L’impegno sociale in chiave religiosa: dati e spunti di riflessione dal Rapporto sull’associazionismo sociale Roma – 28 novembre 2008 CEI - Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro % 1 - L’evoluzione della partecipazione sociale: l’onda lunga del terzo settore 30 28 26 24 22 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 23,2 19,5 19,1 11,1 21,0 19,5 11,4 20,5 19,7 14,4 10,4 12,4 10,6 8,1 3,6 1991 1994 12,4 8,4 5,1 1989 18,2 16,4 7,0 8,3 23,1 1997 4,7 1999 5,8 3,8 3,1 2002 Tasso di iscrizione ai partiti Tasso di iscrizione ai sindacati Tasso di iscrizione alle organizzazioni di categoria Tasso di iscrizione alle associazioni sociali 6,6 2006 2- Le associazioni del terzo settore: luoghi e organizzazioni dove si coltiva ancora l’impegno sociale Percentuale di aderenti attivi* * intervistati che dichiarano di partecipare alle attività delle associazioni “almeno una volta alla settimana” 50 45 40 35 30 25 20 15 10 49 39,3 1991 45,8 39,9 35,5 1994 1997 1999 2002 48,1 2006 Nei partiti, sindacati e associazioni di categoria la percentuale di attivisti è molto inferiore, pari a circa la metà 3 – Il crescente protagonismo delle donne 50 43,7 45 Percentuale di associate sul totale degli aderenti 43,3 40 40,8 35 30 45,9 35,8 25 20 1994 1997 1999 2002 2006 Prosegue la “lunga marcia” delle donne all’interno del terzo settore: dal 1994 ad oggi si è passati da un tasso di presenza femminile pari al 35,8% ad uno del 45,9%, con dieci punti percentuali di scarto positivo; segno che il “soffitto di vetro” è una barriera meno opprimente nell’associazionismo sociale, rispetto ad altri settori della società. % 4 - La base sociale dell’associazionismo: l’empowerment dei cittadini “non attivi” 60 40 20 0 46,5 43,6 30,6 34,9 10,7 25,7 17,5 6,3 1991 14,4 7,4 24,8 6,1 2002 10,1 10,7 10,8 2006 Non occupati Operai Lavoratori autonomi Dirigenti/impiegati pubblici Imprenditori/liberi professionisti La base dell’associazionismo sociale è assai composita: nell’arco degli ultimi quindici anni, è diventata preponderante la presenza delle principali categorie sociali escluse dal mercato del lavoro 43,6% (pensionati, casalinghe, studenti e non occupati); un secondo strato sociale (in ordine di incidenza) è formato dalle persone che lavorano nel settore pubblico (24,8% dirigenti, quadri e impiegati); si assiste, infine, ad un livellamento della percentuale di operai, imprenditori e liberi professionisti e altri lavoratori autonomi (commercianti, artigiani e operatori agricoli), che si attestano tutti attorno al 10%. Dunque, è evidente che il terzo settore ha assunto una configurazione trasversale, visto che attrae cittadini con uno status occupazionale alquanto diversificato. Ciò non toglie che la peculiarità delle associazioni sociali sembra essere quella di includere gli italiani che, per diverse ragioni, vivono ai margini del mondo della produzione. 5 - Il volontariato: in un’epoca di passioni tristi, l’altruismo sociale si è radicato nella nostra società 18 15,4 13,3 15 % 14,3 15,1 12 9 12,6 13,6 12,2 11,7 10,7 6 3 0 1983 1985 1989 1991 1994 1997 1999 2002 2006 Tra il 2002 ed il 2006 resta quasi invariata l’incidenza dei volontari sul totale della popolazione adulta: dal 15,1% al 14,3%. Il trend è quindi abbastanza stabile: ciò vuol dire che (almeno dal punto di vista quantitativo ) non vi è declino dell’impegno volontariato, come segnalano alcune diagnosi (forse troppo affrettate) sul fenomeno. 6 - Gli ambiti del volontariato: la nuova centralità delle parrocchie 5,1 Sindacati e partiti 2,4 7,2 37,7 2006 2002 1997 Parrocchia 28,4 33,3 45,5 45,0 45,1 In organizzazioni del terzo settore 19,0 In modo informale 29,1 32,5 0 10 20 30 40 50 % Le associazioni (nazionali e locali) del terzo settore, specie se iscritte ai registri previsti dalla legge n.266/91, sono l’ambito dove gli italiani prestano più di frequente l’attività di volontariato (con una percentuale che oscilla attorno al 45% negli ultimi dieci anni). Seguono le parrocchie che, specie nell’ultimo periodo di riferimento, sono diventate sempre più ricettive nei confronti dei volontari: dal 28,4% del 2002 al 37,7% del 2006. Rimane comunque alta la quota di cittadini che fanno volontariato in modo informale (individualmente o in gruppi spontanei 19%); mentre i partiti e i sindacati raccolgono appena il 5,1% dei volontari. 7- La sensibilità sociale dei praticanti: donazioni e volontariato (2006) 60 56,4 50 46,4 % 40 30 28,7 24,2 20 10 11,6 6,4 0 assente sporadica regolare frequenza ai riti religiosi Volontariato Donazioni % 8 - Il contesto: una fiducia ristretta che non aiuta a creare catene lunghe di solidarietà 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 79,2 52,9 41,7 27,2 22,6 Parenti Vicini di casa Abitanti del La gente (le Gli stranieri che quartiere persone in vivono nel generale) quartiere Molta/abbastanza fiducia % 9 – Il surplus di fiducia sociale dei cittadini credenti, soprattutto se praticanti 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 53,9 56,8 sporadica regolare 43 assente frequenza ai riti religiosi Fiducia generalizzata (medio-alta) 10 - Il clima d’opinione: l’insicurezza è diventato il tratto dominante della nostra società Precarietà economica e incertezza nel futuro (%) 65 80 60 40 31,2 64,7 31,0 20 0 2005* 2006** Difficoltà nei consumi primari (spesso/qualche volta negli ultimi dodici mesi) Il futuro è carico di rischi per sé e per la propria famiglia (molto/abbastanza d'accordo) : *Iref/Pragma, Il fisco degli italiani II, gennaio 2005 ** Iref, Nono Rapporto sull’associazionismo sociale, 2006 11 - Il problema della sicurezza • come si è visto, l’associazionismo di matrice cattolica può contare su un solido capitale sociale: i numerosissimi cittadini-praticanti che esprimono una forte sensibilità sociale, coltivando il loro civismo attraverso il volontariato e le donazioni; inoltre, si assiste ad un forte recupero della parrocchie come ambiti che accolgono nel loro alveo “iniziative sociali” fondate sulla gratuità dell’atto solidale; infine, i cattolici praticanti sono muniti di una maggiore dose di fiducia sociale; • malgrado ciò, non sfugge un dato critico di fondo: nella nostra società monta il pessimismo e la sfiducia. Questo clima d’opinione non aiuta a creare legami di cooperazione tra i cittadini. Anzi, si assiste (nella maggior parte dei casi ) ad un ritiro dalla sfera pubblica: la maggioranza degli italiani si trincera dietro atteggiamenti difensivi (distacco passivo, arroccamento nel privato o, peggio, indifferenza). • Nella nostra società imperversano peraltro messaggi allarmanti, proprio sul tema cruciale della sicurezza; una priorità per i cittadini, che rischia però di essere vanificata se non si lavora seriamente per l’integrazione sociale dei lavoratori stranieri che vengono in Italia per costruirsi un futuro migliore. • Il problema della sicurezza - lasciato al tam tam dei media e a quella parte del mondo politico che fa leva sulle paure della “gente comune” - viene declinato prevalentemente in termini di ordine pubblico (il panico morale per la piccola criminalità, con la costruzione del capro espiatorio, attraverso la stigmatizzazione del gruppo etnico o della figura impalpabile del “clandestino”). 12 - La sfida: elaborare e promuovere una nuova visione culturale della sicurezza, lavorando nel cuore della polis (il territorio) • In realtà, quest’ansia securitaria riduce il tema della sicurezza ad un problema di incolumità personale o di certezze economiche: ci si sente minacciati nel proprio privato, per un benessere familiare messo a repentaglio da diverse fonti di rischio (la microcriminalità, la crisi della terza o quarta settimana, la paura di perdere il posto di lavoro, il degrado ambientale delle periferie, ecc.) • Il punto è che - come ha sostenuto il sociologo Zygmunt Bauman - vi è almeno un altro tipo di insicurezza che domina la società contemporanea : l’incertezza cognitiva, ovvero quella forma di confusione che non consente di distinguere tra realtà e costruzione della realtà, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è degno di fede e ciò che è ingannevole. Accanto ad altri fattori oggettivi, questa forma di insicurezza cognitiva fomenta gli altri tipi di insicurezza (paura per l’incolumità personale e insicurezza economica), creando sentimenti di chiusura e di intolleranza in ampi strati sociali della popolazione. • E’ qui che si gioca la sfida per l’associazionismo di matrice religiosa (e non solo): i cattolici impegnati nel sociale possono agire nella polis promuovendo una nuova visione culturale della sicurezza: una visione fondata sul confronto costruttivo (anche tra posizioni diverse) sulle principali cause del malessere sociale dilagante. L’incertezza non verrà ridotta con le semplificazioni della politica di “tolleranza zero”. Ben altre sono le ragioni del disagio diffuso nelle nostre comunità. Gli associati religiosi (e non) possono imprimere una svolta: in definitiva essi hanno fiducia nel prossimo, a prescindere dalle diversità di cui ciascuna persona è portatrice. A ben vedere, questa loro risorsa intangibile è l’anticorpo più efficace per sconfiggere la paura e il pessimismo, per costruire ponti (e non erigere muri) nella società civile.