VISITA PASTORALE
LETTERA-MANDATO
Alle comunità parrocchiali
di SAN PELLEGRINO, BUON PASTORE,
IMMACOLATA, PREZIOSISSIMO SANGUE, BARAGALLA,
SAN GIUSEPPE-COVIOLO
della Zona pastorale di San Pellegrino
Carissimi,
nei giorni da giovedì 12 febbraio 2009 a domenica 15 marzo 2009 ho visitato le vostre
diverse comunità parrocchiali, incontrando anzitutto le persone: i vostri parroci, sacerdoti e
diaconi, le Suore di Nostra Signore della Carità per l’accoglienza (al Buon Pastore), le Suore del
Verbo Incarnato per il servizio parrocchiale (a S. Giuseppe), la Casa della Carità cittadina “B. V.
della Ghiara”, di cui abbiamo celebrato il 10° anniversario dell’apertura non solo con la Messa di
ringraziamento, ma anche con un incontro vicariale; la comunità propedeutica e vocazionale a
Coviolo, che abbiamo intitolato al servo di Dio “Rolando Rivi”.
Rivedo ora, a distanza di alcuni mesi, i vari incontri che si sono susseguiti a partire
dall’incontro con i piccoli delle diverse scuole parrocchiali dell’infanzia a San Pellegrino, S.
Giuseppe e Coviolo; i nonni, i ragazzi del catechismo e della Cresima, a cui è seguito la visita ai
malati in casa, agli anziani della casa parrocchiale (a San Pellegrino), a “Le mimose” (Immacolata),
al diurno e al centro FA.CE per cerebrolesi (a S. Giuseppe).
Indimenticabili gli incontri con le famiglie in parrocchia il sabato sera; in casa con le nuove
famiglie arrivate, con i giovanissimi del “dopo Cresima” (a Coviolo), con i giovani universitari di
zona (presso la parrocchia del Preziosissimo Sangue) e con gli operatori Caritas e di volontariato (a
San Pellegrino), e prima ancora con le diverse assemblee parrocchiali, per concludersi la domenica
mattina con la celebrazione eucaristica unitaria.
La Visita pastorale, che si è svolta nei giorni feriali prima che in quelli festivi, mi ha permesso
di conoscere più da vicino e condividere meglio situazioni, difficoltà e attese, imparando a
ritrovare insieme la forza e la gioia di essere Chiesa oggi anche in un mondo che cambia. Forse, di
qualche parrocchia sarà emersa un’immagine di Chiesa troppo positiva, per fare bella figura, ma il
bello, quando è veramente bello, è già una buona partenza per il vero.
Rileggendo le vostre corpose e puntuali relazioni sullo stato delle rispettive parrocchie,
maturate nei mesi precedenti alla visita pastorale in diverse commissioni e riunioni del Consiglio
pastorale — un vero esempio di “pastorale della fede adulta e pensata (cfr. CEI, Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia, 50) — e ripensando alle vostre domande libere al Vescovo in
assemblea, intravedo più o meno cosciente una domanda che le accomuna: “Quale il futuro delle
nostre parrocchie?”.
Provo allora a mettere per iscritto alcune considerazioni perché possano essere motivo di
riflessione e di ulteriore confronto, e nello stesso tempo avanzare alcune richieste a sostegno del
cammino che vi attende. Si tratta di una traccia di osservazioni, a partire non tanto dal passato o
dai problemi che ci impone il presente, ma appunto dal futuro desiderato e voluto delle vostre
parrocchie.
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Esse riguardano questi punti:
A – I punti di forza della parrocchia
B – Ambiti di pastorale d’insieme
C – Verso le Unità pastoali
A – PARROCCHIA OGGI: punti di forza
Si ritorna a “scommettere” sulla parrocchia. Non mancano anche recenti riferimenti
autorevoli in proposito, quali quelli richiamati da Giovanni Paolo II nella recente lettera
postsinodale sul Vescovo là dove raccomanda “un’attenzione privilegiata alle parrocchie…ricordando
che di queste comunità, eminenti fra tutte quelle presenti in una Diocesi, il Vescovo è il primo responsabile:
ad essa pertanto egli deve riservare la sua cura” (Pastores gregis 45).
Si ritorna a scommettere sulla parrocchia, ma perché? E su quale immagine di parrocchia? Qui
ovviamente il discorso si fa impegnativo. La parrocchia oggi ci appare come una realtà in forte
movimento, che per tanti versi sembra sfuggire ad una presa solida e rendere, in qualche misura,
provvisori i nostri discorsi. Si può, tuttavia, verificare una certa convergenza su di un punto che si
riferisce alla “figura di Chiesa che la parrocchia custodisce”.
La figura di Chiesa è quella di custodirsi come “Chiesa radicata in un luogo”. Attraverso
questa sua istituzione che è la parrocchia, la Chiesa riesce ad abitare territori e spazi sociali
diversissimi e, allo stesso tempo, attraverso questa istituzione, la società con tutte le sue diversità,
ricchezze e tensioni riesce a prendere contatto con la Chiesa. Questa capacità di abitare spazi e
territori diversissimi è stata riconosciuta in passato, e continua ad essere riconosciuta tuttora,
anche di fronte a segni evidenti di crisi, legati al forte cambiamento conosciuto da tutto il territorio
italiano.
Di solito, come fattore di cambiamento del territorio, si porta il fenomeno della mobilità
sociale della gente per ragioni di trasferimento di casa, lavoro, scuola: fenomeno in parte già
conosciuto in passato, anche se oggi è più accentuato. Fattore di cambiamento del territorio sembra
oggi piuttosto il diverso rapporto tra Chiesa e territorio: in passato era il territorio ad appartenere
alla Chiesa e a vivere tanti aspetti della sua vita quotidiana (casa, lavoro, festa e tempo libero,
malattia e morte) come all’ombra del campanile. Oggi, al contrario, è la Chiesa che fa parte del
territorio, ed è chiamata a leggere i cambiamenti, a interpretarne i bisogni, esercitando una forte
capacità di ascolto e di discernimento dei rivolgimenti in atto (a livello di tipologia delle famiglie,
di mentalità e costume, di immigrazione).
1. Centralità dell’Eucaristia ed evanescenza della vita di comunità
Ritornare a scommettere sulla parrocchia non vuol dire ritornare a parlare di tutto. Il tema
specifico è quello del compito fondamentale della parrocchia d’oggi in ordine alla “missione della
Chiesa”. In questa prospettiva missionaria il rischio per la parrocchia è quello invece di restare
prigioniera di due tendenze, tra loro parzialmente contrastanti, ma entrambe poco aperte alla
missionarietà:
- quella di concepirsi come una comunità piuttosto autoreferenziale, nella quale ci si
accontenta di trovarsi bene insieme,
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- e quella di una stazione di servizio per l’amministrazione dei sacramenti, che continua a dare
per scontata in coloro che li richiedono una fede spesso assente.
Vi invito anzitutto a riscoprire la centralità dell’Eucaristia. La missionarietà è iscritta nel cuore
dell’Eucaristia. La Messa non ci appartiene, ma noi apparteniamo al Corpo del Signore che è morto
e risorto per tutti: l’Eucaristia è “per voi e per tutti” (cf. la mia Nota pastorale Andate e annunciate: è
la missione, I parte). L’Eucaristia dice il nostro modo di essere cristiani. Alla Eucaristia si va non
solo per dovere, per fare festa, talvolta per ottenere qualche vantaggio, ma soprattutto per fede in
Gesù, morto e risorto “per tutti”, e perciò per uscire di chiesa più missionari.
In una realtà in continuo cambiamento come quella di oggi, fondamentale per la parrocchia è
la volontà di essere “punto di riferimento” in una società così diversificata, reimparando a restare
come garanzia e promozione di un minimo di fusione tra la gente nei diversi quartieri. ). È stato
osservato che la comunità che si raccoglie per l’Eucaristia domenicale è più il segno dell’assenza
che della presenza della comunità.
Riflettendo in questi anni sulle nostre assemblee domenicali, condivido la risposta che un
confratello Vescovo diede ad un giornalista, che gli aveva rivolto questa domanda: “Eccellenza,
come mai Ella si preoccupa poco delle molte persone battezzate che non vanno alla Messa
domenicale?” L’Eccellentissimo rispose: “Non è che non mi preoccupa la cosa: mi chiedo piuttosto
come escano dall’Eucaristia domenicale quelli che vi hanno partecipato”.
2. Iniziazione cristiana, un prodotto semilavorato
Dall’Eucaristia, celebrata bene e inserita in un contesto di ascolto della Parola e di
contemplazione nell’adorazione e di servizio nella carità, dovrebbe scaturire una forza educativa
alla missione. Ritengo che il primo obiettivo su cui le comunità cristiane sono chiamate a saggiare
la loro spinta missionaria siano le famiglie che ancora chiedono in larga maggioranza i sacramenti
per i loro figli. È noto che la domanda dei sacramenti di Iniziazione cristiana, e in genere le
domande di sacramenti, provengono da famiglie e da gente non sempre praticante la vita della
comunità cristiana.
Invito perciò, in sintonia con il cammino delle Chiese in Italia, a ripensare in maniera globale e
differenziata la proposta di Iniziazione cristiana: non solo disponendo il percorso catechetico, ma
anche quello partecipativo festivo lungo l’anno liturgico, coinvolgendo non solo i piccoli già a
partire dai primi anni della scuola dell’infanzia, ma anche investendo di più sulla pastorale delle
famiglie e con le famiglie.
Con gioia ho ascoltato da alcune relazioni per la Visita pastorale che già state sperimentando
proposte di Iniziazione cristiana dei ragazzi con momenti di catechesi, non solo, ma anche di
animazione delle Messe domenicali lungo l’anno e di feste comunitarie con le famiglie o
“Domeniche insieme”. E poi c’è già chi accompagna i percorsi con momenti di ritiro spirituale,
veglie di dialogo e di preghiera con il Vescovo alla vigilia della Cresima, come a Pentecoste (Atti 12), “settimane comunitarie” per i più giovani.
Non basterà più dare ai ragazzi un modello tutto sommato ancora scolastico di iniziazione
cristiana: un’ora di Catechismo, un’aula e una maestra. Occorrerà coinvolgerli in un cammino di
fede che li faccia incontrare con la vita della comunità che celebra, fa festa insieme, prega, canta, si
fa attenta ai suoi poveri con esperienze di servizio e di carità. L’intento è quello di presentare un
Cristianesimo non solo comprensibile, ma anche desiderabile, immergendo il ragazzo e
l’adolescente in una realtà da vivere.
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Anche le attività sportive (con l’U.S. S. Pellegrino) e del tempo libero, se integrate in un
progetto pastorale d’intesa tra le parrocchie e le società sportive, possono avere valenza formativa.
Fondamentale sarà la coesione, la formazione e la crescita del gruppo degli educatori, allenatori e
figure maschili comprese capaci di testimoniare ai minori che si può vivere da adulti la fede. Oggi
molte nostre strutture hanno perso la rilevanza di un tempo (cinematografi, circoli parrocchiali,
polisportive...), ma ciò è anche un bene, perché se oggi le persone vengono alla Chiesa non è più
perché lì c’è l’unico campo di calcio del paese, o perché lì il divertimento costa meno, ma piuttosto
perché si intende compiere un cammino di comunione e di fede.
E qual è allora questo cambiamento che anche l’Oratorio domanda a chi lo frequenta? Il
riferimento è a Gesù e al suo stile di vita. L’Oratorio intende educare a crescere secondo i parametri
del servizio e del dono di sé: catechesi, preghiera, gioco, divertimento, sport, attività, gite, vacanze
insieme…. Tutto è finalizzato all’apprendimento del servizio a Dio e agli altri come stile di vita .
All’Oratorio si impara a donarsi, a spendersi, a sprecarsi e ad esagerare per Dio e per gli altri.
3. Scelta preferenziale degli adulti, in particolare delle famiglie
È noto che in passato le migliori energie - il tempo a disposizione, i sacerdoti, le suore, le
strutture in genere - sono state spese a servizio della educazione dei minori. L’attenzione agli
adulti era quasi una risultanza di quella ben più impegnativa dedicata ai minori. Occorre il
coraggio di ribaltare la gerarchia degli investimenti delle energie pastorali. Non si tratta di non
puntare sui minori, ma di evangelizzare piccoli e grandi, facendo perno sui piccoli in vista dei
grandi, e più ancora coinvolgendo i grandi nell’edificazione di una comunità adulta, e quindi
capace davvero di essere a servizio dei piccoli, degli adolescenti e dei giovani.
Una parrocchia missionaria fa perciò la “scelta preferenziale degli adulti”. Fondamentale è la
familiarità con la Parola di Dio mediante incontri con gli adulti sul Vangelo della domenica o sul
libro biblico suggerito dalla Diocesi, attivando la disponibilità e formazione di coppie di sposi a
diventare figure di animatori di gruppi di vangelo nelle case (“diaconie domestiche”). Sono
convinto che alla pastorale familiare nelle parrocchie si debba dare la priorità. Sovente le famiglie
sono immerse in forti tensioni, a causa dei ritmi di vita, di lavoro che si fa incerto, della stanchezza
in un compito educativo che si fa più arduo.
A questo scopo chiedo un’attenzione particolare alle famiglie, sia quelle che frequentano la
chiesa, sia quelle che non la frequentano mai o raramente; la famiglia, anche se sottoposta a tanti
impegni e scadenze, è e rimane la risorsa primaria per la vita della parrocchia e per la
testimonianza cristiana nella società, non solo un ennesimo problema, di cui lamentarsi. Di questo
la parrocchia deve tenerne conto, andando di più incontro alle famiglie.
Il problema pastorale ancora irrisolto è però quello della crisi dei matrimoni, che non
risparmia neppure i praticanti. Inadeguata diventa perciò la tradizionale preparazione dei
fidanzati al Matrimonio, delegata dalle parrocchie del centro al diacono e a bravi relatori, ma al di
fuori del contesto vissuto in parrocchia, e soprattutto non accompagnata dopo il Matrimonio con
l’avvio della pastorale delle giovani coppie e dei “Gruppi familiari”.
Chiedo perciò, analogamente ad altre zone pastorali, di avviare presto Gruppi familiari,
proposti al 1° posto tra le iniziative di formazione cristiana degli adulti (Cfr. Direttorio di pastorale
familiare n. 126), i quali, non separatamente dalla comunità parrocchiale, promuovano sul territorio
delle parrocchie itinerari di vita e di testimonianza cristiana: di spiritualità (preghiera e ascolto
della Parola), di amicizia e di servizio (catechisti battesimali, educatori gruppi giovanili,
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associazioni di volontariato), di educazione dei figli (nell’uso dei soldi, del tempo libero, negli stili
di vita, nelle scelte vocazionali).
Su questi vari ambiti la pastorale di zona è chiamata a diventare luogo di confronto e di progettazione
comune. Bisognerà che i parroci siano i primi a crederci. Diversamente il confronto delle gente sulle
diverse parrocchie viene fatto al ribasso!
B – OLTRE LA PARROCCHIA: ambiti di pastorale d’insieme
Ogni parrocchia ha certamente la sua peculiarità, la sua storia. Le situazioni concrete sono
diverse, così come le forze di cui una parrocchia può disporre.
Ma è impensabile oggi una parrocchia “isola felice”, realtà autosufficiente e autonoma dalle
altre. Lo richiedono diversi fattori: la mobilità della gente, lo spopolamento di alcune zone e la
crescita di altre, la dislocazione degli stessi ambiti di vita con la conseguente uscita di parrocchia
per la scuola, il lavoro, la malattia e la stessa morte. Non ultimo il progressivo calo e
invecchiamento del clero e la necessità di mettere insieme le risorse.
In questa prospettiva chiedo di consolidare il rapporto con le altre parrocchie vicine della zona
e del Vicariato, evitando i cammini paralleli e lavorando insieme su esperienze che uniscono: ad
esempio, la scuola per la formazione dei catechisti/educatori e dei fidanzati. Sarà più facile
arrivare a costituire vere e proprie “Unità Pastorali” in ambiti più bisognosi di cura e di figure
adeguate di accompagnamento come la pastorale giovanile e famigliare. L’autonomia e
l’individualismo non vanno da nessuna parte!
1. Alla scuola della carità
Poiché non c’è comunità senza carità, ho visto con gioia crescere la dimensione caritativa; è
importante che alla carità, essendo anzitutto una virtù teologale, ci si educhi tutti, imparando a
praticarla nei vari luoghi (famiglia, comunità parrocchiale, ambienti di lavoro) e nelle diverse
forme (amicizia, correzione fraterna e perdono, non solo offerte ed elemosine). La carità cristiana
non è solo elemosina; è prima di tutto accoglienza, comunione, spirito di dialogo e volontà di
collaborazione anche con chi non è completamente omogeneo con noi. E questo in forza della
comune fede.
È noto che per volontà di Paolo VI (1971) è stata costituita in ogni diocesi la “Caritas
diocesana” con compiti non solo di gestione, come le precedenti opere di assistenza (P.O.A), ma
come scuola di promozione e di formazione sul territorio, se non di ogni parrocchia, tra parrocchie
vicine. Quindi anche le opere e iniziative di carità assumono valenza educativa come segno di
comunione e palestra di formazione per tutti. Non sono delegabili né monopolio solo di alcuni
volonterosi.
Penso in particolare alla presenza delle Case della Carità (qui a S. Giuseppe) e al loro carisma
di luogo di ricerca spirituale e di orientamento vocazionale per i giovani che le frequentano, e di
“scuola-laboratorio” di formazione alla carità come liturgia e spiritualità, prima che di assistenza e
di servizio. Analoga valenza educativa per l’intera comunità possono diventare anche la
partecipazione della parrocchia a fondazioni di solidarietà con attenzione alle fragilità (C.E.I.S.).
Evangelizzante è anche il servizio dei ministri della Comunione, attenti e zelanti nella visita in
casa degli ammalati, offrendo loro la possibilità di unirsi all’Eucaristia celebrata dalla comunità. Mi
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auguro che questo servizio — chiedendo anche ad altre persone di rendersi disponibili ad esso —
diventi sempre più attento e sollecito, soprattutto nel giorno di domenica, perché appaia
maggiormente il legame con l’assemblea riunita nel Giorno del Signore.
2. Accoglienti e in cammino con i giovani
Una difficile prossimità è quella verso i giovani. Anche in città i giovani dopo la Cresima
faticano a frequentare le nostre parrocchie, attirati dalle offerte di una società che configura il
giovane come il “buon consumatore”: di vestiti, di divertimenti, di emozioni. Le forme di
seduzione sono innumerevoli; il senso di comunità non è immediato e diffuso, sostituito dalla
ricerca di una prossimità fisica con i coetanei, che spesso si rinchiude in piccolissimi gruppi.
Tuttavia, a periodi più o meno lunghi di presa di distanza, nasce il desiderio di trovare senso e
appartenenza. La cosa importante sarebbe quella di sviluppare nei giovani, che sono presenti e
impegnati nelle nostre parrocchie, la consapevolezza di essere loro i primi apostoli dei loro
coetanei, secondo la grande intuizione di don Bosco, e la testimonianza personale e la
sollecitazione pastorale di Giovanni Paolo II. Ma questo rimanda ad una immagine di comunità
cristiana.
Abbiamo bisogno di comunità parrocchiali accoglienti verso i giovani, perché esse stesse
capaci di rinnovarsi nella fede. Un difetto oggettivo della pastorale giovanile, quand’anche
riuscisse a muovere i giovani, è quello che fa della pastorale giovanile un’esperienza a parte, quasi
una Chiesa parallela rispetto alla comunità adulta. Il difetto può venire da ambedue le parti: i
giovani viaggiano su stili di vita a lato rispetto alla comunità adulta, ma poi questa non si mette in
discussione sui propri stili di vita.
C’è bisogno perciò di vocazioni in ambito educativo, una volta delegate al prete giovane, a
qualche suora, figure pure necessarie. Siamo poveri di figure di catechisti educatori,
accompagnatori degli itinerari di fede negli incontri di gruppo (“I giovani leggono il Vangelo di
Matteo”), ma anche nelle relazioni personali, e per questo più stabili e formati. Di fronte a questa
povertà di risorse in ambito educativo non c’è alternativa se non la condivisione delle risorse: tra
parrocchie vicine; tra parrocchie e associazioni (AC, Scout…)
Incoraggio a tal proposito a proseguire nel coordinamento zonale della pastorale giovanile
affidato in questi ultimi anni ad un prete giovane, incaricato per la formazione degli educatori di
pastorale giovanile e universitaria, con il sostegno dei parroci e dei sacerdoti della zona.
3. L’impegno a evangelizzare la cultura.
Difficilmente una catechesi fondata sulla Parola e sostenuta dalla grazia dei sacramenti riesce
a formare una “fede pensata e adulta”, senza un adeguato accompagnamento ad affrontare le sfide
che il vivere oggi la fede chiede nei vari ambienti di vita. Particolare impegno sarà da dedicare alla
pastorale d’ambiente: la scuola, il mondo del lavoro e della professione, le varie amministrazioni,
la presenza di nuove culture e religioni, il mondo dei mass media sono il terreno di decisioni
importanti che ricadono sulla stessa comunità cristiana.
Anche a Reggio, si sta vivendo una profonda trasformazione: forte mobilità di famiglie che
mettono su casa altrove e famiglie nuove che arrivano. Ma il cambiamento maggiore è quello che
riguarda la mentalità, il costume che tocca il modo stesso di vivere il lavoro, la festa, il tempo
libero, la cultura, la politica. Anche voi come parrocchie della città avvertite le preoccupazioni
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tipiche di una società in cambiamento come: il senso di insicurezza, la marginalità della famiglia, le
difficoltà alla integrazione dei nuovi arrivati.
In una realtà in continuo cambiamento come quella di oggi, anche la comunità cristiana è
chiamata ad essere parte attiva nella vita della città. Oggi, rispetto al passato segnato da forti
contrapposizioni ideologiche, la Chiesa è più apprezzata anche da chi non la frequenta per le sue
opere sociali: scuole materne o dell’infanzia, case di riposo per anziani, Case della Carità,
volontariato sociale e missionario.
La società civile e l’amministrazione non solo ne deve prendere atto, ma favorire questa
presenza; non solo la comunità ecclesiale deve collaborare con l’amministrazione, ma anche
l’amministrazione pubblica collaborare con la comunità ecclesiale attorno ad un progetto
condiviso. È questo il principio di sussidiarietà riconosciuto dalla stessa Costituzione (articoli 2 e
3), che favorisce la presa di responsabilità da parte dei gruppi sociali, a cominciare dalla famiglia
come soggetto, non oggetto e “cenerentola” della vita pubblica.
Il riferimento è ad una cultura della città e del suo territorio come luogo, non solo di
innovazione, ma della tradizione intesa come abitare. Come dice la parola, “abitare” significa:
avere cura delle buone relazioni di vicinato, nei quartieri e nelle zone; fare sistema di vita insieme,
dando centralità alle piccole comunità: casa, scuola, circoli sociali e culturali, piazze in cui vivere
esperienze di coralità e di festa; valorizzare le parrocchie e la loro tradizionale capacità di
umanizzazione del territorio con i loro centri pastorali (in costruzione a Baragalla); e dare piena
cittadinanza alla famiglia al di fuori della quale e contro la quale — come diceva don Dossetti sr.
— ogni proposta di buona vita cittadina si manifesta inadeguata.
Un impegno particolare in questi ambiti spetta alle varie aggregazioni e associazioni come il
circolo “Giorgio La Pira”, e soprattutto all’Azione Cattolica (presso il Buon Pastore), che non
mancano nelle nostre parrocchie, ma che stentano a lavorare insieme. Chiedere di investire di più
nell’impegno culturale dei cristiani nelle nostre comunità non è fare una scelta elitaria, costituire
dei cenacoli o chiudersi nei “salotti bene”: è fare pastorale, e pastorale a tutto campo. Si spiega così
come oggi il progetto di formazione cristiana debba connotarsi anche in senso più culturale (es. del
Cinema Olimpia), come ho cercato di evidenziare nella Lettera pastorale 2008-2010 Noi crediamo e
per questo parliamo. Comunicare la fede in un contesto di pluralismo culturale e religioso.
C – VERSO LE UNITÀ PASTORALI
Si tratta di una scelta motivata non solo dalla diminuzione e innalzamento di età del clero, ma
dalla necessità di venire incontro ad una più efficace pastorale d’insieme tra parrocchie vicine –
grandi e piccole – dello stesso territorio, in alcuni ambiti della pastorale (giovanile, famigliare,
educativa, caritativa…), che superano le possibilità delle singole parrocchie, e che pure restano
nella loro identità di storia, tradizioni, spiritualità, stili di vita, patrimonio.
1. Camminare insieme
Già la memoria storica sollecita questo orientamento. S. PELLEGRINO (ab. 4.300) fino
all’espansione della città verso sud con nuovi quartieri costituiva il territorio comune da cui, come
dalla costola di Adamo, sono state stralciate le nuove parrocchie del Buon Pastore, Immacolata,
Preziosissimo Sangue, parte di Baragalla e di S. Giuseppe al Migliolungo. Grazie ai suoi parroci,
figure sagge e autorevoli, S. Pellegrino custodisce al suo interno una forte tradizione pastorale, una
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varietà di esperienze e di beni spirituali, e di conseguenza una non sempre simpatica a tutti
coscienza di identità.
Sono convinto che a partire dall’Eucaristia, Parola e Pane della condivisione che è Gesù e il
Vangelo per tutti, S. Pellegrino si debba aprire — come già sta facendo — al desiderio, anzi alla
necessità di lavorare insieme agli altri con passi significativi nella direzione di cammini comuni:
nell’ambito della pastorale giovanile di zona con il lavoro d’insieme degli educatori, con gli incontri
per giovani universitari, e con la nuova equipe di Pastorale giovanile a livello diocesano. Analoga
sollecitazione, se non prioritaria scelta dovrebbe incominciare a guadagnare terreno di confronto e
di integrazione la pastorale in ambito familiare: percorsi dei fidanzati, gruppi familiari sul territorio,
percorsi catecumenali e penitenziali per famiglie nuove o in crisi.
Ritengo ormai maturo il momento di una integrazione” (non parlerei di “fusione”) con la
parrocchia di GESÙ BUON PASTORE (ab. 3.000, eretta con stralcio da S. Pellegrino e S. Agostino
nel 1969), almeno a partire dagli aspetti sopra richiamati. Per il futuro bisognerà unire ciò che in
passato era già unito, e che lo sviluppo della città ha diviso. Lo stesso Don Emilio Perin insieme al
compianto don Mario Gianferrari, avviando negli anni Settanta la nuova parrocchia diceva di
lavorare, e sodo, per... dividere ciò che prima era unito.
IMMACOLATA (ab. 3.140, stralciata da S. Pellegrino nel 1963), PREZIOSISSIMO SANGUE DI
N. S. G. C. (ab. 3.687, stralciata da S. Pellegrino e Rivalta nel 1963) e SACRO CUORE (ab. 3.778,
smembrata da Rivalta, Preziosissimo Sangue e Coviolo nel 1978), hanno costituito un gruppo di
nuove parrocchie, composte da diverse tipologie di famiglie e di culture: la parrocchia del
Preziosissimo Sangue, lungo la statale verso Rivalta, in una zona altamente residenziale; la
parrocchia del Sacro Cuore a Baragalla, costituita attorno alla cappella e al centro studi dei Gesuiti,
oggi in espansione; la parrocchia dell’Immacolata situata in un quartiere popolare oramai definito
più simile al vicino quartiere di S. Giuseppe al Migliolungo.
Quale il futuro di queste parrocchie? Ritengo che sia la pastorale d’insieme, non perché
vengono meno i preti, ma perché si creano nuove distanze tra parrocchia e giovani, con l’arrivo di
nuove famiglie, anche da Paesi e culture diverse, dove c’è bisogno di nuove figure ministeriali
formate al compito di evangelizzare il territorio (catechisti battesimali, educatori del post cresima e
dei giovani, animatori di gruppi famigliari nei quartieri, visitatori delle famiglie e dei malati…), e
devono crescere i laici che escono dall’Eucaristia domenicale più corresponsabili e missionari della
vita della comunità nel feriale e nel quotidiano.
Sono convinto che anche il progetto pilota della CEI, a lungo desiderato e atteso in questi anni
e finalmente ormai “a cantiere aperto”, segno visibile di una comunità che si vuole rinnovare
attorno alla nuova chiesa come comunità eucaristica, fonte e culmine di ogni attività (Sacr. Conc.
11) possa diventare un centro pastorale, come cuore che anima non solo la vita e l’educazione
domestica nelle case, ma anche la formazione comunitaria dei giovani, la formazione degli adulti
all’impegno culturale, civile politico, dando un contributo al modello più umano di sviluppo della
città e del quartiere; e, se condiviso anche dalle parrocchie vicine, rappresenterà un passo
importante per il futuro di queste parrocchie.
S. GIUSEPPE al Migliolungo (ab. 5.962, stralciata da S. Pellegrino e Coviolo nel 1956) è invece
la parrocchia nuova, cresciuta come in terra di missione attorno alla chiesa-baracca come piccola
comunità in terra di missione del Villaggio Catellani. Grazie ai suoi primi cappellani Don Dino
Torreggiani e poi Don Alberto Altana, a Don Giuseppe Palazzi, parroco dal 1958, ai diaconi
Osvaldo Piacentini, Luciano Forte, Mauro Fortelli, sebbene in un contesto poco disponibile, anzi
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ostile, di gente spostata in periferia dal centro storico ,la comunità parrocchiale ha saputo farsi
presente sul territorio, con la forza della testimonianza e le opere di carità, guadagnandosi la stima
e la fiducia di tanta gente, che ancora oggi aprono la casa al Vescovo in visita pastorale
accompagnato dal parroco Don Umberto Iotti e da Sr. Clara.
COVIOLO (ab. 2.303) è la parrocchia che ha origini antiche, patrimonio del monastero di S.
Prospero già verso il 1111, poi chiesa vescovile dal 1520, ed elevata a priorato nel 1831 e conserva
gelosamente il volto di comunità legata alle sue tradizioni, di fede di tipo devozionale, di civiltà
contadina, ultimamente con nuovi nuclei familiari di provenienza dalla montagna, ma
conservando sempre forte il senso della parrocchia come “cosa propria”, parroco compreso! Dotata
di un certo patrimonio terriero, ha potuto avviare una scuola dell’infanzia, ha migliorato diverse
strutture, ospitando nella vecchia canonica restaurata la comunità propedeutica al Seminario
diocesano.
Sono quest’ultime parrocchie di S. Giuseppe e Coviolo due parrocchie in partenza assai
diverse e separate dalla circonvallazione verso le colline e l’Appennino e il passo del Cerreto, ma
non per questo ignare del futuro che le attende di comunità in unità pastorale: E ciò non tanto per
il venir meno dei parroci, ma perché devono crescere i laici uscendo dall’Eucaristia domenicale
più corresponsabili e missionari della vita della comunità nel feriale e nel quotidiano.
2. Adeguamento delle strutture
Un’ultima serie di indicazioni riguarda l’adeguamento delle strutture e gestione economica.
Dalle relazioni dei miei Convisitatori e rispettivi Uffici (Beni culturali e Amministrativo) ho
ricevuto positive informazioni per l’amore e la generosità con cui amministrate la comunità. Un
particolare apprezzamento va dato a coloro che, come responsabili della direzione, delle maestre e
del personale, si occupano di tenere aperte e vive le “Scuole dell’infanzia”, per non tacere coloro
che con le Suore Carmelitane minori, come ausiliari e volontari animano e custodiscono quel
“tesoro nascosto nel campo” (cfr. Matteo 6,21) che è la Casa della Carità.
Particolare attenzione chiedo all’adeguamento degli spazi liturgici secondo gli orientamenti CEI:
adeguamento che ho chiesto a tutte le comunità di pensare e non rinviare ulteriormente, a oltre
quarant’anni dalla riforma del Vaticano II (cf. Cinque pani, due pesci e la folla, ai nn. 23 e 24). Il volto
delle nostre celebrazioni, chiamate ad essere belle, accoglienti, ordinate, e ad offrire un’immagine
autentica di Chiesa, appare primariamente dalla disposizione dei vari poli liturgici e dal loro
decoro, dalla iconografia sobria e appropriata. Penso che la nascita della nuova chiesa del Sacro
Cuore, possa aiutare anche le parrocchie vicine a crescere nella riflessione e nella formazione
liturgica.
Raccomando inoltre che nella cura delle strutture e nell’uso dei beni parrocchiali, ci sia un
maggiore confronto con gli Uffici diocesani preposti (oltre a ricordare che, in alcune operazioni, è
obbligatoria l’autorizzazione della Curia), e si cominci di più, anche per le strutture, a pensare a
livello di pastorale di insieme.
3. La mia lettera siete voi
Carissimi, con questa lettera, la Visita pastorale continua nel cammino della pastorale
ordinaria e quotidiana delle vostre comunità parrocchiali. Chiedo perciò ai Consigli pastorali
parrocchiali e al Consiglio Pastorale unitario di zona di dedicare a questa lettera tempi adeguati di
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riflessione e di confronto, in modo da verificare all’inizio e al termine del nuovo anno pastorale i
passi ancora da compiere e i passi compiuti. Sarà questo un segno – non unico, certo, ma
significativo – di continuità con la Visita pastorale, perché, come dice l’apostolo Paolo, “la mia
lettera siete voi” (2Corinzi 3,2).
Ho preso in considerazione solo alcune indicazioni che promuovono la comunione tra di voi,
ed ho colto solo alcune attenzioni che sollecitano una maggiore istanza missionaria delle vostre
comunità in un mondo che cambia. Già queste indicano che il cammino che vi attende è lungo e
faticoso, “a causa del vento contrario” (cf. Marco 6,48). Sono sicuro però che l’Eucaristia che abbiamo
celebrato a conclusione della Visita pastorale, e che continuerete a celebrare, ci farà certi che Gesù,
Buon Pastore, non abbandona mai la sua Chiesa. Essa “come una barca – diceva il vescovo S.
Ambrogio – potrà essere flagellata dalle onde, ma mai sconquassata”.
Voglio ora rinnovare il mio grazie più sincero a tutti voi: sono grato per quanto state facendo,
che non è poco; per intercessione della Vergine Maria e dei vostri Santi Patroni prego il Signore,
che vi dia la forza di continuare con perseveranza e fiducia.
Con affetto, nella comunione del Signore
Vostro
Adriano VESCOVO
Reggio Emilia, 15 agosto 2010,
nella solennità di Maria Assunta, titolare della Cattedrale, madre di tutte le chiese
Schema della Lettera:
Introduzione
a- PARROCCHIA OGGI: punti di forza
1. Centralità dell’Eucaristia ed evanescenza della vita di comunità.
2. Iniziazione cristiana, un prodotto semilavorato
3. Scelta preferenziale degli adulti, in particolare delle famiglie
b- OLTRE LA PARROCCHIA: ambiti di pastorale d’insieme
1. Alla scuola della carità
2. Accoglienti e in cammino con i giovani
3. L’impegno a evangelizzare la cultura
c- VERSO LE UNITA’ PASTORALI
1. Camminare insieme
2. Adeguamento delle strutture
3. La mia lettera siete voi
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