DANTE ALIGHIERI
La Divina Commedia
Purgatorio
Introduzione
Breve ripresa del discorso svolto sin qui
La D.C. è il racconto di un viaggio attraverso i tre regni dell’aldilà, che si configura come:
- DISCESA nella voragine infernale
- RISALITA verso la luce e FATICOSA ASCESA della montagna del Purgatorio
- VOLO di cielo in cielo fino all’Empireo
Il viaggio non costituisce soltanto la forma della narrazione, ma ne è anche la categoria
interpretativa: afferma Charles Singleton “Sotto il disegno di un viaggio tutto è intessuto.”
Il topos del viaggio tuttavia non è nuovo nella storia della letteratura, antica e medioevale ( chiedere
qualche esempio: odissea, eneide, ma anche nella Sacra Scrittura: Abramo, Mosè e il popolo
ebraico…. Navigatio Sancti Brendani….),
è nuova la POLISEMIA dei significati,
il RIGORE con cui essi si intrecciano tra loro
la PROFONDITA’ed il REALISMO della rappresentazione
Singleton:
Nella Commedia sono presenti due viaggi:
un viaggio LETTERALE
un viaggio ALLEGORICO
i quali determinano al loro volta
- un significato storico e letterale
- un significato allegorico, in analogia con la narrazione biblica
il viaggio di Dante è in analogia con quello biblico ( Esodo) [vedi lettera a Cangrande della Scala]
è un fatto storico realmente accaduto in cui devono essere ravvisati altri significati o un altro
significato che li compendia
Questo metodo è il metodo con cui la Chiesa, a partire dai Padri della Chiesa, ha sempre letto la
Bibbia ed interpretato la storia.
Auerbach chiama questo metodo di interpretazione della scrittura METODO FIGURALE, fondato
cioè sul concetto di figura, un evento reale, storico, che rappresenta ed annuncia un altro fatto,
successivo al primo , in altre parole un evento il cui significato e costituito da un altro evento a lui
successivo
Es: l’antico testamento racconta una storia i cui eventi e personaggi sono figure, cioè adombrano,
profetizzano, di Cristo e della redenzione.
L’interpretazione figurale non è solo un metodo di lettura della Bibbia, perché esso costituisce la
base della lettura che i Padri (e quindi la Chiesa) fanno della storia e interviene nella
comprensione di ogni avvenimento terreno, anche della quotidianità
Sempre Singleton osserva che nelle opere della letteratura medioevale non era usato questo tipo di
allegoria, bensì quella che Dante chiama “allegoria dei poeti”, cioè una concretizzazione di concetti
astratti, es: la giustizia rappresentata come una donna che regge una bilancia con i piatti in
equilibrio.
Dante, invece, la pone alla base della Commedia nella quale la realtà figurale ci appare come
“adempiuta” (impleta): la Beatrice che Dante incontra nell’aldilà è svelamento del significato della
Beatrice storica, la donna terrena che Dante ha incontrato bambino e poi di nuovo giovane uomo e
che ha amato così come un uomo ama una donna)
Secondo questo metodo interpretativo dunque, l’uscita di Dante dalla selva è analoga all’uscita
degli Ebrei dall’Egitto narrata nell’Esodo.
Il viaggio della Commedia quindi è un viaggio letterale, storico e in quanto tale
- ha un ben determinato protagonista: Dante Alighieri, fiorentino “natione, non moribus”
- un tempo: mai vi è stato poema più attento a determinare la propria cronologia, la settimana
Santa dell’anno 1300 e, via via che procediamo nel cammino siamo informati anche
sull’ora del giorno o della notte
- uno spazio: mai poema è stato così attento ad allestire la scena in cui si sviluppa la sua
azione
Per ciò che concerne il viaggio allegorico ascoltiamo cosa ci dice Singleton (Viaggio a Beatrice,
1968, Il Mulino):
“Quanto al tempo e allo spazio del viaggio riflesso, è facile avvedersi che non è possibile
determinarli con precisione. Al tempo di Dante il suo nome corrente era “itinerarium mentis ad
Deum”. Ma se questo è un viaggio “della mente”, di quale mente penseremo si tratti? Solo una
risposta è possibile: della mente di “chiunque” (…) Nell’allegoria il viandante è qualsiasi
cristiano: è l’homo viator; ma, a rigor di termini, non è Ogni Uomo (Everyman). E’ piuttosto
“Qualsiasi Uomo” (Whicheverman): chiunque, cioè, possa esser scelto per questo viaggio a Dio
mentre ancora vive in questo mondo, dove, tutti,volenti o nolenti, siamo viandanti.
Sarà questo un andare della mente e del cuore, giacchè solo così possiamo muoverci verso Dio,
quando ancora dimoriamo tra i vivi. Che tale viaggio hic et nunc sia una possibilità aperta a
tutti, resta il postulato fondamentale e, per Dante, la dottrina su cui egli può costruire l’allegoria
della Commedia.”
- potremmo allora dire che, per ciò che concerne il viaggio allegorico il suo protagonista è
Dante, ma anche qualsiasi uomo scelga di accompagnarsi a lui nell’andare della mente e del
cuore verso Dio, e che lo spazio di questo viaggio riflesso è appunto la mente ed il cuore.
E quale allora il tempo di questo viaggio?
Torniamo ancora una volta a Singleton:
“Se il protagonista del viaggio riflesso è “chiunque”, il tempo corrispondente sarà allora
“quandunque”. Molti hanno intrapreso questo itinerarium mentis in passato, molti
continueranno ad intraprenderlo fino alla fine dei tempi. Dobbiamo ritenere che esso abbia
luogo anche ora nel cuore di molti Cristiani. Il tempo del viaggio allegorico è quindi
indifferentemente passato, presente, o futuro, il che significa che si tratta di un “quandunque”.
(….) certo non penseremo che il viaggio letterale abbia avuto luogo più di una volta o che forse
si ripeterà: L’ itinerarium mentis,invece,è un evento che, nel corso del tempo continua a
ripetersi nel cuore dei Cristiani.
Certo, attraversando il Purgatorio, Dante fa più volte parola della sua speranza di rifare quel
cammino. (n.d.r. Purg. II,91- XIII,133; e passim) Ma è chiaro che qualsiasi successivo ritorno
da parte sua sarà necessariamente affatto diverso dal viaggio rappresentato dal poema. Tornando
a questo luogo, né Virgilio lo guiderà, né Beatrice gli verrà incontro sulla vetta del monte. Il
nuovo passaggio attraverso il Purgatorio, se avverrà sarà nella dimensione dello “status
animarum post mortem” e non sarà allegorico”.
PERCHE’ QUESTO VIAGGIO
All’origine del viaggio di Dante sta un’esigenza umana che egli sente irrinunciabile, e che è
irrinunciabile per ogni uomo che voglia essere fino in fondo tale:
l’esigenza di comprendere cosa significava la sua esperienza di uomo all’interno del reale.
Che cosa era la sua libertà, che cosa è la libertà di ogni uomo, all’interno di una realtà che non
ha fatto lui ?
La morte di Beatrice poneva a Dante una grande inquietante domanda:
a che cosa vale la mia vita, con il suo amore e il suo dolore,con gli inviti che mi provengono
dalle persone, dalle cose, con l’amicizia, l’arte e la poesia, con il dolore di vederle venir meno e
perderle?
Dante ha incontrato Beatrice che ha portato dentro la sua vita una grande promessa e poi l’ha
persa, ha sperimentato che la vita spesso sembra non corrispondere alle attese che essa stessa
suscita in noi: si è trovato appunto in una selva oscura.
A Dante non basta la risposta di Epicureo : rinuncia ai desideri che la vita suscita, cioè rinuncia
a vivere.
Ma non gli basta neanche dire che Dio c’è.
Questa affermazione per quanto giusta non gli permette di amare la vita e, in fondo, neanche
Dio. Se affermare Dio vuol dire negare l’uomo, rinunciare alla mia umanità che farsene?
Il viaggio di Dante è il viaggio alla scoperta della irriducibilità dell’uomo anche di fronte a Dio
e di come sia possibile trovare Dio senza rinunciare all’umano. Dante non può accettare di
trovare Dio rinunciando a Beatrice.
In altri termini possiamo dire che all’origine della Commedia non c’è una intenzione
propriamente religiosa, e nemmeno teologica o politica, bensì una domanda esistenziale:
- la ricerca della felicità, è questa ricerca che il viaggio raffigura e compie
( lettera a Cangrande della Scala: ..dicendum est breviterquod finis totius et partis est removere
viventes in hac vita de statu miseriae et perducere adstatum felicitatis.”
La ricerca che è all’origine della Commedia caratterizza tutto l’itinerario intellettuale di Dante
Nel Convivio cerca di arrivare alla felicità attraverso la conoscenza,
nel Monarchia attraverso la realizzazione della pace e dell’ordine universale nella humana
civitas
nella Commedia Dante pone il luogo e il termine della felicità di questa vita oltre questa vita,
cerca nell’eterno il vero senso della vita.
In effetti la Commedia è una grande parabola della vita umana.
I tre mondi ultraterreni sono FIGURA IMPLETA di questo mondo
Essi rappresentano tre modi con cui l’uomo si esprime nel tempo e nella storia:
- contare sulle proprie forze (inferno)
- rivolgersi a Dio (purgatorio)
- darsi totalmente a Dio (paradiso).
Inferno
E’ il luogo dell’uomo che perde se stesso perché conta solo su se stesso.
L’ Inferno dantesco nasce da una concezione dell’umano che avvertiamo insolita; essa infatti ci
ripropone l’idea biblica per cui l’uomo è veramente tale, cioè si realizza, solo quando accetta di
rinunciare a se stesso.
Nell’Inferno dantesco noi troviamo la vita terrena nella sua quotidianità fatta di drammi di amori di
amicizia di odi e di passioni:
Pier delle Vigne che si tormenta per il suo buon nome
Cavalcante angosciato per la sorte del figlio
Francesca con il suo amore per Paolo
Farinata e il suo amore per la patria la sua passione politica
Ulisse ed il suo ardore di conoscenza
L’amore di Francesca, la fedeltà di Pier delle Vigne, l’amore paterno di Cavalcante, la dignità di
Brunetto Latini appaiono ai nostri occhi come “il veramente umano”. Dante ci dice invece: no,
questo umano è l’Inferno e porta dentro di sé una fine tragica: la morte.
“amor condusse noi ad una morte”
(Inf. Canto V)
“infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso”
(Inf. Canto XXVI)
Dante dice che esiste un’altra dimensione che appartiene strutturalmente alla nostra umanità e che è
ALTRA ed OPPOSTA a quella che noi vediamo
E’ una dimensione che ROVESCIA I NOSTRI VALORI ed essa sola può trarre l’uomo dalla morte.
“ O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista infermi,
fidanza avete ne’ ritrosi passi,
non v’accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l’angelica farfalla,
che vola a la giustizia sanza schermi?”
(Purg. X, 121-126)
C’è, all’interno dell’uomo, il GERME di una DIVERSA REALTA’, che sola raggiunge la giustizia
e che, tuttavia, la sua vista inferma non gli permette di vedere.
Figura di questa diversa realtà è la luce
Che nell’Inferno, appunto, non risplende: “aere sanza stelle”, “cieco carcere”, così infatti è definito
da Dante.
Solo in quella diversa dimensione l’uomo trova il suo vero compimento, la sua grandezza.
Valori come la mitezza, l’umiltà, il pentimento la connotano
Non il valore etico (la moralità) salva, ma il pentimento
“Orribil furon li peccata miei
ma la bontà infinita ha sì gran braccia
che prende ciò che si rivolge a lei”
(Purg. III, 121-123)
In questo “rivolgersi” è tutta la differenza tra i dannati ed i salvati. La mancanza di questo rivolgersi
non toglie grandezza a chi non l’ha compiuto, ma gli toglie la possibilità della felicità, cioè del
compimento, della realizzazione della propria umanità.
Percorrendo i tre regni dell’Oltretomba il pellegrino Dante vive i tre modi con cui l’uomo può
affrontare, nel tempo e nella storia, la sfida della vita:
- contare su se stesso e sulle proprie forze
- rivolgersi a Dio
- darsi totalmente a Dio
Dante è vivo e in questi tre modi racconta la storia della sua vita, della sua conversione e
salvezza , cioè del compiersi del suo desiderio di felicità.
Come abbiamo detto infatti il viaggio di Dante si configura come ricerca della felicità, ricerca
che troverà il suo compimento nel Paradiso
“ e io ch’al fine di tutti disii
appropinquava, sì com’io dovea
l’ardor del desiderio in me finii ”
In nome di che cosa chiede Dante la sua salvezza, cioè il compiersi del suo desiderio di felicità?
Non in nome della sua virtù, infatti si riconosce colpevole
Inf., 61-66
Non in nome del suo impegno
Inf., X,61
Dante sottolinea molto la sua indegnità e la gravità mortale della sua condizione.
E’ solo il desiderio di uscire da quel luogo mortale e l’accettare di essere condotto per un gratuito
intervento d’amore che gli meriterà la salvezza ( vedi canto II dell’Inferno).
Ciò che ha salvato Dante non è stata la sua moralità o i suoi meriti, ma un ORIENTAMENTO del
suo spirito. I dannati che Dante incontra non mancano di grandezza umana. Dante non li guarda, se
non in alcuni casi i cui il peccato ha offeso ciò che è proprio dell’uomo, attraverso la lente della loro
colpa, perché non è questa che li ha perduti.
Li ha perduti il fatto di aver puntato sulla loro qualità umana precludendosi la qualità divina,
quella che permette il trasumanar, che è l’unica condizione per la vera e piena realizzazione di sé,
cioè della felicità.
La tragicità della loro condizione, ciò che fa di loro degli eroi tragici è che proprio la loro grandezza
umana stata per loro fonte di cecità e di morte.
Nell’Inferno è dunque presente tutta la storia personale di Dante.
Dal punto di vista dello stile questo è segnalato da un fatto mai accaduto nei poemi classici: l’uso
della prima persona, una delle novità di rilievo del poema.
Ciò rivela che l’autore nel poema affronta e risolve una questione personale, non in sede privata,
come accade nel genere lirico, ma pubblica, come è proprio del genere del poema
C’è tuttavia un’altra questione stilistica, da affrontare, perché non di poema epico, bensì, secondo la
definizione stessa di Dante, di “commedia” si tratta. Che cosa determina il passaggio dal poema
epico alla commedia? Il confronto con il reale
Non il mito, ma la realtà
Non la leggenda, ma la cronaca del suo tempo
Nel confronto con questa realtà in cui é presente tutta la giovinezza di Dante, sono comprese tutte le
sue esperienze e passioni
la politica
la letteratura
l’amore e l’amicizia
la sua vicenda morale ed intellettuale
dante attraverso i viaggio nell’Inferno viene separandosi dal suo passato. L’Inferno non è una
descrizione di peccati e relative punizioni, ma la storia di un radicale distacco dal proprio passato, la
presa d’atto che
virtù
magnanimità
gentilezza
coraggio
passione
non salvano l’uomo, cioè non portano a compimento il suo originario desiderio di pienezza, perché
non lo portano oltre il suo limite.
PURGATORIO
Il Purgatorio dantesco costituisce una realtà del tutto nuova
-come invenzione, per la sua collocazione e configurazione
- come spirito che lo anima
La tradizione letteraria, a differenza di quanto accadeva per Inferno e Paradiso, non offriva modelli.
Dante non inventa il Purgatorio, in quanto di questa realtà avevano parlato i Padri della Chiesa e
nel 1274, il Concilio di Lione.
Niente però era stato detto circa il suo aspetto.
L’immaginario popolare lo immaginava come un Inferno soft e lo collocava, come questo,
sottoterra.
E’ Dante che dà al mondo purgatoriale una realtà geografica ed un carattere spirituale, che
sono l’una lo specchio dell’altro.
Come l’Inferno ed il Paradiso, anche il Purgatorio ha nel poema una collocazione che appartiene
alla geografia terrestre ed è, nello stesso tempo, situato al di là del tempo umano.
E’ una montagna collocata su un unico asse con Gerusalemme e con l’Inferno.
Lucifero, precipitando dal cielo badato origine contemporaneamente alla voragine infernale ed al
monte del Purgatorio in cima al quale si trova il giardino dell’Eden.
Il luogo della colpa (Eden) e il luogo della redenzione (Gerusalemme) si collocano agli estremi di
un unico asse, che si protende oltre il giardino dell’Eden, fino al cielo
Nelle profondità della terra si colloca il luogo della dannazione
Lungo le pendici che portano al luogo dell’innocenza perduta è il luogo della purificazione.
RAZIONALITA’ e SUGGESTIVITA’ sono alla base dell’invenzione del Purgatorio dantesco.
Inferno e Purgatorio mostrano una STRUTTURA PARALLELA,
nei peccati e nelle pene
nella somiglianza narrativa (incontri con diversi personaggi sotto la guida di Virgilio)
nella simmetria del viaggio (discesa-risalita e loro difficoltà)
Perché?
I due regni rappresentano due volti della vita dell’uomo sulla terra
allontanamento da Dio
ritorno a Dio
Sono però anche ANTITETICI:
montagna-abisso
tenebre-luce
sono antitesi fisiche che esprimono una antitesi anche spirituale
Il carattere del Purgatorio è profondamente diverso da quello dell’Inferno.
L’atmosfera del Purgatorio è un’atmosfera di dolcezza incantata
Nelle forme
- dell’ambiente
- delle anime
- delle parole
tale è anche il linguaggio utilizzatola Dante, caratterizzato da un registro poetico medio ed elegiaco
Quale la ragione di questa diversità?
Come nell’Inferno noi troviamo anche qui peccati e peccatori, come mai allora il Purgatorio è
tanto diverso?
Perché quello che distingue i dannati dai salvati non è la virtù, non è il peccato e nemmeno la sua
qualità, bensì quello che Dante chiama “rivolgersi a Dio”, cioè la conversione del cuore.
“orribil furon li peccati miei
ma la bontà infinita ha sì gran braccia
che prende ciò che si rivolge a lei”
(Purg.,II,121-123)
Questo “rivolgersi a Dio” è un fatto che non attiene alla morale, ma allo spirito
Da questa conversione nasce un mutamento che riguarda l’uomo interiore.
Egli appare connotato da una qualità che Dante indica, perlopiù, con il termine “dolcezza”
Essa rappresenta il carattere specifico del Purgatorio: caratterizza le anime, ma anche la realtà fisica.
“Dolce color d’oriental zaffiro…”
( I,13)
“Un’aura dolce, sanza mutamento
avere in sé…”
il Purgatorio dantesco è:
“dolce” nel suo aspetto
“mite” nell’animo dei suoi abitanti.
Nessuno di loro avanza diritti, o si ritiene autosufficiente, tutti chiedono umilmente aiuto.
Le SIMILITUDINI che rappresentano le anime esprimono questo carattere di mitezza.
Sono paragonate a:
- pecorelle “timidette” “semplici e quete”
- capre “che si stanno ruminando manse”
- colombi “queti, sanza mostrar l’usato orgoglio”
- anche suoni e musiche sono di grande dolcezza
Da dove discendono queste dolcezza e mitezza?Dolcezza e mitezza sono entrat nella storia
occidentale e vi hanno sostituito l’etica eroica greca e romana con il Discorsodella Montagna
(Matteo,5,3)
Dante ha ordinato l’Inferno sotto il segno dell’etica antica, suddividendolo sulla base
dell’aristotelica Etica Nicomachea,
ma il Purgatorio l’ha ordinato secondo i sette peccati capitali, che sono una classificazione
cristiana e il criterio base di questa ripartizione delle colpe non è la giustizia, bensì l’amore.
Nell’etica cristiana la misura del peccato è l’amore.
Ciò che importa non sono i sette peccati, ma le sette beatitudini.
Nel mondo classico regnano “magnanimità” e “giustizia” (Inferno), nel mondo cristiano regnano
“misericordia” e “umiltà” (Purgatorio)
Chiave per capire lo spirito del Purgatorio: ad ogni balza un angelo proclama
- una beatitudine
- gli esempi di virtù corrispondenti
ora se ben guardiamo nessuna delle virtù proclamate corrisponde alle virtù aristoteliche, perché
quelle citate nel Purgatorio non sono virtù etiche, ma atteggiamenti dell’anima.
Delle antiche virtù non è nominata nemmeno la giustizia, perché le virtù spirituali vanno molto al di
là della giustizia.
Pacifici non sono coloro che non si lasciano prendere dall’ira, ma coloro che perdonano.
Virtù opposta all’avarizia è la povertà, non la sobrietà, cioè l’uso moderato dei beni.
Misericordiosi, non coloro che donano con larghezza, ma coloro che danno la vita.
Le virtù spirituali non hanno come criterio il dare a ciascuno il suo, bensì la gratuità.
Di questa gratuità Maria è il simbolo vivente, la figura visibile in cui si manifesta questa qualità
specifica della realtà divina
“Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo ‘mpedimento ov’io ti mando,
sì che duro giudicio la sù frange”
(Inf., II, 94-96)
“La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre”
(Par. XXXIII, 16-18)
La figura di Maria sta all’inizio di ogni balza di peccatori, mentre alla fine, all’uscita delle cornici,
un’altra presenza le fa come da richiamo: le figure degli angeli, che preannunciano l’atmosfera di
incanto del Paradiso e a cui sono affidate le beatitudini, con la loro bellezza soave sono
l’espressione sensibile di ciò che esse significano.
Un altro elemento che si pone nella linea della gratuità come carattere specifico del Purgatorio è la
grande invenzione dei “pentiti dell’ultima ora”, che aprono gli incontri dei salvati. Tuttavia se
ben osserviamo i convertiti tardi non sono solo nell’antipurgatorio, ma disseminati un po’ in tutte le
balze. Anzi, si può dire che costituiscano la maggioranza delle anime che Dante incontra nel
secondo regno. Tali sono Provenzan Salvani tra i superbi, Sapìa tra gli invidiosi, papa Adriano IV
tra gli avari e Forese, tra i golosi, come sa bene Dante tanto che si stupisce di trovarlo già così in
alto in poco tempo.
Ma che cosa significa il pentimento tardo e la poca importanza attribuita alla gravità del peccato, se
non la totale gratuità del perdono?
Strettamente connesso al carattere della gratuità è anche un secondo tema: la richiesta della
preghiera dei vivi che tutte le anime rivolgono a Dante.
E’ un motivo guida, parallelo alla richiesta della fama, o della memoria che gli viene rivolto dalle
anime dell’Inferno.
La “fama” è uno dei valori più importanti per il mondo antico, per un mondo in cui la realtà
dell’uomo è tutta chiusa nell’orizzonte terreno; ma nel Purgatorio, cioè nel mondo cristiano, si
chiede la preghiera altrui per ottenere la vita eterna. E non si fa conto sulle proprie risorse: nessuno
ha titoli sufficienti a salvarsi, nessuno cita le “proprie opere buone”: essi sanno che, come non
sono salvi per proprio merito, così non per proprio merito saliranno più presto in cielo.
La dottrina cattolica del suffragio è qui ripresa da Dante che ne fa un motivo guida di tutta la
cantica, proprio nel momento in cui era fortemente avversata dai movimenti religiosi riformistici
eretici, come i Catari e i Valdesi. Anzi Dante la trasforma da principio giuridico in principio
spirituale.
Le virtù che caratterizzano il Purgatorio -dolcezza, umiltà, gratuità- sono virtù che oltrepassano
le virtù intellettuali e morali, in quanto spirituali. La giustizia e la magnanimità, principi fondanti
l’etica classica sono qui del tutto assenti: Dante ha posto tra mondo antico e mondo nuovo una linea
di confine netta e coloro che egli ha pure molto amato, Aristotele e lo stesso Virgilio sono rimasti al
di là di questa linea.
In questa concezione si inserisce anche la narrazione del viaggio, che si svolge nel tempo storico,
proprio della vita umana.
Il Purgatorio è immerso nel tempo. E’ l’unico dei tre regni dove scorre il tempo e che un giorno,
l’ultimo della storia, avrà fine, a differenza di Inferno e Paradiso che sono collocati in una
dimensione ultra-temporale.
- per ognuno si contano gli anni che mancano alla propria liberazione dalle pene, che sono a
termine
- qui splende lo stesso sole che illumina la terra
-
le notti si succedono ai giorni, le albe ai tramonti, in un succedersi di luci mattutine,
pomeridiane e vespertine che sono quelle del paesaggio italiano tanto caro a Dante
“Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe
ti colse nebbia…”
(Purg.,XVII,1-2 poema, di carattere pubblico e tuttavia strettamente connesso alla vita e
all’esperienza del poeta. )
siamo nel tempo e nello spazio storico dell’uomo, ma toccato dalla grazia divina, che dà alla vita
quotidiana, sia pure nella sofferenza, ,dolcezza e speranza
Per questo nel Purgatorio ha tanta parte l’amicizia, che è il sentimento che sulla terra porta tra gli
uomini l’esperienza della gratuità è il regno dei “dolci amici” talvolta solo da poco lasciati, gli
amici di Dante,secondo il criterio del “fatto personale” ( che è l’ossatura del poema, in quanto
viaggio dell’uomo storico Dante, specchio dell’umana vicenda), ma è anche il regno dove tutti sono
amici al di là dei legami personali.
Accanto all’amicizia troviamo anche l’arte, pittura, poesia, musica, altra espressione terrena del
gratuito e altra importante parte della vita del poeta.
Accanto alle vicende dei singoli anche le vicende della comunità civile “humana civilitas”, che
accanto ai motivi dell’amicizia e dell’arte costituisce l’altro grande tema storico del poema.
La tematica ha carattere politico ed è svolta sempre in chiave profetica in forma di invettiva, di
rassegna o di visione, e secondo due fondamentali registri: sdegno e condanna (presente corrotto)
rimpianto ed elegia (felice passato di valori perduti)
Sono questi soli luoghi della cantica dove non giunge la luce. Perché sono i luoghi dove si narra del
male del mondo.
Sulla cima della montagna, nel giardino dell’Eden, Dante porta a compimento entrambe le vicende:
la sua vicenda personale e quella della comunità umana, rappresentata dalla Chiesa che ne è il
lievito.
Alla vicenda della comunità umana Dante dà soluzione in chiave profetica,: l’avvento di un
liberatore che restaurerà l’ordine terreno sconvolto ( nel momento in cui Dante scrive la Chiesa
vive la cosiddetta “cattività avignonese”), è la stessa figura che troviamo sotto il simbolo del veltro
nel primo canto del poema. E’ una “renovatio” che non va interpretata tanto alla luce di specifici
fatti storici, quanto nel prossimo annunciarsi degli ultimi tempi, che ormai non possono tardare
troppo. (Par. XXX,130-132)
La storia universale, quindi, può trovare la sua conclusione solo alla fine dei tempi, la storia del
singolo invece trova la sua conclusione nell’arco della propria vita. Così la vicenda di Dante
trova la sua soluzione nella drammatica confessione di fronte a Beatrice e nel pianto che la suggella.
Qui si verifica per Dante quello che i personaggi che lui ha incontrato raccontano del momento che
ha cambiato loro la vita. Ora è Dante a versare quelle lacrime che Manfredi, Buonconte gli hanno
raccontato di aver versato e, come per loro, così anche per lui quelle lacrime sono l’unico prezzo
che Dio gli chiede per l’ingresso nel suo regno, vale a dire perché possa verificarsi in lui quel
mutamento
interiore
che porta l’uomo oltre l’uomo stesso, nella dimensione divina.
Quell’esperienza di cui Dante dirà nella cantica successiva e che indicherà con il termine
“trasumanar”.
E’ questa la ragione per cui la scena dell’Eden costituisce il cuore del poema., per questo qui
avviene, non senza lacrime, il distacco da Virgilio, per seguire l’altra guida, quella Beatrice che,
nella giovinezza di Dante era stata il volto visibile del divino.
Qui passa anche la linea di divisione tra due linguaggi poetici: l’aspra crudezza dell’Inferno, la
dolcezza elegiaca del Purgatorio sono linguaggi che riflettono la condizione dell’uomo sulla terra,
che è condizione di male e di pentimento, terra alla quale appartengono sia l’Inferno che il
Purgatorio. Un nuovo linguaggi, nuove forme occorreranno per raccontare del Paradiso.
Nella foresta dell’Eden, sospesa tra cielo e terra, ha fine, insieme al viaggio terreno, anche la figura
centrale della cantica, fissata fin dall’arrivo sulla spiaggia del Purgatorio, quella dell’esilio.
Tutto il Purgatorio è descritto come un luogo d’esilio, di lontananza da quella patria che costituisce
il sospiro segreto del cuore di ogni uomo.
E’, per eccellenza, la figura del cristiano nel tempo, definita da san Paolo (2 Cor. 5,6) e nella quale
il Dante della storia si riconosce:
“Noi andavam per lo solingo piano
com’om che torna a la perduta strada,
che ‘nfino ad essa li pare ire invano” .
Così Dante descriveva sé e Virgilio nel primo canto, mentre, sulla spiaggia del Purgatorio, vanno
come l’esule che ha nel cuore il pensiero della patria perduta.
Allo stesso modo, quando sorge l’alba dell’ultimo giorno che Dante trascorre sulla santa montagna,
così definirà la luce mattutina che sorge:
“ E già per li splendori antelucani,
che tanto a’ pellegrin surgon più grati,/
quanto, tornando, albergan men lontani”.
Torna,in chiusura della cantica, la stessa immagine con cui si era aperta.
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