UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA POTENZA I MICRORGANISMI DEL VINO Adriano Sofo 1 I microrganismi del vino Adriano Sofo Indice 3 Introduzione………………………………………………………………………………… 4 Importanza dei lieviti nel processo di vinificazione………………………………………… I lieviti coinvolti nella vinificazione………………………………………….. 4 I microrganismi presenti sull’uva………………………………………………4 I microrganismi presenti nelle diverse fasi del processo fermentativo…….……6 7 Caratteristiche delle colture starter……………………….……………………… 9 Tecniche usate per l’identificazione dei lieviti di interesse vinario…………….. 9 Genere Saccharomyces……………………………………………………………………… 10 Caratterizzazione tecnologica di Saccharomyces cerevisiae………………………… 11 Caratterizzazione molecolare di Saccharomyces cerevisiae……………………………… 13 Conclusioni………………………………………………………………………… 14 Riferimenti bibliografici…………………………………………………………………… 2 I microrganismi del vino Adriano Sofo Introduzione Il vino è una bevanda utilizzata dall’uomo fin dall’antichità. Testimonianze storiche lo citano in Medio Oriente nel 6000 a.C., in Egitto e in Libano dal 5000 a.C. e, dal 2000 d.C. in Grecia e a Creta. I Romani lo diffusero in tutto il bacino del Mediterraneo dal 500 d.C., facendolo arrivare persino nei Balcani e nel nord Europa (Pretorius, 2000). Oggi il vino fa ormai parte della nostra cultura e delle nostre tavole ma ha anche un peso considerevole nelle economie di molte nazioni produttrici. Il settore vinicolo comprende ormai una grandissima varietà di vini e richiede una continua innovazione per far fronte alla concorrenza del mercato e per andare incontro alle esigenze e alla salute dei consumatori ma, nonostante la grande diversità di vini presenti, i principi di base della loro produzione sono cambiati molto poco nel corso dei secoli. Infatti, le operazioni di base della vinificazione sono: (a) pigiatura dei grappoli ed estrazione del succo; (b) fermentazione alcolica del succo ad opera dei lieviti; (c) fermentazione malolattica opzionale del vino ad opera dei batteri acido-lattici; (d) immagazzinamento ed invecchiamento del vino nelle cantine; (e) confezionamento e vendita del vino. La base scientifica del processo di vinificazione è però diventata progressivamente più chiara a partire da 150 anni fa, cioè da quando Louis Pasteur mostrò che il vino è un prodotto di una fermentazione alcolica del succo di uva operata da lieviti: era ormai chiaro infatti che i lieviti erano i principali responsabili della biotrasformazione degli zuccheri presenti nei grappoli (principalmente glucosio e fruttosio) in etanolo, anidride carbonica e altri metaboliti. In realtà, l’ecologia dei microrganismi coinvolti nella vinificazione va ben oltre la semplice fermentazione alcolica e prevede un contributo sinergico da parte di lieviti, funghi filamentosi, batteri acido-lattici, altri gruppi di batteri e persino batteriofagi (Fleet, 1999). Oggi il mercato vinicolo si alterna tra tradizione ed innovazione, con continui miglioramenti nelle tecniche di produzione applicati a metodiche tradizionali. L’analisi della diversità spazio-temporale delle specie di lieviti che prendono parte al processo di vinificazione, la selezione dei lieviti più adatti a dare un prodotto di qualità e la nuova possibilità di utilizzare uve e lieviti geneticamente modificati sono tutti nuovi approcci che forniranno risultati nei prossimi anni e costituiscono la nuova frontiera della vinificazione. 3 I microrganismi del vino Adriano Sofo Importanza dei lieviti nel processo di vinificazione I lieviti coinvolti nella vinificazione I lieviti sono ascomiceti o basidiomiceti unicellulari che si riproducono vegetativamente per gemmazione o fissione e che non formano un corpo fruttifero durante la riproduzione sessuale. Essi sono disseminati principalmente da insetti e correnti d’aria. Delle circa 700 specie classificate, 15 gruppi sono associati alla produzione del vino: Brettanomyces, Dekkera, Candida, Cryptococcus, Debaryomyces, Hanseniaspora, Kloechera, Kluyveromyces, Metschanikowia, Picchia, Rhodotorula, Saccharomyces, Saccharomycodes, Scizosaccharomyces e Zygosaccharomyces (Pretorius, 2000). Alcuni dei lieviti appartenenti alla comunità microbica presente nel vino sono autoctoni (essenziali) mentre altri sono alloctoni (fortuiti oppure transitori). Ancora, i lieviti “generalisti” presentano una vasta nicchia ecologica e possono così occupare molti habitat, mentre quelli “specialisti” sono presenti solo in pochi habitat. La coesistenza dei lieviti nella comunità microbica dipende dalla somma dei fattori fisici, chimici e biologici presenti nei vigneti e nelle cantine. Le specie di lieviti sopra indicate possono essere inoltre suddivise in tre gruppi principali: lieviti selvaggi, lieviti da vino e altri lieviti. I primi, lieviti fermentativi non-Saccharomyces presenti sulle bucce dell’uva, dànno avvio alla fermentazione e comprendono i generi Hanseniaspora, Debaryomyces, Hansenula, Metschanikowia, Candida e Scizosaccharomyces. Dei lieviti da vino fanno parte le specie vinarie di Saccharomyces “sensu stricto” (S. cerivisiae, S. bayanus, S. paradoxus e S. pastorianus), in grado di trasformare gli zuccheri del mosto e di produrre metaboliti responsabili della piacevolezza dell’aroma e dell’odore del vino. L’ultimo gruppo comprende specie appartenenti ai generi Brettanomyces, Dekkera, Saccharomycodes e Saccharomycodes, presenti in bassa percentuale durante le fasi della fermentazione e responsabili di possibili alterazioni del prodotto finale. I microrganismi presenti sull’uva L’ecologia microbica delle uve è ancora in gran parte sconosciuta, ma si stima che sulla superficie dei grappoli la popolazione microbica raggiunga valori di 103 - 105 cfu g-1. I lieviti presenti sui grappoli sono principalmente lieviti, batteri lattici e acetici; il principale lievito vinario, Saccharomyces cerevisiae, è poco frequente (<50 cfu g-1) sui grappoli non 4 I microrganismi del vino Adriano Sofo danneggiati o addirittura assente sugli acini intatti e sui suoli del vigneto. Questo solleva domande sulla sua provenienza nelle fasi di fermentazione del vino. Tra i molteplici fattori che influenzano la presenza e la crescita dei microrganismi ricordiamo l’andamento meteorologico (principalmente pioggia e temperatura), la varietà ed il grado di maturazione dell’uva, la posizione dell’acino nel grappolo, lo spessore e la composizione dello strato ceroso presente sugli acini, le pratiche agricole (ad esempio fertilizzazione, irrigazione e gestione del vigneto), lo stadio di sviluppo in cui i grappoli sono esaminati, i danni fisici provocati da uccelli, insetti e muffe, e l’impiego di prodotti chimici quali fungicidi ed insetticidi. Il danneggiamento degli acini, con la conseguente fuoriuscita di succo, provoca lo sviluppo di popolazioni microbiche con valori di 106 - 108 cfu g-1 e la presenza di funghi filamentosi, come ad esempio Botrytis cinerea, e di batteri acetici. Questo può causare la produzione di micotossine e alterazioni della composizione chimica che possono influenzare negativamente il flavour ed il colore del vino, la crescita di lieviti durante la fermentazione alcolica e lo sviluppo dei batteri lattici nel corso della fermentazione malolattica. Infine, la persistenza dei fungicidi sulle uve può influenzare negativamente l’ecologia delle comunità dei lieviti coinvolti nella fermentazione. A questi problemi si potrebbe porre rimedio mediante l’uso di uve geneticamente modificate con alti livelli di glucanasi e chitinasi e di specie antagoniste in grado di distruggere i microrganismi indesiderati, ma tali metodi non sono esenti da problemi (Pretorius, 2000). La strumentazione, i macchinari ed i contenitori utilizzati durante la raccolta dell’uva possono a loro volta rappresentare delle fonti e dei siti di proliferazione di molte specie di lieviti. Di conseguenza, i grappoli ed il succo possono essere contaminati prima di raggiungere le cantine. In particolare, S. cerevisiae, insieme ad altre specie di Saccharomyces, Candida e Brettanomyces, è abbondante sulle superfici coperte di mosto dei macchinari utilizzati per la vinificazione, costituendo un importante componente della flora “residente” (o “vinaria”) dei lieviti. Per questa ragione, la composizione delle comunità di microrganismi presenti nel mosto dipende non solo dai fattori citati in precedenza, ma anche dal metodo di raccolta dell’uva, dalla temperatura del grappolo, dal trasporto dal vigneto alla cantina, dalla condizione dei grappoli e dai metodi di pretrattamento del mosto. 5 I microrganismi del vino Adriano Sofo I microrganismi presenti nelle diverse fasi del processo fermentativo Sebbene il mosto costituisca un mezzo nutritivo relativamente completo, il basso valore di pH, l’alta concentrazione di zuccheri e gli eventuali residui di SO2 esercitano una forte pressione selettiva sui microrganismi. Di conseguenza, solo poche specie di lieviti e batteri possono proliferare. La selettività del mosto aumenta una volta che si stabiliscono condizioni di anaerobiosi, le quali inibiscono la crescita di batteri acetici o muffe. In queste condizioni, che prevedono anaerobiosi e basso pH, i lieviti trovano un microambiente favorevole e prendono il sopravvento. La forte proliferazione dei lieviti causa il progressivo esaurimento di molti nutrienti e l’aumento della concentrazione di etanolo; quest’ultimo, a sua volta, inibisce lo sviluppo di altri microrganismi quali funghi filamentosi, batteri e i lieviti più sensibili alle concentrazioni alcoliche raggiunte (Torriani et al., 1999). L’evoluzione dei lieviti durante la fermentazione è influenzata da fattori intrinseci, estrinseci o legati alle condizioni operative, tra cui ricordiamo la composizione chimica del succo d’uva, gli eventuali residui di fungicidi e pesticidi, la presenza di SO2 ed il grado di chiarificazione del succo. Inoltre, la temperatura esercita una grande influenza, ed in particolare quella di fermentazione: basse temperature (10 – 15 °C) aumentano la tolleranza all’etanolo di Kloechera/Hanseniaspora e Candida, rendendole dominanti insieme a S. cerevisiae per un periodo di tempo maggiore del normale. Ecologicamente l’intero processo prevede quindi lo sviluppo sequenziale di vari lieviti e di altri microrganismi che vengono man mano sostituiti con altri più adatti alle nuove condizioni create dai microrganismi precedenti, fino al raggiungimento di condizioni ideali per le poche specie che presentano un catabolismo fermentativo molto efficiente. Nel nostro caso, queste specie sono costituite in primis da Saccharomyces cerevisiae (il lievito vinario per eccellenza), e poi da altre specie strettamente correlate, come Saccharomyces bayanus. Nonostante S. cerevisiae sia il lievito predominante in quasi tutte le fermentazioni vinarie, negli ultimi anni alcuni studi hanno messo in evidenza l’importante contributo alla fermentazione totale, alla composizione chimica e alla struttura della comunità microbica del vino da parte di altre specie (Fleet, 1999; Torriani et al., 1999). Durante la pigiatura i lieviti che passano dalla buccia degli acini al mosto sono principalmente lieviti apiculati appartenenti ai generi Hanseniaspora e Candida, e, in minor misura, Hansenula, Picchia e Rhodotorula. Dopo circa un giorno ha inizio la fermentazione alcolica e la trasformazione del mosto in vino ad opera di lieviti del tipo apiculato appartenenti ad Hanseniaspora e/o Candida, presenti in numero elevato nel mosto (103 6 I microrganismi del vino Adriano Sofo 106 cfu ml-1). Questi lieviti, che avviano il processo fermentativo, sono caratterizzati da una bassa produzione di etanolo e da un’elevata produzione di composti volatili; essi, inoltre sono presenti solo nei primi 2-3 giorni di fermentazione, in quanto successivamente non sono in grado di tollerare concentrazioni di etanolo più alte di 5-6 gradi. I primi 2-4 giorni di fermentazione sono caratterizzati anche dalla crescita di varie specie di Metschnikowia, Picchia e Kluyveromyces, che raggiungono popolazioni di circa 107 cfu ml-1 prima di essere inibite da alte concentrazioni di etanolo (Fleet, 1999) e che sono responsabili della produzione di prodotti secondari che influiscono sulle caratteristiche organolettiche del vino. Da questo punto in poi prendono il sopravvento specie alcol-tolleranti che portano a termine la fermentazione, fino al consumo quasi totale del substrato (zuccheri). Questi lieviti appartengono al gruppo Saccharomyces sensu striato ed in particolare alla specie S. cerevisiae, responsabile della cosiddetta fase di fermentazione tumultuosa, che a fine fermentazione è quasi sempre la sola specie presente nel vino. La prevalenza dei saccaromiceti sui lieviti apiculati è favorita anche dalla presenza di SO2, in quanto i saccaromiceti sono più resistenti a questo antisettico. La maggior parte della fermentazione avviene dopo che le cellule di lievito sono entrate nello stato stazionario e quando la maggior parte dei lieviti sensibili all’etanolo è morta. (Torriani et al., 1999). Nelle fasi centrali e finali della fermentazione alcolica, accanto a S. cerevisiae possono essere presenti altre specie dotate di un discreto potere alcoligeno, quali Torulaspora delbrueckii, Zygosaccharomyces bailii, Schizosaccharomyces pombe e Schizosaccharomyces japanicus. Alla fine della fermentazione, se il vino è esposto all’aria, si sviluppano i lieviti della fioretta (Pichia membranaefaciens, Candida vini, Hansenula anomala), i quali formano veli superficiali spessi e fragili e, essendo privi di attività fermentativa, si moltiplicano respirando etanolo, causando una diminuzione del grado alcolico del prodotto finale. Caratteristiche delle colture starter Le fermentazioni spontanee hanno un andamento imprevedibile perché sono dovute ad associazioni casuali di vari lieviti, le cui caratteristiche non sono sempre note, che si sviluppano contemporaneamente o si susseguono gli uni agli altri in base alle caratteristiche del mosto. Questo porta spesso a risultati deludenti, anche partendo da uve di 7 I microrganismi del vino Adriano Sofo vitigni pregiati. Per questo oggi si è affermato l’uso di colture starter di lieviti selezionati. Con il termine “starter” si indica una popolazione microbica allo stato fresco, secco attivo, in pasta o liofilizzato, singola o mista, di ceppi selezionati di microrganismi che possiedono caratteristiche ben definite ed utili per favorire la conservazione e/o la trasformazione di un alimento. L’inoculo di colture pure di lieviti con caratteristiche migliorate è stato utilizzato per la prima volta nel 1890 da Müller-Thargau. Questo portò al miglioramento della qualità e della quantità del vino. A causa della loro predominanza, ceppi selezionati di S. cerevisiae sono commercializzati come culture starter per l’inoculo e l’induzione delle fermentazione alcolica, ma spesso sono anche utilizzati ceppi di S. baynus, S. beticus, S. capensis, S. chevaleri, S. ellipspoideus, S. fermentati, S. oviformis, S. rosei e S. vini, a seconda delle caratteristiche finali desiderate (Pretorius, 2000). I ceppi delle colture starter rendono la fermentazione più rapida e controllabile in quanto, sopprimendo e inibendo la crescita della flora naturale, influenzano il vigore, la regolarità, lo svolgimento ed il potere fermentativo del processo. Per raggiungere questo obiettivo, è solitamente raccomandata una densità cellulare per l’inoculo di 1-3 x 106 cfu ml-1. Le colture starter, inoltre, garantiscono la salubrità e una migliore qualità, composizione e conservazione del vino. Affinché un ceppo di lievito possa essere utilizzato in una coltura starter, deve essere in possesso di alcune caratteristiche essenziali, quali l’elevato grado di vigore fermentativo e di potere fermentativo, la resistenza a SO2 e l’alcol tolleranza (di circa 14 gradi). Solo S. cerevisiae ha queste prerogative di base ed è in grado di agire sui caratteri tecnologici, che interessano il processo fermentativo e ne rendono prevedibile l’andamento (ad esempio vigore e potere fermentativo), e sui caratteri di qualità, che influiscono la composizione del vino migliorandone o peggiorandone le caratteristiche (ad esempio produzione di composti secondari quali acetaldeide, alcoli superiori, acetoino e acido acetico). Un lievito da vino deve possedere le seguenti caratteristiche: rapido inizio della fermentazione, velocità costante di fermentazione, consumo totale di zuccheri fermentescibili, tolleranza all’etanolo e a SO2, bassa produzione di schiuma, composti solforati, alcoli superiori, acido acetico, acetaldeide e solfiti, produzione di un gradevole aroma di fermentazione, elevata velocità di sedimentazione e chiarificazione a fine fermentazione, stabilità genetica (quest’ultima valutata con lo studio del mantenimento delle caratteristiche genotipiche e della loro costanza nel tempo mediante analisi dei discendenti). Da quanto detto, una determinata coltura starter può essere considerata un parametro selettivo in grado di influenzare la qualità e/o la tipicità di un particolare vino e 8 I microrganismi del vino Adriano Sofo non solo un aspetto tecnologico di processo. Sarebbe allora opportuno utilizzare ceppi starter isolati dalle proprie zone di produzione vinicola, considerando così il vino un prodotto del “territorio” che comprende anche gli ecotipi microbici di una determinata area di produzione. Per raggiungere questo scopo è necessario conoscere l’ecologia microbica del mosto, considerando la presenza nelle comunità e nelle popolazioni delle diverse specie microbiche, la loro evoluzione e le loro interazioni durante la fermentazione. Il mosto, infatti, a causa del basso valore di pH e della sua composizione chimica, consente lo sviluppo di poche specie di lieviti, batteri lattici e acetici, la cui variabilità e distribuzione sono influenzate a loro volta da particolari fattori fisici, chimici e biologici. Tecniche usate per l’identificazione dei lieviti di interesse vinario Genere Saccharomyces Il genere Saccharomyces presenta ascomiceti unicellulari con cellule generalmente diploidi e di forma globosa, cilindrica o ellittica. Attualmente è composto da 12 specie, suddivise in tre gruppi: Saccharomyces sensu stricto (S. cerevisiae, S. bayanus, S. paradoxus e S. pastorianus), Saccharomyces sensu lato (S. dairensis, S. castellii, S. exiguus, S. servazzii, S. unisporus, S. barnetti e S. spencerorum) e un terzo gruppo rappresenato da S. kluyveri (Fleet, 1999). Saccharomyces sensu stricto comprende le specie di interesse enologico, in possesso di una vigorosa attività fermentativa; si tratta di quattro specie fenotipicamente molto simili, che non possono essere facilmente differenziate per mezzo delle tecniche tassonomiche convenzionali. In particolare, la specie S. cerevisiae è caratterizzata da cellule vegetative globose o subglobose, ellittiche o cilindriche, le quali possono essere singole, appaiate o riunite per formare corte catene o aggregati. Al termine dello sviluppo in mezzi liquidi, le cellule generalmente sedimentano, ma talvolta formano un anello o pellicola superficiale. S. cerevisiae è stato sempre considerato il lievito più importante in assoluto, tanto che di norma la parola generica “lievito”, senza nessun altra precisazione sottintende questa specie. Questa specie è quindi il lievito più importante dal punto di vista enologico, quello che per le sue caratteristiche di vigore fermentativo, potere alcoligeno, resistenza agli antisettici, adattabilità alle varie condizioni presenti nel mosto d’uva, interviene e può essere utilizzato in tutte le fasi della vinificazione. 9 I microrganismi del vino Adriano Sofo Caratterizzazione tecnologica di Saccharomyces cerevisiae La rapida identificazione dei lieviti è necessaria per l’accertamento del loro ruolo positivo o negativo rispettivamente nella produzione e nel deterioramento del vino. I ceppi di S. cerevisiae possono essere caratterizzati per alcuni tratti di interesse tecnologico, come la resistenza al rame e all’anidride solforosa. Prima delle analisi, i lieviti sono solitamente conservati su YPD (Yeast Peptone Dextrose). Il rame è l’unico composto, insieme allo zolfo, che può essere impiegato per la difesa fitosanitaria della vite nel caso delle produzioni biologiche, che negli ultimi tempi stanno attirando in maniera crescente l’interesse del consumatore. Per questo motivo, il carattere resistenza al rame determinato mediante test di caratterizzazione in piastra su terreno minimo SD, a cui viene aggiunta una soluzione di solfato di rame a titolo noto, in quantità variabile in funzione delle concentrazioni da testare (da 0 a 500 µmol/l di solfato di rame). Inoltre, campioni di cellule, vino e mosto possono essere raccolti nel corso del processo fermentativo e analizzati mediante spettrometria ad assorbimento atomico, al fine di determinarne il contenuto in rame. Per testare la resistenza dei ceppi all’anidride solforosa è solitamente utilizzato un terreno a base di mosto sterile agarizzato e addizionato di metabisolfito di potassio. Il mosto, pastorizzato in autoclave a 100°C per 30 minuti, è addizionato di una soluzione di metabisolfito di potassio a titolo noto (sterilizzata per filtrazione); le quantità aggiunte variano in funzione della concentrazione di anidride solforosa da testare (da 0 a 325 ppm di anidride solforosa). Le prove di fermentazione sono condotte su mosto pastorizzato a 100°C per 30 min e successivamente inoculato con un’aliquota di precoltura dei ceppi di interesse. Le fermentazioni sono portate avanti fino ad esaurimento degli zuccheri. L’andamento fermentativo è seguito determinando il calo in peso provocato dall’evoluzione di CO2, ed è espresso come grammi di CO2 prodotti per 100 ml di mosto fermentato. Il calo in peso è monitorato ogni due giorni e il processo fermentativo è considerato concluso quando non si osserva più evoluzione di CO2. Sui campioni, raccolti e stoccati a –20°C, possono essere infine determinati per via gascromatografica alcuni composti, quali alcoli superiori, in particolare n-propanolo, isobutanolo e alcol isoamilico, acetaldeide e acetoino tra i composti carbonilici, acetato di etile, il principale estere del vino, e acido acetico. 10 I microrganismi del vino Adriano Sofo Caratterizzazione molecolare di Saccharomyces cerevisiae I metodi di identificazione basati sull’analisi degli acidi nucleici offrono molto spesso valide alternative ai metodi convenzionali. Essi presuppongono come tecnica di base la PCR (Polymerase Chain Reaction) al fine di amplificare il DNA estratto (Baleiras Couto et al., 1996). La tecnica RAPD (Random Amplified Polymorphic DNA) è uno dei più rapidi strumenti per la tipizzazione dei microrganismi e si è mostrata anche adatta per l’identificazione dei lieviti vinari a livello di specie (Deák, 2002). Essa si basa sull’amplificazione di segmenti “random” del DNA impiegando un solo primer, abbastanza corto (5-15 mer), con una sequenza nucleotidica arbitraria. L’amplificazione è resa possibile dal fatto che la reazione viene effettuata ad una temperatura di appaiamento del primer molto bassa; in tal modo le molecole del primer possono appaiarsi anche a sequenze di DNA non esattamente complementari alla propria e perciò potranno innescare la reazione di polimerizzazione della polimerasi in più punti del genoma bersaglio. In questo modo alla fine della reazione di amplificazione si otterrà non un singolo frammento amplificato, ma una serie di frammenti il cui numero e la cui lunghezza varierà da specie a specie e/o da ceppo a ceppo. Un altro tipo di approccio, basato sempre sulla tecnica PCR, consiste nell’amplificazione di alcuni frammenti, impiegando oligonucleotidi specifici [ad esempio (GTC)5, (GAC)5, (GACA)4] per semplici sequenze ripetute di DNA, sequenze note come “microsatelliti”. Questa tecnica è più riproducibile rispetto alla RAPD a causa della più alta temperatura di annealing, 55°C invece di 37°C. I microsatelliti o SSR (Simple Sequenze Repeats) sono sequenze ripetitive di DNA, formate da piccole unità (di solito inferiori a 10 bp), disperse nel genoma. Queste sequenze ripetitive sono una delle maggiori componenti del DNA degli organismi superiori, tra cui i lieviti; i microsatelliti mostrano un alto grado di polimorfismo tra individui appartenenti alla stessa specie (Querol and Ramón, 1996). Un’altra tecnica impiegata per la classificazione e l’identificazione di diverse specie e generi di lieviti è la determinazione del cariotipo elettroforetico mediante elettroforesi in campo pulsato (PFGE). Quando il DNA estratto dalle cellule viene sottoposto all’azione di un campo elettrico su di un gel, le molecole del DNA cromosomico si allungano e si allineano parallelamente al campo. Periodici cambiamenti del campo elettrico provocano riorientamenti delle molecole di DNA, che formano bande separate, in 11 I microrganismi del vino Adriano Sofo accordo alle loro dimensioni. Dal momento che per una molecola a catena lunga lineare esiste una relazione tra il cambiamento conformazionale indotto da un campo elettrico e la lunghezza della molecola stessa, le molecole più piccole si riallineeranno più velocemente nel nuovo campo elettrico e, quindi, continueranno a muoversi attraverso il gel. Molecole più grosse, viceversa, impiegheranno più tempo per allinearsi. In questo modo, variando continuamente la direzione del campo, si separano le molecole più piccole da quelle più grandi. Il numero e le dimensioni delle molecole di DNA cromosomico viene considerato caratteristico di ogni specie. Grazie alla tecnica PFGE, diversi studi hanno messo in evidenza l’esistenza di un importante polimorfismo cromosomico (Deák, 1995). I risultati ottenuti per mezzo di questa tecnica dimostrano che il cariotipo elettroforetico rappresenta un metodo relativamente semplice per ottenere l’impronta molecolare di ceppi specifici impiegati nelle fermentazioni industriali. Le relazioni filogenetiche tra i lieviti possono essere esaminate ricorrendo all’analisi del DNA ribosomiale (rDNA), che permette di confrontare sia specie strettamente correlate che specie molto distanti tra di loro. L’rDNA contiene geni strutturali per l’RNA ribosomiale (rRNA), alternati a regioni spacers trascritte e regioni spacers non trascritte. Nelle diverse specie di lieviti, i geni che codificano per l’rRNA sono localizzati in un’unica regione del genoma, formata da 100-150 repliche di un frammento di 9 Kb. Questi frammenti contengono due unità trascrizionali, una delle quali (7 Kb) è un cluster dei geni che codificano per il 18S, il 5.8S e il 26S rRNA e i due “internal transcribed spacers” (ITS), ITS1 e ITS2. La seconda unità, che è trascritta in direzione opposta, corrisponde al 5S rRNA. Al fine di individuare regioni dotate di maggiore potere discriminatorio, solitamente si sequenzia il 18S rDNA, in quanto le dimensioni di questa molecola sono sufficienti ad ottenere un buon potere discriminatorio, ed in seguito alla presenza di regioni con diverso grado di conservazione, è possibile confrontare sia specie molto distanti filogeneticamente che specie abbastanza vicine, per la presenza di regioni caratterizzate da diverso grado di conservazione. In alternativa, un tipo di approccio molto più conveniente per lo studio del rDNA è quello basato sulla tecnica ARDRA-PCR (Amplified Ribosomal DNA Restriction Analysis - PCR), che permette di ottenere discriminazione sia a livello di specie che di genere. In questo caso, infatti, le diverse regioni dell’rDNA vengono prima amplificate, per mezzo della PCR, e poi sottoposte a digestione con endonucleasi di restrizione. L’analisi di restrizione del DNA mitocondriale (mtDNA) appare uno dei metodi più adatti per differenziare i lieviti a livello di ceppo, in quanto i lieviti presentano un alto 12 I microrganismi del vino Adriano Sofo grado di variabilità sia nella dimensione che nella forma del loro mtDNA. Il mtDNA tagliato con endonucleasi di restrizione genera dei pattern che possono mettere in evidenza il polimorfismo esistente tra diversi ceppi, questo perché le regioni genomiche alleliche spesso differiscono per sostituzioni di singole coppie di basi, delezioni, inserzioni o riarrangiamenti che alterano il sito di riconoscimento di un enzima di restrizione, o la distanza che separa due siti per un determinato enzima. I punti critici di questa tecnica sono però l’estrazione del DNA e la scelta dell’enzima di restrizione (Deák, 2002). Conclusioni Nonostante i grandi progressi nella comprensione dei processi fermentativi del vino, esistono ancora molte aree di ricerca da approfondire. La fermentazione naturale è un processo complesso durante il quale è possibile osservare la sostituzione sequenziale di molti ceppi di lieviti durante il processo. I recenti studi nel campo dell’ecologia microbica delle uve indicano che nella fermentazione alcolica, oltre a S. cerevisiae, sono coinvolte anche altre specie, tra cui anche batteri, ma il loro contributo ecologico e biochimico non è ancora del tutto chiarito. Di pari passo con gli studi di ecologia microbica, una gamma di tecniche molecolari mostrano grandi vantaggi, soprattutto se accompagnate da metodi convenzionali, ma esse presentano anche dei problemi quali l’adeguata preparazione del personale, il grado riproducibilità e talvolta i costi eccessivi. In futuro, queste tecniche saranno probabilmente migliorate e saranno usate di routine nel settore dell’industria vinicola. Infine, l’uso di colture starter appropriate di lieviti identificati e selezionati, e la non remota possibilità di ottenere lieviti vinari geneticamente modificati sono altri chiari esempi di settori in cui potranno essere rivolte le prossime ricerche e si potranno ottenere maggiori vantaggi in termini di controllo del processo e di qualità del prodotto. 13 I microrganismi del vino Adriano Sofo Riferimenti bibliografici Baleiras Couto M, Eijsma B, Hofstra H, Huis in’t Veld JHJ, Van der Vossen JMBM (1996) Evaluation of molecular typing techniques to assign genetic diversity among Saccharomyces cerevisiae strains. Applied and Environmental Microbiology 62 (1): 41-46 Deák T (1995) Methods for the rapid detection and identification of yeast in foods. Trends in Food Science & Technology 6: 287-292 Deák T (2002) Application of molecular techniques in wine microbiology. Acta Alimentaria 31 (1): 37-44 Fleet GH (1999) Microorganisms in food ecosystems. 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