Cass., sez. I, 19-08-2004, n. 16206
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO R.G.N. 18954/2002
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MUSIS Rosario
- Presidente Dott. CAPPUCCIO Giammarco
- Consigliere Dott. ADAMO Mario
- Consigliere Dott. FORTE Fabrizio
- Consigliere Dott. PETITTI Stefano
- rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
KARANANAYAKA MIRLORY APPUHAMY, WARNAKULASURIYA RANJTH LAL,
WARNAKULASURIYA PALA SAGATH, WARNAKULASURIYA XAVIER PRABAT,
MARASINGA
SAMANTHA,
WIJESIGHA
JUDE,
KIRINDAGE
ANTHONY,
WARNAKULASURIYA
SAMANTHA,
NANAYAKKARA
UPUL
SUMITH,
WARNAKULASURIYA SAMPATH, ANGODA RANJITH PERERA, SIRIWANDANA CKANTA
ROY,
RANANAYAKANALA
JANDICA,
WARNAKULASURIYA
KRISTOPER,
WARNAKULASURIYA LUSON, MHAPATABADIGE ANTON PERERA, WADISINGHE
KUMAR,
KURERA
PRADEEP,
HIGULA
RANJAN,
RANASINGHA
PRADEEP,
WARNAKULASURIYA NIRAJAN SUSITHA, WARNAKULASURIYA INDIKA, WIJESINGH
RASIK, MAKEWITALIYANGE LALITH, WARNAKULASURIYA PRASANGA DILIP,
NDENIARACHCHILA, HARISHOHANDRASR, WIKAMA ARAJIGA SUMITH, KOSWATTA
EDWARD, MIHINDUKULASURIYA SUNIL SHANTHA, WARNAKULASURIYA SUJITH,
WARNAKULASURIYA REMON, GAJASINGHAGE PRADEEP, WUEPURAGE ROSHAN
PRADER, WARNAKULASURIYA JOSAPH, BADDELEYANAGE JOHAN, SATHTHMBILAGE
EMMANUEL, RANKOTH MAHINDA, FERNANDO SUGATH, MAHARA SUJIT,
HMACHARIGECHAM SUGANDA, KURAGE PERERA NEWTON, KURUKULASURIYA
NUWAN SRIYANTHA, WARNAKULASURIYA OLIVER SALIYA, WARNAKULASURIYA
AMILA PIERIS, WARNAKULASURIYA NALIN, WARNAKULASURIYA JUDE VIVINTON,
WARNAKULASURIYA SUGATH, JOSEPH MANJULA, BODALAGE JUDE ALEX,
DONKARAGE SANEE, WARNAKULASURIYA KRISHAN, KACHCHKADUGE SUJITH,
WARNAKULASURIYA
SUSIL,
MODARA
FEDIGE
ANTHONY
RUKAMAN,
WARNAKULASURIYA CRISTIAN, HOMMAGEHIRANTA, MUTHUTAHNTIGRE SEBASTIAN
ROSHAN, MANDANASINGHAGE JESMAN KRISHANTHA, WARNAKULASURIYA VINOL
RAJNDRA,
MANTREHAWAGE
KITHSIRI,
WARNAKULASURIYA
CRISTOFER,
WARNAKULASURIYA
KALUN
SURANGA,
MASHEWGE
SADEEP
MALINDA,
WARNAKULASURIYA PRIYANTHA, WARNAKULASURIYA LALITH, ATHUGALPEDIGE
HENRY, KOTTE HEWAGE JUDE MIRLOY, WARNAKULASURIYA MADMAN,
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WARNAKULASURIYA MERIL, WARNAKULASURIYA SURESH, WARNAKULASURIYA
WILTON TANSA, WARNAKULASURIYA PRADEEP, WELGAMAGE ROHAN GAMANTHA,
WARNAKULASURIYA
TERANCE,
ANAYAKAKARANAKUL
PATABEDAGE,
WARNAKULASURIYA THRANGA CHANA, TENNAKOON ARUNAJEEVA, AMARATUNGA
ANTONI,
WARNAKULASURIYA
JOSAFH,
WARNAKULASURIYA
MALKAM,
WARNAKULASURIYA LENARD, GINDADDARAGE JAYANTHA, WARNAKULASURIYA
RANIL
THUSARA,
KALUGE
SAMPATH,
WARNAKULASURIYA
SANJEEWA,
WARNAKULASURIYA SUMITH, TANGALA WASANTHA, BAMMANAGE THUSHARA,
SOTHIMUNI SUJEEWA, WARNAKULASURIYA JAYANTHA, RAJAKARUNA TAYAMPATHI,
WARNAKULASURIYA JAGATH, KULAKULASURIYA NIHAL, WARNAKULASURIYA
KASMIR, WARNAKULASURIYA JOSEPH DENSIL, WARNAKULASURIYA JANAKA,
WARNAKULASURIYA NIMAL, ADHKARI SAMAN, WARNAKULASURIYA SUJITH
SHANTA, WARNAKULASURIYA NALIN SURANGA, RANKOTHEPEDIGE GAMINI,
KARULUTHTAGEDON PATHUM, KALUGE AJITH HEMANTHA, WARNAKULASURIYA
SUNETH,
MAHARA
APPUHAMI
LAXMAN,
WARNAKULASURIYA
JOSEPH,
WARNAKULASURIYA JANAKA, ETTIYAMIRICHALAG PIAYL KUSUMIRI, MATHWITAGE
EGNESUS, WARNAKULASURIYA RUFES, ATHUGAL PEDIGE STANLY PADMA,
COLAMBAGE CRISTI, HERATH CHAMPIKA, WARNAKULASURIYA WARUNA, RANKOTH
PEDIGE ATHULA, RAJAPAKSE NIMAL, HAPANPADIGE SARATH, WARNAKULASURIYA
TUDER, MIHIDUKULASURIYA TANGASAN, elettivamente domiciliati in ROMA presso LA
CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE PIAZZA CAVOUR, rappresentati e
difesi dagli avvocati ROSA EMANUELA LO FARO e PAOLO CANTELMO, giusta mandato a
margine del ricorso;
- ricorrente contro
PREFETTURA DI LECCE, MINISTERO DELL'INTERNO e QUESTURA DI LECCE;
- intimati avverso il provvedimento del Tribunale di LECCE, depositato il 24/04/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/11/2003 dal Consigliere Dott.
Stefano PETITTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio che ha concluso
per l'accoglimento del primo motivo e assorbimento del resto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con provvedimento in data 24 aprile 2002, il Tribunale di Lecce, in composizione monocratica,
rigettava il ricorso proposto da Karananayaka Mirloy Appuhamy e altri 119 stranieri avverso i decreti
di espulsione emessi dal Prefetto di Lecce in data 6 aprile 2002 e notificati in data 8 aprile 2002.
Ad avviso del Tribunale, gli impugnati decreti di espulsione erano stati emessi legittimamente ai sensi
dell'art. 13, comma 2, lett. a), d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nella ricorrenza del presupposto in detta
norma previsto (circostanza non contestata).
Quanto ai motivi di ricorso, il Tribunale rilevava che non costituisce ipotesi di nullità del decreto di
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espulsione e del successivo verbale di notifica la mancata traduzione degli stessi nella lingua dei
destinatali del provvedimento (cingalese o tamil), in quanto, con la traduzione nelle tre lingue indicate
nell'art. 7, risultava comunque osservato il disposto dell'art. 7 del d.lgs. n. 286 del 1998.
La mancata menzione del motivo per il quale non era stata possibile la traduzione nella lingua d'origine
integrava infatti una mera irregolarità, non incidente sulla validità del provvedimento. La motivazione,
peraltro, era agevolmente individuabile, così come dichiarato nel verbale d'udienza, nell'impossibilità
di provvedere a tali adempimenti nei tempi brevi richiesti dal presente procedimento ed attesa anche la
specificità della lingua del destinatario del provvedimento.
Il Tribunale escludeva inoltre che costituisse motivo di nullità dell'impugnato decreto sia la dedotta
mancata consegna di quest'ultimo "in busta chiusa", non essendo espressamente prevista (tanto meno a
pena di nullità) detta modalità di consegna, e non incidendo comunque la stessa sul raggiungimento
dello scopo dell'atto, sia l'eccepita mancanza, nell'impugnato decreto prefettizio, dell'indicazione del
difensore di fiducia, non essendo detta nomina, da parte del Prefetto, prevista da nessuna disposizione
di legge. Al contrario, il Tribunale rilevava che l'art. 13, comma 10, del T.U. sull'immigrazione
prevede, nel caso in cui lo straniero ne sia sprovvisto, la nomina di un difensore da parte del Giudice
solo successivamente all'emissione del decreto prefettizio, al fine di ricorrere avverso quest'ultimo.
Ad avviso del Tribunale erano poi inammissibili i rilievi in ordine alla decisione della Commissione
centrale per i Rifugiati politici, avverso la quale deve essere proposto autonomo e specifico giudizio
nelle forme di legge (come, peraltro, era stato fatto da circa 60 ricorrenti: v, esibite copie degli atti di
citazione notificati il 9/4/2002).
Infondata era invece la censura relativa alla dedotta violazione dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990,
atteso che l'obbligo dell'amministrazione di dare comunicazione agli interessati dell'avvio del
procedimento doveva ritenersi del tutto incompatibile con la particolare rapidità e brevità del
procedimento avente ad oggetto la legittimità del decreto di espulsione.
Il Tribunale escludeva poi di poter rilasciare un permesso di soggiorno per cure mediche o di poter
ridurre a tre anni il disposto divieto di rientrare in Italia, non essendo fornito di alcun supporto
probatorio l'indicato presupposto del possesso, in capo ai ricorrenti, del requisito della buona condotta
degli stessi sul territorio dello Stato.
Quanto ai rilievi, contenuti nel verbale d'udienza 22-4-2002, relativi all'avvenuta mancata convalida, da
parte del Tribunale, del provvedimento (emesso dal Questore) di trattenimento presso il centro di
accoglienza, il Tribunale osservava che sul punto nessuno specifico provvedimento era stato richiesto.
In ogni caso, rilevava che, secondo la sentenza della Corte Costituzionale 10 aprile 2001, n. 105, la
mancata convalida del provvedimento di accompagnamento travolge si anche il provvedimento di
espulsione, ma nella sola parte in cui viene disposto l'accompagnamento immediato alla frontiera,
mentre resta efficace, salvo diversa valutazione del Tribunale in sede di ricorso ex art. 13, comma 8,
T.U. immigrazione, il provvedimento di espulsione, da integrare con la residua intimazione a lasciare il
territorio dello Stato entro gg. 15 ex art. 13, comma 6.
Avverso tale provvedimento i centoventi stranieri ricorrono per cassazione sulla base di nove motivi.
Le amministrazioni convenute non si sono costituite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve preliminarmente essere dichiarata la inammissibilità del ricorso notificato al Ministero
dell'Interno, giacchè, come questa Corte ha ripetutamente affermato, "nei giudizi promossi con ricorso
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contro il decreto di espulsione la legittimazione passiva appartiene in via esclusiva, personale e
permanente all'autorità che ha emesso il provvedimento, e cioè al Prefetto" (Cass., 5 aprile 2002, n.
4847; Cass., 6 febbraio 2003, n. 1748).
Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 156
c.p.c. e 13 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.. Benchè nelle richieste di
asilo politico essi avessero espressamente dichiarato di parlare esclusivamente la lingua madre, il
decreto di espulsione non era stato tradotto nella loro lingua, mentre era stata tradotta in cingalese la
relata di notifica dei dinieghi emessi dalla Commissione centrale dei Rifugiati. Essi erano poi stati
trattenuti senza convalida presso i centri dal momento dello sbarco, avvenuto in data 15 e 18 marzo, ed
erano stati sentiti dalla Commissione presente presso la Prefettura di Lecce, che aveva negato loro il
diritto di asilo, e i conseguenti provvedimenti non erano stati tradotti e per questa ragione essi si erano
rifiutati di firmarli e di riceverne copia. Successivamente, erano stati trasferiti presso il Centro di
trattenimento Regina Pacis e in data 8 aprile 2002 avevano ricevuto notifica del decreto di espulsione
non tradotto nella lingua richiesta, con la giustificazione, contenuta nel verbale reso dalla Questura di
Lecce "Attesa l'impossibilità di reperire prontamente in interprete di lingua cingalese o Tamil". In
proposito, i ricorrenti rilevano che la dizione normativa "ove non sia possibile", riferita alla traduzione
del decreto di espulsione non poteva ritenersi integrata nella specie, in considerazione del fatto che gli
interpreti erano presenti presso la Questura e dinanzi alla Commissione, ed avevano anzi provveduto
alla traduzione delle sole relate di notifica relative al diniego dello status di rifugiato. Di qui l'erroneità
del punto uno del provvedimento impugnato e la nullità dei provvedimenti impugnati.
Il motivo è inammissibile. Con esso, infatti, i ricorrenti non appuntano le proprie censure
sull'argomentazione in base alla quale il Tribunale di Lecce ha escluso, nella specie, la nullità del
decreto di espulsione per omessa traduzione dello stesso in una lingua conosciuta dai destinatali. In
proposito, il Tribunale ha ritenuto insussistente la dedotta nullità del decreto di espulsione e del
successivo verbale di notifica in quanto, da un lato, i suindicati atti erano stati tradotti nelle tre lingue
prescritte dall'art. 13, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998, e, dall'altro, la motivazione per cui non era
stata possibile la traduzione in un'altra lingua nota ai destinatari dei provvedimenti espulsivi era
agevolmente individuabile nella impossibilità di provvedere a tale adempimento nei tempi brevi
richiesti dal procedimento, considerata anche la specificità della lingua. Orbene, a fronte di tali
argomentazioni, i ricorrenti hanno dedotto la insussistenza, in fatto, della impossibilità di tradurre in
una lingua loro nota i decreti di espulsione, in sostanza riproponendo le censure già fatte valere con il
ricorso avverso il decreto di espulsione, ma non hanno appuntato le proprie doglianze sulla
motivazione in base alla quale il Tribunale di Lecce ha ritenuto che la mancata traduzione del
provvedimento fosse stata determinata dalla impossibilità di provvedere ai necessari adempimenti. Il
che si risolve in una causa di inammissibilità del motivo.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 13, comma 9,
d.lgs. n. 286 del 1998, dell'art. 24 Cost. e dell'art. 159 c.p.c., in riferimento all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, cod.
proc. civ..
Assumono i ricorrenti che all'udienza del 10 aprile 2002 e in quella dell'11 successivo, il Tribunale era
stato investito della valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi emessi il 6 aprile
2002, concernenti la convalida del trattenimento presso il CPT Regina Pacis e quindi, incidentalmente,
degli atti predisposti dalla P.A., con particolare riferimento alla sussistenza del diritto di asilo dei
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ricorrenti stessi, sicchè il Tribunale non avrebbe potuto limitarsi a non convalidare il trattenimento, ma
avrebbe dovuto decidere sul provvedimento di espulsione. Tuttavia, il Questore di Lecce, violando le
prescrizioni del Tribunale, aveva proceduto al rimpatrio dei ricorrenti mediante accompagnamento
coatto in pari data e il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che i ricorrenti non avessero formulato
alcuna specifica istanza e che non avessero contestato la violazione della lettera a) dell'art. 13 d.lgs. n.
298 del 1998. Che si tratti di erronea valutazione discenderebbe, ad avviso dei ricorrenti, dalla lettura
del verbale di udienza del 22 aprile 2002, nel quale il difensore dei ricorrenti stessi aveva affermato che
"tutti gli atti amministrativi posti in essere dal Prefetto e dal Questore di Lecce sono stati illegittimi,
annullabili ed alcuni inesistenti, ed in tale sede si insiste in tale richiesta". Il Tribunale quindi avrebbe
dovuto dichiarare che i provvedimenti di espulsione erano illegittimi e conseguentemente annullarli,
eventualmente anche d'ufficio; ciò che invece non avrebbe potuto fare era scorporare il provvedimento
di espulsione da quello di accompagnamento coatto, contenuti in un unico atto.
Con il terzo motivo si deduce motivazione contraddittoria e insufficiente in ordine al capo 8) del
provvedimento, in riferimento all'art. 360, n. 5, c.p.c.. Nell'indicato capo, il provvedimento impugnato
afferma che "secondo la sentenza della Corte costituzionale del 10 aprile 2001, n. 105, la mancata
convalida del provvedimento di accompagnamento travolge sì anche il provvedimento di espulsione,
ma nella sola parte in cui viene disposto l'accompagnamento immediato alla frontiera, mentre resta
efficace, salva diversa valutazione del Tribunale in sede di ricorso ex art. 13, comma 8, T.U.
immigrazione, il provvedimento di espulsione, da integrare con la residua intimazione a lasciare il
territorio dello Stato entro 15 giorni ex art. 13, comma 6". Nella successiva giurisprudenza
costituzionale, osservano i ricorrenti, si è ulteriormente chiarito che il controllo del giudice investe non
solo il trattenimento, ma anche l'espulsione amministrativa nella sua specifica modalità di esecuzione
consistente nell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica regolata dall'art. 13. Il
Tribunale, a seguito della mancata convalida del decreto del Questore, avrebbe quindi dovuto
dichiarare la nullità del provvedimento di espulsione sia dal punto di vista formale, per la permanenza
nell'atto della dizione relativa all'accompagnamento coattivo, sia dal punto di vista sostanziale, perchè
travolto da nullità insanabili derivate. Nella specie, inoltre, non solo l'atto non è stato revocato, per poi
essere eventualmente rinnovato, ma ha addirittura avuto esecuzione con le modalità negate dal Giudice
della convalida, attraverso l'accompagnamento coattivo degli stranieri. Del resto, lo stesso Tribunale, là
dove riconosce che il provvedimento doveva essere integrato con l'intimazione a lasciare il territorio,
ammette che l'atto amministrativo avrebbe dovuto essere modificato perchè erroneo nella forma e nella
sostanza, quanto meno per le modalità di esecuzione dell'espulsione. In altri termini, osservano i
ricorrenti, la dizione accompagnamento coattivo contenuta nell'atto di espulsione è un elemento
inscindibile dell'atto, sicchè la mancanza o la non idoneità dell'atto in quella forma, o la sua eventuale
eliminazione, costituisce nullità assoluta della prima.
I due motivi ora esposti, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro connessione, sono
infondati, avendo il Tribunale di Lecce correttamente respinto l'impugnazione se pur dispiegando
motivazione che deve, come appresso, essere integrata.
Per dar conto della infondatezza dei motivi di ricorso è opportuno ricordare, sia pure sinteticamente, la
normativa in tema di espulsione amministrativa vigente prima delle modificazioni introdotte dalla legge
106 del 2002, di conversione del decreto-legge n. 51 del 2002, e dalla legge n. 189 del 2002,
applicabile, ratione temporis, al caso di specie.
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L'art. 10 del decreto legislativo n. 286 del 1998 prevedeva che la polizia di frontiera poteva respingere
gli stranieri che si presentassero ai valichi di frontiera senza i requisiti per l'ingresso nel territorio dello
Stato. Il respingimento con accompagnamento alla frontiera era altresì disposto dal Questore nei
confronti degli stranieri che, entrando in Italia sottraendosi ai controlli di frontiera, venissero fermati
all'ingresso o subito dopo o fossero stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di
pubblico soccorso.
Il successivo art. 13 disciplinava, invece, l'espulsione amministrativa dello straniero, disposta in ogni
caso con decreto motivato (art. 13, comma 3), che poteva avvenire in due modi: mediante intimazione a
lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni e ad osservare le prescrizioni per il
viaggio e per la presentazione all'ufficio di polizia di frontiera, oppure mediante accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica. A quest'ultima modalità si ricorreva sempre quando l'espulsione
fosse stata disposta dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato,
ovvero quando lo straniero si fosse trattenuto indebitamente nel territorio dello Stato oltre il termine
fissato con l'intimazione (art. 13, comma 4, lettera a).
In tutti gli altri casi l'accompagnamento alla frontiera, pur essendo materialmente eseguito, come nei
casi precedenti, dal Questore, era riconducibile ad un provvedimento del Prefetto, il quale, in sede di
adozione del provvedimento di espulsione, poteva disporre che essa venisse eseguita mediante
accompagnamento solo ove ritenesse sussistente, tenuto conto di circostanze obiettive riguardanti
l'inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero, un concreto pericolo che questi si potesse
sottrarsi all'esecuzione del provvedimento. In particolare, il decreto di espulsione adottato dal Prefetto
ai sensi dell'art. 13, comma 2, al quale si doveva accompagnare una motivazione circostanziata circa le
ragioni che lo avevano indotto ad optare per la espulsione immediata con accompagnamento alla
frontiera anzichè per quella differita con intimazione, costituiva il presupposto per l'esecuzione
dell'accompagnamento nei confronti dello straniero che fosse entrato nel territorio dello Stato
sottraendosi ai controlli di frontiera o non fosse stato immediatamente respinto e fosse privo di valido
documento attestante la sua identità e nazionalità (art. 13, comma 2, lettera a), e comma 5; dello
straniero che si fosse trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno
nel termine prescritto, salvo che il ritardo fosse dipeso da forza maggiore, o il cui permesso di
soggiorno fosse stato revocato o annullato o fosse scaduto da più di sessanta giorni senza che ne fosse
stato chiesto il rinnovo art. 13, comma 2, lettera b), e comma 6); infine, dello straniero che appartenesse
a categorie di persone pericolose (art. 13, comma 2, lettera c), e comma 4, lettera b)).
Secondo l'art. 14 del medesimo decreto legislativo n. 286 del 1998, nel caso in cui non fosse possibile
eseguire con immediatezza il provvedimento di espulsione amministrativa mediante accompagnamento
alla frontiera ovvero il respingimento, per la necessità di procedere al soccorso dello straniero, ad
accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero all'acquisizione di
documenti di viaggio, o ancora per l'indisponibilità del vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, il
Questore disponeva che lo straniero venisse trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il
centro di permanenza temporanea e di assistenza più vicino. Il provvedimento di trattenimento doveva
essere trasmesso al giudice senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dalla sua adozione per la
convalida nelle successive quarantotto ore, sussistendone i presupposti e sentito l'interessato. La
mancata convalida comportava la perdita di efficacia del provvedimento, mentre la convalida
legittimava il trattenimento per un periodo di complessivi venti giorni, prorogabili dal giudice, su
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richiesta del questore, di ulteriori dieci giorni.
L'esame del giudice in sede di convalida, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 105 del 2001, non poteva ritenersi limitato alla sussistenza di un decreto di espulsione con
accompagnamento e dei presupposti per la misura del trattenimento, dovendo la verifica di legittimità
estendersi anche agli atti presupposti al provvedimento di trattenimento. La convalida poteva quindi
essere negata sia per la insussistenza delle condizioni previste per il trattenimento, sia per la
illegittimità degli atti presupposti, e cioè del decreto di espulsione o dell'accompagnamento, individuata
dal Prefetto quale modalità di esecuzione dell'espulsione.
In caso di mancata convalida, occorreva dunque di volta in volta accertare quali fossero state le ragioni
che avevano indotto il giudice ad esprimersi in senso negativo: se cioè questi avesse ritenuto
insussistenti le ipotesi nelle quali poteva essere disposto il trattenimento, ovvero se avesse valutato
illegittima l'adozione dell'accompagnamento, quale modalità di esecuzione della espulsione.
Nella specie, i ricorrenti deducono che il Giudice non ha convalidato il provvedimento di trattenimento,
ma nulla allegano in ordine alle ragioni della mancata convalida, e in particolare non specificano se la
non convalida del trattenimento sia dipesa dalla illegittimità dell'accompagnamento. Ne consegue che,
essendo il trattenimento subordinato alla ricorrenza di alcune condizioni e non potendosi, nella specie,
ritenere che la non convalida sia dipesa dalla illegittimità dell'accompagnamento, deve escludersi che la
mancata convalida del trattenimento possa dispiegare un qualsiasi effetto sul provvedimento di
espulsione, che di quello è presupposto.
Nè può attribuirsi rilievo alle deduzioni dei ricorrenti, secondo cui in sede di udienza camerale era stata
verbalizzata la frase "tutti gli atti amministrativi posti in essere dal Prefetto e dal Questore di Lecce
sono stati illegittimi, annullabili ed alcuni inesistenti, ed in tale sede si insiste in tale richiesta". A parte
il rilievo che i provvedimenti del Questore hanno, nel caso di specie, formato oggetto di esame in sede
di giudizio di convalida del trattenimento, il giudice del merito ha non implausibilmente ritenuto che
con tale formulazione i ricorrenti non abbiano introdotto richieste ulteriori rispetto a quelle formulate
nel ricorso avverso i decreti di espulsione.
Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 13, comma 9,
d.lgs. n. 286 del 1998 e dell'art. 24 Cost., in riferimento all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ.. I
ricorrenti assumono che in sede di ricorso contro il decreto prefettizio di espulsione avevano chiesto di
essere sentiti e interrogati dal giudice. La violazione, da parte del Questore di Lecce, dell'obbligo di
rilasciarli aveva impedito loro di partecipare all'udienza davanti al Tribunale civile di Lecce nel
procedimento di impugnazione del decreto di espulsione, con conseguente violazione del loro diritto di
difesa.
Il motivo è infondato.
Premesso che è indubitabile che, ai sensi dell'art. 13, comma 9, d.lgs. n. 286 del 1998 (abrogato dall'art.
12 della legge 30 luglio 2002, n. 189, ma applicabile ratione temporis al caso di specie), nel
procedimento introdotto con il ricorso avverso il decreto di espulsione il giudice deve procedere
all'audizione dell'interessato, è altrettanto indubbio che l'onere posto a carico dell'organo giudicante in
tanto può ritenersi violato, in quanto della fissazione della udienza di trattazione del ricorso non venga
dato avviso allo straniero e al difensore da questi nominato (Cass., 4 marzo 2003, n. 3154; Cass., 26
novembre 2003, n. 18031). La mancata audizione dell'interessato, del resto, non è causa di nullità del
provvedimento poichè il giudice è tenuto a decidere in ogni caso entro dieci giorni dalla data del
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deposito del ricorso, sicchè la decisione può essere validamente presa anche in assenza del ricorrente
(v. Cass., 11 gennaio 2002, n. 298).
Nella specie, dallo stesso ricorso si evince che il procuratore dei ricorrenti ha partecipato al
procedimento, svolgendo istanze e contestando le difese dell'amministrazione convenuta, il che
consente di ritenere che la comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza in Camera di consiglio
sia stata tempestivamente effettuata.
Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 3 d.P.R. n. 136 del
1990, dell'art. 2 d.lgs. n. 286 del 1998, del d.P.R. n. 394 del 1999, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.. Il
motivo si riferisce al capo 4 del provvedimento impugnato, "circa l'inammissibilità dei rilievi in ordine
alla Commissione centrale". I ricorrenti ritengono che il Tribunale avrebbe dovuto effettuare una
delibazione incidentale sul fumus del diritto di asilo e sulla sua fondatezza, avendo essi lamentato le
vicende politiche, delineanti una situazione di disordine sociale, economico e politico e di impedimento
dell'effettivo esercizio delle libertà democratiche nel loro Paese.
Con l'ottavo motivo, che per ragioni di connessione deve essere esaminato congiuntamente al quinto, i
ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 19 d.lgs. n. 286 del 1998 e dell'art.
10 Cost., della Risoluzione del Consiglio europeo 20 giugno 1995, sulle garanzie minime per le
procedure di asilo. La Prefettura e la Questura di Catania con i provvedimenti amministrativi posti in
essere avrebbero violato le norme che prevedono il principio del "non respingimento" e del divieto di
espulsione previsto dall'art. 19, nonchè le garanzie minime per le procedure di asilo previste dalla
legislazione europea. L'art. 10, n. 4, infatti, vieta il respingimento dei richiedenti asilo, dei rifugiati e di
coloro che devono essere protetti per motivi umanitari. L'art. 19, a sua volta, prevede il divieto di
espulsione e di respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione
per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali o sociali. La legislazione comunitaria ha inoltre predisposto, attraverso la richiamata
risoluzione, una serie di diritti dei richiedenti asilo per evitare possibili violazioni da parte degli Stati
interessati. Nella specie, le garanzie minime sarebbero state violate dalla Prefettura e dalla Questura di
Lecce, le quali non hanno tenuto conto che parte dei ricorrenti aveva già un'udienza dinanzi al giudice
civile contro il diniego dello status di rifugiato, ed hanno negato ai richiedenti asilo ogni possibilità di
presenziare con la propria audizione personale all'udienza già fissata e a quella relativa alle espulsioni,
in contrasto con il principio secondo cui non può procedersi all'espulsione di uno straniero che abbia
impugnato un provvedimento, perchè ciò lederebbe il suo diritto di difesa. I decreti di espulsione sono
stati emessi, nella specie, perchè i ricorrenti erano entrati clandestinamente in Italia e non erano stati
respinti ai sensi dell'art. 10 d.lgs. n. 286 del 1998. Essi, tuttavia, secondo la citata risoluzione europea,
provenendo da un Paese ove è impedito l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, avevano diritto di ricorrere ad un'autorità autonoma per l'impugnazione e ciò è
stato loro impedito; avevano diritto al rilascio del permesso di soggiorno e tale permesso non è stato
rilasciato. E che il diritto di asilo costituisca un diritto soggettivo, azionabile anche in mancanza di una
legge attuativa dello stesso, è stato riconosciuto anche dalle Sezioni unite di questa Corte in forza del
carattere precettivo dell'art. 10, terzo comma, Cost.. L'autorità di polizia e il Prefetto di Lecce hanno
quindi eseguito una espulsione illegittima.
I motivi sono infondati.
Dal testo del provvedimento impugnato si evince che la domanda di asilo proposta dai ricorrenti è stata
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disattesa dalla Commissione per i rifugiati, di cui all'art. 1 del decreto-legge n. 416 del 1989,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 30 del 1990, tanto che, come rilevato anche nel ricorso,
alcuni dei destinatali dei provvedimenti negativi hanno proposto azione dinnanzi al tribunale civile per
il riconoscimento del loro diritto di asilo. In tale situazione, il Tribunale di Lecce ha correttamente
ritenuto che, in sede di giudizio avverso il decreto di espulsione, non potessero essere effettuati rilievi
avverso la decisione della Commissione istituita dall'art. 1 del decreto-legge n. 416 del 1989, convenite
dalla legge n. 30 del 1990. E tanto più ciò deve ritenersi corretto, in quanto questa Corte, nella sentenza
11 giugno 2003, n. 9632, ha affermato che "il riconoscimento dello status di rifugiato può rappresentare
una circostanza ostativa e, dunque, un possibile vizio del provvedimento di espulsione, ma non della
sua esecuzione da parte del Questore che, come risulta dagli artt. 13 e 14, una volta emanato il decreto
è senz'altro tenuto a darvi corso senza necessità di richiedere alcun altro nulla osta se non quello
previsto per l'ipotesi in cui lo straniero si trovi sottoposto a procedimento penale".
Che se poi i ricorrenti, con il motivo in esame, si dolessero del fatto che il giudice non abbia
pronunciato su una istanza di accertamento incidentale circa la sussistenza del fumus boni iuris del loro
diritto di asilo, la censura che avrebbe dovuto essere proposta era quella di omessa pronuncia e non già
quella dedotta.
Con il sesto motivo, i ricorrenti deducono violazione dell'art. 24 Cost., dell'art. 84 c.p.c., della
legislazione comunitaria, della Risoluzione del Consiglio del 20 giugno 1995 sulle garanzie minime del
diritto per le procedure di asilo, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.. Le disposizioni che si assumono
violate, osservano i ricorrenti, prescrivono il diritto dei richiedenti asilo ad essere assistiti da un
difensore e da un interprete. Nella specie, tale diritto sarebbe stato calpestato dalla Commissione dei
rifugiati e sarebbe stato evaso anche dal Prefetto di Lecce, il quale, nel decreto avrebbe dovuto indicare
l'avvenuta nomina del difensore di fiducia per rendere agevole la sua identificazione da parte del
Tribunale di Lecce e per poter permettere allo straniero una immediata difesa tecnica. In sede di
convalida, a causa di ciò, il Tribunale di Lecce non ha avuto conoscenza dei nominativi dei difensori e
non ha notificato prontamente l'udienza di convalida, anche se i difensori, casualmente, ne erano venuti
a conoscenza e avevano potuto approntare le difese per 111 stranieri. La mancata indicazione da parte
della P.A. dei difensori avrebbe quindi concretizzato una violazione dell'art. 84 c.p.c. E tanto più tale
violazione sarebbe evidente, in quanto sin dalla prima fase del procedimento amministrativo gli
stranieri avevano eletto domicilio presso il difensore e lo avevano nominato. Il Tribunale avrebbe
quindi errato nel ritenere che dell'intervenuta nomina non si doveva tenere conto.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Inammissibili sono le deduzioni concernenti i diversi procedimenti svoltisi davanti alla Commissione
rifugiati, da un lato, e al Tribunale per la convalida del trattenimento nei centri di permanenza
temporanea e di assistenza disposto dal Questore ai sensi dell'art. 14 d.lgs. n. 286 del 1998, dall'altro,
non potendosi far valere nel procedimento concernente la legittimità del provvedimento di espulsione
vizi relativi a procedimenti e a provvedimenti diversi, per i quali sono stati già esperiti, secondo quanto
si desume dallo stesso ricorso, i rimedi previsti dall'ordinamento.
Il motivo è invece infondato per quanto riguarda il procedimento di espulsione, giacchè, come
correttamente rilevato nel provvedimento impugnato, nessuna norma prevede che il Prefetto,
nell'adottare il decreto di espulsione, debba indicare, ove risulti dagli atti, il nominativo del difensore
nominato dallo straniero ovvero provvedere alla nomina di un difensore di ufficio. È solo in relazione
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al procedimento di convalida del trattenimento, che l'art. 20 del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 384,
prescrive che, con la comunicazione del provvedimento di trattenimento adottato dal Questore, lo
straniero è informato del diritto di essere assistito nel procedimento di convalida, da un difensore di
fiducia, con ammissione, ricorrendone le condizioni, al gratuito patrocinio a spese dello Stato (in
proposito, v. ora l'art. d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115), e che allo straniero è altresì dato avviso che, in
mancanza di difensore di fiducia, sarà assistito da un difensore di ufficio designato dal giudice e che le
comunicazioni dei successivi provvedimenti giurisdizionali saranno effettuate con avviso di cancelleria
al difensore nominato dallo straniero o a quello incaricato d'ufficio. E anche l'art. 13, comma 10, d.lgs.
n. 286 del 1998, nel testo applicabile ratione temporis, stabiliva che "lo straniero, qualora sia sprovvisto
di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice", sicchè, anche sotto tale profilo, il
provvedimento impugnato deve ritenersi immune dalle proposte censure.
Con il settimo motivo, i ricorrenti deducono violazione dell'art. 32 Cost., in relazione all'art. 360, n. 3,
c.p.c.. I ricorrenti sostengono che erano affetti da varicella, accertata dal medico del Centro di
trattenimento, e che quindi, anche per la loro condizione di asilanti, non potevano essere espulsi in base
al decreto del Questore di Lecce. Il Tribunale avrebbe errato nell'affermare che non compete all'autorità
giudiziaria rilasciare permessi di soggiorno per cure mediche. Del resto, ricordano i ricorrenti, questa
Corte ha statuito che non possono essere espulsi gli stranieri che devono essere sottoposti a cure
mediche urgenti.
Il motivo è inammissibile.
Dalla parte espositiva del ricorso emerge che tra i motivi di impugnazione dei decreti di espulsione vi
era il seguente: "i ricorrenti sono stati infettati dal virus della varicella e il loro rimpatrio è stato rinviato
al giorno 15 aprile, per ben 17 persone, per tali persone veniva chiesta la sospensione del rimpatrio e il
rilascio di un soggiorno per cure mediche". Nel presente ricorso viene invece dedotta la violazione
dell'art. 32 Cost. sostenendosi che "gli stranieri erano affetti da varicella e non erano in alcun modo
espellibili attraverso quel decreto di espulsione emesso dal Questore di Lecce". In tale situazione,
ribadito che i motivi di opposizione al decreto di espulsione devono essere articolati nell'atto
introduttivo in modo specifico e non mutevole (Cass., 3 aprile 2003, n. 5117), risulta evidente il
contrasto tra quanto affermato in sede di opposizione ai decreti di espulsione circa il differimento
dell'espulsione fino ad una certa data, e quanto sostenuto nel motivo in esame, riferendosi quest'ultimo
alla totalità dei ricorrenti, senza che dal ricorso stesso sia possibile desumere un qualche collegamento
tra i soggetti per i quali era stato disposto il differimento della espulsione e quelli nei confronti dei quali
il decreto è stato eseguito. E tanto più tale collegamento sarebbe stato necessario, poichè nell'ultimo
motivo di ricorso, come si vedrà, viene dedotto che per alcuni dei ricorrenti l'espulsione è stata eseguita
l'11 aprile 2002, con la conseguenza che sarebbe stato necessario specificare se, e per quali dei
ricorrenti, il differimento della esecuzione della espulsione, pure disposto, non è poi stato attuato. Con
il che risulta inammissibile il motivo di ricorso in esame, giacchè esso viene riferito a tutti i ricorrenti,
mentre, da quanto affermato in altra parte dello stesso ricorso, emerge con certezza che il problema
sanitario riguardava solo alcuni dei ricorrenti, per i quali, peraltro, nello stesso ricorso si da atto della
disposta sospensione della esecuzione della espulsione.
Con il nono motivo, i ricorrenti denunziano violazione degli artt. 2 e 5-bis del decreto-legge 4 aprile
2002, n. 51, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.. L'esecuzione della misura per alcuni dei ricorrenti, si
sostiene in ricorso, sarebbe avvenuta quando il decreto citato era già entrato in vigore, sicchè il
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Procuratore della Repubblica di Lecce avrebbe dovuto ulteriormente convalidare l'accompagnamento
alla frontiera, emesso lo stesso giorno in cui sono stati notificati i provvedimenti di espulsione; questi,
pertanto, avrebbero dovuto essere eseguiti seguendo la normativa vigente in quel momento.
L'eccezione era stata formulata dinanzi al Tribunale, il quale invece ha erroneamente ritenuto che in
proposito non era stata formulata alcuna istanza.
I1 motivo è infondato, giacchè, pur a prescindere dalla genericità delle indicazioni in ordine a quali dei
ricorrenti l'espulsione sarebbe stata eseguita con accompagnamento alla frontiera dopo la data di entrata
in vigore del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (in ricorso si afferma che "l'esecuzione della misura per
alcuni è avvenuta l'11.04.2002"), è assorbente il rilievo che la convalida prevista dalle disposizioni
citate attiene all'accompagnamento, quale modalità esecutiva dell'espulsione, ma non anche
all'espulsione in quanto tale.
In conclusione il ricorso deve essere respinto. Poichè le amministrazioni intimate non hanno svolto
attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso.
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11_Cass_04-16206