VIII Congresso Nazionale Medici in Formazione Specialistica in Medicina Fisica e Riabilitazione Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli Istituto di ricerca Codivilla Putti- Aula Magna Giovedì 11 Settembre 2014 PRESENTAZIONI RIABILITAZIONE E ORTOPEDIA I Efficacia del Taping Neuromuscolare in pazienti con protesi totale di anca: Valutazione Preliminare Petraglia F, Jacopetti M, Costantino C, Parma Introduzione: Questo studio randomizzato controllato in singolo cieco, eseguito presso la Fondazione Don Gnocchi di Parma, si è posto l’obiettivo di valutare l’efficacia dell’applicazione di Taping Neuromuscolare sulla riduzione dell’edema post-chirurgico e sulla velocità del cammino in pazienti con protesi totale di anca. Materiali e metodi: Sono stati reclutati pazienti sottoposti a protesizzazione totale per coxartrosi, in trattamento riabilitativo tra la V e la VII giornata, in grado di deambulare con due canadesi e trattati dal medesimo operatore chirurgico. Sono stati esclusi dallo studio i soggetti con intolleranza alla colla del tape, decadimento cognitivo, trattamento con psicofarmaci o comorbidità che compromettessero le capacità deambulatorie. Tutti i pazienti sono stati sottoposti al medesimo trattamento riabilitativo con lo stesso terapista, con cadenza giornaliera per 15 giorni e, attraverso una randomizzazione bilanciata a blocchi, sono stati suddivisi in tre gruppi. Il Gruppo A ha eseguito il trattamento riabilitativo standard e l’applicazione di Taping Neuromuscolare, al Gruppo B oltre al trattamento riabilitativo e’ stato applicato un Tape Anelastico, mentre il Gruppo C ha eseguito il solo trattamento riabilitativo. E’ stata eseguita una valutazione al baseline (T0) ed una a fine trattamento (T1) utilizzando la Harris Hip Score (HHS), la misura della circonferenza della coscia e l’analisi del passo con accelerometria. L’analisi statistica è stata eseguita valutando l’evoluzione delle variabili considerate all’interno dei tre gruppi e tra i tre gruppi, considerando significativi i valori di p<0.05. Risultati: Sono stati randomizzati 4 pazienti per gruppo, per un totale di 12 (4 uomini e 8 donne), di età media 71.6±9.8. E’ stato evidenziato un miglioramento staticamente significativo tra il baseline e la valutazione al T1 intragruppo per la HHS in tutti i gruppi; la circonferenza della coscia si è ridotta significativamente in A e C; la velocità del cammino è aumentata significativamente solo nel Gruppo A e nel Gruppo B. L’analisi intergruppo non ha rilevato alcuna significatività statistica. Conclusioni: Se ne deduce che nel recupero dei nostri pazienti con protesi d’anca non sia possibile al momento definire il ruolo del Taping Neuromuscolare. Riteniamo che la ridotta dimensione campionaria, in parte dovuta ai criteri di inclusione, sia il limite maggiore di questo studio, associata all’assenza di un follow-up a medio e lungo termine. Ci proponiamo di ampliare il campione e di programmare follow-up seriati al fine di valutare l’eventuale efficacia del Taping Neuromuscolare. Approccio multidisciplinare alla Complex Regional Pain Syndrome Fusai F, Berti L, Luciani D, Lullini G, Giannini S, Bologna La Sindrome Algodistrofica, inquadrata oggi all’interno del termine Complex Regional Pain Syndrome, è una sindrome caratterizzata da dolore continuo spontaneo e/o evocato agli arti, che appare sproporzionato per estensione temporale o per intensità rispetto a quanto atteso sulla base dell'evento scatenante. Nella maggior parte dei casi compare dopo un evento traumatico o un’immobilizzazione prolungata (incidenza dell' 1,5-12,5% come sequela del primo episodio ischemico cerebrale e fino al 5% dopo infarto del miocardio) ed in genere ha distribuzione regionale ed una localizzazione distale, in associazione a segni e sintomi caratteristici di natura sensitiva, motoria, vasomotoria e trofica. Il rilievo di osteoporosi focale all’indagine radiologica e di alterata captazione alla scintigrafia ossea trifasica con Tc99 suggerisce un ruolo di primaria importanza degli osteoclasti nella patogenesi di questa sindrome. Storicamente la gestione dei pazienti con Algodistrofia ha sempre rappresentato una sfida per lo specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa sia da un punto di vista diagnostico sia dal punto di vista del percorso terapeutico. Ad oggi la diagnosi di Algodistrofia si basa sulla regola dell'esclusione di altre patologie, attraverso l'esecuzione di diverse consulenze specialistiche ed indagini strumentali, e sulla successiva validità dei “Criteri di Budapest” pubblicati nel 2007. Una volta posta diagnosi di Algodistrofia l'approccio terapeutico prevede l'utilizzo di mezzi fisici come la Magnetoterapia, riabilitativi come l'esecuzione di esercizi di mobilizzazione e farmacologici. Il trattamento farmacologico, da sempre dibattuto, prevedeva l'utilizzo di bisfosfonati, blocchi endovenosi regionali con simpaticolitici, steroidi, calcitonina, Gabapentin ecc senza indicazione specifica per Algodistrofia. Il trattamento con bifosfonati per tale sindrome trova in letteratura evidenze di efficacia (Tran De et al 2010; Perez et al 2010; Cossins et al 2013). Nel 2013 è stata data per la prima volta l'Indicazione Terapeutica autorizzata per l'Algodistrofia con neridronato in infusione endovenosa, da somministrazione nella dose raccomandata di 100 mg al giorno ogni 3 giorni per un totale di 400 mg. In un lavoro pubblicato su Reumatology (2013) da Varenna et al sono stati reclutati 82 pazienti affetti da CRPS-I alla mano o al piede. Si è evidenziato che la scala VAS del dolore si era ridotta entro i primi 20 giorni dall'inizio del trattamento con neridronato e che la qualità della vita era sensibilmente migliorata. Una rivalutazione dei pazienti ad un anno non ha mostrato segni clinici residui o recidivanti di CRPS. Nell'attuale studio sono stati reclutati 10 pazienti con diagnosi clinica e strumentale di Algodistrofia, che al momento del reclutamento hanno effettuato una valutazione radiologica e clinica con scala VAS del dolore e sono stati trattati con neridronato in somministrazione endovenosa di 100 mg al giorno ogni 3 giorni per un totale di 400 mg e rivalutati a distanza di 1, 2 e 3 mesi con scala VAS. Questi risultati appaiono clinicamente rilevanti considerando che una maggiore durata dell'Algodistrofia corrisponde ad un rischio più alto di esiti permanenti in termini di rigidità e perdita della funzionalità articolare. Inoltre vi è motivo di ritenere che il trattamento con neridronato consenta di ottenere risultati tanto migliori quanto più precoce è l'intervento farmacologico, in correlazione con la capacità dei bisfosfonati di contrastare i processi flogistici locali che determinano il mantenimento di malattia. L’effetto della rizoartrosi sulla forza muscolare e sulla funzionalità dell’arto superiore Giamattei MT, Cannaviello G, De Sire A, Di Rauso RE, Lupo A, La Montagna A, Iolascon G, Gimigliano R, Napoli L’impairment dell’articolazione trapezio metacarpale (TMC) riduce del 50% la capacità funzionale di tutto l’arto superiore, dal momento che questa articolazione svolge un ruolo chiave nell’esecuzione di quasi tutte le attività di grasping e di handling. L’artrosi della TMC è una patologia degenerativa e disabilitante, con una prevalenza del 15% nei soggetti di età superiore ai 30 anni e del 25% nelle donne in post-menopausa. L’endpoint primario di questo studio è valutare l’effetto dell’artrosi TMC sulla forza di prensione della mano e sulla funzionalità complessiva dell’ arto superiore.Le pazienti ,tutte di sesso femminile, sono state reclutate presso l’ambulatorio di Medicina Fisica e Riabilitativa della Seconda Università di Napoli, nel periodo che va da Marzo 2013 a Settembre 2013.Nello studio sono state incluse 27 pazienti affette da rizoartrosi, diagnosticata secondo criteri clinici (criteri EULAR) e radiologici (Classificazione di EatonGlickel). I criteri di esclusione sono stati: età inferiore a 50 anni, patologie come la sindrome del tunnel carpale, tendinopatie, artrite reumatoide,ed esiti di traumi della mano. Si tratta di uno studio osservazionale trasversale di tipo analitico; alle pazienti è stata misurata la forza di prensione utilizzando il dinamometro di Jamar, il dolore utilizzando la Numeric Rating Scale (NRS) e la disabilità utilizzando la Quick DASH scale e la scala Michigan. I dati antropometrici e clinici della popolazione in esame sono indicati nella tabella 1. L’età media della popolazione è di 69 anni (min 45-max 97). Il Body Mass Index (BMI) medio della popolazione è 27,8 (±4 DS). La popolazione è stata suddivisa in 3 fasce di età: 1°fascia: 55-65 anni; 2°fascia: 65-75 anni; 3°fascia: >75 anni. Per quanto riguarda il dolore, il valore medio dell’NRS è 7. La valutazione della forza dell’arto superiore, mostra una riduzione della forza di prensione in tutte le fasce d’età, in particolare nelle pazienti over 75. Dal punto di vista funzionale lo score medio della Quick DASH scale e della Michigan scale era rispettivamente di 51,4 (±19 DS) e 31,8 (±4,3 DS). La presenza di una marcata sintomatologia dolorosa, sempre presente nelle pazienti affette da rizoartrosi, può ridurre notevolmente la capacità funzionale complessiva dell’arto superiore. Le donne rizoartrosiche della nostra popolazione che avevano un dolore severo (score NRS ≥7), erano il 44,4% e mostravano un valore medio del Quick DASH score di 56,23, indice di una notevole compromissione della funzionalità dell’arto superiore. Le donne rizoartrosiche con dolore moderato (NRS score da 4 a 6) erano il 55,6% e presentavano un Quick DASH score di 52,34. L’analisi della regressione lineare multipla mostra che il Quick DASH score è significativamente correlato con l’NRS score (r, 0.482; p, 0.01) e con l’Handgrip strength (r,-0,45; p,0,01). Lo score medio della Michigan scale invece non è correlato in modo significativo né con l’ NRS score (r, 0.351, p, 0.07) né con l’Handgrip strength (r,-0,35;p,0,07). Il nostro studio conferma il dato clinico che la mano affetta da rizoartrosi ha una notevole limitazione funzionale, che è strettamente correlata sia al deficit di forza che alla sintomatologia dolorosa. L’utilizzo di test validati, come l’handgrip strength e la quick DASH scale, deve costituire la corretta modalità d’approccio al paziente con rizoartrosi. Il trattamento con onde d’urto focali della sindrome miofasciale del quadrato dei lombi Bianchi S, Concardi G, Previtera AM, Milano ***in attesa*** Modificazioni del carico podalico e del controllo posturale in pazienti con cefalea muscolo-tensiva e disordini temporo-mandibolari De Blasiis P, Ruberto M, Del Gaudio G, Lupo A, Sommella A, Gimigliano R, Napoli Le malocclusioni e i disordini temporo-mandibolari (DTM) possono essere considerati fattori di aggravamento per le forme di cefalea tensiva. Scopo del presente studio è valutare, nei pazienti con diagnosi di cefalea di tipo tensivo, le interferenze stomatognatiche sul sistema tonico-posturale attraverso esame baropodometrico in statica ed esame stabilometrico. Materiali e Metodi La popolazione è costituita da 7 donne (età media di 38,57 anni,; BMI medio 23.56) reclutate tra febbraio e maggio 2013 affette da cefalea tensiva quotidiana (diagnosticata secondo i criteri ICHD-3) e disordini temporo-mandibolari. Il gruppo di controllo è costituito da 7 soggetti sani. Ogni paziente è stato sottoposto ad esame baropodometrico eseguito in statica ed esame stabilometrico eseguito sia ad occhi aperti (OA) che ad occhi chiusi (OC) per un tempo di 30”. In statica sono stati considerati come parametri di riferimento le superfici totali di appoggio (cm²), in stabilometria le superfici d’ellisse (mm²) e le velocità medie di oscillazione (mm/sec), sia ad occhi aperti (OA) che ad occhi chiusi (OC). Risultati I risultati ottenuti mediante esame in statica evidenziano che le superfici d’appoggio sono in media di 211,39 cm² nei pazienti cefalalgici e di 192,25 cm² nel gruppo di controllo. L’esame condotto in stabilometria ha evidenziato nei pazienti cefalalgici una superficie d’ellisse media ad OA di 27,57 mm², maggiore rispetto a quella ad OC che è di 18,04 mm². Tale condizione non risulta fisiologica a causa del mancato aumento delle superfici di ellisse ad OC rispetto a quelle ad OA; nel gruppo controllo i valori medi delle superfici di ellisse sono rispettivamente di 30,49 mm² ad OA e 34,94 mm² ad OC. Inoltre abbiamo preso in esame la media delle velocità medie di oscillazione in entrambe le prove ed i valori nei pazienti con cefalea sono di 4,92 mm/sec nella prova condotta ad OA e 5,12 mm/sec ad OC; nel gruppo controllo invece abbiamo riscontrato una velocità media di 3,50 mm/sec ad OA e di 3,85 mm/sec nella prova ad OC. Conclusioni Dai dati preliminari di questo studio si evidenzia che la media delle superficie d’appoggio risulta essere maggiore nei pazienti cefalalgici con DTM rispetto al gruppo controllo, suggerendo l’ipotesi che tale aumento sia necessario per incrementare le afferenze recettoriali podaliche nel tentativo del sistema tonico-posturale di compensare l’instabilità indotta dall’interferenza stomatognatica. Tale instabilità si riscontra infatti all’esame stabilometrico, dove la media delle velocità medie di oscillazione nei cefalalgici è maggiore sia ad OA che ad OC rispetto al gruppo controllo, evidenziando un maggior numero di oscillazioni e quindi un maggior dispendio energetico nel mantenere una condizione di equilibrio. Infine, nei cefalalgici con DTM, la media delle superfici d’ellisse ad OA risulta maggiore rispetto ad OC, ciò fa presupporre un’interferenza del sistema recettoriale stomatognatico su quello visivo nel contenimento delle oscillazioni in senso antero-posteriore e latero-laterale da parte del sistema tonico-posturale. RIABILITAZIONE E ORTOPEDIA II Trattamento infiltrativo con acido ialuronico in pazienti con artrosi dell’articolazione temporo mandibolare: effetti sulla colonna cervicale Cadorin C, Manfredini D, Frizziero A, Guarda-Nardini L, Masiero S, Padova Introduzione : I disordini temporo mandibolari (TMD) consistono in un gruppo eterogeneo di disturbi a carico dell’articolazione temporo mandibolare (ATM) e delle strutture muscolo scheletriche ad essa correlate. Le disfunzioni della colonna cervicale (CSD) sono anch’esse molto frequenti ed invalidanti nella popolazione adulta e consistono in dolore cervicale, rigidità muscolare ed impotenza funzionale. La recente letteratura ha più volte indagato le correlazioni esistenti tra i distretti cranio-cervicali, poiché la complessità dei pazienti con TMD e CSD è tale da comportare spesso delle scelte terapeutiche palliative e poco mirate. Molti studi recenti hanno evidenziato i benefici di un trattamento infiltrativo con acido ialuronico (HA) in pazienti con degenerazione artrosica della ATM. Lo scopo del nostro studio è stato quello di studiare gli effetti di un ciclo di infiltrazioni intraraticolari con HA a livello ATM sulla cervicalgia. Materiali e metodi : Sono stati studiati e trattati 49 pazienti (90% femmine, età media 57.2 anni, range 23-74) con una diagnosi di degenerazione artrosica della ATM (secondo i criteri classificativi del Research Diagnostic Criteria for Temporomandibular Disorders version 1.0- RDC/TMD Axis I Group IIIb). Prima del trattamento infiltrativo i soggetti reclutati sono stati valutati mediante scala visuo analogica per il dolore (VAS) per il dolore ATM e quindi sono stati sottoposti ad una valutazione clinica della colonna cervicale comprendente la ricerca di trigger points (TrPs) dell’area cranio-cervicale, articolarità attiva (ROM) del rachide cervicale (mediante l’uso del goniometro Inclimed®) e forza muscolare. Il grado di disabilità cervicale è stato valutato mediante il questionario Neck Pain Disability Scale (NPDS). Tutti i pazienti dello studio sono stati sottoposti ad un ciclo di 5 artrocentesi ed iniezioni intrarticolari con HA a cadenza settimanale. La valutazione è stata ripetuta 1 mese, 3 mesi e 6 mesi dopo il termine delle infiltrazioni. Risultati : L’analisi dei risultati ha dimostrato una correlazione statisticamente significativa (p<0.01 r-Pearson) tra i valori di VAS ATM e i valori cervicali di NPDS. Nel corso del follow up si è riscontrato un miglioramento significativo dei valori della VAS ATM ed un miglioramento dei valori di estensione e rotazione cervicale attiva (Test-t per dati appaiati) che si sono mantenuti nel tempo. Conclusione : Numerosi studi hanno approfondito le correlazioni tra CSD e TMD miofasciali. Il nostro studio ha permesso di studiare in modo sistematico un gruppo di soggetti con una diagnosi di TMD su base artrogenica ed ha riscontrato una correlazione significativa tra l’andamento del dolore ATM e la funzionalità cervicale. Considerando la complessità di tali pazienti ed i limiti della nostra ricerca, è possibile ipotizzare che la genesi del dolore cronico in tali pazienti, così come dopo un trauma, sia riconducibile ad una iperalgesia centrale. Il nostro studio risulta inoltre innovativo poiché ha individuato l’efficacia di un trattamento infiltrativo consolidato anche a carico di un distretto muscolo scheletrico ATM correlato, con risultati confermati nel tempo. Ulteriori studi sono tuttavia necessari per comprendere meglio l’origine del dolore in modo da effettuare un trattamento meno empirico e più mirato. Verifica quantitativa dell'efficacia di viscosupplementazione, viscoinduzione e terapia fisica a confronto nelle patologie non chirurgiche del ginocchio Lepiane E, Spaccaferro D, Cagliostro D, D'Esposito O, Carbone A, Caruso MG, Meliadò RC, Fratto L, Iocco M, Catanzaro La gonartrosi costituisce una delle più invalidanti e delle più frequenti forme d’artrosi colpendo il 25-30% della popolazione generale. Il nostro studio si prefigge lo scopo di valutare l’effetto su dolore, sull’escursione articolare, sulla forza muscolare, sulla distribuzione del carico, sulla qualità del passo e sull’autonomia funzionale e sulla qualità della vita prima e dopo la somministrazione intra-articolare a livello del ginocchio di derivati dell’Acido Ialuronico associato a Terapia Fisica in pazienti con Malattia Degenerativa primitiva a livello della suddetta articolazione (Gonartrosi femoro-rotulea, femoro-tibiale primaria; meniscosi). Per il nostro studio sono stati arruolati 15 pazienti, e sono ancora in corso di arruolamento, con età compresa tra 50-85 anni con gonartrosi primaria o gonartrosi da malallineamento in varo/valgo allo stadio 2 e 3 della classificazione di Kellgren Lawrence. I criteri di esclusione sono rappresentati da: allergie verso i componenti dei farmaci; terapia con anticoagulanti orali; abuso di alcool o droghe; gravidanza;infiltrazione intrarticolare nei 2-3 mesi precedenti con terapia steroidea; artrite reattiva o associate altre malattie autoimmuni in grado di spiegare la sintomatologia a carico del ginocchio; lesioni legamentose/meniscali che necessitano di intervento chirurgico; significative comorbidità. I pazienti arruolati sono stati distribuiti in maniera random in rapporto 1:1:1 in tre diversi gruppi trattati rispettivamente con: HYADD 4 (esodecilammide di sodio ialuronato) per via intrarticolare + chinesiterapia; il secondo gruppo sarà trattato con Ialuronato di Sodio crosslinked per via intrarticolare + chinesiterapia; e il terzo gruppo sarà trattato solo con terapia fisica; quest’ultima prevede la somministrazione di ultrasuoni associati a magnetoterapia e chinesiterapia. Tutti i pazienti arruolati, sono stati sottoposti ad esame radiografico comparativo delle ginocchia sotto carico in proiezione antero-posteriore e latero-laterale; esame baropodometrico statico e dinamico con stabilometria; valutazione della distribuzione del carico, della lunghezza e del ciclo del passo su treadmill. Tutti i pazienti sono stati sottoposti, durante la durata dello studio, a valutazione semeiologica dei segni di artrosi o di eventuali lesioni meniscali/legamentose, a valutazione dell’escursione articolare e della forza muscolare. Sono state somministrate le seguenti scale di valutazione:VAS/NRS, Scala di KOOS (Knee Injury and Osteoarthritis Outcome Score) ,Six minutes walk test, FIM, EuroQol. Lo stato di salute dei pazienti è stato classificato secondo il modello bio-psico-sociale (ICF) . Il Follow-up è stato effettuato a 1 settimana, 1 mese e 3 mesi dall’ inoculazione della sostanza terapeutica nell’ articolazione/ inizio del trattamento di terapia fisica.; sono attualmente in corso le valutazioni a 6 mesi, 9 mesi e 12 mesi. I risultati sono in fase di analisi e verranno resi noti successivamente. Spondilite assiale non radiografica: sinergismo d’azione fra esercizio terapeutico e CEMP? Asaro C, Lauricella L, Scaturro D, Letizia Mauro G, Palermo Con il termine “spondiloentesoartriti” (Sp) si identificano un gruppo di affezioni reumatiche infiammatorie croniche che condividono caratteristiche cliniche comuni: lombalgia a carattere infiammatorio, oligoartrite periferica asimmetrica, entesite e coinvolgimento viscerale specifico. Presentano un aggregazione familiare (background genetico comune HLA B27). Recenti acquisizioni nell’ambito della diagnostica e del trattamento hanno modificato in modo sostanziale l’approccio a questa patologia. E’ infatti emerso il concetto di “Spondiloartrite Assiale” (SpA) comprendente tutti gli stadi della malattia, da quello più precoce, in cui non vi sono ancora segni radiografici, denominato pertanto “non-radiografico”, a quello più tardivo in cui è evidente radiologicamente la sacroileite e l’anchilosi della colonna. La diagnosi di SpA in stadio non-radiografico può essere effettuata combinando parametri clinici, di laboratorio e di imaging, in particolare la risonanza magnetica con m.d.c. e sequenze STIR consente di evidenziare la flogosi delle articolazioni sacroiliache (edema osseo/osteite) all’esordio della malattia. Ciò risulta fondamentale in quanto una delle maggiori criticità inerenti questa patologia è la diagnosi precoce per evitare danni anatomici irreversibili (sindesmofiti e anchilosi della colonna). Scopo del lavoro è valutare l’efficacia di un programma riabilitativo specifico, comprendente esercizio terapeutico associato ai CEMP, per ridurre il dolore lombare, la rigidità e migliorare la funzione respiratoria in pazienti affetti da spondilite assiale non radiografica in terapia farmacologica con coxib. Lo studio ha previsto il reclutamento di 19 pazienti (13 donne, 6 uomini - età media: 39,25 anni) afferenti presso l’ U.O.C. di Medicina Fisica e Riabilitativa dell’ A.O.U.P Paolo Giaccone di Palermo. Sono stati reclutati pazienti che rispondevano ai criteri ASAS del 2009 per la spondilite assiale, che presentavano un punteggio dell’indice BASDAI, espressione dell’attività di malattia ≥ 4 ed edema osseo documentato alla RM con m.d.c. I soggetti sono stati suddivisi in 2 gruppi di 10 e 9 pazienti ciascuno, uno sperimentale (A) e uno di controllo (B). Il primo gruppo (A) ha effettuato terapia con etoricoxib 90 mg/die associata all’esecuzione di un programma riabilitativo, con cadenza trisettimanale per 40 sedute, comprendente esercizio terapeutico e magnetoterapia (CEMP:100 Hz, 50 G, 60 minuti) nella regione corrispondente al rachide lombosacrale e alle sacroiliache. Il gruppo B ha eseguito esercizio terapeutico e trattamento con gli inibitori della COX-2. Il programma riabilitativo includeva l’esecuzione in gruppi di 4 di esercizi di stretching, posturali, di rinforzo muscolare (isometrici e isotonici), aerobici, respiratori e norme di educazione posturale e gestuale. Abbiamo valutato i pazienti al tempo T0 (visita basale), dopo 7 settimane (T1) e dopo 14 settimane (T2) mediante scala VAS e i questionari BASDAI, BASMI e BASFI. L’analisi comparativa dei risultati clinici ha evidenziato un miglioramento della sintomatologia algica e della rigidità maggiore nel gruppo A rispetto al gruppo B, pertanto si potrebbe ipotizzare che i CEMP, in virtù della loro azione antalgica, antiflogistica ed antiedemigena abbiano un ruolo sia sul dolore che nella riduzione dell’edema osseo a livello delle sacroiliache e/o del rachide. L’ipotesi potrebbe essere confermata da una RM di controllo post-trattamento in attesa di esecuzione. Tuttavia possiamo affermare che la gestione ottimale della SpA richiede una combinazione di trattamenti farmacologici e riabilitativi; infatti un costante e specifico esercizio terapeutico e corrette abitudini posturali sono parte integrante nella gestione dei pazienti con spondilite assiale. Validazione sperimentale con gait analysis di un nuovo sistema a sensori inerziali e biofeedback per la riabilitazione dopo artroprotesi d’anca Lullini G, Micheli O, Scuto L, De Blasis P, Leardini A, Berti L., Giannini S, Bologna I sistemi a biofeedback sono stati ampiamente utilizzati per la riabilitazione dopo interventi chirurgici e traumi. Il feedback audio-visivo in tempo reale infatti consente di stimolare i pazienti ad ottenere migliori risultati durante la riabilitazione, prestando più attenzione, accuratezza e costanza nello svolgimento degli esercizi. Ad oggi però non è presente alcun lavoro in letteratura che utilizzi gli exergames per un protocollo riabilitativo in seguito ad intervento di artroprotesi d’anca. Lo scopo dello studio era quello di trovare un sistema a biofeedback basato su videogames e di validarlo in modo da poterlo utilizzare per la riabilitazione di pazienti operati di protesi d’anca, studiando poi un protocollo riabilitativo specifico per i pazienti e valutandone l’efficacia. MATERIALI E METODI Il sistema a biofeedback è il sistema Riablo™ (CoRehab, Trento, Italy) costituito da sensori inerziali posizionati direttamente sugli arti e sul torace del paziente tramite fasce elastiche e da una pedana di pressione. I sensori inerziali a 9 assi consentono di misurare angoli e movimenti nello spazio e la pedana di pressione acquisisce il centro di pressione del paziente ed il posizionamento del piede nell’esecuzione dell’esercizio. Per verificare l’affidabilità biomeccanica del dato fornito dal sensore ed individuare gli effetti di un eventuale mal posizionamento abbiamo messo a confronto la capacità di dedurre gli angoli articolari ottenuti tramite il sistema Riablo™ con quelli ottenuti dalla Gait Analysis utilizzando il protocollo IOR Total 3D Gait presso il Laboratorio di Analisi del Movimento dell’Istituto Ortopedico Rizzoli. Per tale validazione sono stati inclusi 17 soggetti sani che hanno eseguito 4 diversi compiti motori per un totale di 34 acquisizioni per ogni compito motorio. I soggetti sono stati valutati contemporaneamente tramite Riablo™ e tramite Gait Analysis Standard. Successivamente abbiamo messo a punto un protocollo riabilitativo per la riabilitazione dopo artroprotesi d’anca. Il protocollo riabilitativo viene somministrato ai pazienti dopo 7-10 giorni dall’intervento di artroprotesi e viene seguito per quattro settimane. Infine abbiamo confrontato l’efficacia di tale protocollo riabilitativo eseguito tramite Riablo™ e tramite riabilitazione tradizionale. Nello studio verranno inclusi 20 pazienti affetti da coxartrosi sottoposti ad intervento di artroprotesi d’anca con tecnica AMIS presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli. I pazienti verranno randomizzati in due gruppi: il gruppo A eseguirà il protocollo riabilitativo con Riablo™; il gruppo B eseguirà il protocollo tradizionale (seguito da un fisioterapista). I pazienti verranno valutati clinicamente il giorno precedente l’intervento, il primo giorno di protocollo riabilitativo e alla fine del trattamento con le scale di valutazione WOMAC, HHS, SF-12 e VAS; per valutare la corretta esecuzione degli esercizi riabilitativi e l’efficacia del protocollo e del sistema a biofeedback, i pazienti verranno valutati con emg di superficie per la registrazione dell’attività muscolare di muscoli chiave durante l’esecuzione degli esercizi previsti per la prima settimana, sia con Riablo sia senza Riablo. RISULTATI Nell’esercizio di flessione di ginocchio (target ROM 0°-95°) la differenza media tra Riablo e Gait Analysis è di 3.86°(min 2.18°;max 6.15°); nell’esercizio di estensione (ROM 0°-90°), la differenza media è di 3.84° (min 1.83°; max 5.88°);nell’affondo (ROM 0°-100°), la differenza al ginocchio è di 4.48° ( min 2.01°; max 7.90°) e al tronco (ROM di 0°-25°) è 1,58°(min 0.59°; max 3.80°); nello squat (ROM 0°-100°), la differenza media al ginocchio è di 4.86° (min 1.36°; max7.98°); la differenza media misurata a livello del tronco (ROM di 0°45°) è 2.46° (min 0.60°;max 7.51°). I dati preliminari relativi alla valutazione clinica mostrano una diminuzione del punteggio alla WOMAC, SF 12 e VAS e un incremento alla HHS al termine del percorso riabilitativo rispetto al preoperatorio. I dati di sEmg, relativi all’attivazione muscolare durante l’esercizio di abduzione dell’anca da disteso laterale mostrano un’attivazione fisiologica dei muscoli gluteo massimo e gluteo medio sia con il sistema Riablo™ sia con la riabilitazione tradizionale, mentre a livello del capo lungo del bicipite femorale sono presenti co-contrazioni durante l’esecuzione con riabilitazione tradizionale. Nell’esercizio di estensione del ginocchio con grado di flessione variabile si evidenzia una maggiore attivazione dei muscoli della coscia e dei muscoli della gamba con Riablo™ rispetto al trattamento tradizionale . Per quel che riguarda l’esercizio di estensione del ginocchio da seduto, vi è un’attivazione fisiologica e sovrapponibile dei muscoli estensori del ginocchio ( VL,VM e RF), con presenza di co-contrazione a livello del bicipite femorale durante l’esecuzione senza Riablo™. Nell’esecuzione dell’esercizio di estensione tibiotarsica da seduto con pedana oscillante sagittale si riscontra un’attivazione muscolare fisiologica e sovrapponibile di tutti i gruppi muscolari, con presenza di co-contrazioni a livello del bicipite femorale durante la riabilitazione senza Riablo™ CONCLUSIONI Il sistema Riablo risulta essere uno sistema a sensori inerziali e biofeedback affidabile che consente di eseguire esercizi di riabilitazione in modo controllato ed efficace, consentendo al paziente di beneficiare dell’aspetto ludico del sistema. Il sistema Riablo si pone dunque come una possibile alternativa per la riabilitazione di pazienti dopo artroprotesi d’anca. EBM nella sindrome femoro-rotulea Lucarini L, Rinonapoli G, Caraffa A, Perugia La sindrome femoro-rotulea è una condizione clinica che colpisce gli adolescenti e i giovani adulti, quasi sempre sportivi, più frequente nel sesso femminile, dove il sintomo caratteristico è il dolore anteriore di ginocchio, accentuato dalla deambulazione in discesa, mentre nel camminare in salita i soggetti affetti riferiscono un dolore meno intenso; patognomonico è il cosiddetto “segno del cinema”, ossia la sintomatologia dolorosa che il paziente percepisce nella parte anteriore dell’articolazione del ginocchio, dopo aver mantenuto quest’ultimo in posizione flessa per un tempo piuttosto prolungato. Risulta difficile effettuare una diagnosi e identificare la causa specifica del dolore , è necessario valutare attentamente: l ‘allineamento, la forza e la mobilità degli arti inferiori; eseguire poi un esame obiettivo dettagliato della mobilità e allineamento dell’ articolazione femoro-rotulea. All’esame clinico il dolore viene evocato richiedendo una contrazione isometrica, contro resistenza, in un range compreso tra 0 e 20° di flessione; se presente un’instabilità di II grado, il test di apprensione risulta positivo. La valutazione strumentale aiuta nella diagnosi clinica : la radiografia convenzionale, effettuata in diversi angoli di flessione del ginocchio e soprattutto la RM. La sindrome femoro-rotulea è di difficile inquadramento clinico e rappresenta una sfida per il medico di medicina fisica e riabilitativa per la notevole eterogenità di cause che possono esserne alla base e per mancanza di accordo in letteratura sull’ efficacia e su quale tipo di trattamento conservativo sia più idoneo effettuare. La sua gestione risulta piuttosto complessa in quanto richiede una comprensione approfondita dei fattori eziopatogenetici che contribuiscono all’instabilità femoro‐rotulea e spesso soltanto dopo un dettagliato esame clinico globale del paziente si riesce ad individuare la causa e rimuoverla, e quindi a raggiungere una risoluzione completa del dolore , in alcuni casi però nonostante una scrupolosa valutazione e un trattamento conservativo mirato il dolore persiste e si rende necessario un trattamento chirurgico, che può comprendere debridment, il release, il riallineamento dell’ apparato estensore. Obiettivo di questo studio è fare una rassegna della letteratura dei diversi approcci di trattamento conservativo attualmente utilizzati, e se esistono prove sufficienti della loro efficacia. Sono stati visionati studi che descrivono la fisiochinesiterapia specifica attraverso esercizi di rinforzo muscolare, di streatching e propriocettivi, mirati a un ripristino delle condizioni biomeccaniche fisiologiche per ridurre la gonalgia anteriore ,attuati per un minimo di 3 mesi, e valutati i risultati ottenuti. Altra opzione terapeutica per la riduzione della sintomatologia algica è la prescrizione di ortesi su misura poichè spesso nei soggetti affetti sono presenti alterazioni della normale anatomia del piede, quindi verranno analizzati gli studi presenti in cui viene messo a confronto se esiste un miglioramento della sintomatologia tra coloro a cui sono stati prescritti gli ausili versus soggetti che non hanno indossato plantari. La revisione ha preso in considerazione l’utilizzo del taping rotuleo di McConnell utilizzato per controllare la sub-lussazione e l’ inclinazione della rotula nel tentativo di ridurre il dolore anteriore del ginocchio; i pazienti possono una volta appresa la tecnica applicare da soli il nastro, gli studi analizzati hanno lo scopo di mettere in luce se ci siano delle chiare evidenze terapeutiche. Infine è stata valutata l’ efficacia della terapia anti-dolorifica nel breve e nel lungo termine ,la terapia infiltrativa e si ci sono indicazioni nella prescrizione di un farmaco piuttosto che un altro nel trattare il dolore anteriore di ginocchio caratteristico della sindrome femoro-rotulea. Terapia infiltrativa con Acido Ialuronico nella coxartrosi di basso e medio grado Piermattei C, Sgalippa A, Grasso MR, Tobsolis A, Vetrano M, Vulpiani MC, Saraceni VM, Roma Sapienza Introduzione: l’articolazione coxo-femorale, dopo quella del ginocchio, è l’articolazione sinoviale più colpita dall’osteoartrosi. La viscosupplementazione per via infiltrativa ha apportato benefici nel trattamento della coxartrosi, ripristinando le proprietà visco-elastiche del liquido sinoviale. L’impiego della guida ecografica ha notevolmente ridotto le difficoltà tecniche di esecuzione garantendo, nel contempo, una maggiore sicurezza del trattamento. Scopo dello studio: verificare l’efficacia e la tollerabilità della terapia infiltrativa con acido ialuronico ad alto peso molecolare nella coxartrosi di basso e medio grado (II-II stadio secondo la classificazione radiologica di Kellegren-Lawrence), valutando la riduzione del dolore e il miglioramento della funzione. Tipo di studio: studio descrittivo osservazionale prospettico Materiali e Metodi: da Marzo 2011 a Giugno 2013 sono stati reclutati 61 pazienti consecutivi (34 maschi, 27 femmine; età media: 54.5±10.7) trattati con una singola infiltrazione intra-articolare di acido ialuronico ad alto peso molecolare sotto guida ecografica. Per la valutazione clinica e funzionale sono state utilizzate la scala VAS, l’indice di Lequesne, la WOMAC e l’Harris Hip Score (HHS), che sono stati valutati da uno stesso operatore prima del trattamento e 1, 3, 6 e 12 mesi dopo l’infiltrazione. Per l’analisi statistica dei risultati sono state considerate le variazioni di tutte le scale di valutazione nei vari follow up eseguiti. La significatività statistica dei risultati ottenuti è stata fissata per una p <0.05 ed è stata determinata utilizzando il t test per campioni accoppiati o il test di Friedman. Risultati: dall’analisi dei dati è stata evidenziata una variazione statisticamente significativa dei valori di tutte le scale di valutazione a 1 e 3 mesi rispetto alla valutazione pre-trattamento, con sostanziale mantenimento del beneficio clinico fino a 12 mesi. Non si sono presentati effetti collaterali o complicanze legate al trattamento eseguito. Conclusioni: La viscosupplementazione con acido ialuronico ad alto peso molecolare sotto guida ecografica sembra essere una metodica sicura ed efficace nel trattamento della coxartrosi di basso e medio grado. Dall’analisi dei risultati del presente studio si evidenzia un miglioramento significativo della sintomatologia dolorosa e della funzione fino a 3 mesi dalla fine del trattamento. Dopo questo periodo di tempo, la scelta di eseguire o meno un nuovo trattamento infiltrativo deve essere dettata dalla valutazione clinica e dalla condizione soggettiva di ogni singolo paziente. RIABILITAZIONE E NEUROLOGIA I EMG di superficie nella valutazione dell’outcome dopo Fes cycling in fase cronica post-ictus: risultati di un RCT Di Biagio L, Farinelli L, Paolini B, Paccapelo G, Renzi R, Coccia M, Capecci M, Ceravolo MG, Ancona OBIETTIVI : Valutare l'efficacia del cycling (CYL) con o senza Stimolazione Elettrica Funzionale (FES) rispetto al treadmill (TRT) nella riabilitazione del cammino in soggetti in fase cronica post ictus. MATERIALI E METODI: 26 soggetti in fase cronica post ictus (> 6 mesi) sono stati randomizzati in tre gruppi di trattamento: CYC,CYC+FES, TRT , in base ai seguenti criteri: FAC> 3 ; Trunk Test Control ( TCT ) >50 % ; MMSE > 15 ; nessuna controindicazione all'allenamento aerobico e la stimolazione elettrica . Nel gruppo CYC , i pazienti sono stati sottoposti a 20 sedute di 25min associate a 5min di stretching , 5 giorni/settimana (un protocollo standard di allentamento attivo di almeno 50 cicli / min , rafforzato con feedback visivo); il gruppo FES + CYC ha aggiunto l'utilizzo della stimolazione elettrica funzionale sui muscoli paretici ( Gluteus Major, quadricipiti, bicipiti femuri,Tibiale anteriore). Il gruppo TRT ha effettuato 10 sedute 5 giorni/settimana di 20/25min su treadmill a velocità crescente secondo un protocollo di allenamento aerobico + 5/10min stretching. Misure di outcome: mod. Ashworth Scale (MAS); 6 minuti Walking Test (6MWT); 10 metri Walking Test (10MWT); Berg Balance Scale (BBS); Functional Independence Measure (FIM); Categoria Funzionale della Deambulazione (FAC); Indice di Asimmetria del passo, parametri temporali del ciclo del passo (basography), tempistica di attivazione del muscolo gastrocnemio mediale (GM) e del muscolo tibiale anteriore (TA). Le valutazioni sono state ripetute all'inizio del trattamento (T0) e al temine dello stesso(T1). Il campione risultava omogeneo per caratteristiche cliniche e demografiche. RISULTATI: Al termine del trattamento l'impatto sulle performance del cammino, valutate con 10MWT e con 6MWT, risultava significativo in particolare nei gruppi FES+CYL e TRT. Dall'analisi dei parametri spaziotemporali del cammino si segnala: riduzione trasversale dell’indice di asimmetria, in particolare nel gruppo FES+CYL; incremento della lunghezza del passo in tutti i gruppi di trattamento; stabilità della percentuale di doppio supporto con incremento della percentuale di singolo supporto dell’arto paretico in tutti i gruppi di trattamento. Dall'analisi dei timing di attivazione muscolare si evidenzia una ottimizzazione del timing e dei picchi di attivazione del TA e del GM in tutti i gruppi di trattamento. CONCLUSIONI: Il cycling è una valida metodica riabilitativa che non ha dimostrato inferiorità rispetto al treadmill nella rieducazione del cammino del pazienti in fase cronica post ictus, agendo sia sulla performance del cammino sia sui parametri spazio temporali del ciclo del passo. Modificazioni dell’eccitabilità corticale durante training robotico dell’arto superiore: studio pilota su soggetti con ictus cerebrale cronico e soggetti sani Vallies G, Modenese A, Gandolfi M, Manganotti P, Waldner A, Geroin C, Munari D, Picelli A, Smania N, Verona Il disturbo della funzione dell’arto superiore rappresenta uno dei più comuni deficit riscontrati in pazienti affetti da esiti di ictus cerebrale, in particolare circa il 60% dei pazienti soffrono di una qualche forma di impaccio senso-motorio associato all’estremità distale. Le modificazioni dell’eccitabilità corticale che si instaurano in tali soggetti, durante l’esecuzione di task motori guidati da un dispositivo robotico, non sono state ancora indagate. Lo scopo del presente studio è di valutare mediante tecnica di stimolazione magnetica transcranica (TMS) le modificazioni dell’eccitabilità corticale indotte da training robotico dell’arto superiore. Sei soggetti sani e quattro pazienti con ictus cronico sono stati sottoposti a 10 sessioni di trattamento per l’arto superiore con strumento robotico AMADEO (5 sessioni/settimana per 2 settimane). Tutti i soggetti sono stati valutati, prima e dopo il trattamento, con un protocollo di studio dell’eccitabilità corticale mediante TMS. Sono state considerate come misure di outcome la soglia motoria a riposo, l’ampiezza del potenziale motorio evocato al 120% della soglia motoria, l’ampiezza del potenziale motorio evocato con tecnica a doppio stimolo eccitatorio e inibitorio. I muscoli target sono stati il primo interosseo dorsale, gli estensori comuni delle dita e i flessori comuni delle dita. I pazienti, inoltre, sono stati valutati con le seguenti scale di valutazione: Nine Hole Peg Test, Fugl-Meyer Assessment, European Stroke Scale, Scala di Ashworth modificata, Scala del Medical Research Council, Motricity Index, Action Research Arm Test, Motor Activity Log, Amadeo Firefighters. I dati sono stati analizzati con test statistici non parametrici. Nel gruppo di controllo e nel gruppo dei pazienti la valutazione dell’eccitabilità corticale eseguita a livello del primo interosseo dorsale e dei muscoli estensore e flessore comune delle dita, ha mostrato modificazioni peculiari, sebbene non significative dal punto di vista statistico, per quanto riguarda tutte le misure di outcome. Nei pazienti si è assistito inoltre ad un miglioramento prossimo alla significatività alle seguenti scale di valutazione: scala di Fugl Meyer (p=0,06) e valutazione della sensibilità cinestetica (p= 0,06). La valutazione delle modificazioni dell’attività cerebrale indotte da training robotico con dispositivo AMADEO rappresenta un ambito innovativo, utile per migliorare le conoscenze sui fenomeni di plasticità cerebrale. Questo può avere implicazioni molto importanti nelle neuroscienze e nella ricerca in campo riabilitativo, poiché consente di valutare da un lato le anomalie nell’attività corticale in seguito a danni cerebrali di vario genere, dall’altro le modificazioni che possono avvenire in seguito ad un periodo di training. Effetti di un trattamento riabilitativo specifico per il recupero della sindrome della spinta conseguente ad ictus: studio randomizzato controllato Ferrari F, Gandolfi ML, Picelli A, La Marchina E, Tosoni R, Geroin C, Munari D, Smania N, Verona. La “Sindrome della Spinta” (Pusher Syndrome, PS) è un disturbo ancora poco studiato nonostante sia presente in circa il 10% dei soggetti post stroke presenti nei reparti di riabilitazione. La PS si manifesta con gravi alterazioni posturali che limitano l'autonomia e richiedono periodi di riabilitazione e ospedalizzazione più prolungati. I meccanismi alla base di questo disordine neurologico e, ancor meno, le possibili strategie riabilitative più idonee per facilitarne la risoluzione sono stati poco indagati. Lo scopo dello studio è confrontare gli effetti di un trattamento riabilitativo specifico per la PS con quelli di un trattamento convenzionale in un gruppo di pazienti (n=16) affetti da sindrome della spinta conseguente ad ictus. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi. Il gruppo sperimentale (n=8) ha ricevuto un trattamento incentrato sul miglioramento dell’equilibrio in posizione seduta e in stazione eretta mediante esplorazione del campo visivo ed esecuzione di compiti attentivi, riduzione della rigidità muscolare e mantenimento della stazione eretta. Il gruppo di controllo (n=8), è stato sottoposto ad un trattamento riabilitativo di tipo convenzionale. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a 20 sedute di FKT della durata di circa 50 minuti l’una. Al momento dell’accoglimento in reparto (T1), immediatamente prima dell’inizio del trattamento (T2) alla fine (T3) del programma riabilitativo e 1 mese dopo il termine dello stesso (T4), i pazienti sono stati valutati da un esaminatore “blind” mediante le scale EuropeanStroke Scale(ESS), Scale for ContraversivePushing(SCP) e PosturalAssessment Scale for StrokePatients(PASS). Al T1 i due gruppi erano tra loro omogenei per età, scolarità, tempo dall’ictus e punteggio al Barthel Index. Il gruppo sperimentale presentava una severità neurologica (ESS:47,63±11,56) maggiore rispetto al gruppo di controllo (ESS:60,13±22,09). Dopo il trattamento entrambi i gruppi hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo in tutte le scale di valutazione (ESS, SCP, PASS) senza evidenziare differenze significative tra i gruppi. Anche se non sono state individuate differenze significative tra i due gruppi, pensiamo che debba comunque essere posta una certa attenzione alla riabilitazione di questi pazienti al fine di prevenire le cadute e migliorare le ADL. Sono tuttavia necessari nuovi studi al fine di capire se un programma riabilitativo focalizzato sulla correzione della spinta possa migliorare in modo significativo le performance di equilibrio nei pazienti che non rispondono efficacemente ad 1 mese di trattamento riabilitativo. La spalla dolorosa nel paziente emiplegico: analisi preliminare della presa in carico di un campione di pazienti ricoverati presso una Clinica specializzata in rieducazione neurologica di un Dipartimento francese d'oltremare Siciliano C, Marzioti P, Cattaruzzi S, Bomestar T, Fancellu G, Trieste La spalla dolorosa nel paziente emiplegico é una complicanza frequente, che a seconda della Letteratura, varia in una percentuale dal 5 al 84%, ostacolando il recupero e condizionando negativamente il percorso riabilitativo. Il dolore insorge nella maggior parte dei pazienti entro due tre mesi dall'ictus (87% dei casi), non sembrerebbe esserci alcuna correlazione con il sesso e l'età mentre giocherebbero un ruolo rilevante fattori quali la gravità della paresi e la maggiore incidenza delle lesioni all'emisfero destro, in quanto il neglect ad esse associato comporta da parte del paziente una minore cura del proprio arto. Altri fattori sarebbero l'alterazione della sensibilità tattile e propriocettiva nonchè una riduzione del range di abduzione della spalla. In Letteratura il dolore sembrerebbe maggiormente associato alla ricorrenza di emiplegia spastica piuttosto che flaccida.Un corretto posizionamento dell'arto già nelle prime 24 ore dall'evento, una adeguata mobilizzazione del paziente durante i trasferimenti o il nursing evitando trazioni sull'arto plegico, l'utilizzo di reggibraggio durante i trasferimenti e la marcia costituiscono misure fondamentali che hanno un valore sia preventivo sia terapeutico. Al fine di valutare la correttezza della presa in carico del paziente emiplegico affetto da dolore di spalla (alla luce di un protocollo elaborato nel 2009 e rivisto alla luce delle recenti linee guida internazionali) nonchè di individuare la presenza di fattori favorenti lo sviluppo di tale complicanza, sono stati reclutati in una Clinica specializzata in Rieducazione neurologica di un Dipartimento francese d'oltremare, nel periodo da ottobre 2013 a febbraio 2014 complessivamente 37 pazienti emiplegici. I criteri di inclusione erano la presenza di emiplegia/emiparesi e dolore di spalla nonché un periodo di ricovero presso la Struttura non inferiore ai 10 giorni. I dati sono stati raccolti mediante consultazione dei dossier informatizzati, visita del paziente con esame dell'articolarità della spalla in particolare abduzione, flessione anteriore, extrarotazione, rilevazioni relative all'applicazione del protocollo. Il dolore é stato quotato mediante scale VAS e Algoplus. Da un primo esame dei dati raccolti il nostro campione è risultato costituito da 23 maschi e 14 femmine con età variabile da un minimo di 37 ad un massimo di 84 anni. In 22 casi si trattava di ictus ischemico, in 11 casi emorragico mentre in 4 pazienti un prim o evento ischemico era stato complicato da una trasformazione emorragica. In 21 casi era stato coinvolto l'emisfero destro ed in 16 casi il sinistro. In media il dolore alla spalla era comparso a circa 40 giorni dall'evento indice.La forza muscolare all'arto superiore é risultata di 0/5 in 27 pazienti, inferiore a 2/5 in 6 e maggiore di 2/5 in soli 4 casi. Una sindrome da eminegligenza é stata rilevata in 23 pazienti ed un deficit di sensibilità in 24 pazienti. In 25 pazienti prevaleva la flaccidità, nei restanti l'ipertono spastico. Infine dalle rilevazioni effettuate, ben in 24 casi su 37 (65%) la presa in carico si discostava dal protocollo, in particolare, per quanto concerneva il posizionamento a letto ed in carrozzina del paziente. Tale ultimo rilievo evidenzia la necessità di un'implementazione delle linee guida in uso mediante maggior coinvolgimento di tutte le figure professionali addette alla cura del paziente affetto da ictus. Utilizzo di dispositivo robotico per arto superiore in una paziente con spasticità post ictus: case report Azzolin I, Gastaldo M, Campagnoli M, Gobbi M, Filipovic I, Pasquero F, Capacchione P, Desilvestri M, Briasco D, Massazza G, Torino Introduzione : La prevalenza in Italia dei soggetti colpiti da ictus è di circa 900'000. Le paresi dell’arto superiore sono una delle maggiori cause di disabilità in questi pazienti e per la loro riabilitazione motoria possono essere utilizzate le tecnologie robotiche e la realtà virtuale. Gli esercizi sensorimotori robot-assistiti rappresentano un training personalizzato ripetitivo e ad alta intensità che può incidere sul recupero funzionale. Questa terapia contribuisce al mantenimento delle afferenze funzionali, della propriocezione, al miglioramento della pianificazione motoria, alla stimolazione della plasticità cerebrale, alla riduzione della spasticità e alla prevenzione dei danni da immobilizzazione. Questo case report descrive un intervento riabilitativo personalizzato basato sulla tecnologia del guanto robotico Gloreha e finalizzato al miglioramento del quadro clinico e delle ADL. Materiali e metodi : Paziente di 68 anni (F.M.) affetta da emiparesi brachiale sinistra in esiti di ictus ischemico emisferico destro (08/2013), selezionata tra i pazienti in fase cronica post-ictale. Esame obiettivo pre – trattamento: paresi prevalentemente distale all’arto superiore sinistro con cenno di reclutamento dei flessori di dita e polso e degli estensori delle dita, ipertono flessorio al gomito e alle dita, ipoestesia, eminattenzione. MMSE: 24/30. La paziente ha eseguito mirror box therapy quotidiana e fisiochinesiterapia per 2 sedute/settimana. Non è stata sottoposta a infiltrazioni di tossina botulinica né a stimolazione transcranica. La terapia robotica, iniziata a 8 mesi dall’evento ischemico, è stata somministrata dallo stesso operatore ed è consistita in 5 sedute da 25 minuti a settimana per 4 settimane. La tecnica comprende esercizi standardizzati e personalizzati di mobilizzazione singola e sincrona delle articolazioni metacarpofalangee e interfalangee programmati via software. Ai movimenti della mano è associato un feedback virtuale visivo e uditivo per il rafforzamento del concetto di movimento durante l’esercizio. All’inizio e al termine del ciclo la paziente è stata valutata dallo stesso operatore con le seguenti scale: MRC, m-Ashworth, ROM passivo, Barthel, VAS, Motricity index, Wolf Motor Function Test (WMFT), Fugl-Meyer, test Action Research Arm Test (ARAT), MMSE, Stroke Specific Quality Of Life scale (SS-QOL) , Line Bisection Test, CMSA. Risultati : I miglioramenti più significativi sono stati osservati ai seguenti test: MRC (flessori ed estensori dita e polso, pronazione e supinazione); Ashworth (flessori polso e dita); Motricity Index (presa a pinza, flessione gomito, abduzione spalla); WMFT (pre 30/85, post 52/85); Fugl – Meyer (pre 23/66, post 43/66); ARAT (pre 14/57, post 25/57); Line Bisection Test (pre +, post –); CMSA (braccio pre 5, post 6; mano pre 3, post 4); SS-QOL (miglioramento qualità di vita al termine del trattamento); Barthel (pre 80/100, post 90/100). Conclusioni : Dopo il programma di riabilitazione con guanto robotico è stata osservata una riduzione dell’ipertono muscolare, un miglioramento della forza, dell’articolarità, delle capacità funzionali dell’arto superiore emiparetico e della qualità di vita percepita dalla paziente. Il vantaggioso rapporto costo – beneficio, l’elevata tollerabilità, la sicurezza e il gradimento del suddetto trattamento rendono questa metodica una valida proposta complementare agli approcci terapeutici convenzionali negli esiti di vasculopatie cerebrali ischemiche. Analisi comparativa e valutazione quantitative dell’ortesi piede-caviglia per pazienti emiparetici cronici Morrone M, Milighetti S, Bravi M, Santacaterina F, Magrone G, Ciancio AL, Zollo L, Guglielmelli E, Sterzi S, Università Campus Bio-Medico di Roma Razionale: Le ortesi caviglia-piede (AFO) vengono diffusamente prescritte ai pazienti con emiparesi per compensare la sindrome del “foot-drop” [1]. Tuttavia, allo stato attuale mancano studi sistematici sulla valutazione dell’efficienza delle AFO nel favorire il processo di recupero della deambulazione, nè studi che indaghino le differenze terapeutiche tra I vari tipi di AFO disponibili sul mercato. Obiettivi: effettuare un’analisi comparativa tra un’AFO solida ed una dinamica su pazienti affetti da sindrome del “foot-drop”, attraverso l’uitlizzo di indici spazio-temporali, cinematici ed elettromiografici [2]. Disegno di studio: Disegno crossover con randomizzazione degli interventi. Setting: Studio monocentrico condotto presso un centro di riabilitazione per pazienti adulti con patologie neuromuscolari. Popolazione: 10 pazienti emiparetici cronici, affetti da sindrome del “foot-drop”. Metodi: Un’analisi biomeccanica del cammino è stata condotta sui soggetti con syndrome del “piede cadente” in 3 condizioni con ordine di esecuzione randomizzato: (1) senza indossare AFO; (2) indossando un’AFO solida; (3) indossando un’AFO dinamica. Si sono quindi ricercate eventuali variazioni significative dei parametri spazio-temporali, cinematici ed elettromiografici della deambulazione dei soggetti studiati. Risultati: Gli outcomes della gait analysis non hanno evidenziato differenze significative tra l’AFO solida e quella dinamica, per quanto concerne i parametri spazio-temporali. Entrambe le AFO portano a una riduzione dei ROM della dorsi-plantar-flessione di caviglia durante la fase di appoggio del ciclo del passo, se confrontate con la deambulazione effettuata senza indossare alcuna ortesi. Inoltre entrambe le AFO hanno l’effetto di ridurre l’asimmetria tra l’arto paretico ed il controlaterale in termini di angolo di caviglia al contatto iniziale del piede al terreno e di flessione di anca. L’AFO solida conduce, in termini generali, ad un aumento della co-contrazione delle coppie agonista-antagonista coinvolte nella deambulazione (retto femorale-bicipite femorale; tibiale anteriore-gastrocnemio). Conclusioni: Il set di indicatori proposto ha mostrato che le AFO sono in grado di limitare l’effetto “foot-drop” nei pazienti emiparetici e di bilanciare i due arti inferiori. Le principali differenze tra le due AFO erano correlate all’attività mioelettrica, essendo il livello di cocontrazione delle due coppie muscolari tipicamente inferiore, e più vicina ai livelli fisiologici, quando veniva indossata l’AFO dinamica. Impatto clinico-riabilitativo: Un uso più estensivo nella pratica clinica degli indici proposti deve essere incoraggiato al fine di favorire la definizione di linee guida cliniche per la prescrizione delle due ortesi. Bibliografia: [1] Esquenazi A et Al.: “The effect of an Ankle-Foot Orthosis on temporal spatial parameters and asymmetry of gait in hemiparetic patients”. American Academy of Physical Medicine and Rehabilitation, 2009. [2] De Wit DC, Buurke JH, Nijlant JM, IJzerman MJ, Hermens HJ. The effect of an ankle-foot orthosis on walking ability in chronic stroke patients: a randomized controlled trial. ClinRehabil 2004; 18: 550-557. La riabilitazione neuro cognitiva nella malattia di Parkinson con l’immagine motoria: esperienza riabilitativa in un case report Piccinini G, Paolucci T, Zangrando F, Vulpiani MC, Saraceni VM, Roma Sapienza INTRODUZIONE L’instabilità posturale è uno dei sintomi principali del paziente con malattia di Parkinson. Questo comporta disturbi dell'equilibrio e frequenti cadute che possono causare fratture ossee. Scopo di questa ricerca è valutare l’ efficacia della riabilitazione neurocognitiva nella malattia di Parkinson con l'immaginazione motoria in un case report. L'outcome primario è il miglioramento dell’instabilità posturale e la riduzione del rischio di caduta, autcome secondario è la riduzione del dolore ai quattro arti. MATERIALI E METODI È stato impostato un percorso riabilitativo con una paziente di 50 anni (MMSE=26/30), diagnosticata parkinsoniana dall’età di 38 anni. La paziente non ha modificato la terapia farmacologica durante il trattamento riabilitativo e nel periodo di follow-up. I dati sono stati raccolti attraverso la creazione di un profilo della paziente e tramite la somministrazione delle scale di valutazione Unified Parkinson’s Disease Rating Scale per valutare lo stato di malattia, la Tinetti Balance e Gait Evaluation per valutare l’instabilità posturale e l’equilibrio, la Visual Analogue Scale per valutare il dolore, all’inizio (T0) e alla fine del trattamento (T1), con successivo follow up a tre mesi dalla fine del trattamento (T2). Gli strumenti utilizzati all’interno del programma riabilitativo sono stati quelli forniti dall’esercizio terapeutico conoscitivo, ossia i processi cognitivi, quali il problema conoscitivo, l’ipotesi percettiva, l’esperienza cosciente, e, di particolare rilevanza, il linguaggio, per la creazione di un’adeguata relazione terapeutica e per cogliere il punto di vista in prima persona della paziente, ma soprattutto l’immagine motoria, definita da Decety uno «stato dinamico durante il quale un soggetto simula mentalmente una determinata azione. Sono state eseguite due sedute settimanali della durata di un’ora per tre mesi. RISULTATI La Tinetti scale evidenzia un miglioramento nella fase ON, da T0 (=5) a T1 (=14); questi risultati si mantengono al follow-up (=15). La VAS, passa da un valore di 7 in T0 a 1.7 in T1, confermando la riduzione del dolore anche al follow-up con una ulteriore diminuzione fino a 0.5. La UPDRS mostra un miglioramento dello stato della malattia sia nella fase ON sia nella fase OFF, con un aumento nell’autonomia della vita quotidiana. CONCLUSIONI Per concludere, l’elemento che più risalta al termine di questo percorso riabilitativo è che la paziente “ha appreso ad apprendere” in modo differente in senso non solo quantitativo ma anche qualitativo: oltre ad aver sviluppato la capacità di apprendere nuovi comportamenti e di saperli riportare in più contesti. Rispetto al “come si muove”, le maggiori differenze si evidenziano durante il cammino, che ora risulta, complessivamente, più fluido, continuo ed armonioso. I nostri risultati confermano la validità della riabilitazione neuro cognitiva con l’immagine motoria nel migliorare l’instabilità posturale e ridurre il dolore come prodromo del freezing nel paziente parkinsoniano. RIABILITAZIONE E NEUROLOGIA II Ginocchio flesso ed iperesteso nella paralisi cerebrale infantile: un confronto dell’efficacia di trattamenti conservativi Dollaku E, Christodoulou K, Di Rosa G, Castelli E, Foti C, Roma Tor Vergata Introduzione Il ginocchio flesso ed il ginocchio recurvato rappresentano anomalie del pattern del cammino dei bambini affetti da paralisi cerebrale infantile (PCI). La spasticità, le contratture muscolari, il ridotto controllo motorio, la debolezza, i deficit di equilibrio e i movimenti extrapiramidali sono tutti elementi che possono contribuire alla limitazione funzionale a carico del ginocchio. Diversi trattamenti conservativi sono disponibili: la fisioterapia, le ortesi, la tossina botulinica A e la loro combinazione. Lo scopo del nostro studio è stato quello di confrontare come tali strategie terapeutiche influenzino il cammino a ginocchio flesso e recurvato. Materiali e metodi Sono stati valutati retrospettivamente 25 bambini affetti da PCI, 10 con ginocchio recurvato e 15 con ginocchio flesso, trattati con tutore gamba-piede (AFO) e inoculo di tossina botulinica A (BTX-A) a livello dei muscoli flessori di ginocchio e/o muscoli plantaflessori. Durante la valutazione clinica i bambini hanno effettuato una video registrazione del cammino a piedi nudi (T0) e con il tutore (T1) prima del trattamento con inoculo di tossina; un mese dopo il trattamento con BTX-A è stata ripetuta la videoregistrazione del cammino a piedi nudi (T2) e con il tutore (T3). Per la valutazione sono state utilizzate l’ Observational Gait Scale e la Gross Motor Function Classification System (GMFCS). Risultati Nel gruppo dei bambini con ginocchio recurvato è stata ottenuta una riduzione del grado di iperestensione nel 60% a T1, nel 60% a T2, nell’80% a T3. Si è raggiunto un corretto allineamento del ginocchio nel 30% a T1, nel 30% a T2, nell’ 80% a T3. Nel gruppo dei bambini con ginocchio flesso è stato ottenuto un miglioramento del grado di flessione nel 27% a T1, nel 53% a T2, nel 67% a T3. Si è raggiunto un corretto allineamento del ginocchio nel 7% a T1, nel 33% a T2, nel 47% a T3. Discussione I nostri dati mostrano un miglioramento del recurvato di ginocchio già in seguito a trattamento ortesico e il risultato appare simile dopo il trattamento con inoculo di BTX-A, al contrario il ginocchio flesso risulta migliorare maggiormente dopo il trattamento con inoculo di BTXA e mostra una scarsa responsività al trattamento ortesico. In entrambe le condizioni, un approccio terapeutico multimodale ha ottenuto risultati migliori. Conclusione Il ginocchio recurvato ha una maggiore responsività ai trattamenti conservativi rispetto al ginocchio flesso. Effetti della stimolazione con tDCS in sei persone in stato vegetativo Cristella G, De Trane S, Damiani S, Fiore P, Amico AP, Megna M, Bari Introduzione: Lo studio valuta gli effetti della stimolazione elettrica transcranica (tDCS) in pazienti con grave disturbo dello stato di coscienza. Materiali e metodi: Sono stati reclutati 6 soggetti con diagnosi di stato vegetativo grave, sottoposti a stimolazione anodica con tDCS. Prima e dopo tale ciclo sono state somministrate ai pazienti scale cliniche di valutazione del grado di coscienza e di disabilità: GCS (Glasgow Coma Scale), CNCs (Coma Near Coma scale), LCF (Level of Cognitive Functioning of Rancho Los Amigos), DRS (Disability Rating Scale) ed eseguita, nei primi 3 pazienti, una risonanza magnetica nucleare funzionale dell'encefalo (fMRI). Risultati : Abbiamo registrato, dopo tDCS, miglioramenti in tutte le scale cui i pz erano stati sottoposti e, nella maggior parte dei casi, un evidente miglioramento clinico neurologico. La fMRI ha evidenziato invece un aumento delle aree di alterazione di segnale associate alla stimolazione sensoriale dopo tDCS prima non identificabili. Conclusione: La tDCS sembra indurre fenomeni di neuroplasticità e di aumento dell’eccitabilità neuronale quindi una maggiore reattività psico-fisica dei soggetti con disturbi dello stato di coscienza. L’Action Observation Treatment nei pazienti affetti da Malattia di Parkinson Stuppiello L, Bonghi L, De Sanctis JL, Botticelli C, Ranieri M, Santamato V, Santamato A, Fiore P, Foggia INTRODUZIONE La malattia di Parkinson (MP) è una malattia neurodegenerativa caratterizzata da sintomi motori tipici come tremori, rigidità, bradicinesia. La combinazione tra terapia farmacologica e trattamento riabilitativo rappresenta il gold standard nella gestione di tali pazienti . L’Action Observation Treatment (AOT) sfrutta il principio dell’utilizzo dei neuroni mirror nell’apprendimento osservazionale e consiste nel far osservare ai pazienti delle azioni quotidiane perché poi le eseguano al meglio delle loro possibilità motorie. OBIETTIVO DELLO STUDIO L’obiettivo del nostro studio è stato quello di confrontare due diversi approcci terapeutici: l’AOT e la fisiochinesiterapia tradizionale nei pazienti affetti da MP. MATERIALI E METODI Sono stati valutati 10 pazienti (M-F=6:4;) affetti da MP, di età compresa tra i 58 e 74 anni (età media 66,0 anni) in buon compenso farmacologico, di essi uno è stato escluso per grave declino cognitivo e grave poliartrosi. I pazienti sono stati suddivisi in maniera randomizzata in 2 gruppi: il gruppo A (sperimentale) e il gruppo B (controllo). Ai soggetti reclutati nel gruppo A è stato chiesto di guardare 7 video-clips che mostravano l’esecuzione di movimenti basilari per le ADL (cammino, cambio di direzione, superare un ostacolo, aggirare un ostacolo, start, abbottonare una camicia, compito dual task), mentre soggetti arruolati nel gruppo di controllo sono stati sottoposti a tradizionale trattamento fisiochinesiterapico (mobilizzazione attiva e passiva, esercizi di rinforzo muscolare, esercizi di coordinazione, esrcizio aerobico). Ogni paziente ha effettuato un ciclo di 3 sedute a settimana per 1 ora/die per un totale di 24 sedute.Tutti i pazienti, allo stadio 1-2 secondo la classificazione di Hoehn e Yahr, sono stati sottoposti all’arruolamento (T0) e alla fine del trattamento (T1) a valutazione clinica con scale di valutazione: FOG-Questionnaire, Timed-Up&GO, test dei 10 metri, Berg, PDQ-39, UPDRS, Dynamic gait index. RISULTATI Alla fine del trattamento nel gruppo A è emerso un miglioramento del quadro clinico con riduzione dell’instabilità posturale (sia nell’equilibrio che nel freezing) e un aumento della velocità della deambulazione. Tuttavia tali dati non sono risultati statisticamente significativi ed inoltre non si è riscontrato un miglioramento della qualità della vita. CONCLUSIONI Dai risultati preliminari ottenuti possiamo affermare che l’AOT potrebbe ridurre i sintomi motori in soggetti affetti da MP in buon compenso farmacologico, anche se il numero delle sedute di fisioterapia dovrebbe necessariamente essere aumentato ed il trattamento riabilitativo eseguito dopo qualche ora dall’assunzione della terapia farmacologica. Valutazione di nuove tecniche strumentali per la valutazione del cammino e del “turning”: studio su 30 pazienti con Malattia di Parkinson Bonadiman S, Modenese A, Roncari L, Fittipaldi S, Scapinello M, Ponente A, Geroin C, Munari D, Picelli A, Gandolfi M, Smania N, Verona I pazienti affetti da Malattia di Parkinson (MP) presentano alterazioni del cammino che conducono ad un progressivo peggioramento dell’autonomia con il progredire della patologia; un’elevata percentuale di pazienti presenta difficoltà nell'eseguire cambi di direzione durante il cammino, il cosiddetto "Turning", con un conseguente aumento del rischio di cadute. Fino ad oggi i disturbi di Turning sono stati indagati solo parzialmente e gli studi disponibili sono stati condotti in condizioni di laboratorio molto artificiose mediante sistemi di analisi cinematica molto costosi e complessi, risultando di non facile applicabilità nella pratica clinica. Nell’ultimo decennio sono stati sviluppati nuovi strumenti di analisi del cammino che consentono una quantificazione dei parametri della deambulazione anche in contesti ambulatoriali. Tra questi si colloca un sistema denominato G-WALK® che, grazie a un sensore inerziale connesso via Bluetooth ad un computer, permette di calcolare i parametri spazio-temporali e le rotazioni del bacino durante la deambulazione o l’esecuzione di altri gesti motori. Tale dispositivo è di facile applicabilità nello studio del cammino in soggetti con MP e potrebbe potenzialmente essere un valido strumento per l’analisi dei disturbi di Turning in un contesto ambulatoriale. Lo scopo dello studio è stato quello di sviluppare un nuovo protocollo di valutazione strumentale mediante dispositivo G- WALK®, specifico per il disturbo di Turning in pazienti con Malattia di Parkinson, stratificando i pazienti in base alla severità della patologia. Nel cammino rettilineo i pazienti con MP in stadio 1 non hanno mostrano differenze significative rispetto ai soggetti sani. I soggetti con MP in stadio 2 hanno presentato una ridotta durata della fase di volo totale, un aumentata durata della fase di appoggio totale, della fase di volo destro e di appoggio destro. Nei soggetti con MP in stadio 3 si è rilevata una riduzione della velocità del cammino. Nel Turning verso destra i pazienti in stadio 1 di malattia hanno mostrato un aumento della durata del ciclo del passo, del doppio appoggio totale, dell’appoggio del piede esterno e una riduzione della durata del singolo appoggio del piede interno. Il confronto tra pazienti in stadio 3 e soggetti sani ha evidenziato una maggior durata della fase di appoggio sul piede interno e del doppio appoggio totale. Nel Turning verso sinistra nei pazienti allo stadio 1 di malattia sono emersi un aumento della durata del ciclo del passo e una riduzione della durata del singolo appoggio sul piede interno. Nei pazienti allo stadio 2, sono stati riscontrati un aumento della durata d'appoggio sul piede esterno e del doppio appoggio e una minor durata del singolo appoggio sul piede interno. I pazienti allo stadio 3 presentavano una riduzione della durata del singolo appoggio sul piede interno. Dai dati raccolti mediante pedana posturografica e dai valori ottenuti mediante il calcolo del Test di Romberg è emerso inoltre che i pazienti in stadio 2 e 3 di malattia presentavano instabilità posturale, come riportato anche in letteratura. Lo studio dei disturbi della deambulazione, e nello specifico del Turning, permetterà al clinico di sviluppare adeguate strategie riabilitative volte al superamento della disabilità nel paziente affetto da Malattia di Parkinson. Valutazione dei bisogni del caregiver dei pazienti con lesione al midollo spinale Bolis M, Meroni R, Molinero G, Perin C, Cerri CG, Milano Bicocca Introduzione Diversi autori evidenziano che i caregiver, soprattutto nell’ambito dell’assistenza al paziente con lesione al midollo spinale, mostrano bisogni che sovente non sono adeguatamente tenuti in considerazione. Sottovalutare questo aspetto può portare ad un aumento del carico assistenziale da parte del caregiver ed influenzarne la qualità di vita. Obiettivo Analizzare i bisogni assistenziali dei caregiver dei pazienti con lesione al midollo spinale. Valutare l’influenza (1) delle caratteristiche pazienti con lesioni al midollo spinale (demografiche, cliniche, funzionali e di autonomia e degli outcome riabilitativi e sociali) e (2) delle caratteristiche dei caregiver (demografiche e socio-lavorative) sui bisogni di questi ultimi. Materiali e metodi Studio osservazionale retrospettivo basato sulla raccolta di dati di tutti i pazienti con lesione al midollo spinale con primo ricovero nel quinquennio 2009-2013 presso il Centro Spinale dell’A.O. Papa Giovanni XXIII di Bergamo. I dati sono stati raccolti da cartella clinica e inseriti in un database (Web-database Remielolesione). I dati raccolti riguardano: caratteristiche demografiche dei pazienti, caratterisitiche cliniche, outcome riabilitativi (ASIA, FIM e SCIM), outcome sociali, bisogni dei caregiver (Caregiver Need Assessment CNA). Risultati 50 caregiver di pazienti con lesione al midollo spinale di età dai 20 ai 75 anni, 64% donne, la maggior parte lavoratori dipendenti e casalinghe, coniugi e figli, sottoposti, previo consenso, a questionario CNA. I rispettivi 50 pazienti presentano età dai 18 ai 77 anni, 76% uomini, 63% paraplegici, 67% con eziologia traumatica, ASIA A (39%) e D (50%), FIM mediana 115 (range 111-120) e SCIM mediana 70 (range 67-87). La maggior parte dei caregiver prestano assistenza diurna di 3h (36%) e continua di 24h (36%). La maggior parte dei caregiver manifesta bisogni informativi riguardanti le cure (65,9%), i comportamenti problematici (39,0%), i problemi insorti durante la malattia (53,7%) e il bisogno di collaborare ed essere coinvolti nelle decisioni riguardanti il proprio famigliare (53,7%). Mentre la maggior parte dei caregiver ritiene di non aver bisogno di aiuto nell’assistenza (58,5%), di essere capito e sostenuto dalle persone vicine (39,0%), di supporto psicologico (43,9%) e di supporto spirituale (68,3%). Non ci sono relazioni tra i bisogni informativi/comunicativi e quelli di supporto emotivo e sociale del caregiver e le caratteristiche demografiche, cliniche, funzionali e di autonomia del paziente, ASIA, CIRS, FIM, SCIM, livello neurologico, causa della lesione, caratteristiche demografiche, socio-lavorative e ore di assistenza del caregiver e servizi sociali. Conclusioni I bisogni informativi/comunicativi da parte dei caregiver sono maggiori rispetto ai bisogni di supporto emotivo e sociale. Ci si propone quindi di eseguire una corretta e continua informazione al caregiver per la gestione del proprio famigliare e di migliorare la comunicazione con l’equipe riabilitativa al fine di implementare sia l’outcome riabilitativo dei pazienti con lesione al midollo spinale che il carico assistenziale e la qualità di vita dei propri caregiver. Monitoraggio del trattamento riabilitativo dopo anastomosi masseterino-faciale in pazienti affetti da paralisi periferica del VII nervo cranico Pavese C, Cecini M, Lozza A, Biglioli F, Lisi C, Dalla Toffola E, Pavia Introduzione: Nei pazienti affetti da paralisi del VII nervo cranico senza possibilità di recupero spontaneo, la muscolatura facciale puo’ essere reinnervata con diverse opzioni chirurgiche. In base al nervo donatore utilizzato per reinnervare i muscoli dell’emivolto, viene costituito un nuovo circuito di controllo motorio. Dopo un’anastomosi masseterino-faciale, i muscoli del volto vengono reinnervati dal nervo masseterino e i pazienti devono imparare a contrarre la muscolatura facciale mediante l’attivazione della masticazione. Obiettivo: Monitoraggio del protocollo riabilitativo dopo anastomosi masseterino-faciale. Metodi: Dopo l’anastomosi masseterino-faciale, i pazienti sono stati trattati con un protocollo di esercizi allo specchio di attivazione della muscolatura facciale con trigger masticatorio e monitorati con la Scala di Valutazione Facciale Sunnybrook e con il sistema computerizzato Facial Assessment by Computer Evaluation (FACE). Risultati: Dopo l’intervento, i pazienti hanno riportato una buona reinnervazione della muscolatura facciale. Con l’esecuzione della manovra riabilitativa, i pazienti ottenevano un significativo miglioramento della simmetria statica e dinamica del volto. Conclusioni: Nella scelta dell’intervento chirurgico di rianimazione facciale è importante considerare la manovra riabilitativa necessaria ad attivare la muscolatura facciale dopo la ricostruzione. L’introduzione di nuove tecniche chirurgiche di rianimazione facciale richiede un continuo aggiornamento dei protocolli riabilitativi. Efficacia di un trattamento robotico della deambulazione in pazienti affetti da Paraparesi Spastica Ereditaria Bertolucci F, Mancuso M, Di Martino S, Chisari C, Rossi B, Pisa INTRODUZIONE Il difetto della deambulazione che caratterizza la Paraparesi Spastica Ereditaria (Hereditary Spastic Paraparesis, HSP) ha un impatto negativo sull'autonomia e sulla qualità di vita dei soggetti affetti. Attualmente non esiste cura specifica per la HSP, e benchè il contributo della riabilitazione appaia fondamentale, non esiste letteratura a questo riguardo. Considerata la dimostrata efficacia della robotica nel miglioramento ella deambulazione e dell'equilibrio in diverse patologie neurologiche, l'obiettivo di questo studio è quello di verificare l'efficacia di un programma di training robotico della deambulazione in adulti con HSP. MATERIALI E METODI 13 soggetti (7 F e 6 M, età media 46,3±8,9 anni) con HSP non complicata sottoposti a training della deambulazione su Lokomat: 18 sedute da 40 minuti circa ciascuna, 3 accessi settimanali. Le misure di outcome, effettuate prima dell'inizio del trattamento (T0), al termine (T1) e ad un follow-up di due mesi (T2), sono state: Berg Balance Scale (BBS), Timed Up and Go Test (TUG), 10 Meter Walking Test (10mWT), 6 Minutes Walking Test (6MWT), Physiological Cost Index (PCI), Modified Ashworth Scale (MAS), Short Form 36 (SF-36), Hospital Anxiety and Depression Scale (HADS). Statistica non parametrica (test di Wilcoxon). Significatività per p<0.05. RISULTATI Al termine del trattamento (T1) è stato osservato un miglioramento significativo nella BBS (da 46,8±10,7 a 50,5±9,6), nel 10mWT (da 13,3±9,9 a 11,8±8,9sec) e nel 6MWT (da 323,8±118,0 a 365,7±122,1 m). Il PCI è rimasto invariato (da 0,26±0,35 a 0,31±0,67) ed il TUG ha mostrato un miglioramento non significativo (da 12,9±9,3 sec a 12,3±8,0 sec). Non ci sono state variazioni del tono muscolare secondo la MAS. La SF-36 ha riscontrato un miglioramento significativo per quanto riguarda la limitazione legata al ruolo fisico (da 55,8±39,7 a 78,8±37,9), la limitazione legata al ruolo emotivo (da 66,3±30,5 a 79,4±37,4), la funzione sociale (da 66,2±24,5 a 79,5±18,2) e la salute mentale (da 67,4±20,4 a 74,5±23,3). La HADS ha mostrato un miglioramento significativo per quanto riguarda il dominio dell’ansia (da 5,6±4,8 a 3,7±4,9). Il follow-up non ha mostrato variazioni significative rispetto a T1. CONCLUSIONI Il protocollo riabilitativo proposto ha determinato un miglioramento dell’equilibrio, della velocità del cammino e della resistenza in soggetti con HSP non complicata, con un impatto positivo sulla qualità di vita. Inoltre, tali effetti si sono mantenuti nel tempo. In futuro sarà necessaria l'estensione del campione e l’introduzione di un gruppo di controllo al fine di confermare i dati preliminari ottenuti. MISCELLANEA Progetto riabilitativo Complesso nella sindrome di Leigh Scarcello L, Carmignano SM, Bellomo RG, Saggini R, Chieti-Pescara La Sindrome di Leigh è una malattia mitocondriale caratterizzata da una disfunzione neurologica dovuta a encefalomiopatia subacuta necrotizzante. Le malattie mitocondriali sono dovute ad un difetto del complesso della piruvato-deidrogenasi o un deficit della via metabolica della fosforilazione ossidativa. La maggior parte delle mutazioni si localizza nel genoma nucleare. I geni-malattia identificati finora codificano per una delle subunità del complesso della piruvato deidrogenasi (PDH) o per una delle subunità dei complessi I e II della catena respiratoria o per una proteina coinvolta nell'assemblaggio del complesso IV, coenzima Q. La mutazione di questi geni determina un aumento del metabolismo intermedio del ciclo di Krebs, un aumento della produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) e, quindi, in ultima analisi un danno d’organo dovuto a una progressiva necrosi. Il danno d’organo solitamente interessa più organi e sistemi. In RMN si evidenzia iperintensità del segnale in T2 nei gangli della base, talamo, substancia nigra, nucleo rosso, corteccia cerebellare, sostanza bianca cerebrale e del midollo spinale. Possono coesistere aree unifocali o multifocali infartuali, atrofia corticale con dilatazione ventricolare. Nel sangue e nel liquor si osserva un incremento dei livelli di lattato e/o piruvato, iperlatticidemia, incremento del rapporto lattato/piruvato. Nelle urine si osserva un aumento dei livelli di lattato e di metaboliti specifici del ciclo di krebs. L'attività della piruvato deidrogenasi si misura sui leucociti o sui fibroblasti cutanei in coltura, mentre lo studio della fosforilazione ossidativa viene eseguito sulle cellule muscolari o epatiche. Ad oggi non esistono trattamenti farmacologici e riabilitativi standardizzati e di provata efficacia. Scopo del nostro studio è illustrare un percorso riabilitativo complesso in un caso di Sindrome di Leigh finalizzato al mantenimento delle funzionalità residue, al miglioramento della performance e dell’elasticità tissutale, alla stabilizzazione del quadro metabolico e alla prevenzione delle complicanze legate alla patologia. CASE REPORT: Descriviamo il caso di un bambino di dieci anni affetto da sindrome di Leigh. Dall’età di 6 mesi, ha progressivamente sviluppato oftalmoplegia a destra e cloni agli arti inferiori, apnee notturne, scialorrea, iperlattacidemia, assenza del riflesso della tosse, strabismo divergente, diffusa atrofia muscolare e distonia. La risonanza magnetica ha evidenziato lesioni multiple che interessavano i nuclei lenticolari, parzialmente i talami e peduncoli cerebrali e l’area periacqueduttale. È stato visitato la prima volta presso il centro di Medicina Fisica e Riabilitativa dell’Università di Chieti all'età di 6 anni. Il bambino presentava tetraparesi spastica maggiormente a carico dell’emisoma destro, distonia agli arti superiori, scarso controllo del capo, diffusa atrofia muscolare, disordini della motilità oculare inter-sopranucleare, scialorrea e frequenti episodi di vomito. La produzione del linguaggio era assente. Il bambino era in grado di girarsi dalla posizione supina a sinistra, ma non a destra, non poteva effettuare movimenti di rotolamento, e non era in grado di stare seduto da solo. L’RX della colonna e del bacino evidenziava scoliosi ad ampio raggio destro-convessa dorso-lombare, coxa valga bilaterale e lussazione coxo-femorale destra. All’ecocardiogramma si evidenziava soffio sistolico da rigurgito mitralico. I farmaci assunti dal bambino all’ingresso nel nostro Dipartimento erano: Lucen, Mnesis, Creatina, Glutatione, Quinone Q10, Carnitene, N-Acetilcisteina, Folina, Riboflavina, Amminometionina e Tiobec. A seguito del quadro clinico e funzionale presentato dal bambino è stato prescritto un percorso riabilitativo complesso finalizzato al mantenimento delle funzionalità residue, al miglioramento della performance e dell’elasticità tissutale, alla stabilizzazione del quadro metabolico e alla prevenzione delle complicanze legate alla patologia. Il progetto riabilitativo effettuato con il consenso scritto e firmato dei genitori è stato cosi articolato: • Biorisonanza ciclotronica (tecnologia Quec Phisis-Prometeo srl) con programmi specifici per le disfunzioni enzimatiche e distonia neurovegetativa, tipo anergico (2 volte a settimana per 10 mesi all’anno) • Sistema ad onde acustiche focalizzate, a 200 Hz, ad alto rendimento per la riduzione dell’ipertono spastico con sistema VISS (VISSMAN,ITALY) (2 volte a settimana per 10 mesi all’anno) • Terapia manuale (1 volta a settimana nel primo anno di terapia) • Terapia neuromotoria in ambiente microgravitario acquatico (2 volte a settimana per 10 mesi all’anno) • Onde d’urto extracorporee defocalizzate (Dermagold, HMT, ITALIA) per inibire la spasticità dei muscoli adduttori e flessori della coscia bilateralmente (1 volta alla settimana per 6 settimane, da ripetere ogni 6 mesi). Possiamo ipotizzare, sulla base del miglioramento dei parametri metabolici e la stabilizzazione funzionale ottenuta, che il supporto farmacologico deve essere combinato con un programma completo e specifico di riabilitazione che è destinato ad agire sui singoli componenti disfunzionali e mira a ridurre la tossicità cellulare dovuta all'aumento delle specie reattive dell'ossigeno. Concordanza tra indicazione medica al trattamento riabilitativo e percezione della disabilità all’arto superiore in donne sottoposte a chirurgia senologica Monsù AM, Rossi R, Andrenelli E, Capecci M, Ceravolo MG, Ancona INTRODUZIONE. In Italia l’aspettativa media di vita dopo diagnosi di carcinoma mammario è attualmente di 17,5 anni. Pertanto appare cruciale il ruolo della riabilitazione nel prevenire e trattare le complicanze a breve, medio e lungo termine, migliorando la qualità della vita. Questo studio ha lo scopo di identificare i fattori correlati al ricorso a trattamento riabilitativo e alla percezione di disagio che la donna riferisce dopo l’intervento di chirurgia mammaria. SOGGETTI E METODI. Sono state studiate 60 donne (età = 54.8±12 anni) sottoposte, consecutivamente tra dicembre 2013 ed Aprile 2014, ad intervento di chirurgia senologica per carcinoma della mammella e a valutazione clinico-funzionale ad 1 mese dall’intervento (nell’ambito del percorso Breast Unit attivato presso l’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona). Per ciascuna è stata effettuata valutazione clinica (misurazione di forza, sensibilità, ROM articolare bilaterale e circonferenza degli arti superiori, valutazione analogica del dolore con NRS, osservazione cicatrici chirurgiche, censimento delle eventuali complicanze post chirurgiche) e funzionale (valutazione strutturata mediante test autosomministrato della disabilità dell’arto superiore tramite la scala QUICK DASH (QD) e dell’immagine corporea con BODY IMAGE SCALE (BI)) mirata a stabilire l’indicazione a presa in carico riabilitativa. RISULTATI. Nel 53.3% dei casi, si rilevavano indicazioni a trattamento riabilitativo. All’analisi univariata, si riscontrava in queste pazienti una significativa maggiore incidenza di linfoadenectomia ascellare (Chi2=10.2; p=.001), alterazioni del processo di cicatrizzazione (Chi2=7.3; p=.007), limitazione del ROM spalla (Chi2=12.2; p=.005), ipomobilità protesica (Chi2=8.1; p=.005), disturbi sensitivi al braccio o in regione mammaria omolaterale (Chi2=8.8; p=.003). Le pazienti avviate al trattamento mostravano un punteggio più alto (significativo di una maggiore compromissione) alla QD (F=14.3 p=.004; QD >20: Chi 2=5.7, p=.02), alla BI (F=4.7, p=.03; BI>10 Chi2=5.1 p=.02) e la NRS (F=16.6 p=.001). L’analisi multivariata faceva emergere la linfadenectomia come fattore predittivo indipendente di disabilità emergente (Chi2=5.7; p=0.2). Il punteggio ottenuto alla QD correlava con quello BI (F=4.7, p=.03; Adj R2=6%) e NRS (F=53 p<.0001 Adj R2= 47%), con la presenza di limitazione del ROM della spalla (Chi 2=4.2; p=.04) e di contratture muscolari (Chi2=7.7; p=.005). La presenza di dolore alla mobilizzazione attiva della spalla era predittore di maggiore disabilità percepita (QD>20) (Chi2=6.3; P=.01) e peggiore immagine corporea (BI>10) (Chi 2=5.7; p=.02). CONCLUSIONI. L’intervento chirurgico comprensivo di linfoadenectomia determina complicanze cutanee (linfosclerosi, aderenze cicatriziali) e motorie (limitazione del ROM della spalla, contratture) meritevoli di presa in carico riabilitativa in oltre il 50% delle donne. Il dolore durante il movimento della spalla rappresenta il principale fattore predittivo di disabilità fisica e psicologica percepita dalle donne. Codifica dell’ICF e valutazione con elettromiografia dinamica presso un laboratorio di analisi del cammino Camerano C, De Luca A, Checchia GA, Lentino C, Cioni M, Catania Introduzione: Nei laboratori di analisi del cammino, per una corretta valutazione dei soggetti, e’ opportuno effettuare un esame clinicostrumentale basato sulla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF). E’ importante indagare non solo le Funzioni del corpo e le Strutture del corpo, ma anche il livello di Attività e Partecipazione ed i Fattori ambientali delle persone disabili nei loro ambienti domestici-lavorativi. Dall’analisi della letteratura scientifica, risulta assente sia un’applicazione pratica dell’ICF, durante una valutazione strumentale di analisi del cammino, sia un Core Set validato. Soggetti, Materiali e Metodi: Presso il laboratorio di analisi del cammino dell’Ospedale S. Corona di Pietra Ligure (SV), sono stati valutati 24 soggetti con diagnosi di stroke, di cui 11 maschi e 13 femmine, con una età compresa tra i 43 ed i 75 anni. Preliminarmente allo studio, abbiamo estrapolato, da tutti gli elementi della classificazione dell’ICF per adulti, una lista di codici correlati al movimento. Tutti i codici della lista sono stati accompagnati dal qualificatore. I soggetti coinvolti nello studio sono stati sottoposti a valutazione con: l’elettromiografia in dinamica di superficie (EMGs) dell’arto inferiore paretico, i codici del’ICF da noi preliminarmente selezionati, la Walking Handicap Scale (WHS) ed il Test dei 10 metri. Si è proseguito lo studio con la classificazione dell’attività EMGs nei pattern eletromiografici descritti da Shiavi e coll. (1987), con l’individuazione del coefficiente di correlazione e l’esecuzione del Test di significatività R di Pearson. Risultati: Sono stati rilevati coefficienti di correlazione: con p<0.001, tra la WHS ed i codici di performance e capacità d420, d460, d475; con p<0.01 tra la WHS ed i codici di performance e capacità d430, d435, d455, d465, d470, e di barriera e1200. Inoltre sono state osservate queste stesse p di correlazione tra la velocità media ed i codici dell’ICF sopra riportati. E’ stata confermata la correlazione positiva tra la WHS e la velocità media con p<0.001. E’ stata rilevata una buona correlazione negativa (r=-0.72) tra la velocità media ed i tipi di pattern elettromiografici con p<0.05. Conclusioni: Dai risultati si evince che, per un corretto approccio bio-psico-sociale e per individuare l’appropriato intervento terapeutico in pazienti con disabilità, che giungono a valutazione con EMGs in un laboratorio di analisi del cammino, bisogna indagare sia le performance e le capacità nelle Attività e Partecipazione della vita quotidiana, sia le barriere o i facilitatori dei Fattori ambientali della classificazione ICF. Valutazione della disabilità motoria ed intervento riabilitativo in fase acuta nel paziente cardio-operato Petrucci L, Ricotti S, Emiliani V, Monteleone S, Conte T, Dalla Toffola E, Pavia I pazienti sottoposti ad intervento chirurgico sperimentano un declino funzionale legato soprattutto all’immobilizzazione post operatoria ed all’intervento stesso, che si traduce in una riduzione della mobilità, con perdita parziale o totale dell’indipendenza personale. Lo scopo di questo lavoro è stato valutare in un gruppo di pazienti, ricoverati presso la Struttura di Cardiochirurgia dell’IRCCS Fondazione Policlinico San Matteo di Pavia, dal marzo 2011 al gennaio 2012, il declino funzionale in termini di disabilità motoria conseguente all’evento acuto ed il recupero del grado di autonomia pre-operatoria con l’intervento riabilitativo personalizzato. In seguito a visita fisiatrica (effettuata ad una media di 6 ± 7 giorni dall’intervento chirurgico) sono stati arruolati 375 pazienti (età media 66,34 ± 12,58 anni, M 238, 63,47%) sottoposti ad intervento cardiochirurgico. Il trattamento riabilitativo è iniziato ad una media di 0,67±1,39 giorni dalla visita fisiatrica sulla base di quanto previsto dal PRI (Progetto Riabilitativo Individuale). Il raggiungimento degli obiettivi prefissati è stato ricercato con l’attuazione del Programma riabilitativo individuale (pri), tramite l’esecuzione di esercizi neuromotori con modalità e cronologia prestabilite. Tra i soggetti arruolati 320 (85,33%) riferivano deambulazione autonoma al domicilio, 55 (14,67%) deambulazione dipendente. Nel post operatorio, tutti presentavano una disfunzione respiratoria, 93 soggetti (24,8%) non presentavano alcuna limitazione motoria, 237 (63,20%) un decondizionamento fisico semplice, 45 (12%) un decondizionamento fisico complesso. Un paziente (0,26%), sottoposto ad intervento di BPAC, ha rifiutato il trattamento riabilitativo. Due pazienti (0,53%), uno sottoposto ad intervento di chirurgia valvolare ed uno a BPAC, sono deceduti. Sono state effettuate una media di 6±4,5 sedute di trattamento riabilitativo. Il recupero della stazione seduta a bordo letto avveniva in media a 2,73±1,79 giornate di trattamento, mentre quello della deambulazione autonoma a 3,36±2,41 giornate. Al momento della dimissione 236 soggetti (63,44%) erano in grado di deambulare in autonomia, 62 soggetti (16,67%) deambulavano con assistenza. Dei 74 soggetti (19,89%) non in grado di deambulare alla dimissione, 55 (74,2%) avevano una limitazione pre esistente al domicilio. Inoltre, tra i 74, 12 (16,22%) hanno raggiunto la stazione seduta a bordo letto. Alla dimissione l’87,64% (326 soggetti) dei pazienti veniva inviato in un reparto di riabilitazione intensiva specialistica, l’8,06% (30 soggetti) al domicilio ed il 4,3% (16 soggetti) veniva trasferito in un altro reparto per acuti in seguito a complicanze nel post-operatorio. Dai nostri dati, oltre alla nota disfunzione respiratoria determinata dall’incisione toracica, si evidenzia nella maggior parte dei pazienti (circa il 75%) un decondizionamento fisico, che sembra gravare pesantemente sull’outcome riabilitativo. Infatti, circa il 20% di coloro che mostravano una disabilità motoria al momento della visita non recuperava l’autonomia nella deambulazione. Di converso, nonostante la brevità del trattamento riabilitativo nel post-acuto, una buona quota (circa il 63%) recuperava completamente l’autonomia nella deambulazione. Da ciò si deduce l’importanza del seguire l’evoluzione della disabilità motoria nel tempo, costruendo un percorso riabilitativo personalizzato, che inizi nell’immediato post-operatorio e prosegua in una Struttura Specialistica. Modello rigenerativo con ESWT nelle cicatrici atrofiche e retraenti Saggini A, Dodaj I, Di Stefano A, Soda G, Bellomo RG, Scuderi N, Saggini R, Chieti-Pescara Introduzione La cicatrice cutanea è definita come il risultato della guarigione di una ferita con rigenerazione e sostituzione del tessuto dermico con tessuto fibroso. Le cicatrici possono svilupparsi dopo danno a carico del derma profondo per lesioni, ustioni, abrasioni, lacerazioni, chirurgia. Quando il processo di cicatrizzazione si protrae nel tempo, si ha accumulo patologico di collagene con formazione di una cicatrice patologica. Le ferite con problemi di cicatrizzazione sono spesso “bloccate” nella fase infiammatoria e proliferativa del processo di guarigione. Una volta formatasi, la cicatrice segue un processo di maturazione che dura alcuni mesi. È importante valutare l’andamento della fase di maturazione per adattare il trattamento in maniera specifica. Nonostante il processo di cicatrizzazione fisiologica sia stato ampiamente studiato, ancora poco si conosce riguardo le cause della cicatrizzazione patologica. Scopo dello studio è stato valutare l’efficacia del trattamento di ferite patologiche della mano con onde d’urto defocalizzate utilizzate singolarmente o in associazione alla terapia manuale, in termini di funzione e variazione delle caratteristiche della cicatrice. Materiali e Metodi Sono stati valutati e trattati 40 soggetti, di ètà compresa tra 20 e 65 anni, con cicatrici chirurgiche dolorose dopo intervento di chirurgia della mano avvenuto almeno un mese prima dell’inizio della terapia. Il trattamento consisteva in 10 sedute (2 a settimana) di onde d’urto con sonda defocalizzata (Dermagold, MTS, Europe GmbH, Constance, Germany). I soggetti sono stati suddivisi in maniera random in 3 gruppi; il gruppo A comprendeva 19 soggetti trattati solo con onde d’urto defocalizzate; il gruppo B 11 soggetti trattati con onde d’urto defocalizzate associate a terapia manuale; i 10 soggetti inclusi nel gruppo C (gruppo controllo) non hanno ricevuto alcun tipo di trattamento. Le cicatrici sono state valutate e classificate a T0 (primo giorno di trattamento) e T1 (dopo l’ultima seduta) in base a: localizzazione, altezza, lunghezza, pigmentazione, vascolarizzazione, utilizzando la Vancuver Scar Scale (VSS) come metodo quantificativo; è stata effettuata valutazione del dolore soggettivo su scala VAS. Prima del trattamento (T0) e a distanza di 10 giorni dall’ultima seduta (T1) sono stati effettuati prelievi cutanei della grandezza di 4mm con punch-biopsy. I prelievi sono stati effettuati con la medesima tempistica anche nel gruppo di controllo. I campioni bioptici sono stati colorati con ematossilinaeosina e picrosirius red per valutare la struttura della pelle, lo spessore e la morfologia del collagene. È stata quindi effettuata l’analisi immunoistochimica con Fattore XIII per valutare la risposta dei fibroblasti e la neoangiogenesi, CD34 per valutare la risposta del collagene e CD31 per valutare la risposta vascolare. Risultati -Gruppo A: I valori relativi ai parametri della VSS si sono ridotti tutti in misura statisticamente significativa con p<0.05; il valore medio della vascolarizzazione si è ridotto da 2.3 di T0 a 0.2 di T1; il parametro pigmentazione da 2.4 a 0,5; l’altezza da 2.3 a 0.5; lo spessore da 3.5 a 1.6. Il dolore su scala VAS si è ridotto da 4.3 a 2.1 (P<0,05). -Gruppo B: I valori relativi ai parametri della VSS si sono ridotti tutti in misura statisticamente significativa con p<0.05; il valore medio della vascolarizzazione si è ridotto da 2.2 a 0.5; il parametro pigmentazione da 2.4 a 0,3; l’altezza da 2.4 (T0) a 1.3; lo spessore da 3.1 a 1.2 . Il dolore su scala VAS si è ridotto da 5.2 a 2.0 (P<0,05). -Gruppo C: Non si è verificata modificazione statisticamente significativa dei parametri presi in considerazione. L’esame istopatologico ha mostrato, nei gruppi A e B, aumento significativo dell’infiltrazione di fibroblasti, dell'angiogenesi, della concentrazione di collagene di tipo I e significativo miglioramento qualitativo del collagene dermico che è apparso più fine e più fibrillare. Conclusioni Le molteplici cause di danno cutaneo possono indurre la deposizione di nuovo collagene attraverso l'attivazione dei fibroblasti dermici. I fibroblasti sono cellule mesenchimali che rappresentano una percentuale significativa di tutta la cellularità del tessuto connettivo, giocando un ruolo fondamentale nella guarigione delle ferite. L’attivazione funzionale induce profondi cambiamenti morfologici nei fibroblasti, tra cui una significativa espansione del reticolo endoplasmatico rugoso e l'espressione di diversi marcatori di superficie. I fibroblasti sono in grado di secernere i precursori dei componenti della matrice extracellulare (ECM), inclusi sostanza basale, collagene, glicosaminoglicani, fibre elastiche e reticolari, glicoproteine. Le onde d'urto si sono dimostrate in grado di indurre un aumento del numero di fibroblasti attivati, fibrociti CD34+ e cellule dendritiche fXIII+; questo processo porta alla deposizione di nuovo collagene, caratterizzato da fasci sottili con orientamento parallelo alla giunzione dermo-epidermica. Tali caratteristiche istologiche influiscono sull’aspetto macroscopico della cicatrice. La terapia con onde d'urto ha un ruolo significativo anche nell’aumento della densità di CD31+ nei vasi del derma, permettendo un migliore metabolismo dei tessuti. Considerando le evidenze istopatologiche descritte e i risultati clinici significativi evidenziati si può confermare che le onde d’urto siano da considerarsi trattamento elettivo nelle patologie della guarigione cutanea anche in assenza di altro contributo terapeutico quale la Terapia Manuale Miofasciale. Protocollo di Valutazione Fisiatrica in pazienti con Mucopolisaccaridosi tipo 6 candidati a terapia genica Mazzuoccolo G, Raiano E, Liguori L, Matarazzo G, Cardillo M, Farella G, De Vivo A, Servodio Iammarrone C, Napoli Federico II La mucopolisaccaridosi tipo 6 (MPS 6) è una malattia da deposito lisosomiale con coinvolgimento multisistemico progressivo, associata al deficit di arilsulfatasi B (ASB), che causa un accumulo di dermatan solfato. La prevalenza alla nascita è compresa tra 1/43.261 e 1/1.505.160 nati vivi. La malattia è caratterizzata da un'ampia gamma di sintomi, con forme a progressione lenta e rapida. La displasia scheletrica, che è caratteristica, si estrinseca con bassa statura, disostosi multipla e artropatia degenerativa. L’obiettivo del nostro studio è quello di proporre un protocollo standard di valutazione fisiatrica in pazienti in età pediatrica con MPS 6 candidati ad un eventuale trapianto genico. Abbiamo arruolato 5 pazienti, 2 F e 3 M, che sono stati valutati mediante: visita fisiatrica, JROM passivo, scala MRC, 6 minute walking test, schede di valutazione CHAQ e HAQ (qualità della vita), MPS-PPM (funzionalità arti superiori ed inferiori). Il protocollo proposto ha consentito una valutazione completa ed affidabile delle capacità funzionali motorie globali e manipolative dei soggetti studiati, anche in rapporto alle ADL. La validità dei risultati ottenuti ai fini dell’inquadramento globale della disabilità complessa di questi soggetti, ci conferma l’utilità del suo impiego ai fini di screening per l’arruolamento in un trial di terapia genica.