berlin, n'osera pas pousser la Grèce au défaut, par peur des
conséquences financières ravageuses. Mais pas seulement. Si Athènes se voyait contrainte de sortir de
l'euro, l'inflexible Allemagne serait aussitôt pointée comme coupable. Ce qui donnerait du grain à moudre aux
anti-austérité et eurosceptiques de tout bord...Comment tout cela va-t-il finir ? En clash, ou bien en
compromis sur un allongement de la dette grecque. Pour que celui-ci soit possible, chacun devra faire des
concessions. Les Européens devront accepter que la Grèce tourne la page de l'austérité. Syriza devra
renoncer à appliquer les plus généreuses de ses promesses de campagne. Une pilule pour l'instant trop dure
à avaler pour le parti de gauche radicale.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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L'encombrant pouvoir de la BCE
08/02/2015
Le Monde
Pag. 1
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Ettore Majorana, génie disparu, réapparu, perdu de vue
Philippe Ridet (Rome, correspondant)
Il y a un grand avantage à la passion des Italiens pour les faits divers. Sans elle, l'émission " Chi l'ha visto ? ",
créée en 1989 sur la RAI, aurait connu le même sort que sa version française (" Perdu de vue ", interrompue
en 1999). Et sans " Chi l'ha visto ? ", le sort du physicien Ettore Majorana, dont on a perdu toutes traces en
1938, nous resterait aussi mystérieux qu'une équation à 1 000 inconnues.Né en 1906 à Catane (Sicile) dans
une riche famille de l'île, le jeune Ettore est d'abord éduqué par son père, député et ministre, qui, dès ses 4
ans, lui fait résoudre ses premiers problèmes. Envoyé à Rome pour y développer ses dons, le voilà bachelier
à 16 ans. Cinq ans plus tard, ayant troqué les maths pour la physique nucléaire, il intègre le fameux institut
de Panisperna, accueilli par Enrico Fermi, futur Prix Nobel, qui coache les meilleurs cerveaux d'Italie. Celui
de Majorana les dépasse tous.Après avoir résolu en une nuit une équation portant sur le potentiel de
l'électron sur laquelle Fermi s'acharnait depuis une semaine, il passe bientôt pour le chaînon manquant entre
Newton et Einstein. Une réputation qui se double chez lui d'une complète indifférence à l'égard des
trompettes de la renommée. Il néglige de faire publier ses découvertes, note ses idées et ses intuitions sur un
paquet de cigarettes dans le bus qui le conduit via Panisperna, où il en fait profiter tout le monde.Désireux de
se perfectionner - est-ce possible ? - auprès d'un des pères de la mécanique quantique, Werner Heisenberg,
il part à Leipzig en 1933, observateur froid et complice des changements qui affectent l'Allemagne. Il écrit à
sa mère, justifiant ainsi " l'élimination des juifs, des communistes et des opposants " : " faire place à la
nouvelle génération ".De retour à Rome, il manifeste les premiers symptômes d'une dépression. Jusqu'à ce
que, le 25 mars 1938, on perde sa trace sur un paquebot reliant Naples à Palerme. Suicide, retraite dans un
monastère, enlèvement ? Toutes les pistes sont ouvertes. Mussolini offre 30 000 lires pour tout
renseignement. Un avis de recherche est publié : " Ettore Majorana a mystérieusement disparu. Agé de 31
ans, il mesure 1,70 mètre... " Rimbaud revu par Modiano...Soixante-dix ans se passent jusqu'à ce que, en
2008, un certain Francesco Fasani raconte dans " Chi l'ha visto ? " qu'il a connu Majorana au Venezuela, à
Valencia, dans les années 1950. Il se faisait appeler Bini. Une photo atteste leur rencontre. Le parquet de
Rome se saisit de ce témoignage et rouvre l'enquête. Mercredi 4 février 2015, la police scientifique a établi
que Majorana et Bini étaient la même personne. L'hypothèse du suicide est abandonnée. Restent 999
autres...
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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l'histoire du jour
08/02/2015
Le Monde
Pag. 4
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Philippe Ridet
Roberto Calderoli, vice-président du Sénat, ne sera pas poursuivi. Droite et gauche qui composent la
commission des immunités parlementaires se sont refusé à lever la sienne afin d'autoriser la justice à
poursuivre ce membre éminent du parti de la Ligue du Nord. En juillet 2013, lors d'un meeting, il avait déclaré
: " Quand je vois Cécile Kienge, je ne peux m'empêcher de penser à un orang-outang ". Cécile Kienge,
originaire du Congo, était à l'époque ministre de l'intégration d'Enrico Letta (centre gauche) et première
femme noire à faire partie d'un gouvernement italien.Ces pairs ont estimé, jeudi 5 février, que ces propos ne
relevaient pas de " l'incitation à la haine raciale puisqu'ils ont été prononcés dans le plein exercice de ses
activités de parlementaires ". Cette déclaration avait été qualifiée à l'époque d'" inadmissible " par le chef du
gouvernement. Dix-huit mois plus tard, la décision de la commission n'a suscité aucun commentaire. Le
Sénat doit encore se prononcer sur la demande d'autorisation des poursuites.La force de l'habitude ? Le
racisme et l'islamophobie irriguent depuis longtemps la Ligue du Nord. A la fin des années 2000, le député
européen Mario Borghezio avait fait déverser de l'urine de porc sur des terrains destinés à la construction de
mosquées. Roberto Calderoli avait institué le " jour du cochon ", lors duquel les propriétaires de porcs étaient
invités à promener leurs animaux sur les lieux de culte musulmans.Il n'y a pas eu davantage de réactions
lorsque, fin janvier, le conseil régional de Lombardie, dirigé par Roberto Maroni, ancien président de la Ligue
du Nord, a voté une disposition compliquant, voire empêchant, la construction de nouvelles mosquées dans
la région. Sous couvert de sécurité et de " respect du paysage lombard ", la nouvelle loi - qui fait l'objet d'un
recours - permettra aux communes d'organiser un référendum pour autoriser de nouvelles édifications de
lieux de culte. " La présence des musulmans en Lombardie n'est pas indispensable ", a déclaré un des
conseillers régionaux.C'est dans ce silence quasi général, cette absence totale de réactions de la part de la
gauche comme des institutions, que la Ligue du Nord pèse aujourd'hui 13 ou 14 % des intentions de vote,
faisant jeu égal avec Forza Italia, le parti de Silvio Berlusconi. De la même façon, elle continue de jouir de
l'étiquette folkloriste et débonnaire de parti sécessionniste, alors que son fonds idéologique l'apparente à un
parti d'extrême droite comme le Front national, avec lequel elle a fait alliance au Parlement européen.Depuis
l'accession au sommet du parti de Matteo Salvini, rival générationnel du premier ministre, Matteo Renzi, la
Ligue a abandonné tout ce qui faisait sa spécificité (autonomie des régions du Nord, fiscalité différenciée) au
profit d'un discours national, audible de Bolzano à Palerme, centré essentiellement sur le refus de
l'immigration, de l'islam, de l'euro. Alors qu'elle promouvait le fédéralisme, elle milite pour un Etat fort ;
paganiste, elle se positionne désormais en défense d'un catholicisme traditionnel ; autrefois libérale, elle est
maintenant contre toute initiative en faveur des couples non mariés, de sexe différent ou pas.La progression
de la Ligue du Nord, qui ne pesait que 5 % des suffrages aux élections de février 2013, est d'autant plus
notable qu'elle se déroule dans un contexte de crise de la droite traditionnelle. Silvio Berlusconi fait face à
une grave fronde interne au sein de Forza Italia, après avoir échoué à contrer le choix de Matteo Renzi
d'imposer Sergio Mattarella à la présidence de la République. Le Nouveau Centre droit, parti créé par son
ancien dauphin, Angelino Alfano, ne dépasse pas 4 % des intentions de vote.Hypnotisés par la résurrection
de la Ligue du Nord, en passe devenir le premier parti de la droite, ni l'un ni l'autre ne sont en mesure de
présenter une alternative crédible. Quant à la gauche, soucieuse de ne pas s'aliéner les électeurs de cette
formation, elle se tait devant ses dérapages de plus en plus en plus fréquents. " La prochaine élection se
jouera entre Renzi et moi ", a prévenu Matteo Salvini.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Italie : le racisme ordinaire de la Ligue du Nord
09/02/2015
Les Echos
Pag. 19
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Christophe Palierse
L'OPA revalorisée du consortium mené par Fosun s'achève aujourd'hui. L'exploitant de villages de vacances
pourrait être retiré de la Bourse de Paris. Journée historique pour le secteur du voyage et des loisirs. Sauf
incroyable rebondissement, le Club Méditerranée passera sous pavillon chinois à l'issue de la séance
boursière, et ce alors qu'il s'apprête à fêter ses 65 ans en avril. Quand bien même son PDG, Henri Giscard
d'Estaing, et son futur actionnaire majoritaire, Fosun, jusqu'à présent (depuis 2010) « partenaire stratégique »
et de « long terme », n'ont eu de cesse, depuis des mois, à garantir son « ancrage français », l'affaire n'est
pas banale. Sans avoir un caractère stratégique pour la France, elle symbolise en tout cas la nouvelle
configuration de l'économie planétaire. A quelques heures de sa clôture, rien ne semble donc compromettre
la réussite de l'offre publique d'achat en surenchère du groupement Gaillon Invest II, mené par Fosun, dont le
résultat sera connu dans quelques jours. Les initiateurs ont même ouvertement évoqué la possibilité d'un
retrait de la cote de l'exploitant de villages de vacances, ce qui est, là aussi, loin d'être anecdotique, puisque
l'entreprise, longtemps un inépuisable pionnier dans son domaine, est inscrite à la Bourse de Paris depuis
1966. Pour en arriver là, Fosun a, il est vrai, été contraint de mettre le prix pour faire plier l'homme d'affaires
italien Andrea Bonomi, parti à l'assaut du Club au mitan de 2014. Le conglomérat chinois, qui avait lancé en
juillet 2013 une OPA amicale à 17,50 euros par action, en association à parité avec Ardian - autre grand
actionnaire du Club -, l'a finalement emporté au tout début de l'année moyennant 24,60 euros par action !
Entre-temps, Fosun a non seulement dû lancer une nouvelle OPA réévaluée et en position, cette fois-ci,
d'investisseur principal, mais aussi riposter à deux surenchères du groupement d'investisseurs Global
Resorts emmené par Andrea Bonomi. Au final, Gaillon Invest II, détenu - du moins initialement - à 82,6 %
directement et indirectement par Fosun, valorise le Club Med à 939 millions d'euros pour 100 % des titres,
obligations comprises. Un impératif : faire plus que des profits symboliques Ce feuilleton boursier sans
équivalent, puisqu'il avait d'abord été marqué par un gel de l'OPA initiale de neuf mois pour cause de recours
de minoritaire, pourrait laisser des traces. Car, le Club - que nombre d'observateurs jugent aujourd'hui
survalorisé dans la mesure où il n'a pas versé le moindre dividende depuis 2001 du fait de pertes ou de trop
modestes profits - a plus que jamais un impératif : délivrer, selon l'expression consacrée des financiers. En
clair, faire bien davantage que des profits... symboliques. C'est à son PDG, qui a orchestré son
repositionnement en spécialiste haut de gamme des vacances tout compris, et qui compte désormais
amplifier son internationalisation, que revient in fine cette mission. Dans l'immédiat, Fosun a une marque
française mondiale et l'amorce d'un réseau de clubs et de « resorts » en Chine, un monumental marché des
loisirs en devenir. La saga Club Med sur lesechos.fr/dossier Les dates clefs 27 mai 2013 : annonce d'un
projet d'OPA à 17 euros par action - par la suite 17,50 euros - de Fosun et d'Ardian. Fin juillet : recours de
minoritaires. 29 avril 2014 : rejet des recours par la cour d'appel de Paris. 19 mai : Strategic Holdings, entité
de l'homme d'affaires italien Andrea Bonomi, devient le premier actionnaire (10,07 %). 30 juin : annonce du
projet de contre-OPA à 21 euros par action de Global Resorts, structure ad hoc d'Andrea Bonomi. 12
septembre : OPA du groupement Gaillon Invest II, mené par Fosun, au prix de 22 euros par action. 11
novembre : surenchère de Global Resorts à 23 euros. 1er décembre : surenchère à 23,50 euros de Gaillon
Invest II. 5 décembre : surenchère à 24 euros de Global Resorts. 19 décembre : surenchère à 24,60 euros de
Gaillon Invest II. 2 janvier 2015 : annonce du retrait de Global Resorts. 9 février : clôture de la dernière offre
en surenchère de Gaillon invest II.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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A 65 ans, le Club Med s'apprête à entrer dans une nouvelle ère
09/02/2015
Les Echos
Pag. 29
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Pierre de Gasquet
La Banque d'Italie s'est prononcée pour la création d'une structure de défaisance. Cette « bad bank »
permettrait de débloquer le crédit. Le marché du crédit reste encore trop figé dans la Péninsule. Malgré la
récente initiative massive de la Banque centrale européenne (BCE), la dynamique des prêts aux entreprises
reste « encore négative », a reconnu le gouverneur de la Banque d'Italie, Ignazio Visco, au congrès annuel
des investisseurs Assiom Forex à Milan. Pour lui, la création d'une structure de défaisance, avec garantie de
l'Etat, sur le modèle de la « bad bank » espagnole Sareb, créée en 2012, permettrait de développer un «
marché privé des crédits détériorés » (181 milliards d'euros selon le dernier relevé de la Banque d'Italie). Sa
prise de position intervient au lendemain des déclarations du ministre de l'Economie, Pier Carlo Padoan, en
faveur de la mise en place d'une nouvelle « méthode de gestion de crédits à risques, où le marché aura un
rôle important ». « Le traitement des crédits à risque est crucial pour permettre aux banques de dégager les
ressources destinées au financement de l'économie réelle », a lancé samedi le gouverneur de la banque
centrale. Il s'est également déclaré favorable à des incitations fiscales et au recours à des « garanties
publiques » en vue de faciliter la cession des créances douteuses. Soutenir l'économie « Une intervention
directe de l'Etat dans le plein respect des règles européennes sur la concurrence, avec pleine participation
des banques aux coûts de l'opération et une rémunération adéquate du soutien public, serait souhaitable non
pas pour remédier à la prise de risques excessifs de la part de banques particulières, mais pour faire face à
la détérioration des crédits liée à la gravité et à la longueur de la récession », a-t-il ajouté. Une manière de
souligner que l'initiative n'est pas destinée à résoudre des « cas particuliers » tels que celui de Monte dei
Paschi di Siena (MPS) qui doit dévoiler mercredi le montant de ses pertes 2014 (autour de 3,4 milliards
d'euros selon les analystes). « La "bad bank'' ne servirait pas à sauver les banques comme dans le cas
espagnol ou d'autres scénarios européens, mais à soutenir l'économie et favoriser une reprise plus rapide du
crédit », a souligné le directeur général de l'ABI (Association des banques italiennes), Giovanni Sabatini. De
son côté, le patron de MPS, Fabrizio Viola, estime que l'instrument est nécessaire à « l'ensemble du système
».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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La Banque d'Italie se prononce pour une « bad bank » avec garantie de
l'Etat
09/02/2015
Les Echos
Pag. 30
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Laurence Boisseau
Sous la pression des investisseurs institutionnels, l'Etat a renoncé. Les actions avec des droits de vote
double n'ont décidément pas la cote. Après la France qui a décidé de rendre automatique l'attribution de
droits de vote double aux actionnaires inscrits au nominatif depuis plus de deux ans, c'est en Italie que les
investisseurs institutionnels ont fait entendre leur voix. Avec succès, car le ministre de l'Economie, Carlo
Padoan, a indiqué qu'il allait faire machine arrière. Les droits de vote double étaient interdits en Italie jusqu'à
cet été. Le 20 août dernier, changement de règles. La loi italienne autorise alors les compagnies à émettre
des actions à droit de vote double pour récompenser de leur fidélité des actionnaires qui détiennent leurs
titres depuis plus de deux ans. Si elles le font avant la fin janvier 2015, elles n'ont besoin de ne faire voter ce
dispositif qu'à la majorité simple des actionnaires. Après la fin janvier, il faudra une majorité des deux tiers
des actionnaires, car il s'agit d'une modification des statuts. Majorité simple Pour l'Etat actionnaire, en quête
d'argent frais, cette nouvelle règle lui permettait de conserver dans les entreprises publiques son poids en
droit de vote tout en vendant des actions. Comme la plupart des compagnies n'avaient pas encore tenu leur
assemblée à fin janvier, l'Etat a tenté d'étendre cette possibilité de faire voter à majorité simple. Cela n'a pas
manqué de provoquer l'ire des investisseurs institutionnels, surtout étrangers, qui ont adressé une lettre au
gouvernement italien. Cette pétition a été signée par plus de 80 investisseurs et membres de conseils
d'administration. Parmi eux, de grands noms comme Fidelity, Aviva, Threadneedle, Schroders et UBS, ou
encore membre des conseils d'ENI ou d'UniCredit. Ces derniers considèrent que ce type d'instruments ne
sert qu'à renforcer le pouvoir des actionnaires qui contrôlent le capital. Une mesure d'autant plus inutile que
près de 90 % des entreprises cotées ont un actionnaire familial de référence. Entre août 2014 et janvier 2015,
trois sociétés - le groupe de vins et spiritueux Campari, de construction Astaldi et Amplifon, détenus par des
familles - ont profité de cette fenêtre de tir pour faire voter des droits de vote double pour les actionnaires
depuis plus de deux ans. En France, où le droit de vote double sera généralisé à toutes les sociétés cotées à
partir de 2016, sauf si les groupes en décident autrement, les investisseurs tentent de faire pression aussi
pour que les groupes modifient leurs statuts aux prochaines AG. Après, ce sera trop tard. Une fois que les
droits de vote double sont donnés à des actionnaires, ces derniers ne veulent pas les rendre.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Droits de vote double : l'Italie fait machine arrière
09/02/2015
Wall Street Journal
Pag. 18
The Wall Street Journal Europe
Da pagina 15 Libyan production because of the fighting at Sidra, which is close to the Ras Lanuf and Zueitina
terminals it uses. The German company says it has invested more than $ 2 billion in Libya for a daily
production capacity of 90,000 barrels.OMV AG of Austria said its North African business also was being hurt
by the unrest. The company is a partner in oil fields in central and southern Libya where it says it produced an
average of 8,000 barrels a day last year."The outlook in 2015 is even tougher," OMV Chief Executive Gerhard
Roiss said recently, citing both lower oil prices and the Libyan crisis at a briefing for the company's quarterly
update. "In Libya, this situation is not changing; it's deteriorating."Earlier in 2014, the situation wasn't so dire.
Despite fighting raging in Tripoli last summer, Libya surprised the world with a sudden burst of new oil. By
October, the country was pumping 887,000 barrels a day, up from 232,000 in June, according to the
Organization of the Petroleum Exporting Countries, of which Libya is a member.Global prices for crude have
tumbled as investors realized that a glut of oil was hitting the market despite volatility in places such as Libya.
In six months, the price of Brent crude plunged to less than $50 a barrel in January, from a high of $115 a
barrel in June. On Friday, it was trading at roughly $58 a barrel.Lately, the market has reacted little to the
renewed fighting in Libya and the cutback in supplies there. Analysts say OPEC's decision in November not
to cut production virtually guaranteed an oversupply whether Libya produces or not."Libya became irrelevant,"
said Tamas Varga, oil analyst at brokerage PVM in London.The combination of falling prices and the threat of
violence has chilled oil-company activity in Libya. At the Sidra oil terminal, ConocoPhillips, Marathon Oil and
Hess were part of a rush to return to Libya after economic sanctions were lifted against the Gadhafi regime in
2003, supplying a port that recently was exporting 300,000 barrels a day.But around the new year, seven
storage tanks at the port were burned, including two that completely collapsed, and no exports have
restarted, according to Libyan oil officials.ConocoPhillips said last week that its production levels in Libya last
year fell to 8,000 barrels a day of oil equivalent on average, compared with 30,000 barrels a day in 2013.
ConocoPhillips and Hess didn't respond to requests for comment. Marathon declined to comment.The fighting
hasn't affected Libya's offshore production, which for now is out of reach of the belligerents. Two offshore
fields operated by Italy's Eni SpA and Total joint ventures amount to about 100,000 barrels a day. Other oil
output largely comes from desert fields in far-out areas of western and eastern Libya that have been spared
by the civil war.But in general the fighting has dealt Libya's oil sector a heavy blow, officials and experts say.
Even if there is peace, said Geoff Porter, head of political-risk firm North Africa Risk Consultancy, "you won't
see an immediate return of previous production levels."
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
290
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Libya's Oil Sector Reels in War
09/02/2015
La Repubblica - Affari Finanza - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
Pag. 1
(diffusione:581000)
Federico Fubini
Guardate quelle carte. Mercoledì 14 gennaio i titoli del Banco Popolare, della Popolare dell'Emilia-Romagna
e della Popolare di Sondrio hanno iniziato a decollare. Mancano due giorni all'uscita di un lancio Ansa delle
17:58 di venerdì 16 gennaio che annuncia: «Banche, in arrivo norme per riforma Popolari». Quello è il flash di
agenzia da cui sarebbe partito uno dei più grandi boom di Borsa della storia recente in questo Paese. Martedì
20 gennaio il governo avrebbe inserito nell' Investment Compact l'abolizione dei vincoli agli investimenti e del
principio "una testa-un voto" nel capitale delle principali banche popolari. Gli istituti diventano contendibili,
dunque più interessanti per gli investitori. Ma la corsa sui listini di alcuni di essi inizia prima di venerdì sera.
Quel giorno il Banco Popolare era già salito del 4,35%. È l'ennesimo paradosso italiano. Quella delle Popolari
è una riforma in nome della trasparenza, di un mercato finalmente maturo e aperto. Basta patti fra amici e
cerchie chiuse. Peccato che in quei giorni alcune procedure non assecondino lo spirito della riforma. Non solo
i movimenti di Borsa di alcune delle Popolari prima dell'annuncio, che hanno innescato indagini della Consob
per il sospetto di insider trading: acquisti eseguiti grazie a informazioni riservate. Dubbi di opportunità - non di
legalità o legittimità - li apre anche la scelta di Renzi sulla sede da cui annunciare quella riforma: la direzione
del Pd, venerdì 16 febbraio verso le 17.30. Il Pd è il perno del sistema politico, il premier ne è il leader e ha
diritto di scegliere cosa dire ai suoi. Ma la riforma delle Popolari non era una misura in quel momento già
varata, ed era in grado di spostare molti miliardi in pochi minuti. A volte la forma è il contenuto, ogni
informazione ha la sua sede appropriata. Un finanziere da tempo vicino al premier, Davide Serra del fondo
Algebris, non nasconde di aver investito sulle Popolari «fin dal marzo del 2014» e di aver registrato
plusvalenze. Anche qui, niente di illegittimo. Fino a prova del contrario - di cui non c'è alcun sentore - niente
indica che Serra abbia agito grazie a informazioni riservate. Esistono però anche per lui valutazioni di
opportunità. Quest'anno Serra agli incontri del Pd alla Leopolda, come ha fatto notare Walter Galbiati su
Repubblica, ha proposto norme (sensate) per consentire alle banche di pignorare più in fretta gli immobili se
un mutuo non viene pagato. Intanto lui stesso investe in un fondo proprio sui crediti incagliati in Italia. E il
governo (anche qui: finalmente) si appresta appunto a prendere misure per affrontare il tema dei crediti
deteriorati: una misura che può interessare anche Serra. Il finanziere di Algebris fa legalmente il proprio
lavoro, e il governo il suo. Se possibile con sobrietà, stile e la giusta reciproca distanza.
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LA GIUSTA DISTANZA TRA GOVERNO E FINANZIERI
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La Repubblica - Affari Finanza - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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Marco Panara
Con il decreto di Palazzo Chigi per la trasformazione delle grandi popolari in spa, di cui regolerà l'attuazione,
e con il quantitative easing della Bce, di cui sarà il braccio operativo per i titoli di stato italiani, la Banca d'Italia
ritrova una centralità che sembrava aver perduto. Negli anni della politica assente il suo spazio si era
allargato, uomini suoi erano entrati al vertice dei ministeri e sino al Quirinale, l'Italia "malata d'Europa" faceva
perno su via Nazionale. Poi la politica ha cambiato segno, al governo è arrivato un giovane fiorentino che
ogni giorno ne riafferma il primato e gli spazi per gli altri, Bankitalia compresa, si sono chiusi. Nel frattempo
c'è stato il passaggio a Francoforte anche della vigilanza bancaria dopo la politica monetaria. segue a pagina
2 Privata del ruolo politico che aveva svolto per qualche lustro, ceduti i due poteri chiave e relegata al suo
ruolo funzionale, benché importantissimo, Via Nazionale pareva essersi spostata lentamente dal ruolo di
policy maker a quello di grande macchina, efficiente e competente, ma non più "potente". LE FUNZIONI E
invece le carte girano e il potere uscito da una porta rientra dall'altra, mentre quel ruolo di gestore di
essenziali funzioni rivela che dentro contiene ancora leve potenti. Se cominciamo da queste ci rendiamo
subito conto di cosa parliamo. Tra le funzioni dell'istituto centrale ci sono la gestione della tesoreria del
Ministero dell'Economia e del sistema dei pagamenti, ma c'è anche l'antiriclaggio (attraverso l'Uif, l'Unità per
l'informazione finanziaria) importantissimo visto il peso della criminalità organizzata nel nostro paese,
cresciuto con la nuova attenzione di Washington nei confronti dei capitali che vagano tra i paradisi fiscali e
diventata delicatissima per il controllo dei denari che si muovono da e verso i paesi soggetti a sanzioni e
ancora di più verso i focolai del terrorismo islamico e di altra natura. E poi c'è, senza esaurire un elenco che
sarebbe lungo, anche il controllo sull'onorabilità di vertici e azionisti delle imprese finanziarie. Potere delicato,
come sa bene Silvio Berlusconi, al quale dopo la condanna definitiva per frode fiscale la Banca d'Italia ha
imposto di liberarsi del 20 per cento di Mediolanum, oggi la perla più preziosa dell'impero dell'ex Cavaliere.
Anche le funzioni portano poteri, anche se meno vistosi di quelli del passato. POPOLARI E BAD BANK Ma la
novità è che anche il mutato rapporto con la politica porta i suoi frutti. La trasformazione delle grandi popolari
in società per azioni è un vecchio obiettivo della Banca d'Italia, la cui moral suasion non era bastata a
smuovere i rocciosi sistemi di interessi che stanno dietro il consevatorismo di quel settore. Via Nazionale non
ha i poteri per imporre e la politica debole di ieri se aveva i poteri non aveva la forza né la volontà di usarli. Il
governo decisionista ha cambiato il quadro, e la Banca d'Italia evidentemente ha trovato nei consiglieri
economici del capo del governo e in Renzi stesso orecchie attente, ottenendo alla fine quella trasformazione
che considera essenziale per ridare slancio al sistema creditizio italiano. Ora la patata bollente è la creazione
di una bad bank per sollevare i bilanci delle banche dalle troppe sofferenze e ridare vigore al credito. Se ne
parla da anni e pare che il nodo stia venendo al pettine: anche in questo caso il rapporto tra via Nazionale e
Palazzo Chigi sarà determinante per trovare una soluzione. DAL POTERE ASSOLUTO AL POTERE
CONDIVISO Il passaggio più importante però ha un nome: Bce. E' un passaggio sostanziale che cambia nel
profondo il ruolo della Banca d'Italia, che da una parte diventa un pezzo di un sistema più grande e dall'altra
una sorta di ponte tra Roma e Francoforte, Bruxelles, Basilea, i luoghi dove si decidono le regole su moneta,
finanza, banche e credito, che incidendo sulle scelte di imprese e famiglie finiscono per disegnare i modelli
economici e le strutture sociali di ciascun paese, dell'Eurozona e dell'intera Unione Europea. Qui l'evoluzione
di via Nazionale è tanto profonda quanto silenziosa. La Banca d'Italia è da sempre la scuola numero uno del
paese in una materia speciale: il potere. Nella sua accezione particolare di potere istituzionale. Nel Palazzo di
Via Nazionale si viene allevati quotidianamente e con cura al culto di questa materia per la quale non ci sono
manuali. Quando i settori sui quali principalmente quel potere si esercitava, la politica monetaria prima e ora
la vigilanza bancaria, sono emigrati a Francoforte, a Palazzo Koch, dove questa migrazione era stata vissuta
con passione protagonista ai tempi di Ciampi e Padoa Schioppa e poi subita con astio ai tempi di Antonio
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Popolari e quantitative easing il ritorno della Banca d'Italia
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Fazio, non hanno fatto una piega. Hanno semplicemente riorientato il percorso verso una ulteriore
specializzazione, quella del potere istituzionale "condiviso". Materia nuova e complicata assai, come
testimoniano i duelli nel consiglio direttivo della Bce tra il governatore italiano Ignazio Visco e Jens
Weidmann, numero uno della Bundesbank, che mentre si scontrano sul quantitative easing gestiscono
insieme - sei mesi comanda l'uno e sei mesi comanda l'altro - il sistema europeo dei pagamenti, la macchina
più complessa che c'è. Quella - per intenderci - che garantisce che ogni pagamento arrivi con certezza al suo
destinatario. La gestione del potere condiviso è la farina con la quale la Banca d'Italia, insieme agli altri chef
dei 19 paesi di Eurolandia, deve cucinare oggi le sue torte. Nella speranza che dal forno venga fuori un
prodotto che non sia per noi, che siamo cittadini europei e nello stesso tempo cittadini italiani, troppo
indigesto. LA POLITICA MONETARIA Cominciamo col capire come funziona questa condivisione. Sulla
politica monetaria, che ha già un discreto cammino dietro le spalle, quello che avviene è che quotidianamente
sulla tavola di Ignazio Visco e di ciascuno dei governatori dei 19 paesi di Eurolandia, arriva una piccola
montagna di carte in questi giorni di rinnovata crisi greca la montagna è altissima - che riguardano la
definizione della politica monetaria (abbassare i tassi o no, farlo ora o farlo dopo, aumentare la liquidità del
sistema, come farlo: nel 2013 le decisioni sono state oltre 500) e le operazioni conseguenti che vengono fatte
non dalla Bce direttamente ma attraverso le banche centrali attrezzate per fare operazioni sui mercati dei titoli
o delle valute. Su quelle scrivanie arrivano carte sulla gestione interna della Bce, arrivano e partono
documenti, analisi, temi di discussione. La sintesi si compie nelle riunioni del consiglio direttivo a Francoforte,
ma la preparazione e la gestione sono collettive e quotidiane. Con discussioni animate e scontri feroci. Nei
quali pesa chi ha credibilità scientifica e posizioni forti sostenute da una capacità di analisi riconosciuta e da
una struttura solida. Non è un caso che siano la Banca d'Italia e la Bundesbank a gestire il sistema dei
pagamenti europeo, o che siano la Banca d'Italia, la Banca di Francia e la Bundesbank a lavorare insieme
per il sistema europeo integrato per tutti i titoli. Il peso scientifico, organizzativo e tecnologico si trasferisce
nelle decisioni di politica monetaria, e la posizione di Ignazio Visco per esempio ha inciso in misura rilevante
sulle riduzioni dei tassi e sul varo del quantitative easing, mentre è stata sconfitta sulla condivisione dei rischi,
alla quale Visco e altri erano favorevoli e Weidmann guidava una maggioranza di contrari. Il quantitative
easing tuttavia è arrivato ed è probabile che i suoi effetti contro la deflazione e per la ripresa dell'economia
siano positivi. LA VIGILANZA Sulla vigilanza le cose sono assai confuse, si sta appena cominciando a
imparare a lavorare insieme e già è scoppiata la prima contraddizione: quella tra una politica monetaria
fortemente espansiva e una politica bancaria invece fortemente restrittiva. A farla esplodere platealmente è
stato proprio il quantitative easing, deciso dal Consiglio direttivo della Bce nel momento in cui nel Consiglio di
vigilanza (l'organo che elabora le politiche di vigilanza da sottoporre al Consiglio direttivo della Bce che poi le
adotta) si discuteva se aumentare ancora i requisiti patrimoniali delle banche. Il punto è che il primo effetto
dell'aumento dei requisiti patrimoniali è una diminuzione del credito, ovvero l'esatto contrario di quello che la
stessa Bce si propone con il quantitative easing: aumentare il flusso di denaro all'economia per far risalire i
prezzi e contrastare la deflazione. Questa partita è esemplare per comprendere quel nuovo ruolo di ponte tra
Roma e Francoforte che la Banca d'Italia è chiamata a svolgere. Le regole che sono state varate negli ultimi
anni hanno avuto al centro il rafforzamento patrimoniale e operativo delle banche. Giusto obiettivo. Il metodo
adottato per raggiungerlo tuttavia ri1 vela qualcosa di più. Oltre ad avere un sistema più solido, i regolatori
vogliono costruire anche un sistema diverso. Nel quale la banca abbia un ruolo meno centrale nell'economia
e si allarghi invece quello del mercato. Le aziende insomma dovrebbero finanziarsi meno andando agli
sportelli e di più con capitale di rischio ed emettendo titoli. Anche questo obiettivo è condivisibile, l'Italia per
esempio è un sistema fortemente bancocentrico, con gli istituti che finanziano oltre l'80 per cento delle attività
delle imprese, contro il 30 per cento degli Stati Uniti: è troppo. E infatti le nostre imprese sono
sottocapitalizzate e troppo indebitate. IL PONTE TRA ROMA E FRANCOFORTE Tuttavia anche in questa
come in tutte le cose non c'è un modello che sia giusto per tutti. Se troppa banca non fa bene, non è detto
che troppa finanza sia sempre la cura giusta. In Italia c'è un grandissimo numero di imprese piccole e
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piccolissime che non hanno le dimensioni per accedere al mercato dei capitali e delle obbligazioni. Devono
crescere e devono aprirsi, lo sappiamo, ma in tempi accettabili e nella misura ottimale per le caratteristiche
del nostro sistema. E qui (è uno dei casi) la Banca d'Italia nell'esercizio del potere "condiviso" è chiamata ad
esercitare il suo nuovo ruolo di ponte. Le sue posizioni a Francoforte (come a Bruxelles e a Basilea) devono
contribuire a decisioni condivise che non prescindano dalle caratteristiche e anche dai problemi del modello
italiano. Un esempio di come le regole di vigilanza incidono sulla vita di famiglie e aziende è la "ponderazione
degli attivi in base al rischio". Vuol dire che gli impieghi delle banche non vengono valutati tutti nello stesso
modo in relazione a quanto patrimonio bisogna avere a fronte di quegli impieghi. Nella revisione degli attivi
fatta dalla Bce la scorsa estate, il credito alle imprese (che è l'impiego prevalente delle banche italiane) è
stato considerato assai più rischioso per esempio dell'investimento in derivati finanziari (che è l'impiego
prevalente per esempio della Deutsche Bank e di alcune banche francesi). Tecnicalità? Niente affatto. Vuol
dire una pressione più forte sulle banche italiane che sulla Deusche Bank, e quindi più difficoltà per le banche
italiane nel fare credito alle imprese, quindi meno investimenti, meno crescita, meno occupazione. E una
domanda di fondo: siamo sicuri che il nostro modello sarebbe migliore se le banche facessero meno credito
alle imprese e si riempissero invece di derivati? In quel caso la Banca d'Italia ha fatto e continua a fare le sue
battaglie nelle varie sedi, non ottenendo molto al momento. Ma l'auspicio è che alla fine il "potere condiviso"
porti a risultati più soddisfacenti anche nelle politiche bancarie oltre che in quelle monetarie. Naturalmente un
ponte solo non basta per rappresentare gli interessi dell'Italia in Europa. Ce ne vorrebbe almeno un altro che
abbia la solidità e la continuità che la Banca d'Italia è in grado di assicurare. Quel ponte dovrebbe costruirlo il
governo con Bruxelles, con il G7, il G20 il Financial Stability Board e tutti gli altri luoghi dove si decide insieme
per tutti. Visco ricorda spesso che negli appuntamenti in queste sedi, nei quali la Banca d'Italia è presente
insieme al ministro dell'Economia, nei tre anni da quando è governatore ha accompagnato a ogni
appuntamento un ministro diverso mentre dall'altra parte (per fare un esempio) accanto al suo amico
Weidmann c'era sempre Wolfgang Scheuble. Ora forse le cose almeno a livello di mobilità dei ministri
cambieranno. Sarà bene che cambino anche le amministrazioni, la cui qualità e continuità di presenza nella
preparazione delle decisioni europee, fino ad oggi non ha brillato affatto. s di meo , bce,
Foto: 1 2 3 4 Il direttore generale Salvatore Rossi (1) e i tre vicedirettori generali che compongono insieme al
governatore Ignazio Visco (nella foto grande) il Direttorio della Banca d'Italia, che dalla recente riforma è un
organo collegiale: Fabio Panetta (2), Luigi Federico Signorini (3) e Valeria Sannucci (4) La Banca d'Italia si è
sottoposta negli ultimi anni a una robusta cura dimagrante che ha portato alla riduzione di un terzo delle sedi
e del personale Il presidente della Bce Mario Draghi (1) e la presidente del Consiglio di Vigilanza Daniele
Nouy (2) [ LA SQUADRA DEL GOVERNATORE ]
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Banca Generali, Azimut, Fineco in Borsa la festa non è finita
Adriano Bonafede
Banca Generali Azimut, Fineco la festa in Borsa non è finita a pagina 16 Giovedì scorso 5 febbraio Piermario
Motta ha stappato con i suoi più stretti collaboratori una bottiglia di champagne. L'amministratore delegato di
Banca Generali aveva ben di che festeggiare: il titolo aveva raggiunto un nuovo massimo assoluto a 25,2
euro. E non era tutto: dal 2008 la rivalutazione dell'azione è stata a quattro cifre, avendo di poco superato il
1000 per cento. Festeggiamenti a parte, il caso Banca Generali non è isolato. Per la verità, sia guardando i
conti di fine anno sia avendo sottomano i primi risultati di gennaio, tutte le società di asset gathering e
management quotate in Borsa da Mediolanum ad Azimut, da Finecobank ad Anima - possono ben essere
soddisfatte. Non soltanto il 2014 si è rivelato il miglior anno della loro storia, ma il 2015 - guardando i primi
dati di gennaio - si annuncia come altrettanto buono. Mediolanum e Banca Generali hanno raccolto (al netto
dei riscatti) qualcosa come 4 miliardi di euro nel 2015. Mentre Azimut e Finecobank sono soltanto un gradino
più giù, a circa 3,6 miliardi. E se il buon giorno si vede dal mattino, è sorprendente il più 80 per cento (a 406
milioni) di Banca Generali a gennaio 2015 sul gennaio precedente. Raccolta molto positiva nel primo mese
dell'anno anche per Mediolanum - che da sei anni di seguito risulta prima nella classifica della raccolta netta
annuale - e per tutte le altre. La verità è che le società dell'asset gathering - ovvero le reti di promotori
(benché il mix di business di ognuna sia differente e peculiare mentre Anima, ad esempio, è solo una sgr che
utilizza per i suoi prodotti il solo canale bancario) - stanno vivendo da un paio d'anni un momento d'oro. Che
ha raggiunto il culmine lo scorso anno ma che potrebbe toccare nuovi record anche quest'anno, sempre che
non accadano fatti imprevisti in grado di turbare i mercati. Gli addetti ai lavori parlano di una fortunata
coincidenza astrale che favorisce la raccolta e l'allocazione del risparmio in prodotti gestiti come i fondi
d'investimento o le polizze vita. «Innanzitutto - dice Piermario Motta, amministratore delegato di Banca
Generali, non si è mai visto nell'ultimo mezzo secolo uno scenario del genere con rendimenti dei Bot a breve
praticamente a zero e con un tasso a tre anni dello 0,5-0,6. Con tassi così bassi il risparmiatore cerca altre
strade e si rivolge ai promotori finanziari, che hanno una preparazione professionale». Un concetto rimarcato
anche da Massimo Doris, amministratore delegato di Banca Mediolanum, che spiega anche dove alla fine
vengono indirizzati i soldi dei clienti: «Circa la metà del nostro patrimonio gestito è investito in fondi azionari.
Siamo la società che ha più azionario rispetto agli altri. Ma per i nostri clienti troviamo sempre un mix di
investimenti coerenti con il loro profilo di rischio e sempre con una visione di lungo termine (circa 10 anni)».
Anche la crisi del mattone fa la sua parte. «Negli ultimi cinque anni - dice Motta - i prezzi degli immobili,
tradizionale rifugio dei risparmiatori italiani, sono crollati e anche nei centri storici delle grandi città i valori
sono mediamente inferiori del 30 per cento rispetto al picco del 2008. Questo contribuisce a spostare i
risparmi verso il gestito». Il felice momento dell'asset gathering è fotografato anche dagli analisti sentiti da
Bloomberg che hanno passato in rassegna i conti delle società quotate in Borsa e che assegnano a tutte una
percentuale di "buy" superiore o uguale al 50 per cento: 63,6 per cento per Mediolanum (e 18,2 "hold"); 50
sia per Generali che per Azimut; 57,1 per Finecobank (con il 42,9 di hold); addirittura 90 per cento per Anima.
Gian Luca Ferrari, equity analist di Mediobanca, titola significativamente il suo ultimo report del 2 febbraio
scorso sul settore "Bei tempi a venire" e parla della coincidenza sia dei bassi tassi d'interesse che del
momento positivo vissuto dai mercati azionari. Tutto questo spiega perché massicci acquisti di azioni delle
cinque società quotate siano arrivati anche dall'estero. «Dopo il lancio del quantitative easing da parte della
Bce - dice Matteo Ghilotti, head of Italian equity research di Equita - gli investitori esteri, che sono quelli che
muovono il mercato, sono tornati a comprare titoli finanziari dei cosiddetti paesi periferici. Un po' sono tornati
sulle banche, anche se permane ancora una certa prudenza, ma molto invece sulle società di asset
gathering». I titoli del comparto si sono mossi in maniera significativa nell'ultimo mese: più 24 per cento
Mediolanum, più 10 Banca Generali, più 20 Azimut, più 9 Finecobank e più 11 Anima. Anche il 2015 si è
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finanza e borsa
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avviato sotto una buona stella. s. di meo
Foto: Qui sopra, Massimo Doris (1), ad di Mediolanum, Alessandro Foti (2), ad di Finecobank e Pietro Giuliani
(3), presidente e ad di Azimut Qui sopra, Piermario Motta , ad di Banca Generali
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Giorgio Lonardi Eugenio Occorsio
«Light is back», dice Adolfo Guzzini che di luce se ne intende. «Così ho aperto la convention dei nostri
venditori in Nordamerica», racconta il re dei sistemi di illuminazione, base a Recanati, 206 milioni di vendite
2014, 1250 dipendenti. «La recessione è finita e sarà un grande 2015. Noi partiamo da Milano: l'Expo
innanzitutto, dove illumineremo una dozzina di padiglioni, e poi Sant'Ambrogio con il sistema appena
installato, il Duomo che avvieremo fra poco, il Cenacolo dove abbiamo riportato la luce». segue alle pagine 2
e 3 con un articolo di Christian Benna Tanto entusiasmo si coniuga con la raffica di dati degli ultimi giorni.
L'indice manifatturiero calcolato dall'inglese Markit è salito in gennaio a 51,2 punti dai 49,4 di dicembre e
quello dei servizi tiene lo stesso passo (la soglia dei 50 è lo spartiacque fra espansione e contrazione del
ciclo). Il saldo fra imprese aperte e chiuse redatto dall'Unioncamere è stato nel 2014 superiore alle 30mila
unità tanto da far affermare a Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere stessa, che «siamo davanti a
una reale opportunità di invertire la rotta». La disoccupazione è scesa in dicembre al 12,9% dal precedente
13,3 e sono stati creati 100mila posti di lavoro. E poi la madre di tutte le cifre: in gennaio sono state
immatricolate 131.385 auto con un aumento del 10,9% sullo stesso mese del 2014, e addirittura il gruppo Fca
ha fatto meglio del mercato (+11,4%). «Anche il nostro settore, quello dei componenti, nell'ultimo mese ha
registrato segnali positivi che confortano la prospettiva di un ritorno alla crescita economica del Paese», dice
Alberto Bombassei, presidente di Brembo, leader dei freni di alta qualità. «I dati del ministero dei Trasporti ci
lasciano quasi increduli. L'uscita dalla crisi non è dietro l'angolo ma i segnali sono incoraggianti e fanno
scorgere i primi spiragli di una crescita. Non promesse questa volta, ma risultati concreti e tangibili». Anche
Brunello Cucinelli, uno dei signori della moda italiana che ha chiuso il 2014 in crescita di oltre il 10% a quota
355,8 milioni, sprizza ottimismo: «Guardando ai nostri ordini per la collezione Primavera-estate 2015 e ai
sellout finali invernali 2014, siamo convinti che il 2015 sarà davvero speciale. Per noi prefiguriamo una
crescita dei ricavi e delle marginalità a due cifre». Cucinelli, di ritorno da Milano Unica, fiera dedicata ai
tessuti, vede rosa per l'intero settore: «C'è una bella atmosfera, una gran voglia di fare, la chiamerei una
leggera ripartenza». Leggera e forse qualcosa di più. Tirano venti di ripresa, Grecia (e soprattutto Ucraina)
permettendo. Tassi insistentemente bassi, petrolio a buon mercato, liquidità offerta dalle banche rimpinguate
dal quantitative easing, euro in ribasso: un mix di fattori positivi che sta facendo sentire i suoi effetti. Certo,
sulle cifre, in ogni caso positive dopo sei anni di rosso, bisogna intendersi. Il premier Matteo Renzi, al quale
va comunque dato credito di una certa stabilità politica che è un fattore non ultimo di ripresa economica, la
settimana scorsa a Porta a Porta si è sbilanciato: «Nella Legge di Stabilità abbiamo inserito una crescita dello
0,5% nel 2015, la Confindustria ora prevede il 2». In verità, la Confindustria non aveva detto esattamente
questo, almeno a leggere "Congiuntura flash" datato Gennaio 2015: «C'è una combinazione favorevole di
elementi esterni - energia, tassi, cambi, ripresa del commercio mondiale - e sommando i loro effetti si arriva a
una spinta per l'Italia pari al 2,1% di Pil potenziale, e 2,5 nel 2016». Ma bisogna «fare la tara», al pieno
concretizzarsi di questi fattori, scrive sempre il Centro studi di viale dell'Astronomia, tenendo conto delle
difficoltà del contesto di grave crisi. E servono «politiche più orientate per dare sostegno alla crescita e
all'occupazione tenendo conto della flessibilità conquistata a Bruxelles». A conti fatti difficilmente si arriverà
ad una crescita così clamorosa però, fanno capire nei corridoi confindustriali, all'1% si potrebbe arrivare. Ma il
numero degli ottimisti è sostanzioso: la Banca d'Italia, per bocca del vicedirettore Fabio Panetta, dopo
l'annuncio del Qe ha detto che si potrà fare «meglio di quanto indicato nel bollettino di gennaio». Anche
l'Unione europea è più ottimista del governo, per una volta, arrivando allo 0,6 di crescita 2015. Perfino il
Fondo Monetario si sbilancia a nostro favore: «L'Italia può fare ancora meglio di quanto previsto
ufficialmente», è arrivato a dire venerdì scorso Carlo Cottarelli, non dimenticato commissario alla spending
review (che è stata per inciso un'occasione perduta) e oggi executive director all'Fmi. «Tutto questo fa proprio
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Auto, meccanica e Nordest ecco dove si affaccia la ripresa
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rabbia», riflette Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Venezia e consigliere di Acqua San Benedetto
Spa. Perché rabbia? «Perché se si allentasse il peso fiscale sulle imprese, in presenza di una domanda
interna tendenzialmente in ripresa, si potrebbe fare davvero molto di più». Riccardo Illy invece, pur
condividendo gli scenari di moderato ottimismo, punta sulla semplificazione legislativa: «Perché in Italia ci
devono essere quarantamila leggi e in Germania solo cinquemila? Così si scoraggiano gli investimenti
esteri». In ogni caso, la ripresa avanza. Nel quarto trimestre del 2014 gli ordini di macchine utensili sono
cresciuti del 19,1% sullo stesso periodo dell'anno scorso. E questo, precisa l'Ucimu, non è dovuto solo
all'export ma alla forte domanda interna (+18,8%). Una conferma che l'industria meccanica ha ricominciato a
investire e si sta rimettendo in moto arriva dai dati Istat sull'import di macchinari (si tratti di dati "ibridi" che
riguardano non solo la meccanica ma anche segmenti dell'impiantistica e alcuni semilavorati). In questo caso
a tirare la volata è la Lombardia che da sola copre il 45,9% dell'import con un incremento del 21,7% rispetto
allo stesso periodo dell'anno precedente, seguita dall'Emilia Romagna (+16,6%). Insomma il manifatturiero
investe e si approvvigiona anche all'estero. In un altro comparto ancora del made in Italy , le piastrelle, si
respira un clima frizzante. A Sassuolo, capitale mondiale del settore, parlano di una crescita dei fatturati del
5,5% nel quarto trimestre, e di un impulso ancora maggiore per l'anno in corso. Lo certifica la partecipazione
di 120 aziende al Coverinx, la Fiera americana del settore, 15 in più dell'anno scorso. Il dollaro in rialzo
spinge le aziende a puntare sul mercato Usa. E ha convinto il gruppo Concorde a investire alcune decine di
milioni di euro in una fabbrica in Tennessee. Del resto, calcola la Confindustria, ogni 60mila euro di ordini in
più equivalgono ad un occupato e mezzo. Un po' in tutti i settori: e vale 100 milioni l'investimento che
interessa il gruppo armatoriale D'Amico di Salerno che ha varato il 2 febbraio in Giappone la nave "Cielo
d'Italia" e sta costruendo gemella attesa nel primo trimestre del 2016. L'ordine fa parte di un piano di sviluppo
da 1,2 miliardi che prevede il varo di 38 navi entro il 2016. Andiamo avanti. Uno dei malati più gravi, il
mercato immobiliare, riprende a crescere, segnando per le compravendite un rialzo del 3,7% su base annua.
Lo rileva l'Istat, che nell'ultimo trimestre dell'anno scorso registra un'impennata del 13,9% per mutui e
finanziamenti con ipoteca. La ripresa si insinua in ogni ganglio dell'economia: «A gennaio dopo quattro anni
le vendite di libri cartacei sono aumentate, +1,2% sul gennaio 2014», dice Alberto Ottieri, ad delle
Messaggerie Italiane, la holding editoriale che controlla i marchi del gruppo Gems (Garzanti, Longanesi,
Bollati Boringhieri, Vallardi) ed è il maggior distributore italiano. Perfino il carrello della spesa torna a
gonfiarsi: negli ultimi 15 giorni di gennaio le vendite di Conad sono cresciute dell'1% rispetto allo stesso
periodo del 2014. Poco, ma in confronto alla rovinosa caduta dei consumi delle famiglie segna la fine del
crollo. Così come per il turismo: Gabriele Burgio, ad di Alpitour, è sicuro che «il 2015 sarà un anno migliore
del 2014, gli italiani hanno ricominciato a viaggiare. E gli stranieri stanno imparando a guardare l'Italia con
occhi nuovi. Basta guardare alla richiesta crescente per le località di mare per giugno e settembre". Intanto, in
vista dell'Expo il gruppo Uvet oltre ad acquistare 500mila biglietti ha già prenotato quasi un milione di notti in
200 alberghi di Milano e dell'hinterland. Negli ultimi sei mesi del 2014, precisano alla controllata American
Express, i viaggi d'affari sono aumentati del 6%, una tendenza che si consoliderà nel 2015. Calici in alto al
Grand Hotel Courmayeur Mont Blanc appena inaugurato (investimento di quasi 50 milioni) da parte di una
trentina d'imprenditori guidati dal professore della Bocconi Severino Salvemini, fra i quali Marco Drago (De
Agostini) tramite Blu Acquario Prima, quindi Franco Bernabè, e alcuni finanzieri come Antonio Tazartes di
Investitori Associati, Antonio Belloni di Bc Partners e Giancarlo Aliberti di Apax. Ci sono zone d'Italia dove la
ripresa procede già spedita. Nel Nordest dal 2014 sono ripartiti i consumi di beni durevoli: Treviso (+4,2%),
Verona (+3,8%), Padova (+3%). Segnali incoraggianti anche dal mondo dell'industria, sempre nell'area: la
Ryoma di Treviso, (macchine professionali per il caffè), segnala rispetto al gennaio dello scorso anno, spiega
l'ad Federico Gallia, «gli ordini in Italia in crescita del 3,5%. Possiamo guardare ai prossimi mesi con
maggiore tranquillità e ottimismo rispetto al recente passato». S DI MEO, meryll lynch ,
[ I SETTORI ] 1 2
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Foto: Riccardo Illy (1) e Adolfo Guzzini (2): i loro gruppi industriali stanno potenziando gli investimenti per
cogliere la probabile riscossa dei mercati
Foto: A fianco, alcuni dei comparti più rappresentativi del made in Italy che si preparano alla ripresa del
mercato in arrivo: auto (1); illuminazione per grandi impianti (2), meccanica di precisione (3), moda e design
(4) Alberto Bombassei (1) e Brunello Cucinelli (2), due industriali fra i leader in altrettanti settori storicamente
forti del made in Italy: meccanica e moda
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Aziende pubbliche ora tagli selettivi
Paolo De Ioanna
La questione della caduta degli investimenti pubblici è ora finalmente al centro della discussione. Il sistema
delle partecipazioni degli enti territoriali in aziende che erogano servizi pubblici a carattere industriale (servizi
idrici, elettricità, trasporti, smaltimento rifiuti, ecc) ha sempre svolto nel nostro paese, ma anche in Europa, un
ruolo sostanziale nello sviluppo economico. Recenti lavori (Istat, Corte dei Conti e Ragioneria generale dello
Stato) offrono una base conoscitiva esauriente, che conferma la funzione strategica di queste imprese.
Dall'esame dei dati emergono tre ordini di criticità: la governance; le fonti di finanziamento; l'assetto
industriale, mono o plurisettoriale. Sembra chiaro che il riordino del sistema delle partecipate deve partire da
una chiara distinzione, operativa e organizzativa, tra le società industriali che gestiscono servizi pubblici e
quelle cui sono stati intestati compiti strumentali di ordine logistico-amministrativo. Con l'emanazione delle
direttive comunitarie su appalti, concessioni e utility (nn.23, 24 e 25/2014) scopriamo che le economie dei
nostri partner europei considerano le società in house che gestiscono partecipazioni industriali che hanno ad
oggetto servizi pubblici essenziali, una tipologia ordinaria, a certe condizioni. segue a pagina 10 segue dalla
prima Scopriamo, esplorando i dati europei sulle partecipate, che viene affidato alle società locali un ruolo
cruciale nella manutenzione e sviluppo infrastrutturale dei territori. Il nodo dunque non è la forma giuridica, a
cui abbiamo dedicato fiumi di norme alla ricerca di improbabili liberalizzazioni e privatizzazioni dall'alto, ma
l'equilibrio economico patrimoniale delle gestioni, la loro reale capacità di creare reddito, sviluppo e lavoro
produttivo e di non premere con oneri non giustificati sulle comunità locali o sullo Stato. Dunque ci sono gli
elementi per riprendere un discorso costruttivo su questo settore e il Governo sembra intenzionato a
promuoverlo sulla base di una nuova delega contenuta nel disegno di legge sulla riforma delle pubbliche
amministrazioni. Questa nuova delega si fonda proprio sulla distinzione tra società che gestiscono servizi
strumentali e funzioni amministrative e società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico
generale con la definizione, in conformità con la disciplina dell'Ue, di criteri e strumenti di gestione volti ad
assicurare il perseguimento dell'interesse pubblico ed evitare effetti distorsivi sulla concorrenza. La delega,
tra l'altro, prevede la razionalizzazione e il rafforzamento dei criteri pubblicistici per gli acquisti e il
reclutamento del personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive, finalizzati al contenimento
dei costi, nonché l'eliminazione di sovrapposizioni tra istituti pubblicistici e privatistici ispirati alle medesime
esigenze di disciplina e controllo. Proviamo a indicare poche questioni che andrebbero bene messe a fuoco.
Primo punto. I processi di aggregazione produttiva sui territori non si realizzano spontaneamente ma neppure
per decreto; la leva più forte sembra essere quella della progettazione e messa in campo di interventi di
intensificazione e razionalizzazione degli investimenti sul territorio dai quali emergano benefici netti in termini
di efficienza, innovazione e qualità dei servizi. La scelta della monosettorialità o della forma multi-utility
dovrebbe scaturire dall'analisi delle specifiche situazioni territoriali, attraverso un coinvolgimento reale delle
classi dirigenti locali. In sostanza, la promozione dei processi di aggregazione deve essere realizzata
mediante politiche pubbliche interconnesse, in grado di creare sistemi incentivanti. Dunque torna in pieno il
tema delle politiche pubbliche e del loro grado di integrazione sul territorio. Secondo punto. Dove si trovano i
capitali che mancano? I cavalieri bianchi del capitalismo finanziario mondiale non sono alle viste e quando
arrivano non sembrano disposti a considerare le esigenze dei territori e delle popolazioni; è opportuno
cercare di coinvolgere fondi pensione e fondi assicurativi, fondi sovrani e banche di sviluppo, ma forse è
meglio iniziare facendo affidamento sulle nostre forze. Ma quali? Gli istituti finanziari che storicamente hanno
il compito di sostenere gli investimenti produttivi a lungo termine degli enti locali: la Cassa depositi e prestiti è
il primo soggetto da considerare insieme alle altre banche pubbliche di sviluppo. Le esperienze europee ci
indicano che la creazione di una inhouse unica per ambito può essere talora la forma più semplice per
procedere rapidamente all'unificazione della gestione, sfruttando economie di scala, quando la presenza di
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[ IL COMMENTO ]
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storie locali complesse rende lungo e difficile il raggiungimento di dimensioni razionali, o quando la scarsa
conoscenza delle condizioni delle infrastrutture, il carente livello di servizio e la scarsa efficienza del ciclo
attivo rendono problematico e incerto l'avvio di un percorso alternativo, quale la creazione di una società
mista o l'affidamento a terzi. Infine, occorre capire bene come si possono mettere in campo formule di
finanziamento degli investimenti, senza garanzia diretta o indiretta dello Stato, che utilizzino a fondo la
capacità di raccolta di Cdp e delle altre banche di investimento pubbliche. Formule da realizzare entro schemi
produttivi ben costruiti in termini finanziari e industriali. In fondo gran parte dell'area degli investimenti
territoriali (trasporti, rifiuti, reti idriche) realizzati da tedeschi e francesi è di mercato, ma passa attraverso
soggetti societari controllati direttamente o indirettamente da enti territoriali. Forse è il momento di studiare
bene queste esperienze, e utilizzare i tassi bassi per mettere in campo iniziative industriali economicamente
valide.
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IN ITALIA I SEGNALI POSITIVI PER L'OCCUPAZIONE, NELLE ULTIME SETTIMANE, COMINCIANO A
ESSERE NUMEROSI. SONO SEMPRE DI PIÙ MOLTE LE GRANDI IMPRESE CHE RIAPRONO I
CANCELLI IN ENTRATA O, ALMENO, ANNUNCIANO DI VOLERLO FARE
Filippo Santelli
«Per noi le competenze fanno la differenza». Salini Impregilo ha un piano di sviluppo ambizioso. Cavalcare la
ripresa degli investimenti in infrastrutture, in Italia e all'estero, raddoppiando entro il 2017 i ricavi, a 7 miliardi
di euro. E aumentando i dipendenti di 15mila unità: «Nel 2014 ne abbiamo assunti 2mila e 500, quest'anno
saranno altrettanti», spiega Gianluca Grondona, 44 anni, responsabile delle Risorse umane. A breve,
soprattutto personale per le commesse già in portafoglio, tecnici specializzati e project manager con cinque,
sette anni di esperienza. Ma nel medio periodo, dice, la scommessa è sui giovani: «Stiamo selezionando un
centinaio di ingegneri neolaureati che manderemo a farsi le ossa nei nostri cantieri in giro per il mondo».
Pionieri, li hanno definiti, considerato che finiranno in Paesi come Etiopia, Qatar, Namibia o Malesia.
«L'obiettivo è avere, fra cinque anni, una nuova classe di manager dal profilo internazionale. In un settore
come il nostro in cui il ricambio generazionale è rimasto a lungo limitato». Una rondine non farà la ripresa,
certo. Eppure in Italia i segnali positivi, nelle ultime settimane, cominciano a essere numerosi. Aziende che
riaprono i cancelli in entrata o, almeno, annunciano di volerlo fare. «Se il Jobs Act passerà, potremo
assumere tra le 3mila e 4mila persone in due anni», va ripetendo da un paio di mesi l'amministratore delegato
di Telecom Marco Patuano. Ma più che le nuove leggi sul lavoro targate Renzi, ancora in attesa di attuazione,
il primo motore di occupazione sono gli investimenti industriali. Quello sulla banda larga, nel caso di Telecom.
I nuovi modelli prodotti a Melfi per Fiat Chrysler, che nello stabilimento inserirà mille e 500 (giovani) lavoratori.
L'apertura di una decina di ristoranti per McDonald's, che solo a dicembre ha reclutato 500 persone nello
Stivale. «Ecco il nostro Jobs Act», ha scritto sui manifesti la catena di fast food: di questi tempi un piano di
assunzioni è anche una campagna di marketing. Più che i c o s i d d e t t i M c J o b s però, impieghi a basso
valore aggiunto, a fare da termometro della ripresa italiana sono le figure più qualificate, i laureati. Gli ultimi
dati del consorzio Almalaurea mostrano che tra i dottori magistrali della classe 2012 solo il 55% ha trovato
lavoro entro un anno. E nelle discipline più richieste, come ingegneria, uno su tre non risulta occupato. Per i
cento posti del suo programma di formazione, del resto, Salini Impregilo ha ricevuto in pochi giorni oltre mille
e 600 curriculum. «Non fatichiamo a reperire laureati con competenze di livello», conferma Mauro Sirani
Fornasini, 60 anni, a capo degli stabilimenti produttivi di Intertaba, controllata italiana di Philip Morris. La
multinazionale del tabacco ha appena posato la prima pietra del nuovo impianto di Crespellano, nel
Bolognese, investimento da 500 milioni di euro e 600 posti di lavoro, dove dal 2016 verrà prodotta una nuova
sigaretta tecnologica, iQos: tabacco riscaldato anziché bruciato, senza cenere né fumo. Nell'attesa le
assunzioni sono già partite: «Abbiamo creato un training center nel vicino stabilimento di Zola Predosa»,
racconta il manager. «Lo scopo è validare il processo produttivo di iQos, che ha standard comparabili a quelli
del settore farmaceutico, e certificare le competenze dei lavoratori». Esperti di chimica, elettronica e
meccanica, sia ingegneri che periti tecnici. I primi sono stati reclutati proprio con l'aiuto di Almalaurea. «Per i
secondi la difficoltà è maggiore, gli istituti tecnici non sono stati valorizzati a sufficienza negli ultimi anni - nota
Sirani Fornasini - così abbiamo iniziato un esperimento pilota con una scuola, prendendo in stage venti
ragazzi dell'ultimo anno». Assaggeranno come si lavora in impresa, l'aspetto su cui gli studenti sono meno
pronti. E colmare il divario tra formazione e lavoro è anche parte della strategia di Salini, che da quest'anno
offrirà a 500 universitari al secondo o terzo anno, cento italiani e 400 stranieri, un percorso di tutoraggio e uno
stage in azienda. L'alternativa, per il reclutamento, è usare le nuove tecnologie. Nel travagliato settore del
credito Banca Ifis è una mosca bianca: l'anno scorso ha assunto 120 persone, incrementando del 20% la
forza lavoro. Altrettanto dovrebbe fare quest'anno, anticipa il direttore Risorse umane, il 58enne Paolo
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Salini Impregilo, Telecom, Fiat neolaureati ai posti di partenza
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La Repubblica - Affari Finanza - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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Zennaro: «Cerchiamo soprattutto due profili. Addetti commerciali per la nostra attività di finanziamento alle
piccole e medie imprese, giovani laureati con background economico. E consulenti del credito per le famiglie
che faticano a ripagare i debiti». Tutta Italia va coperta, ecco la difficoltà. Per questo, oltre a utilizzare molto
LinkedIn e a fianco agli open day fisici, dall'anno scorso la società organizza anche giornate di reclutamento
virtuali: «Cominciamo con una presentazione in streaming, proseguiamo con un colloquio via Skype e solo
per quelli che lo superano c'è la valutazione faccia a faccia». Il contratto iniziale è a tempo determinato, un
anno più un anno, oppure di apprendistato. Accanto allo stipendio fisso, per i commerciale, una parte
variabile legata al risultato che arriva a raddoppiare la busta paga. «Ma a fare la differenza - spiega Zennaro è che nella nostra banca, in crescita ma ancora piccola, un neolaureato fa in breve tempo un'esperienza di
lavoro a 360 gradi. E può valorizzare il suo potenziale». Tutti i direttori del personale in effetti sono convinti
che sia proprio questo il fattore decisivo per trattenere i giovani in azienda. Forse non un problema urgente,
visti i tempi di magra sul mercato del lavoro, me che lo potrebbe diventare con la ripresa, quando la battaglia
per assicurarsi i talento più qualificati si scatenerà anche in Italia. «In Intertaba facciamo moltissima rotazione
del personale - dice Sirani Fornasini - in modo che tutti abbiano una visione ampia dei processi. Inoltre
coinvolgiamo i dipendenti nella valutazione dei risultati, costruendo insieme a loro un piano di carriera».
Quanto a Salini impregilo, Grondano spiega che le retribuzioni sono sopra la media dei concorrenti: «Davvero
decisive però sono la formazione e la possibilità di prendere parte a progetti di eccellenza. È questo che fa
crescere il valore di un giovane professionista». © RIPRODUZIONE RISERVATA 2 1 S di Meo
Fonte:ALMALAUREA
Foto: Qui sopra, Marco Patuano (1), ad di Telecom Italia e Mauro Sirani Fornasini (2), direttore Operations di
Intertaba, Gruppo Philip Morris
Foto: Qui sopra, Paolo Zennaro (1), responsabile Risorse umane di Banca Ifis, Ginaluca Grondona (2),
responsabile Risorse umane di Salini Impregilo
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Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
Pag. 1
Non nascondiamo la mina del debito sotto il tappeto
DANIELE MANCA
I l debito è la grande zavorra che rischia di frenare il mondo. L'attenzione che oggi prestiamo alle vicende
della Grecia non deve far pensare che il tema riguardi solo Atene. Anzi, negli ultimi anni, per colpa della
grande crisi in atto dal 2007, l'indebitamento degli Stati è aumentato fortemente. In uno studio della società di
consulenza McKinsey & Co., rielaborato dal Financial Times, si mostra come fossero mal riposte le speranze
che la crisi potesse spingere a una riduzione del debito globale. Tra il 2007 e il 2014 in 47 nazioni (22
sviluppate e 25 emergenti) l'indebitamento dei governi è cresciuto di 25 mila miliardi (25 trilioni). E questo
pone «una minaccia alla stabilità globale » secondo il rapporto. La sola Cina ha visto quadruplicare il suo
debito totale (privato e pubblico) ed è pari oggi al 282% del suo prodotto interno lordo. E' per questo che le
vicende greche devono suonare come una campanello di allarme non solo per Atene, ma per l'intera
comunità internazionale. Si potranno avviare riflessioni globali su come sarà possibile arrivare a una gestione
del debito che non sia soltanto quella di ridurlo con politiche di bilancio restrittive che rischiano di frenare
ulteriormente le economie. I suggerimenti di McKinsey vanno da un allungamento delle scadenze a forme
innovative di ripartizione del rischio tra chi presta e chi riceve finanziamenti. Ma è evidente che anche i singoli
Stati devono comprendere che più incisiva e decisa sarà la loro azione sul proprio debito, maggiore sarà la
possibilità di avere guadagni in termini di competitività -flessibilità di bilancio. Gli Stati Uniti hanno visto
aumentare, tra il 2007 e il 2014, il rapporto tra debito totale (famiglie, aziende, governi) e Pil del 16%, la
Germania dell'8%, l'Italia del 55%. Speriamo che l'allarme sia risuonato anche a Roma.
@daniele_manca
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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IL PUNTO
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Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
Pag. 23
Esodati I forzati del riposo anticipato rischiano un taglio del venti per
cento
Smettere di versare all'Inps troppo presto adesso provoca un doppio danno: con i nuovi limiti di età si resta
senza redditi più lungo e la copertura si accorcia Per i co.co.pro se i versamenti sono continuativi assegno al
54% dello stipendio Il sistema contributivo non fa crescere in modo proporzionale l'assegno di chi fa carriera
ROBERTO E. BAGNOLI
Rappresentano una nuova categoria sociale, nata con il deciso allungamento della vita lavorativa disposto
dalla riforma Monti-Fornero del 2011. E per loro è stato addirittura coniato un nuovo vocabolo. Sono gli
esodati, lavoratori espulsi dal mondo del lavoro prima di aver maturato il diritto a una pensione sempre più
lontana nel tempo.
Le conseguenze del fenomeno sono pesantissime: per un trentenne di oggi (che già dovrà mettere in conto
un vitalizio molto ridotto), interrompere forzatamente il lavoro a cinquant'anni significherà avere un tasso di
copertura della pensione rispetto all'ultima retribuzione più basso anche di venti punti percentuali, rispetto a
quello che otterrebbe arrivando regolarmente al traguardo. Le elaborazioni realizzate in esclusiva per
CorrierEconomia da Progetica, società di consulenza in pianificazione finanziaria e previdenziale mostrano
anche questo fenomeno del pianeta pensioni.
Gli esempi
«Le elaborazioni sono dedicate ai possibili esodati - spiega Andrea Carbone, partner di Progetica - cioè a
lavoratori, in particolare dipendenti, che interrompono l'attività prima del pensionamento; negli esempi si è
ipotizzato che lo stop avvenga a cinquanta, cinquantacinque o sessant'anni, anziché alla scadenza normale
di sessantotto. Oltre che per il periodo in cui non si lavora e non si riceve la pensione, l'impatto è pesante
anche sull'importo del vitalizio, che in molti casi scende sotto la quota del 50%».
Così, per esempio, per un dipendente trentenne che dovrebbe staccare con un rapporto del 51% fra
pensione e ultima retribuzione, la copertura precipita al 32% se smette di lavorare a cinquant'anni, al 38% e
45% rispettivamente se, invece, interrompe a cinquantacinque o sessant'anni. Per un cinquantenne, il tasso
di sostituzione (rapporto tra rendita e ultima retribuzione) è del 59% senza interruzioni: diventa meno della
metà (il 24%) se stacca subito, il 43% e 51%, rispettivamente, se interrompe a cinquantacinque o
sessant'anni. Per un autonomo la coperta è ancora più corta: dal 43% senza interruzione dell'attività,
scenderebbe rispettivamente al 28%, 32% e 38%.
Nel caso di un cinquantenne che lavora in proprio, il rapporto fra pensione e ultima retribuzione passa dal
45% con un lavoro continuativo sino alla pensione al 17%, 30% e 38% per chi invece interrompe a cinquanta,
cinquantacinque e sessant'anni.
Gestione separata
Infine gli ultimi casi, relativi a lavoratori iscritti alla gestione separata: per questa categoria, a parità di reddito
netto mensile sono più elevati il lordo su cui si calcola l'aliquota contributiva Inps (pari al 30,72%, interamente
a carico del lavoratore) e il rapporto fra pensione e ultima retribuzione.
Così, per esempio, a fronte del netto mensile ipotizzato negli esempi, pari a mille euro, il lordo si attesta a
20.822, contro i 16.695 euro di un dipendente. Per un co.co.pro trentenne il rapporto fra pensione e ultima
retribuzione è pari al 54% con continuità di lavoro; scende però al 33% con due buchi contributivi e
interruzione a cinquant'anni, al 38% e 46% se invece s'interrompe, rispettivamente a cinquantacinque e
sessanta.
I numeri
Nelle simulazioni realizzate da Progetica sul tema degli esodati sono stati ipotizzati età d'inizio lavoro a
trent'anni e di pensionamento a sessantotto, un reddito netto mensile di mille euro per il trentenne, duemila
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Come investire e risparmiare Dopo la Fornero Gli effetti perversi di requisiti sempre più rigidi e di mondo del
lavoro che espelle anzitempo
09/02/2015
Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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per il quarantenne e tremila per il cinquantenne, un buco contributivo per dipendenti e autonomi e due per i
lavoratori in gestione separata, caratterizzati generalmente da una vita lavorativa più discontinua.
Tutti i valori sono al netto delle tasse ed espressi in termini reali, cioè al netto dell'inflazione. Secondo una
stima fornita nei mesi scorsi dal governo, malgrado i sei interventi di salvaguardia varati dopo la riforma
Monti-Fornero rimangono ancora da tutelare quasi 50 mila esodati. La legge di Stabilità per il 2015 non ha
previsto alcun provvedimento a favore di questa categoria di lavoratori.
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ETÀ ETÀ INTERRUZIONE ATTIVITÀ' LAVORATIVA TASSO DI SOSTITUZIONE SENZA INTERRUZIONE
TASSO DI SOSTITUZIONE CON INTERRUZIONE 50 55 60 32% 38% 45% 50 55 60 34% 39% 47% 50 55
60 24% 43% 51% 50 55 60 28% 32% 38% 50 55 60 26% 30% 36% 50 55 60 17% 30% 38% 50 55 60 33%
38% 46% 50 55 60 31% 37% 45% LA FORBICE DEL TEMPO Come cambia rapporto pensione/ultimo
stipendio se si smette di lavorare prima del tempo IPOTESI: Età della pensione: 68 anni Età di inizio lavoro:
30 anni Crescita media Pil reale: 0% Crescita reddito passato: 1,5% Redditi netti mensili: 1.000€ 30enne,
2.000€ 40enne, 3.000€ 50enne Buchi contributivi: (dipendenti autonomi) 2 (gestione separata) 30,40 e 50
anni. Tutti i valori sono al netto della fiscalità ed espressi in termini reali al netto dell'inflazione Fonte:
elaborazioni Progetica
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Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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Borsa Fiere, Ferrovie, Media Si accendono i titoli dell'Expo
Il primo maggio è lontano ma c'è già chi punta sulle azioni legate alla vendita dei biglietti e alla gestione
dell'Esposizione
ADRIANO BARRI'
Si compra sulle voci e si vende sulle notizie. Mancano ottanta giorni ad Expo 2015 ma il mercato ha già
iniziato a scommettere sulle società quotate in Piazza Affari che possono trarre i maggiori benefici dall'Expo,
l'esposizione universale di Milano che inizia il primo maggio 2015.
Rialzi a doppia cifra per una pattuglia di titoli che appartengono ai settori più disparati: le infrastrutture e i
trasporti, la finanza, i media, la gestione di manifestazioni. In cima al podio della classifica stilata da
Websim.it, c'è la Popolare di Milano che da inizio anno guadagna poco meno del 40%. Un balzo su cui hanno
influito anche le speculazioni circa il cambio della normativa sul sistema di governo delle banche popolari.
Alle sue spalle gli editori Rcs Media group (che pubblica il Corriere della Sera ) e L'Espresso che, da gennaio,
hanno già guadagnato rispettivamente il 22% e del 20%.
«La società Expo - spiega Mauro Vicini direttore di Websim.it - si aspetta di vendere 24 milioni di biglietti di
cui almeno il 50% stranieri. Per ora ne sarebbero stati venduti 8 milioni di cui 5 a stranieri e prenotate 3
milioni di camere di albergo. Solo nel campo dell'ospitalità e della ristorazione si potrebbe arrivare a una
spesa pari all'1% del Pil. Anche se non si dovesse trattare di un dato incrementale rappresenterebbe pur
sempre un beneficio per le società coinvolte direttamente e indirettamente nell'evento, alcune quotate in
Piazza Affari e sulle quali da mesi si riscontra un forte interesse del mercato».
L'Expo è quindi una ciliegina sulla torta. Almeno per la Popolare di Milano il cui rally da inizio anno è legato
principalmente al provvedimento del governo che punta all'abolizione del voto capitario e favorisce l'ingresso
nel capitale dei investitori istituzionali, alla finestra da molti anni. «L'istituto guidato da Giuseppe Castagna continua Vicini - ha un bilancio solido e rimane tra i nostri titoli bancari preferiti, anche per la sua forte
presenza in una delle aree più ricche del Paese. Due terzi del business sono sviluppati in Lombardia, la
regione con il Pil più alto del Paese. Le sofferenze sono sotto controllo e la visibilità sui prossimi dividendi è
ora più alta: l'istituto ha già accantonato il 50% degli utili conseguiti finora nell'ipotesi pagamento dei dividendi
sul 2014. Stimiamo una cedola di 2 centesimi per azione pari a un rendimento del 3,4%».
L'impatto di Expo si vedrà anche sulle infrastrutture e sui trasporti sia dell'area milanese che nazionale.
Ferrovie Nord Milano è il principale gruppo integrato nel trasporto e nella mobilità in Lombardia e insieme a
Trenitalia svolge l'esercizio dell'attività di trasporto pubblico locale ferroviario. Da inizio anno il titolo guadagna
circa il 6% ma a partire da fine 2013 il rialzo è stato superiore al 60%. Il mercato potrebbe avere quindi in
parte già scontato le attese positive circa l'impatto dell'Expo. Occhi puntati anche su Atlantia che gestisce il
più importante sistema di trasporti autostradali in Italia e lo scalo aereo di Fiumicino attraverso la società Adr.
La scorsa settimana Goldman Sachs ha tolto il titolo dalla Conviction Buy List, confermando comunque il
giudizio Buy (acquistare ndr). Da inizio anno Atlantia guadagna il 18% grazie anche a un certo appeal
speculativo. Secondo alcune indiscrezioni di stampa Adia, fondo sovrano di Abu Dhabi, starebbe discutendo
con Adr per arrivare a una partnership.
Riflettori accesi anche su Fiera Milano, società che gestisce l'area fieristica di Rho-Pero adiacente a quella di
Expo. «Tra i vari progetti in campo - continua Vicini - c'è un piattaforma informativa messa a punto con la
Camera di Commercio e PWC per mettere in contatto le aziende italiane con i Paesi Expo mentre il servizio
di coordinamento della gestione del sito durante i mesi dell'evento è attualmente in fase di negoziazione».
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Società Prezzo attuale Perf.% da inizio anno 22,9 4,0 0,7 9,2 1,1 1,2 2,9 7,3 0,6 0,9 0,7 Atlantia Mediaset
Bpm Sias Rcs MediaGroup Gr. Ed. L'Espresso Tamburi Fiera Milano Fnm Arnoldo Mondadori Ed. Il Sole 24
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Trend Da Atlantia ai treni locali, passando per gli alberghi e le banche radicate in Lombardia, come la
Popolare di Milano
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Corriere Economia - Ed. n.5 - 9 febbraio 2015
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Ore Capitaliz. (milioni euro) 18,4% 16,6% 37,9% 15,5% 22,5% 20,6% 10,5% 14,8% 5,7% 6,5% 15,0%
18.605 4.559 3.284 2.098 592 454 398 301 256 244 89 Da seguire Una selezione di titoli appartenenti a
Piazza Affari esposti favorevolmente a Expo2015 Fonte: elaborazione Corriere Economia, dati al 3/2/2015Su
& giù L'andamento di Piazza Affari 23.000 22.000 21.000 20.000 19.000 18.000 5 feb 2014 5 feb 2015 gen
2015 mar apr mag giu lug ago set ott nov dic Ftse Mib 40% La rivalutazione della Popolare di Milano, legata
anche alla riforma bancaria
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Paolo Panerai
Bruno Vespa. Lei ha definito per decreto che le banche popolari devono cambiare profondamente: se un
azionista ha 100 mila azioni non può contare per un solo voto come chi possiede una sola azione. È
successo l'ira di Dio, nonostante di riforma delle popolari si parli da 20 anni senza cambiare niente perché, si
dice, questo è solidarismo cattolico, mentre con il decreto le banche diventano un'altra cosa: 20 mila persone
per strada, non verranno più finanziate le piccole imprese e le famiglie... Matteo Renzi. Perché ora, invece, si
stanno finanziando? Per favore... V. E allora? questo le sembra normale che oggi un gruppo di dipendenti di
una banca conti quanto uno che vuole investirci per trasformare l'istituto in una banca in grado di stare sul
mercato globale? Questo meccanismo non può funzionare, abbiamo detto, le dieci banche più grandi devono
trasformarsi, non essere più cooperative, devono trasformarsi, in semplici spa, solo le dieci banche più
grandi. In Europa dicono che il sistema bancario italiano non funziona, il sistema non ha credibilità: abbiamo
voluto inviare il messaggio agli investitori che chi ci mette più soldi è più credibile, non è pensabile che
indipendentemente da quanto si metta ciascuno con una azione valga come un altro soggetto contante. Così
si supera un modello di banca, posso dirglielo male? Molto legata a interessi localistici, perché poi, non
bisogna dimenticarlo, una parte delle banche locali ha combinato pasticci, basta prendere i giornali degli
ultimi dieci anni per capire che razza di pasticci alcuni banchieri popolari hanno combinato: reticolati di
amicizie, protezioni, privilegi; lo sappiamo tutti. La prima volta che si ha il coraggio di cambiare, parte il
pregiudizio: non viene attaccato il solidarismo cattolico. Uno come Giovanni Bazoli, il capo di Banca Intesa,
che non mi sembra propriamente un sostenitore delle nostre riforme, ha detto una cosa sacrosanta. Ha detto:
sulle banche popolari, su quelle era giusto intervenire. Con calma, senza troppi pregiudizi andiamo avanti. V.
Come giudica una voce di speculazione in atto su questi titoli? Tra l'altro il rastrellamento è stato cominciato
dal suo amico Serra finanziere a Londra che ha messo insieme importanti quote. R. Su questo punto della
speculazione, voglio essere molto esplicito: io non faccio operazioni di borsa ma rispetto chi le fa, chiunque
esso sia, perché non è un reato; ma diventa reato se per investire ha utilizzato informazioni riservate. Io sono
il primo a chiedere che si facciano indagini le più rigorose possibili e se qualcuno ha fatto il furbo è giusto che
paghi fino all'ultimo giorno e all'ultimo centesimo. Ma che l'obbligo di trasformarsi in spa abbia fatto salire il
valore in borsa delle banche popolari è un dato sicuramente positivo. Infatti, vuol dire che c'è più valore per
gli azionisti; diciamo che la gente investe perché crede in quelle banche: più investimenti ci sono in quei titoli,
più forte diventano le banche, più posti di lavoro si creano, più prestiti saranno erogati. Però si deve essere
chiari, io sono il primo a dire: la Consob indaghi tutti i soggetti (... ) io richiedo chiarezza. Detto anche questo,
c'è l'intervento del governo e del Parlamento su alcune banche popolari italiane perché sono in mano ai
signorotti di territorio che continuano a spartirsi gli accordi.... V. Quindi, Presidente Renzi, il decreto resta
così? R. Assolutamente sì: si va verso la trasformazione in spa e su questo sono pronto a mettere la fiducia
perché è un provvedimento che dà il senso del cambiamento richiestoci in Europa e che toglie le banche ai
soliti noti per darle a regole chiare di mercato, senza scherzi. Se qualcuno viola le leggi mettiamolo in carcere
ma non cerchiamo di fare i furbi su questa vicenda perché è l'Italia che diventa seria sul mercato bancario,
non accettiamo nessun giochino su questo cambiamento. Trascrizione del dialogo a Porta a Porta di martedì
3 febbraio Ho trascritto l'intero dialogo sulla riforma delle Popolari, perché il giorno dopo sono stati colti solo
pochi passaggi nelle cronache dei giornali e in particolare tutto si è focalizzato sulla minaccia che il
presidente del Consiglio Matteo Renzi ha lanciato su stimolo di Bruno Vespa. In realtà ci sono molti altri punti
da analizzare di interesse dell'intero Paese. Alcuni evidenziano che Renzi ha risposto di pancia, senza fare
riferimento ai dati; altri, come quella rassicurazione ai clienti delle Banche di credito cooperativo (Bcc),
appaiono non chiarissimi e quindi può tornare utile anche al capo del governo saperne di più. Per esempio,
che anche una Bcc, quella di Roma, arriva agli 8 miliardi di patrimonio netto e quindi non è vero che chi ha i
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ORSI & TORI
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conti presso la più grande delle Bcc non osserverà nessun cambiamento se il decreto sarà convertito così
com'è. Mi pare che su un argomento tanto importante come il futuro del complesso di banche che insieme
rappresenta il 25% circa del sistema regni molta confusione e molto interessata. Per esempio, nelle categorie
delle risposte di pancia del presidente del Consiglio va catalogata quella secondo cui non ( segue da pagina
3 sarebbe vero che il sistema delle popolari ha continuato a finanziare le imprese e le famiglie nei lunghi anni
della crisi. Basta leggere il rapporto di R&S di Mediobanca, per scoprire che dal 2005 al 2013 le popolari
hanno aumentato i prestiti di quasi il 7% all'anno (+68% cumulato) mentre le altre banche si sono mantenute
stabili con una crescita media di appena lo 0,6% all'anno. In valore assoluto le popolari hanno aumentato il
credito di 162 miliardi di euro, una cifra tripla rispetto a quella delle banche commerciali. Anche le popolari
hanno inevitabilmente risentito della crisi e dei vincoli crescenti dal 2011 e hanno ridotto i prestiti alla clientela
di 25 miliardi, ma questa flessione è infinitamente inferiore a quella decisa dalle altre banche. Quindi, almeno
su questo punto, il presidente Renzi deve ricredersi. Se proprio lui ha giustamente lamentato, fin da quando
era solo segretario del Pd, della mancanza di credito, pensi cosa sarebbe successo se le banche popolari
fossero state banche ordinarie. Su un punto, invece, il presidente Renzi ha perfettamente ragione: quando
dice che sul mercato borsistico non possono esistere società/banche che non consentono a chi investe di
avere pari potere del suo investimento. È oltretutto un corretto ragionamento di pura democrazia finanziaria e
non è insignificante che lo faccia un politico per il quale, come categoria, la democrazia si misura per teste.
Quindi se il decreto che impone di abbandonare la forma di cooperativa per azioni e diventare semplici
società per azioni si fosse focalizzato sulle sole popolari quotate in borsa, avrebbe centrato in pieno
l'obiettivo. Non è sostenibile che chi compra 1 milione di azioni in borsa conti quanto chi ne ha una sola.
Anche se poi nei fatti il governo ha introdotto nella normativa societaria il voto plurimo, che è di segno
esattamente opposto a quello perseguito dal decreto sulla riforma delle popolari: infatti si dà la possibilità a
chi possiede un certo numero di azioni da un congruo tempo di trasformare le azioni con voto plurimo, cioè,
per esempio, con dieci voti ogni azione invece del classico uno. Per fortuna nessuno si è permesso di dire
che fra i primi a usufruire di questo vantaggio ai fini del controllo delle società sarà la FCA guidata da Sergio
Marchionne: con l'assegnazione delle azioni di Ferrari agli azionisti, la finanziaria Exor del giovane John
Elkann avrà circa il 30% della Ferrari, ma con la trasformazione di azioni a voto multiplo il comando della
grande casa, risanata e sviluppata da Luca Montezemolo, sarà assicurato. Chi ha insinuato che con il decreto
di riforma delle popolari Renzi abbia fatto un gran regalo al suo amico Davide Serra, certamente uno dei
possibili consiglieri del decreto almeno in termini filosofici seguendo la religione della City, potrebbe anche
insinuare che abbia fatto un regalo all'amico Sergio e al suo giovin signore Yaki. In realtà, la creazione delle
azioni a voto plurimo è nel mondo finanziariamente evoluto da molti anni. In Usa prima che altrove, lì
giustificandosi con la dimensione del capitale delle società, sì da dare la possibilità a chi ha fondato una
società di continuare a tenerla sotto controllo con le azioni a voto plurimo. Per fare un esempio comprensibile
da un numero crescente di telespettatori italiani che seguono i canali di Discovery, il comando della società
televisiva è di Liberty Media con appena l'11% del capitale, mentre una quota quasi tripla la possiede Condé
Nast. Quindi, via ai sospetti e un applauso a Renzi per aver avuto il coraggio di dire che in borsa deve valere
la regola della democrazia finanziaria. Chi si quota sa che deve rispettare regole più stringenti di chi si tiene
le società fuori dal mercato. Ma proprio in base al principio di democrazia liberale, il discorso cambia se si
decide di imporre le stesse regole anche a chi non è quotato e ha il difetto di essersi sviluppato superando gli
8 miliardi di patrimonio. La logica che viene esposta per i casi delle banche popolari non quotate ma grandi è
che per la dimensione raggiunta e per il numero di soci raccolti, di fatto viene a cadere lo spirito della
cooperazione. MF-Milano Finanza ritiene che questa sia una visione faziosa. Se non lo fosse, come
provvedimento immediato il governo dovrebbe decidere che la Coop debba trasformarsi immediatamente in
una semplice spa. Eppure nelle singole Coop sparse per l'Italia e riunite in super colossi pluriregionali esiste
sempre uno spazio riservato ai soci. Che hanno un trattamento migliore che gli acquirenti non soci.
Esattamente come per le popolari, dove la condizione per essere clienti è di essere anche soci. Il punto
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delicato è proprio qui: l'abuso di questo schema. È notorio che una importante popolare che recentemente ha
dovuto cambiare consiglio e vertici, anche secondo le ispezioni di Bankitalia, abbia concesso prestiti a
condizione che fino a un 40% di essi fossero reinvestiti in azioni della stessa banca, sì da rafforzare
nominalmente il patrimonio. Si tratta di veri e propri abusi e se è questa una delle motivazioni che hanno
spinto Bankitalia a sostenere il decreto governativo, male hanno fatto gli uomini del direttorio guidato da
Ignazio Visco a non distinguere da banca a banca. Della stessa categoria di problematiche fa parte la
difficoltà crescente delle banche popolari non quotate di garantire la liquidità delle azioni in capo ai soci
clienti. Infatti, la Bce ha progressivamente imposto la riduzione del Fondo acquisto azioni proprie e
indiscutibilmente ora tutte le banche popolari sane non quotate hanno difficoltà a garantire di trovare un
acquirente a chi ha bisogno di vendere. Per questo qualcuno sta pensando a soluzioni moderne, ma senza
rinunciare alla natura cooperativa, che come dimostrano i numeri di Mediobanca ha fatto più di tutte le altre
banche per non togliere l'ossigeno alle aziende in difficoltà durante i lunghi anni di crisi. C'è una sola banca
popolare, quotata, che non ha aumentato negli ultimi anni i finanziamenti. Ma è una banca speciale perché
nasce dal genio di Giovanni Bazoli, creatore di Intesa Sanpaolo. Ha cominciato a guidare i consigli di banche
nella sua Brescia, dove c'erano due banche private. Quando si pose la necessità di integrazione, individuò
nella Popolare di Bergamo il partner ideale per le banche bresciane. Obiettivo centrato, con un colpo a
sorpresa: dare natura di banca popolare alla nuova entità, cioè Ubi (Unione banche italiane). È sorprendente
due volte, quindi, l'affermazione di Bazoli che Renzi ha citato a suo favore del suo decreto. Dove si dimostra
che la formula di cooperativa-banca popolare può tornare buona anche come cavallo di Troia per costruire
grandi banche. (riproduzione riservata) Paolo Panerai
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Meglio Casa del Btp
• Rende di più, anche dopo le tasse • Non è un debito altrui • I prezzi sono ancora fermi • I tassi dei mutui mai
stati così bassi
Teresa Campo
R. Su questo argomento ci sono infiniti pregiudizi, come non vedevo da anni. Per chi ci ascolta da casa:
avete un conto in una banca di credito cooperativo? Sì. Non vi cambia niente. Le banche di credito
cooperativo sono fuori da questa storia, anche se io penso che le banche di credito cooperativo siano in
alcuni casi troppo piccole, ma è anche la loro specificità e la loro missione per cui non siamo intervenuti su
questa tipologia, ma solo sulle popolari con più di 8 miliardi di patrimonio. Punto 1: abbiamo detto alle banche
di credito cooperativo: ragazzi, fate una riflessione, ce ne sono 380 in Italia mi pare, forse bisogna avere una
dimensione diversa. Punto 2: fra le banche popolari ce ne sono dieci più grandi, sono ormai solo
nominalmente banche popolari, hanno snaturato il concetto di banca popolare cui fa riferimento lei a
proposito di solidarismo cattolico movimentista operaista del passato. Per fare Uno degli effetti del
Quantitative easing americano è stato quello di far ripartire il mercato immobiliare d'Oltreoceano. A dicembre
negli Stati Uniti le vendite di nuove abitazioni sono aumentate rispetto al mese precedente dell'11%,
attestandosi a 481 mila unità. Favorito da prestiti bancari più facili per i costruttori e nonostante l'attesa di un
futuro rialzo dei tassi, il mattone a stelle e strisce va a gonfie vele. E questa è una buona notizia per tutta
l'economia americana. Dopo anni di stagnazione per il mercato immobiliare italiano è bene chiedersi se il Qe
europeo da oltre mille miliardi di euro fino al 2016 possa avere lo stesso effetto sul mattone tricolore. Lo
crede Alessandro Mazzanti, ceo di Cbre Italia. «Uno degli effetti del Qe sarà quello di tenere a lungo i tassi
bassi», afferma Mazzanti, «e un periodo più lungo di bassi tassi d'interesse rende il settore immobiliare più
appetibile. In questo contesto il valore degli immobili potrebbe crescere. Infatti, la diminuzione attesa sui
rendimenti dei bond governativi, già su livelli molto bassi, potrebbe velocizzare l'inizio della fase di
diminuzione dei rendimenti immobiliari, soprattutto nei mercati più periferici come l'Italia dove la ripresa è più
lenta». Quindi bisogna approfittarne in fretta per non perdere il treno. Non solo. Secondo Mazzanti il
combinato disposto di tassi d'interesse bassi e tassi di cambio più competitivi avrà un effetto positivo
sull'economia. Ciò dovrebbe riflettersi sul mercato degli utilizzatori attraverso un rafforzamento della domanda
e, di conseguenza stimolare un aumento dei canoni di locazione, favorito anche, in Italia, dalla carenza di
spazi di qualità. «Anche le famiglie potrebbero beneficiare dal miglioramento dell'economia in generale,
acquistando più fiducia sul futuro e tornando a far crescere la domanda interna e far ripartire i consumi»,
aggiunge Mazzanti Guarda al mattone europeo con maggiore ottimismo anche Standard & Poor's. Nell'ultimo
rapporto sul settore immobiliare residenziale in Europa si legge: «I tassi di interesse molto bassi, un euro più
debole e bassi prezzi del petrolio potrebbero sostenere una ripresa dei prezzi delle case in Europa nel corso
dei prossimi 24 mesi». D'altronde una certa ripresa dei prezzi in Spagna e Irlanda c'è già stata e ora potrebbe
essere il turno dell'Italia. Sottolinea uno studio Cbre: «Rispetto alla Spagna, in Italia il numero e la tipologia
degli investitori attivi nel 2014 sono stati più esigui. Ad esempio, nel 2014 le Socimis, i nuovi Reit spagnoli,
hanno rappresentato circa un terzo degli investimenti totali e anche gli investitori domestici sono tornati attivi.
In Italia invece, le Siiq non sono mai decollate e gli investitori nazionali sono stati pressoché assenti negli
ultimi due anni, con investimenti stabilizzati intorno al miliardo di euro anche nel 2014». Anche perché
qualche segnale di inversione di trend si inizia a percepire. Secondo i primi dati elaborati da Cbre Italia, è
incrementato il volume degli investimenti immobiliari nel Paese nell'ultima parte dell'anno: 2,6 miliardi di euro,
oltre il 50% in più rispetto al trimestre precedente. Ciò ha portato il volume annuale a 5,3 miliardi di euro, un
aumento dell'11% rispetto allo scorso anno. Ancora una volta è stato il capitale straniero a guidare la ripresa,
rappresentando l'80% degli investimenti totali protagonisti nel trimestre, con oltre4 miliardi investiti. «Il
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CONFRONTI Con la liquidità in arrivo dalla Bce, finanziarsi sarà più a buon mercato E le alternative sono
ormai a tassi rasoterra. Ma dove conviene comprare?
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risultato, pur se ancora preliminare, non ci sorprende e conferma quanto emerso dall'indagine sulle intenzioni
degli investitori presentata a marzo scorso: un rinnovato interesse degli investitori stranieri sul nostro
mercato, a prescindere dai fondamentali. Ciò che sorprende è il sorpasso della Spagna che, dati quasi
definitivi, dovrebbe chiudere l'anno con un volume eccezionalmente elevato, poco meno del doppio rispetto
all'Italia», continua Mazzanti. Il volume annuo registrato sul mercato immobiliare italiano mette in evidenza un
recupero significativo dalla crisi più acuta del 2012 (+104%) ed è incoraggiante per il settore, ma dimostra
ancora una volta il ritardo cronico del Paese nei confronti dell'Europa che corre a velocità più che doppie, con
un volume complessivo che nel 2014 dovrebbe superare di oltre il 30% quello dello scorso anno. Un numero
interessante emerso dall'analisi è quello relativo alla differenza di capitale domestico e straniero investito in
Italia tra il 2007 e il 2014. Se gli investimenti stranieri sono in linea rispetto al 2007, quelli domestici sono
inferiori dell'80%. Sempre dalla ricerca emerge che la maggior parte degli investimenti domestici è stata
realizzata da fondi legati alle casse di previdenza di alcune categorie: commercialisti, medici, architetti.
Mancano quindi i privati. Continua Mazzanti: «L'attendismo degli investitori italiani è forse una delle cause
che ha impedito all'Italia di agganciare l'Europa nella forte crescita degli investimenti: gli investitori
internazionali, invece, hanno confermato una fiducia elevata, a prescindere dalla debole economia del Paese.
Certo ciò si riflette nel rischio maggiore attribuito all'immobiliare rispetto al passato, i rendimenti sui Bot sono
ai minimi storici in Italia mentre i rendimenti immobiliari sono ancora superiori al picco minimo precedente, ma
è comunque un dato che fa riflettere». E conclude: «Siamo comunque sulla buona strada per la ripresa,
grazie anche ai segnali positivi del governo, con la riforma sui contratti di locazione e sulle Siiq. Ci auguriamo
che prosegua in questa direzione e soprattutto che ciò possa stimolare il mercato degli investimenti
attraverso la creazione di nuovi strumenti e il ritorno degli investitori nazionali. La ripresa c'è, ma il mercato è
cambiato rispetto al ciclo passato». Una maggiore fiducia nell'economia potrebbe far ripartire anche quel
mercato dei mutui cruciale per la domanda residenziale. Ormai l'offerta da parte degli istituti di credito non
manca e i prezzi del mercato sono diventati appetibili. Anche se l'inizio della crisi in tutto il mondo data dalla
seconda metà del 2007, in realtà in Italia gli effetti hanno cominciato a farsi sentire molto più tardi. Prima sono
scese lentamente le compravendite, con anche un breve rimbalzo nel 2010, poi le quotazioni. Lungo tutto
questo periodo, i valori di vendita delle abitazioni non hanno fatto altro che seguire la debolezza della
domanda: dopo le iniziali resistenze hanno cominciato a scendere davvero, ma per così dire un po' in
sordina, con una brusca accelerazione solo nell'ultimo biennio (quando le transazioni sono crollate del 50%),
accelerazione che ha portato la svalutazione complessiva degli ultimi cinque anni a un buon 20%. Dalla parte
dell'acquirente, il risultato è che le occasioni, come accennato, oggi non mancano. E chi compra ora potrà
contare su una buona rivalutazione, simile a quella ottenuta da chi ha puntato sul mattone Usa nel 2008.
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DISTANZA TRA I RENDIMENTI IMMOBILIARI E QUELLI DEI BOT
L'ITALIA È RIMASTA INDIETRO RISPETTO ALLA SPAGNA 2007 2008 2003 2009 2004 2000 2010 2005
2001 2011 2006 2002 2012 2014 2013 Rendimenti percentuali GRAFICA MF-MILANO FINANZA Investimenti
immobiliari in miliardi di euro 1% 2% 4% 5% 6% 7% 3% 8% Shopping Centres Uffici Rendimento Bot a 10
anni Fonte: Cbre Research 2007 2008 2003 2009 2004 2010 2005 2011 2006 2012 2014 2013 0 2% 6% 8%
10% 12% 4% Fonte: Cbre Research Spagna Italia 5,7 mld di € (-16%) 4,6 mld di € (+20%)
PER SPAGNA E IRLANDA IL 2014 È STATO UN ANNO DA RECORD
IRLANDA ITALIA SPAGNA GRAFICA MF-MILANO FINANZA Fonte: Cbre Research Investimenti immobiliari
a confronto - In milioni di euro 0 2.000 4.000 6.000 8.000 10.000 2012 2013 2014
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Obama leader d'Europa
Mariangela Pira
«La Grecia si salverà grazie alle pressioni Usa sulla Germania». Parola di Alberto Forchielli, managing
partner di Mandarin Capital Partners. Forchielli da tempo risiede negli Usa dove lavora al secondo fondo della
società di private equity. Domanda. Come vede la situazione della Grecia? Risposta. Il Paese si salverà. Il
nuovo governo è partito male ma ha cambiato atteggiamento. La cosa più importante è che riesca a generare
un avanzo primario sul bilancio pubblico. D. Chi gioca il ruolo più importante nella vicenda? R. Sono gli Usa a
fare da traino. Obama non vuole che il Paese cada nell'orbita di Putin e diventi una zona franca tra Balcani ed
Europa. La pressione americana sui tedeschi conta molto. D. Intanto come giudica l'operato della Bce? R. Se
ci riferiamo al Qe, penso che Draghi abbia fatto troppo poco e troppo tardi. Nessun Paese si è messo a posto
con quella manovra, soprattutto non ha avuto effetti sulla ricchezza del cittadino medio, cosa che invece è
avvenuta negli Usa. D. Ci sono voci di nuovi interventi della Banca centrale svizzera per evitare un eccessivo
apprezzamento del franco. R. La Banca centrale svizzera temeva di andare in bancarotta con troppi euro
svalutati in portafoglio. Ma le autorità monetarie non possono fallire perché possono stampare moneta.
Quindi ritengo che la mossa della Bns sia stata inopportuna. D. Qual è il più grande rischio per l'economia
italiana? R. Più che rischio è una certezza. Quella che il Paese rimarrà indietro rispetto all'Europa, che è già
indietro rispetto al resto del mondo. Il nostro debito aumenterà rispetto al pil. Il punto è: di quanto? Se ci
paragoniamo al Giappone, il debito potrà aumentare di altri 100 punti. Il Sol Levante è ancora lì con il suo
rapporto debito/ pil del 240%. Certo, non saremo più ricchi e Milano non sarà più bella di com'è ora. D. Ma
l'Expo non potrebbe dare un impulso? R. Nell'era internet una simile manifestazione non serve a nulla, se
non ad alimentare il sistema degli appalti. Io vivo fra tre continenti e non ho mai letto un articolo sull' Expo. Se
ne parla solo sui giornali italiani. D. È partito il nuovo round di trattative per l'accordo di libero scambio tra Usa
ed Europa. Alcune stime parlano di effetti positivi sul pil europeo di mezzo punto percentuale. R. Per gli Usa è
un grande affare. Il problema è europeo perché qui ci sono ancora tanti ostacoli da superare prima della
firma. Non ritengo probabile un accordo in tempi ragionevoli. D. E sul patto di libero scambio tra Usa e Paesi
del Pacifico a eccezione della Cina? R. Ha ottime probabilità di essere approvato. I rumor che vengono dal
Congresso repubblicano, dominato dal big business, raccontano che Obama il mese prossimo otterrà la Free
Trade Authority, ovvero la delega a chiudere questo accordo. D. Aiuterà l'economia Usa? R. La bilancia dei
pagamenti Usa peggiorerà, ma l'accordo ha grande valore politico e strategico perché gli Usa tengono fuori i
cinesi e i Paesi dell'area possono contrastare una Cina che si sta facendo fastidiosa. D. Obama ha proposto
di regolarizzare 5 milioni di immigrati da anni negli Usa, rendere gratuiti i community college (scuole di
avviamento professionale), tassare la liquidità all'estero delle multinazionali. Come legge queste mosse? R.
Prima Obama era frenato dalle elezioni. Ora non ha nulla da perdere e vuole lasciare un'eredità. Proponendo
cose giuste. Negli Usa la vita dell'americano medio non migliora, i nuovi posti di lavoro offrono 10 euro l'ora.
Con tali proposte i sondaggi su Obama, che erano pessimi, stanno migliorando. D. Il che è utile ai fini delle
prossime presidenziali. R. Sì, perché se l'americano medio vede che il Congresso repubblicano boccia le
proposte di Obama si chiede se valga la pena eleggere un altro repubblicano. D. Jeb Bush può farcela? R.
Avrà i voti di repubblicani e democratici moderati che non se la sono sentita di votare Romney, ma anche
della comunità ispanica, dato che parla spagnolo ed è sposato a una messicana.È stato eletto per due
mandati in Florida proprio perché amato dalla comunità ispanica. D. La Clinton? R. Non ha possibilità contro
Jeb. I democratici potrebbero farcela solo se Hillary rinunciasse e i suoi fondi andassero a Elizabeth Warren,
candidata di sinistra e vicina alle proposte di Obama. D. Il più grande rischio per l'economia cinese? R. Mi
preoccupa la chiusura verso il mondo esterno: bloccare i programmi con cui si possono eludere i controlli
internet e accedere così a Twitter o Facebook, fa sì che gli studenti cinesi siano isolati dall'influenza
occidentale. E perché le banche cinesi non possono utilizzare tecnologia occidentale? Fatico a capire come
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INTERVISTA VISIONI
07/02/2015
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si concili lo sviluppo economico con l' autarchia tecnologica. D. Lo yuan salirà a medio termine? R. Difficile,
perché non c'è crescita e soprattutto è in atto un forte deflusso di capitali dal Paese. (riproduzione riservata)
Foto: Alberto Forchielli
07/02/2015
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C'è una busta per te
Carla Signorile Class Cnbc
Arriveranno in primavera i frutti del Jobs Act e dell'iniziativa Garanzia Giovani. Ne è convinto il ministro del
Lavoro, Giuliano Poletti, che si prepara a lanciare un'offensiva contro la precarietà lavorativa dei giovani.
Nell'intervista alla trasmissione televisiva di Class Cnbc I vostri soldi, la prima dedicata alla finanza personale,
il ministro svela le prossime mosse, a cominciare dal 20 febbraio quando varerà il disboscamento dei contratti
precari. Domanda. Ministro, quando vedremoi primi effetti della Garanzia Giovani e del Jobs Act sul tasso di
disoccupazione giovanile? Risposta. Ad aprile, maggio e giugno, ovvero nel secondo trimestre di quest'anno.
Solo allora entreranno pienamente a regime gli interventi che abbiamo previsto nella legge di stabilità con il
bonus occupazionale. D. Perché è ottimista? R. In questi giorni Unicredit ha dichiarato che assumerà 1.500
giovani. Poche settimane fa l'aveva già fatto la Fiat, lo ha detto Telecom, quindi cominciamo ad avere
testimonianze importanti. Sull'iniziativa Garanzia Giovani abbiamo già 400 mila ragazzi che si sono registrati,
ma stiamo facendo uno sforzo ulteriore. D. Quale? R. Facciamo in modo che sia possibile sommare il bonus
occupazionale previsto dalla Garanzia Giovani a quello previsto dalla Legge di stabilità. Quindi tra qualche
mese i numeri si vedranno eccome. D. Intanto tra pochi giorni, il 20 febbraio, varerete il Codice dei contratti.
Daremo l'addio al contratto a chiamata? R. Il 20 febbraio presenteremo il decreto attuativo sul riordino dei
contratti precari. Elimineremo alcune tipologie di contratto che hanno prodotto precarietà, ristruttureremo le
altre in modo che siano pienamente coerenti con la loro missione. D. Che cosa intende? R. Se un lavoratore
è dipendente deve avere un contratto di lavoro dipendente, se è un lavoratore autonomo vero deve avere un
contratto di lavoro da autonomo vero. Faremo in modo che anche questi lavoratori, almeno nella fascia più
debole, abbiano tutele adeguate. Questa scelta si affianca alla nostra scelta di promuovere il contratto a
tempo indeterminato a tutele crescenti, sostenuto sul piano economico dalla decontribuzione nei primi tre
anni di assunzione. Questi due elementi - nuovo contratto e disboscamento delle tipologie esistenti sicuramente ci porterannoa un panorama del sistema contrattuale molto più stabile, molto più chiaro. D. Che
cosa risponde a chi la critica di aver creato un profondo solco trai dipendenti che hanno il vecchio regime,
quindi ancora protetti dall'articolo 18, e chi invece verrà assunto dopo il Jobs Act? Potrà durare a lungo
questo sistema duale? R. Solo l'esperienza ci potrà dire se bisogna tornare su questo problema. Queste due
tipologie sono compatibili perché è legittimo che chi ha il vecchio contratto lo mantenga. Dall'altro lato,i nuovi
assunti che vengono da una situazione di disoccupazione o di contratti precari avranno le tutele crescenti. D.
A proposito di solco, ce n'è un altro che riguarda i pensionati, tra chi va in pensione con le vecchie regole e
chi andrà con il nuovo sistema contributivo. La critica principale che vi viene rivolta è quella di non pensare ai
pensionati di domani. Dall'innalzamento delle tasse sui fondi pensione al Tfr in busta paga: misure che
alleggeriranno ulteriormente le future pensioni... R. Andiamo con ordine. Sul tema della tassazione c'è stata
una modifica tra l'avvio della legge di Stabilità e la sua conclusione. È stato introdotto un credito d'imposta per
quei fondi che investiranno sull'economia reale italiana. Quindi, è vero che è stata innalzata la tassazione, ma
questa tassazione può essere ridotta se i fondi investono sull'economia reale italiana. D. Basterà? R. Di certo
otteniamo due risultati: un buon rendimento peri fondi e un'economia che cresce di più. Da questo punto di
vista il problema è stato affrontato, anche se non risolto completamente. D. Altra critica da parte dei fondi è
che da marzo consentirete di ottenere il Tfr in busta paga. Il rischio è avere di più oggi a fronte di una
pensione decisamente più povera tra 20 anni. Sarà chiaro agli italiani? R. È una facoltà che lasciamo ai
cittadini. Il Tfr in busta verrà utilizzato da tutti quegli italiani che in maniera autonoma e consapevole
valuteranno che per loro è più utile e opportuno avere subito risorse a disposizione piuttosto che conservarle
per il futuro. È un atto che fondamentalmente mette sulle spalle del cittadino la responsabilità di questa
decisione. Noi pensiamo che i nostri connazionali abbiano la maturità per compiere questa scelta. D. Ministro,
Leiè sempre stato favorevolea una maggiore flessibilità in uscita dopo la Riforma Fornero del 2011. Che cosa
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA
07/02/2015
Milano Finanza - Ed. n.27 - 7 febbraio 2015
Pag. 25
(diffusione:100933, tiratura:169909)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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intende in pratica? R. Innanzitutto con la legge di Stabilità si sono tolte le penalizzazioni per coloro che vanno
in pensione in questi anni non avendo ancora raggiunto i requisiti, mentre prima venivano penalizzati.
Vogliamo affrontare un grave problema sociale, quello delle persone che arrivano a un'età vicina al
pensionamento e magari perdono il posto di lavoro e non riescono, con gli ammortizzatori sociali, a
raggiungere la pensione. Questo, a nostro avviso, è un problema socialmente rilevante e l'esigenza è quindi
trovare forme di flessibilità, ovvero modalità che consentano a queste persone di arrivare alla pensione. D.
Un'idea è quella dell'autoprestito. Ovvero anticipare una piccola somma per consentire di avere un reddito
fino al momento della pensione e poi la restituzione in piccole rate nell'assegno pensionistico.È fattibile? R. Ci
sono molte opzioni e ipotesi in campo, tra cui questa. Fondamentalmente stiamo cercando, da una parte, di
rispondere alle esigenze da cui è partita la legge Fornero - che erano quelle di avere un sistema stabile e non
avere problemi nel bilancio pubblico dall'altra coniugarlo con la legittima aspettativa dei cittadini italiani di
poter maturare la pensione. Bilanciare le due cose non è semplice, ma è quello che ci apprestiamo a fare e
che discuteremo con il nuovo presidente dell'Inps Tito Boeri, non appena sarà insediato. D. Il problema sonoi
soldi. Dove li troverete? R. Il tema dei fondi ce l'abbiamo ben presente, oltre al fatto che dobbiamo rispettare
le norme a livello comunitario. Quindi abbiamo bisogno di studiare una forma che, oltre a darci le risorse
necessarie, non vada a impattare sui parametri europei che noi ci auguriamo siano sempre più flessibili e
aperti e ci consentano di intervenire in particolare sul versante degli investimenti. D.A proposito dei
pensionati, quando arriverà la busta arancione? R. L'Inps ha avviato una fase di sperimentazione e sta
monitorando gli esiti per avere uno strumento il più efficace possibile. Una cosa dev'essere chiara per tutti:
l'Inps lo farà nei prossimi mesi, comincerà a farlo, ma noi dobbiamo sapere che, più la data della pensione è
lontana, più il rischio di avere una valutazione non equa del risultato è alto. L'assegno pensionistico è
influenzato da alcuni parametri, come il pil e sapere quale sarà il prodotto interno lordo del nostro Paese tra
10, 20 e 30 anni è problematico. D. Quindi, addio alla busta arancione? R. Nient'affatto. Io credo comunque
che sia giusto fare un lavoro di proiezione di questo genere perché rende i cittadini consapevoli del loro futuro
e quindi saranno liberi di scegliere. Potranno decidere, ad esempio, se mettere una parte dei loro risparmi nei
fondi pensione o comunque in forme assicurative tali da garantire una migliore pensione. D. Entro l'anno può
prendere anche questo impegno, ministro? R. Direi proprio di sì anche se penso che si partirà per categorie
perché, naturalmente, ci vuole un po' di tempo per metterlo a regime. Sicuramente la partenza ci sarà. D. In
questi giorni avete lanciato l'iniziativa #diamociunamano. Di cosa si tratta? R. Questo è un progetto cui stiamo
lavorando da tempo e che risponde a un'idea generale, ovvero: «Nessun italiano deve stare a casa ad
aspettare». Noi siamo alla ricerca di una società coesa, impegnata e responsabile a partire da ogni singolo
cittadino. In questo caso abbiamo scelto di promuovere un progetto secondo cui, chi ha avuto un sostegno che non è solo la cassa integrazione, ma anche un aiuto dal proprio comune per pagare l'affitto - può essere
interpellato o può offrirsi come volontario per andare a dare una mano alla propria comunità. D. Che cosa
bisogna fare in pratica? R. Si deve passare attraverso un'Associazione di volontariato, che organizzi il lavoro.
Il Comune o l'ente locale stabilirà se quel progetto è utile o meno alla comunità. Noi, come Stato, abbiamo
deciso di pagare l'assicurazione ai volontari. Quindi, chi si trova in queste condizioni e vuole dare una mano,
può rivolgersi o al proprio comune o alla propria associazione di volontariato e dire: «Io sono qui, sono
disponibile». Poi, nel momento in cui parte il progetto, noi lo assicuriamo. Se ci diamo una mano tutti insieme
l'Italia ripartirà e ripartirà molto bene. (riproduzione riservata) ha collaborato Simone Cerroni
Foto: Giuliano Poletti
07/02/2015
Milano Finanza - Ed. n.27 - 7 febbraio 2015
Pag. 28
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Sul diritto all'oblio la posizione della Ue è l'unica tutela
MAURO MASI
Cresce negli Stati Uniti la campagna mediatica contro il diritto all'oblio, cioè la decisione emanata lo scorso
maggio dalla Corte di Giustizia europea che ha imposto ai motori di ricerca sulla Rete di cancellare (in taluni
casi) link ritenuti «inadequate, irrelevant or no longer relevant» (inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti).
Questa storica decisione ha creato una serie di problemi interpretativi relativi sia alle condizioni soggettive e
oggettive che qualificano il diritto del singolo a chiedere le cancellazioni, sia relativi al perimetro di estensione
della disposizione della Corte. A questo ultimo riguardo, Google (il principale interessato dalla disposizione e
che ha rimosso sinora più di 250 mila link) ha deciso di applicare la disposizione solo ai propri siti in essere
negli Stati membri Ue, mentre nessuna cancellazione è stata ritenuta valida fuori dalla Ue in particolare nel
sito internazionale Google.com (il sito principale negli Stati Uniti). Così secondo la Corte Europea e non pochi
esponenti di primo piano delle istituzioni comunitarie di Bruxelles, si inficia completamente l'efficacia della
disposizione, in quanto ciò che viene cancellato sui siti regionali può restare facilmente rintracciabile sul sito
internazionale. Da qui la richiesta europea che le cancellazioni, una volta decise, siano estese a tutti i siti del
motore di ricerca anche fuori della Ue. Negli Usa taluni considerano questa richiesta molto pericolosa,
addirittura una sorta di legalizzazione della censura sulla Rete. Il New York Times si è spinto ad affermare
che la decisione della Corte Ue rappresenterà un forte esempio per autocrati come Putin o Erdogan per
arrivare a imporre le cancellazioni di link che semplicemente non piacciono al potente di turno. La materia è
molto delicata ed è giusto che venga dibattuta e approfondita nei dettagli anche tecnico-giuridici; ma non si
può arrivarne a disconoscere l'importanza fondamentale. In un contesto come quello della Rete dove, di fatto,
non vige nessuna regolae tutti possono mettere on line qualunque notizia vera o falsa che sia per di più
protetti dall'anonimato, il diritto all'oblio rappresenta una prima (e sinora unica) vera tutela per i diritti
fondamentali dell'individuo. * * * Il dr Giovanni Maria Ferrari, lettore assiduo della Rubrica, mi chiede se il
diritto d'autore è nato in Italia. Rispondo che sì, è nato da noi; in particolare si può affermare che il moderno
diritto d'autore nasce con l'invenzione della stampa a caratteri mobili e quindi con la possibilità di stampare un
numero rilevante di copie di libri che non si distinguevano le une dalle altre. Da qui la necessità di tutelare
editori e autori da possibili falsi il che fu fatto attraverso la concessione di privilegi da parte del Principe a
garanzia del lavoro editoriale e autoriale. Il primo privilegio di cui si ha notizia storica fu concesso nel 1469
dalla Repubblica Veneta allo stampatore Giovanni de Spira. *delegato italiano alla Proprietà Intellettuale
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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IL PUNTO di MAURO MASI
06/02/2015
The Economist - Ed. n.6 - 7 febbraio 2015
Pag. 22
Matteo gets his man
The choice of Italy's president is good news for the prime minister SERGIO MATTARELLA, a 73-year-old
Sicilian, constitutional-court judge and former government minister, became Italy's 12th president on February
3rd. Matteo Renzi, the prime minister who backed him, said his election would "turbocharge" his reforms. Mr
Renzi (shown above with Mr Mattarella) is prone to exaggeration: he faces a long, hard climb. But he has
again shown formidable political skills. When the 89-year-old Giorgio Napolitano stepped down in midJanuary Mr Renzi promised a successor by the end of the month. That he delivered was no mean feat. Mr
Napolitano agreed in 2013 to serve a second term only because parliament could not agree on his successor.
This time Mr Renzi managed to unite his fractured Democratic Party (PD) behind Mr Mattarella, and secure
the backing of the opposition Left, Ecology and Freedom party and of Angelino Alfano, his interior minister,
who leads the New Centre Right party. That was enough: after three days of voting in which no candidate
won a two-thirds majority, Mr Mattarella was elected on the fourth round, which required a simple majority, by
665 votes out of 1,009. Silvio Berlusconi, leader of Forza Italia, the main right-wing opposition party, and
former prime minister, was against Mr Mattarella. That was mainly because he had not been consulted more
carefully, despite his pact to support Mr Renzi's constitutional reforms. Most in Forza Italia backed Mr
Berlusconi, but quite a few defied him. The result has strengthened Mr Renzi's position both in the PD and in
government, weakened Mr Berlusconi, and thrown the right into disarray. Mr Renzi will press on with his
reforms, with or without Mr Berlusconi's backing. He hopes that opponents on both left and right will not risk
an early election, since that could produce a more Renzian parliament. A new electoral law should be
approved by the lower house by April. The reform of the Senate will take longer, but could be done next year.
The economy is at last showing glimmers of life. But as Mr Mattarella himself conceded, Italy's prolonged
economic crisis has damaged the country's social fabric. He called formore reform of institutions, of public
administration and of the judicial system. And he spoke of the need to combat corruption and organised
crime-a highly personal theme, since he entered politics ini98o only after the assassination by the Mafia of his
brother, then Sicily's president.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Italy's president
06/02/2015
The Economist - Ed. n.6 - 7 febbraio 2015
Pag. 26
Even sorting out Greece's debts may not be enough to repair the euro WOLFGANG SCHAUBLE, Germany's
flinty finance minister, summed it up neatly, if inadvertently. "Nobody is forcing anything on Greece," he told
reporters in Brussels. "But the obligations apply." A day earlier Greek voters, chafing at those same
obligations after many years of recession, had elected a government led by the anti-austerity Syriza party.
Greece may have brought its problems upon itself. But after five years of control by a foreign "troika"-the
European Commission, the European Central Bank and the IMF, which have enforced the terms of Greece's
bail-outs-it is not hard to see why some Greeks believe that plenty of nasty things have indeed been forced
on them. Mr Schauble, Europe's foremost ayatollah of austerity, may not have meant to highlight the tensions
at the heart of the euro zone. But Greece has made them impossible to ignore. Working out how to
redistribute the pain of reducing its huge debt burden is only a start. Yanis Varoufakis, the leather-jacketed
new Greekfinance minister spent the week touring Europe's capitals in search of a deal, spraying sound bites
and inspiring fashionistas. His proposals were vague, but a uniform refusal among Greece's creditors to
consider explicit debt write-offs led him to put forward ingenious schemes, including GDP-linked bonds (see
Free Exchange), to engineer some relief in other ways. That received a lukewarm reception. Greece's banks
may anyway present a more urgent problem, especially after the ECB announced that it would no longer
accept Greek government bonds as collateral (see page 6i). European Union officials are frustrated by the
Greeks' shambolic approach and would prefer to extend the current bail-out, which expires at the end of
February. Mr Varoufakis appears to have ruled that out. Yet for all the Sturm und Drang of its early days in
office, the signs are that the Greek government is learning the limits of its creditors' patience. More wobbles
lie ahead, but the smart money is still on an eventual deal. If the economics of this latest iteration of the euro
crisis are no thornier than before, the politics have turned into a veritable gorse bush. For all the tough talk of
firewalls, EU officials are far from relaxed about the risk of Greece leaving the euro. Yet the more they offer
Syriza, the more they risk undermining moderates elsewhere. This irritates centre-right governments in such
countries as Spain and Portugal that have told their voters there is no alternative to austerity and reform; and
it scares centre-left parties who stand to lose the most if voters turn to more radical alternatives. (Like many
parties rooted in student hard-left politics, Syriza reserves its fiercest scorn for social democrats.) Some
officials freely acknowledge that the dilemma is insoluble. Euro-zone members have been surprisingly united,
so far, over how best to handle Greece. But beneath the surface some intriguing new fissures are emerging.
Mediterranean countries have joined the northern guardians of fiscal rectitude in urging a tough line on
Greece. France and Italy deny Greek requests for debt cancellation, partly because they have large loans to
Greece; but they also quietly hope that the debate may tug others into the growth-first camp. Much of
Europe's political mainstream, even in Germany, faces challenges from upstart anti-elite parties exploiting
discontent and a weakening of old loyalties. Nor is Greece the euro's only problem. The ECB may be resisting
calls to flood Greek banks with money, but it differs with Germany over quantitative easing and fiscal policy. It
also faces dilemmas of its own. As Europe's economy founders, the temptation is for the bank to fill the
political void left by squabbling governments. Yet central bankers enjoy no democratic legitimacy: the last
thing Mario Draghi, the ECB president, wants is the j ob of deciding whether Greece stays in or leaves the
euro. Across Europe many lament that all would be well if only sinners saw the light. But their theology is
contradictory. To some, the need is simply for the Greeks and others to accept that they must reform their
economies and repay their debts. To others, the Germans must concede that some debts will never be repaid
and get over their obsession with balanced budgets. If the sorry experience of the past few years teaches
anything, it is that economic consensus does not lead to political consensus. An accommodation may be
found for Greece's debt; but that will not dispel the populist challenge, in Greece or elsewhere. An iron will is
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Charlemagne | Europe's fault lines
06/02/2015
The Economist - Ed. n.6 - 7 febbraio 2015
Pag. 26
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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not enough Most democracies contain institutions that channel and balance competing interests. In the euro
zone, by contrast, politics has worked largely through crisis management and late-night dealmaking. That
cannot fix the problems of a 19-country currency zone whose members have very different ideas about how
to run the place. Nor can politics be wished away. Great efforts have been made to construct defences
against financial contagion, and to strengthen economic and fiscal rules. But in the absence of trust, bail-out
funds and banking unions get you only so far. Say this for Syriza's election: it has forced Europeans to
confront questions they keep trying to ignore. Senior figures like Donald Tusk, head of the European Council,
are thinking about how to improve euro-zone politics, perhaps starting with firing up the old Franco-German
motor. But there can be no progress when Greeks and Germans see each other, respectively, as heartless
austerians and recidivist rule-breakers. Each euro member made a great sacrifice of sovereignty by joining;
what this crisis reveals is how few have yet faced up to its consequences. Indeed, the games of the past
week must leave many observers feeling gloomy. There is little reason to think that exhortations for more
understanding now have more chance of succeeding than in the past. Europe will find a way to muddle
through, and the fissures will grow mossy again. Until the next earthquake. •
Foto: Economist.com/bLogs/charlemagne
06/02/2015
The Economist - Ed. n.6 - 7 febbraio 2015
Pag. 61
The enforcer
How the European Central Bank can dictate terms to the Greek government
AS PART of his campaign to present a Lmore conciliatory face to Greece's European creditors, Yanis
Varoufakis, the new Greek finance minister, dropped by the European Central Bank (ECB) in Frankfurt on
February 4th. He met Mario Draghi, its president, in an encounter Mr Varoufakis described as "fruitful". But
there are sweet fruits and bitter ones. After his visit, the ECB'S governing council served up a bitter variety by
deciding to make life tougher for Greek banks, already beset by big outflows of deposits. The decision was a
warning shot to the new government over its unwillingness to abide by Greece's bail-out arrangements. When
banks borrow from the ECB, they must provide eligible collateral. As a result of this week's decision, from
February 11th Greek banks will no longer be able to present bonds that have been issued or guaranteed by
the Greek government. Their ability to do so until now, in spite of the fact that junk-rated Greek debt is not
strictly eligible, has rested on a waiver of the ECB'S rules. That waiver has in turn depended upon the Greek
government's compliance with the terms of a rescue undertaken by the euro area and the cil has rescinded
the waiver on the grounds that is no longer possible to assume a successful conclusion of the review of that
programme. The ECB'S decision brings forward something that would have occurred anyway at the end of
February, when the bailout programme is due to expire unless the Greek government requests an extension
(something Mr Varoufakis has said it will not do). A separate decision taken a year ago would have had a
similar effect on bonds issued by banks and guaranteed by the Greek government, which make up a much
larger part of the collateral the banks have been using to borrow from the ECB. The decision means that
Greek banks will soon become much more reliant upon "emergency liquidity assistance" loans are subject to
risk-sharing among the euro zone's 19 national central banks. In exceptional circumstances, however, a
national central bank can lend to banks that have run out of suitable collateral, at its own risk and at higher
rates of interest. This is ELA. Although national central banks can instigate its use, the ECB must be
informed, and can restrict it if two-thirds of the governing council decide that is warranted. Greek banks are
therefore suffering a double blow. The uncertainty caused by elections and a change in government has
prompted big deposit outflows, of €4.4 billion ($5.4 billion) in December and more than twice that in January.
To make up for this, banks have had to borrow much more from the ECB. But now they have much less
eligible collateral available. The growing reliance on ELA makes the banks, and thus the Greek government
vulnerable. According to Karl Whelan, an economist at University College Dublin, the ECB has great
discretion over how much ELA to permit and when to withdraw it. So Greek banks' growing dependence on
ELA leaves the government at the ECB'S mercy as it tries to renegotiate its bailout. The ECB has form. In
2013 it announced that it would stop authorising the extension of ELA to Cypriot banks within days unless
Cyprus entered a rescue programme to ensure their solvency. That forced the Cypriot government to accept
a controversial bail-out programme. A threat to cut off ELA also forced Ireland into a rescue programme in
2010. Even a decision to cap ELA could have a dramatic effect, since it would be likely to trigger capital
controls and limits on withdrawals from banks. Mr Varoufakis may be a specialist in game theory. Mr Draghi
has had actual practice. •
Foto: The Last time someone messed with Draghi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Greece and the ECB
06/02/2015
The Economist - Ed. n.6 - 7 febbraio 2015
Pag. 7
Politics
The new prime minister of Greece, Alexis Tsipras, and his finance minister, Yanis Varoufakis (above left),
toured Europe in search of debt relief and support against austerity. Mr Varoufakis floated a plan to replace
Greek debt with bonds linked to GDP growth. For the most part, they met a dusty response; the European
Central Bank stopped taking Greek government bonds as collateral. Markets were volatile but seemed
hopeful that a deal would eventually be done. America and Europe prepared a new peace initiative to present
to the Russians to end the war in eastern Ukraine, amid heavy fighting and more military and civilian deaths.
Earlier, the pro-Russian rebel leader said he would expand his force to 100,000 men. More Russian
equipment and, according to NATO, troops poured across the border. The International Court of Justice in
The Hague rejected claims by both Croatia and Serbia that the other was guilty of genocide during their wars
of 1991-95, when some 20,000 people were killed. Italy's parliament picked a new president, Sergio
Mattarella, a former judge. He was the candidate of Matteo Renzi, the prime minister. By securing his choice
quickly, Mr Renzi improved his chances of pushing through his reforms. Tightening the net China stepped up
controls over the internet. It is now requiring users of blogs and chat rooms to register their real names with
internet providers and they must promise to avoid attacking the political system. Censors have also been
trying to restrict access to "virtual private networks", which are often used to circumvent the blocking of
politically sensitive websites. Myanmar accused a senior UN official of interfering in its affairs after she had
raised concerns about discrimination against members of the Muslim Rohingya minority. The Rohingya are
stateless and have been the target of attacks by members of Myanmar's Buddhist majority. The coalition
government in Australia suffered a resounding defeat in state elections in Queensland. The foreign minister,
Julie Bishop, denied that she is planning to oust the prime minister, Tony Abbott, whose popularity has
slumped, by mounting a challenge for the leadership of the Liberal Party. Barbaric State Islamic State
militants broadcast their beheading of a Japanese journalist and murder of a Jordanian fighter pilot, whom
they burnt alive in a cage. Jordanians, hitherto ambivalent about the bombing of Sunni jihadists, turned
against the movement strongly, welcoming King Abdullah's continued participation in the American-led
coalition as well as his execution of two jailed militants in revenge. Egypt's president deported an Australian j
ournalist who had reported for Aljazeera, ending his incarceration of 400 days for broadcasting "false" news.
Meanwhile, Egypt's courts jailed 230 people for antigovernment activity, including a liberal activist, Ahmed
Douma, who was sentenced to life in prison. Houthi rebels who have overrun the capital of Yemen, Sana'a,
refused to release the country's president, Abd Rabbo Mansour Hadi, and his cabinet from house arrest until
a deal is reached on integrating the rebels into the regular army. They said that without a deal, "a
revolutionary leadership" under their command would take full control. Forces from Chad and Cameroon
backed by French planes fought their most serious battle since entering north-eastern Nigeria to suppress
Boko Haram, a jihadist group. They claimed to have killed 250 militants and "wiped out" their bases near the
border with Cameroon. But the fighting spilled into Cameroon, with Boko Haram reportedly killing at least 70
people in the townofFotokol. Petro dollars Maria das Grac.as Foster, the chief executive of Petrobras, Brazil's
state-controlled oil company, resigned amid a corruption scandal centred on claims that Petrobras solicited
billions of dollars in payments from construction companies, some of which were funnelled to political parties.
These include the Workers' Party, which is led by Dilma Rousseff, Brazil's president. The lower house of
Brazil's Congress has elected as its Speaker Eduardo Cunha, who has often clashed with Ms Rousseff. In
Argentina it emerged that Alberto Nisman, a prosecutor who was found dead in January, had drafted a
warrant for the arrest of the president, Cristina Fernandez de Kirchner. Mr Nisman had accused the president
of obstructing the investigation of the bombing of a Jewish community centre in Buenos Aires in 1994. The
arrest warrant was found in a rubbish bin in his home. Mexico's president, Enrique Pena Nieto, ordered an
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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The world this week
06/02/2015
The Economist - Ed. n.6 - 7 febbraio 2015
Pag. 7
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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investigation into conflict-ofinterest allegations against him, his wife and the finance minister, Luis Videgaray.
Mr Pena also backed a constitutional reform to create a set of interlocking institutions to fight corruption. Pope
Francis declared that Oscar Romero, an archbishop from El Salvador who was shot dead while celebrating
mass in 1980, was a martyr. This opens the way to his beatification. Earlier popes had regarded the
archbishop, who was an exponent of "liberation theology", as a Marxist. Budget gambit Barack Obama
presented a $4 trillion budget that he said is intended "to replace mindless austerity with smart investments".
It includes plans to increase capital-gains tax for top earners from 23.8% to 28%, various levies on business
and expanded tax credits for the less well-off. The Republicans who control Congress will not pass it. Just a
few weeks after confounding the pundits by declaring that he was seriously interested in running for president
again, Mitt Romney announced that, upon reflection and a great deal of datacrunching, he was not going to
enter the race after all. Harper Lee said she was "humbled and amazed" that her second novel would be
published, 55 years after "To Kill a Mockingbird". The new book, "Go Set a Watchman", acts as a sequel,
featuring Scout Finch as an adult woman. Ms Lee had written it prior to penning her seminal work, but the
manuscript was lost for decades. She says the work is "a pretty decent effort". ••
08/02/2015
The Observer
Pag. 40
(tiratura:110000)
William Keegan
Membership of the euro subjects Italy to the fiscal sadism against which the Greeks have revoltedThe runup
to this election promises to be a mixture of daily boredom and entertaining gaffes. When I returned to London
after a seminar in Venice last weekend, the gaffe of the day appeared to be the responsibility of Stefano
Pessina, acting chief executive of Walgreens Boots Alliance ( plain old Boots to you and me), who told us that
a Labour win would be "a catastrophe" for Britain.On closer inspection, it turned out that a Labour win, if it
forced the likes of tax exiles such as Pessina to pay their taxes, would be more of a catastrophe for him and
his ilk.There is a cynical campaign being conducted by some business leaders and City luminaries to discredit
the leader of the opposition for being "anti-business", when the driving force behind Miliband's approach is
simply the desire to combat the excesses of modern capitalism, some of which notoriously contributed to the
crisis of 2007-09, from which, frankly, we are still trying to emerge.The Labour party has not been antibusiness since the reforming job done, at great cost to himself, by Neil Kinnock in the 1980s. It is fashionable
to give all the credit to Tony Blair for reforming the Labour party, but the truth is that much hard work was also
put in by Kinnock.Indeed, if anything, under Blair and Gordon Brown, Labour, in its desire to please, became
almost too pro-business and too pro- City; it was a sucker for consultations with the latter - which, curiously
enough, often gave vent to advice and reforms that led to the feathering of the nests of those consulted.
"Light-tough regulation" was one such example. And there were all manner of tax concessions for dubious
enterprises (see Private Eye, passim).Which brings me back to last weekend's seminar in the country from
which Pessina is a Monacobased tax exile. Every year now, for 20 years, the Italian government has hosted a
meeting of British and Italian journalists at which Italian ministers, officials and industrialists can speak under
what are known as Chatham House Rule - where information can be used but sources must be protected.In
my experience, at such events, there is almost always an obsession with what is going on somewhere else.
Sure enough, on this occasion the big focus of interest was whether prime minister Matteo Renzi would see
his candidate for president, the veteran Sergio Mattarella, elected, down there in Rome, over opposition from
the egregious Silvio Berlusconi, who still calls a lot of the shots.The result was considered a triumph for Renzi
with, it was hoped, good omens for his "reform agenda": We shall see. I did not get where I am today by
going too closely into Italian politics, although I once spent a memorable evening with Giulio Andreotti.But my
interest in the Italian economy goes back many years, and the word "reform" has come up so often - the
subject of ambitious presentations at many a seminar - that one has to beware of "reform fatigue" (which is
not weariness with reform: there seldom appears to be much in practice), but there is always a chance that
something may actually happen.You see, for decades, the Italian economy trundled along quite nicely, with a
strong industrial sector, a great name for design, and the ability to devalue the lira from time to time, when
wages got out of control and international competitiveness suffered. That is to say, for all its "structural
rigidities" and "Italian practices", the economy performed reasonably well.In recent decades, it has been hit by
a succession of blows, not least the financial crisis - which struck after great strides had been made in
reducing the budget deficit - and the economic straitjacket of the eurozone. Membership of the single
currency not only removes the freedom to devalue against, for example, Germany; it also subjects Italy to the
kind of fiscal sadism against which the Greeks have just revolted.The many "rigidities" of Italy's economy are
highlighted in the film Girlfriend in a Coma , made by Annalisa Piras and former Economist editor Bill Emmott,
described by Le Monde as "a desperate love letter to Italy".Well, the Italians are having another go. One
reform which might not be too popular with Pessina is yet another attempt to crack down on tax avoidance generally considered something of a national sport.They are trying to speed up the justice system as part of
an effort to stimulate more inward investment, and - especially important for so many of the young, who are
effectively excluded from the labour market - the Renzi administration aims to reduce the imbalance in labour
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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In the Eternal City, the euro remains the eternal problem
08/02/2015
The Observer
Pag. 40
(tiratura:110000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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contracts between those with a "job for life" and those desperate to get a job.Meanwhile, rays of hope as the
sun was setting in Venice last Saturday were: first, although Italy cannot devalue against Germany, the entire
eurozone may gain some relief from both the European Central Bank quantitative easing programme boosting money and credit - and the devaluation of the euro. Then there is the potential boost to spending
from the lower oil price.Nevertheless, macroeconomic policy in the eurozone remains far too restrictive. I think
we are talking of alleviation of the Italian economy's problems, rather than a cure.
08/02/2015
The Sunday Times
Pag. 27
Philip Pangalos ATHENS Matthew Campbell
CROWDS gathering outside the Greek parliament are a common spectacle in Athens. For once, though, the
thousands of people parading in front of the sand-coloured building on Friday night were not expressing
anger against the government.On the contrary, they were chanting the name of their unlikely new hero, Yanis
Varoufakis, the finance minister who, before emerging as a national champion in the war against Berlinbacked austerity, was a humble academic and blogger in Texas.With his shaved head, motorbike boots and
colourful metaphors, the square-jawed economist has stolen the limelight from Alexis Tsipras, the young
firebrand who was elected Greece's new leader on a wave of anti-austerity anger last month.His supporters
did not seem to care that he had returned empty-handed on Friday from a tour of European capitals in which
even the left-leaning French and Italian governments insisted Greece must stick to commitments made to the
EU and International Monetary Fund (IMF) and rejected any write-off of its debt.Many Greeks believe
Varoufakis's muscle-flexing against Germany - and his rejection of the much-hated "troika" of creditors, the
EU, the European Central Bank and the IMF - will pressure it into ending draconian austerity measures that
are blamed for boosting unemployment and shrinking the economy by more than one quarter.In his leather
jacket,Varoufakis looks more nightclub bouncer than politician and has been portrayed on Greek social media
variously as Superman, James Bond or an Athenian version of the tenacious New York policeman who
singlehandedly takes on an army of villains in the Hollywood Die Hard action films, starring Bruce Willis. A
new video game features Varoufakis as "Syriza Man" challenging "the evil Dr Troika".Whatever his special
powers, however, Varoufakis, who rides a powerful Yamaha motorbike, will find it hard to save his country
from the abyss; and for the enjoyment of his enemies, besides the more flattering parodies, Varoufakis is also
being caricatured on the internet as Lord Voldemort, thwarted villain of the Harry Potter series.At a
preparatory meeting on Thursday for an EU summit this week, countries lined up in support of a hardline
German document rejecting any rollback of reforms or commitments made by previous Greek governments."It
was Greece against all others, basically one versus 18," an official said.On a tour of Europe, Tsipras had got
a sympathetic hearing from François Hollande of France on Wednesday and from Matteo Renzi, the
beleaguered Italian prime minister, the day before: both have been critical of the fiscal rigour imposed on
eurozone countries by Angela Merkel, the German chancellor, and both - like Greece - are under pressure to
implement structural economic reforms. Yet they seemed reluctant to rock the boat: a French cartoonist
summed up the impasse, showing Tsipras saying to Hollande: "Please will you plead our cause with
Merkel?", to which the French leader replies: "I was going to ask you the same thing."
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Debt Hard: Greeks hail new action hero
08/02/2015
Corriere della Sera - La Lettura - Ed. n.167 - 8 febbraio 2015
Pag. 2
Io, Limonov Noi siamo l'Europa E l'Ucraina è un'invenzione
dal nostro inviato a Mosca paolo valentino
«Nell'ultimo anno la società russa è cambiata radicalmente. Abbiamo vissuto più di due decenni di
umiliazioni, come Paese e come popolo. Abbiamo subìto sconfitta dopo sconfitta. Il Paese che i russi
avevano costruito, l'Unione Sovietica, si è suicidato. È stato un suicidio assistito da stranieri interessati. Per
23 anni siamo stati in piena depressione collettiva. Il popolo di un grande Paese ha un costante bisogno di
vittorie, non necessariamente militari, ma deve vedersi vincente. La riunione della Crimea alla Russia è stata
vista dai russi come la vittoria che ci era mancata per così tanto tempo. Finalmente. È stata qualcosa di
paragonabile alla Reconquista spagnola».
È stato tutto nella sua vita, Eduard Venia minovich Savenko, alias Eduard Limonov. Teppista di periferia,
giornalista, forse agente del Kgb, mendicante, vagabondo, maggiordomo di un nababbo progressista
americano, poeta, scrittore à la page nei salon parigini, dissidente, irresistibile seduttore, cecchino nelle Tigri
di Arkan durante la decomposizione della Jugoslavia, leader politico, fondatore del Partito nazionalbolscevico, prima di vederlo sciolto e di creare L'Altra Russia.
Ma Limonov, aspro come l'agrume da cui viene il suo pseudonimo, è soprattutto un antieroe, un esteta del
gesto, un outsider che ha sempre scelto di proposito la parte sbagliata, senza mai essere un perdente. Al
fondo, Eduard Limonov è un grande esibizionista, che però non ha mai avuto paura di rischiare e di pagare
prezzi anche molto alti, per tutti i due anni di prigionia, culminati nel 2003 nei due mesi trascorsi nella colonia
penale numero 13, nelle steppe intorno a Saratov. Può quindi sembrare paradossale che, per la prima volta
nella sua vita spericolata, il personaggio reso celebre dall'omonimo libro di Emmanuel Carrère si ritrovi non
più ai margini, non più nelle catacombe della conversazione nazionale russa, eccentrico carismatico in grado
di appassionare poche decine di desperados , ma sia in pieno mainstream , aedo dell'afflato nazionalista, che
i fatti d'Ucraina e la reazione dei Paesi occidentali hanno acceso nello spirito collettivo della nazione.
Limonov riceve «la Lettura» nel suo piccolo appartamento nel centro di Mosca, non lontano dalla Piazza
Majakovskij. Un giovane alto e robusto viene a prenderci per strada, accompagnandoci su per le scale. Un
altro marcantonio ci apre la porta blindata. Sono i suoi militanti, che gli fanno da guardie del corpo. Avrà
anche 71 anni, ma a parte i capelli argentei, ne dimostra venti di meno. Magro, il volto affilato, il famoso
pizzo, l'orecchino, è tutto vestito di nero, pantaloni attillati e giubbotto senza maniche su golf a collo alto.
Parla con una voce sottile, leggermente stridula. Ha modi m olto miti e gentili, totalmente fuori tema con i
furori che hanno segnato la sua vita. «Voi occidentali non state capendo nulla», esordisce, mentre offre una
tazza di tè.
Che cosa non capiamo?
«Che il Donbass è popolato da russi. E che non c'è alcuna differenza con i russi che abitano nelle regioni
sud-occidentali della Federazione, come Krasnodar o Stavropol: stesso popolo, stesso dialetto, stessa storia.
Putin sbaglia a non dirlo chiaramente agli Usa e all'Europa. È nel nostro interesse nazionale».
Quindi l'Ucraina per lei è Russia?
«Non tutta. L'Ucraina è un piccolo impero, è composta dai territori presi alla Russia e da quelli presi a
Polonia, Cecoslovacchia, Romania e Ungheria. I suoi confini sono le frontiere amministrative della Repu
bblica Socialista Sovietica dell'Ucraina. Non sono mai esistiti. È territorio immaginario che, ripeto, esisteva
solo a scopi burocratici. Prenda Leopoli, cosiddetta capitale del nazionalismo ucraino: lo sapeva che l'Ucraina
l'ha ricevuta nel 1939 per effetto della firma del Patto Molotov-Ribbentrop? In quel momento il 57% della
popolazione era polacca, il resto erano ebrei. Di ucraini poche tracce. Il Sud del Paese poi venne dato
all'Ucraina dopo essere stato conquistato dall'Armata Rossa. Questa è la storia. Ma quando l'Ucraina ha
lasciato l'Urss non ha restituito quei territori, a cominciare dalla Crimea ovviamente, che le era stata regalata
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA Oltre l'Occidente Poeta, avventuriero, leader dei nazional-bolscevichi, il protagonista del libro di
Carrère apre la sua casa a «la Lettura» e avverte: «La nostra identità è la nostra storia»
08/02/2015
Corriere della Sera - La Lettura - Ed. n.167 - 8 febbraio 2015
Pag. 2
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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da Krusciov nel 1954. Non capisco perché Putin abbia ancora paura di dire che Donbass e Russia sono la
stessa cosa».
Forse perché ci sono confini riconosciuti a livello internazionale.
«A nessuno fregò nulla dei confini internazionalmente riconosciuti nel 1991, quando l'Unione Sovietica fu
sciolta. Qualcuno disse qualcosa? No. Questa è la mia accusa all'Occidente: applica due standard alle
relazioni internazionali, uno per i Paesi come la Russia e uno per se stesso. Non ci sarà pace in Ucraina fin
quando non lascerà libere le colonie, intendo il Donbass. L'errore di Putin è non dirlo apertamente».
Forse Putin fa così perché non vuole annettere il Donbass come ha fatto con la Crimea, perché sono solo
problemi.
«Forse lei ha ragione. Forse non avrebbe voluto neppure la Crimea. Ma il problema è suo, gli piaccia o meno.
È il capo di Stato della Russia. E rischia la reputazione».
Non si direbbe, a giudicare dalla sua popolarità, che rimane superiore all'80%.
«È ancora l'effetto inerziale della Crimea. Ma se abbandonasse il Donbass al suo destino, lasciandolo a Kiev,
con migliaia di volontari russi sicuramente destinati a essere uccisi, la sua popolarità si scioglierebbe come
neve al sole. Non sembra, ma Putin è in un angolo».
Che cosa farà, secondo lei?
«Reagisce bene. Si sta radicalizzando. Ha capito che gli accordi di Minsk sono una balla, aiutano solo il
presidente ucraino Poroshenko. Anche se controvoglia, dovrà agire. Quando un anno fa emerse il problema
della Crimea, Putin era preso dall'Olimpiade di Sochi, che considerava l'impresa della vita. Era felice. Ma fu
obbligato a usare i piani operativi dell'esercito russo, che ovviamente esistevano da tempo. Certo la Crimea è
stata la sua vittoria, anche se malgré lui . Il Donbass non era affatto nel suo orizzonte. In Occidente tutti lo
accusano di volerlo annettere, in realtà è molto esitante».
Dopo l'Ucraina quale sarà il prossimo territorio da riconquistare, i Paesi baltici?
«Intanto non penso che i Paesi baltici abbiano nulla a che fare con la Russia. Quanto all'Ucraina, credo che
dovrebbe esistere come Stato, composto dalle nove province occidentali che possono essere considerate
ucraine. Non sarò io a negare la loro cultura eccezionale e la loro bella lingua. Ma, ripeto, lascino i territori
russi».
Lei lo ha attaccato molto in passato: Putin è o no il leader giusto per la Russia?
«Siamo un regime autoritario. E Putin è il leader che ci ritroviamo. Non c'è alcuna possibilità di mandarlo via.
Ma c'è una differenza tra il Putin dei due primi mandati e quello di oggi. Il primo fu pessimo, soprattutto
impegnato a gestire il suo complesso d'inferiorità del piccolo ufficiale del Kgb. Gli piaceva la compagnia dei
leader internazionali, Bush junior, Schröder, Berlusconi. Ma nel tempo ha imparato. È migliorato. Ha detto
addio alle luci del varietà e si è messo al lavoro sul serio. Vive tempi difficili, ma fa ciò che è necessario. E
non è possibile oggi chiedergli di non essere autoritario».
Ma la Russia può non essere un Paese autoritario?
«Se Obama continua a dire che ci devono punire, ci costringe a darci dei leader autoritari».
Che cos'è per lei la Russia?
«La più grande nazione europea. Siamo il doppio dei tedeschi. A dirla tutta, noi siamo l'Europa. La parte
occidentale è una piccola appendice, non solo in termini di territorio, ma anche di ricchezze».
Per la verità l'Ue è la prima potenza commerciale al mondo.
«Ci sono cose più importanti del commercio e dei mercati».
Ma se siete la più grande potenza europea, perché siete così nazionalisti?
«Non siamo più nazionalisti di francesi o tedeschi. Siamo una potenza più imperiale che nazionalista. Le
ricordo che in Russia vivono più di 20 milioni di musulmani, ma non sono immigrati, sono qui da sempre. Noi
siamo anti-separatisti. Certo, in Russia c'è anche un nazionalismo etnico, per fortuna minoritario, ma per noi
significa soltanto guai. Io non sono un nazionalista russo, non lo sono mai stato. Mi considero un imperialista,
voglio un Paese con tante diversità ma riunito sotto la civiltà, la cultura e la storia russe. La Russia può
08/02/2015
Corriere della Sera - La Lettura - Ed. n.167 - 8 febbraio 2015
Pag. 2
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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esistere solo come mosaico».
Ma siete o no parte del mondo occidentale?
«Non è importante. È una questione dogmatica, senza significato reale. La Corea del Sud è parte del mondo
occidentale? No, eppure viene considerata come tale. Dov'è la frontiera dell'Occidente? Non è rilevante per i
russi».
Che cosa contraddistingue l'identità russa?
«La nostra storia. Noi non siamo migliori degli altri, ma non siamo neppure peggiori. Non accettiamo di
essere trattati come inferiori, snobbati o peggio umiliati. Questo ci fa molto arrabbiare. È il nostro stato
d'animo attuale».
Ma, per esempio, l'Occidente si richiama ai valori della Rivoluzione francese, democrazia, divisione dei poteri,
diritti umani. La democrazia è parte dei vostri valori?
«Per i russi la nozione più importante e fondamentale è quella di spravedlivost , che significa giustizia, nel
senso di giustizia sociale, equità, avversione alle disuguaglianze. Penso che la nostra spravedlivost sia molto
vicina a quella che voi chiamate democrazia».
Le sanzioni e la crisi economica possono minacciare il consenso di Putin?
«Penso che l'economia nel mondo di oggi sia sopravvalutata. Il motore della storia sono le passioni. Alle
pressioni economiche si può resistere. E resisteremo. Certo Putin deve fare la sua parte in Donbass. Guardi
alla nostra storia: l'assedio di Leningrado, la battaglia di Stalingrado. Possiamo farcela. In molti hanno
provato a colpirci, da Napoleone a Hitler. Ma l'orgoglio nazionale russo pesa più delle politiche economiche e
credo di conoscere bene il carattere del mio popolo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Su Putin «Siamo un regime autoritario e lui fa il necessario. Io? Un imperialista. La Russia? Può
esistere solo come mosaico»
Foto: Eduard Limonov (Dzerzinsk, 22 febbraio 1943) nella sua casa di Mosca. Sotto: l'Ucraina
Foto: ILLUSTRAZIONE DI ANTONELLO SILVERINI
07/02/2015
Tempi - Ed. n.6 - 11 febbraio 2015
Pag. 18
(diffusione:102000)
Quello marcio non sono io
Dall'inchiesta Finmeccanica alla casa al Colosseo fino all'incredibile indagine sull'anfora romana. Claudio
Scajola ripercorre i suoi infiniti processi e le sue molte assoluzioni. Di cui però il circuito mediatico si è
totalmente dimenticato di parlare
RACHELE SCHIRLE
CLAUDIO SCAJOLA, TRA GLI UOMINI più potenti del centrodestra italiano e conseguentemente per quindici
anni tra gli uomini più influenti d'Italia, è stato arrestato a Roma l'8 maggio 2014 con una operazione condotta
dalla divisione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e condotto in carcere in diretta televisiva. Su di lui è
stato detto e scritto di tutto ma ora, dopo due mesi di prigione, cinque di arresti domiciliari e un'ordinanza che
gli consente di parlare con chiunque, anche telefonicamente, ma di non allontanarsi dal comune di residenza,
Imperia, è stato rinviato a giudizio per «procurata inosservanza di pena», articolo 390 del codice penale.
Insomma, nessun favoreggiamento alla latitanza dell'ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena, come
molti giornalisti hanno detto e scritto e come anche è stato creduto dall'opinione pubblica visto il clamore
dell'arresto. La scorsa settimana, però, ha ricevuto la notizia che un altro procedimento nel quale era stato
coinvolto su iniziativa della procura di Napoli si è concluso con un'archiviazione del fascicolo, disposta dal gip
su richiesta dello stesso pm che aveva disposto l'avviso di garanzia, Henry John Woodcock. Con lui parliamo
non soltanto di vicende giudiziaria ma anche, molto, di attualità politica. Onorevole Scajola, è l'ennesima
soddisfazione giudiziaria che incassa dopo quelle relative alla casa vicina al Colosseo, l'inchiesta sul porto
d'Imperia e persino una mirabolante accusa relativa all'illecita detenzione di un'anfora romana. Premesso che
non parlerei proprio di "soddisfazioni", quella dell'anfora è una vicenda incredibile se pensa che la mia
famiglia e io abbiamo subito per un reperto di nessun valore una doppia per Ma dopo tutti questi
procedimenti, ormai una decina tra quelli che si sono conclusi, finora tutti in suo favore, e quelli ancora aperti,
non si sente nell'occhio del ciclone? Non credo che vi sia dietro una regia, se è quello che intende. Penso
però che quando sei colpito sul piano giudiziario e mediatico, sei debole, allora c'è la catena di chi ti scarica
addosso tutto ciò che trova. Questo fenomeno, naturalmente, incrocia la viltà degli uomini. Ritornando
all'inchiesta Finmeccanica: non c'era alcuna tangente, nessun intervento anche solo improprio da parte sua,
nessuna opacità. Pensa che questa inchiesta non sarebbe nemmeno dovuta partire? Mi sono molto
interrogato in proposito e sono giunto a una conclusione. Dovrei essere risentito nei confronti dei magistrati
della procura di Napoli. Eppure, se i pm non avessero avuto la correttezza di valutare che non c'era alcun
estremo per rinviarmi a giudizio, oggi sarei a processo anche per questo reato come per la vicenda
Matacena. E, mi creda, anche in questo secondo caso sono totalmente estraneo alle accuse, sia pure a
quelle molto modeste che mi vengono addebitate nel processo che si è aperto a Reggio, non a quelle
mirabolanti che sono state fatte credere all'opinione pubblica e che hanno accompagnato un arresto che ha
avuto una regia, sul piano televisivo, che nemmeno Steven Spielberg avrebbe saputo costruire in maniera più
impressionante. Ritorniamo dunque a un vecchio concetto, che si dimostra sempre più vero. Nell'opinione
pubblica e nei media si è consolidata l'idea secondo la quale la vecchia «comunicazione giudiziaria», che il
legislatore ha poi cambiato nella formula «avviso di garanzia» proprio perché notìzia comunicata
nell'interesse dell'indagato, è una condanna. Onorevole Scajola, accade se quotidiani come il Corriere della
Sera aprono il giornale sul suo avviso di garanzia. Lei sta parlando dello stesso giornale, ma non è certo il
solo, che non ha scritto mezza riga sul mio proscioglimento. Su quell'avviso di garanzia sono stati aperti i
telegiornali locali e nazionali. Mio cognato, che in quei giorni, nell'ottobre 2012, • quisizione, in ufficio e a
casa, e ci è stata sequestrata l'anfora nonostante mia moglie abbia prontamente esibito un documento del
soprintendente ai beni archeologici della Liguria che affidava proprio a mia moglie il compito di conservarla e
custodirla. • si trovava in Scozia, ha appreso la notizia dal telegiornale della tv britannica e la notizia ha
letteralmente fatto il giro del mondo. E sa chi ne ha fatto le spese? Claudio Scajola? Ovviamente sì, ma con
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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INTERVISTA QUANDO LA GIUSTIZIA FUNZIONA INTERNI
07/02/2015
Tempi - Ed. n.6 - 11 febbraio 2015
Pag. 18
(diffusione:102000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
me l'Italia. Nel mondo il circuito mediatico giudiziario non produce i danni e le distorsioni che avvengono nel
nostro amato paese. In Italia con casi come questo avveleniamo il dibattito pubblico e ci danneggiamo sul
piano dell'immagine. Abbiamo dato un esempio di poca serietà a tutti, anche ai brasiliani che hanno visto
coinvolta una delle figure più autorevoli della loro Repubblica, l'ex ministro Nelson Jobim che proprio su
Tempi.it - e ringrazio di questo il vostro giornale - disse a caldo che quelle accuse non stavano in piedi, che
mi aveva conosciuto in incontri istituzionali e niente più: «Visitai un cantiere (credo a La Spezia), dove potei
vedere una nave per pattugliamento. In nessun momento - disse Jobim - ebbe luogo una qualche "trattativa
riguardo a tangenti". Le notizie che circolano in Italia sono false». Con questa inchiesta abbiamo prodotto un
danno irreversibile alla credibilità del nostro paese e delle nostre aziende di Stato. Finmeccanica è un gioiello
e opera bene tra mille difficoltà. Sa chi ha tratto vantaggio dal nostro harakiri? Inglesi, tedeschi e americani.
Da un lato provochiamo così un danno micidiale a noi stessi e dall'altro forniamo all'opinione pubblica l'idea
che sia tutto marcio e che un interessamento a fin di bene come quello che svolsi da ministro dello Sviluppo e in generale a favore di tutte le imprese italiane che ho avuto l'onore di affiancare durante i miei due mandati
presso il dicastero di via Veneto - nasconda invece la ricerca di arricchimento. Una tangente da 500 milioni, si
figuri! Ho battuto l'ennesimo record. Come quello, del resto, del mio arresto nella vicenda Matacena... In che
senso, scusi? Nel senso che nella storia della giustizia italiana sono la sola persona indagata per quel reato a
essere stato arrestato. Tanto è vero che anche gli amici hanno stentato a credere che potessi essere
chiamato a rispondere del solo reato di «procurata inosservanza della pena». Vabbè ma qualcosa avrà pur
fatto... Guardi, il cosiddetto «caso Matacena» per quanto mi riguarda, non esiste. Vado a tutte le udienze del
processo, da quando è iniziato. Da quando è stato effettuato il mio arresto è stata presentata come
un'operazione formidabile e io sono stato descritto come colui che voleva andare a fare il referente della
'ndrangheta in Europa. No, dico, ma si rende conto? Roba fuori dal mondo e che fa capire che anche certi
inquirenti pensano che la politica si riduca al solo tentativo di arricchimento, anziché di servizio. Si è fatta
apparire un'inchiesta come un'iniziativa contro la criminalità organizzata quando qui non si vede l'ombra di un
criminale. La mia "colpa"? Essermi interessato della valutazione o meno di status di rifugiato politico per
Amedeo Matacena, quando questi già si trovava - su disposizione dei magistrati reggini - in stato di fermo a
Dubai, regolarmente detenuto. Quale fuga? Quale favoreggiamento alla latitanza? Sa quale domanda
ulteriore mi pongo adesso? In che modo usciranno i pubblici ministeri reggini da questo vicolo cieco?
Prevarranno le prove e il diritto o il condizionamento prodotto dallo stesso clamore mediatico suscitato? Ho
grande fiducia nella capacità dei giudici di individuare la verità, ma spero anche che a questa si possa
giungere in tempi brevi. È anche per questo che ringrazio Woodcock. Gli sarebbe convenuto rinviarmi a
giudizio e trascinare la cosa per anni o riconoscere che non c'era nulla a mio carico? Mi sono detto:
Woodcock è stato con me un magistrato corretto. Purtroppo una parte di pm si innamora delle proprie tesi e
le persegue anche contro l'evidenza fattuale. Non è stato così, nella vicenda Finmeccanica. Si è mai spiegato
come mai da parte del suo partito siano mancati importanti gesti di solidarietà e vicinanza? Ne ha avuti da
esponenti di altri partiti? In molti è prevalsa la valutazione: «Uno in meno, c'è spazio per me». E ancora:
«Scajola è ingombrante, ha contribuito a costruire Forza Italia, è una figura con collegamenti a livello
nazionale e riconoscimenti a livello internazionale, aveva un'idea di partito come progetto politico, strutturato
in forma democratica e partecipativa, è uno che crede che la politica è progetto». È prevalsa la linea
dell'occupazione di quel che c'è, sempre meno, e anche l'idea che Scajola avrebbe potuto influenzare
Berlusconi sul partito progettuale anziché del partito compravendita. Venendo alla politica: disastro in Forza
Italia. Chi ha sbagliato nella gestione di Mattarella? Non è giusto addossare la colpa a tizio o a caio. È stato
compiuto un errore di fondo: il capo dello Stato deve essere eletto con il più ampio consenso possibile.
L'onere della proposta spettava al partito che esprimeva il 45 per cento dei grandi elettori, il Pd, che doveva
avanzare una soluzione capace di intercettare il gradimento più vasto. Non credo si possa dire che la
proposta fosse provocatoria o di parte. Mattarella esprime una cultura politica cattolica dopo diversi presidenti
di altro orientamento ed è una persona da diversi anni lontana dall'agone politico e dunque poteva essere
07/02/2015
Tempi - Ed. n.6 - 11 febbraio 2015
Pag. 18
(diffusione:102000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
recepita bene. Invece qualcuno ha pensato che il manuale Cencelli si applicasse al Quirinale: se le
presidenze delle camere e la presidenza del consiglio sono in mano alla sinistra, allora la presidenza della
Repubblica deve essere espressa dal centrodestra. Una valutazione politica grossolana, ignorante. E allora la
contromossa doveva essere: bene la segnalazione di Mattarella, ma allora votiamolo dalla prima votazione.
Se il centrodestra avesse giocato questa carta sarebbe stato compartecipe dell'elezione e avrebbe
smascherato giochi diversi. Non si può dire, come è stato fatto, nome giusto e metodo sbagliato. Il nuovo
presidente è un democristiano, ma di sinistra. Lo conosce? Che capo dello Stato sarà? Ho una conoscenza
relativa, superficiale, perché è di una generazione precedente alla mia. Non c'è dubbio che per motivi diversi
la presidenza della Repubblica ha assunto un ruolo improprio rispetto alla competenza costituzionale. E costa
tre volte Buckingham Palace e due volte la Casa Bianca. Mattarella, per cultura politica ed educazione, può
essere l'uomo che riconduce il Colle alla sua giusta dimensione costituzionale, sia sul piano sostanziale che
formale. Esiste un problema di riferimenti politici per l'elettorato cattolico e in generale moderato? Certo che
sì. Sono almeno due elezioni, politiche 2013 ed europee 2014, che i moderati manifestano il loro disagio non
andando a votare o scegliendo Renzi, la Lega o Grillo. Ci vuole una proposta politica nuova, capace di
ridestare l'area moderata. Una cosa è il patto del Nazareno, un'altra annullare Forza Italia. C'è spazio per un
soggetto politico nuovo. Scajola fa ancora notizia. Anche nelle primarie liguri il centrodestra sembra al palo. È
così anche nella sua regione? Non ho votato, né fatto votare per Paita o Cofferati. Sono un uomo di
centrodestra che si pregia della sua coerenza. Certo, più ancora che nel resto d'Italia, alcuni nostri ex amici,
vista l'inconsistenza di Forza Italia, hanno cercato strade diverse. Fitto ha delle ragioni nel porre in
discussione la linea fin qui tenuta? Conduce la battaglia giusta di chi si trova in un partito che stenta a
costruire il suo percorso. Perché lo tengono fuori? Non sono più informatissimo sulle vicende, non
appassionanti, dei vertici azzurri. Ma resto della stessa opinione di sempre: un partito deve includere, non
escludere. La Lega cresce. C'è un modo per arginarla? La Lega ha un leader che comunica bene, un mezzo
progetto politico che va diretto alle sensazioni primarie degli italiani, ma l'alternativa di governo è un'altra
cosa. E Aitano? Come è uscito dall'elezione del capo dello Stato? Francamente la posizione di Angelino - e
me ne dispiaccio - ha dato spazio alle critiche di chi vede Ned come un partito trasformista e poltronista. Il
futuro di Scajola? Contro la mia volontà sono stato costretto a difendermi da solo dalla "ingiustizia". Sto
collezionando una per una vittorie di tappa, quando sarà finito il percorso - spero presto - se avrò cose da
dire, come sempre, le dirò. •
07/02/2015
Le Magazine du Monde - Ed. dossier
Pag. 20
par Philippe Ridetpar
Transistar.Corruption en séries.Après les succès à la télévision italienne de "Romanzo criminale" et
"gomorra", "1992" revisite l'opération mani pulite. une plongée dans les affaires politico-financières qui
ébranlèrent la péninsule.Qui a dit que les Italiens n'avaient pas de mémoire ? Pour avoir élu à trois reprises
Silvio Berlusconi à la présidence du Conseil, les voilà désormais poursuivis par cette réputation. En partie
vraie, en partie fausse, comme tous les clichés. Mais les Transalpins savent, s'il le faut, se colleter avec leur
mémoire, même si elle est douloureuse. La série télévisée " Romanzo criminale ", narrant les faits et méfaits
de la Banda della Magliana, du nom d'un quartier de Rome qui avait mis en coupe réglée tous les trafics de la
Ville éternelle dans les années 1970, s'est taillé un beau succès, après le film du même nom de Michele
Placido. Puis est venu le tour de la fiction télévisuelle " Gomorra ", suite logique au best-seller de l'écrivain
journaliste Roberto Saviano et de l'excellent film de Matteo Garrone sur l'univers hyperviolent de la Mafia
napolitaine (la Camorra). Diffusée en France par Canal +, la série est encensée par les journalistes (dont
celui du Monde).Faute d'avoir vu la moindre image de cette série dont les spectateurs du Festival de Berlin
auront la primeur, on ne peut juger de sa qualité. Mais sa première diffusion devrait créer une belle
polémique, s'agissant de personnages réels et toujours vivants et d'un pays où la mémoire (revenons-y) est
aussi une question politique. Pour les uns, les juges de cette époque, dont Antonio Di Pietro qui fonda par la
suite un parti aujourd'hui quasiment disparu, sont des " héros ", des " princes de la vertu ", des " nettoyeurs
des écuries d'Augias ". Pour les autres, des " salopards ", des " pères la vertu ", qui en mettant à bas un
système n'ont pas réalisé qu'ils allaient permettre l'émergence d'une classe politique (Forza Italia, la Ligue du
Nord...) pire encore que celle à laquelle elle se substituait. Le débat n'a pas commencé, mais on peut prévoir
qu'il sera animé.Culture et confiture.Transistar.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/02/2015
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Corruption en séries.
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