ISAIA ‐ “I Canti del servo di Jahvè” ‘Servo’ è una delle traduzioni più possenti del termine diacono nel Deutero Isaia: nei quattro canti del Servo di Jahvè. I Canti sono dei testi a parte nel testo di Isaia. Il corpo testuale di Isaia si è soliti dividerlo in tre parti: protoisaia, deuteroisaia e il tritoisaia. Sotto il nome di Isaia vengono raggruppate delle profezie che seguono le parti fondamentali della storia di Israele monarchico e post ‐ monarchico. La prima parte, i capitoli da 1 a 39 sono probabilmente riferibili a Isaia, quello vero e proprio; ad es. al capitolo 7 c’è una parte narrativa dove Isaia si incontra e si scontra con il Re Acaz a proposito della guerra Siro Israelita, per cui c’è un assedio … troviamo il famoso oracolo “ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio, lo chiamerà Emmanuele”: tutto un mondo particolare; poi dal capitolo 40 a 55 parte un altro tipo di tematica, un linguaggio che cambia, anche se la tematica generale di Isaia rimane: anziché la gestione della vita monarchica, Israele pre esilico c'è la tematica dell'esilio – siamo in esilio – c'è un profeta di consolazione, di annunzio, di correzione che inizia ad annunziare che l'esilio finirà. Poi c'è il tritoisaia, un profeta post esilico, parla in maniera più aperta. Tutti questi oracoli sono insieme e fanno riferimento al profeta Isaia non sappiamo per quale motivo, ma c'è una evidenza del testo e questa tripartizione è fondata sulle tematiche, sul linguaggio. La parte finale è quella più universalista, dal cap. 56 in poi è la parte più escatologica, quella che guarda al futuro in modo più concreto. Quale è la tematica soggiacente i testi del “canto del servo”, perché sono importanti: sono citati moltissimo nel Nuovo Testamento, ad es. il 1° canto del servo è citazione fondamentale del battesimo di Gesù, perché qua e la il 2° e 3° canto compaiono citati e perché il 4° canto è forse la profezia più scioccante sulla passione di Cristo. Noi cristiani abbiamo dato una importanza rilevantissima a questi testi: noi sappiamo che Cristo ‘non recitò a caso’, ma aveva uno spartito da eseguire, l'Antico Testamento: “questo avvenne perché si adempisse la scrittura ...”. Il compimento delle scritture è la chiave per capire ciò che succede. Quando Gesù sulla croce dice “Elì, Elì, lemà sabactàni” non sta dicendo solo “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato”, fondamentalmente sta citando l'inizio del salmo 22 (a quel tempo il salmo veniva citato per il primo versetto!, la pericope che inaugurava). Se uno va a leggere il salmo 22 è un'altra scioccante profezia sulla passione di Cristo “hanno forato le mie mani e i miei piedi … si dividono le mie vesti … sul mio vestito gettano la sorte”, ma anche il salmo 22 finisce nella contemplazione di una gloria che è venuta da questo dolore. Così in tutti e quattro i canti del servo, intrinseca una chiave di lettura del Nuovo Testamento. Questi canti servono perché sono chiave di lettura per ogni cristiano, per la sua Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011 caratteristica di servo di Dio (la prima cosa che viene dichiarata per uno in via di santificazione è che è un servo di Dio, valido per tutti) e centrale per l'intuizione del ministero del diaconato. I quattro canti del servo sono all'interno di questo deuteroisaia. Siamo nel momento dello splendore dell'impero babilonese che ha oppresso e deportato la classe politica e abbiente di Gerusalemme; una speranza di poter andar via, ma un secondo giro di vite che toglie la speranza di un ritorno; giunge al fine questo personaggio Ciro, l'imperatore che prenderà una sorprendente decisione: farà tornare gli israeliti nella loro terra. Tutto accompagnato, profetizzato, preparato dalle profezie di Isaia. Il tema del deuteroisaia quindi è quello del secondo esodo. Cuore del pentateuco è il racconto pasquale, nessuno può capire l'Antico Testamento se non ha decodificato la pasqua ebraica: l'esodo è IL RACCONTO. Non solo la notte pasquale, ma tutto il racconto, dalla oppressione dagli egiziani, la chiamata di Mosè fino alla soglia della terra promessa (per questo è meglio esateuco, perché comprende anche Giosuè). La genesi pone le basi per essere un popolo oppresso in Egitto, mentre il libro di Giosuè pone il racconto di come questo popolo si installi nella terra promessa. In mezzo 4 libri che narrano questa tematica: l'esodo è il tema della fede di Israele, è il tema dell'uscita, dell'azione liberante di Dio. Isaia nella sua parte centrale tematizzerà il secondo esodo. Questo fatto è il trascendere il limite empirico dei racconti biblici: nei racconti biblici noi abbiamo un limite che sono racconti, quindi sono storia, quindi sono passato. Abbiamo già assimilato queste categorie, ma sono autori profezie o testi liturgici come quelli di Isaia che ci permettono di fare questo passo: il capire che gli eventi sono paradigmatici, cioè che ciò che è successo con il popolo di Israele si riproduce; questa è l’esperienza: Isaia con il racconto del secondo esodo – ermeneuticamente parlando – ci sottolinea questo concetto. La riproducibilità degli eventi = quello che Dio ha fatto lo rifarà! Dio ha liberato un popolo dalla schiavitù una volta, una seconda con il secondo esodo; questo lo sta rifacendo nel presente, questo si apre ad essere il modo di agire di Dio = Dio libera gli schiavi, Dio è il liberatore. Molte volte Isaia utilizza il termine Goel = “vendicatore del sangue” [l’antico sistema tribale di giustizia consisteva nell’avere ogni tribù un goel e quando qualcuno della tribù stessa subiva un torto, il goel partiva a vendicarlo, mentre tutta la tribù sosteneva la famiglia del goel stesso; più la tribù aveva un goel forte più era protetta; non era importante che tu fossi forte!]. Non è importante quanto siamo forti noi, ma quanto è forte il nostro goel; il nostro goel è Dio! L’importante non è essere forti, ma aver fatto alleanza con il goel forte, con Dio. Concetto che Dio è il riscattatore, il liberatore, unito al concetto della ripetibilità degli eventi salvifici. Un forte simbolismo; i simboli antichi vengono presi e trasportati: i termini del primo esodo vengono ripresi e trasfigurati, il popolo che esce, Babilonia il vecchio Egitto, l’oscurità il carcere l’oppressione sono i temi della schiavitù, il Signore è il Goel, il cammino nel deserto (“il deserto fiorirà … Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011 abbassate i colli, riempite i burroni”) che diventa il paradiso. In Isaia il deserto non è un luogo bello, ma di penitenza, di passaggio necessario per entrare nella terra promessa. Non si può entrare nella terra promessa senza deserto! L’entrata nella terra promessa del popolo diventa il ritorno. Si prende coscienza che Dio opera con noi con la sua linearità, come con la Vergine Maria; accadono si può ricodificare cose che dobbiamo ricordare perché Dio le rifà: Dio entra sempre per la qualcosa che Dio ha stessa porta con tutti noi. Quando parliamo con qualcuno che vogliamo fatto con noi. Non c’è più Canaan ma aiutare, dobbiamo capire la porta della grazia che ha: Dio entra sempre per tutto è incentrato su la stessa porta con lui. Cercare di capire sempre per quale porta Dio ha salvato, ha dato gioia, la fede ad una persona. Per quella porta rientrerà! Gerusalemme, che di‐ Non in modo pedissequamente ripetitivo, in quanto Dio è creativo, ma in venta il punto di arrivo. La disfatta di Babilonia è maniera analoga. Noi dobbiamo ricordare le nostre porte di grazia, le nostre una contrapposizione sorgenti di bene e quindi lasciarci alimentare. con la nuova città, prima era la terra ora è una città: Babilonia contro Gerusalemme. [Sarebbe interessante sviluppare il tema della ‘città’.] Dio si burla degli idoli, ma la difficoltà più grande è il cuore degli israeliti, l’esodo più difficile da realizzare; dice un rabbino “ci volle una notte per togliere Israele dall’Egitto e 40 anni per togliere l’Egitto dal cuore di Israele”. Certi atti eclatanti è più facile che assimilarli. Centro di tutto è che Dio è creatore e salvatore allo stesso tempo, si osserva la fortissima unione delle due tematiche; nelle Sacre Scritture ci sono due linee: la teologia della creazione e quella della redenzione. Per Isaia questi due temi sono splendidamente fusi; “ … Io mando la sciagura ed Io creo il bene …”, Dio può redimere attraverso ogni evento, è Dio che ha mandato la sciagura dell’esilio per purificare il popolo. Allora tutto serve, tutto concorre al bene di coloro che si innamorano di Dio. Dio è onnipotente, salvatore e salvatore di tutto il mondo. Questa universalità, nei canti del Servo, talvolta è latente altre volte molto esplicita. Con il deuteroisaia (ammesso che sia esistito veramente, o credo sia semplicemente un accorpamento liturgico, un saggio opportuno, pastorale accorpamento liturgico di testi che hanno una loro logica di profezia, di ricezione di Parola di Dio che viene ritenuta dal popolo e collegata ad una tradizione profetica) il problema fondamentale è il combattimento del cuore degli israeliti esiliati che devono sentire queste profezie che gli parlano di un Dio liberatore ed aprire il cuore alla speranza. Fondamentale il problema della speranza. La SPERANZA è una virtù teologale , non è “l’ultima a morì” come detta la nostra incultura cristiana, assimilando la speranza al semplice istinto di sopravvivenza, non è un sentimento, non è un’idea, non è una percezione o una visione, ma è un ATTO, essendo virtù. Un atto teologale, quindi donata da Dio, meglio innescata da Dio ed essendo virtù deve essere esercitata, così come la FEDE e l’ AMORE, anche loro ‘atti’ e non ‘sentimenti’. Uno ama quando fa qualcosa per l'altro realmente e non solo a parole; l'amore non è un sentimento: quando tuo figlio si sveglia per la quinta volta la stessa notte, è una settimana, tre mesi che non dorme e non ti fa riposare, tu sei stordita, pensi di essere in un sogno magari, e ti devi alzare per cullarlo e guadagnare qualche mezz'ora di sonno per te, quando ti alzi NON ti va di farlo – sinceramente – ma lo fai: quello è amore, dei più puri, veramente per l'altro, un amore dei più autentici. L'amore è un atto. Durante una giornata facciamo tante cose che non ci risultano piacevoli, ma siamo contenti di farle, fieri di farle; questo è amore. La nostra società oggi ci propone solo un comfort che ci sta inflaccidendo, intontendo. La speranza, anche, è un atto e Isaia deve scatenare questo atto, la partenza, bisogna fare qualcosa, ma deve dare dei codici. In questo quadro compaiono i 4 canti del servo: cap. 42, 49, 50, 52‐53. Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011 Parlano tutti di un individuo, non è una personificazione di una astrazione, come nel libro dei Proverbi al capito 8 troviamo la Sapienza che chiama ecc...; la Sapienza è un concetto e viene personificata. Nei canti del servo si parla di uno ben preciso che fa delle cose, Salmi 136 gliene succedono delle altre. È un'opera di Dio, è chiamato da 1 Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo Dio, è una iniziativa di Dio ed ha una missione sia per Israele al ricordo di Sion. che per i pagani. 2 Ai salici di quella terra Il tema che lega questi quattro canti è quello del trionfo appendemmo le nostre cetre. attraverso il fallimento (tema pasquale, tema della morte e 3 Là ci chiedevano parole di canto resurrezione compiuto in Cristo): è porre le basi, il prototipo di coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia, i nostri oppressori: ciò che poi Gesù ha eseguito fino in fondo. Parole e silenzio che «Cantateci i canti di Sion!». diventano parte uno dell'altra, incomprensibilità dei fatti e 4 Come cantare i canti del Signore luminosità dell'opera di Dio convivono. Fallimento come strada in terra straniera? del successo autentico, del trionfo. Parliamo di un Israele 5 Se ti dimentico, Gerusalemme, umiliato, ha perso completamente la sua nazione, è sotto un si paralizzi la mia destra; 6 mi si attacchi la lingua al palato, oppressore, “sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo … se lascio cadere il tuo ricordo, ai salici … appendemmo le nostre cetre … come cantare canti di se non metto Gerusalemme Sion in terra straniera”, dolore profondo anche la disperazione al di sopra di ogni mia gioia. di un Dio che forse non si ricorda più di noi, i nostri Padri 7 Ricordati, Signore, dei figli di Edom, hanno accumulato troppi peccati, NON C'E' SPERANZA, non c'è che nel giorno di Gerusalemme, dicevano: «Distruggete, distruggete via d'uscita. anche le sue fondamenta». In questa tematica espressa maggiormente in tutti i canti del 8 Figlia di Babilonia devastatrice, servo, ma in genere in tutto il deuteroisaia, compare beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. “eved”, il servo. Termine che compare 21 volte, 14 volte riferito a Giacobbe, 9 Beato chi afferrerà i tuoi piccoli Israele e quindi il popolo: questo ha dato agli esegeti israelitici la forza di portare avanti l'ipotesi che si parli di una personalità collettiva, non una, ma molte persone rappresentate in una. Tale interpretazione collettiva non è completamente estranea, ci sono delle basi ed inoltre hanno un culto della Parola molto elevato; ad esempio non si pongono il problema del proto, deutero, trito Isaia, è importante capire il testo: la Parola non va vivisezionata, ma celebrata, diceva un rabbino. Talvolta in effetti è una personalità collettiva, ma altre è Giacobbe, un padre di dodici figli da cui nacque tutta la progenie di Israele, da sola è una spiegazione insufficiente: l'altra interpretazione individuale vede in questo uomo un modello di pazienza, di fedeltà, di innocenza e quindi non assimilabile al popolo, il quale viene rimproverato a lungo anche negli stessi testi. “La pena che ci da salvezza si è abbattuta su di lui”, “dalle sue piaghe noi tutti siamo stati redenti”; si propende per una mista interpretazione, visto che per un profeta così profondo come Isaia non si può pensare solo ad una interpretazione messianica: è successo qualcosa, ma in vista di qualcuno – il Messia – che incarna in questi quattro canti. Nel racconto di Emmaus, quando i due pellegrini dicono “solo tu sei così straniero … non sai quello che riguarda Gesù di Nazareth ...”; nella nuova traduzione si legge “sciocchi, stolti e tardi di cuore nel credere a TUTTE LE PROFEZIE”, come a dire voi avete preso solo le profezie gloriose, vittoriose, trionfanti che riguardano il Signore, ma non vi ricordate il salmo 22, i canti del servo, ecc... TUTTE LE PROFEZIE! Anche la parte dolorosa. “non bisognava che il Cristo patisse per entrare nella sua gloria” ‐ citazione quasi diretta del 4° canto del servo!. Iniziamo ora a leggere un termine che è fondamentale: servo, diacono, eved in ebraico. Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011 Non è un termine da intendersi a polarità unica, è un termine relazionale sempre, servo sempre di qualcuno, non è una condizione "Shemà Israel Adonai Elohenu Adonai Ehad" intrinseca; il termine eved indica che c'è Il termine Adonay è un modo per non pronunciare il un adon, cioè un signore (adonai = mio Tetragramma e si usa solo se lo Shema è recitato come preghiera. Se lo shema è citato, si usa il termine Signore in ebraico); eved è colui che ha HaShem, (il nome). un Signore. Il termine Adon, anche nell'ebraico moderno, significa "signore" e quando ci si rivolge a qualcuno, gli si dice Il termine può essere negativissimo = "Adonì", in quanto la desinenza "i" (o "y") indica il schiavo; positivissimo = ministro, che possessivo "mio" , riferito a chi sta parlando. amministra. Tra fratelli dire che uno è eved dell'altro, vuol dire umiliare la relazione fraterna; Cam sarà servo di Sem e Jafet, Esaù servirà Giacobbe, anche se possono esserci rapporti fraterni con valenza positiva: di fatto è una formula di sottomissione, bisogna poi vedere a chi, ma la prima riflessione è che tutti sono eved, sempre e comunque. Questo dalla prospettiva relazionale. Dal punto di vista del contenuto logico, il verbo ‘avad’ Frutti “della terra e del lavoro dell’uomo” vuol dire fare, operare; presuppone una azione, non è il pane e il vino non sono solo natura ma possibile concepirlo come una realtà intrinseca. Non è anche cultura. Nel linguaggio biblico il possibile concepire che il servo sia semplicemente una verbo´avad significa “lavorare”, qualifica: è in atto, che lo si è. “coltivare”, e anche “servire” nel duplice significato di lavoro duro dello schiavo e Un termine pragmatico, non assimilabile ad un di servire Dio, nel senso del servizio concetto di identità: io non sono servo, ma io servo. liturgico. All’ebraico ´avad corrisponde il verbo latino colere che esprime Nota Bene: anch’esso un primo significato, quello di I semiti, compreso Gesù, hanno poco interesse per “coltivare” e dunque di lavoro di i sostantivi e molto per i verbi. In ebraico quasi coltivazione, di coltura, e un secondo significato, quello di culto, di atto nessun sostantivo è autoctono, è sempre una cultuale27. Da colere deriva anche espressione verbale. Non ci sono quasi verbi “cultura”, che e sempre al contempo denominativi, cioè che vengono da un nome, opera di civilizzazione e opera di umanizzazione. Tanto il lessico ebraico vengono sempre da una azione. Es. : il mandorlo si come quello latino esprimono dunque la chiama shaked, deriva dal verbo vegliare, perché è relazione che unisce la coltivazione della il primo che fiorisce in primavera, annunciandola; terra, il culto e la cultura, mostrando cosi ), il candelabro a per questo la menorah ( che nell’atto di obbedienza al comando ricevuto da Dio di coltivare la terra 7 bracci che deve stare davanti al Santo dei Santi, l’uomo fa del suo lavoro un atto al tempo è fatto a forma di mandorlo, con i boccioli del stesso cultuale e culturale, ossia di mandorlo. La più antica immagine di oggetti di glorificazione di Dio e di umanizzazione culto è sul bassorilievo presente sull’arco di Tito a dell’uomo. Goffredo Boselli, monaco di Bose Roma (vedi foto sotto). I nomi delle cose sono le azioni che compiono; le azioni sono molto importanti. Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011 Arco di Tito ‐ La menorah sottratta dal sacco di Gerusalemme I testi del Nuovo testamento sono in greco, e sicuramente il cristianesimo viene dall’incontro con la cultura ellenistica e dobbiamo sempre tenere in considerazione la LXX per l’analisi dell’A.T., perché quella fu la Bibbia dei primi cristiani per dare le chiavi veterotestamentarie al Nuovo Testamento. L’azione rimane comunque la più trasferibile dei codici di un testo: “io parlo con te”, io e te forse siamo irriproducibili, ma l’azione di parlare è riproducibile. La sintesi del termine servo è un rapporto che implica una azione! Se non c’è l’azione vuol dire che non c’è il rapporto, se non ci sarà il rapporto vuol dire che non ci sarà l’azione. Quando non vediamo una azione da servo, da diacono, da cristiano noi sappiamo che manca il rapporto, manca il padrone, manca l’origine della azione; il padrone è un altro o altri. Interessante è che si tratta di una formula di sottomissione: considerate che il popolo di Israele fu strappato alla schiavitù in vista di cosa ? quale è l’argomento di Mosè davanti al Faraone quando chiede di lasciar libero il popolo ? “Dice il Signore: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire”nel deserto! (Es. 8, 16). La parola culto, in italiano, deriva da coltivazione, lavoro; in ebraico il servizio, il culto, avodà עבודה, sostantivato al femminile; da avodà ad avodà, da servizio a servizio, da schiavitù al servizio: in ebraico il termine non cambia perché chi cambia è il padrone, quello che cambia è la relazione; la stessa cosa si può fare per il bene e per il male, si può tacere per il bene e per il male. Non è l’atto da solo che si definisce, ma per chi lo fai. Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011 Primo canto del servo. Is 42:1 Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. 2 Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, 3 non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta. Proclamerà il diritto con fermezza; 4 non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra; e le isole attendono il suo insegnamento. Pur essendo, il carme del Servo, nei primi quattro versetti, la tematica regge anche nei versetti successivi fino al 9, probabilmente un corollario. Nel deuteroisaia la definizione di servo è colui che ha una missione da compiere, un servizio da fare ben preciso e non un altro e importante: il servo non è una identità, ma un servizio. Dobbiamo innanzitutto dividere in due parti, andando ai verbi: una parte è quello che farà il servo, ma la base è quello che fa Dio, “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui;”. Sono quattro atti: lo sostengo … il mio eletto, il mio scelto, ho scelto Lui … e di Lui mi compiaccio … ho posto, ho dato il mio Spirito a Lui … poiché io ho fatto tutto questo, io sono il suo padrone; il servizio del servo non può essere compreso senza questa base! Se salta questo fondamento costruiamo la casa sulla sabbia; uno può mettersi a fare il suo servizio ovunque, ma ciò diventa evanescente, una vite ‘spanata’ che non gira ne avanti ne indietro senza questa base. Fondamentalmente si pone pochissima attenzione a questa parte di testo, del servo. Ad una lettura superficiale viene esaltata solo la mitezza del servo e questo non è completo, ne esatto. Il testo va letto in ebraico ed allora ti rendi conto che i verbi che riguardano le azioni sul servo sono gli stessi. Is 42:1 שׁפָּט לַגּ ֹוי ִם י ֹוצִיא׃ ְ ִירי ָרצְתָ ה נַ ְפשִׁי נָתַ תִּ י רוּחִי ָעלָיו ִמ ִ הֵן ַעבְדִּ י ֶאתְ מָ כְ־בּ ֹו ְבּח 2 שּׂא וְֹלא־י ַשְׁ מִי ַע בַּחוּץ ק ֹוֹלו׃ ָ ִ ֹלא י ִ ְצעַק וְֹלא י 3 שׁפָּט׃ ְ ִ ָקנֶה ָרצוּץ ֹלא יִשְׁבּ ֹור וּפִשְׁ תָּ ה ֵכהָה ֹלא י ְ ַכ ֶבּנָּה ֶל ֱא ֶמת י ֹוצִיא מ 4 ָאָרץ ִמשְׁ פָּט וּלְת ָֹורת ֹו ִאיּ ִים יְיַחֵילוּ׃ ף ֶ שׂים בּ ִ ָ ֹלא י ִ ְכהֶה וְֹלא י ָרוּץ עַד־י Si legge: “ecco_il_servo”, come se fosse tutto attaccato, una indicazione, “ecco” vuole prendere la nostra attenzione; non è una semplice presentazione, ma qualcosa che deve essere centrale per la nostra intelligenza, che deve vedere “servo mio”, non uno qualsiasi. Quella ‘i’ finale [=mio] ha una forza sonora molto grande (i testi sono suono, andrebbero sempre letti; venivano imparati a memoria). Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011 Perché si parla del ‘mio servo’? Il perché in quelle quattro azioni. “Ecco il mio servo che io sostengo”, non vuole sottolineare un servo che non si regge in piedi da solo; il termine qui ‘sostengo’ vuol significare “lo afferro, lo tengo forte, è mio!” “Ecco il mio servo, io lo tengo, non lo mollo; è uno che sente la mia presa, sente che è mio, il mio scelto” ‘il mio servo’, ‘il mio scelto’: termini paralleli con i quali la frase comincia, sono sinonimi. Il mio scelto, colui che ho eletto: la parola deriva dal greco ec caleo = chiamar fuori da altri! “Ecco il mio servo, lo tengo, è colui che ho estratto” Estratto di tra cosa? Noi non possiamo coltivare la base delle nostre azioni se non teniamo presente tutte queste annotazioni: 1. sono di Dio 2. che Lui mi ha afferrato strappandomi a qualcosa io devo essere afferrato, ad es. nella preghiera, lasciandomi strappare alla ordinari età: nessuno prega senza dire di no a qualcos’ altro; nessuno prega senza rinunciare ad altro; nessuno prega senza staccare i contatti con il mondo: “entra nella tua stanza e chiusa la porta …” ‐> devi essere eletto, ‘tirato fuori’. Se noi vogliamo continuare a stare nel mondo, non saremo “il mio eletto”: frutto dell’arte della mediazione. Una volta ero con un gruppo di ragazzi in un convento di monache di clausura, un ragazzo particolarmente agitato, turbolento, dava fastidio agli altri; nell’incontro con la madre Badessa che era al di là di un ‘limite’, di un grande tavolo, per separarci. Ad un certo punto la madre Badessa chiede se ci sono domande da parte dei ragazzi, ma dopo un po’ di silenzio decide di parlare proprio questo ragazzo, che in maniera provocatoria, scanzonata e strafottente chiede alla suora il perché ci fosse quella separazione. La Badessa dopo aver preso un attimo per rispondere, gli dice : “fra me e te passa un abisso, perché io sono di Dio, te non so di chi sei”. È importante porci la domanda “io di chi sono?”; se sono di Dio allora sarò eletto, tirato fuori, sottratto. [La prima delle tre spiritualità orientali: ascesi, bisogna uscire.] Dio sta, quindi, parlando al popolo e gli sta dicendo cosa significa essere miei. “Ecco il mio servo, che io afferro, il mio eletto di cui mi compiaccio”, cioè ‘prova piacere’ (è il verbo del piacere sessuale, del gusto) la mia anima. Questa è la frase che Dio dice al battesimo “questo è il mio figlio prediletto, in lui mi sono compiaciuto”. Allora ‘mi compiaccio’ vuol dire che il servo è entrato nel cuore di Dio, se io sono il suo servo, sono nel cuore di Dio, nell’anima di Dio, nel suo Spirito. Noi siamo fatti a sua immagine: capiamo come è Dio attraverso il volto di Cristo e il suo mistero meraviglioso ci è un po’ svelato. ‘Dio ha un’anima’: certamente è un linguaggio, un modo di dire umano, categorie usate per far capire a noi uomini, non dobbiamo correre il rischio di cristallizzarle, però dobbiamo guardare a Dio che ha una interiorità, una profondità (la profondità di Dio – dice san Paolo), una gioia che prova verso qualcuno: Dio è amore! L’eletto ha una identità a partire da quello che Dio prova per Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011 lui, io ho una identità in questo senso. Una volta in un ritiro, vivemmo questa esperienza: lasciar perdere totalmente quello che pensavamo noi e concentrarci su quello che Dio pensa di noi; che dice di me Dio, cosa pensa. C’è una linea meravigliosa che collega san Benedetto da Norcia e san Francesco d’Assisi. Quest’ultimo va a Norcia ad innestare un ramo di rose senza spine, per dire che era anche un frutto di san Benedetto: c’è un inseguirsi di due forme di preghiera, quasi identiche: la contemplazione. Sant’Agostino formula meglio: “Chi sono io per Te e chi sei Tu per me” e in questa preghiera tuffarsi, davanti al crocifisso. Non ti far dire dai tuoi peccati o dal contesto che forse amaramente, ti ha consegnato cosa sei, fattelo dire da Gesù Cristo! Io solo da Gesù so chi sono, Lui ha compiacimento in me, anche se non so perché. Io non posso capire perché Dio possa amarmi, io non mi trovo amabile. Chi sei tu, te lo dice Dio. Il servo potrà fare delle cose solo su questa base: è afferrato, è di Dio, è stato sottratto a qualcosa e che è guardato con amore, è piacere di Dio. Credo francamente di essere arrivato appena a scalfire la mia intuizione di quanto Dio mi ami e poche persone hanno davvero l’ego basato su ciò, che hanno la sorgente dell’essere non dalle proprie opere, ma dalle opere di Dio. “Riposare dalle proprie opere …” (Eb. 4), che non significa non far nulla, ma “chi sei tu?”. Noi non siamo la somma dei nostri peccati – diceva Giovanni Paolo II , a Toronto – e delle nostre debolezze, ma tutto ciò che l’amore di Dio ci porta più la nostra reale possibilità di dirgli di sì. Noi non siamo il nostro peccato, il nostro peccato è menzogna, deturpazione del nostro volto; io non sono i miei errori, io sono le cose belle che Dio fa in me, quella è la mia Verità. Io sono vero quando amo, quando odio sono ingannato. “Ho dato il mio Spirito a lui”, anzi “sopra di Lui”, un dono che viene dall’alto; lo Spirito non è possesso, è consegna. Davanti allo Spirito Santo noi siamo discepoli, Lui è il Maestro, è il Consolatore (=con_solo; è con noi, ognuno di noi è solo)e lo Spirito spezza la nostra solitudine; “Egli vi insegnerà ogni cosa”, a camminare, a pensare, a tutto perché lo Spirito Santo è sopra di me. “Ho dato il mio Spirito sopra di Lui” . Inizia a dire quello che farà. Per prima cosa l’annuncio di una cosa globale: “porterà il diritto alle Nazioni”. Il termine vuol dire che farà uscire (termine pasquale). Come se il diritto sia compresso e finalmente viene allo scoperto. La parola diritto, in ebraico, vuol dire ‘valutare rettamente’, ‘saper giudicare’. “Perché sapete giudicare l’aspetto del tempo e non sapete giudicare questi tempi”, Gesù ci invita al giudizio, non alla condanna, non al categorizzare le persone, ma la valutazione della volontà di Dio, sì. L’età del giudizio, della discrezione, separazione e messa in ordine delle cose. Il diritto quindi è il sapersi far mettere in ordine dalla Parola di Dio. Il diritto, i giudizi sono la legge di Dio, la sua Santa Volontà. “Porterà” ai goim, ai pagani, a quelli che per gli ebrei erano ‘i cani infedeli’, un insulto; porterà = libererà = farà discendere la capacità di farsi mettere in ordine da Dio. Farsi portare alla Sua Volontà, al Bene. Come lo farà ? “Non griderà né alzerà il tono, …” Sembra parlare di un tipo dimesso, che parla a voce bassa, poco motivato. Alla lettera invece significa “non strepiterà e non alzerà, cioè non esagerare, non ‘gridare aiuto ’, non lamentarti”: il Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011 servo è uno che non si lamenta, non drammatizza, non si ‘lecca le ferite’. Non è un vittimista, non si piange addosso, non ‘brontola’ in continuazione. L’uomo trova sempre facilmente un motivo per lamentarsi di qualcuno o di qualcosa. “ … non farà udire in piazza la sua voce”, e non farà sentire al di fuori la sua voce. Questo servo ha i suoi problemi, le sue difficoltà, ma non strepita, non drammatizza, non aumenta, non ingrandisce e tiene dentro di sé il problema. Quante volte ho peccato di parola, la lingua il timone del corpo, questo mondo di iniquità, dice la lettera di Giacomo: nessuno può essere un buon servo di Dio se non sa evitare di mettere al di fuori parole che vanno tenute dentro; se non sa contenere il silenzio, lo spazio di una parola saggia, “nelle molte parole non può mancare l’errore – dice il Siracide”. Questo servo per estendere, portare il diritto ai pagani deve saper tacere; per saper parlare devi saper tacere! Non straparlare, non drammatizzare, non lamentarti. “Dio ci ha dato due cerniere da aprire, le labbra e i denti; allora prima di aprire pensaci. Perché Dio ti ha dato i denti ? per mordere la lingua, perché non parli” (San Giovanni Crisostomo) I diaconi sono ministri della Parola, ma di quale? Servi di quale parola ? “di ogni parola infondata sarà chiesto conto a questa generazione – dice il Signore ‐ ”. Chi deve annunziare la Parola deve avere quella Parola e non un’altra. Dice santa Teresa d’Avila : “una goccia di inchiostro sporca una tazza intera di latte”; se metti nel frigorifero del cibo rancido insieme a quello fresco, tutto prenderà cattivo odore; c’è una legge della misura, dello stare zitti. Questo servo è uno che non strepita, sa economizzare le parole. “non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta.” Non spezzerà un bastone fessurato, un bastone di appoggio fessurato, un appoggio incerto. Non terminerà una piccola fiamma debole. Il servo non è lì a proteggere qualcuno, ma non se ne occuperà. Sono di fronte ad una persona che ha ‘appoggi incerti’ e ‘luci confuse’; cerco di riparare il bastone o lo spezzo perché se ne compri un altro? Spengo la candela perché ne prenda un’altra? Devo fare altro: “farà uscire il diritto” e con lo stesso termine “porterà il diritto alle nazioni”. Non spezzerà una canna, ma nella fede proclamerà il diritto, estenderà il diritto, renderà possibile il diritto e per mezzo di cosa? A fronte della debolezza, non si occuperà della debolezza in sé, ma farà presente la fede. Le risposte destabilizzanti rassicurano, le risposte rassicuranti destabilizzano! Se una persona mi dice di aver saputo che ha un tumore e cerco di rassicurarla (è una canna fessurata) parlandogli di possibili miracoli, stiamo affermando che il tumore è un problema; per chi ha fede però il tumore è un problema ? Meglio cominciando col dirgli “credi che sei il primo ad incontrare Dio in un tumore?” “credi che Dio non sarà vicinissimo a te, nella prova ?” Umanamente c’è la speranza di salvarsi dal tumore, ma Gesù che ha fatto tanti miracoli non ha salvato il mondo con un miracolo. Il tumore si può anche vincerlo, ma la morte è certezza nella nostra vita. Importante sarà che io proclami la fede, non commercio sulla Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011 tenuta della ‘canna fessurata’, ma proclamerò il ‘diritto con fermezza’. Sottolineo che Dio non è lontano da nulla. La malattia, la ‘fessurazione della canna’ fa parte della avventura della vita di ognuno, dell’opera d’arte che siamo chiamati a compiere; Dio ti chiama a compiere questa missione ed abbiamo un sacramento per consacrare la malattia, l’unzione degli infermi. Un sacramento che ti unge, alter Christus: Cristo ha salvato il mondo essenzialmente con una malattia, con un dolore. Importante è proclamare la fede! Senza aggressività, senza pretesa; una offerta, non si impone. Il servo estende il sostegno che ha, quell’essere afferrato da Dio. La fede è appoggio da Dio, perché Dio ti tiene. “non verrà meno e non si abbatterà” il testo in effetti ripete i due verbi di prima, cioè non sarà fessurato e non sarà fumigante, in spegnimento, non sarà debole, non vacillerà. Non oppone sull’altro una pretesa, incarna quello di cui l’altro ha bisogno. Questo servo di fronte ad una canna fessurata, propone la fede e lui non si incrina, evitando di cadere a sua volta nella debolezza altrui. Una sapienza strategica di come si porta la luce ad una persona, ad un popolo. Il semplice atteggiamento sereno – diceva padre Mariano, da Torino – semplicemente presentandomi col mio saio e la mia tranquillità azzero molti argomenti. Professare con semplicità la fede salva la canna fessurata, riaccende lo stoppino perché, come il male, la fede è contagiosa, si estende. La gente guarderà se siete bravi, ma se avete fede! Non vi fessurate. Se vi aggrappate al sostegno di Dio, se non vi lamentate, se non strepitate, se non straparlate, se siete persone che hanno a cuore il diritto “le isole attendono il suo insegnamento”, le isole sono quelli lontani, e non sappiamo dove sono quelli per cui Dio ci ha chiamati, non sappiamo in quale isola sono, sono isolati (isola è l’immagine della solitudine, non confina con nessuno e il mare l’immagine di qualcosa da superare, instabile), c’è un mare tra noi e loro. Quando io professo la fede so che le isole sono in attesa di qualcuno che le visiti per togliergli l’isolamento. Ritiro di Sacrofano – 18 settembre 2011