SPORT CALCIO Corriere del Ticino VENERDÌ 23 MAGGIO 2014 29 L’intervista Nestor Subiat: «Svizzera attenta, l’Ecuador è forte» L’ex bomber di Lugano, GC e della Nazionale conosce bene i nostri avversari sudamericani TARCISIO BULLO ❚❘❙ Nestor Subiat, indimenticato bomber del Lugano, del Grasshopper e per alcune partite anche della Nazionale rossocrociata, lancia l’allarme: nel gruppo di Svizzera e Francia sarebbe pericoloso sottovalutare il ruolo dell’Ecuador, squadra che Nestor ha visto spesso durante le eliminatorie sudamericane. Ha perso i capelli, Nestor, ma è rimasto uguale ai tempi in cui giocava nel Lugano: allegro, un po’ guascone. La sua risata è forte e contagiosa. Passaporto rossocrociato, ma anche argentino e francese, oggi Subiat vive poco lontano dal Mont Ventoux, massiccio della Provenza reso celebre dal Tour de France, dove gestisce un piccolo hotel, un’agenzia che si occupa di organizzare viaggi in Argentina e serate in cui propone prodotti del grande paese sudamericano. «Che girone, quello con Svizzera e Francia! La partita la vedrò sul posto e non esito a dire che tiferò per la Svizzera. In Brasile resterò solo pochi giorni: il tempo per vedere anche la mia Argentina affrontare la Bosnia» dice Nestor. La Svizzera ti è rimasta nel cuore... «E come potrebbe essere altrimenti? Se ho disputato un Mondiale lo devo ai rossocrociati. D’accordo, non è che abbia potuto divertirmi molto, ho giocato solo pochi minuti, ma un Mondiale ti resta nel cuore per tutta la vita, è un avvenimento straordinario per un calciatore. L’avventura negli Stati Uniti, nel 1994, è stata bellissima, uno dei momenti magici della mia carriera assieme alla vittoria di Coppa col Lugano nel 1993 e ai titoli conquistati col Grasshopper. Ma sul piano emotivo, il Mondiale non ha paragoni». Entriamo subito nel vivo di que- FIFAWORLDCUP BRASILE - 20 GIORNI LA FRANCIA Ribéry e Benzema sono ottimi giocatori, ma la squadra francese è inesperta. Deschamps (foto) è un tecnico che punta molto sulla coesione del gruppo. L’ARGENTINA Sarà seguitissima e dispone di un attacco «atomico» con Messi (foto), Agüero, Di Maria e Higuain. LA SVIZZERA Non mi sorprende che la squadra di Hitzfeld (foto) sia presente al terzo Mondiale consecutivo. Non ha grandi stelle, ma tanti buoni giocatori. sto Mondiale: dici che Svizzera e Francia farebbero bene a non sottovalutare l’Ecuador? «Lo confermo. Conosco bene la squadra sudamericana, che ho visto quasi sempre all’opera nelle eliminatorie. È composta da giocatori bravi sia sul piano atletico, sia su quello tecnico. Io penso che per batterli ci vorrà la miglior Francia e la miglior Svizzera e che questo girone sia molto equilibrato. L’Ecuador pratica un gioco molto latino, sudamericano, fatto da un mix di tecnica e fisicità, privilegiando i tocchi di prima intenzione e chiudendosi bene in retrovia, un po’ sul modello della Colombia. Valencia è il loro fuoriclasse: è uno dei giocatori più veloci al mondo!». La Svizzera ti ha sorpreso? «Francamente no. Non ha un Messi o un Ronaldo, ma dispone di un buon collettivo e di giocatori esperti, che giocano in campionati di buon livello. Il gioco dei rossocrociati mi piace, al Mondiale potrebbe anche fare un bel percorso». Francia permettendo... «Anche il collettivo di Deschamps è di valore, ma un po’ troppo giovane per fare grandi cose in Brasile. Si stanno preparando per l’Europeo del 2016, che giocheranno in casa. Giocatori come Ribéry e Benzema possono però fare la differenza e i francesi hanno un vantaggio: nessuno li dà per favoriti. Partono a fari spenti, nelle migliori condizioni per diventare una sorpresa. Deschamps inoltre sa il fatto suo: se non ha convocato Nasri è perché lo conosce bene e sa che se poi non gioca fa casino. Lui punta sul gruppo». La «tua» Argentina invece? «È sempre tra le favorite e anche se gioca in Brasile sarà un po’ come giocare in casa, perché saranno tantissimi gli argentini che la seguiranno. So che molti esperti LA SCHEDA IL TORO Nestor Subiat con la maglia rossocrociata contro la Cechia: forza fisica e fiuto del gol le sue carte. (Foto Keystone) non hanno fiducia nella tenuta della difesa, ma io invece sì: il sistema di gioco assomiglia a quello dell’Atletico Madrid e davanti abbiamo una forza d’urto incredibile con Messi, Agüero, Higuain e Di Maria». Torniamo alla gestione di un Mondiale: tu che l’ha vissuto, quali sono le difficoltà che incontrano i giocatori? «Stavolta sarà anche più dura del solito a causa dei lunghi spostamenti e delle variazioni di clima che si incontreranno in Brasile. Detto questo però, la cosa più difficile da gestire è la vita di gruppo per un mese o anche più, per chi ha la fortuna di andare avanti nel torneo. Bisogna essere preparati mentalmente a stare lontani dalla famiglia, dai propri affetti, e sopportare la vita di gruppo. Bisogna avere una mentalità forte, vincente e sapere a cosa si va incontro». Voi eravate preparati nel ‘94? «Tocchi un tasto dolente: no, non lo eravamo. E infatti secondo me siamo tornati a casa perché quando siamo arrivati a giocarci l’ottavo di finale con la Spagna buona parte dei giocatori chiave erano mentalmente stanchi. Adesso lo posso dire: io sapevo che avremmo perso. Sentivo i discorsi dei «senatori», che volevano riabbracciare le loro famiglie, che si lamentavano per la lontananza da casa. Non potevo crederlo, mi sono arrabbiato». Cosa sai del Lugano di oggi? «La città mi è rimasta nel cuore. Ho vissuto anni bellissimi e la Coppa era stata il mio primo grande successo personale, ma anche quella di un Ticino che da tempo non vinceva. Peccato che oggi la società non riesca più a stare in Super League». CARTOLINA DA RIO NESTOR GABRIEL SUBIAT È nato a Buenos Aires, in Argentina, il 23 aprile del 1966. Trasferitosi in Francia ancora ragazzo, cresce nel vivaio del Mulhouse (1. e 2. Divisione francese), debuttando in prima squadra a 18 anni. A LUGANO NEL 1992 È Karl Engel a scoprire questo attaccante argentino di razza che grazie alle origini svizzere della moglie possiede il passaporto elvetico. In bianconero Subiat rimane due stagioni (1992/94) firmando una storica doppietta nella finale di Coppa del ‘93 contro il Grasshopper (4-1). In Nazionale gioca 15 partite (6 reti) e il Mondiale del 1994 negli USA, dal ‘94 al ‘97 veste la maglia del Grasshopper, poi di Basilea, St. Etienne, E. Carouge e Lucerna. Si ritira nel 2002. DI MAURO GALVAO Il mio Brasile ha perso quell’anima allegra e spensierata V enti giorni al Mondiale, ma a tenere banco non sono questioni calcistiche. Cari amici del Corriere, il Brasile sta vivendo mesi concitati. L’immagine di un Paese divertito e divertente, spesso spensierato, è soltanto un luogo comune: conviviamo con problemi di varia natura. E il calcio suo malgrado è diventato un mezzo attraverso il quale far conoscere al mondo i nostri guai. Negli ultimi giorni le proteste hanno coinvolto città come Sao Paulo e Belem. La gente continua a scendere in piazza: delusione e inquietudine si rincorrono, la rabbia è sempre presente. Me ne accorgo quotidianamente anche per le strade di Rio, casa mia. Semplicemente, i Mondiali sono stati organizzati male: sono stati spesi tanti, troppi soldi; trascurando settori vitali come la salute e l’istruzione pubblica. Le persone normali, quelle che si alzano la mattina per andare a lavorare, si erano illuse: «Il Mondiale cambierà il Brasile» pensavano. Niente di più sbagliato: quando la Coppa lascerà le nostre coste, non rimarrà niente. Se non strutture mastodontiche francamente non necessarie. Definirei i Mondiali un regalo avvelenato. O meglio un’occasione persa: avremmo potuto migliorare il Paese, ci siamo limitati a costruire stadi. Per giunta spendendo il doppio rispetto a quanto era stato preventivato. Insomma, le promesse non sono state mantenute. Posso comprendere la rabbia: oltre ad essere costati troppo, diversi stadi non sono ancora stati completati. E potrebbero causare intoppi o problemi durante la Coppa. Inoltre, perché andare a costruire un impianto nuovo di zecca a Manaus, città che con il calcio non ha nulla da spartire? L’organizzazione ha privilegiato l’aspetto politico, senza seguire uno sviluppo armonico. Si è voluto esportare il prodotto calcio in tutto il Paese. Peccato, davvero, anche perché tecnicamente parlando dobbiamo aspettarci un grande Mondiale, un lusso per chi ama il calcio come me. Questa Coppa in fondo è lo specchio di quello che siamo. Il Brasile presenta forti contrasti. Povertà e ricchezza vivono letteralmente fianco a fianco. Ma la nazione è cambiata, ha perso la sua naturale allegria, le persone ora sono molto più preoccupate e attente alla scena politica. Si è sviluppata una forte coscienza civile: se guardate bene, i moti di protesta sono formati da professori, intellettuali, scrittori anche. Non sono «semplici» questioni per poveri, coinvolgono l’intera popolazione. C’è un’amarezza indescrivibile, anche se credo che durante i Mondiali tutti faranno buon viso a cattivo gioco. Magari, il calcio calmerà gli animi e sarà motivo di svago. La gente, nonostante tutto, è ancora innamorata della nazionale. La squadra messa in piedi da Felipao Scolari è molto buona, se arriverà in forma nei momenti clou riuscirà ad alzare la Coppa. Per un attimo, potremmo dimenticare i nostri problemi. Non sarebbe molto, è vero. Ma da qualche parte bisogna pur iniziare.