Ernesto Cavallini revisione Sergio Bosi Michele Mangani Lontano dalla Patria Romanza per Clarinetto e Pianoforte © Edizioni Eufonia 121144C Via Trento, 5 - 25055 Pisogne (BS) Tel. 0364 87069 www.edizionieufonia.it Prefazione Prendiamo un libro di storia della musica, un testo per la scuola media o un manuale specializzato, e andiamo alle pagine sull’Ottocento: il capitolo è suddiviso in due parti, una destinata al Romanticismo in Europa che ricorda i nomi di compositori quali Chopin, Schumann o Liszt, e una dedicata al Romanticismo italiano che propone una collana fatta coi nomi di Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi. Sembra quasi, insomma, che ci si sia divisi i compiti rispetto ai generi musicali e mentre in Europa il Romanticismo si esterna prevalentemente nel genere strumentale, in Italia agiscono i più grandi operisti del secolo e sembra quasi che il genere strumentale venga dimenticato. A guardar bene, già nel secondo Settecento compositori come Vivaldi, Viotti o Boccherini si erano trasferiti all’estero a causa della preponderanza nel nostro Paese della musica d’opera, fatta non solo dai ‘soliti noti’ (Galoppi o Cimarosa, Mercadante o Mayr) ma anche dalle ‘seconde linee’ (chi esegue più le pagine pur degne e professionali di Paer, Pacini, Pavesi o Zingarelli?). Una preponderanza che aveva orientato le abitudini e i gusti di un pubblico che aveva perso poco a poco il piacere di ascoltare o eseguire la musica strumentale per piccoli o grandi organici. Ma è possibile che nell’Ottocento un ‘vuoto pneumatico’ sia seguito alla grande ricchezza settecentesca di compositori e strumentisti? Per dare una risposta a questa domanda inquietante si è intrapresa un’attenta ricerca nelle biblioteche, ed è stato come quando in campagna si solleva un masso all’apparenza immobile e si scopre un inatteso brulichio di vite che senza fare troppo rumore svolgono la loro importantissima funzione nell’ecosistema. Si è scoperto che l’Ottocento strumentale italiano era arricchito dallo stesso brulichio di straordinari virtuosi, artisti che si erano assunti il compito di costruire un repertorio per il loro strumento in un’epoca nella quale sembrava non esserci spazio per nessuno di loro. Tanto più strepitosa è la sorpresa in quanto coinvolge in maniera significativa non solo pianoforte o violino, ma anche quegli strumenti considerati ‘collaterali’ alle attività concertistiche solistiche - come flauto o clarinetto, oboe o contrabbasso – che si assumono il compito oneroso di traghettare il repertorio strumentale fino a fine secolo, fino alla ‘rinascita’ operata della Generazione dell’Ottanta. E per farsi ascoltare e amare, in Italia e all’estero, questi strumentisti-virtuosi utilizzano, quasi come cavallo di Troia, proprio i temi delle arie e dei cori dei melodrammi più presenti nella mente e nei cuori di tutti: con una straordinaria capacità di mediazione è coi temi variati, i capricci e le fantasie da opere celebri che essi costruiscono ponti tra generi, traghettando l’opera dal teatro alla sala da concerto, richiamando come sirene gli appassionati del bel canto a un genere strumentale ignoto, impiegandone le celebri melodie per attirare verso lidi sconosciuti coloro che non avevano mai sentito suonare un duo strumentale. Come fa il milanese Ernesto Cavallini (1807-1874), clarinettista alla Scala e all’Opera di San Pietroburgo (è proprio pensando a lui che Verdi scrisse il celebre assolo della Forza del Destino), insegnante del suo strumento a Milano e in Russia. “Paganini del clarinetto” venne definito, e come Paganini, affianca nel suo catalogo studi, capricci e pezzi caratteristici, e proprio quelle Fantasie e quelle Variazioni da opere popolari (Sonnambula o Forza del destino, Don Pasquale o Linda di Chamounix, Norma o Faust) e meno famose (L’africana o Roberto il diavolo) che mettono in gioco, insieme, musicalità e virtuosismo, abilità e conoscenza profonda della musica e del proprio strumento. In questo modo sono pensati i “Fiori rossiniani”, dove il virtuoso milanese utilizza pagine di un autore come Rossini le cui opere, pur concepite per la generazione precedente a quella dei grandi romantici, non era mai uscite del tutto dal repertorio e le cui pagine più celebri erano rimaste nel bauli dei grandi cantanti. Arie e motivi celebri come quelli dal Guglielmo Tell o dal Barbiere di Siviglia che, anche se pur frammentarissimi e a volte appena riconoscibili, formano (in orchestra o, come in questo caso, nel pianoforte) la trama su cui poi si può dispiegare il funambolico virtuosismo del solista. Riminiscenze vere e proprie, senza alcuna volontà didascalica o di vuoto esibizionismo, per costruire un gioco nel quale l’autore ammicca alle conoscenze ‘operistiche’ dell’ascoltatore per trascinarlo a poco a poco in un mondo fatto non più di parole ma di suoni, elaborati con grande maestria con l’obbiettivo, insieme, di dilettare e affascinare. Maria Chiara Mazzi Preface If we take a book on the history of music, a text for Middle School or a specialized manual and go to the pages on the nineteenth century, we will see that the chapter is divided into two parts: one about Romanticism in Europe, in which composers such as Chopin, Schumann and Liszt are remembered, and the other about Italian Romanticism, where the names of Rossini, Bellini, Donizetti and Verdi are mentioned. As regards the types of music, it seems that the tasks have been shared and, while in Europe Romanticism develops mainly in the instrumental genre, in Italy there are the greatest opera composers of the century and it is as if the instrumental genre is forgotten. It is actually from the second half of the eighteenth century that composers such as Vivaldi, Boccherini and Viotti had moved abroad because of the predominance of opera music in Italy. This kind of music is made not only by the more known composers (Galoppi or Cimarosa, Mercadante or Mayr) but also by the less known ones (even if they are worthy and professional, who still performs the pages of Paer, Pacini, Pavesi or Zingarelli?). This predominance had oriented the habits and tastes of an audience that had gradually lost the pleasure of listening to or performing instrumental music for small or large ensembles. But is it possible that in the nineteenth century a great lack of artists followed the eighteenth-century wealth of composers and musicians? A thorough search in libraries has been done to answer this disturbing question. It was like when in the countryside you lift a rock which is seemingly motionless and you discover a swarm of lifes that, without making too much noise, carry out their very important ecosystem function. It turned out that the nineteenth century Italian instrumental was enriched by the same swarm of extraordinary virtuosi, artists who had undertaken the task of building a repertoire for their instrument at a time when there seemed to be room for none of them. The surprise is all the more amazing because it involves significantly not only piano or violin, but also the instruments considered 'collateral' to solo concert performances - such as flute or clarinet, oboe or bass – which take charge of the onerous task of bringing the instrumental repertoire to the end of the century, until the 'renaissance' of the Generation of the Eighty. And to be listened to and loved in Italy and abroad, these virtuoso musicians use, as a Trojan horse, the themes of the arias and choruses of the best-known operas: with an extraordinary capacity for mediation, the varied themes, the capriccios and the fantasias from famous operas, these musicians build bridges between genres and bring opera from the theatre to the concert hall, attracting like mermaids the bel canto fans to an unknown instrumental genre, using famous opera melodies to attract those who had never heard playing an instrumental duet towards unknown shores. This is what Ernesto Cavallini (1807-1874) does. He is a Milanese clarinetist at La Scala and at the Opera of St.Petersburg (Verdi wrote the famous solo of La Forza del Destino thinking of him) and a teacher of his instrument in Milan and in Russia. He was referred to as the"Paganini of the clarinet", and as Paganini, in his catalogue he puts side by side studies, capriccios and characteristic pieces, such as those Fantasias and Variations from popular works (Sonnambula or La forza del destino, Don Pasquale o Linda di Chamounix, Norma or Faust) and from less famous works (L'Africaine or Robert le Diable) which are characterized both by musicality and virtuosity, and by his skill and deep knowledge of music and of his instrument. This is the way the Fiori rossiniani are created: the virtuoso Milanese uses pages of an author such as Rossini whose works, although addressed to the generation which preceded the great romantics, had never gone completely out of the repertoire and whose most famous pages were left in the trunks of the great singers. We are talking about famous arie and motifs such as those from Guillaume Tell or from Barbiere di Siviglia which, even though very fragmented and sometimes barely recognizable, form (in the orchestra or, as in this case, in the piano) the plot on which the acrobatic virtuosity of the soloist can express itself. These are out-and-out reminiscences, without any didactic intention or empty exhibitionism. The aim is to play a game in which the author winks at the 'operatic' knowledge of the listener to gradually drag him or her from a world of words to a world of sounds, developed with great skill with the goal both to delight and to fascinate. 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