IMAGING IN SENOLOGIA - Testo atlante A 22 B Figura 1 - A) Proiezione craniocaudale: sul versante interno è evidente immagine di sovrapposizione, dovuta a plica cutanea. B) Proiezione craniocaudale: stesso caso, proiezione corretta. PROIEZIONI STANDARD L’esame mammografico standard si basa ancora, seppure con alcune modifiche, sulle tre proiezioni codificate da Egan negli anni Sessanta (vedere figura 3, capitolo Storia dell’imaging senologico): craniocaudale (CC), mediolaterale (ML) e mediolaterale obliqua (MLO). Per ogni proiezione, il posizionamento deve sfruttare le porzioni mobili della mammella, in modo da permettere la massima rappresentazione della ghiandola e delle strutture contigue. A questo scopo, è preferibile posizionare la paziente in stazione eretta rispetto all’apparecchio, riservando la posizione seduta solo a soggetti impossibilitati. Come già premesso, un corretto esame impone di contrassegnare il film con generalità della paziente, data e lato per ciascuna proiezione, evitando qualsiasi altro metodo di reperaggio non codificato o addirittura improvvisato. co sottomammario; nell’eseguire tale manovra, si deve fare attenzione a evitare immagini in sovrapposizione (figura 1) e posizionare la ghiandola perfettamente al centro del piano. Il capezzolo deve risultare collocato centralmente sul profilo esterno e in asse rispetto alla cute. Può essere utile, per meglio tendere la mammella, in particolare per evitare la sovrapposizione della spalla sui quadranti esterni, portare il braccio omolaterale posteriormente sulla schiena. Essendo questa proiezione la più idonea per la rappresentazione dei quadranti interni, si dovrà attentamente valutare che questi risultino completamente compresi nel campo, in quanto le altre due proiezioni standard sono meno idonee alla loro rappresentazione. Questa proiezione è meno efficace per lo studio dei quadranti superiori, poiché, durante la compressione, possono in parte venire esclusi. PROIEZIONE CRANIOCAUDALE PROIEZIONE MEDIOLATERALE Nella proiezione CC, la mammella va sollevata e allungata sul piano portacassette posto all’altezza del sol- In questa proiezione lo stativo viene ruotato di 90°, con il piano perpendicolare al pavimento e con il bor- METODOLOGIA DELL’ESAME MAMMOGRAFICO STANDARD E VARIANTI TECNICHE do superiore del piano portacassette posizionato all’altezza della spalla. Il braccio omolaterale viene elevato fino a formare un angolo di circa 80° con il tronco, appoggiando il braccio sul reggimano generalmente presente nello stativo, in modo che anche il cavo ascellare risulti compreso nel campo di vista. Questa proiezione consente la migliore rappresentazione della regione retroareolare, per cui si deve aver cura di posizionare correttamente il capezzolo e di distendere il più possibile tale area durante la compressione, evitando sovrapposizioni tra quadranti inferiori e pieghe cutanee addominali, in particolare nei soggetti obesi. La rotazione della spalla controlaterale è necessaria al fine di non sovrapporre l’altra mammella e ottenere una più efficace compressione, evitando l’ostacolo dello sterno. È la proiezione che consente, unicamente con la proiezione CC, l’esatta localizzazione di un’eventuale lesione presente a carico della mammella, risultando quindi fondamentale nella valutazione e nella documentazione delle manovre di posizionamento di reperi prechirurgici. PROIEZIONE MEDIOLATERALE OBLIQUA Nell’esecuzione della proiezione, lo stativo va ruotato di 45°, tenendo conto dell’inclinazione fisiologica del muscolo pettorale; in situazioni particolari e individuali potranno essere impiegate inclinazioni diverse, generalmente inferiori. La mano omolaterale al seno in esame va posizionata sulla porzione inferiore del reggimano, posto lateralmente allo stativo, in modo tale che il braccio venga a trovarsi parallelo al bordo superiore del piano portacassetta. Per stabilire in maniera corretta l’altezza del piano d’appoggio, bisogna collocare il margine superiore a livello dell’articolazione della spalla. La paziente va invitata a inclinare il busto in avanti e a distendere il più possibile la spalla sul piano d’appoggio, verificando che la linea ascellare media si ponga parallelamente al bordo del piano portacassetta, in maniera da inserire completamente i quadranti esterni nel campo di vista. La mammella deve essere sorretta e posizionata distesa al centro del piano, con il pilastro ascellare completamente appoggiato, il capezzolo perfettamente in asse e l’angolo sottomammario ben allargato e inserito nel campo di vista. Il corretto posizionamento della mammella in questa proiezione permette ottimale rappresentazione dell’ascella, dei quadranti superiori, della regione retroareolare, della porzione inferiore e, in particolare, della porzione profonda prepettorale della ghiandola. Tale ampia, e pressoché completa, rappresentazione della ghiandola fa sì che la proiezione MLO sia, in genere, la più informativa delle tre. PROIEZIONI PARTICOLARI La valutazione delle informazioni che emergono dall’esame standard, associate a quelle dell’esame clinico, porterà a “ritagliare” l’esame mammografico sulla singola paziente o sullo specifico problema clinico e a valutare l’opportunità di eseguire ulteriori proiezioni o radiografie di dettaglio. PROIEZIONE CRANIOCAUDALE RUOTATA Tale proiezione va eseguita qualora si vogliano studiare, in maniera più dettagliata, le porzioni parasternale o esterna della mammella, che non risultano comprese nella proiezione standard. Ciò è ottenibile ruotando lungo l’asse laterolaterale la mammella, nelle stesse condizioni descritte nella proiezione CC, in modo da evidenziare i quadranti interni o esterni e decentrando il capezzolo rispetto alla linea mediana del piano d’appoggio. In alcuni centri, peraltro, la proiezione CC lievemente extraruotata sostituisce quella CC standard, in quanto mette ancor meglio in evidenza i quadranti interni che, come già si è detto, sono scarsamente rappresentati nelle altre proiezioni (ML e MLO). PROIEZIONE MEDIOLATERALE OBLIQUA CON PROLUNGAMENTO ASCELLARE Questa proiezione è complementare a quella MLO standard e mette in evidenza, in particolare, la porzione di mammella che si estende verso il prolungamento ascellare. In questo caso, rimanendo fisse le indicazioni proprie della proiezione MLO standard, si deve aver cura di ruotare lo stativo di un angolo pari all’inclinazione del muscolo pettorale, inserendolo completamente nel campo di vista. PROIEZIONE TANGENZIALE Questa proiezione viene eseguita qualora siano presenti, a livello cutaneo, neoformazioni o cicatrici la cui rappresentazione mammografica, proiettandosi nell’ambito del parenchima mammario, possa creare problemi di diagnosi differenziale con patologia neoformativa della ghiandola. Questa evenienza riveste particolare importanza nelle mammelle operate in cui, a volte, l’immagine della cicatrice, che si proietta sul parenchima mammario, può essere interpretata come recidiva neoplastica o condizionare difficili problemi di diagnosi differenziale. Per eseguire tale proiezione, la mammella viene posizionata in proiezione CC o in MLO, ruotando però la ghiandola in maniera tale che la lesione o l’anomalia cutanea risulti sul margine esterno della ghiandola e che il fascio di raggi X risulti a essa tangenziale, cosicché l’immagine viene a collocarsi sul radiogramma al di fuori del parenchima mammario. Altre volte il radiogramma in proiezione tangenziale può consentire d’interpretare 23 IMAGING IN SENOLOGIA - Testo atlante score 1 score 2 score 4 score 3 40 score 5 score 1 presenza di elasticità su tutta la lesione score 2 presenza di elasticità su gran parte della lesione score 3 presenza di elasticità solo alla periferia della lesione score 4 assenza di elasticità su tutta la lesione score 5 assenza di elasticità su tutta la lesione e sul cono d’ombra posteriore Figura 3 - Score elastosonografico di Ueno. stico di Young) rapportandola a una scala cromatica. Nasce e si sviluppa come tecnica di imaging real time all’inizio degli anni Novanta per studiare le variazioni delle proprietà elastiche indotte dai processi patologici, in particolare da quelli neoplastici, e trova facile applicazione a livello della mammella, in quanto organo superficiale, facilmente deformabile e possibile sede di patologie differenti. L’esame, di semplice e rapida esecuzione, si esegue con sistema dotato di modulo elastosonografico con software CAM (Combinated Autocorrelation Method: algoritmo che permette di quantificare il grado di distorsione del tessuto), utilizzando una sonda lineare da 10 MHz, con tecnica a compressione manuale (freehand ultrasound elastosonography in real time) o con tecnica a compressione meccanica (transiet elastography). La lesione nodulare oggetto di studio dev’essere localizzata centralmente rispetto all’area campione, con un box elastosonografico sufficientemente ampio da coprire tutto il campo di vista del trasduttore e permette- re l’analisi dell’elasticità del nodulo e del parenchima circostante. Dall’elaborazione del segnale proveniente dalle strutture esaminate, si ottiene l’elastosonogramma, in cui si riproduce l’usuale immagine ecografica con sovrapposta la corrispondente rappresentazione cromatica, in cui il colore blu rappresenta i tessuti rigidi (più frequente nelle lesioni maligne), quello verde i tessuti elastici (più frequente nelle lesioni benigne) e il rosso quelli a elasticità intermedia. All’immagine ottenuta si assegna un punteggio elastosonografico, con il quale viene indicato il grado di deformabilità della lesione mammaria oggetto di studio, secondo uno score (score di Ueno rivisitato dal Gruppo di Studio Multicentrico Italiano) (figure 3 e 4). L’elastosonografia rappresenta metodica innovativa, non invasiva, di breve durata, facilmente riproducibile e agevolmente eseguibile durante il normale esame ecografico e, se giustamente collocata nell’ambito dell’iter diagnostico, può essere strumento utile per ridurre il numero di lesioni dubbie. ECOGRAFIA IMPLEMENTAZIONI TECNOLOGICHE IMAGING ARMONICO score 1 score 2 linee score 3 macchie score 4 semilune score 5 le varie tipologie di rosso possono eventualmente ritrovarsi negli score da 2 a 4 score 1 presenza di aspetto con tristratificazione cromatica score 2 prevalenza del verde, con qualche eventuale punto blu incostante score 3 prevalenza del verde, ma contenente qualche macchia blu score 4 quasi completamente blu, con qualche eventuale punto verde preferibilmente alla periferia score 5 completamente blu, cui si associa un alone blu periferico Figura 4 - Score di Ueno revisionato dal gruppo di studio italiano. L’armonica tissutale o nativa è stata largamente impiegata prima a livello addominale e, in seguito, anche per lo studio degli organi superficiali, offrendo superiore risoluzione sia spaziale sia di contrasto, con conseguente maggiore nitidezza dei reperti (figura 5). Dall’interazione del fascio US con tessuti e/o microbolle di mdc si generano componenti lineari (frequenza fondamentale) e non lineari dell’eco riflessa, in particolare queste ultime sono multiple di fattori 2, 3 o più della frequenza di trasmissione (II, III armonica). In sede superficiale, così come anche in sede profonda, l’armonica tissutale risulta utile, in particolare in ambito senologico, nel definire il contenuto di una formazione ipo- anecogena, dimostrandone in maniera più netta natura del contenuto liquido e contorni nodulari. L’imaging armonico si basa sulle componenti non lineari dell’eco riflessa, eliminando i segnali della frequenza fondamentale. Nello specifico, Tissue Harmonic Imaging (THI) consente di aumentare risoluzione spaziale e contrasto dell’immagine in B-mode (senza mdc); Contrast Harmonic Imaging (CHI) aumenta la sensibilità degli US nell’identificazione di flusso a bassa velocità con le metodiche color Doppler/power Doppler (CD/PD), ottenendo immagini vascolari più definite per la soppressione dei movimenti tissutali e di parete e in B-mode migliora la visualizzazione dei pattern vascolari dei parenchimi, mediante soppressione degli echi tissutali, identificazione del flusso nei vasi e accumulo di mdc nel sistema capillare di organi e lesioni neoplastiche. Un’alternativa tecnologica all’impiego della seconda armonica convenzionale è data dall’armonica a larga banda, ottenuta con modalità di pulse phase inversion, che Figura 5 - Formazione ipo- anecogena (mista). A) Studio in B-mode tradizionale. B) Studio in armonica tissutale: è chiaramente evidente la migliore rappresentazione strutturale di tutta l’immagine e, in particolare, del nodulo. A B 41 IMAGING IN SENOLOGIA - Testo atlante Ulteriore svantaggio del piano coronale è la difficoltà nella visualizzazione di lesioni vicine alla parete toracica o della zona dell’areola. Per questi motivi il piano più utilizzato è quello assiale. • La terza fase dell’esame è il postprocessing: consiste nell’elaborazione delle immagini acquisite ed è fondamenA IS % 140 120 100 80 60 40 20 0 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 4,5 5,0 5,5 6,0 T IS % B 120 100 80 52 60 40 20 0 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 4,5 5,0 5,5 IS % 6,0 T C 450 400 350 300 250 tale nella tipizzazione delle lesioni. I programmi di postprocessing più utilizzati sono sottrazione di immagini, analisi dinamica, ovvero costruzione della curva intensità di segnale nel tempo (IS/T), MIP (Maximum Intensity Projection) e MPR (MultiPlanar Reconstruction). Una volta ottenute le immagini dinamiche, per ottenere immagini diagnostiche, si esaspera il contrasto, cancellando le componenti che sono rimaste invariate, rappresentando in questo modo solo le strutture che sono impregnate di mdc; ciò si ottiene sottraendo pixel per pixel le immagini ottenute nella sequenza di base precontrasto, allo scopo di annullare il segnale proveniente dal tessuto adiposo e dalla ghiandola e di evidenziare unicamente i tessuti che si sono impregnati di mdc e i vasi. La sottrazione d’immagine, rispetto all’acquisizione di sequenze per la soppressione del grasso, non richiede impulsi aggiuntivi e non è influenzata da disomogeneità di campo magnetico; tuttavia, non è scevra da potenziali artefatti: lo svantaggio principale della sottrazione è che risente molto dei movimenti del paziente. L’analisi semiquantitativa dell’immagine consiste nella misurazione numerica dell’intensità del segnale nel tempo, in determinate regioni di interesse (ROI) appositamente selezionate dall’operatore o dal CAD. I valori numerici derivanti dall’analisi in sequenza di una ROI di piccole dimensioni (consigliata di 3 × 3 pixel pari a 9 pixel), centrata nell’area di maggiore impregnazione di contrasto della lesione, costituiscono una curva d’intensità del segnale in funzione del tempo (figura 1). Si possono ottenere fondamentalmente tre tipi di curve IS/T (figura 2). Per quantificare l’enhancement, viene misurato l’incremento dell’intensità di segnale nell’immagine dopo infusione di mdc rispetto all’intensità di segnale nelle immagini precontrasto, secondo la seguente formula: ER = (IS post – IS pre/IS pre) × 100 dove ER rappresenta l’enhancement relativo, IS post- e IS pre- i valori, rispettivamente, di intensità di segnale post- e precontrasto. MIP effettua la somma delle immagini delle sezioni ottenute, solitamente di quelle sottratte. Questo permette di creare un’unica immagine, in cui sono rappresentate tutte le strutture anatomiche con incremento dell’intensità di segnale (figura 3). La ricostruzione delle immagini può essere biplanare secondo piani ortogonali o volumetrica con possibilità di ro- 200 150 100 50 0 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 4,5 5,0 5,5 6,0 T Figura 2 - Curve intensità di segnale/tempo (IS/T). A) Curva con progressivo e costante aumento dell’intensità di segnale nel tempo: è tipica delle lesioni benigne. B) Dopo iniziale incremento, l’intensità di segnale raggiunge un plateau; può riscontrarsi nelle lesioni sia benigne sia maligne. C) Curva di tipo wash-out: dopo iniziale e rapido incremento dell’intensità di segnale, si assiste ad altrettanto rapida riduzione dell’intensità di segnale nel tempo. Questa è la curva tipica delle lesioni maligne. RISONANZA MAGNETICA A B Figura 3 - MIP: la ricostruzione in 3D consente di visualizzare la lesione in toto, di definirne i rapporti con i tessuti circostanti e di rappresentare la mappa vascolare di entrambe le mammelle. A) Visione caudocraniale; B) visione mediolaterale della mammella sinistra. tazione graduale dell’immagine su un asse prescelto; si realizza così la possibilità di osservare l’immagine in più proiezioni, secondo varie angolazioni. Questa tecnica è utile per distinguere le strutture vascolari dalle lesioni nodulari e consente migliore analisi di estensione della lesione e dei rapporti con i tessuti circostanti. MPR consente la ricostruzione delle immagini acquisite nei vari piani dello spazio con spessore variabile, utile per valutare i rapporti con le strutture circostanti. INDICAZIONI La risonanza magnetica ha sensibilità ottimale, vicina a 100 per cento: ciò significa che identifica tutti, o quasi tutti, i carcinomi mammari, perlomeno gli infiltranti; tuttavia, la sua specificità, a seconda degli studi, è tra 69 e 96 per cento e pertanto non sempre è possibile differenziare le lesioni benigne da quelle maligne, con conseguente aumento degli esami di follow-up, di stress per la paziente e dei costi economici, in caso di falsi positivi. Per aumentare la specificità della RM della mammella, è stato dimostrato come il rispetto delle indicazioni sia fondamentale. A fronte di lesioni sospette alla RM, non ulteriormente caratterizzabili, può essere utile una rivalutazione ecografica, il cosiddetto second look; per lesioni visibili solo in RM, è possibile l’esecuzione di biopsia RM-guidata. Tuttavia, questa metodica ha alto costo ed è ancora poco diffusa. Un errore comune è quello di considerare la RM della mammella come tecnica in grado di sostituire l’imaging tradizionale. Questa metodica deve invece essere considerata una tecnica di imaging di secondo livello, in grado di risolvere i limiti delle tecniche tradizionali, ma inutile senza di esse. Sulla base delle recenti linee guida di EUSOMA (EUropean Society Of MAstology), si esaminano di seguito le principali indicazioni alla RM mammaria. La prima indicazione per la quale la RM rappresenta la modalità di imaging di prima linea è la valutazione delle donne con rischio eredofamiliare di carcinoma mammario. Un carcinoma mammario si definisce ereditario quando ci sono più di 3 membri nella famiglia con diagnosi di carcinoma mammario, con caratteristiche precise, quali insorgenza precoce, bilateralità del carcinoma mammario e alta frequenza di neoplasie extramammarie. Un carcinoma si definisce familiare in presenza di due o più membri della famiglia con diagnosi di carcinoma mammario, senza tuttavia altre caratteristiche indicative di ereditarietà. Il sospetto clinico di carcinoma mammario ereditario può essere confermato attraverso il test genetico, in grado d’identificare il difetto molecolare. I geni identificati, la cui mutazione determina aumentato rischio di sviluppare il carcinoma mammario nel corso della vita, sono BRCA1 e BRCA2. Una mutazione del gene BRCA1 aumenta drasticamente il rischio di sviluppare il carcinoma mammario, fino a 80 per cento; se nella popolazione generale il rischio di sviluppare entro cinquant’anni un carcinoma mammario è di 2 per cento, la mutazione di BRCA1 lo aumenta sino a 33-50 per cento. Risulta, dunque, chiaro quanto sia importante la diagnosi precoce in questa particolare popolazione di donne, anche perché il carcinoma mammario eredofamiliare si manifesta spesso in giovane età. La RM della mammella in molti studi presenta sensibilità di 100 per cento nel diagnosticare il carcinoma mammario nelle donne a elevato rischio. Questa sensibilità deriva dal fatto che la RM 53 IMAGING IN SENOLOGIA - Testo atlante 33 paziente di 57 anni • Anamnesi familiare e personale non significative. • Esegue mammografia per escludere patologia non palpabile. • EO: seni soffici alla palpazione; cute e capezzoli regolari. A) Mammografia seno sinistro (A1); ingrandimento radiologico mediante zoom elettronico (A2): in parenchima ghiandolare prevalentemente micronodulare, si osserva in sede superocentrale area di convergenza estesa per 0,6 cm circa (BI-RADS 4-5). B) Ecografia: in corrispondenza del reperto mammografico, si evi- denzia piccola area ipoecogena (B1), a contorni mal definiti, con assorbimento acustico posteriore ed evidente vascolarizzazione all’esame power Doppler (B2); score 4 all’elastografia (B3). C) Risonanza magnetica: C1) immagini T2 assiali con saturazione del grasso; C2) ricostruzioni MIP dopo mdc; C3) immagine dopo somministrazione di mdc con ROI e curva IS/T. Formazione nodulare a margini irregolari di circa 0,8 cm, corrispondente all’area di convergenza mammografica in sede superocentrale, con impregnazione contrastografica lenta e graduale nel tempo, ma di notevole intensità (curva di tipo II). • Istologia: carcinoma duttale infiltrante. A1 234 A2 B1 CASI CLINICI B2 B3 C1 C2 235 C3 736 % 700 600 1 500 1 400 1 300 200 100 0 -35 1 2 3 4 5 im # IMAGING IN SENOLOGIA - Testo atlante 39 paziente di 35 anni • Anamnesi familiare positiva per carcinoma mammario (nonna materna). • Anamnesi personale: gravidanza a termine un anno prima. • Esegue primo controllo clinico-strumentale per tumefazione al quadrante superoesterno destro. • EO: voluminosa tumefazione nodulare al quadrante superoesterno destro, fissa nei piani superficiali e profondi. Non secrezioni mammarie bilateralmente. A) Mammografia. B) Ecografia: in corrispondenza del reperto clinico, al quadrante superoesterno del seno destro, si evidenzia voluminosa opacità nodulare (1,6 cm) (B1), a margini sfumati e mal definiti, disomogeneamente ipoecogena, con spot microcalcifici nel contesto e con pattern elastosonografico 4 (B2) e piccola formazione nodulare (0,6 cm) in sede contigua. Sono presenti alcune linfoadenomegalie a ecostruttura sovvertita al cavo ascellare omolaterale del diametro massimo di 1,8 cm (B3). C) Risonanza magnetica: C1) immagini T2 assiali con saturazione del grasso; C2) immagine T2 assiale; C3) immagine T1 assiale precontrasto; C4) immagini T1 assiali postcontrasto; C5) immagini assiali sottratte; C6) immagine T1 postcontrasto con ROI, mappa colorimetrica con ROI e relativa curva IS/T. Al seno destro, si conferma, in corrispondenza del reperto clinico ed eco- mammografico, formazione nodulare, isointensa nelle immagini T1 pesate (C3), lievemente iperintensa nelle immagini T2 pesate (C1, C2) con disomogenea, intensa e precoce impregnazione contrastografica (C4, C5) e wash-out tardivo (curva di tipo III) (C6). Concomita piccola formazione nodulare in sede limitrofa (C4, C5) e linfoadenomegalia di significato patologico al cavo ascellare omolaterale (C1). • Microistologia della formazione al quadrante superoesterno destro: carcinoma duttale infiltrante scarsamente differenziato. A 248 B1 B2 B3 CASI CLINICI C1 C2 C3 C4 C5 249 210 % 200 C6 180 160 140 120 100 80 τ τ 60 40 20 0 -10 1 2 3 4 5 im #