SPORT CALCIO
Corriere del Ticino
VENERDÌ 23 MAGGIO 2014
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L’intervista
Nestor Subiat:
«Svizzera attenta,
l’Ecuador è forte»
L’ex bomber di Lugano, GC e della Nazionale
conosce bene i nostri avversari sudamericani
TARCISIO BULLO
❚❘❙ Nestor Subiat, indimenticato
bomber del Lugano, del
Grasshopper e per alcune partite
anche della Nazionale rossocrociata, lancia l’allarme: nel gruppo
di Svizzera e Francia sarebbe pericoloso sottovalutare il ruolo
dell’Ecuador, squadra che Nestor ha visto spesso durante le
eliminatorie sudamericane.
Ha perso i capelli, Nestor, ma è
rimasto uguale ai tempi in cui
giocava nel Lugano: allegro, un
po’ guascone. La sua risata è forte e contagiosa. Passaporto rossocrociato, ma anche argentino e
francese, oggi Subiat vive poco
lontano dal Mont Ventoux, massiccio della Provenza reso celebre dal Tour de France, dove gestisce un piccolo hotel, un’agenzia che si occupa di organizzare
viaggi in Argentina e serate in cui
propone prodotti del grande paese sudamericano.
«Che girone, quello con Svizzera
e Francia! La partita la vedrò sul
posto e non esito a dire che tiferò
per la Svizzera. In Brasile resterò
solo pochi giorni: il tempo per
vedere anche la mia Argentina
affrontare la Bosnia» dice Nestor.
La Svizzera ti è rimasta nel cuore...
«E come potrebbe essere altrimenti? Se ho disputato un Mondiale lo devo ai rossocrociati.
D’accordo, non è che abbia potuto divertirmi molto, ho giocato
solo pochi minuti, ma un Mondiale ti resta nel cuore per tutta la
vita, è un avvenimento straordinario per un calciatore. L’avventura negli Stati Uniti, nel 1994, è
stata bellissima, uno dei momenti magici della mia carriera
assieme alla vittoria di Coppa col
Lugano nel 1993 e ai titoli conquistati col Grasshopper. Ma sul
piano emotivo, il Mondiale non
ha paragoni».
Entriamo subito nel vivo di que-
FIFAWORLDCUP
BRASILE
- 20 GIORNI
LA FRANCIA
Ribéry e Benzema sono ottimi
giocatori, ma la squadra francese è
inesperta. Deschamps (foto) è un
tecnico che punta molto sulla
coesione del gruppo.
L’ARGENTINA
Sarà seguitissima e dispone di un
attacco «atomico» con Messi
(foto), Agüero, Di Maria e Higuain.
LA SVIZZERA
Non mi sorprende che la squadra di
Hitzfeld (foto) sia presente al terzo
Mondiale consecutivo. Non ha grandi
stelle, ma tanti buoni giocatori.
sto Mondiale: dici che Svizzera
e Francia farebbero bene a non
sottovalutare l’Ecuador?
«Lo confermo. Conosco bene la
squadra sudamericana, che ho
visto quasi sempre all’opera nelle
eliminatorie. È composta da giocatori bravi sia sul piano atletico,
sia su quello tecnico. Io penso
che per batterli ci vorrà la miglior
Francia e la miglior Svizzera e
che questo girone sia molto
equilibrato. L’Ecuador pratica un
gioco molto latino, sudamericano, fatto da un mix di tecnica e
fisicità, privilegiando i tocchi di
prima intenzione e chiudendosi
bene in retrovia, un po’ sul modello della Colombia. Valencia è
il loro fuoriclasse: è uno dei giocatori più veloci al mondo!».
La Svizzera ti ha sorpreso?
«Francamente no. Non ha un
Messi o un Ronaldo, ma dispone
di un buon collettivo e di giocatori esperti, che giocano in campionati di buon livello. Il gioco
dei rossocrociati mi piace, al
Mondiale potrebbe anche fare
un bel percorso».
Francia permettendo...
«Anche il collettivo di Deschamps è di valore, ma un po’ troppo
giovane per fare grandi cose in
Brasile. Si stanno preparando
per l’Europeo del 2016, che giocheranno in casa. Giocatori come Ribéry e Benzema possono
però fare la differenza e i francesi
hanno un vantaggio: nessuno li
dà per favoriti. Partono a fari
spenti, nelle migliori condizioni
per diventare una sorpresa. Deschamps inoltre sa il fatto suo: se
non ha convocato Nasri è perché
lo conosce bene e sa che se poi
non gioca fa casino. Lui punta sul
gruppo».
La «tua» Argentina invece?
«È sempre tra le favorite e anche
se gioca in Brasile sarà un po’ come giocare in casa, perché saranno tantissimi gli argentini che la
seguiranno. So che molti esperti
LA SCHEDA
IL TORO Nestor Subiat con la maglia rossocrociata contro la
Cechia: forza fisica e fiuto del gol le sue carte. (Foto Keystone)
non hanno fiducia nella tenuta
della difesa, ma io invece sì: il sistema di gioco assomiglia a quello dell’Atletico Madrid e davanti
abbiamo una forza d’urto incredibile con Messi, Agüero, Higuain e Di Maria».
Torniamo alla gestione di un
Mondiale: tu che l’ha vissuto,
quali sono le difficoltà che incontrano i giocatori?
«Stavolta sarà anche più dura del
solito a causa dei lunghi spostamenti e delle variazioni di clima
che si incontreranno in Brasile.
Detto questo però, la cosa più
difficile da gestire è la vita di
gruppo per un mese o anche più,
per chi ha la fortuna di andare
avanti nel torneo. Bisogna essere
preparati mentalmente a stare
lontani dalla famiglia, dai propri
affetti, e sopportare la vita di
gruppo. Bisogna avere una mentalità forte, vincente e sapere a
cosa si va incontro».
Voi eravate preparati nel ‘94?
«Tocchi un tasto dolente: no, non
lo eravamo. E infatti secondo me
siamo tornati a casa perché
quando siamo arrivati a giocarci
l’ottavo di finale con la Spagna
buona parte dei giocatori chiave
erano mentalmente stanchi.
Adesso lo posso dire: io sapevo
che avremmo perso. Sentivo i
discorsi dei «senatori», che volevano riabbracciare le loro famiglie, che si lamentavano per la
lontananza da casa. Non potevo
crederlo, mi sono arrabbiato».
Cosa sai del Lugano di oggi?
«La città mi è rimasta nel cuore.
Ho vissuto anni bellissimi e la
Coppa era stata il mio primo
grande successo personale, ma
anche quella di un Ticino che da
tempo non vinceva. Peccato che
oggi la società non riesca più a
stare in Super League».
CARTOLINA DA RIO
NESTOR GABRIEL SUBIAT
È nato a Buenos Aires, in Argentina, il 23 aprile del 1966.
Trasferitosi in Francia ancora
ragazzo, cresce nel vivaio del
Mulhouse (1. e 2. Divisione
francese), debuttando in prima
squadra a 18 anni.
A LUGANO NEL 1992
È Karl Engel a scoprire questo
attaccante argentino di razza
che grazie alle origini svizzere
della moglie possiede il passaporto elvetico. In bianconero
Subiat rimane due stagioni
(1992/94) firmando una storica doppietta nella finale di
Coppa del ‘93 contro il
Grasshopper (4-1). In Nazionale gioca 15 partite (6 reti) e il
Mondiale del 1994 negli USA,
dal ‘94 al ‘97 veste la maglia
del Grasshopper, poi di Basilea, St. Etienne, E. Carouge e
Lucerna. Si ritira nel 2002.
DI MAURO GALVAO
Il mio Brasile ha perso quell’anima allegra e spensierata
V
enti giorni al Mondiale, ma a tenere banco non sono questioni
calcistiche. Cari amici del Corriere, il Brasile sta vivendo mesi
concitati. L’immagine di un Paese divertito
e divertente, spesso spensierato, è soltanto
un luogo comune: conviviamo con problemi di varia natura. E il calcio suo malgrado
è diventato un mezzo attraverso il quale far
conoscere al mondo i nostri guai.
Negli ultimi giorni le proteste hanno coinvolto città come Sao Paulo e Belem. La
gente continua a scendere in piazza: delusione e inquietudine si rincorrono, la rabbia
è sempre presente. Me ne accorgo quotidianamente anche per le strade di Rio, casa
mia. Semplicemente, i Mondiali sono stati
organizzati male: sono stati spesi tanti,
troppi soldi; trascurando settori vitali come
la salute e l’istruzione pubblica.
Le persone normali, quelle che si alzano la
mattina per andare a lavorare, si erano illuse: «Il Mondiale cambierà il Brasile» pensavano. Niente di più sbagliato: quando la
Coppa lascerà le nostre coste, non rimarrà
niente. Se non strutture mastodontiche
francamente non necessarie. Definirei i
Mondiali un regalo avvelenato. O meglio
un’occasione persa: avremmo potuto migliorare il Paese, ci siamo limitati a costruire stadi. Per giunta spendendo il doppio rispetto a quanto era stato preventivato.
Insomma, le promesse non sono state mantenute. Posso comprendere la rabbia: oltre
ad essere costati troppo, diversi stadi non
sono ancora stati completati. E potrebbero
causare intoppi o problemi durante la Coppa. Inoltre, perché andare a costruire un
impianto nuovo di zecca a Manaus, città
che con il calcio non ha nulla da spartire?
L’organizzazione ha privilegiato l’aspetto
politico, senza seguire uno sviluppo armonico. Si è voluto esportare il prodotto calcio
in tutto il Paese.
Peccato, davvero, anche perché tecnicamente parlando dobbiamo aspettarci un grande
Mondiale, un lusso per chi ama il calcio
come me.
Questa Coppa in fondo è lo specchio di
quello che siamo. Il Brasile presenta forti
contrasti. Povertà e ricchezza vivono letteralmente fianco a fianco. Ma la nazione è
cambiata, ha perso la sua naturale allegria,
le persone ora sono molto più preoccupate
e attente alla scena politica. Si è sviluppata
una forte coscienza civile: se guardate bene,
i moti di protesta sono formati da professori, intellettuali, scrittori anche. Non sono
«semplici» questioni per poveri, coinvolgono l’intera popolazione. C’è un’amarezza
indescrivibile, anche se credo che durante i
Mondiali tutti faranno buon viso a cattivo
gioco. Magari, il calcio calmerà gli animi e
sarà motivo di svago.
La gente, nonostante tutto, è ancora innamorata della nazionale. La squadra messa
in piedi da Felipao Scolari è molto buona,
se arriverà in forma nei momenti clou riuscirà ad alzare la Coppa. Per un attimo,
potremmo dimenticare i nostri problemi.
Non sarebbe molto, è vero. Ma da qualche
parte bisogna pur iniziare.
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Nestor Subiat: «Svizzeraattenta, l`Ecuador è forte»