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L'arrivo di Wang
Recensione L'arrivo di Wang (2011)
C'era un cinese nello spazio
a cura di Marco Minniti
Film del 2011
Generi: fantascienza
Regia di: Antonio
Manetti, Marco
Manetti
Cast: Ennio
Fantastichini,
Francesca Cuttica,
Juliet Esey Joseph
pubblicato il 05 settembre 2011
I fratelli Marco e Antonio Manetti portano ulteriormente avanti la loro idea di cinema di genere
italiano del nuovo millennio, con un occhio rivolto a un passato mai dimenticato ed uno proiettato
nel futuro.
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Gaia è una traduttrice dal cinese all'italiano, che viene
improvvisamente reclutata per un lavoro urgentissimo e
insolito: la traduzione simultanea del dialogo tra Curti,
ambiguo agente appartenente forse ai servizi segreti, e un
misterioso individuo di nome Wang, che per tutta la durata
del colloquio deve rimanere celato agli occhi della ragazza.
In più, Gaia non ha la minima idea di dove si trovi, visto che
è stata condotta sul luogo del colloquio con una benda sugli occhi. Presto, le cose si mettono in
modo diverso da come la giovane si era aspettata, visto che il dialogo tra Curti e Wang prende la
piega di un interrogatorio poliziesco, con largo uso di metodi intimidatori. Quando Gaia insiste per
vedere in faccia il misterioso Wang, viene infine accontentata, ma si trova davanti a una sorpresa
shockante: di fronte a lei c'è infatti un essere proveniente da un altro pianeta. La creatura afferma
di essere venuta in pace, ma Curti e i suoi loschi colleghi non sembrano dare nessun credito alle
sue affermazioni.
Sei anni dopo il divertente Piano 17, i fratelli Marco e
Antonio Manetti portano ulteriormente avanti la loro idea
di cinema di genere italiano del nuovo millennio, con un
occhio rivolto a un passato mai dimenticato ed uno
proiettato nel futuro, verso il digitale ed un uso creativo
delle nuove tecnologie. La presenza di questo L'arrivo di
Wang alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione
Controcampo Italiano, è già un risultato notevole per i due
talentuosi registi romani, cinefili appassionati prima che dotati filmaker; così come è di buon
auspicio il patrocinio di Rai Cinema per un progetto che batte addirittura i territori della
fantascienza, genere da sempre poco frequentato dal nostro cinema, anche in quegli anni in cui il
cinema di genere e di intrattenimento, nel nostro paese, ebbe il suo periodo di massimo fulgore. I
Manetti rischiano e scelgono così di dirigere un'opera di science fiction, pur se insolita: l'azione si
svolge per gran parte nei sotterranei del misterioso luogo in cui la creatura extraterrestre viene
interrogata, e l'atmosfera, col progredire della storia, si caratterizza sempre più per i toni da thriller,
con la tensione derivante prima dalla mancata visione (nostra e della protagonista) del soggetto
che viene interrogato, e poi dall'incertezza sulle sue reali intenzioni, nel momento in cui la sua
natura viene svelata.
I due registi si rivelano molto abili nel giocare sull'ambiguità
e sul dubbio, e nel costruire suspence tramite un semplice
dialogo tra tre personaggi: al fastidio, presto trasformato in
vera e propria repulsione, per i metodi inquisitori di Curti
(un sempre bravo Ennio Fantastichini) si contrappone la
pietà per un Wang presentato da subito come una vittima,
ma anche i dubbi derivanti dalle effettive contraddizioni
presenti nella sua storia. Un'ambiguità che attraversa tutto
il racconto, accompagnando lo spettatore fin quasi all'ultima sequenza, e che vive di indizi
contraddittori che la sceneggiatura abilmente dissemina per il film; il merito dei Manetti è anche
quello di aver inserito, pur nella cornice di una pellicola che urla in ogni sequenza la sua
appartenenza al genere, un abbozzo di riflessione sulla diversità e sul pregiudizio, e sul confine tra
la necessità del dialogo con il diverso e quella della sicurezza.
edizione: Venezia 2011 - Mostra d'Arte
Cinematografica Internazionale di
Venezia
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dal ritmo incalzante, che
tuttavia non scioglie la
maggior parte dei dubbi
05/09/2011
Recensione L'arrivo di Wang (2011) | Movieplayer.it
Resta comunque, L'arrivo di Wang, un film che ha
nell'intrattenimento la sua principale ragion d'essere, con
l'ironia disseminata a piene mani dalla sceneggiatura (i
continui riferimenti della protagonista ad Amnesty
International, il personaggio della signora Amounike,
"primo contatto" dell'alieno Wang), il ritmo sostenuto e la
regia sempre in bilico tra omaggi ai classici e
consapevole smitizzazione degli stessi; e anche qualche
inevitabile ingenuità narrativa, perdonabile (e forse persino caratterizzante) nel contesto e
nell'humus cinematografico che la pellicola esprime. Da par suo, anche la protagonista Francesca
Cuttica se la cava complessivamente bene in un ruolo non facile, caratterizzato da una parte dalla
necessità di recitare, per larga parte del film, in una lingua sconosciuta, dall'altra dal dover simulare
un dialogo con un interlocutore fisicamente non presente (vista la ricostruzione digitale del
personaggio di Wang).
Siamo quindi di fronte a un'opera che suscita un'istintiva simpatia, per la sincera passione
dimostrata (non da oggi) dai suoi autori, e per la loro ostinazione nel voler proporre, pur tra le mille
difficoltà distributive, la loro personale idea di cinema. E non dispiace affatto l'idea, tutta da
verificare ma già accarezzata dai registi, di un possibile sequel.
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