Edgar Wallace
Furia A Chicago
On the Spot © 1931
Il Giallo Economico Classico - N° 148 - 22 febbraio 1997
Personaggi principali
Antonio Perelli
Minn Lee
Kelly
Jimmie McGrath, Con O'Hara
Angelo Verona
Mike Feeney
Shaun O'Donnell
gangster italiano
compagna di Perelli
ispettore capo di polizia
killer di Perelli
braccio destro di Perelli
rivale di Perelli
braccio destro di Feeney
Chicago, 1929
1.
Tony Perelli non era un vigliacco, né secondo il suo codice, né secondo i
canoni della società. Era capace di lamentarsi per delle sciocchezze con la
polizia, ma mai con la gente del suo stampo. Poteva tradire un amico, ma
solo se non si era comportato secondo le regole; in questo caso denunciava
i suoi crimini alla giustizia.
Red Gallway aveva commesso azioni gravissime; era stato scassinatore,
uomo di fiducia, imprenditore e direttore di locali non certo
raccomandabili. Dopo un faticoso succedersi di tali professioni era arrivato
a gestire questo commercio che lo aveva arricchito al di là di ogni sua più
rosea aspettativa, gli aveva offerto un'esistenza confortevole, la sicurezza
di tenersi lontano dalla prigione e la compagnia di gente abile con la
pistola. Il successo lo aveva cambiato; era diventato più chiacchierone,
irascibile e aveva anche iniziato a fare uso di stupefacenti.
Angelo Verona, il mellifluo capo dello staff, si lamentava con lui.
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- Senti Red, io ci darei un taglio con quella roba. Tony non vuole
saperne di coca.
La brutta faccia di Red venne stravolta da una smorfia.
- Ah, è così?
Angelo annuì, con i suoi gravi occhi grigi posati su quell'uomo debole.
- La cocaina non ha mai fatto bene a nessuno - disse. - Ti fa sentire più
grande di un grattacielo per un attimo, ma, quando l'effetto è passato, ti
senti come un buco nel terreno. E se qualche piedipiatti ti becca e ti porta
al Quartier Generale per interrogarti, puoi star certo che canterai.
- Ah, è così? - ripeté Red offeso.
- Sì, è così - annuì Angelo.
Red aveva un amico, un certo Mose Leeson, che veniva da Gary. I due
condividevano lo stesso interesse per le bassezze e si sentivano più a loro
agio nello squallore delle aree povere che nello splendore dei ristoranti in
riva al lago.
Leeson aveva il merito di aver fatto una scoperta molto importante per
Tony Perelli.
Mose era povero ed era anche un parassita. Per lui, Red era il migliore
della banda del Colpo Grosso, un uomo che possedeva un'automobile e
una camicia di seta. Riveriva il suo fortunato amico con il rispetto di un
suddito verso il suo re. Mentre bevevano un drink, Mose, che era
fisicamente e spiritualmente rozzo, offrì a Red delle informazioni e una
proposta.
Red scosse la testa.
- Le ragazze cinesi non mi dicono niente, Mose - disse. - Ascolta! C'è
una ragazza giù in città che è pazza di me: è la figlia di Joe Enrico, ma io
non l'ho guardata che di sfuggita. Sono fatto così, Mose.
- Sicuro - rispose Mose.
Aveva guardato Minn Lee anche più di due volte. Gli capitava
d'incontrarla per le scale del palazzo dove abitava. Era una graziosissima
ragazza cinese. Piccola di statura, snella e con della manine che lo
affascinavano. Era fantastica, con quegli occhi color nocciola e quella
bocca che sembrava un bocciolo di rosa. Solo a vederla, si aveva la
sensazione che la sua pelle fosse di seta. E i capelli... non erano di quel
nero opaco tipico degli orientali, ma erano di un corvino lucente.
Le rivolgeva sempre un sorriso contorto. Una volta aveva cercato di
parlarle e non aveva trovato difficoltà perché lei era una ragazza molto
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semplice e disponibile a chiacchierare. Si chiamava Minn Lee. Suo marito
era un artista, ed era molto malato. Lei creava modelli per dei cataloghi di
moda.
Mose era rimasto colpito dalla serena franchezza di lei e non era riuscito
a portare il discorso su un piano più personale. Più tardi, quando le
propose di cenare con lui in città, lei rimase più meravigliata che offesa.
- Ma mio marito è malato - disse. - Non posso certo lasciarlo solo.
- Allora senti, baby, farò in modo di trovare una donna che lo curi...
Lei scosse la testa e quando lui cercò di afferrarle la mano, era già
sparita.
Da quel giorno cercò di evitarlo. Mose sospettava che lei aspettasse di
vederlo uscire prima di andare al mercato. Per esserne certo, una mattina
uscì di casa molto presto e la aspettò alla fine del quartiere. Quando la
vide, le si presentò davanti.
- Hey, viso d'angelo! Cosa hai in mente, di evitarmi?
Lei era troppo sincera per negarlo, e così cercò di allontanarsi. Lui
l'afferrò.
- Aspetta un minuto!
Stava per aggiungere qualcosa, ma si sentì battere una mano sulla spalla;
si voltò e vide i severi occhi azzurri di un uomo che aveva tutti i motivi di
odiare. Il sergente Harrigan della Centrale era un tipo di poche parole, ma
andava dritto al punto.
- Hey, tu! Lascia in pace quella ragazza e parlami un po' della tua vita,
vuoi? Più precisamente, delle ore che vanno dalle cinque di questa notte al
momento in cui sei andato a letto.
Minn Lee scivolò via come una colomba spaventata e si perse tra la
folla.
- Signor Harrigan, non so proprio cosa intendete dire - disse Mose con
voce lamentosa e monotona.
- Un uomo è stato assalito vicino a Grand Park, derubato di trecento
dollari e lasciato sul ciglio della strada, ferito.
- Ma, signor Harrigan, io sono andato a letto alle dieci...
- Sei un bugiardo. Sei stato visto vicino all'ippodromo a mezzanotte e,
alle nove in punto, qualcuno ti ha notato vicino a Grand Park.
Seguirono una perquisizione della squallida stanza nella quale abitava
Mose e un controllo sulla sua stessa persona. Passò la giornata tra il
Quartier Generale della polizia e la clinica dove era stato ricoverato l'uomo
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assalito e derubato. Non ci fu un'identificazione e così Mose se ne tornò
libero quella notte stessa, sollevato ma molto arrabbiato.
Minn Lee aveva saputo della faccenda ed era rimasta impressionata.
L'artista moribondo, che giaceva nel letto pulitissimo, le fece un cenno e
domandò con voce lamentosa a cosa diavolo stesse pensando e perché mai
gli stesse preparando la carne, visto che era venerdì. Quando era in salute,
non era mai stato religioso. Ma, dopo che si era ammalato, aveva dato
ordine di distruggere certi suoi disegni, in particolar modo quegli schizzi
che rappresentavano le caricature delle idee che gli abitanti di Cicago
avevano del Paradiso, alcuni nudi e certe oscenità che teneva appese alle
pareti.
Minn Lee era rimasta indifferente; quei disegni non significavano niente
per lei. Lei si rendeva conto della realtà, senza volerla peggiorare o
migliorare: John Waite era un cattivo pittore; lei non aveva mai pensato
che nella sua arte ci fossero i semi dell'immortalità.
Era il suo uomo, questo era tutto. La vita e il destino li avevano uniti.
C'erano motivi che bastavano a spiegare un'infatuazione, che poteva essere
scambiata per amore, ma non c'era nessuna ragione di venerarlo. Lei non
lo amava, pur rispettandolo. Ora lui stava morendo; quel dottore tedesco
gli aveva dato tre mesi, forse quattro. In quei giorni, veniva un prete, un
uomo gentile che, per nulla turbato da Minn Lee, le parlava con umanità.
Veniva un paio di volte alla settimana. All'ultimo piano, c'era un altro
malato, un uomo molto vecchio che un tempo era stato musicista, un certo
Peter Melachini. Non era povero, ma si era ostinato a voler morire in
quella catapecchia che era stata la sua casa. La sciatta moglie dell'idraulico
del primo piano aveva detto a Minn Lee che il vecchio Peter era protetto
da Colpo Grosso.
Gli uomini di Colpo Grosso venivano occasionalmente a fargli visita.
Apparivano all'improvviso nella strada, ben vestiti e con i visi scuri. La
gente li spiava dalle finestre e faceva commenti eccitati.
- Quelli sono uomini abili con la pistola! Sicuro! Pensa, ma che brutta
vita, sempre a sparare alla gente! Quelle sono persone che guadagnano più
di cento dollari alla settimana, sissignore!
Un giorno arrivò nella via una macchina scura dalla quale scesero tre
uomini. Uno si diresse subito alla casa, poi il capo di Colpo Grosso in
persona lo seguì, scortato da una guardia. Andò direttamente davanti alla
porta di Melachini, con un cesto di frutta che la guardia aveva portato per
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le scale.
- Salve, Peter, come andiamo?
Erano stati nella stessa banda a Cosmolino e a Tony Perelli piaceva quel
vecchio; erano nati tutti e due in Sicilia, in un piccolo paese vicino a
Palermo.
Minn Lee incontrò Tony Perelli sulle scale. Non era alto, ma era molto
distinto. Il suo viso era molto sensuale e nei suoi occhi scuri brillava una
luce maliziosa. Aveva un bell'aspetto ed era molto ben vestito. Alla vita
aveva una cintura con la fibbia di diamanti. Sorrise alla ragazza e lei lo
ricambiò. Voltandosi indietro, Minn Lee si accorse che lui si era girato, per
continuare a guardarla.
Lo rincontrò, sempre sulle scale, e si fermarono a parlare. Lui era molto
gentile e cortese, vedeva la vita in modo divertente e la fece ridere. Non le
fece sgradevoli complimenti e non cercò di prenderle la mano.
Il giorno seguente, arrivarono dei fiori e della frutta nella casa dell'artista
malato. Sul biglietto c'era scritto, con una calligrafia pomposa: da Tony
Perelli.
Minn Lee non ne rimase molto colpita: la gente fa spesso cose strane. In
un certo senso, il racket dei liquori era meglio dell'arte di John Waite, ma
lei non faceva mai nessun confronto. Rivide per la terza volta Tony Perelli
quando lui andò a trovarla. Waite stava dormendo e lei, un po' a disagio,
fece entrare il visitatore nella minuscola sala.
- Sta dormendo? Bene. Ho visto il dottore. Dice che il vostro uomo
avrebbe bisogno di andare sulla costa. Dovrebbe andarci anche quel
vecchio ostinato di Peter, ma cadesse il cielo se lo farà. Ascoltate, signora
Waite, se è una questione di soldi...
Lei scosse la testa.
- No, signor Perelli... lui non può accettare dei soldi, perché sa che non
potrebbe restituirli con onore.
Usava molto spesso la parola onore.
John Waite morì la settimana seguente, molto quietamente, senza
drammi. Minn Lee lo seppellì, spiegò agli ufficiali che lei non si chiamava
Waite, pagò i debiti più immediati e, dopo aver scritto alla madre di John,
cominciò a cercarsi un lavoro. Non sarebbe stato difficile trovarlo per una
ragazza che aveva la laurea dell'università della Columbia e che aveva
guadagnato anche ventisette dollari e cinquanta centesimi in una settimana
per disegnare degli esclusivi abiti da donna per delle riviste di moda, ma
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Minn Lee scelse una via ancora più semplice. C'era un ristorante cinese
che aveva bisogno di ragazze. Scrisse una lettera di presentazione a Chefoo Song, il proprietario, ma, prima di ricevere una risposta, Mose Leeson
le fece una proposta.
Il vecchio italiano era morto ed era stato portato via dopo il funerale.
Quella notte, Tony Perelli tornò in quella casa per raccogliere le proprietà
del morto, soprattutto i gioielli di famiglia, che dovevano essere rimandati
in Sicilia, ai nipoti del vecchio Peter.
Nessuno vide entrare Perelli, che era venuto a piedi con le sue guardie
del corpo. Entrò veloce in casa e, passandole davanti, gettò un'occhiata alla
porta di Minn Lee.
Mose Leeson era volgare per natura. L'esperienza gli aveva insegnato
che le donne andavano trattate con durezza.
- Devi fare quello che ti dico, dolcezza. Ci tratteremo bene! Te lo dico
io! Sono pazzo di te...
Lei si oppose; dovette difendersi. Scendendo dalle scale, Perelli sentì un
grido e si avvicinò alla porta; l'aprì ed entrò.
- Che cosa vuoi fare?
Mose sbiancò in volto. La sua brutta faccia si contorse quando vide
Tony Perelli.
- Vattene! - La voce di Perelli era metallica, senza trasporto.
- Me ne vado, sì, ma non perché me lo dice un maledetto siciliano!
Cercò di colpire Perelli con un pugno ma lo mancò.
Tony afferrò la pistola che portava alla vita, ma non ci fu bisogno di
usarla. Mose aveva tirato fuori la sua, l'aveva impugnata per un attimo e
poi si era accasciato sul pavimento.
Minn Lee guardò con gravità i due killer.
- Prendi il tuo cappotto e vieni via.
Gli ordini di Perelli non potevano essere scambiati per domande. Lei
ubbidì e lo seguì in strada, fino alla macchina che li stava aspettando. La
guardia del corpo che era rimasta nella stanza sapeva cosa fare di Mose.
Non ci sarebbero stati problemi; la situazione non era affatto insolita e si
sarebbe conclusa normalmente. Un uomo ritrovò il cadavere in un prato,
sepolto dalla neve; i giornali riportarono la notizia di "un'altra sparatoria
tra bande rivali" e tutto si concluse lì.
Nel frattempo, Minn Lee si era sistemata in casa di Tony Perelli e si era
abituata a essere chiamata signora Perelli.
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2.
Dall'ampia terrazza con l'elegante balaustra veneziana, Tony Perelli
guardava dall'alto la città che voleva governare. Amava Chicago, ogni sua
singola pietra.
Chicago era la sua casa e il suo regno. Le interminabili file di macchine
che passavano sulle larghe strade sotto il suo balcone trasportavano gli
uomini che stavano alla base del suo lavoro... i suoi soggetti e i suoi
collaboratori. Sotto ognuno di quei graziosi tetti c'erano un uomo o una
donna che tenevano "il meglio" in cantina e che offrivano agli ospiti quelle
belle bottiglie con il collo dorato, lodate dai degustatori.
Perelli rientrò nel grande salone che fungeva da sala da pranzo, da
salotto e da locale per ricevere gli ospiti. Un intenditore avrebbe
paragonato questo salone alla hall di un teatro. Si diceva che era volgare e
appariscente; in realtà, era la copia esatta della stanza più bella del Palazzo
del Doge.
Kiki, il cameriere giapponese, gli aveva portato il caffè. Minn Lee,
ubbidendo a una regola che Perelli aveva stabilito e che, con il passare del
tempo, divenne meno rigida, si presentava solo nel pomeriggio. Angelo
aveva affittato un appartamento in una zona molto elegante, e sarebbe
arrivato più tardi.
Guardò l'ora: le otto in punto. Non era troppo presto per una visita.
Aveva sentito suonare il campanello e sapeva già chi era.
Red Gallway non si era mai sentito a suo agio in quella casa; meno che
mai quella mattina, visto che aveva un peso sul cuore e faceva fatica a
contenere la rabbia che lo rodeva.
- Siediti, Red. Dimmi, cosa è successo a West Side? Red deglutì.
- È quello che succede a Chicago che mi colpisce - disse con furia. Devo sapere qualcosa, Perelli, e se non la saprò, dovrò fare qualcosa... hai
capito?
Perelli lo guardò con curiosità. Avrebbe potuto osservare uno strano
animale con lo stesso sguardo.
- Fare qualcosa? Divertente! Mi fai ridere. Fare qualcosa? Bene, falla!
Red si agitò nervosamente sulla sedia.
- Quell'uomo, Mose Leeson. Lui e io eravamo amici, Perelli. Qualcuno
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l'ha ucciso e io vorrei sapere chi.
Antonio Perelli sorrise.
- Sono stato io - disse, semplicemente. Seguì un imbarazzato silenzio.
- Ebbene?
Il viso di Red era stravolto da una smorfia.
- Io e Mose eravamo come fratelli...
- Allora dovresti portare il lutto, perché tuo fratello è morto - disse
Perelli con noncuranza.
- Perché?
Red riuscì a porre questa domanda con fatica, ma non ottenne risposta.
- Allora, perché? Mose era un brav'uomo. Mi era molto utile.
Red si inumidì le labbra secche. Dentro di sé tremava e, nello stesso
tempo, si sentiva traboccare di rabbia.
- Non mi hai reso un bel servizio, Perelli! Tony annuì.
- Sì, me ne rendo conto. È comprensibile. Sei stato all'ospedale? No? C'è
un tuo amico, un certo Antropolos, detto il Greco, che sta molto male.
Qualcuno lo ha aggredito la scorsa notte. Potresti chiedermi perché? Vedo
però che non lo fai. È stato aggredito perché vendeva cocaina a uno dei
miei uomini. La trovi una buona notizia? Oppure è cattiva?
L'altro non rispose.
- I miei uomini non devono bere, non devono fare uso di cocaina o altre
cose che spappolino il loro cervello. Tese verso l'alto il braccio, con un
gesto teatrale.
- Penso di poter badare a me stesso... - cominciò Red.
- Certamente! E se non lo fai, a chi importa? Ma tu non sei pagato per
badare a te stesso. Tu sei pagato per badare a me e ai miei uomini. Se
stringi amicizia con loro è male, se ti distrai nel tuo lavoro, è anche peggio,
ma ancora peggio è se rovini le loro teste rischiando che vendano i segreti
per un'altra dose. Questo è tutto.
- Ascolta...
- Questo è tutto. O la smetti con la roba o te ne vai. Red si alzò.
- Va bene - disse - me ne vado.
Fece una rapida smorfia che voleva assomigliare a un sorriso.
- Va bene, vattene.
Anche se non era particolarmente acuto, Red avvertì il tono di minaccia
e cercò di essere più conciliante.
- Senti, Tony, a me non piace essere preso in giro... vedi, non sono un
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lattante, non dimenticarlo. Se due non vanno d'accordo insieme, è meglio
che si separino. Ecco tutto.
Tony annuì.
- Ecco tutto - ripeté.
Così Red se ne andò, con la testa piena di progetti e di pensieri, perché
ora era a conoscenza di alcuni segreti del racket dei liquori che non
avrebbe mai saputo se non fosse stato per Tony Perelli. Chiamò un uomo
della banda con il quale c'era un'intesa, e gli raccontò le sue
preoccupazioni mentre cenavano da Bellini.
Victor Vinsetti era un giovanotto molto ben vestito, con degli occhi che
non stavano mai fermi; sembrava che si aspettasse sempre di trovarsi
qualcuno alle spalle. Parlava molto poco ma era un ottimo ascoltatore e,
anche quella sera, ascoltò.
Red gli raccontò della disputa con Perelli e di Mose, della sua idea di
iniziare un racket autonomo, prelevando i liquori alla frontiera e, con
l'aiuto di pochi ragazzi in gamba, trovare poi un buon mercato tra i bar
clandestini. Il guadagno sarebbe stato sicuro e rapido. Vinsetti lo ascoltò
molto attentamente perché anche lui aveva le stesse idee. Anzi, si era già
preparato un piano.
- Capisci, Vic?
- Sicuro, ma non è così facile, Red... e, in ogni caso, rischi grosso a
parlare così.
- Mose sapeva usare bene la pistola...
- Mose era una nullità - lo interruppe Vinsetti con calma. - Ora è morto,
e gli Stati Uniti non ne risentiranno di certo, e nemmeno il Governo. Era
solo un voto. Alle prossime elezioni, vota per due e Mose sarà ancora vivo.
No, mi chiedo cosa ne pensi Perelli.
Ponderò la cosa, mentre Red lo guardava con curiosità. Vinsetti era un
pezzo grosso e si diceva che fosse molto ricco (le dicerie non sbagliano
mai). Vinsetti era un indipendente; contraddiceva la tradizione secondo la
quale, una volta entrato nel giro, non puoi più uscirne. Aveva una cabina
prenotata sulla Empress of Australia; le sue merci erano vendute ovunque.
Era in trattativa per comprare una casa sul mare a San Remo. La
franchezza di Red era allarmante: da Bellini, ogni cameriere era una spia.
Quella notte, vide Perelli.
- Red è fuori di sé - disse - e sta dicendo un sacco di cose. Mi ha
inchiodato da Bellini con un sacco di lamentele.
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- Io non voglio guai - rispose Perelli. Questa era una frase che usava
molto, come slogan e come alibi.
Ma Red, molto eccitato e con un sacco di brillanti idee in testa, aveva
voglia di guai. Usando un intermediario, contattò Mike Feeney, Barone
della zona Sud. Riuscì a parlare solo con Shaun O'Donnell, il capo del
personale di Mike, del quale era anche cognato.
Shaun era il vero leader, il cervello dell'organizzazione (Perelli
sosteneva che questa era la frase peggiore che si potesse pronunciare in
presenza della banda di Mike). Shaun era un uomo piccolo, magro,
irascibile, troppo permissivo con qualcuno e troppo duro con altri. Ascoltò
la proposta di Red con aria di disapprovazione e non lo incoraggiò.
- Red, tu non puoi pretendere di danneggiarci - disse con rude
franchezza. - Sei una testa calda e ti droghi. Te lo dico chiaramente: non
c'è posto qui per gente come te. Perelli è quello che è, ma non voglio
mettermi contro di lui. Ma se riuscirai a entrare nel suo territorio, ti darò la
roba migliore.
Il giorno dopo non successe niente. In un pomeriggio d'inverno, Red
andò al Quartier Generale della polizia e chiese di parlare con il capo,
Kelly. Voleva lamentarsi per il comportamento di un poliziotto. Lo fece ad
alta voce, perché il Quartier Generale della polizia era nella zona di Perelli
ed era circondato da occhi vigili e da orecchie attente.
Era convinto di aver parlato intelligentemente, senza fare nomi. L'unica
cosa di cui era certo, era che la sua vita era in pericolo e, dopo che ebbe
parlato per un po', se ne convinse anche il signor Kelly.
Red non era particolarmente intelligente né furbo. In effetti, comunque,
non fece nomi; non disse a Kelly nulla che non sapesse già. Kelly sapeva
bene, per esperienza personale, che, se riusciva a procurarsi un testimone e
a portarlo in tribunale, avrebbe ritrattato tutto; se fosse riuscito a fargli
firmare una deposizione, avrebbe giurato con fervore che gli era stata
estorta con un trucco, con le minacce, con la violenza fisica o mentre si
trovava in stato in incoscienza.
Sapeva anche come era stato ucciso Mose e perché.
Red avrebbe continuato a parlare per tutta la notte, ma Kelly era molto
occupato e inoltre odiava quel tipo di conversazioni a senso unico, che non
gli dicevano nulla di nuovo.
- Vuoi che ti metta dentro? - chiese. Red si indignò.
- Cosa, mettermi dentro? Penso di sapermi difendere per conto mio. No,
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capo! Domani mattina me ne andrò da Chicago; ho degli amici sulla costa
est, che mi presteranno tutti i soldi che voglio.
Quando scese in strada, aveva alle calcagna tre ombre, due delle quali
erano poliziotti.
- Non perdetelo di vista - erano state le istruzioni di Kelly. Dopo solo un
isolato, due uomini affiancarono Red.
- Hey, cosa diavolo... - incominciò Red, quando sentì che gli afferravano
le braccia.
- Grida e sei morto - disse uno di loro, con voce persuasiva. Puntò una
pistola alla vita del prigioniero.
- Andiamo!
I detective che seguivano Red erano nuovi del mestiere. Videro solo che
il loro uomo era stato raggiunto da due tizi e che poi tutti e tre erano saliti
su una macchina che li stava aspettando, Red davanti, vicino all'autista,
come se fossero saliti su un normale taxi. Prima che potessero fare
qualcosa, la macchina era partita e sparita.
Red non capì subito cosa stava succedendo. Si può far passare la sbornia
a un ubriaco, ma non a un uomo come Red. L'unica cosa di cui era sicuro
era che l'uomo seduto dietro di lui gli puntava qualcosa di freddo e duro
sul collo mentre chiacchierava con l'autista. Stavano parlando di sport e
discutevano animatamente se i Southern California avrebbero sconfitto i
Notre Dame o viceversa.
- Io sono per i Notre Dame - dichiarò Red.
- Tu chiudi la boccaccia - disse l'autista - e taci. Mi chiedo se non ti fa
male la gola, dopo la cantata che hai fatto!
- Io? - protestò Red, indignato.
La canna della pistola aderì di più alla sua nuca.
- Stai zitto.
Si lasciarono la città alle spalle; s'inoltrarono nella campagna, dove ogni
tanto s'intravedeva un casolare isolato. Alla fine arrivarono davanti a una
piccola piantagione che si trovava sul ciglio della strada. L'autista fermò la
macchina.
- Scendi - disse, e Red ubbidì.
L'effetto della droga era svanito e Red tremava dalla testa ai piedi.
- Hey, dico, cosa avete in mente? - gridò. - Io non ho detto niente.
Portatemi subito da Tony...
I due lo trascinarono sul terreno accidentato, dopo la prima fila di alberi.
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- Non avrete intenzione di farmi fuori? - piagnucolò. - Ascoltate... io non
ho fatto niente.
L'uomo che stava dietro di lui caricò la pistola e sparò. Red si accasciò
sulle ginocchia. Non sentì neppure il secondo sparo. Il suo assassino si
rimise la pistola in tasca e si accese una sigaretta: la fiamma dell'accendino
non tremò.
- Andiamo - disse.
Prese il posto che prima aveva occupato Red e, sulla strada del ritorno in
città, i due ripresero il discorso sui Southern California e sui Notre Dame.
3.
Vinsetti non era un gangster comune e non aveva una posizione fissa.
Per due anni era stato ambasciatore, plenipotenziario viaggiatore da costa a
costa, soprattutto nella zona dei laghi canadesi. Altre volte era stato un
negoziatore ad alti livelli e aveva deciso di molte sorti infelici.
Era un giovanotto attraente, con la giustificata fama di essere molto
galante e invincibile.
Ma aveva commesso l'errore di fidanzarsi con una ragazza canadese che
non aveva accettato di buon grado di essere stata scaricata. Un giorno,
mentre si trovava a Toronto per accordarsi su una consegna di whisky,
l'emissario di un avvocato gli aveva consegnato una lettera. Era citato in
tribunale per rottura di promessa e altro. Vinsetti non capiva lo spirito
delle leggi. Era una faccenda che andava sistemata e, dopo essersi
guardato intorno, Vinsetti aveva trovato un avvocato disposto a difenderlo;
aveva fatto un tentativo di far rientrare la faccenda ma, avendo fallito, si
era disinteressato della cosa. Il risultato fu che Vinsetti incorse in guai
maggiori e che, durante una seconda visita a Toronto, fu arrestato.
Obbligato, pagò, ma non fu questo l'aspetto peggiore della faccenda: non
poté più essere un agente e subì un notevole calo di introiti.
- Io non voglio guai - disse Perelli discutendo la questione. - Tu sei nei
guai con la polizia canadese e io non voglio che lavori per me gente che
potrebbe essere pizzicata da un momento all'altro.
- Non capisco in cosa potrei danneggiarti - rispose Vinsetti, sentendosi
furioso. Tony si accarezzò i baffi e fissò i disegni del tappeto di seta.
- Forse in nulla - disse. - Forse la ragazza non andrà davanti al giudice a
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gridare che tu sei in un racket di whisky che vale milioni di dollari. Forse
non dirà neppure che lavori con Antonio Perelli. No - scosse la testa. - No,
mio caro Victor. Dobbiamo chiudere. Ci sono molte cose che puoi fare, c'è
molto da guadagnare. Io non sono dispiaciuto; certo, è una grave perdita,
ma non sono dispiaciuto.
Batté una mano sulla spalla di Vinsetti.
Quella sera si confidò con Minn Lee. Erano soli, seduti sul divano della
sala. Le porte dorate erano aperte e, sotto la luce ambrata delle lampade,
c'era una delicata fragranza.
- A Vinsetti piace troppo corteggiare le donne, fare l'amore e altre
sciocchezze simili.
- Sono sciocchezze? - chiese lei e lui sorrise.
- Non con te, bocciolo di pesca. Ma non tutte, sai, sono come te.
Le lasciò la mano e andò al grande organo che era sistemato in un
angolo del salone; suonò ininterrottamente per un'ora, mentre lei lo
ascoltava, incantata. Tony era un musicista fantastico, era piuttosto abile
con il violino, ma la sua vera passione era l'organo. Avrebbe potuto
trascorrere ore intere a inventare o a ricordare brani di opere italiane.
L'opera era per Tony Perelli l'inizio e la fine dell'arte. Odiava il jazz, anche
se era un ballerino straordinario.
Minn Lee rimase seduta sul divano per un'ora, con le gambe incrociate
come un piccolo Buddha, le braccia conserte e il capo chino. Poi Tony si
sedette di nuovo vicino a lei e riprese a parlare di Vinsetti.
- Quel ragazzo è troppo intelligente; tuttavia, è stato molto utile. Certo,
ora sta passando un brutto momento, ma può capitare a tutti. Deve essere
spietato. Vive troppo elegantemente e questo l'ha rovinato. Ma non beve e
non parla e frequenta solo gente elegante.
L'errore di Vinsetti fu superato qualche giorno dopo, quando negoziò
con il capo della polizia Kelly la liberazione di un uomo che era stato
arrestato ingiustamente, come spesso accade. Costui era molto importante
per Tony e la sua liberazione giovò molto a Vinsetti.
- Non avrei dovuto rilasciarlo - disse Kelly, discutendo la questione con
Harrigan.
- C'è molto da guadagnare in questo affare, capo - rispose Harrigan. - Io
penso che Perelli l'abbia fatto perché teme di vedersi accusato di un altro
crimine: hanno trovato il cadavere di Red Gallway questa mattina; gli
hanno sparato alle spalle.
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Kelly annuì.
- Era inevitabile; quel tipo parlava troppo; presto o tardi doveva
bruciarsi le ali. Sarà una perdita di tempo, ma dovrai andare da Perelli. - Si
grattò con rabbia il mento. - Anzi, no: lo vedrò io stesso.
- C'è una nuova signora nell'appartamento. Kelly annuì.
- Lo so... Minn Lee, la signora Waite o come diamine si chiama. Se c'è
un briciolo d'onore tra i ladri, Perelli lo possiede: ha messo insieme la
banda di farabutti più unita della città. Nessuno lo ha mai tradito. Harrigan
lo guardò stranamente.
- Forse qualcuno verrà, presto o tardi - disse, abbassando la voce. Kelly
si morse le labbra.
- Vinsetti? Se ci dovesse essere questa possibilità, Perelli lo verrebbe a
sapere prima, e se così accadesse...
Sorrise.
Harrigan si accese un sigaro.
- Difficilmente farà questa mossa... nessuno lo farebbe, ma lui è un duro
e potrebbe darci moltissime informazioni segrete che ci sarebbero molto
utili.
Kelly scosse la testa e disse: - Non so... Vedi spesso Vinsetti? Potresti
dargli un'imboccata. Noi gli daremo protezione, possiamo imbarcarlo sulla
nave giusta. In ogni caso, la banda non può fare il suo comodo in Canada;
laggiù c'è ancora una legge.
Harrigan trascorse i due giorni seguenti nell'architettare un modo per
incontrare Vinsetti, in modo del tutto casuale. Fallì nel suo proposito per
l'ottima ragione che Victor aveva conosciuto Minn Lee e ne era rimasto
molto colpito.
C'erano molte cose che Minn Lee considerava onorevoli e altre che per
lei non lo erano; era disonorevole tradire il proprio uomo, ma era
onorevole tradire tutti gli altri per lui. Quindi tutte le visite di Vinsetti
venivano riferite; Tony sapeva tutto quello che Victor diceva, ciò che
faceva e ciò che proponeva. In un certo senso, Perelli era eccitato dal fatto
che lei suscitasse tanta attenzione. Andò in estasi per la lealtà di lei, che gli
riferiva tutto con semplicità, come se gli raccontasse un fatto
normalissimo, senza vantarsi e senza cercare di farlo ingelosire.
Vinsetti aveva parlato di molte cose: di amore, per esempio, di
devozione, dello splendore della vita in Europa, ma aveva detto anche altre
cose che avevano disturbato Perelli. Per esempio, aveva parlato di quelle
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1931 - Furia A Chicago
case a Cicero, delle quali lei non aveva mai sentito parlare e che comunque
non la sconvolsero più di tanto. Se fosse andata a lavorare nel ristorante di
Che-foo Song, dove c'erano delle ragazze che ballavano, l'ambiente
fumoso del ristorante "Stelle del Cielo" non sarebbe stato molto diverso
dal locale di Cicero.
No, lei non rimase turbata; un po' meravigliata, forse leggermente
offesa, perché il suo uomo era come un dio per lei.
Tony invece rimase sconvolto e offeso; quando rivide Vinsetti, il giorno
dopo, i suoi modi erano bruschi e, alla fine della conversazione, disse: Quando Minn Lee ti vorrà parlare di nuovo, ti manderà a chiamare, Victor.
Sei un tipo in gamba, ma parli troppo... Oh no, non è perché le hai parlato
d'amore, ma perché hai accennato ai miei locali di Cicero. Non provarci
con me, Victor.
Guardandolo negli occhi, Vinsetti vide una scintilla di rabbia, anche se
lo sguardo di Tony era sereno e la sua bocca sorrideva.
Ma c'era quella scintilla di rabbia; Vinsetti ne avvertì la presenza.
Si poteva avere una discussione con Tony Perelli, farlo infuriare, ma, se
la questione non toccava i fatti basilari della vita, una volta concluso il
diverbio, tutto tornava come prima, l'offesa era del tutto dimenticata.
La discussione che avevano avuto era puramente domestica. La dignità
di Perelli era stata ferita agli occhi della sua donna: non avrebbe ucciso
nessuno per questo. Tuttavia, Vinsetti aveva visto quella scintilla di rabbia
e divenne più attento, più guardingo. Aveva la mente di un diplomatico e
l'arma più importante in questi casi era di adulare il proprio antagonista.
Così Vinsetti lo adulò, pretese di essere solo uno sventurato innamorato
della donna di un altro e non un traditore e, alla fine, la situazione sembrò
tornare alla normalità. Ma Vinsetti non era tranquillo. Forse aveva visto
troppe cose negli occhi di Perelli: certamente troppo per stare tranquillo.
Perelli aveva un sistema di spionaggio praticamente perfetto. In ogni
banca c'era un impiegato che gli riferiva tutti i particolari degli uomini
della sua banda. Conosceva i loro conti in banca fino all'ultimo centesimo
e, in caso di un trasferimento di liquidi in un altro paese, ne sarebbe subito
venuto a conoscenza; in particolare si informava se venivano emessi
assegni in favore di agenzie di viaggio. Vinsetti era uno dei pochi che
aveva un conto in banca. In genere, i gangster non si fidano delle banche e
preferiscono depositare i loro averi nelle cassette di sicurezza. Quindi
Tony avrebbe potuto controllare tutta la vita di Victor Vinsetti. Sapeva
Edgar Wallace
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tutto sulle lettere di credito che la banca gli aveva venduto. Il principale
motivo di offesa era quell'attacco a Cicero. Qualcuno poi aveva informato
Mike e i suoi uomini e quelle erano le conseguenze. Solo tre uomini erano
a conoscenza della visita, e certamente non era il commerciante canadese il
quale non aveva la più pallida idea che il suo facoltoso cliente fosse Tony
Perelli. Angelo dichiarò che era un vero peccato per Vinsetti, perché era un
ragazzo in gamba ed era molto utile: infatti, in una banda, bisogna avere
qualcuno che si vesta bene e che possa trattare con gli onesti e rispettabili
furfanti che servivano al commercio di Perelli. Era davvero unico come
collegamento tra i vari bar clandestini. Vinsetti poteva aggirarsi in
qualsiasi territorio e uscirne senza sporcarsi le mani. Era bene accetto da
tutti Joe il Polacco, Mike Feeney e vari altri membri delle organizzazioni.
Era discreto, manteneva la parola data e inoltre, era il classico tiratore
scelto. Come Angelo aveva detto, era un vero peccato.
Gli eventi si svolsero in una direzione inevitabile. Le attività di Perelli
erano svariate; aveva lo zampino in moltissime imprese, alcune legittime,
altre assolutamente fuorilegge. Si teneva rigorosamente lontano dalle
classi criminali di basso livello: non finanziava mai dei volgari furti,
commessi con o senza violenza. Le ricchezze di coloro che incorrevano
nella sua ira venivano sempre trovate intatte; a volte, enormi somme di
denaro venivano scoperte nelle tasche di un qualche barbone che veniva
trovato morto sui margini di una strada. Se dava la sua parola a venditori e
compratori, la manteneva. Le sue tariffe erano altissime, i suoi guadagni
spropositati. Con questi poteva mantenere un piccolo esercito di impiegati
e ragionieri che curavano tutti i suoi affari.
Il suo dono più importante era un sesto senso che lo avvertiva del
pericolo. Quando il campanello di allarme suonava nella sua testa, Perelli
non accettava dilazioni e seguiva ciecamente il suo istinto. Generalmente,
le spiegazioni che dava ai suoi uomini per le esecuzioni non erano vere.
Red era stato ucciso apparentemente perché aveva parlato con la polizia:
non era morto perché avrebbe potuto causare un pericolo immediato, ma
bensì futuro.
4.
Se Perelli puniva senza pietà, bisogna dire che premiava con molta
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generosità. Aveva speso cinquantamila dollari per arredare il nuovo
appartamento di Angelo.
Vinsetti? Perelli ci pensò a lungo. Era indipendente, aveva perso
l'entusiasmo di un tempo e aveva avuto delle lamentele da fare. Vinsetti
era molto ricettivo e aveva avuto la sensazione di una totale disarmonia
con Perelli. Scrisse a un suo agente per cancellare il suo posto sulla
Empress of Australia e, tramite un altro agente, prenotò quello stesso posto
sotto un altro nome. Era esattamente ciò che Perelli pensava avrebbe fatto.
Vinsetti era ancora soggiogato dal fascino di Minn Lee: le mandava
fiori, bigliettini molto intelligenti e poetici. Tony li lesse sorridendo.
- Victor scrive molto bene. Chiedigli di tornare a trovarti, Minn Lee...
Davvero, non mi dispiace! Mi diverte: è elegante e molto spiritoso.
Così Minn Lee scrisse con la sua bella calligrafia di scolaretta un invito
e Vinsetti andò a bere il tè con lei; qualche volta c'era anche Tony, ma la
maggior parte delle volte erano soli.
Entro poco tempo, avrebbe potuto esserci bisogno delle capacità
diplomatiche di Vinsetti. Due grosse bande rivali stavano sconfinando
l'una nel territorio dell'altra.
La banda di Feeney forniva molti bar clandestini nel nord della città con
del liquore forte e con della birra. Mike dirigeva un paio di fabbriche di
birra ed era milionario. Tra le due zone, c'era un territorio di nessuno, nel
quale i due gruppi agivano fianco a fianco. I proprietari dei bar potevano
comprare indifferentemente da tutte e due le bande che non minacciavano
nessuno perché prendesse la loro merce. Improvvisamente, Mike cambiò
atteggiamento, dichiarò che il territorio era suo e passò a minacciare i
clienti, scatenando una protesta generale. Uno dei clienti di Perelli si
ritrovò con il locale distrutto e con gli occhi neri. Riferì ad Angelo come
erano andate le cose e Angelo lo riferì a Perelli.
- Bisogna che Vinsetti veda quel tizio - disse Tony. - Chi ha fatto il
pestaggio? Gli riferirono che era stato un certo Death House Hennessey,
un uomo molto forte, che aveva agito con la sua banda. Faceva spesso
azioni violente di questo genere per Shaun O'Donnell, quando l'irlandese
non voleva correre il rischio di essere riconosciuto o non desiderava
esporre le sue guardie del corpo.
Victor andò in un hotel vicino a North State e parlò con un piccolo
irlandese irritabile. Shaun O'Donnell non volle sentire ragioni; farfugliò
vaghe e truculente minacce. Vinsetti, secondo il suo stile diplomatico,
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cercò un modus vivendi, ma Shaun, che non aveva mai sentito
quell'espressione e che, anche se l'avesse conosciuta, l'avrebbe
disapprovata, fu irremovibile.
- Ascolta, Vic, quel territorio è sempre stato nostro e puoi dire al signor
Perelli che resterà tale. Tu sei un tipo in gamba, Vic. A Mike e a me
piacerebbe accontentarti, ma gli affari sono affari.
Ci furono altre negoziazioni, durante le quali Shaun disse: - Mi
meraviglio che un tipo come te se ne stia con Perelli. A Mike e a me
piacerebbe trovarti un posto nella nostra organizzazione. Lo so... - A
questo punto Vinsetti protestò. - Voi tutti siete terrorizzati da Perelli, ma
supponiamo che riuscissimo a fargli mettere un piede in fallo. Quell'uomo
tratta tutti come dei cani.
Era una forte tentazione, ma Victor la ponderò bene. Nel frattempo,
Death House Hennessey aveva i suoi guai.
Una macchina attraversò il vialetto che portava alla sua casa e qualcuno
suonò il campanello. Hennessey aprì e guardò nelle tenebre...
Un motociclista che passava sulla strada udì il lontano rumore di uno
sparo e si avviò in quella direzione. Death House Hennessey giaceva
riverso sulla balaustra del piccolo portico antistante alla casa, con venti
proiettili in corpo.
Shaun O'Donnel prese la cosa con filosofia. Per lui, non significava
niente che che uno dei suoi uomini fosse morto; ne poteva trovare altri, e
magari che costassero meno. Però era un pretesto per attaccare Perelli. Lui
personalmente pagò le spese per il funerale di Hennessey e vegliò sulla
salma. Perelli mandò una corona di fiori e tale era il suo potere che gli
uomini che lo odiavano, e che sapevano che era stato lui a ordinare la
morte dell'uomo, non osarono spostarla.
Parlò apertamente con Minn Lee; le teneva nascoste pochissime cose,
molte meno di quante ne avesse tenute segrete alle altre donne che erano
entrate e svanite dalla sua vita.
- È un gioco duro, mia cara. Ci sono quattro punti in questo cerchio e
uno che voglia andare da nord a est, non ci andrà di certo con i propri
piedi. Victor è molto abile, ma non è riuscito a fare ragionare Shaun
O'Donnell e la scorsa notte un altro dei miei bar è stato depredato. Ma
Victor non dice "Basta!". Tutto quello che sa dire è di aspettare. Io aspetto
e vedo i miei affari andare in malora!
Victor aveva le sue ragioni per dire di aspettare. Quando vide Tony gli
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riferì i negoziati, che Perelli ascoltò attentamente.
- Davvero interessante! - disse. - Forse dovrei aspettare che Shaun
O'Donnel diventi vecchio e recuperi la ragione! Magari tra una decina
d'anni! Quel tizio deve smetterla di darsi le arie o altrimenti gli faremo un
bel lavoretto, Vic! Abbiamo parlato anche troppo. Sentiamo cosa dice
Ricardo.
Ricardo era un abilissimo tiratore, il suo preferito; era un uomo che
aveva combattuto nella Grande Guerra e che aveva tre decorazioni e venti
omicidi alle spalle.
- Vorrei aspettare ancora un po'... - disse Perelli - e poi...
Nel pomeriggio andò da Cicero e, mentre era seduto nel suo ristorante a
sorseggiare un caffè, sulla strada passarono tre macchine che crivellarono
il locale di colpi di mitraglia. Perelli si sdraiò sul pavimento in un vortice
di vetri rotti e di calcinacci e decise che non poteva perdere tempo; doveva
agire e subito.
L'attacco non poteva essere stato improvvisato: era senza dubbio il
risultato di un attento progetto. Vinsetti era uno dei pochi che sapeva che
sarebbe passato da Cicero nel pomeriggio. Anzi, era stato lui stesso a
organizzare la cosa, dicendo che Tony avrebbe dovuto incontrare un
compratore canadese.
Fece delle domande in giro. Mike Feeney e Shaun O'Donnell erano
partiti la sera prima per New York; un alibi preparato con troppa
precisione.
Quando tornò, Perelli vide Vinsetti, e si mantenne molto vago a
proposito di come era scampato all'attentato. Sarebbe stato un errore
chiarire troppo la faccenda. Vinsetti avrebbe potuto spaventarsi e non si
poteva prevedere cosa avrebbe potuto fare.
In ogni caso, Victor era allarmato. Mandò un messaggio urgente a Kelly
e riuscì a parlargli; gli diede alcune informazioni ma gliene promise altre.
Poi fece una cosa molto curiosa, tipica del suo modo bizzarro di
comportarsi. Chiamò il suo avvocato e fece testamento, aggiungendo una
clausola:
Nel caso in cui dovessi morire di morte violenta e se il coroner
dovesse dichiarare che c'è stato omicidio, io stabilisco che venga
sottratta dalle mie proprietà una somma di centomila dollari per
la persona che dimostrerà il mio assassinio.
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Nel pomeriggio, andò a far visita a Minn Lee. Lei, su suggerimento di
Tony, lo aveva invitato a prendere un tè.
- Dovresti rimanere in camera tua, mia cara - disse. - Devo parlare di
affari con Victor.
Vinsetti arrivò alle quattro e mezza. Un quarto d'ora più tardi, arrivò
Kelly, secondo il piano che avevano fatto. A dire la verità, il detective era
arrivato cinque minuti dopo Vinsetti e aveva ingannato il tempo
osservando alcuni uomini che stavano caricando dei mobili su un camion.
Furono caricati un divano letto, due poltrone, un appendiabiti e un tavolo;
dopo di che il camion partì. Kelly entrò nel palazzo e si avviò
all'ascensore.
Fu Angelo ad aprirgli la porta.
- Victor se ne è andato - disse. - Si è fermato solo un minuto: era venuto
a trovare Minn Lee ma lei aveva mal di testa.
- Dov'è Perelli?
Era sul terrazzo; fu mandato a chiamare.
- Vinsetti è entrato in questa casa un quarto d'ora fa e non può essersene
andato - disse Kelly con tono brusco.
- Ma se non è qui, vuol dire che se ne è andato - disse Perelli. - Vedete
capo, qui ci sono due uscite; Victor di solito esce dal retro.
- Voglio ispezionare l'appartamento. Kelly era francamente e rudemente
scettico.
- Ma sicuro! - Tony Perelli era tutto sorrisi.
Vinsetti non c'era; come se ne fosse andato era un mistero. Kelly sapeva
che c'era un'uscita sul retro e aveva messo un uomo di guardia;
naturalmente, Vinsetti non era passato di lì.
Due giorni più tardi il suo cadavere venne ritrovato nel lago. Era stato
ucciso con dei colpi d'arma da fuoco e gli vennero trovati in tasca otto
biglietti da mille dollari.
Perelli fu chiamato alla stazione di polizia per essere interrogato.
- Spero che prenderete l'assassino del povero Victor - disse. - Ci sono
stati troppi omicidi.
Andò al funerale, affiancando con la sua macchina il carro funebre.
5.
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Vinsetti era un amante della letteratura. Teneva un diario che, con
disappunto del capo della polizia Kelly e con infinito sollievo di almeno
una persona, non conteneva informazioni vitali.
Riguardo una visita a Hollywood, aveva fatto questo interessante
commento:
La vita di un gangster non ha continuità. È una serie di piccole
storie scritte intorno alla stessa sala per i funerali... Sul
palcoscenico compaiono sempre nuovi personaggi che
scompaiono prima che si possa stabilire la loro identità... La
storia di una zona della città governata dai gangster è costellata
di sparatorie che, per la maggior parte, finiscono in una strage.
Il diario era scritto in italiano e Kelly, leggendone la traduzione, scoprì
nuovi concetti filosofici, ma non aumentò le sue informazioni.
Minn Lee considerava a modo suo il concetto di territorio controllato da
gangster. Incontrava uomini e donne che andavano e venivano, che
sparivano e ricomparivano. Le donne erano belle, parlavano sempre a voce
alta ed erano riccamente vestite e ingioiellate. Sembravano perfettamente a
loro agio in quell'ambiente, che forse era molto meglio di quello nel quale
vivevano prima.
Tony era gentile con lei, molto più di quanto lo fosse stato John Waite.
Le mostrava considerazione, tenerezza e comprensione.
Una volta venne una ragazza di Cicero a cenare con loro. Si comportava
in modo familiare con Perelli e, tuttavia, questa familiarità era unita a una
certa riservatezza che avrebbe potuto essere rispetto o paura e che era
probabilmente un'unione dei due sentimenti. Era carina, anche se volgare,
e indossava una stola di zibellino e molti anelli.
Durante la cena bevve molto e la sua conversazione era incomprensibile
per Minn Lee. Conosceva anche la casa: si guardava intorno con un sorriso
affettato, come se fosse lei la padrona, degnò Minn Lee di un fuggevole
sguardo e poi la ignorò fino alla fine della cena, quando, sporgendosi verso
di lei, le afferrò la mano per esaminare il grosso anello che aveva al dito.
- Devi starci attenta, baby - disse. - La pietra è tagliata male e tende a
scivolare fuori dalla montatura.
Sollevando gli occhi, incontrò lo sguardo di Tony e lasciò la mano della
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ragazza come se fosse diventata bollente. Ma Minn Lee non era una
stupida. La ragazza aveva posseduto quell'anello e, anche se in modo
rozzo, metteva in guardia la nuova proprietaria di quel difetto.
Qualsiasi contegno che Tony aveva cercato di mantenere fu scosso da
questo incidente. Cominciò a fare domande sui gioielli che la ragazza
indossava, da dove venivano e quanto erano costati. Questo era
imbarazzante, sia per lei che per Minn Lee. Disse che glieli avevano
regalati diversi uomini, tra i quali fece il nome di Vinsetti.
- Vinsetti è morto - disse Perelli. - Fammi il nome di altri, ancora vivi,
che ti hanno regalato quei gioielli.
Lei era confusa, impallidì, poi arrossì e cercò di cambiare argomento
con una risatina e delle battute, ma Perelli eluse tutti i suoi tentativi.
- Devi stare molto attenta, Enid - disse alla fine con un tono metallico
nella voce. - Tu hai un buon lavoro, vero? I guadagni vanno bene, eh?
Lei si appoggiò allo schienale, con un sospiro, lamentandosi della
polizia e di come fosse difficile trovare la gente giusta. La tattica diede
l'impressione di funzionare, perché Perelli cambiò argomento con una
brutalità che avrebbe offeso chiunque.
Tony non desiderava parlare di lei con Minn Lee ma, dopo che se ne fu
andata, disse: - Quella non è niente... solo una donna spregevole. Una volta
stava qui, ma era troppo stupida per me; rideva della mia musica, perché
non ha cervello. Ha solo una bella faccia e una sciocca conversazione: mi
aveva annoiato. Io odio la gente che mi annoia, mia piccola Minn Lee.
Lei gli sorrise dolcemente.
- E io, ti annoierò un giorno? - chiese. Lui le prese la mano e la baciò.
- Quando sarò molto, molto vecchio - disse - forse potrebbe succedere.
Quando non mi piaceranno più le cose graziose, le voci gentili e tutte le
bellezze di questo mondo.
Le prese il viso tra le mani.
- Sei felice? - Lei annuì e lui la prese sulle ginocchia, la strinse e la cullò
tra le sue braccia, come se fosse una bambina, senza dire una parola. Nel
calore di questo abbraccio, la sua mente si rilassò e riuscì a pensare con
distacco al problema di Shaun O'Donnell e di Feeney. La loro banda lo
stava innervosendo.
Mike Feeney era un omone, il tipico irlandese che aveva iniziato la sua
carriera come operaio e che, dopo essersi assicurato il controllo su un
sindacato, aveva aumentato il numero degli iscritti con il semplice metodo
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di far pestare chiunque si rifiutasse di unirsi a lui. Bisogna dire che aveva
assicurato concessioni per tutti perché era stato uno degli iniziatori del
"metodo esplosivo". Si trattava di piazzare una bomba sotto il portico della
casa di un datore di lavoro che non voleva accettare le condizioni imposte
da Mike e dai suoi compagni; questo portava generalmente a un
cambiamento di posizione da parte del datore di lavoro. Se non bastava,
piazzavano una seconda bomba, più potente. Pochissimi aspettavano la
seconda bomba per decidersi; nessuno ne riceveva una terza.
Il racket dei liquori offriva enormi possibilità. Mike possedeva tutti gli
strumenti per condurre una campagna del terrore. Comparvero i suoi bar
clandestini; alcuni erano delle bettole, altri erano locali eleganti. Lui li
riforniva di liquore; poi crebbe di importanza. Aprì sale da gioco, sale da
biliardo, immischiate con industrie artigianali, un eufemismo per dire che
erano piene di allibratori.
Sua sorella, la signora Shaun O'Donnell, aveva una parte importante
nell'organizzazione. Era uno dei capi e, tramite suo marito, dirigeva il
gruppo. Era alta come il fratello, robusta e sparuta, con la faccia e il lungo
naso perennemente rossi e con delle mani da macellaio; si diceva che
questa signora avesse combattuto con un uomo e che avesse vinto.
Nessuno le aveva mai chiesto nulla a riguardo, ma Mike Feeney era
orgoglioso di quel fatto.
Possedeva tutto il denaro del mondo ma era la donna peggio vestita di
Chicago. Sfoggiava dei viola fiammeggianti, dei rossi assurdi e portava
diamanti grossi come noccioline, montati su bracciali pesanti, grossi come
piattini da caffè. La sua voce era stridula e, quando parlava, gli uomini
della banda di Feeney si sentivano a disagio.
Odiava Perelli per la sua virilità. Lo chiamava "il dandy italiano". A dire
il vero, usava anche altri appellativi; quello che odiava di più erano le case
che lui possedeva da Cicero. Se qualcuno un giorno scriverà la sua storia,
scoprirà che lei esercitava molte pressioni sul marito perché organizzasse
dei locali che gli facessero concorrenza.
Aveva più influenza sul marito che sul fratello e questo era strano perché
Shaun aveva un carattere deciso ed era tre volte più intelligente di Mike
Feeney. Per il resto, lei non provava rimorso per nessuno; faceva uccidere
degli uomini senza pensarci due volte. Era stata lei a organizzare l'attacco
contro Perelli.
- Di sicuro lo abbiamo spaventato - disse a suo marito. - Se tu fossi un
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uomo, lo affronteresti, dopo quello che ha detto di me alla signora Merlo.
Ma forse a te non importa che tua moglie sia stata chiamata "l'incubo di
Romeo". Ma se questo non è un insulto, io sono impazzita! Affronta
quell'italiano, Shaun!
Shaun la guardò sogghignando.
- Hai una fretta maledetta di liberarti di me, non è vero? - esclamò. Toglitelo dalla testa, Bella.
I suoi genitori, molto poco preveggenti, l'avevano chiamata Floribella.
Appena seppe che una bella ragazza cinese si era trasferita
nell'appartamento di Perelli, la curiosità femminile prese il sopravvento.
Piombò sulla piccola Minn Lee come un falcone su un giglio. Per una
volta nella sua vita, fu umana. Perelli rimase meravigliato nel sapere che
aveva lasciato una buona impressione sulla ragazza.
- Quella bambina è troppo delicata per vivere con quello sporco
siciliano. È ingrassato, Shaun; se l'hai mancato, eri ubriaco.
Shaun non disse nulla. Aveva un piano ma non voleva che gli si
mettesse fretta. Sua moglie gli riferì un'informazione.
- Perelli ha un uomo nuovo, uno di New York... un certo Con O'Hara.
Lo conosci?
Shaun lo conosceva; Mike Feeney lo conosceva ancora meglio e aveva
tutte le ragioni per detestarlo.
Quella stessa settimana Perelli reclutò un'altra persona. C'era un uomo a
Boston, un importatore di liquori e un membro molto rispettato della
comunità, che, tramite un amico, aveva saputo delle disgrazie di un
ragazzo di Harvard. Così scrisse a Tony:
Non so se potrai fare qualcosa per questo ragazzo, ma sappi
che viene da una buona famiglia, che parla due o tre lingue e che
è il tipo d'uomo che potrebbe esserti molto utile.
Così Jimmy McGrath arrivò a Chicago con questa lettera di
presentazione e con un senso di umiliazione reso più amaro dal fatto che
fosse giustificato. Era stato espulso da una grande università per un furto
volgare e stupido che, in un momento di lucidità, non avrebbe mai
commesso. Le autorità avevano interpretato lo stato di ubriachezza come
l'ammissione di un crimine più grave. Di certo non c'erano giustificazioni.
Jimmy scrisse una frettolosa lettera a sua madre, nel New England e si
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nascose per un po' a New York. Dopo un mese trascorso inutilmente
cercando di trovare lavoro, decise di accettare quel biglietto ferroviario e
quella lettera di presentazione che lo portarono dritto nella magnificenza
dell'appartamento in stile veneziano di Perelli.
Era alto, di bella presenza e nervoso. Piacque subito a Perelli anche se
era indeciso sul ruolo da assegnargli. Se ne poteva fare un buon elemento.
Visto che possedeva una mente ben ordinata, poteva diventare un ottimo
organizzatore. Ma un buon elemento doveva avere le mani insanguinate.
C'era bisogno di un sostituto per Vinsetti, ma Jimmy non aveva ancora
fatto pratica. La regola era inflessibile: prima di essere iniziato ai misteri
più profondi, un uomo doveva macchiarsi di un delitto.
Perelli aveva dettato queste condizioni non per un senso tragico, ma per
sicurezza; i suoi uomini dovevano essere coinvolti fino in fondo. Non
poteva tenere con sé nessuno che non fosse colpevole e consapevole della
sua colpa. O si era dentro o si rimaneva fuori.
C'era una cascina in campagna, dove gli uomini della banda passavano
molto tempo, una sorta di club, con la possibilità di esercitarsi a sparare.
Perelli mandò lì il ragazzo con Ricardo, un vero campione della pistola.
- Dagli la chiave - ordinò, e con "chiave" intendeva la libertà di
muoversi in quel piccolo e sudicio mondo.
Una settimana più tardi, Ricardo riferì che il ragazzo non prometteva
nulla di buono.
- Non ha la stoffa per quello - disse. - Sarebbe meglio che tu gli trovassi
qualcosa di più facile da fare, Tony, almeno all'inizio.
Così Jimmy McGrath venne rimandato a Chicago e assegnato al
territorio che Perelli controllava. Incontrò diversi gangster, uomini di una
banda e di un'altra e altri che non appartenevano a nessun gruppo, ma che
erano mal visti da tutti. Per una qualche ragione, Shaun O'Donnel gli
piacque e, cosa ancora più strana, la simpatia venne ricambiata. O'Donnel
lo portò a casa sua e lo presentò alla moglie.
- Sei uno degli uomini di Perelli, vero? - chiese lei con disprezzo. Dimmi, perché ti sei messo con quel siciliano?
- Lascia in pace il ragazzo, questi sono affari suoi - disse Shaun. - Sarai
l'uomo che farà le mediazioni per Tony, Jimmy?
Jimmy era stupito.
- Immagino che sarò qualunque cosa Perelli vorrà - rispose. Shaun lo
guardò pensieroso.
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- Avrà bisogno di un mediatore ora che ha assassinato Vinsetti.
- Era il suo migliore amico; ecco come si comporta quel cane schifoso lo interruppe la moglie.
Shaun spiegò. - Vinsetti faceva il giro delle bande e sistemava le
faccende. Ha tirato fuori Perelli da un sacco di guai.
In verità, avrebbe potuto aggiungere che lui stesso era stato salvato da
molte situazioni imbarazzanti, grazie all'aiuto del mediatore.
C'era un quarto uomo a pranzo, un italiano che gli venne presentato
come signor Camona. Jimmy non capì esattamente che ruolo avesse nei
complicati affari di Shaun. Parlò poco e disse solo monosillabi, tutto in un
pessimo inglese. Più tardi, Perelli gli raccontò la storia di quell'uomo. Era
un siciliano che era entrato negli Stati Uniti senza regolare passaporto.
Camona era stato un bandito era stato imprigionato in Italia e, quando
era riuscito a fuggire, si era rifugiato a Chicago, dove da tempo lavorava
nelle organizzazioni di Feeney che distillavano liquori. Mentre era in
Italia, aveva servito l'esercito nel corpo dei Mitraglieri e questa esperienza
era ritornata molto utile quando si era ritrovato a far parte del gruppo dei
killer di Feeney.
Una sera, Camona e l'autista della macchina sulla quale viaggiava
ebbero un lavoretto da sbrigare. Tony stava ritornando dall'opera con due
dei suoi uomini più fidati. Avevano appena girato in Michigan Avenue,
quando una macchina si accostò alla loro. Tony si abbassò tra i sedili
mentre una pioggia di proiettili di mitragliatrice infrangeva i finestrini.
Uno dei suoi uomini non fu così svelto e venne colpito al collo. Tutto si
svolse in pochissimi secondi. Quattro occhi all'erta videro un paio di baffi
dietro la mitragliatrice.
Tony portò il ferito all'ospedale e tornò a casa, molto calmo. Minn Lee,
che l'aveva aspettato alzata, non aveva la più pallida idea di cosa fosse
successo, ma capì che era qualcosa di serio, perché lui le ordinò
perentoriamente di andare a letto.
Camona viveva in un piccolo appartamento nella zona sud. Arrivò a casa
alle due circa e stava infilando la chiave nella serratura quando un uomo
che lo aveva raggiunto alle spalle gli puntò una pistola alla nuca, fece
fuoco e, con la calma più serafica, ritornò alla macchina che lo aspettava.
Prima che arrivasse una pattuglia della polizia, l'auto era già svanita.
- Ottimo lavoro, Con.
La mattina dopo, mentre facevano colazione, Perelli si congratulò con la
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1931 - Furia A Chicago
sua nuova recluta e O'Hara, ben vestito e terribilmente loquace, rispose al
complimento con un ghigno. Era il primo lavoro che faceva da solo.
- Vedi, Tony, è la mia specialità. Non do a nessuno più di una
possibilità: dopo che ho pronunciato il nome, quello è tra i più. Avrei
potuto farlo fuori anche in strada, ma c'erano due colombi che si stavano
dando la buona notte. Così l'ho visto per le scale e ho tirato fuori la mia
trentotto...
- Sicuro, sicuro.
Tony aveva poca pazienza con la gente che esasperava le proprie
imprese.
- Sei un tipo in gamba.
Jimmy lesse la notizia sul giornale del pomeriggio e rimase sconvolto.
Era morto un uomo con il quale aveva cenato due giorni prima, che era
una persona viva, con un passato e un futuro e che ora era solo un oggetto
di curiosità per la polizia e un nome su un articolo.
- Chi pensi che l'abbia ucciso? - chiese a Tony.
- Sono stato io, Jimmy. - Lo sguardo di Perelli non si staccò un attimo
dal volto del ragazzo. - Sì; quel tizio ha cercato di farmi fuori l'altra sera.
Mi ha scaricato addosso un'intera mitragliatrice.
- C'eri tu su quella macchina? - chiese Jimmy incredulo.
Aveva letto della sparatoria di Michigan Avenue sul giornale che però
non aveva riportato nessun nome. Perelli annuì.
- Sicuro.
- Sei sicuro che è stato Camona? - chiese Jimmy, poco convinto.
Tony Perelli ridacchiò. Era sorpreso dall'effetto che la sua confessione
aveva provocato.
- Così vanno le cose, Jimmy: uccidere o essere uccisi! Io non vorrei
uccidere nessuno, ma cosa si deve fare quando quelli ti puntano le pistole
addosso? Non c'è legge per noi, Jimmy: dobbiamo essere la nostra polizia
e i nostri giustizieri. Supponi che io vada dalla polizia e dica: "Il signor
Camona mi ha sparato addosso", cosa pensi che mi direbbero tutti quegli
avvocati? Prove. Vogliono le prove! L'unica prova che ho sono i miei
occhi e qualcosa qui dentro. - Si batté una mano sul petto. - In questo
racket possono succedere solo due cose, Jimmy: o abbatti, o sei abbattuto.
E capirai il perché, Jimmy. La legge non esiste per noi; non possiamo
trascinare un tizio davanti al giudice e dire: - mi ha imbrogliato - oppure non mi ha pagato -. L'unica legge che conosciamo è lontana da avvocati e
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1931 - Furia A Chicago
poliziotti.
- Uccidere un uomo è una cosa terribile... così, a sangue freddo. Perelli
scosse la testa.
- Uccidere un uomo in un impeto di rabbia, questo è terribile, perché
nove volte su dieci commetti un errore, uccidendo qualcuno che non
vorresti e che non dovresti uccidere. Pensa alla guerra, Jimmy: si uccidono
uomini che non si conoscono nemmeno, uomini normali. Non hanno fatto
niente di sbagliato, ma semplicemente scoppia la guerra e noi uccidiamo
loro e loro uccidono noi. È una cosa che non ha senso. Quando noi
uccidiamo così a sangue freddo, c'è sempre una ragione e, se lo facciamo,
è perché è necessario. Gli assassinii che si compiono spinti dalla rabbia
sono follie, mentre uccidendo a sangue freddo non si sbaglia mai.
Così Jimmy ricevette la sua prima lezione sull'etica della malavita e,
essendo giovane, rimase impressionato.
- Stai incollato a Shaun O'Donnell - lo istruì Perelli. - Forse uno di questi
giorni diventerai il nostro diplomatico.
McGrath gli raccontò la conversazione che aveva avuto con Shaun.
- Bene - disse Perelli. - La penso come lui: tu potresti prendere il posto
di Victor e questo significherebbe un mucchio di soldi per te, jimmy.
In fondo però, Tony sapeva che nessuno avrebbe potuto prendere il
posto di Victor Vinsetti. Vinsetti era inserito completamente in quello
strano mondo, ne conosceva puntualmente tutti i codici di comportamento,
grazie al contatto reale con ogni suo membro.
A poco a poco, Jimmy conobbe tutti i gangster che facevano parte della
banda. Angelo, con il suo sorriso pigro e quel pungente senso
dell'umorismo, gli piacque. O'Hara, con la sua millantata spacconeria, non
gli fece una buona impressione. Poi, incontrò Minn Lee. Aveva sentito
parlare di lei ed era curioso di sapere se quello che si diceva corrispondeva
alla verità. La sua bellezza lo colpì nel profondo; la sua naturale avvenenza
era accresciuta grazie all'uso di un particolare genere d'abbigliamento.
Tony spendeva somme smisurate per lei. Aveva fatto venire dall'oriente
delle sete che costavano quasi come l'oro. Jimmy, dopo la loro prima
conversazione, capì che un vuoto della sua anima era stato colmato. Si
innamorò di Minn Lee fin dal primo momento in cui la vide. Cominciò ad
andare a trovarla molto spesso e Minn Lee si accorse di questo interesse
per lei con preoccupazione. C'era solo un uomo nella sua vita, e
quest'uomo era Tony Perelli; non c'era posto per nessun altro.
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1931 - Furia A Chicago
Minn Lee guardava al futuro con preoccupazione, sapendo che poteva
essere brutto. Aveva ereditato dal padre, che era europeo, una filosofia che
si accordava con la parte orientale della sua anima.
Un giorno Tony le chiese se lo amava e lei fu così lenta nel rispondere
che l'amor proprio di lui, molto vulnerabile, ne rimase risentito.
- Penso di sì; suppongo di sì; sì - disse. - Forse non so cos'è l'amore.
Quelle ragazze che vengono qui a volte, ne parlano come se si trattasse di
una cura di bellezza o di un nuovo quadro. Io non riesco a parlarne. Tu mi
spaventi, questo solo so.
Lui la guardò crucciato, scrutandola con sguardo interrogativo.
- Mi ami? Supponiamo che in anticamera ci fosse un uomo e che io ti
dicessi: "Minn Lee, vai fuori, quell'uomo sta aspettando con i suoi sicari e
uccideranno la prima persona che varcherà la soglia", tu andresti?...
Lei rise. Rideva raramente, con una risata profonda, europea, non con
quell'acuto gorgheggio tipico delle donne cinesi.
- Andrei, sì, certamente.
Il respiro di lui si fece più pesante.
- Ma ti ucciderebbero, Minn Lee. Lei annuì.
- Non avrebbe importanza - disse.
- Non lo faresti per nessuno tranne che per me? Lei ci pensò un po',
aggrottando le sopracciglia.
- No - rispose alla fine - non lo farei per nessun altro.
Il viso di lui si illuminò di un sorriso radioso e i suoi occhi castani
brillarono.
- Questo è l'amore, sciocca! Adorabile sciocca! La prese tra le braccia e
la baciò con ardore.
6.
Tony Perelli si ritrovò spesso a pensare alla sua nuova recluta. Jimmy gli
piaceva, nei limiti in cui qualcuno poteva piacergli, ma era una
preoccupazione. Era diventato una divertente seccatura. Tony cercava
sempre nuovi posti per lui nell'organizzazione, ma nessuno sembrava
andare bene. Non aveva le qualità e l'esperienza per essere un mediatore.
Non era vigliacco, ma sembrava incapace di uccidere. (Non che Tony
considerasse assassinio il fatto di liberarsi di un rivale o di qualcuno che
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1931 - Furia A Chicago
volesse a sua volta eliminarlo).
Jimmy sembrava a suo agio nell'appartamento di Perelli, era molto
attento a Minn Lee, ovviamente, dal momento che era innamorato di lei.
Non che a Tony spiacesse: considerava un complimento il fatto che un
giovanotto che aveva studiato all'università approvasse la sua scelta.
Kelly cominciò a interessarsi di quel ragazzo che, in un certo senso, era
sfortunato. Il capo della polizia era intelligente; Tony non lo aveva mai
sottovalutato. Era astuto, freddo e senza rimorso, ma possedeva una vena
di gentilezza che poche persone sospettavano.
Era solito presentarsi alle ore più impensate e, generalmente, nei
momenti più imbarazzanti. Un pomeriggio arrivò nell'appartamento di
Tony piuttosto tardi e vide Minn Lee, non per la prima volta. Gli piaceva
quella ragazza; c'era un atteggiamento paterno in Kelly, che possedeva
anche un acuto senso dell'umorismo, dal quale traeva la consolante
certezza che fosse stata Minn Lee a umiliarsi quando aveva accettato la
protezione di questo gangster.
- State bene, Minn Lee? - chiese. Tony grugnì.
- Se sta bene? Hey, capo, questa pupa ha cominciato a vivere quando è
venuta qui.
- E quando inizierà a morire? - chiese Kelly, senza distogliere lo sguardo
dalla ragazza.
Tony fece una smorfia. La morte, la morte naturale, era un argomento
ripugnante per lui. Lui, che viveva perennemente nell'ombra di una pistola,
che si aspettava da un giorno all'altro che qualche suo nemico sparasse il
colpo che gli sarebbe stato fatale, provava orrore per le malattie e la loro
fatale conseguenza.
- Che modo di parlare è questo, capo? In questa casa regnano la vita e la
felicità. E perché spaventate la mia bambina con questi discorsi di morte?
Kelly si guardò intorno sorridendo.
- Mi sembra di aver spaventato più te, invece - disse. - Chi è il ragazzo
nuovo che se ne va in giro con i tuoi scagnozzi?
Tony finse un'esagerata meraviglia.
- Non capisco...
- Capisci benissimo. Parlo di McGrath.
- Oh, Jimmy! - Tony sorrise con indulgenza. - È amico di un mio amico.
Viene da New York.
- Perché non è rimasto a New York a seguire un corso di corrispondenza
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1931 - Furia A Chicago
per diventare assassino?
Tony scosse la testa con aria di rimprovero.
- Che brutta parola! - disse. - Assassinio! Ci sono troppi omicidi a
Chicago. Qualche volta mi chiedo se la polizia faccia il proprio dovere, ma
poi penso che c'è il mio amico Kelly e che tutto andrà bene, che i cattivi
saranno presi e mandati alla sedia elettrica.
- E questo ti fa dormire sonni tranquilli, immagino? - disse Kelly, e
ripeté la domanda.
- Non so cosa fare con Jimmy. È un bravo ragazzo, molto in gamba. Non
è fatto per il racket: è il classico gentiluomo americano. Penso che troverò
qualcosa da fargli fare in Canada.
- Non è il nuovo collegamento tra le bande? - chiese Kelly.
- Il nuovo collegamento? - Tony era sbalordito.
- Ne avrai bisogno, visto che hai fatto fuori Vinsetti - disse Kelly, che
non misurava mai le parole. - Mi chiedo chi prenderà il suo posto.
Tony era sconvolto.
- Visto che ho fatto fuori Vinsetti? - La sua voce era piena di un
doloroso rimprovero. - Ma cosa dite, capo? Vinsetti, il mio migliore
amico? No, capo, è stata la banda di Mike Feeney a ucciderlo... e vi posso
dare anche le prove. Shaun O'Donnell gli aveva commissionato del lavoro.
- Lo testimonieresti in tribunale? Tony sorrise.
- Io vi ho detto questo, signor Kelly, perché siete un amico, non perché
siete un poliziotto. Io so come sono andate le cose, ma non ho ancora le
prove e, se anche le avessi, pensate che farei la spia?
Kelly era al corrente della rivalità che si era scatenata tra le bande e
sapeva che la posizione di Perelli si consolidava ogni giorno di più.
In favore di Perelli, bisogna dire che era un fautore della pace. Avrebbe
pagato fior di dollari perché ci si potesse mettere d'accordo pacificamente.
Provava un sincero disgusto per l'omicidio. Desiderava che la guerra tra
bande proseguisse con il minimo spargimento di sangue e, se il denaro
fosse servito per una soluzione degli affari, per comprare territori o
concessioni, avrebbe pagato senza fiatare.
Con le bande piccole era spietato. Non mantenevano mai la parola:
prendevano i suoi soldi un giorno e il giorno dopo volevano entrare nel suo
giro. Per questi piccoli problemi non c'era che una soluzione: i gangster di
piccolo calibro andavano e venivano, e nessuno sapeva che fine facessero.
Venivano trovati dei corpi carbonizzati, altri cadaveri legati con il filo di
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1931 - Furia A Chicago
ferro venivano ripescati dai fiumi; un uomo invece, fu ucciso a colpi di
pistola nella hall di un teatro.
Si organizzò un altro incontro tra le bande. Jimmy incontrò Shaun
O'Donnell e pranzò con lui. A Shaun piaceva quel ragazzo, era divertito
dal suo entusiasmo, non vedeva del pericolo o del male in lui.
Shaun ascoltò con gravità gli ingenui tentativi diplomatici del giovane e,
quando Jimmy ebbe finito, scosse la testa.
- Non se ne fa niente, ragazzo - disse. - Incontrare Tony! Dove, magari a
casa sua, come ha fatto Vinsetti? No, signore!
- Ma vi giuro che Tony vuole appianare le divergenze. Shaun aggrottò le
sopracciglia.
- Questo è uno strano modo per descrivere un omicidio di primo grado esclamò. - Lo so che vuole sistemare le cose, ma lo vogliamo anche noi, e
dovremo essere noi a guidare il gioco; le nostre armi sono pari alle sue.
Senti, ragazzo, stanne fuori. Tu sei un tipo regolare, non appartieni al
mondo dei racket.
Guardò Jimmy per lungo tempo.
- Perché non te ne vai da Chicago ragazzo? - chiese. - Se far parte di un
racket ti sembra una bella cosa, credimi, non lo è. Ti tireranno dentro fino
al collo, prima che tu capisca dove sei finito e che fine farai. Sarebbe
meglio che te ne tornassi a casa.
Jimmy scosse la testa. Ora era legato a Chicago con delle catene che
nessuno poteva spezzare. Qualsiasi destino lo attendesse, valeva la pena
rischiare per Minn Lee.
Sedeva per ore nella piccola stanza che aveva affittato e pensava a lei. In
uno dei rari momenti di lucidità, si meravigliò del fatto che lui, con la sua
educazione puritana, con i suoi ideali occidentali, potesse essere
completamente dominato da una donna dagli umili natali e dal passato
ambiguo.
Tuttavia, non riusciva a smettere di pensare a lei e, più la vedeva, più si
sentiva attratto, giorno dopo giorno, ora dopo ora.
La vita dei gangster era molto strana e complicata. Gli affari di Perelli
avevano tante ramificazioni, tante complicazioni!
Perelli aveva dei soci in imprese specifiche, con i quali divideva i
guadagni. Quando gli affari finivano, terminava anche la società e le
persone con le quali cenavi, passavi il tempo, erano pronte ad abbandonarti
alla prima occasione.
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
Gli uomini della banda, Angelo e Molos, sapevano come andavano
queste cose, ma Jimmy aveva creduto che le varie società fossero
permanenti.
C'era un ragazzo italiano molto simpatico, un certo Salvini, che
frequentava la casa di Perelli. Suonava molto bene il violino e Tony era
entusiasta della sua abilità. Poi, all'improvviso non venne più e, quando
Jimmy chiese il perché, Perelli e Angelo gli risposero evasivamente che il
suo lavoro era finito. Jimmy non chiese di che lavoro si trattasse. Un
giorno, attraversando Burnham Road, vide un gruppo di gente intorno a
una berlina. In quel momento arrivò una macchina della polizia a sirene
spiegate; i poliziotti fecero spostare la folla e si avvicinarono. Anche
Jimmy scese dalla sua macchina e si avvicinò. Quando arrivò, la polizia
stava estraendo un corpo inanimato.
Il volto era terribile da vedere, ma Jimmy riconobbe Salvini e quasi
svenne per l'orrore.
Si precipitò nel grande appartamento di Tony e trovò il padrone di casa
intento a dare gli ultimi ritocchi per il party di quella sera. Quando furono
soli, gli comunicò la notizia. Perelli ascoltò impassibile, senza dire una
parola, perché non c'era niente di particolare da dire. Quando Jimmy
terminò il racconto, annuì.
- Certo che era Salvini - disse. - E quella era proprio la sua macchina,
Jimmy. Le cose vanno così. Quel tizio non aveva l'arte di tacere. Gli ho
parlato io stesso, mi sono sorbito anche questa seccatura. Gli ho detto: Salvini, quando questo racket sarà finito, forse ti prenderò nella mia
organizzazione, ma non ora. - E vuoi sapere che cosa ha fatto? Ha vuotato
il sacco con la polizia federale, che ha fatto irruzione nei miei locali,
causandomi un sacco di guai.
Jimmy lo guardò terrorizzato.
- Ma tu... tu? - balbettò. - Non era uno dei tuoi uomini? Tony scosse la
testa.
- Tu... tu non...?
Perelli scosse di nuovo la testa.
- Non sono stato io, Jimmy. Io non faccio questo genere di cose. Ma
immagino che qualcuno dei ragazzi se la sia presa e che abbia agito di
conseguenza. Cos'altro potremmo fare?
Liquidò con leggerezza il discorso di questo omicidio.
C'era una linea ben definita che separava le diverse bande, quella di
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1931 - Furia A Chicago
Mike Feeney da una parte, quella di Tony Perelli dall'altra. Poi c'erano
determinati territori che non potevano essere invasi, terre di nessuno che
spesso erano causa di lotte per la conquista di una posizione strategica.
Perelli deteneva il monopolio delle slot machines; il gioco d'azzardo
garantiva guadagni favolosi. Qualche volta le sale da gioco venivano
attaccate, le slot machines rotte e gettate per strada; dopo avvenimenti di
questo genere, si vedevano vagabondare vicino alle sale degli uomini con
la faccia scura, che si aggiravano apparentemente senza meta ma che
invece cercavano qualcuno ed erano certi di essere a loro volta ricercati.
Tutto finiva con dei colpi di mitraglia, le sirene della polizia e
dell'ambulanza e un interrogatorio nell'ufficio privato di Kelly.
Per quanto riguardava lo spaccio di liquori, l'organizzazione era
impressionante. C'erano dei laboratori dove le sostanze venivano testate da
specialisti. Il liquore veniva distribuito con l'impiego di macchine, navi,
treni e perfino aerei. La trama di questi commerci era così complessa che
solo un esperto poteva seguirla.
Un giorno, mentre stava bevendo un tè nell'albergo più elegante di
Chicago, Jimmy si sentì chiamare da una voce stridula e vide che Con
O'Hara si stava avvicinando a lui. Con O'Hara era un uomo chiassoso,
pieno di arroganza; era brutale, uno spaccone e, tuttavia, a volte possedeva
un acuto senso dell'umorismo.
- Ti presento la signora O'Hara, Jimmy.
Jimmy guardò la ragazza e trasalì. L'aveva vista entrare dietro a O'Hara,
ma aveva pensato che fosse da sola e che stesse salendo in camera sua.
Non l'avrebbe mai collegata a quel killer brutale e rozzo. Era bella, alta e
snella e il suo volto assomigliava a quello di una Madonna. Aveva gli
occhi color grigio chiaro, come quelli di una bambina, e la bocca rossa,
che non aveva bisogno di trucco per essere seducente.
- Piacere di conoscervi, signor McGrath. Ho molto sentito parlare di voi.
Jimmy avrebbe preferito non sentirla parlare; aveva una voce pigra e
volgare,
che non si addiceva alla sua persona.
- Siediti baby. - O'Hara prese una sedia. - Stiamo andando in giro per
compere e Mary si rifarà il look in grande stile.
La guardò; era chiaramente innamorato di questa donna che chiamava,
senza diritto, signora O'Hara.
- Mi avevi detto che mi avresti fatto conoscere il signor Perelli.
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1931 - Furia A Chicago
Finse di mettergli il broncio e il disilluso Jimmy pensò che sembrava
una bambina sciocca.
- Certo che te lo faccio conoscere, mia cara, ma Tony questa sera è fuori.
Muore dalla voglia di conoscerlo - spiegò a Jimmy.
- Vorrei incontrare la signora Perelli, la ragazza cinese. Con arricciò il
naso.
- Ma lei non è nessuno, solo una cinese! Se è carina? Ma, forse lo è, ma
non è il mio ideale di bello.
Maria guardava Jimmy con un fermo sguardo di approvazione, anche
senza essere particolarmente interessata a lui. Le piaceva Chicago, ma non
quanto New York. Era una città favolosa ma, quando tutti i suoi amici
erano a Brooklyn... beh, lei si sentiva sola.
Doveva aver sentito parlare di Jimmy da Con, perché non gli mostrava
quel rispetto che gli avrebbe concesso se lui fosse stato un membro
importante dell'organizzazione. Comunque, non lo compativa, perché
Mary Pouluski era incapace di provare un simile sentimento.
Uscendo dall'hotel, Jimmy si imbatté inaspettatamente in Tony Perelli.
Si dirigeva verso Michigan Boulevard, accompagnato dai suoi quattro
killer, due davanti e due dietro, anche se Jimmy sospettò che ce ne fossero
altri quattro dall'altra parte della strada. Anche se Jimmy rimase sorpreso
di vederlo per strada, Perelli faceva diverse passeggiate di questo tipo, o
per concludere un affare di poca importanza o per fare dei regali a Minn
Lee, ma sempre per tenersi in forma.
Jimmy lo conosceva già troppo bene e non si avvicinò; lo seguì da
rispettosa distanza. Quando voltarono a destra nei Boulevard, Jimmy notò
che i quattro uomini si strinsero di più a Perelli. Non avevano percorso più
di cinquanta metri, quando una macchina si accostò al marciapiede dove si
trovavano...
Gli spari furono assordanti. Uno dei proiettili sfiorò il volto di Jimmy e
quasi lo ferì. Uno degli uomini di Tony era a terra. Gli altri tre sparavano
in direzione della macchina che ripartì di colpo fermandosi in mezzo alla
strada.
Il traffico stradale si paralizzò. Arrivarono di corsa dei poliziotti; uno di
loro aprì la portiera della macchina e tirò fuori il giovane che era alla
guida. Era mezzo morto, il sangue gli colava da dietro l'orecchio e il suo
volto era bianco come il gesso.
Gli altri due giacevano sul sedile posteriore della macchina. I killer di
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1931 - Furia A Chicago
Tony erano esperti.
Tony tornò dal Quartier Generale della polizia insolitamente furioso.
Uno dei suoi migliori tiratori era stato ucciso e il fatto che due dei loro
assalitori giacessero all'obitorio in attesa di essere identificati, non gli dava
certo soddisfazione.
- Erano gli uomini di Feeney e di Shaun O'Donnell... è certo.
- Così vanno le cose, Jimmy - aggiunse poi, con più calma. - Questa
mattina Shaun mi aveva mandato un messaggio per invitarmi a vederlo per
prendere accordi pacifici e oggi pomeriggio mi manda i suoi sicari per fare
la pace, eh? E poi, ha parlato così male di Minn Lee. Oh, Jimmy, sapessi le
cose che ha detto contro di lei!
Jimmy lo fissò.
- Perché? - chiese con ardore. - Minn Lee non gli ha fatto nulla.
- Così funzionano le cose, Jimmy. - Perelli annuì. - Voglio parlare un po'
con te ora.
"Ora" significava subito. Condusse Jimmy sul terrazzo e osservò
Chicago in quel glorioso tramonto italiano.
- Vedrai O'Donnell, Jimmy. Penso che verrà se gli telefonerai.
- Ma cosa potrei fare...? - cominciò Jimmy.
Tony lo azzittì con un gesto.
- Digli che vuoi definire le cose, che vuoi sapere quanto lontano si
voglia spingere. Quando gli parlerai al telefono, gli dirai che tu vuoi essere
onesto con me, ma che io non so che tu gli stai parlando. Io non voglio
guai, Jimmy, e tu sei l'uomo che può sistemare tutto.
Gli ci vollero due ore per raggiungere telefonicamente O'Donnell e
l'accoglienza non fu molto incoraggiante.
- Se fosse stato un altro a chiamarmi, Jimmy, lo avrei mandato al
diavolo - disse. - Ti sta istruendo per diventare il suo messaggero, vero?
Sappi che la settimana scorsa ha detto a tutti che sei uno stupido.
- Potremmo incontrarci da qualche parte? - chiese Jimmy. Silenzio.
- Perelli non penserà che io abbia qualcosa a che fare con la sparatoria di
oggi, vero, Jimmy?
C'era un'insolita nota di ansietà nella voce di Shaun.
- Beh... sì - esitò Jimmy. - Penso di sì.
L'onestà della risposta fece abbassare la guardia a O'Donnell.
- Va bene, t'incontrerò. Vieni all'angolo tra la Michigan e la
quarantottesima strada questa sera alle dieci. Non portare nessuno con te,
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
Jimmy... io mi fido di te. Sono sicuro che non succederà niente.
Jimmy riportò fedelmente il testo della telefonata e Tony gli diede una
pacca sulla spalla.
- Jimmy, sei in gamba - disse. - Andrai con la tua macchina fino al punto
d'incontro con Shaun. Con sarà seduto dietro, dove Shaun non può
vederlo. Ma forse tu non hai bisogno che Con venga con te.
Jimmy lo stava ad ascoltare con la testa che gli turbinava - Come? chiese sconvolto. - Cosa vuoi che faccia?
Lo sguardo di Perelli era di ghiaccio. Prese dalla tasca la sua Colt e la
passò a Jimmy.
- Mettila sotto l'ascella, Jimmy e dagli il benservito.
Ci fu un momento di silenzio. Il volto di Jimmy era cadaverico.
- Cosa vuoi che faccia?
Non gli sembrò neanche di essere stato lui a parlare.
- Non è che voglio, te lo ordino - disse Perelli freddamente. - Tu
ucciderai Shaun O'Donnell.
7.
Jimmy McGrath si ritrovò davanti alla porta del suo appartamento senza
sapere come ci fosse arrivato. Si muoveva meccanicamente, senza pensare.
Tutto il mondo era diventato una mostruosa irrealtà; le persone che
affollavano le strade, chiuse nella morsa del traffico, che partivano e si
fermavano ubbidienti ai semafori, erano diverse da lui. Avevano case,
parenti e interessi. Migliaia di loro si stavano cambiando per la cena in
quel momento...; tanti altri si stavano rilassando nella quiete dei loro
appartamenti, senza problemi, tranne i soliti guai di tutti i giorni...
Lui apparteneva a un'altra razza. Loro erano esseri umani, lui era
qualcosa di completamente diverso: era un potenziale assassino. Era
l'assassino a sangue freddo di un uomo che si fidava di lui come forse non
si era mai fidato di nessuno.
Il fatto che potesse restare ucciso nello scontro non gli interessava.
Rimase seduto a lungo, con la testa tra le mani a pensare. Gli venne la folle
idea di avvertire Shaun. Sarebbe stato semplice: bastava sollevare la
cornetta del telefono e fare un numero... e poi? Tony Perelli sarebbe di
certo venuto a saperlo. Notizie di questo genere viaggiano alla velocità
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
della luce. Quelli che per la polizia erano segreti, non lo erano certo per la
malavita. Senza dubbio Perelli avrebbe saputo che Jimmy lo aveva tradito
e c'era solo una punizione per il tradimento.
Tuttavia, non era la paura della punizione che lo rendeva indeciso: era
un perverso senso di fedeltà nei confronti di un uomo che ammirava, della
banda alla quale si era unito per la quale provava ripugnanza ma anche un
deviato senso di ubbidienza.
Questa era la fine, la fine di Jimmy McGarth. Se uccideva Shaun
O'Donnell la banda di Feeney lo avrebbe condannato. Sarebbe diventato
un bersaglio da abbattere; rise amaramente. Non aveva paura: se uccideva
Shaun, meritava di morire. Questo era l'inizio e la fine di tutto. Tony gli
avrebbe offerto protezione, l'avrebbe fatto allontanare da Chicago fino a
quando un crimine più grave non avrebbe fatto dimenticare il suo.
Era disperatamente dispiaciuto per Shaun ma, abbastanza stranamente,
non lo era per la signora O'Donnell, che pure era stata così gentile con lui.
Il fatto era che non aveva mai pensato a lei come a una donna che potesse
dipendere da qualcuno; non poteva immaginarsela protagonista di una
tragedia per la sua vedovanza. Pensava a lei solo come a un membro della
banda di Mike Feeney. Si poteva spaventarla, ma non averne paura.
Qualcuno bussò alla porta e lui balzò dalla sedia. Andò in anticamera e
aprì. Era Con O'Hara, con un nuovo vestito, un cappello in testa e un
fragrante sigaro tra le labbra.
- Hai da fare, ragazzo? - chiese.
Jimmy spalancò la porta e gli fece cenno di entrare.
- Vivi da solo, eh? Queste case non sono alla tua altezza! Tony ti
sistemerà in un appartamento più elegante.
Si guardò intorno con aria di disapprovazione.
- Non va bene per uno come te! - ripeté.
Si sedette dall'altra parte del tavolo, guardando Jimmy con gli occhi
socchiusi.
- Tutto pronto per questa notte, ragazzo?
Jimmy rabbrividì. Voleva sembrare indifferente e, per farlo, dovette
chiamare a raccolta tutte le sue forze.
- Sicuro.
- Dovrai scendere in garage e prendere il mio macinino, dove ci sarò già
io, nascosto. Gli uomini di Feeney sono molto attenti e controlleranno la
macchina; se io salissi con te, scoprirebbero tutto. La prima cosa che ci
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capiterebbe sarebbe una macchina che, avvicinandosi, ci scaricherebbe
addosso due mitragliatrici.
Con O'Hara era un uomo acuto e attento.
- Ascolta, Jimmie, non ti preoccupare. - Si tolse il sigaro dalle labbra e
sbuffò una nuvoletta di fumo contro il soffitto. - Vedi, non è niente. Tutti
dobbiamo morire, prima o poi. Leggendo quei maledetti giornali, verrebbe
da pensare che se uno non fosse stato assassinato, sarebbe vissuto per
sempre! Ma non è così! Hai mai pensato, Jimmie, che uccidendo un uomo
gli risparmi le sofferenze delle malattie e della vecchiaia?
Jimmy fece un gesto di impazienza.
- Il fatto è che non voglio pensarci.
- Naturalmente non vuoi pensarci - ripeté Con.
Gli diede altre istruzioni e la tabella di marcia e se ne andò a fare
rapporto al suo capo.
Tony non era in casa; lui e Minn Lee erano andati a fare un giro in
macchina, da qualche parte, in campagna. Perelli prendeva spesso la sua
macchina per svagarsi un po'.
Come di consueto, Angelo era nel suo appartamento a controllare i
documenti che erano arrivati dal Canada. Angelo Verona era più che il
segretario e il ragioniere di fiducia di Perelli; era considerato da tutti come
suo legittimo successore alla guida della banda. Stranamente, non era
siciliano. Nessuno sapeva il suo vero nome; lo chiamavano Verona perché
lo identificavano con la sua città natale. Era molto intelligente e
combinava le strategie con straordinaria abilità.
Feeney e O'Donnel lo rispettavano e lo temevano. Shaun era solito dire
che era il più pericoloso tra gli uomini di Perelli. Angelo era un brillante
tiratore, un esperto nelle armi e un'autorità nel campo dei liquori.
Se Shaun parlava di lui in termini di rispetto, Angelo non
contraccambiava questo sentimento. Non sopportava gli irlandesi e
detestava Con O'Hara più di qualsiasi altro irlandese.
- C'è il capo? - chiese Con mentre, lasciandosi cadere su una comoda
sedia, si accendeva un altro sigaro.
Angelo alzò gli occhi dal suo lavoro.
- Non gli va che tu lo chiami capo, Con - disse.
- Ho visto il ragazzo - disse Con.
Angelo, impegnato con un conto, grugnì qualcosa.
- Quel ragazzo non compirà mai un omicidio, neanche tra mille anni,
Edgar Wallace
39
1931 - Furia A Chicago
Angelo.
- Davvero? - Angelo si sforzò di sembrare interessato. - Per ragazzo
intendi...? - Jimmie McGrath. Ma Tony non deve preoccuparsi per questa
notte. Ci penserò io a Shaun...
Angelo si appoggiò allo schienale della sedia, con un sorriso di scherno.
- Di certo vengo a conoscenza di ciò in questo momento - disse. - Cos'è
questa faccenda di Shaun? Dovresti fare il giornalista! Perché non vai al
Tribune e non gli racconti tutto?
Con si fece accigliato.
- Suppongo che non si possa parlare con te, vero? Cosa vi prende a tutti
quanti, Angelo? Fate finta che non ci sia mai in ballo niente, anche se non
è vero.
Gli occhi scuri di Angelo sembrarono trapassarlo.
- Non succede nulla di cui valga la pena di parlare - disse con enfasi. Una volta ho letto un libro che diceva che il maggior pregio di un siluro è
che non fa rumore, cosa molto importante. Forse a New York la gente si
diverte a parlare tanto, ma qui, Con, noi ci comportiamo come se ci fosse
un microfono a ogni angolo della stanza, collegato con il Quartier
Generale della polizia.
Con si morse le labbra.
- Il Quartier Generale della polizia! Ascolta, amico...
- Noi sappiamo di che pasta sono fatti gli sbirri - disse Angelo, ponendo
l'accento su ogni parola.
In quel momento arrivò Tony; era solo perché Minn Lee era salita in
camera sua. Fece un pigro cenno di saluto a Con e, avvicinandosi al tavolo
dove era seduto Angelo, gli parlò a bassa voce, in italiano. Tony usava
spesso questa lingua per conversazioni confidenziali e, solo in questi casi,
anche Angelo gli rispondeva in italiano.
Questo irritò molto Con; lo faceva sentire escluso.
- Cos'è questa idea di lasciarmi fuori dal discorso? Perelli lanciò al suo
servitore un'occhiata indolente.
- Qualcuno ti ha mai detto che fai parte del discorso? - chiese.
- Già che ero qui... - incominciò Con.
- E chi ti ha invitato? Credi forse che questo sia un locale pubblico dove
può entrare chiunque per farsi una bevuta?
- Ero venuto a parlarti di Jimmie - disse Con, ferito nella sua vanità. Senti, preferirei fare questo lavoro senza di lui. Sembra che debba svenire
Edgar Wallace
40
1931 - Furia A Chicago
da un momento all'altro.
Perelli gli si avvicinò lentamente, con le mani sui fianchi e la testa
piegata da un lato.
- Ti ho forse chiesto qualcosa in merito? - chiese. - Questo omicidio è di
Jimmy. Se riesce a farlo fuori senza la tua pistola, lascialo fare. Tu sei lì
solo per aiutarlo in caso si innervosisca o che Shaun reagisca. Non sei tu
che lo porti: è lui a portarti. Mettitelo bene in testa, Con. Il viso di Con si
incupì: era un uomo ferito.
- O.K. - grugnì.
Cercò di trovare una scusa per rimanere e per creare un'atmosfera meno
ostile ma, non riuscendoci, non gli restò che un'ignominiosa uscita di
scena.
I due uomini non parlarono per un po', anche dopo che Con se ne fu
andato. Poi, Angelo disse in italiano.
- È un errore mandare quel ragazzo, Antonio. Se vuoi fargli fare
esperienza, comincia con un lavoro meno importante.
Tony scosse la testa.
- Lui non è ancora dentro del tutto e questo è l'unico modo per
coinvolgerlo - disse. - Fino a quando Jimmy non dovrà stare in guardia a
ogni suo passo, fino a quando non saprà che ogni uomo di Feeney lo
cercherà per farlo fuori, non saprà che cosa è il racket.
Angelo scosse la testa.
- Non sono d'accordo. Lasciamo le cose come stanno - disse. - Rischi di
bruciare uno in gamba.
Tony si spostava spesso per la città. Aveva depositi e uffici, laboratori e
birrerie e altri affari non ben definibili che richiedevano la sua attenzione
personale e, poiché erano molto numerosi, non passava giorno che non
dovesse lasciare il suo appartamento. Di solito, le ore tra le sei e le nove
erano le più noiose da sopportare per Minn Lee, e l'arrivo di Jimmy la
sollevò dalla noia delle prime ore della sera.
- Oh, Jimmy, cominciavo a pensare che non saresti più venuto... - iniziò,
ma poi vide il volto di lui.
Era bianco e sconvolto. C'era un'insolita freddezza nei suoi occhi.
- Non stai bene, Jimmie? Lui scosse la testa.
- Sto bene, Minn Lee. Ho pensato di salire per parlare un po' con te. Lei
sorrise e gli indicò una sedia.
- Potremo parlare a lungo, Jimmie - disse. - Tony non tornerà prima
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1931 - Furia A Chicago
delle dieci. Lui sospirò profondamente. Alle dieci sarebbero successe
molte cose che avrebbero sconvolto la sua vita.
Gli fu difficile cominciare a parlare, ma alla fine, raccolse le sue forze.
- Se mi dovesse accadere qualcosa, Minn Lee... vorrei che tu sapessi che
hai contato moltissimo per me... sei stata una persona fondamentale nella
mia vita, Minn Lee... può sembrare sciocco e falso, ma Dio sa che è la
verità. So che gli altri penserebbero che sono pazzo se sapessero cosa
provo per te; so tutto di te e Perelli... non siete sposati, vero?
Lei scosse la testa.
- Naturalmente, lo sapevo - continuò - ma non ha importanza. Io non
potrei darti niente. Sono solo un povero sciocco e debole innamorato.
Rise amaramente.
- Penso di stare compatendo me stesso. Seguì un momento di silenzio.
- Cosa vuoi dire con "se mi dovesse succedere qualcosa" Jimmie? chiese lei con tranquillità e lui si sforzò di sorridere.
- Be', tu sai com'è il racket - disse. - Oggi ci sei, domani puoi essertene
andato.
- Perché mai dovresti andartene domani, Jimmie? - I suoi occhi non
smettevano di guardarlo. - Deve succedere qualcosa di tremendo questa
notte?
Aprì la bocca per raccontarle tutto, poi cambiò idea e scosse la testa.
- No, dicevo per dire, Minn Lee. Si alzò bruscamente in piedi.
- Te ne vai? - chiese lei, sorpresa.
Lui annuì. Fin dall'inizio aveva fatto fatica a controllare il tono della
voce; ora lo trovava impossibile. Le si avvicinò, le prese una mano che
strinse tra le sue prima di baciarla. Un attimo dopo, se ne era già andato.
Il garage era a pochi isolati di distanza; Jimmy ci andò a piedi. Dando un
nome falso, che Con aveva dato a quelli del garage, chiese la macchina di
O'Hara. Uno degli uomini gli consegnò la macchina e non fece più caso a
lui.
Il cuore gli batteva furiosamente mentre apriva la portiera.
- L'altra portiera, stupido! - sibilò una voce. Jimmy vide Con O'Hara
accucciato sul pavimento, coperto da un telo scuro.
Chiuse la portiera, fece il giro della macchina e prese posto al volante.
C'era molto buio; la strada era bagnata e scivolosa. Uscì dal garage, svoltò
a sinistra e guidò a velocità sostenuta, raggiungendo Michigan Boulevard
in cinque minuti.
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1931 - Furia A Chicago
Una macchina li incrociò, puntandogli i fari negli occhi e accecandolo
per qualche secondo.
- Cosa ti avevo detto, Jimmie? O'Hara si tolse il telo che lo copriva.
- Mi stanno cercando.
Raggiunsero la periferia della città e furono sottoposti a un altro
controllo: un'altra macchina venne lentamente verso di loro, colpendo
Jimmy in pieno viso. Abbassò lo sguardo per evitare di rimanere accecato.
- Quello era Shaun - disse Con a bassa voce. - Mike Feeney non sa che
deve incontrarsi con te, altrimenti non saremmo andati così lontano,
credimi, ragazzo! È la tua occasione... prenditela!
Infine, arrivarono al punto dove dovevano incontrarsi con Shaun. Era
una strada isolata; Jimmy accostò la macchina. Il suo cuore batteva così
all'impazzata, che quasi non riusciva a respirare. Si mise una mano in
tasca; prese la pistola, la caricò e la appoggiò sul sedile di fianco.
Non si vedeva nessuno, a parte una o due macchine che andavano verso
la città.
- Vedi qualcosa, ragazzo? - borbottò Con da dietro il sedile.
- Niente.
Guardò attraverso il finestrino posteriore. Una donna con una pesante
borsa si stava avvicinando alla loro macchina. Sicuramente era a servizio
in una delle case che costeggiavano la strada. Passò oltre. Poi Jimmy vide
una figura che avanzava frettolosa lungo il marciapiede, costeggiando il
muro. Man mano che si avvicinava, il ragazzo lo riconobbe e si sentì quasi
svenire.
Scese dalla macchina, con le gambe che gli tremavano e la mano che
stringeva la pistola.
- Sei tu, Jimmie?
Shaun O'Donnell veniva rapidamente verso di lui.
- Ascolta, ragazzo, posso darti solo qualche minuto. Ci sono guai in città
e...
Jimmy cercò di tenere la mano salda. Sollevò la pistola e fece fuoco. Il
primo colpo mancò il bersaglio. Fece fuoco ancora. Shaun O'Donnell cercò
affannosamente il suo revolver, indietreggiando verso la siepe.
- Tu...!
Tre spari in rapida successione scoppiarono nelle orecchie di Jimmy.
Con O'Hara aveva sparato con freddezza e precisione. Shaun O'Donnell
piombò sulla siepe. Si sentì una sirena in lontananza.
Edgar Wallace
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- Filiamocela! - gridò O'Hara, correndo verso la macchina.
Prese il volante. Jimmy era seduto di fianco a lui, immobile, incapace di
muoversi e perfino di pensare.
Shaun O'Donnell era morto... lui lo aveva ucciso... lo aveva spinto alla
morte... con il più sporco dei trucchi...
- Oh, mio Dio!
La macchina correva come il vento. Con O'Hara era stato anche pilota
da corsa e quella macchina raggiungeva forti velocità.
Mentre guidava, cominciò a parlare.
- Sono stato io a ucciderlo, ragazzo, tu l'hai mancato. Ti sei lasciato
andare. Non ti biasimo per questo, Jimmie. Tu non hai la mia esperienza
né i miei nervi saldi. Non preoccuparti, ragazzo. Stai lì seduto e beviti un
goccio di quella roba che troverai nel cruscotto.
Jimmy se ne stava lì seduto, a guardare attraverso il vetro del finestrino.
Assassino... Jimmy McGrath... sei un assassino!
8.
La notizia divampò per tutta Chicago: Shaun O'Donnell era stato
assassinato. Era una notizia molto importante, perché Shaun era un pezzo
grosso tra quelli mediocri, una vera potenza, un uomo al quale i gangster
minori si rivolgevano, se non per conforto, per aiuti materiali. Era un
pezzo grosso in questo senso e, a una sua parola, gli uomini venivano fatti
fuori con rapidità, in circostanze dolorose.
Ora Shaun era morto e sua moglie dimostrò un inaspettato dolore
femminile con un attacco isterico, gridando che suo marito era stato
assassinato. La macchina dell'ispettore Harrigan l'aspettava all'ingresso del
Brother Hospital, dove Shaun giaceva in condizioni disperate: l'unico aiuto
che gli si potesse dare era quello di un prete chiamato in tutta fretta.
Il piccolo prete era a fianco del letto del moribondo con Harrigan. Il
poliziotto di ronda, che lo aveva trovato e che lo aveva portato
all'ospedale, se ne stava lì, tutto macchiato di fango, molto interessato alla
faccenda, perché non gli era mai capitato di assistere a una sparatoria tra
gangster.
Il medico, con il camice bianco, molto freddo, indifferente ma molto
efficiente, sapendo che a mezzanotte gli avrebbero dato il cambio e che lo
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
aspettava un appuntamento con una ragazza al Blackstone, dove
l'Associazione dei Medici stava dando una festa, si degnò di aspettare
l'inevitabile fine.
Harrigan, che era stato il primo ad avere la notizia, doveva sbrigare
dell'inutile burocrazia, inutilità enfatizzata dalla domanda che il prete gli
rivolse bisbigliando.
- Avete idea di chi possa essere stato?
Il dottore, sentendo che il sacerdote parlava a bassa voce, si voltò e
sorrise.
- Non è necessario che parliate a bassa voce; potete anche gridare. Non
lo disturbate, perché non può sentirvi. Riprenderà conoscenza, ma non per
molto.
Il prete sospirò. Anche per lui era il primo contatto con questa forma di
violenza. Era giovane, cattolico, idealista e nuovo di Chicago. Parlava
inglese con un leggero accento straniero. Ancora qualche giorno e sarebbe
ripartito per Roma e per la tranquillità di un vescovado, perché era di
famiglia nobile e ben istruito: il tipo giusto per fare carriera.
- Non posso concepire questi crimini! - Era sbalordito. - Ogni settimana
leggo sul giornale che qualcuno è stato ucciso in questo modo. È
spaventoso! È stata una sparatoria di gangster?
Harrigan annuì lentamente.
- Sì. Era uno della banda di Mike Feeney.
- Dove l'hai trovato? - chiese Harrigan al poliziotto, che sembrò
svegliarsi all'improvviso dal suo stupore.
Lo aveva trovato all'angolo della Atlantic e della novantacinquesima. Si
trovava a due isolati di distanza quando aveva sentito gli spari ed era
arrivato in tempo per vedere una macchina fuggire a grande velocità nelle
tenebre. Era corso al telefono più vicino e aveva chiamato il Quartier
Generale.
- Non ha detto nulla? - chiese Harrigan.
Al poliziotto era sembrato che bisbigliasse un nome: Jimmie. Era certo
invece che avesse bestemmiato. Harrigan pensò che l'assassinio era
avvenuto in un posto strano, e si chiese come mai Shaun vi fosse andato
senza guardie del corpo e senza i suoi killer e perché avesse parcheggiato
la macchina duecento metri indietro e anche perché avesse attraversato
Chicago senza autista. Corrugò la fronte mentre vagliava tutte le
possibilità e si chiese ad alta voce se non fosse stato Feeney a consegnarlo.
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
Il prete, evidentemente, non aveva mai sentito quest'espressione.
- Consegnarlo?
- Certo, padre - annuì Harrigan e, in quel momento, il sacerdote si
ricordò di aver già sentito quella frase.
- Fatto uccidere dai suoi stessi compagni? Orribile! Ma perché? Harrigan
scosse di nuovo la testa e rispose con pazienza.
- Questo è il prezzo che a volte le bande pagano per la pace - disse. - I
capi delle bande non possono controllare tutti i loro uomini, e se uno di
loro comincia a sparare su una banda rivale, il capo può aiutalo o
consegnarlo... cioè mandarlo in un posto dove l'altra banda possa
raggiungerlo con facilità.
Il giovane prete mormorò.
- Un sacrificio umano!
- Lo sarebbe, padre - disse Harrigan con un freddo sorriso - se questi
fossero degli uomini, ma questa gente... - indicò con un gesto espressivo il
moribondo.
Shaun si stava muovendo. Riuscirono a captare il debole suono della sua
voce. Il medico alzò gli occhi e fece un cenno con la testa, perché aveva le
mani occupate.
- Non avete molto tempo - bisbigliò.
Harrigan si sedette sul letto e si chinò verso Shaun.
- Salve, Shaun. Mi riconosci? Pat Harrigan. Capitano Pat Harrigan...
Intravide un bagliore di vita in quegli occhi morenti.
- Mi sembri in forma, amico! Sono stato un ottimo amico per te, Shaun...
davvero ottimo. La prima volta che sei finito dentro, sono stato io a
prendermi cura di tua madre, vero? Quindi, hai intenzione di dirmi chi ti
ha conciato così, o no?
Il moribondo emise deboli lamenti. Harrigan si chinò verso di lui e
annuì.
- Sì, ho mandato a chiamare tua moglie, con la mia macchina. Ti hanno
fregato, vero Shaun, ti hanno mandato loro a quell'appuntamento? - Si
fermò speranzoso.
Shaun O'Donnell aveva capito la domanda, ma non rispose.
- Parla, amico. Non è stato Feeney? Sono stati due della banda di Perelli,
non è vero, Shaun?
Lo sguardo del moribondo era fisso, e la voce di Harrigan divenne più
pressante.
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- Non avrai intenzione di presentarti davanti a Dio con un'ultima bugia
sull'anima! È stato Con O'Hara a fregarti? Shaun, per l'amor del cielo, non
andartene senza aver detto la verità. Sono stati gli uomini di Perelli? Con
O'Hara? Rispondi!
Attese...
Fedele alle tradizioni dei gangster, Shaun non parlò. La polizia non
significava nulla. Le loro promesse di vendetta non avevano senso. Taceva
non perché non avesse fiducia nella polizia e neppure per un distorto senso
dell'onore, ma perché sapeva bene che la sua banda avrebbe saldato il
conto con i suoi assassini molto più velocemente. Lui si basava su
un'autorità più potente di quella della polizia. Nella sua coscienza,
offuscata per l'arrivo della morte, lui sapeva che la macchina della vendetta
si sarebbe mossa molto in fretta.
Harrigan capì tutto questo dal suo sguardo. Si voltò verso il sacerdote e
fece un cenno con il capo.
- Ecco come sono... ottusi- disse amaramente. Il sacerdote si
inginocchiò, dando un'occhiata all'orologio. Shaun non li costrinse a una
lunga attesa.
Quando la signora Shaun arrivò all'ospedale, non le restò altro da fare
che preparare i funerali. Se aveva pianto prima, ora non versò una lacrima.
Le sue istruzioni furono chiare e precise al punto da risultare fredde. Forse
il determinare con precisione l'esatta qualità della bara d'argento che
doveva contenere le spoglie mortali di Shaun O'Donnell e il precisare che
non sarebbe dovuta costare più di quel tanto, era un modo per consolare la
sua anima afflitta.
Il medico, che si stava vestendo per andare al party, ascoltò sbalordito la
discussione che si stava svolgendo nel suo ufficio. La signora era
accompagnata da tre degli uomini di fiducia di Mike Feeney e da un
giovanotto effeminato che prendeva appunti su un'agenda ricoperta di pelle
rossa con i bordi dorati. Poi la signora lasciò l'ospedale e se ne andò,
sempre con quegli uomini.
Il più importante di loro, Spike Milligan, allampanato, con il volto
affilato e i capelli rossicci, con l'aspetto di un benestante impiegato di
banca, in realtà più feroce di un serpente a sonagli, fu il primo a parlare
dell'importante questione della vendetta. Mike Feeney era nell'Indiana, per
importanti affari. Milligan lo aveva informato dell'accaduto con un
telegramma e Mike stava ritornando durante la notte.
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1931 - Furia A Chicago
- Sono stati Jimmy McGrath e Con O'Hara - disse la signora O'Donnell.
- Tu li hai visti tornare in città, vero Spike?
Spike annuì.
- Sapevo che Shaun doveva incontrarsi con Jimmy - proseguì. - Mi
diceva di rado dove andava, ma oggi me lo ha detto e io ho cercato di
convincerlo a restare a casa. Perelli ha mandato Jimmie perché sapeva che
Shaun si fidava di lui. Quegli assassini devono essere sistemati prima che
ritorni Mike.
- Sono d'accordo - disse Spike. Gli altri annuirono.
- Jimmie non è nessuno... è l'ultimo arrivato...
- Ma non se la caverà - disse Spike. - O'Hara vive in un appartamento a
North State. Vive lì con la sua donna.
- Ma Perelli... - disse uno degli uomini.
- Non c'è nessuno di voi che abbia abbastanza fegato per affrontarlo? esclamò la signora O'Donnell.
Spike si guardò le unghie ben curate.
- Non è facile, signora. - C'era una nota di scusa nella sua voce. - Gli
altri due, bene, loro pensano che non li abbia visti nessuno: sarà facile
beccarli. Prenderò Jimmie e Con.
Il volto già brutto della donna si trasformò in una maschera di odio.
- Inchioderò Perelli - disse tra i denti. Seguì un lungo silenzio, poi si alzò
dal tavolo.
- Andate e sistemate quei due - disse, e i killer uscirono per la loro
missione.
9.
Le reazioni di Jimmy furono strane e inaspettate. Era freddo e, quando
salutò Con e si avviò a piedi verso casa sua, la sua mente era calma.
Aveva fatto il grande passo, e non poteva fare altro che aspettare. Aveva
superato la fase della pietà per sé e per Shaun. Le sue mani erano sporche
di sangue... del sangue di un amico. Era diventato uno spietato assassino.
Prima di allora, non aveva mai capito quelle sparatorie, erano al di là della
sua comprensione. Non aveva neppure mai pensato di poter essere nei
panni dell'assassino, e ora, invece, era un assassino! Era insensibile al
dolore e al rimorso. Era come se il suo senso del male e del bene fosse
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1931 - Furia A Chicago
stato anestetizzato. Era del tutto insensibile. Le parti del suo cervello che
erano ancora ricettive non riuscivano a provare alcun sentimento.
Salì in camera sua, aprì la porta, accese le luci, richiuse la porta alle sue
spalle e si lavò le mani. Era molto assetato e bevve un bicchiere d'acqua
dopo l'altro. Si tolse il soprabito e la giacca, si slacciò la camicia e, dopo
aver gettato in un angolo le scarpe, si accasciò sul letto, coprendosi con il
lenzuolo e spegnendo le luci.
Pensava che il sonno gli sarebbe stato negato, invece si addormentò
subito. Dormiva profondamente quando qualcuno bussò alla porta. Si
svegliò all'improvviso, balzando dal letto. La sua pistola era sul tavolo,
dove l'aveva lasciata. L'afferrò, con il cuore che gli batteva all'impazzata.
Sentì bussare di nuovo e poi udì una voce nota: era Angelo.
- Apri la porta, Jimmie.
Tolse la serratura e Angelo entrò.
- Stavi dormendo, eh? - Era sinceramente sorpreso. - Mettiti le scarpe e
la giacca.
- Tony mi vuole? Angelo scosse la testa.
- No, ma dormirai in un altro posto questa notte. Questo non è molto
sicuro, Jimmie.
Jimmie sentì che la gola gli bruciava.
- Loro sanno... - balbettò - di Shaun... e di me?
- Certo che lo sanno - disse Angelo con freddezza. - Hanno visto Con
che tornava verso la città con te.
Angelo guardò il suo orologio.
- Sbrigati - tagliò corto.
Jimmie si infilò in fretta le scarpe, si buttò la giacca sulle spalle e, dopo
essersi messo in tasca la pistola, seguì Angelo fuori dalla stanza.
- Spegni le luci e chiudi la porta a chiave - ordinò Angelo, e Jimmie
ubbidì alla prima istruzione.
Tremava violentemente. Il suo respiro era diventato un rapido ansimare,
come se avesse corso per chilometri.
Scesero le scale e uscirono sul marciapiede. Il pezzo di strada che li
separava dalla macchina era sorvegliato da due uomini. Jimmy non rivolse
loro una parola, e neppure Angelo, ma li sorpassarono.
Un quarto d'ora più tardi, Jimmie si ritrovò in un nuovo appartamento, in
un piccolo hotel, vicino alla casa di Perelli.
- Non aprire a nessuno. Domani mattina manderò qualcuno che ti porterà
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la colazione. Tony vorrà vederti.
- Dov'è Con?
- A casa - rispose Angelo, impaziente.
Non era dell'umore adatto per rispondere a delle domande; essendo stato
svegliato in piena notte e mandato a proteggere l'ultimo venuto dalla
vendetta di Feeney, era ansioso di tornare nel suo confortevole
appartamento.
Attese fuori dalla porta, fino a quando non sentì scattare la serratura, poi
entrò nell'ascensore.
Perelli era il proprietario dell'albergo, e Jimmie era al sicuro, per quella
notte.
Spike Milligan non andò subito alla ricerca di Jimmy: voleva occuparsi
dell'elemento più difficile. L'appartamento di Con O'Hara era occupato:
c'era una finestra illuminata, lo si vedeva anche dalla strada. Spike andò
allo spaccio più vicino e gli telefonò.
- Sei tu, Con?
Milligan conosceva O'Hara perché erano stati membri della stessa banda
a New York.
- Sono Spike.
- Sì? - rispose Con, molto cauto.
- Senti, Con, vorrei vederti. Shaun O'Donnell ha avuto il benservito
questa notte e pare che la banda si sciolga. Dimmi, come potremmo
venirne fuori?
Con O'Hara non era intelligente, ma aveva in comune con gli animali un
certo istinto per il pericolo.
- Ci sarebbe un modo. Vediamoci domani mattina, Spike. Ho un po' di
influenza e non sono uscito questa sera.
- Perché non va bene questa sera? - chiese Spike.
- Perché non va bene domani mattina? - incalzò Con. Seguì una pausa.
- Va bene; ti chiamerò io e vedremo cosa fare...
- Non lo saprai mai, se vieni da me questa notte, amico - disse Con, con
un tono che non poteva essere interpretato male.
Spike ci pensò un attimo. O'Hara era nell'organizzazione o era solo uno
dei killer che Perelli utilizzava ogni tanto?
Spike sapeva il giorno e l'ora in cui O'Hara era arrivato in città e, tutto
sommato, probabilmente era un killer a pagamento, non protetto
dall'organizzazione di Perelli.
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1931 - Furia A Chicago
- Non sarà difficile arrivare a lui - pensò - e senza conseguenze.
Era spaventato dalla signora O'Donnell, come tutti gli altri. Andare da
lei e comunicare un fallimento, sarebbe stato come essere travolti da una
valanga di guai. Ritornò dagli altri e, dopo una breve consultazione,
ritornarono all'appartamento di O'Hara.
Entrare nell'appartamento non era difficile: c'era un portiere che era
anche addetto all'ascensore e la porta principale era aperta giorno e notte.
Quando arrivarono in vista della casa, videro una berlina venire dalla
città e fermarsi a una cinquantina di metri dall'ingresso. Le luci si spensero
ma non scese nessuno.
Spike si fermò nelle tenebre e grugnì. Entrare nell'appartamento
significava prenotarsi per un funerale di nessun valore, visto che tutta
l'attenzione sarebbe stata rivolta a Shaun. Tornarono alla macchina e si
avviarono verso la casa di Jimmy. Se anche lì avessero trovato
un'automobile, non avrebbero potuto fare altro che tornare a casa.
Arrivarono all'abitazione del ragazzo: non c'era segno di macchine di
guardia. Fermarono l'auto a un centinaio di metri, Spike scese e si avviò a
piedi verso la porta d'ingresso. Aprirla non era un problema: Spike aveva
abitato lì per un po' e, dopo aver parlato con la signora O'Donnell, era
tornato a casa e aveva preso la chiave.
Il corridoio era buio. Salì lentamente al terzo piano e bussò alla porta di
Jimmy. Nessuna risposta. Bussò ancora, ascoltando con attenzione. Se
Jimmy avesse fatto un solo movimento nel letto, lo avrebbe sentito. Invece
non sentì nulla, né uno scricchiolio, né rumore di passi felpati. Girò la
maniglia e, quando vide che la porta non era chiusa a chiave, capì che la
stanza era vuota. Jimmy non aveva obbedito alla seconda istruzione di
Angelo.
Spike accese le luci e si guardò intorno; qualcuno aveva dormito nel
letto, ma non a lungo; con la sua esperienza, capì tutto. Perelli lo aveva
fatto trasferire. All'improvviso avvertì lungo la spina dorsale la
premonizione di un pericolo. Se Perelli aveva fatto trasferire il suo uomo,
era perché sapeva che qualcuno lo avrebbe cercato.
Spense le luci e scese le scale, con la pistola puntata, attento al più lieve
suono. Il suo pollice premeva sul grilletto della sua Colt: non doveva fare
altro che premerlo e, chiunque si fosse trovato nel raggio dell'arma,
sarebbe stato spacciato.
Aprì la porta d'ingresso e si fermò. Proprio davanti, sul marciapiede sul
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quale doveva passare, c'era la berlina che aveva visto sotto l'appartamento
di O'Hara. Rimase paralizzato per una frazione di secondo, poi si sentì
puntare la canna di una pistola alla schiena.
- Muoviti, Spike - mormorò una voce dietro di lui.
Venne spinto giù dai gradini mentre altri due uomini scendevano dalla
macchina. Uno di loro gli tolse la pistola dalle mani, facendo scivolare le
sue dita tra quelle di Spike per abbassare la canna.
- Cosa volete fare?
Aveva la gola secca e la voce era ansimante. Si guardò intorno: non c'era
segno dell'auto con i suoi compagni che probabilmente lo stavano
aspettando a due isolati di distanza, a meno che non avessero visto la
macchina. Ma, data la situazione, evidentemente erano stati tanto stupidi
da non vederla. L'uomo dietro di lui chiuse con gentilezza il portone.
- Andiamo a fare un giro, Spike - disse.
Fu scaraventato nella macchina a fianco dell'autista. L'auto si avviò.
- Dico, cosa avete intenzione di fare? - ripeté. - Stavo solo portando un
messaggio di Shaun a Jimmie.
Si sentì una risata provenire dal sedile posteriore.
- Ora porterai un messaggio di Jimmie a Shaun - lo canzonò quella voce.
La macchina avanzava a velocità sostenuta e Spike non poté far altro che
chiedersi dove si stessero dirigendo. Ogni banda aveva i suoi luoghi
preferiti.
Tutti i pensieri, l'immaginazione, le speranze, i desideri, se ne andarono
con uno sparo assordante. L'autista rallentò e si accostò al margine della
strada. L'uomo che aveva sparato posò la pistola, aprì la portiera e,
trascinando il cadavere sulle spalle, lo abbandonò sulla strada. Facendo
attenzione a non passare con i pneumatici sul cadavere, la macchina
ripartì.
10.
Mike Feeney tornò da Indianapolis più preoccupato che con intenzioni
vendicative. Era un uomo riflessivo, che non agiva d'impulso e, sebbene
rimanesse turbato, ma non spaventato, dallo scoppio d'ira della sorella che
lo salutò al suo arrivo, analizzò la situazione come un buon capo di racket
dovrebbe fare, cioè dal punto di vista degli affari.
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
- Spike non è tornato.
- È logico che Spike non sia tornato.
Fu lieto di avere l'opportunità di dimostrare la sua superiorità strategica.
- È stata una follia mandare tre uomini a cercare Jimmy e O'Hara! Non
hai pensato che Perelli se lo sarebbe aspettato? Ah no, taci! - gridò,
sentendo che lei alzava la voce. - C'è solo un modo per inchiodare Tony, e
io lo conosco. I nostri ragazzi prenderanno i loro. Così ho deciso, quindi
smettila di strillare.
Si sedette al tavolo per gustarsi un'abbondante colazione; era stanco,
frustrato e arrabbiato e, dietro il motivo immediato della rabbia, c'era la
paura che assale questi uomini che conducono una vita così precaria.
Cercando di ricordare le conoscenze che aveva tra gli uomini di Perelli,
considerò quale poteva essere un buon punto di contatto.
Angelo...?
Era stato in amicizia con Angelo, con il quale aveva avuto degli interessi
comuni, una fusione che aveva dato a Feeney il controllo su determinate
aree. Mike aveva organizzato una festa di compleanno da Bellini e Angelo
gli aveva fatto la mezza promessa che in quell'occasione sarebbe stato
proclamato un armistizio e che Perelli in persona sarebbe andato a parlare
con il suo rivale. Sarebbe stata una riunione importantissima, con la
presenza di qualche giudice, che avrebbe dato una nota di eleganza, di
solito assente in riunioni di questo genere.
Fece colazione da solo. La sua posizione era molto seria. Non c'era
nessuno che potesse prendere il posto di Shaun; c'erano molti aspetti da
considerare e bisognava decidere una linea di azione. La sua stessa vita
dipendeva dalle decisioni che avrebbe preso...
Tony Perelli non fece colazione presto quella mattina.
Il sole era già alto e lui era ancora seduto al suo organo; le sue dita
correvano ispirate sui tasti e la sua mente era pervasa dalla musica,
dimentica di qualsiasi altra cosa. Minn Lee era seduta sulla predella
dell'organo, intenta a ricamare con assoluta precisione un dragone cinese,
che l'aveva impegnata fin da quando era andata a vivere con Tony. Era una
figura estremamente complicata e lei la ricamava senza l'aiuto di un
disegno. Le forme erano delicate, bellissime... Tony ne era orgogliosissimo
ed era capace di interrompere una cena per chiederle di mostrare ai suoi
ospiti il dragone cinese. Smise di suonare, allungando le gambe.
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
- Ti piace? - chiese. Lei annuì.
Teneva in grande considerazione il giudizio di Minn Lee, forse perché
lui cercava approvazione per la sua musica e lei lo approvava sempre.
- Gounod - disse. - Che peccato che non sia nato in Italia! Però è stato
educato a Roma. Non immaginavi che io lo sapessi, vero?
Lei lo guardò con quel suo sorriso imperscrutabile che non lasciava
trapelare molto.
- Tu sai tutto, Tony.
Lui sorrise compiacente. Minn Lee era l'unica persona al mondo con la
quale si sentiva così soddisfatto.
- Ah, la musica - disse. - Forse, se fossi rimasto nell'orchestra di
Cosmolino, sarei diventato un buon musicista, ma ero troppo ambizioso.
Così diventai un cuoco; è arte anche quella!
Aveva detto quasi il vero.
Non era mai stato davvero un cuoco, ma provava una perversa
soddisfazione nel proclamare che le sue origini erano più basse della
realtà. Nessuno avrebbe mai sospettato che Antonio Perelli soffrisse di un
complesso si inferiorità, ma così era. Nessuno era più consapevole di lui
dei suoi difetti a livello sociale. Una volta aveva ucciso un suo ex maestro,
un membro della vecchia banda Dominic, che aveva criticato un suo scritto
e aveva messo in dubbio la sua cultura.
Angelo Verona entrò in quel momento; era molto stanco e non era
dell'umore migliore. Era stato fuori tutta la notte cercando di sistemare le
cose. Si tolse i guanti e il soprabito e, dopo aver preso dalla tasca dei
giornali, li buttò su una sedia. Appoggiò i giornali sul tavolo e lanciò
un'occhiata interrogativa a Minn Lee.
- Hai bisogno di me, Angelo?
- Sì - rispose.
Tony si alzò e aiutò la ragazza ad alzarsi.
- Lasciaci soli, piccolo angelo cinese; ti manderò a chiamare più tardi.
Vicino alla porta la ragazza si voltò, chiedendosi se Tony si era
dimenticato della promessa.
- Avevi detto che saresti venuto a trovarmi in camera mia... - cominciò.
- Ho detto che ti farò chiamare. - La sua voce era alterata. - Dannazione,
non hai sentito?
Così era Tony, il Tony che aveva quasi imparato a capire. Sorrise e se ne
andò, ubbidiente. Dopo che se ne fu andata, Perelli chiese: - Ebbene?
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1931 - Furia A Chicago
Angelo riportò brevemente i fatti.
- Quel treno dal Canada: una confezione si è aperta e il liquore è andato
perso.
Normalmente, la notizia che del liquore era andato perso sarebbe stata
sufficiente per scatenare la rabbia di Tony. Questa volta, invece, se Angelo
si aspettava una sfuriata, rimase piacevolmente sorpreso.
- Abbiamo perso metà del carico? - disse Tony. - Lo sapevo. È stata la
polizia di Michigan. Sono stato io a dire loro del carico e di servirsi pure.
Angelo grugnì e consultò i suoi appunti.
- Bene, si sono serviti! E io avevo dato cinquecento dollari al
capostazione e duemila dollari all'ufficiale dei controlli per cercare di
arginare la situazione!
Tony disse che ne era valsa la pena. Lui non voleva guai: questo era il
suo motto. Non voleva guai con la polizia, con le autorità federali, con
Feeney o con qualsiasi altra banda.
- Cominceremo a caricare domani - disse Angelo. - È roba di prima
scelta.
Tony diede un'occhiata alla lista. Notò due o tre nomi familiari e, prima
di ritornare a suonare, avvertì Angelo.
- Stai attento, Angelo - disse. - Quel giudice Cohlsohn vuole solo lo
champagne migliore. L'ultima volta gli abbiamo mandato succo di mela e
ha sollevato un vespaio. Non voglio guai con i giudici della Corte
Suprema. E fai attenzione agli uomini di Feeney.
Annuì e ripeté: - Fai attenzione.
Angelo sorrise. Era giovane e fiducioso. Per lui il colpo che si era
abbattuto su Feeney era troppo grosso e lo considerava finito. Feeney
aveva chiuso; era la fine di un uomo che non era mai stato troppo grande.
- Non preoccuparti - sbuffò. - Feeney è pericoloso come un gattino, ora
che Shaun ha avuto il benservito.
Tony sorrise. Lui la pensava diversamente, ma non disse nulla, perché
era tipico di lui non confidarsi neppure con l'uomo con il quale aveva più
contatti.
- Questa è l'offesa più grave che si possa fare a Mike Feeney commentò.
Sedette all'organo e suonò alcune note del Rigoletto. Suonò piano e con
sentimento. Rigoletto aveva la capacità di farlo rilassare, di rallegrarlo. Per
Angelo, quell'uomo era un mistero, al di là della sua comprensione,
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1931 - Furia A Chicago
diverso dagli altri. Riprese la conversazione con un argomento che lo
infastidiva.
- O'Hara parla un po' troppo, vero? Tony voltò pigramente il viso.
- È irlandese, e viene da New York. Non può farne a meno.
Offeso da questa indifferenza, Angelo disse: - Ha una donna favolosa.
La musica s'interruppe all'improvviso e Tony si voltò. La faccenda si
faceva interessante: le donne danno una sfumatura romanzesca alla vita,
sono i fiori del giardino dell'esistenza di un uomo.
- Davvero? - Gli occhi gli brillarono e Angelo mormorò qualcosa.
Lui era poco interessato alle donne. Odiava la loro intrusione negli
affari. Era offensivo con tutte, tranne che con Minn Lee. Verso di lei era
stranamente gentile, stranamente per quelli che lo conoscevano. Aveva
abbandonato i suoi modi bruschi per renderle la vita più piacevole. Ora...
- Sono stato stupido a parlare di donne - disse. - Questo è il problema,
Tony: perché non ti concentri sugli affari ancora qualche anno, e poi ti
prendi una bella vacanza? Per quella faccenda del giudice...
Ma Tony non voleva cambiare discorso.
- È davvero carina, la donna di O'Hara? È strano che tu l'abbia notata.
Non ricordo di averti mai visto posare gli occhi su una donna prima d'ora.
E se tu dici che è carina...
- Non lo sono tutte? - chiese Angelo, annoiato. - E comunque, cos'è la
bellezza? solo un bel faccino!
- È ben fatta? - chiese Tony, con lo sguardo fisso sul compagno.
- Dipende - rispose Angelo, con cautela.
- Bionda? - chiese l'altro e Angelo aprì deliberatamente il suo blocco per
appunti, per distrarsi.
- Non so proprio cosa mi abbia spinto a parlare di lei - esclamò
sconcertato. - È la prima volta da quando Minn Lee è qui che...
- Lasciala perdere - disse Tony con voce tagliente. - Dimmi di questa
ragazza. È davvero soignée?
Angelo scosse la testa.
- Non so neanche cosa diavolo significhi - disse. - Quello che so è che è
grossolana ma che si veste elegantemente. È quel tipo di donna che
vedresti in casa tre giorni alla settimana.
Ma Tony premeva per i dettagli. Aveva un sesto senso che gli segnalava
i casi straordinari e si rese conto che la donna di O'Hara doveva esserlo.
Ma aveva un dubbio.
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1931 - Furia A Chicago
- O'Hara, quel maiale, come ha fatto a trovare una così bella ragazza? chiese. - È grasso, chiassoso e ignorante.
- Se cominci a chiederti cosa le ragazze trovino negli uomini, non
troverai mai una risposta - disse Angelo, guardando l'orologio. - O'Hara
arriverà tra qualche minuto; gli ho telefonato io questa mattina. Spike l'ha
cercato nel suo appartamento, la scorsa notte.
Con un'alzata di spalle, Tony riprese a suonare. Sentì Angelo chiudersi
la porta alle spalle e, cinque minuti dopo, suonò il campanello. Kiki stava
posando la sua colazione sul tavolo: un toast, un frutto e caffè nero. Tony
era astemio: sognava di recuperare la linea di un tempo.
- Vai alla porta, Kiki - disse e, sentendo la voce nell'anticamera, sorrise.
O'Hara! Era impossibile che lui possedesse qualcosa che Perelli
desiderava. Con entrò: sembrava in gran forma, rasato e agghindato,
consapevole di aver fatto un buon lavoro. Vedendo Tony all'organo,
sorrise. Disprezzava le inclinazioni artistiche di Perelli; ai suoi occhi di
gangster implacabile, la musica gli sembrava una debolezza da donna.
Non aveva mai avuto paura di Tony, anzi si considerava superiore.
Provava un distorto disprezzo per le razze latine, tipico delle razze
celtiche, molto più vicine ai latini dei più sobri nordici. Dopo aver
ascoltato le note, per lui incomprensibili, interruppe la musica con la sua
voce imponente.
- È buffo - ridacchiò - suonare il piano come in chiesa. Ieri c'era anche
un chirichetto che cantava. Era straniero, vero, e al diavolo se ci ho capito
una parola.
Tony lo guardò con freddezza. Con era appena tollerabile quando
parlava di cose nelle quali era competente, ma come critico musicale era
davvero ridicolo. Come critico di Tony poi, rischiava grosso.
- Quell'uomo ha cantato alla Scala di Milano - disse, ma l'informazione
non aveva significato per Con.
- Accidenti! Quei cantanti sono dappertutto, vero? - disse in tono di
ammirazione. - Quel tizio mi ha fatto proprio ridere!
- Ti sei divertito?
Se Con avesse conosciuto meglio Tony, avrebbe capito che era il
momento di tacere. Non era certo questo il modo in cui Con avrebbe
dovuto presentarsi quel giorno. Tony aveva una grossa preoccupazione:
aveva letto quattro giornali quella mattina e tutti e quattro riportavano la
stessa storia.
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1931 - Furia A Chicago
- Già. Ma io non sono il tipo che ride per niente - disse Con.
Entrambi sentirono il rumore di una sirena. Tony si alzò e andò sul
terrazzo, per guardare in strada. Era una macchina della polizia che correva
lungo Michigan Boulevard.
- Mmm - borbottò Con. - Sono indaffarati questa mattina! Non sanno far
altro che girare per le strade a sirene spiegate! Permetti? - Allungò la mano
per prendere un pezzo di toast dal vassoio.
La lama del coltello di Tony gli sfiorò la mano. Con la ritirò con una
bestemmia e guardò l'uomo che aveva osato dirigere un coltello contro le
sue dita. Socchiuse le palpebre e fece una smorfia.
- Cosa ti salta in testa? - chiese, lentamente.
- Non ti ho mai invitato a fare colazione con me, amico - disse Tony con
freddezza. - Se hai fame, ordinerò a Kiki di portarti qualcosa da mangiare.
Hai letto i giornali questa mattina?
Indicò la pila di giornali sul tavolo.
Con O'Hara non leggeva i giornali. Affermava che erano pieni di
menzogne ma, poiché Tony insisteva, prese il Tribune.
- In prima pagina, in alto, per favore.
Lesse ad alta voce, con qualche difficoltà, perché non era un grande
letterato.
- Shaun O'Donnell, capo di un racket dei liquori, è stato ucciso
da due killer. Era l'uomo più in vista della banda di Feeney. Il
capo detective Kelly pensa che sia stato giustiziato dalla sua
stessa banda...
- Rise. - Giustiziato dalla sua banda! Feeney impazzirà per questo.
Tony annuì. Non aveva fatto uccidere Shaun per irritare suo cognato; la
vita era troppo seria per perdere tempo cercando di suscitare reazioni negli
altri.
- Vai avanti - disse - se sai leggere.
O'Hara gli lanciò un'occhiataccia e, dopo aver ripreso il giornale,
ricominciò a sillabare.
La scorsa notte, Patrolman Ryan, della stazione di Maxwell
Street, dopo aver sentito degli spari, è corso in quella direzione e
ha rinvenuto il cadavere di Shaun O'Donnell. È stato colpito...
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
Diavolo, c'ero anch'io lì! Tony sorrise.
- Lo so. È per questo che l'articolo è così interessante per me. O'Hara si
morse le labbra carnose.
- Il ragazzo ha sparato una o due volte, ma non c'è stato problema perché
io sono sceso dalla macchina con la mia pistola prima che Jimmie sparasse
il primo colpo. Non mi piace perdere tempo, Tony. Era già tutto finito e
noi eravamo già sulla Michigan Avenue prima che il poliziotto arrivasse.
Tony Perelli sorrise di nuovo.
- Va bene! Ma Shaun era morto?
- Se era morto? - esclamò l'altro. - Ascolta bene: quando io punto la mia
pistola contro qualcuno, si può mettere tranquillamente il "fu" prima del
suo nome.
Perelli si appoggiò allo schienale della sua sedia, mordicchiando uno
stuzzicadenti.
- E tuttavia - disse con voce soave - era ancora vivo quando l'hanno
trovato. Seguì un silenzio che per Con O'Hara fu molto doloroso.
- Come è possibile? - chiese incredulo.
- Era vivo - disse Tony - ed è stato portato al Brothers' Hospital, dove
Harrigan lo ha visto. Ridi ancora?
O'Hara era stato preso alla sprovvista. Se avesse almeno letto i titoli dei
giornali, avrebbe potuto prepararsi a questa sfuriata o almeno inventare
una scusa.
- La colpa è di quel ragazzino - disse. - Te l'avevo detto che non lo
volevo tra i piedi. Senti, si è sentito male non appena ha preso in mano la
pistola. Io non avrei mai mancato Shaun.
Il sorriso di Tony non prometteva nulla di buono.
- Capisco. Dunque, lui l'ha mancato, ma tu l'avevi ucciso, fino a poco fa,
ed è per questo che all'una di questa notte era ancora vivo con Harrigan
che gli sussurrava: "Parla, per amore della tua vecchia madre!".
La notizia sconvolse O'Hara: un'accusa di incapacità nell'arte che
conosceva così bene! Uccidere per lui era come prepararsi un panino.
Tony lo guardò stranamente.
- Sei venuto da New York, un killer in gamba dai Five Pointers. "A New
York non facevamo questo, a New York facevamo quello". A Chicago,
amico, io ti mando in un semplice agguato, e cosa succede?
O'Hara aveva trovato una scusa.
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1931 - Furia A Chicago
- Quel ragazzo... lui mi ha mandato in confusione - balbettò.
- Davvero? - lo interruppe Perelli. - In gamba eh! Sci tutto cervello!
L'uomo si voltò verso di lui, con la rabbia sul viso, e Perelli, ottimo
conoscitore dell'animo umano e che sapeva quando doveva fermarsi, non
gli risparmiò un'ultima battuta sarcastica.
- Bene, comunque, adesso è morto - grugnì l'altro.
- Sì - disse Perelli, mostrando i denti bianchi in un delizioso sorriso. Tutti moriamo, prima o poi. Solo che quando io indico un uomo, non è di
vecchiaia che costui deve morire. Ecco tutto!
- Ora, ascolta...
- Questo è tutto. - Perelli tagliò corto su ulteriori scuse. - Non voglio
essere sgarbato, ma aspetto Mike Feeney.
Proprio mentre parlava, suonò il telefono. O'Hara alzò il ricevitore, ma
Tony glielo strappò dalle mani.
- No, Con. Potresti rispondere a uno e metterti a parlare con un altro!
Era Feeney, che vomitò una serie di ingiurie così violente e incoerenti,
che fecero vibrare il ricevitore. Perelli immaginò che stesse parlando alla
presenza della sorella.
- Il signor Perelli non è in casa... - incominciò, ma dall'altra parte del filo
arrivò una serie di insulti che fecero allargare il sorriso di Tony. - Non
usare quel linguaggio con me, signor Michael Feeney! Posso essere tutto
quello che hai detto, ma nemmeno alle signore della Centrale piacerebbe
essere chiamate in questo modo. Ti dico... io non... ascolta... ottuso di un
irlandese! Io non so niente di Shaun O'Donnell. Sul giornale c'è scritto che
l'avete fatto fuori voi... Oh, amico mio, sei come un'opera tedesca. Ti dico
che non so... Te lo giuro per la Santa Madre di Dio... - Fece il segno della
croce. - Non lo so. O'Hara? Non essere assurdo!
- Digli da parte mia... - cominciò Con, ma Tony lo azzittì con lo sguardo
e continuò con parole offensive.
- Quello è troppo stupido; non lo manderei neanche ad ammazzare un
gatto. È uno di quelli che parlano tanto ma che non sanno agire. Ascolta,
Mike. Ascolta! - La voce divenne un sibilo. - Tu e i tuoi gorilla avete
violato il mio territorio... sì! È stato Shaun a mettere sottosopra uno dei
miei locali l'altra notte e a rubarmi un carico di liquore, sì, so anche
questo! Io non voglio guai. Ti dico io cosa stai facendo. Stiamo rovinando
un grosso affare? Incontrarti all'angolo della Michigan con la
venticinquesima? E da lì dove finisco io? Sotto terra? Senti, non vorrai
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1931 - Furia A Chicago
farmi fuori? Perché non vieni qui?
Con ascoltava, molto agitato.
- Non fidarti di quel tipo... - cominciò, ma Tony lo azzittì con un gesto.
- Va bene, va bene. Ti incontrerò. Davanti agli uffici del Tribune. Per
me va bene. Ci potrà essere una macchina dei tuoi uomini per starti dietro:
ti assicuro. Certo che voglio trattare. Poi verremo qui: tu e io, senza armi.
O.K., alle undici in punto. - Appese il ricevitore e suonò il campanello.
- Ora ascolta... - cominciò O'Hara mentre Angelo entrava in tutta fretta.
- Devo incontrare Feeney - spiegò Perelli conciso. - Fai in modo che io
sia coperto.
Aveva parlato in italiano.
- Feeney? - Gli occhi di Angelo si spalancarono.
- Non fare quella faccia da imbecille - disse Perelli con impazienza. Sistema le cose. Devo incontrare quell'uomo! Oggi non ci saranno guai;
domani, sicuro, dopodomani, ancora di più, ma oggi no! Lo incontrerò.
Sarà molto interessante.
11.
O'Hara ascoltò con impazienza il discorso che si svolgeva in italiano tra
i due. La sua importanza si era molto indebolita, la sua vanità era un tenero
germoglio che cresceva in un terreno avverso. Per due o tre volte cercò di
entrare nella conversazione, ma non riuscì mai a farsi notare da nessuno
dei due. Era ormai consapevole del suo ruolo, del ruolo che gli avevano
dato: quello di un servo, e nemmeno molto importante. Lui, Con O'Hara,
che era stato luogotenente dei Five Pointers.
- Hey, ci sono anch'io o no? - disse, ma gli altri non lo notarono. - Voi
non sapete riconoscere un tipo in gamba. Hey senti, Tony, tu non mi stai
trattando onestamente.
Quando era seccato la sua voce diventava rauca; ora era un muggito.
Angelo si voltò verso di lui con sguardo languido, sostenuto e insolente.
- Vuoi vedere la tua donna? - chiese. - Ti aspetta nella hall.
O'Hara non fece caso allo sguardo di Tony, altrimenti non avrebbe
sorriso come fece. Era molto orgoglioso di Maria ed era ansioso di
mostrarla agli altri, con certe riserve.
- L'aspetto qui - disse, mentre Angelo usciva.
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- La tua donna? - La voce di Tony era amichevole, quasi una carezza. Hai una donna, eh?
O'Hara ridacchiò.
- Sicuro! Non sono un essere umano? Tony lo guardò pensieroso.
- È carina?
O'Hara alzò le sopracciglia, fingendosi sorpreso.
- Ma tu non l'hai mai vista, Tony?
Nessuno sapeva meglio di lui che Tony non l'aveva mai incontrata.
- No, mai - rispose Tony gentilmente. - È graziosa? O'Hara annuì
ridacchiando.
- È fantastica! - disse.
Era la prima volta che Perelli lo vedeva entusiasta per qualcosa. In quel
momento O'Hara si lasciò scappare una domanda che aveva avuto sulla
punta della lingua per molto tempo.
- Sai, Tony, non capisco perché tu perda tempo con una muso giallo.
Il sorriso abbandonò il viso di Tony. Il colore che il nuovo interesse
aveva provocato sul suo volto lasciò il posto a quello solito, che era una
via di mezzo tra il marrone e il grigio.
- Non usare un simile linguaggio!
Non era più l'amico: era tornato a essere il padrone. O'Hara avvertì il
tono minaccioso e fece marcia indietro.
- Ascolta - disse ansioso - io non ho nulla contro Minn Lee, anzi, è una
ragazza molto bella.
Il sorriso riapparve sulle labbra di Perelli. Lodare ciò che possedeva e le
sue qualità personali era il modo migliore per riappacificarsi con lui.
- Sicuro - annuì - ma non bella come la tua, eh?
O'Hara non lo disse, ma lo pensò. Per lui, una cinese restava sempre una
cinese, qualcosa di estraneo, che non avrebbe mai potuto essere uguale a
lui.
- Falla entrare - suggerì Tony. O'Hara esitò.
- Davvero desideri incontrarla? - chiese e, quando Tony rispose di sì,
l'esitazione tornò a farsi più forte.
Perché Perelli la voleva vedere? Era sempre così assorbito da Minn Lee
che non aveva mai espresso neppure il desiderio di incontrare un'altra
donna. O'Hara lo aveva visto a certe feste, completamente incurante della
presenza di molte belle ragazze.
Pensò che un piccolo avvertimento bastasse.
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- Lei è pazza di me - disse.
- Deve esserlo - disse Tony, ma l'altro non avvertì il suo sarcasmo. - Dai,
vai a prenderla. - Si voltò per uscire. - Ci andrò io - disse, ma O'Hara lo
trattenne per un braccio.
- Aspetta un attimo. Ci vado io. Niente scherzi, Tony! Guardò con aria
di sfida il suo capo.
- Sicuro, niente scherzi.
Perelli era divertito. Interpretò l'imbarazzo di O'Hara come un tributo al
proprio fascino e ne fu lusingato. Probabilmente era una donna sciocca,
eppure il suo istinto...
- Siamo molto legati uno all'altra - disse piano O'Hara - e ci saranno guai
se qualcuno cerca di intromettersi.
- Questa è una cattiva notizia.
Il commento era troppo sottile perché O'Hara lo capisse.
- Chi si dovrebbe intromettere?
- Io so come siete voi mediterranei - grugnì O'Hara e Tony gli mostrò
tutti i denti in un sorriso.
- Mediterranei? È una simpatica parola. Forse, se io ti concedessi più
tempo, riusciresti a trovarne una anche migliore. - Mise una mano sulle
spalle dell'altro. - Sei un bel tipo, Con. Farò un mucchio di soldi grazie a
te.
Mentre O'Hara usciva, chiudendosi la porta alle spalle, il sorriso di
Perelli diventò una maschera di malignità e pronunciò qualcosa in italiano
che non erano certo complimenti per O'Hara e per la sua famiglia.
Prese dalla tasca una piccola bottiglietta dorata e spruzzò del profumo
tra le pieghe della sua elegante giacca.
In un certo senso Perelli era un esteta: amava le cose belle e i profumi
rari che importava per suo uso personale. Si lavava le mani con l'acqua di
rose e Angelo, economista nato, aveva calcolato che un bagno costava a
Perelli circa venti dollari.
Quando Con tornò, lui stava guardando la porta, ma i suoi occhi erano
solo per la donna che entrò con O'Hara.
Perelli era un uomo che amava sognare le donne e non aveva mai
incontrato una ragazza che corrispondesse alla creatura della sua
immaginazione. Ora, l'aveva incontrata. Bionda, con un corpo perfetto. Se
l'era immaginata bella come una stella, e non rimase deluso. Possedeva la
figura, i gesti della donna dei suoi sogni e da quel momento non esistette
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nessun altro al mondo tranne quella donna che si faceva chiamare O'Hara,
ma che era in realtà Maria Pouluski.
La fissò come se i suoi sogni si fossero materializzati davanti a lui e, in
lontananza, sentì la voce di O'Hara.
- Ti presento il signor Perelli, Maria.
Le prese la mano, piccola e soffice, con le dita lunghe e affusolate. La
strinse per un secondo e poi, chinandosi, la baciò. La sua voce era un po'
più stridula di quanto non si sarebbe aspettato, ma questo non ruppe
l'incantesimo. Gli sembrò che fosse come musica, dolcissima e gentile.
- Ho sentito parlare moltissimo di voi, signor Perelli - disse Maria. Con
li osservava con la fronte solcata da una ruga.
- Sicuro, io le parlo sempre di te, non è vero dolcezza?
Le aveva parlato molto di Perelli, ma non sempre con tono
complimentoso; qualche volta era stato anche offensivo. Le aveva sempre
parlato di Tony come di uno che stava sul suo stesso piano; ora lei avrebbe
visto le differenze.
La ragazza era un po' imbarazzata dal silenzio di Perelli, ma era molto
compiaciuta per quello che gli leggeva negli occhi. Maria Pouluski era
molto svelta in certe questioni. In quegli occhi vide tutte le opportunità e le
possibilità che erano sempre state al di là di qualsiasi suo sogno. Con le
aveva molto parlato di Tony, ma lei ricordava chiaramente una sola frase:
Quel tizio vale dieci milioni di dollari, forse anche venti. Ora quell'uomo
era lì, e la guardava come tutti gli altri ammiratori che bramavano per
portarla fuori a cena.
- Mi piacerebbe conoscere la signora Perelli - disse. - È una signora
orientale, vero?
Tony si voltò lentamente verso il suo killer e sorrise ironico.
- Signora orientale! Hai sentito, irlandese? Lei non ha detto "cinese". Ha
detto "signora orientale". Te ne ricorderai, spero? - Si voltò verso la
ragazza. - Lo è per metà: per l'altra metà è americana.
Sollevò un braccio e, per un attimo, lei pensò che stesse per abbracciarla
e sentì accelerare i battiti del cuore. Non si faceva illusioni su Con: era
lento in tutto tranne che con la pistola; poteva sparare così rapidamente che
nessuno avrebbe visto neppure il movimento della mano.
Ma Perelli voleva solo aiutarla a togliersi il cappotto.
- Lasciate che lo prenda io - disse, alzandolo per un attimo e
guardandolo con un sorriso di compatimento.
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O'Hara stava diventando nervoso e lo guardava con rabbia crescente.
- Noi andiamo, Maria, preparati - disse ad alta voce, ma Tony lo ignorò.
- Vi piace Chicago? Lei annuì.
- È un posto molto elegante.
- Meglio di New York? - chiese, lanciando un'altra occhiata al cappotto
appoggiato su una sedia. - Abbiamo bellissimi negozi, eleganti pelliccerie
e boutique. Favolosi. Potremmo fare un po' di shopping, un giorno.
O'Hara era rimasto in piedi, indeciso: l'ospitalità poteva giustificare un
così sconveniente invito? Non conosceva abbastanza bene Perelli per
risentirsi di quella frase. Pensò che i tipi come lui fanno sempre un
mucchio di promesse che non mantengono mai.
- Forse - continuò Tony - potremmo farci mostrare delle giacche di
zibellino. La risata di lei era musica per le sue orecchie.
- Giacche di zibellino! Dite, volete confondermi?
Nonostante la risata, era consapevole della disapprovazione di Con e si
voltò verso di lui.
- Il tuo amico è molto gentile. Ecco, io ho solo quel modello... - disse,
guardando il suo cappotto.
Fino a quella mattina, era molto orgogliosa di quel capo; ora le
sembrava uno straccetto e si accorse che era un po' liso sulle maniche;
inoltre era un modello dell'anno prima!
O'Hara pensò che fosse suo dovere giustificarsi.
- Quel modello mi è costato duemila dollari - disse deliberatamente.
Tony rise.
- Duemila dollari! Io ne spendo di più per un collo di pelliccia!
In quel momento entrò Angelo e Tony captò il suo sguardo. L'irlandese
era troppo occupato a guardare l'orologio per accorgersi di quell'occhiata
d'intesa.
- Hey, guarda che ore sono! - Era un pessimo attore. - Andiamo,
dolcezza, o faremo tardi all'appuntamento.
- Ti vogliono al telefono, Con.
Angelo era stranamente gentile. Non chiamava quasi mai O'Hara per
nome.
- Me? - chiese incredulo. - Chi può essere? Nessuno sapeva che sono
qui... non puoi passarmi la linea qui?
Angelo lo guardò stranamente.
- È il Dipartimento di Polizia - bisbigliò. - Almeno, così hanno detto.
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
Forse loro sanno che sei qui.
- Kelly sa tutto - commentò Tony.
O'Hara esitò. L'ultima cosa che desiderava era lasciare la sua donna sola
con Perelli. Li guardò, indeciso.
- Non fare aspettare al telefono - disse Perelli. - Voi restate qui, signora
O'Hara... vedrete Chicago dalla mia terrazza.
Guardò O'Hara con le palpebre socchiuse.
- Cosa stai aspettando? - disse bruscamente.
La ragazza capì che era una scusa per allontanare Con. Lei non aveva
dubbi: la faccenda aveva preso il corso che desiderava. Era curiosa di
scoprire che metodo di approccio Perelli avrebbe usato. Quasi non si
accorse che il suo uomo aveva lasciato la stanza.
C'erano molte cose da ammirare in quel salone: i dipinti erano la copia
esatta di quelli del Palazzo dei Dogi e la terrazza era preceduta da un arco
di marmo bianco, sostenuto da esili colonne in stile veneziano.
- È un salone fantastico, signor Perelli, quasi come una chiesa! Non ne
vedo uno così da quando ho lasciato... - Non specificò la città, né lo stato e
neppure il continente nel quale aveva visto l'interno della cattedrale.
Uscì sulla terrazza e si sentì un braccio intorno alla vita. Tony le
accarezzò il mento e, portandole il viso leggermente all'indietro, la baciò.
Lei non era preparata a questo, era stato troppo improvviso. Cercò di
lottare debolmente; lui non la tenne stretta a lungo e quindi la lotta durò
poco, ma quando la lasciò, lei respirava a fatica.
- Voi siete impazzito! Non mi avete mai vista prima d'ora - disse, senza
fiato.
- Vi piace questo luogo? - chiese lui con ardore. - Bello, vero? Dove
vivete, Maria?
Bruciava dalla passione. I suoi occhi la divoravano. La mano che lui le
appoggiò sulla spalla ardeva.
- Dove vivete?
Liberandosi dalla stretta di lui, Maria si allontanò leggermente.
- Abbiamo un appartamento a State - disse.
- Quattro camere e un bagno?
- A me bastano!
- Nulla è degno di voi.
L'afferrò di nuovo e la baciò con tale passione che nessuna donna
avrebbe potuto ribellarsi.
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1931 - Furia A Chicago
- Siete impazzito a baciarmi in questo modo! - ansimò lei. - Se Con
sapesse che voi...
- Con! - esclamò lui.
La strinse prepotentemente per la vita e, chinandosi verso il suo volto,
cercò i suoi occhi.
- Se Con sapesse! Lo farei davanti ai suoi occhi; non chiederei di
meglio. Stava tremando e la sua voce fremeva. Mai nella sua vita Maria
Pouluski aveva fatto un'impressione così repentina e violenta. Era eccitata,
ma anche un po' spaventata.
- Siete pazzo? - balbettò. - Vi ucciderà...
Perelli rise. Qualcuno una volta aveva detto che Tony Perelli aveva un
fatale senso dell'umorismo: chi lo conosceva sapeva bene che non era mai
così malvagio come quando rideva.
- Se davvero corressi questo rischio, sarei un pazzo - disse e, dopo averla
improvvisamente lasciata, si tolse dal mignolo un anello con una
luccicante pietra bianca. - Guardate! Prendetelo.
Lei afferrò il gioiello, cercò di restituirglielo, ma lui le prese la mano e
glielo infilò al dito.
- Prendetelo!
Cosa significava? Maria temette che lui la stesse prendendo in giro.
- Ma non posso... oh, è stupendo!
Cinquemila dollari, forse anche di più. Era grosso come una nocciola, e
al suo dito, appariva come un gioiello bellissimo, bianco, luccicante, nel
quale riverberavano tutti i colori.
- È vostro - disse Tony. - Forse ve ne darò un altro come questo, un
giorno. Lei guardò la pietra, come paralizzata.
- Santo cielo! - ansimò. - Non è favoloso?
- Darò un party questa sera - disse lui in fretta perché Con poteva tornare
da un momento all'altro. - Ci sarà tutta la più bella gente della città.
Verrete anche voi... insieme a Con.
- Con dice che... - cominciò lei.
- Con! Con! - esclamò Tony con impazienza. - Voi verrete!
- Se Con... - ripeté Maria.
- Verrà. - Tony annuì e guardò verso la porta. - Dormirete qui: ci sono
moltissime stanze, almeno sette o otto che nessuno usa. Vi darò una suite
vicino al mio studio.
Lei fece un ultimo disperato tentativo di riguadagnare una parvenza di
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rispettabilità.
- Non potete parlarmi in questo modo, signor Tony Perelli - disse. Stare qui...! - Si era lasciata cadere su un lussuoso divano. - Non potete
pensare che, siccome avete tutto il denaro del mondo... potete permettervi
questa sfrontatezza.
- Zibellini e chiffon - disse Tony con ardore. - Io pago cinquanta dollari
per un paio di calze, anche cento. Avete bisogno di soldi?
All'improvviso prese dalla tasca un rotolo di dollari. Per un attimo, lei
rimase terrorizzata.
- Per Dio onnipotente! Chi pensate che io sia?
Ma era di nuovo tra le braccia di lui, mentre le sue labbra divoravano
quelle di lei; poi, un rumore dall'anticamera lo fece balzare in piedi. Con
entrò, sospettoso. Rimase un attimo sulla porta, osservandoli.
- Cosa avevi in mente? - chiese lentamente. - Il Quartier Generale non
mi voleva affatto. - Fissò Maria. - Cosa ti è successo? - grugnì.
La sua domanda era giustificata: il viso della ragazza era arrossato e i
suoi occhi fiammeggiavano. C'era un'atmosfera di mistero, ma era un
mistero che poteva risolvere perfino lui.
Lei si sforzò di sorridere e gli tese la mano.
- Guarda cosa mi ha dato il signor Perelli.
Lui guardò l'anello e poi alzò lentamente gli occhi su Tony.
- Ti ha dato questo anello, vero? E perché? Fu Tony a rispondere.
- Gliene darò altri, se lo desidero, semplicemente perché è tua moglie. Batté una mano sulle spalle di O'Hara: era un attore migliore di lui. - È un
tipo in gamba, Maria. Ti chiamerò così e tu devi chiamarmi Tony, eh? Il
posto di Con è al mio fianco. Posso fidarmi solo di lui. È davvero in
gamba, sicuro!
O'Hara si era raddolcito. Era un uomo semplice e la prospettiva di
guadagnare di più era più importante di molte altre cose. Poteva sempre
farsi coraggio, ricordando a se stesso la fiducia che aveva nella donna che
chiamava sua moglie, tuttavia...
- Va bene - disse, guardando Maria con occhi critici, quasi minacciosi.
Suonò il telefono e Tony andò dall'altra parte del tavolo per rispondere.
Lentamente, O'Hara si avvicinò alla donna.
- Quel damerino ti ha infastidito? - chiese a bassa voce. - Ha cercato di
baciarti o altro?
- Oh no, Con! Doveva solo provarci.
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1931 - Furia A Chicago
La sua sorpresa e la sua indignazione avrebbero ingannato molti uomini;
Con si convinse a metà.
- Quel bellimbusto può impazzire dietro una ragazza - disse - se è il suo
tipo. Tu non lo sei: vedi, lui vede solo Minn Lee...
- Questa è una buona notizia - disse una voce dolce, e Con si voltò.
Imbarazzo per Maria. Osservò la snella figura che si avvicinava. Alcune
di queste donne cinesi possono essere carine ( Maria si ricordava di una
ragazza che andava con lei alla scuola di Brooklyn e di un'altra che aveva
visto in un ristorante cinese di New York), ma questa non era interamente
cinese e questo la sconcertava. Non era in grado di analizzare la sottile
differenza che c'era tra Minn Lee e le altre ragazze cinesi che aveva
incontrato, ma sentiva che c'era una diversità. Era un qualcosa di così
ovvio che trascendeva un'analisi.
Tragedia per Minn Lee. Aveva osservato Tony al telefono, con lo
sguardo fisso sulla ragazza. Conosceva quello sguardo, conosceva il tipo
ideale per il suo uomo. Questa era una strana circostanza, perché Tony
stesso non avrebbe saputo definire che cosa gli piacesse di più.
O'Hara guardò la ragazza, il cui arrivo lo distrasse da una situazione che
stava diventando intollerabile.
- Maria, ti presento la signora Perelli - disse.
Prendendo la piccola mano di Minn Lee tra le sue, Maria fu, come era
nel suo carattere, esageratamente complimentosa. Dichiarò che il vestito di
Minn Lee era straordinariamente bello e che lei era particolarmente
graziosa.
Minn Lee, guardandola con gravità, capì che era arrivata la donna che
inevitabilmente sarebbe dovuta comparire. Poteva affrontare tutto con
filosofia, ma non questo. Forse nel suo cuore c'era la speranza di poter
ancora far valere le sue virtù.
- Carina, eh? - sorrise, posando la sua mano carezzevole sulla spalla di
Minn Lee. - Madame Butterfly.
Maria lo guardò con occhi interrogativi.
- Davvero? Quando ho sentito parlare della signora Perelli... O'Hara le
andò in aiuto.
- Non essere sciocca, baby. Madame Butterfly è il personaggio di un
libro.
- Madame Butterfly era giapponese - disse Minn Lee, intervenendo in
aiuto di entrambi, collocando la dama al suo posto nella letteratura. - È
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un'opera di Puccini... Tony la suonerà.
- Forse questa sera! - affermò Tony. Stava fissando Maria.
- Cosa ne pensate di lei? Graziosa, vero? Mostra a Maria i tuoi anelli,
cara.
La ragazza mostrò ubbidiente la mano e Perelli la prese, indicando tutte
le prove dalla sua generosità. Anelli, bracciali: catalogò tutti i gioielli di
lei, con tanto di prezzo.
Maria ascoltava esterrefatta, colpita dalle cifre. Minn Lee non disse
nulla; rimase ad ascoltare in silenzio le lodi sui suoi gioielli, le sue stole di
pelliccia e le sue giacche di ermellino. Tony fu esplicito perfino sui capi di
biancheria intima, per i quali aveva pagato cifre favolose. Lei aveva tutto il
denaro del mondo.
Maria guardò prima la ragazza cinese, poi Tony, poi il tarchiato
irlandese e infine quel lussuoso appartamento e tutto quello che
significava: scalata sociale, potere, soldi. E prese la sua decisione.
O'Hara ascoltava e provava delle sensazioni confuse. Gli uomini
facevano sempre molti complimenti a Maria, e lui ne era lusingato. La sua
reputazione era tale che certamente nessuno degli ammiratori di Maria
avrebbe osato oltrepassare i limiti. Inoltre, c'era sempre quella legge non
scritta per cui le donne non devono interferire con gli affari. Le donne
erano "beni mobili" nel suo mondo. Aveva avuto degli interessi in certe
"case" e ne aveva estorto larghi profitti. Un uomo poteva avere qualche
affetto isolato, come in una scuderia, un allevatore può avere il suo cavallo
preferito e sentire un sincero dispiacere se per determinate circostanze, la
bestia deve essere abbattuta. Più che la gelosia, era la stranezza della
situazione che lo disturbava.
- Ora andiamo - mugugnò.
All'improvviso, Tony si rese conto della presenza di Con.
- Ho bisogno di te, Con - disse. - Vai a prendere il ragazzo, Jimmie. Tua
moglie può restare qui ad aspettarti. Minn Lee, mostra alla signora O'Hara
il giardino. È lì che diamo i nostri party - le spiegò.
- Un'altra volta - borbottò l'irlandese. - La signora O'Hara ha un
appuntamento e dobbiamo proprio sbrigarci, ora.
Per un attimo, Tony sembrò cedere all'autorità di O'Hara.
- Va bene, arrivederci. - Prese la mano di Maria. - Verrete al party? Lei
guardò gli occhi di Con, che dicevano "no".
- Non sono sicura di potere... - cominciò.
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1931 - Furia A Chicago
- Verrete e vi sistemerete qui. Minn Lee, daremo a Maria la suite sulla
Avenue. Era un ordine. Lei cercò nuovamente un incoraggiamento da parte
di Con, ma non lo trovò.
- Viviamo a soli otto isolati da qui - disse lei, esitante. Tony sorrise.
- Starete con noi.
- A me non piace dormire in strani appartamenti - interruppe O'Hara.
Perelli lo guardò freddamente.
- Ti sentivi a casa tua a Sing-Sing? - disse, ironico.
C'era aria di guai. Maria lo sentì nell'aria. Minn Lee si trovava sotto
l'arco che separava la terrazza dall'appartamento. Anche lei lo sentì. Guai,
guai tragici: non erano una novità per lei.
Sorrise meccanicamente quando la donna le si avvicinò, voltandosi
leggermente per avere una visuale più bella.
Per Con O'Hara era venuto il momento di affermare il suo punto di vista.
Tony stava accendendosi un sigaro e guardava pensieroso le due donne,
apparentemente dimentico della presenza dell'altro uomo, fino a quando
questo non gli si parò davanti.
- Devo dirti un paio di cose. - Abbassò la voce perché le donne sulla
terrazza non sentissero. Il tono era minaccioso.
Un uomo normale si sarebbe intimorito, ma Perelli non era un uomo
normale. Sapeva esattamente cosa avrebbe detto quell'individuo che aveva
sempre addosso un odore di whisky misto a un profumo economico che lo
irritava parecchio. Lentamente, spostò lo sguardo dalla terrazza all'uomo
che gli stava di fronte.
- Non venirmi tanto vicino, amico - disse piano.
- Bada bene. - O'Hara gli puntò un indice accusatore. - Non voglio che ci
siano...
- Mi dai fastidio. - La voce di Tony era quasi carezzevole.
Perelli non indietreggiò, ma O'Hara gli andò più vicino. Il suo volto era
a pochi centimetri da quello di Tony.
- Lascia in pace Maria...
Perelli si tolse il sigaro dalle labbra e, con una velocità che non lasciò
all'altro il tempo di reagire, lo spense contro il volto di O'Hara. L'irlandese
balzò all'indietro con una bestemmia. La ferita bruciava terribilmente. Si
portò le mani sulla lesione per togliere la cenere.
- Non mi soffocare - disse Perelli.
Per un attimo O'Hara rimase paralizzato dalla rabbia, ma, anche se
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1931 - Furia A Chicago
accecato dalla furia, si accorse che la mano di Perelli era nella tasca della
giacca e, per la prima volta in vita sua, provò un senso di paura.
- Sarai anche un'autorità a Chicago - disse senza fiato - ma Con O'Hara
ha detto, a molti pezzi più grossi di te, che con lui avevano chiuso.
Tony scosse la testa, sorridendo.
- Io non dico mai a nessuno che con me ha chiuso - disse. - Io passo
subito all'azione e li faccio chiudere io. Se voglio la tua donna, la prenderò.
Hai capito? Io non voglio guai. Le vedove sono più sicure delle mogli che
non sono davvero mogli. Non fare pazzie. - Gli batté una mano sulle
spalle. - Tu sei un tipo in gamba... mi servi.
O'Hara si lasciò sopraffare e ricondurre al ruolo di subordinato. Era
ferito, ma poteva mostrare a Perelli che, per un uomo come lui, queste
erano cose senza importanza. E, ora che gli era stata spiegata nei dettagli,
era più facile accettare la situazione, perché non doveva analizzarne le
cause. Si sforzò di sorridere.
- Per me va bene - disse e, voltandosi, fece un cenno a Maria. Arrivederci, signora Perelli. Sono contento che abbiate conosciuto mia
moglie.
S'illuse di aver recuperato un po' di dignità creando quel momento di
imbarazzo.
Accompagnò Maria alla macchina e si sedette al posto di guida, di
fianco a lei. Solo quando arrivarono a casa e dopo che il suo autista gli
portò via la macchina si rese conto della presenza di Maria e solo dopo che
furono entrati nel loro appartamento, parlò: - Non ci sarà nessun party
questa sera - disse.
- Davvero? - chiese lei, gentile.
- Sì - rispose lui, con enfasi. Lei si strinse nelle spalle.
- Per me va bene, Con, ma dovrai dire al signor Perelli...
- Non preoccuparti di quello che dirò a Perelli - grugnì. - Tu non andrai a
nessun party questa sera.
Contattò Tony telefonicamente.
- Dovrai scusare la signora O'Hara per questa sera, Tony; non si sente
bene.
- Farò venire qui un dottore - rispose la voce glaciale di Tony. - Portala.
Ti avevo chiesto di portarmi Jimmie. Dov'è?
- Senti... - cominciò O'Hara, ma il click del ricevitore di Tony gli fece
capire che la conversazione era finita.
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1931 - Furia A Chicago
Andò all'indirizzo dove sapeva che avrebbe trovato Jimmie e scoprì che,
contrariamente a tutte le istruzioni, McGrath era uscito. Lo trovò che
camminava sconsolato lungo Michigan Boulevard, senza scorta, incurante
dei rischi che correva. Comunque, Con sapeva che il pericolo non era
immediato.
Vide il ragazzo che camminava davanti a lui e, giuntogli alle spalle, gli
diede una pacca sulla schiena. Jimmie si voltò, bianchissimo in volto.
- Cosa ti prende? - sbuffò Con, sentendosi superiore a un'emozione così
ignobile come la paura.
- Niente, solo che...
- Tony ti vuole. Che cosa ti prende, Jimmie? Il ragazzo scosse la testa.
- Non lo so. Sono stanco, immagino. Non ho dormito molto bene. Con
era divertito.
Mentre camminavano verso l'appartamento di Perelli, gli descrisse le sue
reazioni di fronte a un omicidio; potevano essere ridotte alla filosofia di
Lady Macbeth.
- Non devi pensarci così, altrimenti diventerai matto.
Jimmie lo sentiva ma senza ascoltarlo. Rivedeva solo lo sguardo
doloroso e sorpreso di Shaun in quella notte che aveva segnato la fine della
sua vita; gli occhi di Shaun erano il muto rimprovero all'amico che lo
aveva ucciso.
12.
Minn Lee parlò poco dopo che i visitatori se ne furono andati. Si sedette
a lavorare al suo ricamo e la sua mente sembrava intenta a quel lavoro.
Tony era sdraiato sul divano, con un sigaro in bocca e il giornale aperto.
- È deliziosa - disse Minn Lee all'improvviso, senza una ragione. Davvero carina.
Lui chiuse il giornale, la guardò e si sedette. Non c'era bisogno di
chiederle di chi stesse parlando.
- Sì, è davvero fantastica - approvò Tony.
Ci fu un'altra lunga pausa, poi gli chiese: - Andrai all'opera questa sera?
Lui scosse la testa.
- Questa sera c'è Das Gotterdammerung. Preferirei andare allo zoo
piuttosto che sentire Wagner!
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1931 - Furia A Chicago
Gli occhi di lei lo fissavano.
- Forse potresti stare un po' con me questa sera - disse. - Non ti vedo mai
e non so mai dove vai.
Lui si alzò per avvicinarsi a lei con aria pensierosa.
- Piccola mia - disse gentilmente - quante volte ti ho detto: "pensa, se
devi pensare, parla, se devi parlare, ma non permettere che i tuoi pensieri e
la tua lingua agiscano insieme." Sei un diavolo!
Le pizzicò una guancia e lei indietreggiò.
- Fa male? - chiese e lei annuì. La pizzicò più forte. - E ora?
- Lo sai - disse lei e la sua docilità lo infastidì.
- Perché non piangi quando ti faccio male?
Si sedette su una sedia vicino a lei, così vicino che, con un piccolo
movimento, lei si sedette sulle sue ginocchia.
- Vuoi sapere di cosa ho paura? - chiese.
- Tutte le donne hanno paura di... un'altra donna - disse lui.
In un'ora il suo atteggiamento nei confronti di Minn Lee era
completamente cambiato. In tutto il tempo della loro convivenza, lui non
aveva mai mostrato un calo di affetto e di devozione nei suoi confronti. Se
lei fosse stata interamente occidentale, questo stupefacente voltafaccia
l'avrebbe sbalordita, ma lei era orientale, conosceva bene gli uomini e
sapeva che questi orribili miracoli possono accadere.
- C'è un'altra donna?
Lui fece un gesto mezzo serio e mezzo scherzoso.
- Per me, tutte le donne sono altre donne - disse, spensieratamente. Ci fu
un'altra pausa.
- Passavi le notti con me... una volta. Lui sospirò con impazienza.
- Mi piacevano molto i biscotti... una volta. Ora mangio le brioches. Un
giorno riprenderò a mangiare i biscotti.
Con questa risposta, lui aveva deciso di chiudere la conversazione, ma
lei non era di questo parere.
- Qualche volta ho un po' paura - disse con un leggero sussulto nella
voce. - Ho paura per te, Tony. Quando esci, non so mai se tornerai a casa.
- Io sì - tagliò corto lui.
- Quella notte che ti hanno sparato... ho creduto di morire...
- L'ho creduto anch'io, e questo è più importante - disse lui. - Ma non
sono morto. E dove sono Cammono e Scalesi e l'intelligente McSweeney
che mi hanno sparato? Tutti all'inferno. Questo è matematicamente
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1931 - Furia A Chicago
provato.
Lei osò esprimere per la prima volta il progetto che cullava.
- Non potremmo andare via da Chicago? Lui la guardò stranamente.
- Certo... puoi andare con la Twentieth Century. Hai tutto il tempo per
fare le prenotazioni.
- Io ho detto "noi" - disse lei.
Lui si alzò e la costrinse a fare altrettanto.
- Noi non include me. Tu sei tu, hai capito? Niente ma. Tu sei come i
mobili. Mi piaci: sei bella, affascinante e incantevole ai miei occhi, come
lo sono tutte le cose del mio appartamento. Ma loro non dicono "noi". Loro
non dicono: "Tony Perelli, portaci in Europa con te".
Le prese il volto tra le mani e la baciò sulle labbra. Poi la baciò di nuovo
e le diede un buffetto gentile sulla guancia. - Sciocchina! Lei sorrise e
tornò quella di prima, ma la sua allegria era forzata e lui lo capì.
- Chi verrà questa sera?
- Lo vedrai quando arriveranno. Sarà un bellissimo party.
- Ci saranno anche le donne? - chiese lei.
- Ho detto che sarà un bellissimo party - tagliò corto lui.
- Lei verrà?
C'era un tono di protesta nella sua voce.
Lui annuì. Ci poteva essere solo una "lei", Maria Pouluski. Sì, lei
sarebbe venuta. Malata? O'Hara avrebbe fatto meglio a stare attento.
- Sicuro.
- Perché deve venire? Lei ha il suo uomo. - La voce di Minn Lee
tremava.
- Hai visto il suo uomo? - chiese lui.
- Certo che l'ho visto.
- Bene, tu non andresti a un party se fossi in lei? - domandò.
- Jimmie dice che...
A queste parole lui si voltò.
- Oh, Jimmie! Ti piace quel ragazzino? Lo trovi carino? Lei annuì.
- Sì, è molto carino. È come un bambino per me.
Ci fu qualcosa nella sua voce che catturò l'attenzione di Tony.
- Ah! Lo prendi tra le braccia come un bambino! - La afferrò
selvaggiamente. - E magari lo baci anche, eh?
Lei rimase senza fiato. Anche nel suo disinteresse, sentiva le spine della
gelosia. Anzi, forse proprio perché cominciava a disinteressarsi a lei. Il suo
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egoismo non lo rendeva pronto a lasciarla andare da un altro. Lei era
ancora una sua proprietà, e lui non la voleva cedere.
Così, mentre lui la stringeva selvaggiamente a sé, lei si illuse di avere
ancora del potere su di lui.
- Come un bambino eh? Ho sentito delle cose!
La staccò dal suo petto, tenendola per mano e scrutandola sospettoso.
Jimmie?
Non era preoccupato per la posizione di Jimmie e tuttavia c'era qualcosa
che non riusciva a capire.
- Perché mi guardi così? - chiese. Sentendo il campanello, la lasciò
lentamente.
Erano O'Hara e l'uomo che in quel momento occupava i suoi pensieri.
Diede un rapida occhiata a Jimmie. Il ragazzo era pallido, nervoso e teso.
- Ciao Jimmie, ragazzo mio.
Jimmie lo salutò con un cenno del capo.
- L'ho incontrato sulla Avenue - disse O'Hara, lanciando un significativo
sguardo a Tony.
Se quello sguardo voleva far notare a Tony che la sua nuova recluta era
un fallimento, giunse troppo tardi.
- Voglio parlare con te, Tony - disse Jimmie a bassa voce. Sorrise
tristemente a Minn Lee.
- Corri via ora, tesoro. - Tony le cinse la vita e la accompagnò alla porta.
- Jimmie e io abbiamo qualcosa da dirci.
Lei si voltò verso Jimmie.
- Posso vederti prima che tu te ne vada?
- Certo - rispose Jimmie.
Se poteva vederlo prima che lui se ne andasse? Perché? Cosa aveva da
dirle? Molte domande si affacciarono alla mente del ragazzo.
- Siediti - disse Tony.
Jimmie continuava a vagare senza tregua, avanti e indietro.
- Preferisco camminare - disse. Tony sorrise.
- Quello è un magnifico tappeto, ma non serve a niente se non ci
cammini sopra. Vacci pure, Jimmie.
- Vuole parlarti - disse O'Hara in tono confidenziale.
Tony annuì.
- Lo so. Le mie orecchie sono ancora buone. L'ho sentito quando lo
diceva. O'Hara non avvertì l'ironia della frase.
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1931 - Furia A Chicago
Jimmie trovò molto difficile cominciare.
- Mi sono davvero reso ridicolo l'altra sera... - cominciò. Tony lo prese
sottobraccio e lo condusse sul terrazzo.
- Non è nulla, ragazzo. Sei in gamba. Non preoccuparti. Chi non fa delle
sciocchezze in situazioni come questa?
Attese. Jimmie si era allontanato e stava camminando su e giù lungo la
terrazza, con le mani in tasca e la testa bassa. Esitava.
- Vedi... io conoscevo Shaun, direi che mi era simpatico... e quando gli
ho puntato contro la pistola... mi ha guardato... con gli occhi feriti, capisci,
è stato come sparare a un cane al quale sei affezionato...
Tony cercò di calmarlo.
- So come ti senti, ragazzo, ma non è nulla.
- Se Con non fosse stato lì - continuò il ragazzo - penso che sarei stato
ucciso ma che non avrei assassinato Shaun.
Con gongolò a questa testimonianza del suo valido aiuto.
- L'ho preso in pieno, capo - disse con enfasi. - Non sono certo il tipo
che ti lascia nelle grane. Quando ho visto che il ragazzo era nervoso...
Tony lo azzittì con uno schiocco della dita.
- Tra un minuto, eh, Con? Dimmi, Jimmie.
- Non ho dormito... me lo sono visto davanti tutta la notte. I suoi occhi...
sembravano... - Si fermò, fissando qualcosa che vedeva solo lui nella
stanza.
O'Hara sentì che era arrivato il momento di commentare.
- Hey, è mai possibile? Scherzi?
Questa volta non poté non capire l'atteggiamento di Tony. Il viso del
siciliano era pallido per la rabbia.
- Taci, stupido! - Batté, con un incoraggiante gesto fraterno, la mano
sulla spalla di Jimmie. - Tu vai bene per me, Jimmie. Certo, so come ti
senti. Sei ancora un ragazzo e tutta questa faccenda sembra orribilmente
sporca. Ma noi dobbiamo farlo, Jimmie. Io non voglio guai; mi piacerebbe
tirare avanti questo racket senza far male a una mosca, se loro mi
lasciassero in pace. Non ha senso, Jimmie, tutto questo uccidere, uccidere
e uccidere ancora. A chi diavolo piace uccidere qualcuno? Ma loro non ti
lasciano in pace: tu ti organizzi per lavorare con calma, con amicizia e con
onore e tutto il resto, ma poi arriva uno del gruppo North Side e si
intromette, e tu devi dirgli quando si deve fermare.
- Senti, è così che vanno le cose - interruppe Con. - Se tu non fai fuori
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uno, quello fa fuori te. Ti avevo avvertito prima di partire, l'altra sera.
La pazienza di Perelli era al limite.
- Con, non mi piacciono quelli che parlano troppo, soprattutto quando
parlo io. Hai già visto Kelly?
- Non preoccuparti della polizia - rispose l'irreprensibile irlandese perché non ha nessuna importanza. Lasciami parlare con Kelly.
Jimmie sentì la sirena e vide che Tony andava al balcone per guardare in
strada. Quando tornò indietro disse: - Vuoi parlare con lui? Ha provveduto
lui stesso: era la sua macchina. Non l'hai mai incontrato?
- Kelly? Ah-Ah - rise Con. - No. Senti capo, quelli sono tutti uguali.
- Non chiamarmi capo, dannazione! - Si voltò verso Jimmie. - Ascolta,
Jimmie: tu hai cervello, renditene conto e subito. Non lasciare che questo
tizio ti mandi in confusione. Parla il meno possibile.
Jimmie era terrorizzato.
- Non mi farà delle domande? Non saprà che sono stato io?
- No, a meno che tu non glielo dica. Fai attenzione ai suoi bluff.
- Gli parlerò io - disse Con. Perelli socchiuse gli occhi.
- Tu, eh? Con, tu sei un gran chiacchierone. Mi piaci, sei in gamba, ma
non parlare e non fare lo spiritoso. Qui non siamo a New York; qui siamo
in America.
Il commissario Kelly entrò lentamente nella stanza. Per Jimmie
rappresentava il Fato e Nemesi, la dea della vendetta. Era un uomo alto,
con le spalle larghe e con occhi duri e scrutatori che brillavano dietro un
paio di occhiali. Quando entrò, l'atmosfera si fece minacciosa e strana.
Era la Legge, derisa, disprezzata e ignorata da quelli che vivevano come
Tony e come Shaun O'Donnell. Tuttavia esisteva e quell'uomo portava con
sé una buia e terribile realtà.
13.
Il commissario si guardò in giro e scrutò gli uomini con uno sguardo
divertito; c'era un certo riluttante piacere nei suoi occhi, come se riuscisse
a vedere il lato comico della situazione.
- Buongiorno, capo - lo salutò Tony con un ampio sorriso.
- C'è una festa? - chiese Kelly, innocentemente, guardando Jimmie.
- È un po' preso per una festa - disse Tony e Kelly annuì.
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- Sono andato a un party questa mattina. - La sua voce era asciutta,
tagliente; non c'era più quello sguardo mezzo divertito. - Eravamo io, il
coroner e Shaun O'Donnell. Il coroner e io abbiamo portato avanti la
conversazione.
Sul viso di Tony scese una maschera di mestizia.
- Povero vecchio Shaun! È una cosa tremenda. Quando ho letto i
giornali e ho visto che se ne è andato, ecco, sono rimasto colpito. Mi ha
rovinato l'intera mattinata.
Di nuovo Kelly annuì.
- Ha rovinato anche la sua - disse aspramente. - Questo ragazzo è
McGrath? Tony fece le presentazioni, anche se non erano necessarie.
- Il signor James McGrath, di Harvard. È un universitario - aggiunse.
Kelly sapeva bene quale fosse lo stato sociale di Jimmy.
- Espulso al primo anno per furto ai danni di un collega. È esatto? chiese al ragazzo che se ne stava lì in silenzio, completamente terrorizzato.
- Sembra che voi sappiate tutto - disse, e quasi non riconobbe la sua
stessa voce.
- Un buon inizio, eh capo? - ridacchiò Tony e Kelly fece una smorfia.
- Davvero? Se devo ridere, riderò! Un buon inizio! Che cosa fa ora?
Dipinge fiori sulle bottiglie? Non è questo ciò che fai, vero ragazzo?
Jimmie non rispose.
- Non è questo che stavi facendo la notte scorsa, vero? Jimmie prese un
po' di fiato.
- Non so cosa vogliate insinuare - disse, in un fiato.
Il detective stava concentrando il suo attacco contro il ragazzo. Perelli se
l'era aspettato; di certo sospettava anche di Con O'Hara, ma quello poteva
attendere.
L'irlandese ascoltava con impazienza crescente. Poteva essere
sospettato, poteva gloriarsi dei sospetti della polizia, ma essere ignorato
era una cosa che feriva il suo amor proprio.
La sua impazienza era generata anche da un altro motivo: Jimmie era
sull'orlo di un collasso e poteva cedere da un momento all'altro. Con non
aveva molta fiducia. Perché quell'uomo con quella faccia granitica non
interrogava lui? Era già stato messo sotto torchio dalla polizia, conosceva i
suoi metodi e i suoi bluff; per dire la verità, conosceva i limiti dei
poliziotti.
- Da quanto tempo sei nel racket? - chiese Kelly. Jimmie respirava a
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fatica.
- Quale racket? - cominciò.
- È tutto O.K. Jimmie - lo incoraggiò la calda voce di Tony. - Il capo sa
che contrabbandiamo liquore. A Chicago non ci piace rimanere a secco. È
con me da tre mesi, signor Kelly, è un bravo ragazzo...
- Conoscevi Shaun O'Donnell? - chiese Kelly.
- Sì, l'avevo visto.
- Lo conoscevi? - insistette il poliziotto. Jimmie annuì.
- Eri solito cenare con lui da Bellini, vero? Lo conoscevi bene? Jimmie
esitò.
- Sì, lo conoscevo.
- Mi è stato detto che tu e lui eravate buoni amici. Eri solito fargli visita,
vero? Jimmie strinse i denti; non voleva ricordare certe cose.
- Sì, lo conoscevo - ripeté.
- Sai che è morto? - chiese Kelly. Jimmie annuì.
- Lo sai che è stato ucciso da un qualche giocatore d'azzardo? - proseguì
lo spietato commissario, non abbandonando per un attimo gli occhi del
ragazzo. - Assassinato da uno di quei killer da quattro soldi?
Jimmie non rispose.
- Non so da quale bordello venga sua madre. - Kelly guardava il ragazzo
così da vicino che neppure un battito di ciglia gli sarebbe sfuggito. - Ma
quella donnaccia ha fatto un figlio e l'ha tirato su come ha potuto: tale
madre, tale figlio.
Il viso di Jimmie, pallidissimo, si colorò di rosso, per tornare bianco
subito dopo.
- Cosa diavolo c'entrano le madri con questa faccenda? - cominciò, ma
poi colse lo sguardo di Tony e capì l'avvertimento.
- Le madri hanno molto a che fare - continuò Kelly lentamente. - Mi
piacerebbe sapere se mi è passata qualche volta tra le mani, quando
comandavo la buoncostume.
Il sangue pulsava nelle vene del ragazzo, che si contorceva le mani con
le nocchie bianche.
- Solo il figlio di una donna come...
- Per Dio! Se voi...
Era fuori di sé. Tony intervenne velocemente.
- Jimmie! - La sua voce era come un ruggito. - Perché te la prendi tanto?
Kelly aveva le mani in tasca. Si voltò verso Perelli e, con voce glaciale,
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disse:
- Perelli, tu sei un pezzo grosso in città. Puoi manovrare un'intera giuria
e molti giudici mangiano nel tuo piatto. Ma se interferisci con me, ti farò
passare dei brutti guai.
Tony scrollò le spalle.
- Interferire, capo? Io volevo solo...
- Lo so, lo so - disse Kelly. - Hai fatto quello che volevi: hai dato tempo
al ragazzo di riprendersi. O.K. ragazzo. Dimmi quello che voglio sapere, e
sii chiaro.
Era vicinissimo al giovane. Lo afferrò per il bavero e lo spinse sul
divano.
- Dov'eri la notte scorsa?
- A teatro - rispose Jimmie.
- Quale teatro? - lo incalzò il detective.
- Perché...? - esitò. - Al Blackstone.
- Al Blackstone - annuì Kelly. - Che numero di poltrona avevi?
Con O'Hara intervenne. Le domande si stavano facendo pericolose e la
situazione era peggiorata perché gli occhi di Jimmie erano colmi di panico.
- Hey, come diavolo fa a ricordarselo? - domandò. Kelly si voltò di
scatto verso di lui.
- Tieni la bocca chiusa fino a quando non sarò io a rivolgerti la parola grugni e poi si rivolse di nuovo a Jimmie. - Qual era il numero della tua
poltrona, ragazzo?
- Non lo so. - Jimmie cercava di evitare il suo sguardo. - Non ho buona
memoria per i numeri.
- Forse allora hai buona memoria per i titoli - disse Kelly. - Come si
intitolava la commedia?
La mente di Jimmie era disperatamente vuota. Passò in rassegna alcuni
titoli e ne disse uno.
- Eh? Sì, penso che fosse The Broadway Revue... sì, era proprio quella.
Kelly si morse il labbro con aria dispiaciuta.
- Davvero? Ma questo è il titolo di un film. Jimmie annuì.
- Sì, è proprio quello che ho visto, un film.
- Al Blackstone?
Il ragazzo si guardò intorno in cerca di aiuto.
- Vedete, io non conosco Chicago molto bene; forse era un altro teatro.
- Quale?
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Tony, che si trovava dietro Kelly, gli suggerì la risposta.
- Era il Rialto - disse Jimmie.
Un sorriso sardonico illuminò il viso del detective.
- Il nome assomiglia a Blackstone, vero? A che ora siete uscito, signor
McGrath?
O'Hara aprì la bocca per parlare, ma Tony lo azzittì con un brusco
cenno.
- A che ora avete lasciato il teatro?
Jimmie accettò di nuovo il suggerimento del suo capo, che aveva alzato
rapidamente le mani.
- A mezzanotte, immagino.
- Bene! - C'era un tono di trionfo in quella parola e poi, dopo una piccola
pausa: - Non ci sono state rappresentazioni al Rialto la scorsa notte. La
sala di proiezione è stata chiusa. - Kelly osservò Perelli. - Voi non leggete
altro che gli annunci mortuari?
- Non so che teatro fosse - disse Jimmie con astio e O'Hara tentò di
nuovo di attirare su di sé l'attenzione.
- Ve l'ho già detto, capo, che il ragazzo non è di Chicago - disse.
L'attenzione di Kelly si spostò su di lui.
- Tu sei qui da molto invece, eh? Con digrignò i denti.
- Ecco, no. Sono nuovo anch'io. Vengo da New York. Kelly scosse la
testa.
- Non sapendo dov'è una via - disse - tu troveresti ugualmente la strada a
Chicago.
- Sicuro. Prenderei un taxi.
- Hai preso un taxi per Atlantic Avenue e la Novantacinquesima strada,
la scorsa notte?
- Io? Alle dieci ero già a letto. - O'Hara sembrava davvero indignato.
- Allora sei stato tu! - Il dito accusatore di Kelly indicò Jimmie. - No!
- Sei stato tu!
- No! - Questa volta Jimmie gridò la sua risposta.
Con grande determinazione, Kelly estrasse dalla tasca il suo libretto
degli appunti.
- Ascolta: Harrigan ha visto Shaun prima che morisse e O'Donnell ha
cantato. Ha detto che siete stati tu e O'Hara.
Sentì un riso soffocato. Tony si era accomodato su una delle sue eleganti
sedie in stile rinascimentale.
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1931 - Furia A Chicago
- È morto senza dire una parola... lo so benissimo.
- Lo sai, eh?
- Certo che lo so - annuì Tony. - Perché non lo arrestate allora? Perelli
sapeva già la risposta che Kelly gli avrebbe dato.
- Perché, appena portato alla stazione di polizia, troverei subito uno dei
tuoi avvocati che lo farebbe rilasciare sciorinando l'Habeas Corpus. Ecco
perché non lo arresto - rispose Kelly.
Lo scriteriato O'Hara intervenne un'altra volta.
- Non rispondere più a nessuna domanda, ragazzo - disse.
- Ti sei risvegliato? - Kelly lo guardò duramente.
- Sicuro.
- Per quanto tempo hai intenzione di vivere così?
- Per molto - rispose O'Hara.
Tony si era alzato in piedi e si era avvicinato all'irlandese. Fece scivolare
la mano nella tasca di O'Hara dove sapeva che Con teneva la pistola e la
trasferì nella sua.
- Ho intenzione di vivere così per molto tempo - ripeté O'Hara.
- Forse a tua moglie sembrerà troppo lungo - disse Kelly, provocando la
furia di Con.
O'Hara non aveva tatto. Aveva trattato con molti poliziotti, li aveva
corrotti e ricattati e non vedeva nessuna differenza tra loro e Kelly. Quello
che gli urlò, non è riportabile per iscritto. Dopo tre insulti, Kelly lo colpì
violentemente in pieno viso.
Con una bestemmia, O'Hara indietreggiò, cercando in tasca la sua
pistola. Ma il commissario fu più veloce. Come per magia una pistola
automatica nera era comparsa tra le sue mani. La puntò alla vita di Con.
- Dammi la tua pistola - comandò. Lo perquisì scientificamente.
- Non ce l'hai, eh? Però pensavi di averla.
Rimise la sua nella fondina e, dopo essersi avvicinato a Perelli, gli batté
affettuosamente una mano sulla spalla.
- Perelli, a te lo posso dire... sei intelligente. Il giorno che riuscirò a
mandarti sulla forca, mi prenderò una sbronza. - Guardò l'orologio e si
avviò alla porta. - Farai tardi al tuo appuntamento, Perelli. Non fare
aspettare Mike Feeney.
E con queste parole, li lasciò.
- Chi glielo ha detto? - balbettò O'Hara, ma Tony non parlò fino a
quando non sentì la porta chiudersi alle spalle del detective. Poi rientrò nel
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1931 - Furia A Chicago
salone per chiamare Angelo, dopo aver ordinato a Jimmie di contattare
Mike Feeney al telefono. Quando Angelo arrivò, Jimmie stava
telefonando. Tony gli diede delle istruzioni specifiche ma senza entrare nei
dettagli, perché Angelo si era già trovato a dover affrontare situazioni
simili.
Mike era in linea.
-... Sei tu, Mike? Stai tranquillo, i telefoni sono isolati... Kelly è stato
qui... è per questo che sono in ritardo... O.K... Poi verremo qui... Va bene,
Mike.
Appese il ricevitore.
Angelo entrò di corsa, con il cappello e l'impermeabile.
- I ragazzi sono usciti? Bene. Tu verrai con noi, Con. - Guardò
pensieroso Jimmie. - No, Jimmie, tu rimarrai qui. Tornerò in pochi minuti.
Al telefono, Mike Feeney aveva capito l'urgenza di incontrarsi con il
proprio nemico; anche Perelli la condivideva. Questo non sarebbe stato un
incontro segreto tra capi banda, ma un incontro che si sarebbe svolto, se
non sotto gli auspici, almeno sotto la sorveglianza della polizia. Quindi
non ci sarebbero state sparatorie. Se la polizia era informata dell'incontro,
e lo era, ogni piccola infrazione della legge avrebbe rappresentato un
pericolo.
Tony non aveva ancora raggiunto il luogo dell'appuntamento, che si era
reso conto di quanto le preoccupazioni di Feeney e le sue fossero
giustificate. C'erano macchine della polizia a ogni isolato. La via pullulava
di agenti. Quando s'incontrarono, stringendosi la mano come rispettabili
cittadini, lo fecero in presenza di un nugolo di testimoni. Mike Feeney si
rendeva conto della presenza del pubblico.
I suoi killer si erano allontanati, ma restavano a disposizione. Nello
stesso modo avevano fatto i gorilla di Tony.
- Salve, Mike! - fu il saluto convenzionale di Tony. Si strinsero le mani
senza paura.
- Vieni nel mio appartamento, Mike? - chiese Perelli. Mike si guardò
intorno, in cerca dei suoi uomini.
- I tuoi ragazzi possono venire con te - disse Tony. - Noi non vogliamo
guai. La macchina di Kelly è appena passata. Hey, Mike, quello è come un
fratello per te!
Mike esitò. Era insolitamente nervoso, perché da qualche parte c'era sua
sorella. Poteva essere seduta in una qualsiasi macchina che passava... e
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sapeva usare la mitragliatrice con l'abilità di un uomo. Odiava Tony con
una malignità fuori da ogni comprensione, ed era questo a renderlo
nervoso.
- Certo, verrò con te - disse.
Salirono insieme sull'ascensore privato di Tony. Quando entrò
nell'appartamento, fu testimone di un delizioso idillio che si era svolto
dopo la sua partenza.
14.
Jimmie sentì la porta chiudersi dietro le spalle del suo capo; si sedette
con la testa tra le mani, pensieroso e confuso... Nella sua anima c'era un
turbinio di paura e di risentimento. Avrebbe potuto andarsene da Chicago,
ma avrebbe sempre portato con sé il proprio fardello, un fardello di colpa e
di tradimento. Aveva commesso lo stesso peccato di Caino. Non c'era
posto in cui potesse andare...
Se avesse potuto andare nell'ufficio di Kelly e confessare il proprio
crimine senza coinvolgere Con O'Hara e Perelli avrebbe trovato la
soluzione al suo angosciante problema. Se avesse potuto ritornare in un
mondo nuovo, pulito... Ma si sarebbe portato questo mondo dovunque, per
sempre.
Jimmie McGrath sapeva qual era l'unico modo per uscirne. Farlo con le
proprie mani? No! Sarebbe stato un inganno e la sua vita, ormai, era
perduta. Doveva pagare il suo debito.
- Cosa c'è, Jimmie?
Alzò lo sguardo. Minn Lee era davanti a lui, così calma, così serena,
così radiosa, che solo vederla gli tolse il fiato.
- Ciao, Minn Lee - disse, con voce tremante.
- Cosa c'è che non va, Jimmie? Non stai bene? Lui fece un cenno e si
rimise la testa tra le mani.
- No... - Ci fu una lunga pausa. - Vorrei essere morto!
Lei si sedette vicino a lui e posò la sua piccola mano sul suo ginocchio.
Nella sua voce c'era una nota di gentile rimprovero.
- Oh, Jimmie, ti avevo detto di andartene! - disse tristemente. Lui alzò lo
sguardo e la guardò, sorridendo.
- Andarmene... Dove?
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1931 - Furia A Chicago
Lei sospirò e lui la guardò con tenerezza.
- Vorrei che tu non fossi in questa situazione - disse. Lei alzò lo sguardo.
- Nel racket - le spiegò lui. - Non puoi uscirne? Tu non hai legami qui.
Minn Lee prese il suo ricamo e lo guardò per lungo tempo, in silenzio.
- I miei legami sono uguali a quelli di qualsiasi altra donna, Jimmie.
Quando ci sei dentro, lo sei per tutta la vita - disse. Lui poté solo ripensare
a lei come aveva fatto prima: era come appariva a lui o come appariva a
Tony Perelli? La sua figura di donna ideale era solo una debole struttura
basata sull'illusione?
- Ma non ti importano... quegli scontri e quegli omicidi? Lei si strinse
nelle spalle.
- No. Se Tony fosse un uomo d'affari, non farebbe differenza per me. Poi
lui le fece una domanda che desiderava rivolgerle da tempo.
- Tu devi essere andata in una buona scuola, Minn Lee. Parli come...
come qualcuno che...
- Sono andata all'Università della Colombia.
- All'università? Accidenti! Hai preso la laurea? Lei annuì.
- Bene, e allora perché, in nome del cielo, sei qui? Lei non alzò lo
sguardo dal suo lavoro.
- Ecco, sai - rispose evasivamente - arte, amore, non sapevo come
andavano le cose ed è andata così.
Jimmie provò verso di lei un'infinita tenerezza e avrebbe dato la sua vita,
se non fosse già stata gettata via, per portarla fuori da quel giro. Glielo
disse.
- Vai via - disse lei. - In fretta.
Lui scosse la testa; sarebbe stato coinvolto per tutta la vita, fino alla
morte.
Si alzò e si mise a passeggiare su e giù per la stanza, pensando che lei
fosse ancora intenta nel suo lavoro. Quando si voltò verso di lei, invece,
vide che lo stava guardando allarmata.
- Jimmie... Chi ha ucciso quell'uomo la scorsa notte?
La domanda fu sconvolgente perché, in quel momento, Jimmie aveva
dimenticato Shaun O'Donnell.
- Io... io non lo so - disse indeciso.
- Chi l'ha ucciso? - chiese di nuovo lei.
In quel momento, qualcosa nel suo cuore si ruppe e, cadendo in
ginocchio davanti a lei, le nascose in grembo il volto. Jimmie McGrath
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non resse più.
- Sono stato io, Minn Lee, sono stato io - disse piangendo. - Ho cercato
di ubriacarmi prima di farlo, ma, a ogni bicchiere, diventavo più sobrio.
L'ho ucciso io. L'ho ammazzato a sangue freddo. Devo pagare... lo so. Ma
vorrei pagare subito... vorrei essere punito subito, ora!
Lei annuì.
- Sarà presto, per te... e anche per me - disse.
- Per te? - Lui alzò gli occhi e vide l'immagine di lei offuscata dalle
lacrime. - Nessuno vuole farti del male.
E poi capì che tutti le facevano del male, Perelli e lui stesso. Capì che
Minn Lee non era quella filosofica e distaccata orientale, ma che la metà
americana di lei soffriva e provava forti emozioni. Cercò la sua mano e la
strinse.
- Io ti amo, Minn Lee - sussurrò. - Non c'è nulla per cui io vorrei vivere,
tranne te. Non l'avevo mai detto a nessuno.
Lei liberò la mano.
- Non ho nulla da darti, nulla - disse. La sua voce era senza tono, quasi
monotona. - Io sono perduta, ormai, non vado più bene per nessuno.
Lui invece cominciò a fantasticare piani progettati in quel momento;
disse che avrebbero potuto andare via insieme, andare in Canada, dove
Perelli e i suoi uomini non avrebbero potuto scoprirli.
Lei lo riportò alla realtà con un riso amaro.
- Una donna cinese e un ragazzo? Jimmie, no! Non ho nulla da darti. Il
mio corpo appartiene a questa casa... a Tony. Non voglio nessun altro
uomo. Non ho quasi più niente da dare nemmeno a lui... ma lo amo.
- Altre donne hanno vissuto in questa casa. - Il desiderio di lei lo fece
diventare crudele.
Lei lo sapeva.
- E se ne sono andate... sai dove? Lei lo sapeva, ma non aveva paura.
Cercò di riportarlo alla realtà. Pensava che Tony sarebbe stato buono
con lui, se fosse rimasto. Jimmie le ripeté che l'unica cosa che sapeva era
che l'amava. Ma lei scosse di nuovo la testa.
- Io amo solo Tony.
Tony Perelli, stando sulla soglia, vide la scena e rimase a osservare i due
con lo sguardo che un padre benevolo rivolge ai suoi figli. Jimmie lo sentì
e balzò in piedi, ma Tony interruppe le sue balbettanti scuse.
- Ah, Jimmie, no. Non devi sentirti in colpa. Era una scena così carina!
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1931 - Furia A Chicago
Ora andate, portalo nelle tue camere, mio piccolo fiore.
Jimmie cercò di nuovo di dire qualcosa, ma lei lo trascinò via. Il sorriso
di Tony era benigno... meccanicamente benigno.
Li guardò fino a che non sparirono dalla sua vista, ma rimase a fissare il
punto nel quale erano scomparsi per lungo tempo.
15.
Mike Feeney entrò un po' timoroso nel salone. Non era la sua prima
visita, ma erano successe molte cose dall'ultima volta che era stato lì.
Si voltò e parlò ad alta voce ai suoi gorilla, più per incoraggiare se stesso
con la certezza della loro presenza, che per dare loro degli ordini.
- Ragazzi, deponete le pistole. Questi sono i patti, vero Tony? Tony capì
e sorrise.
- Certo. Posate le armi sul tavolo e servitevi da bere.
Feeney tolse due pistole dalla fondina che aveva legata sotto il braccio e
le posò sul tavolo con una bestemmia.
- Queste sono mie - sottolineò.
Anche Tony estrasse due pistole dall'elegante fondina che portava legata
alla vita e le mise a fianco delle altre.
- Dov'è Angelo? - chiese Mike guardandosi intorno.
- L'ho mandato da Schoberg - disse Tony, con aria d'intesa. Mike sorrise.
- Certo! È una bellissima idea! Hai sempre delle idee favolose in questo
senso - esclamò. - I ragazzi ne saranno contenti.
Tony aprì uno dei cassetti della sua scrivania con un tonfo che fece
voltare il suo ospite con apprensione. Aveva estratto dal cassetto una
comunissima scatola.
- Vuoi un sigaro? Mike ne scelse uno.
- Di regola, io non fumo. Mi fa male agli occhi.
Nessuno dei due vide Minn Lee attraversare il terrazzo. C'era una
sporgenza di pietra che fungeva da amplificatore. Si poteva stare dietro
questa sporgenza e, non visti, ascoltare anche una conversazione fatta a
voce bassissima. Minn Lee lo aveva scoperto lo stesso giorno in cui era
arrivata nell'appartamento. Tony non aveva mai fatto questa scoperta,
perché andava molto raramente sulla terrazza. Un certo Angelo Beratachi
era stato ucciso con un colpo di pistola mentre si trovava sulla sua terrazza,
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
al terzo piano, da un nemico che aveva sparato da un'altra terrazza a
cinquecento metri. I gangster non corrono mai lo stesso rischio due volte.
- Ora senti, Mike. - Tony si accese il sigaro. - Per quello che ti ho
accennato al telefono. Stiamo facendo entrambi un bel mucchio di soldi.
Per qualche soldo in più o in meno, perché creare tutti questi guai?
- È giusto! - L'entusiasmo di Feeney era un po' forzato. - L'ho sempre
detto che hai più cervello tu di un professore dell'università.
Perelli portò due sedie al centro della sala e i due si sedettero, uno di
fronte all'altro.
- Ma adesso, Tony, sarò chiaro con te: non m'importa molto della morte
dei miei teppisti, il problema grosso è Shaun.
Tony mormorò qualcosa, e Mike sollevò una mano per interromperlo.
- Lo so, lo so. A Shaun tu non piacevi. Ti ha creato molti guai, e forse, io
mi sarei comportato come te, ma mia sorella lo ha sposato! Tu sai come
sono fatte le donne. Adesso è in giro che cerca chi ha fatto fuori suo marito
e i ragazzi sono con lei.
- Tua sorella - disse Perelli in tono gentile - è una signora molto in
gamba. Ma Mike non si faceva illusioni.
- Non è il tuo tipo, Perelli. Non ha mai avuto sex appeal per nessuno, a
parte Shaun. Questo è il guaio.
Tony arrivò dritto al punto.
- Cosa vuoi che faccia?
Sporgendosi verso di lui, Mike parlò chiaro.
- Sappiamo chi ha fatto fuori Shaun: O'Hara e quel ragazzo, McGrath.
Uno dei miei li ha visti tornare verso la città. Il ragazzo non vale molto. Mi
dispiace per Con... l'ho conosciuto a New York... ma è un grosso guaio.
Hai visto la sua donna?
Tony l'aveva vista... e non l'aveva dimenticata.
- Sì, ho visto la sua donna. Cosa vuoi che faccia? - chiese di nuovo.
Mike Feeney abbassò la voce.
- Consegnameli questa notte. Alle undici in punto all'angolo della
Michigan e della Novantaquattresima strada. Manderò un paio dei miei
ragazzi, e tutto sarà sistemato.
- Non lo farei nemmeno con un cane - esclamò Tony con ardore.
- Ti rispetto per questo, ma... Perelli si prese il volto tra le mani.
- Quei ragazzi sono indubbiamente una fonte di guai per me - disse e, a
questo segnale di debolezza, le speranze di Mike si sollevarono.
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- Ci sono dei problemi in tutte la bande... ti ricordi di Vinsetti?
- Lo conoscevo... Feeney sogghignò.
- Voleva farti le scarpe, vero?
- Parlava di separarsi dalla banda - disse Tony con indifferenza.
- Venne in questo appartamento e non si seppe più nulla di lui fino a
quando non fu ripescato nel Lago Shore. - Mike fu decisamente
drammatico nella ricostruzione dei fatti.
- L'ho letto - disse Tony. - Io non voglio guai - proseguì lentamente. - Va
bene: te li consegnerò.
Si alzarono nello stesso momento mentre bussavano alla porta. Era
Angelo. Non lo riconobbero subito perché era nascosto dietro un'enorme
corona di fiori che depositò davanti ai due.
Era una corona meravigliosa. Una delle più belle produzioni di
Schoberg, che era il fiorista più elegante di Chicago. Mike Feeney rimase
colpito.
- È un pensiero bellissimo. Sì, lo apprezzo molto. Prese il biglietto
bordato a lutto, e lesse:
Gli Angeli sentirono la voce di Shaun
e dissero: Un altro uomo buono se ne è andato.
Con la più profonda partecipazione.
Tony Perelli.
Poi Mike esclamò: - Accidenti! È bellissimo!
16.
I party di Perelli erano sempre molto eleganti. Quest'ultimo, organizzato
in un momento così poco opportuno, avrebbe dovuto avere delle mire
precise. Non era il momento ideale per un party, con Shaun O'Donnell
appena sepolto sotto terra e sotto pesanti corone di fiori. Il vescovo gli
aveva rifiutato la sepoltura in suolo consacrato. Sua moglie aveva
protestato molto violentemente. C'erano dei posti liberi all'Holy See, ma
non riuscirono a collocarvelo. Rimase sepolto in terra sconsacrata per un
mese. Poi qualcuno lo dissotterrò e collocò la sua tomba ai piedi di quella
del vescovo.
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Ma mentre si svolgeva il party, Shaun era ancora in un pezzo di terra
sconsacrata e, come disse il monsignore piuttosto irritato, sicuramente
all'inferno. Di conseguenza non era il momento opportuno per una festa in
grande stile.
Questi party però erano molto utili a Perelli: erano i momenti dedicati al
vino e ai festeggiamenti.
Mentre gli ospiti ballavano, Tony fece cenno ad Angelo di seguirlo nel
salone.
- Ascolta, Angelo, manderò Con e Jimmie a West Side. Lo disse con
fare circospetto. All'inizio, Angelo non capì.
- Davvero? - Poi aggiunse, in fretta. - Perché? Ma ormai lo sapeva anche
troppo bene.
- O'Hara parla troppo - disse Tony.
Cercò di mostrare del dispiacere ma non ci riuscì. Angelo annuì,
fissandolo.
- Sì, sarebbe meglio che stesse zitto. Ci crea un sacco di guai. Ma il
ragazzo... Fece una smorfia, insolita per lui. Non era tanto sconvolto,
quanto meravigliato.
Perché Jimmie? Lo chiese a Tony.
- L'hai visto? Non ha i nervi saldi. Se Kelly lo dovesse portare al suo
Quartier Generale...
Per la prima volta, Perelli non riuscì a convincere l'uomo che era come
la sua ombra.
- Certo che non ha i nervi saldi. - La voce di Angelo era molto calma. Non ti avevo detto di non mandarlo? Avrebbe potuto esserci utile, e
potrebbe esserlo ancora.
Vide che lo sguardo di Tony si era spostato sulla terrazza. Minn Lee era
là. Angelo aggrottò le sopracciglia. Non per Minn Lee. Era per un altro
motivo.
La ragazza si avvicinò e li fissò senza parlare. Angelo, avvertendo la
tensione, fu ben lieto di andarsene.
Nella mente di Perelli c'era uno strano dubbio... un sospetto suggeritogli
dall'istinto. Gli mancava Minn Lee; anche se eccitato per l'arrivo di Maria,
sentiva la mancanza di Minn Lee.
- Dove sei stata tutta la sera? - chiese. Lei lo guardò dritto negli occhi.
- Nella mia camera - disse.
- Mentre io do una festa, tu te ne stai nella tua camera. E Jimmie? Era
Edgar Wallace
91
1931 - Furia A Chicago
nella tua camera anche lui?
La risposta arrivò con una scioccante franchezza.
- Sì.
Lui la guardò. Non era stata tutta la sera nella sua stanza perché era
andato da lei e aveva trovato la porta chiusa a chiave. Lei chiudeva a
chiave solo quando usciva.
- Devo quindi supporre che tu e Jimmie eravate in camera quando ho
trovato la porta chiusa a chiave.
- Sì.
Lui respirò profondamente.
- Non ti sembra di essere sfrontata?
Riuscì a malapena a pronunciare quelle parole. Lei e Jimmie nella
camera... con la porta chiusa!
- Mi hai detto di portarlo via dalla tua festa. - C'era un mezzo sorriso
sulle sue labbra rosse. - Bene... io l'ho fatto!
- Certo che te l'ho detto - disse lui in fretta; poi, come se si rendesse
conto solo allora dell'enormità della sua offesa, l'afferrò per un braccio. Ma ti avevo forse detto di chiuderti a chiave con lui nella tua stanza?
Lei non indietreggiò né diede segno di provare del dolore mentre lui le
stringeva il polso con la sua mano. Non si piegò sotto lo sguardo furioso di
lui. Poi allentò la stretta.
- Dove sono tutte le belle signore e gli eleganti signori invitati alla festa?
- chiese.
Non era affatto interessato agli ospiti, ma solo a Minn Lee e a Jimmie e
al perché di quella porta chiusa.
- Nel giardino d'inverno, a ballare.
- Hai chiuso la porta a chiave. Ti avevo fatto quella domanda per
scherzo. Come potevo immaginare che la risposta sarebbe stata sì? - Poi
riprese il controllo di sé. - Vai a dire a Jimmie che voglio vederlo.
Per la prima volta, lei mostrò un certo allarme.
- Hai intenzione di dire qualcosa a Jimmie? È stata solo colpa mia. Lui
scosse la testa.
- No, no. Jimmie è un ragazzo in gamba, mi piace. - Guardò l'orologio. Vai a dirgli che gli devo parlare.
Mentre lei s'incamminava alla porta, lui la richiamò.
- Oh, Minn Lee. Voglio anche Con O'Hara. ...Vieni qui.
Ubbidiente, lei ritornò verso di lui. Conoscendolo così bene, non rimase
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sorpresa quando lui le mise un braccio intorno alle spalle.
- Non far caso a me, sono preoccupato per gli affari. Non essere... - Fece
un gesto espressivo. - Sai? E, Minn Lee, presta attenzione alla signora
O'Hara, vuoi? È una donna elegante, ma non quanto te. Se Con dovesse
dire qualcosa, digli che sei tu che pensi a lei. Dille che tipo elegante sono,
che ti ho mandato sulla costa, ti ho dato una casa e ti ho vestito come le
signore di Hollywood.
Lei si scostò da lui.
- Puoi dirglielo tu - disse.
Lui guardò di nuovo l'orologio.
- Vai a chiamare i ragazzi. Perché hai chiuso la porta a chiave? Questo
pensiero faceva capolino nella sua mente.
- Non volevo che qualcuno entrasse - rispose lei con semplicità; lui si
morse le labbra.
- Piagnucolava ancora, eh? Se Kelly dovesse portare quel ragazzo al suo
Quartier Generale, ci vorrebbe l'inferno per...
Minn Lee stava sorridendo.
- Ma lui non stava piangendo - disse.
Quando la porta si chiuse dietro di lei, Tony si sedette su una delle sedie
del grande tavolo, mordendosi nervosamente le unghie. Minn Lee era
diventata improvvisamente incomprensibile. Questa non era la Minn Lee
che lui conosceva, la schiava che ubbidiva a tutti i suoi capricci.
All'improvviso, aveva assunto una sconcertante personalità.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del telefono. Tony alzò il
ricevitore, sapendo che si trattava di Feeney ancora prima di sentire la sua
sgradevole voce.
Mike era teso e nervoso. Tony capì che dietro l'urgenza della sua voce
c'era la sua mascolina sorella.
Tony sapeva che ore erano? C'erano stati dei cambiamenti nei piani? I
suoi ragazzi volevano sapere questo, i suoi ragazzi volevano sapere quello.
Non faceva nessuna differenza per Perelli sapere che "i miei ragazzi",
come diceva Feeney, erano in realtà la signora O'Donnell e i suoi
scagnozzi.
- Non starmi addosso, Mike - disse nervosamente. - Ho detto alle undici;
manca un quarto d'ora, ma va tutto bene. Arriveranno lì tra dieci minuti.
Solo, non cominciare a starmi addosso. Quando do la mia parola...
Con la coda dell'occhio, vide aprirsi la porta ed entrare Jimmie. Troncò
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1931 - Furia A Chicago
brutalmente la conversazione, appese il ricevitore e salutò Jimmie con un
sorriso.
- Mi dispiace farti uscire durante il party, ragazzo. Conosci il capitano
Strude? Jimmie scosse la testa.
- Un capitano di polizia? No - rispose con un sorriso - non conosco
nessun poliziotto a Chicago.
- Va bene - disse Tony. - Noi lo chiamiamo Lefty e questa sera si farà
chiamare con questo nome.
- Vuoi che io lo trovi...
- Sarà lui a trovarti... e non lasciarti spaventare. Guardò il ragazzo con
ammirazione.
- Sei in gran forma questa sera - disse e gli fece cenno di sedersi vicino a
lui. - Ridi, eh? Sei in gamba! Sei così diverso da questa mattina!
Il cambiamento di Jimmie era evidente. I suoi occhi erano più luminosi,
la depressione lo aveva abbandonato e si comportava come se si stesse
divertendo. Perelli, spassionatamente, pensò che era un bel ragazzo, un
uomo che poteva indossare qualsiasi abito ed essere sempre elegante.
- Mi sento meglio - disse Jimmie. Tony annuì.
- Quel maledetto poliziotto ti ha mandato in crisi. Non farci caso - disse.
- Il signor Kelly?
Tony scosse la testa con impazienza.
- Non chiamarlo signore; non è qui ora.
Jimmie stava fischiettando e si fermava solo se doveva parlare. Ora
fischiettava, guardandosi le mani, quelle sue mani colpevoli.
- Il suo è un lavoro duro - disse. - Questa mattina ho odiato Kelly; ora
invece provo un sentimento di comprensione per lui.
- Non essere troppo comprensivo - disse Tony in fretta. - La
comprensione è una sgradita compagna dei nostri affari, Jimmie. Hai
comprensione anche per Minn Lee, vero?
Buttò li per caso questa domanda ma ricevette la risposta che meno si
aspettava.
- Sì - rispose Jimmie tranquillamente. - Io l'amo. Tony si voltò per
vedere meglio il ragazzo e scrutarlo.
- Cosa? La ami? In effetti, è molto bella: l'ho creata io. Si tolse un
invisibile granello di polvere dalla giacca.
- Tutto quello che lei ha, è mio. Viveva con un pittore sconosciuto
quando l'ho incontrata...
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1931 - Furia A Chicago
- Ha qualche importanza?
- Per me no. Io ho delle larghe vedute. Che cos'è un artista? Nulla. Forse
non è neppure un essere umano.
In quel momento arrivò Con, deciso, nascondendo con più abilità del
solito il suo risentimento verso Tony. E aveva tutte le ragioni per essere
risentito, perché quella notte era stato un uomo geloso e molto attento.
- Senti, Con, conosci Lefty Strude, il capitano della polizia?
- No, non conosco nessuno di quelli, ma credimi, non starei molto a
Chicago dopo averli conosciuti.
- Penso proprio che non ci starai.
Tony si alzò, andò dall'altra parte del tavolo e, dopo aver aperto un
cassetto, prese una busta che mise sul tavolo.
- Prendi la busta, Jimmie: mettitela in tasca e stai attento perché ci sono
trentamila dollari. Un mio carico di liquori deve attraversare l'Erie Canal.
Non dovrai far niente, ragazzo. Porta questa lettera all'angolo tra la
Michigan e la Novantaquattresima. Strude dovrebbe arrivare con la sua
macchina alle undici. Dirà solo "Lefty"... questo è tutto. Dagli la lettera e
torna subito indietro. Dovresti essere qui un quarto d'ora dopo le undici.
O'Hara guardò la lettera sparire nella tasca di Jimmie e corrugò la fronte.
- Dico, perché mandi anche me? - domandò. - Dobbiamo essere in due
per portare una lettera?
- Non si è mai in troppi quando si portano trentamila dollari - disse
Tony. - Non mi fido per niente di Feeney. Sa che la consegna dei soldi si
farà questa sera.
Con lo guardò sospettoso. Si alzò per uscire dalla stanza e solo quando
arrivò alla porta Tony si rese conto che voleva uscire.
- Cosa vuoi fare? - chiese.
- Vado a prendere la signora O'Hara per accompagnarla a casa. Tony
sorrise.
- Accompagnare la signora O'Hara a casa? E perché mai? Resterà qui
questa notte... e anche tu. Ho molte camere vuote.
Mentre O'Hara apriva la porta, la donna della quale stavano parlando
entrò. Era curiosa di sapere cosa stava succedendo. Con era stato chiamato
e doveva esserci una ragione. L'aveva tormentata tutta la sera per
convincerla ad andare via; era tipico di Con rovinarle una festa.
- Ti porto a casa e ti vengo a riprendere quando torno - disse Con e lei lo
fissò.
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1931 - Furia A Chicago
- Cosa diavolo credi che io sia? - chiese. - Qualcosa che compri ai grandi
magazzini? In ogni caso, tu dove stai andando?
Tony le sorrise.
- Questa è una domanda che non si dovrebbe mai fare. Lei li guardò e
poi fermò lo sguardo su Jimmie.
- Andrà anche lui? Non si tratta di un lavoro pericoloso? Perelli assunse
un'espressione addolorata.
- No, no, no. Non pensateci nemmeno!
Jimmie guardava la scena con aria divertita. Tra il serio e l'allegro, fece
una proposta: - Andrò da solo. Penso di poter badare a me stesso - disse;
era una soluzione molto gradita a O'Hara.
- Certo che puoi... - cominciò, ma Tony si voltò verso di lui con una
smorfia.
- Cosa significa questo? Ti ho forse chiesto di decidere tu quello che
vuoi fare e quello che non vuoi fare? - chiese. - Sei così vigliacco che hai
paura di andare con questo ragazzo? Se ci fosse qualche pericolo, pensi
che manderei Jimmie, che è come un fratello per me?
Con abbassò gli occhi e si fece piccolo, come non aveva fatto mai nella
sua vita.
- O.K. - disse a voce alta. - Vado a prendere la giacca. Guardò sua
moglie.
- La signora Perelli si prenderà cura di te, cara, hai capito?
- Chi ti ha detto che io ho bisogno di un'accompagnatrice? - protestò lei.
- Ben detto! - esclamò Tony. - Arrivederci, Jimmie. Torna subito
indietro. Poi vide qualcosa nella tasca interna della giacca di Jimmie; era
un portasigarette d'argento. Si avvicinò per toccarlo.
- Cos'è?
Jimmie abbassò lo sguardo.
- Un portasigarette - rispose. - La mia... qualcuno me lo ha regalato.
Tony annuì. Il suo sguardo malizioso si fermò sul viso di Jimmie.
- Qualcuno di speciale, eh? Lo porti proprio sul cuore.
- Era lì per caso. Tony scosse la testa.
- Io non lo porterei lì, Jimmie. Mettilo nella tasca dei pantaloni. Così non
sta bene.
Per un attimo Jimmie rimase perplesso, poi capì. Prese il portasigarette
dalla tasca della giacca e, lentamente, lo fece scivolare in quella dei
pantaloni.
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- Hai ragione. Sarebbe proprio sulla traiettoria, vero?
Il sorriso svanì dal volto di Tony. Il ragazzo aveva detto una brutale
verità. Sapeva qualcosa? Doveva essere così, sospettava qualcosa. Ma da
chi poteva aver saputo?
Il salone era collegato all'anticamera da un corridoio, corto ma largo.
Jimmie era quasi alla porta, quando sentì una voce che lo chiamava; si
voltò e vide Minn Lee che correva verso di lui. Tese la braccia; lei lo
abbracciò e lui la tenne stretta per un attimo. Era completamente dimentica
di Tony, che era sulla porta e li guardava a bocca aperta, e di Maria, che
era divertita e anche un po' meravigliata, perché le donne come lei tengono
molto alle convenzioni sociali.
- Stavi andando via senza salutarmi, Jimmie - disse Minn Lee, senza
fiato. - Sei felice?
Lui annuì.
- Il cielo sa quanto sono felice - le disse, a bassa voce. - Tu non lo sai.
Lei alzò il viso e lui la baciò. Un secondo dopo aveva raggiunto O'Hara
che lo aspettava in ascensore, lamentandosi ad alta voce del lavoro che gli
era stato assegnato.
Minn Lee tornò direttamente nel salone. Non vide né Perelli né la donna
che la stava sostituendo; il suo sguardo era perso nell'infinito ed era
consapevole solo delle cose tremende che si agitavano nel suo cuore e
nella sua mente. Perelli le disse qualcosa, ma lei non gli rispose. Aveva
solo un desiderio, del tutto egoistico, cioè che Jimmie la approvasse: le
interessava solo questo. Si muoveva tra la sorpresa di Tony.
- Hey, mi stai ascoltando?
Sentì la voce di Tony e si voltò sorridendo verso di lui. Lui era grande,
potente, autoritario, eppure...
- Vieni a ballare come me, Tony? - gli chiese gioiosa. - Sono la donna
più bella della festa: l'ha detto Jimmie.
Perelli rimase paralizzato nel centro della stanza. Lei era la donna più
bella della festa. L'aveva detto Jimmie. Si sentiva ferito, terribilmente
offeso. Aveva già deciso il destino di Minn Lee, aveva già progettato di
mandarla via il giorno stesso e di condannarla a una misera vita. Aveva già
mandato via altre donne. Aveva chiuso con lei, come aveva chiuso con le
altre, alle quali non aveva pensato mai più. Le donne, anche quando erano
le favorite, non contavano mai molto per lui, non più di un mobile e dei
quadri dell'appartamento, come aveva detto a Minn Lee pochi giorni
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1931 - Furia A Chicago
prima. Tuttavia, lei lo aveva ferito, lo faceva soffrire: lo scoprì con dolore:
era un'esperienza nuova, tremenda, quasi insopportabile.
Sentì Maria ridere ma rimase ancora lì a fissare il pavimento sul quale
era passata Minn Lee. Infine, ritrovò la voce.
- Aveva chiuso la porta a chiave - disse lentamente.
- Santo cielo! Ha un innamorato - disse Maria maliziosamente. - Mi
piace quel ragazzo.
Poi le venne in mente una faccenda più importante.
- Dove sono andati? - chiese. Lui non rispose.
- Con e Jimmie McGrath - disse con impazienza. - Signor Perelli, sei
sordo? Non era affatto sordo, ma la sua mente era completamente assorbita
da quello che aveva appena visto.
- Non ha detto "sì" - disse lentamente - e nemmeno "no"... ha solo
annuito... Lei è la donna più bella della festa... L'ha detto Jimmie.
Lei smise di sorridere e il suo sguardo si fece duro.
- Hai intenzione di ballare o starai qui a parlare da solo per tutta la notte?
Quando starà via Con?
All'improvviso, Tony tornò alla realtà. Con se ne era andato, e per
sempre. Rise.
- Starà via molto - disse, mettendole un braccio intorno alle spalle. Lei si
liberò.
- Sei sempre così dannatamente sicuro di te, vero? Andiamo a ballare.
Ma lui la condusse verso un divanetto e la fece sedere.
- Non mischiamoci agli altri - la pregò. - Siediti comoda; non entrerà
nessuno.
Le si avvicinò e la baciò e lei offrì la resistenza adeguata alla situazione.
Era molto convenzionale e incline alla rispettabilità, o almeno
all'apparenza della rispettabilità.
- Hai delle brutte intenzioni, vero? - Lo allontanò da sé e lo guardò. - E
se entrasse qualcuno... tua moglie?
Lui non vedeva altro che i grandi occhi di lei. Maria si alzò, arrabbiata.
- Santo cielo! Se hai intenzione di guardarmi così, mi cercherò un altro
partner - disse.
Lui cercò di afferrarle il braccio, ma lei si liberò. La seguì nel salone e la
liberò da tutti i partner che si erano fatti avanti.
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17.
Una cosa era certa, pensava tra sé Mike Feeney: Tony Perelli non
possedeva tempismo. C'era un tempo per gli affari e un tempo per il
piacere ed era contro tutte le regole e le tradizioni confondere i due tempi.
In ogni caso, quale questione con la legge non poteva essere risolta alla
luce del sole? In caso di un'indagine della polizia, non avevano dei regolari
conti in banca da esibire? Importava forse qualcosa se i guadagni
provenivano dagli angoli delle strade o da affari regolari, dal momento che
nessuno poteva provarlo?
Jimmie guidava la sua coupè. Era molto calmo.
Con lo notò con interesse. Aveva visto diversi uomini cambiare
incredibilmente, ma non si sarebbe mai aspettato di vedere un
cambiamento del genere in Jimmie.
- Perché Kelly voleva vedere Perelli? - chiese, all'improvviso.
- Kelly? Con annuì.
- Sì. È salito nell'appartamento proprio mentre uscivi tu. Pensavo che
l'avessi incontrato.
Jimmie non rispose.
La luce verde del semaforo divenne all'improvviso rossa e Jimmie fermò
la macchina.
- Cosa pensi della vita, Con? - chiese. Con lo guardò sbalordito.
- Come? - chiese.
- Cosa pensi del mondo? Ti piace? Pensi di continuare a vivere così con
tua... tua moglie, e tutto il resto?
Con O'Hara ridacchiò.
- Sicuro. Continuerò a vivere così - disse.
- Ed è per questo che ti farò scendere a qualche isolato prima del luogo
dell'appuntamento.
Con era sbalordito.
- Il luogo dove dovremmo incontrare il capitano della polizia - spiegò
Jimmie. - Penso che sia meglio che vada da solo. Tu tieniti pronto a
scendere.
O'Hara si agitò sul suo sedile.
- Cosa diavolo hai in mente? - chiese lentamente.
- Sai cosa significa essere consegnati? - chiese Jimmie.
- Certo che lo so.
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99
1931 - Furia A Chicago
Ci fu un breve silenzio.
Il semaforo tornò verde e la macchina si avviò.
- È buffo - disse Jimmie, parlando al suo compagno e anche a se stesso. Io non sapevo cosa voleva dire fino a oggi. È una frase che viene dalle foto
pubblicate sui giornali, vero? Segnano con una croce il posto dove viene
trovato il cadavere dell'uomo che è stato "consegnato". Il cadavere viene
rimosso, per paura che la fotografia urti i sentimenti della gente e, al suo
posto, viene messa quella croce.
- Chi sta per essere consegnato? - chiese Con. Sentì un leggero sospiro.
- Penso noi - disse Jimmie. - O almeno, io. Ti lascerò scendere, o
meglio, scenderò io. - Pensò per un attimo. - No, è meglio che scenda tu.
Se non vedono la macchina, penseranno che Perelli li abbia traditi.
- Senti, vuoi spiegarti meglio? Noi siamo stati "consegnati"...? È stato
quel maledetto siciliano...?
- Penso proprio di sì - disse Jimmie con gravità. - Non so perché abbia
mandato anche te, ma di certo vuole eliminare me.
Il respiro di O'Hara si fece più affannoso.
- Chi te l'ha detto? Jimmie sorrise nel buio.
- Una persona che non mi mentirebbe mai.
- Minn Lee?
- Una persona che non mi mentirebbe mai - ripeté Jimmie. - Penso che
sia meglio che io ti lasci qui.
Accostò la macchina.
- Tu sei pazzo - disse Con. - Se è vero, perché ci vai? Ci tieni tanto a
farti ammazzare?
Jimmie non rispose, ma la mente dell'uomo che sedeva al suo fianco fu
attraversata da un sospetto.
- Tu vuoi tagliare la corda con i soldi che hai in tasca! - esclamò.
Jimmie accese le luci interne e prese la busta dalla tasca; senza esitare, la
strappò a un lato e tirò fuori un blocco di fogli bianchi. - Ecco i soldi disse ironico. - Questi mi manterranno nel lusso per il resto della vita!
O'Hara li afferrò e, guardandoli, sobbalzò.
- Non sono soldi... è solo cartaccia - balbettò.
- Vuoi scendere?
Jimmie si chinò verso la portiera di Con per aprirla. O'Hara esitò solo
per un attimo. Guardò nelle tenebre: non si vedeva nessuno. Vicino alla
macchina c'era una possibilità di fuga, uno stretto passaggio tra due case.
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
- Ti guarderò le spalle - balbettò, senza fiato. - Tu vai Jimmie. Hai una
pistola? Jimmie scosse la testa.
- Non ne ho bisogno.
Richiuse la portiera e, con un saluto della mano, se ne andò.
Quando arrivò all'appuntamento, fermò la macchina e scese. Non si
vedeva nessuno. Poi comparvero i fari di una macchina che lo oltrepassò
velocemente. Ancora nessuno... Sì, ecco un'altra macchina, che si
avvicinava lentamente, rasentando il marciapiede. Era sempre più vicina...
A pochi metri da lui, qualcuno all'interno scostò le tendine...
Jimmie McGrath si avvicinò con decisione. Probabilmente vide le
scintille uscire dalla canna della pistola che fece fuoco; probabilmente, non
sentì nulla...
Cadde sul marciapiede, inerte. Aveva pagato nel modo che aveva scelto.
In poche ore, i giornalisti si sarebbero accalcati su quel marciapiede e le
fotografie con un croce avrebbero riempito le prima pagine dei giornali di
Chicago: Shaun O'Donnell era stato per metà vendicato.
18.
Fu Angelo a far entrare il commissario, mostrando un'apprensione
naturale per lui, dal momento che era l'uomo che possedeva la visione più
chiara del mondo dei gangster e riconosceva il pericolo potenziale che
quell'uomo dallo sguardo arcigno rappresentava.
Tra lui e Kelly c'era una sorta d'intesa molto difficile da definire. Kelly
sapeva che Angelo sarebbe stato il futuro capo della banda che ora era
controllata da Perelli e capiva che non ci sarebbe stato solo un cambio ai
vertici, ma anche un miglioramento negli affari.
- Dov'è Perelli? - chiese bruscamente.
Guardandosi intorno vide le bottiglie di champagne ormai vuote e i
bicchieri e, anche senza le note del grammofono, avrebbe capito che era in
corso una festa.
- È appena uscito per incontrare un amico - rispose Angelo in fretta.
Kelly sorrise.
Perelli non usciva mai a trovare qualcuno senza la sua macchina blindata
che quella sera non aveva lasciato il garage.
Angelo accettò l'accusa di essere un bugiardo senza abbattersi: mentire
Edgar Wallace
101
1931 - Furia A Chicago
faceva parte del suo lavoro.
Assunse un tono più confidenziale.
- È nella sala da ballo - disse - con una signora, e questa è la verità. Voi
sapete com'è Tony quando si tratta di donne! Volete un drink, capo? Lo
andrò a chiamare.
Kelly si mise a passeggiare lungo l'appartamento.
- Mike Feeney è stato qui ieri - disse. Angelo annuì.
- Noi e Mike siamo come fratelli - commentò.
- Voi?... Come Caino e Abele - disse. - Dov'è quel ragazzo, McGrath?
Anche lui è come un fratello?
Angelo sorrise ingenuamente.
- È qui in giro. È un bravo ragazzo, capo.
- In giro dove? L'ho visto alla porta quando sono entrato. Trova Perelli;
devo vederlo.
Quando Angelo fu alla porta, Kelly chiese: - Cosa significa questo
party?
- Stiamo avendo un piccolo intrattenimento in giardino - disse Angelo,
in tono di scusa. - Tony ha pensato che non sarebbe stata una buona idea
dare una festa in grande stile questa sera, vista l'amicizia che lo lega a
Mike. Shaun è stato seppellito questo pomeriggio. Non c'erano mazzi di
fiori, ma solo corone! Shaun era davvero grande, in quella bara argentata,
che sarà costata settemila bigliettoni! Ci saranno stati fiori per cinquemila
dollari, ci pensate, capo? Cinquemila dollari buttati per dei fiori! Tutto
quel denaro poteva andare a noi poveretti.
In quel momento entrò Minn Lee e si sedette sul suo divano preferito.
Aveva in mano il suo ricamo ed, evidentemente, era poco interessata alla
festa. Kelly la salutò con un cenno gentile.
- Avete un vestito bellissimo, Minn Lee - disse.
Era davvero bella con quel vestito, che sembrava cucito su di lei.
Solitamente vestiva all'orientale, ma quella sera aveva un abito da sera
occidentale color oro; la stoffa veniva da Parigi e il colore si intonava
meravigliosamente con la sua pelle color avorio.
Sorridendo, abbassò gli occhi sul vestito e poi guardò il commissario.
- Vi piace?
La guardava con la fronte accigliata.
- Non vi ho mai vista così bella, Minn Lee - disse. - Sapete, ho sognato
di voi la notte scorsa.
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1931 - Furia A Chicago
Lei alzò lo sguardo.
- Oh, signor Kelly! Io pensavo che voi sognaste solo prigioni, catene e
sparatorie!
Lui ridacchiò.
- Ecco, io penso a voi, mia giovane signora; il fatto è che provo un
sentimento di simpatia per voi.
- Davvero? - disse lei, civettando un po'. - Questo è il mio giorno
fortunato.
- Questo non vuol dire che io vi proponga di venire a trovarvi quando
Tony non c'è - disse Kelly - e non fingete di essere dispiaciuta perché so
che non è vero. Il fatto è, Minn Lee, che, nonostante le vostre strane e
sfortunate vicende e il fatto che vi troviate qui, io ho del rispetto per voi.
Voi siete l'unica persona vera in questo posto.
Alzò lo sguardo verso il soffitto decorato.
- Voi non appartenete a questo posto, questo è innegabile. Non c'è nulla
in questa stanza che non sia un'imitazione di qualcosa. L'appartamento è
stato copiato da una casa veneziana, i quadri sono copie degli originali che
si trovano a Roma e i mobili sono sullo stile di Verona.
Lei era divertita.
- L'arte sarà la mia rovina - disse, spensierata. - Anch'io sono la replica
di qualcosa?
- Voi siete reale - disse lui e poi, dopo aver dato un'occhiata alla stanza,
aggiunse. - Quando ve ne andrete?
- Chi vi ha detto che andrò via? - chiese lei.
Lui capì che lei sapeva qualcosa, o comunque lo sospettava.
- Ormai è giunto il tempo per voi di sloggiare - disse. - Ho visto altre tre
donne sedute dove siete voi ora, e tutte sembravano a casa loro; le ho viste
andar via una per una.
Lei annuì.
- Lo so, povere ragazze!
Nella sua voce c'era una nota di disinteresse.
- Voi dovreste sapere come fa il vostro uomo a procurarsi i soldi per
queste follie - disse.
- Contrabbando di liquori - rispose lei.
- Sì, liquori - ripeté Kelly - e qualcos'altro. - Possiede tre case a Cicero e
due a Burnham, con quaranta ragazze in ognuna di queste case. Duemila
dollari di incasso ogni sera, duemila bigliettoni guadagnati su delle donne.
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1931 - Furia A Chicago
Lei incrociò le mani, senza guardarlo.
- Sì, lo so - disse a bassa voce. - Non sono una bambina. Naturalmente,
lo so. Perché me lo dite?
Lui aveva una ragione per dirglielo. Probabilmente la notizia l'avrebbe
spaventata, anche se avrebbe fatto di tutto per nasconderlo.
- La direttrice di una delle case di Cicero è in cattivi rapporti con Perelli
- disse. - Rubava dei soldi. Qualcuno dovrà prendere il suo posto.
La paura di lei svanì: non gliene importava niente. Lui avvertì questa
reazione e si meravigliò.
- Non mi importa niente - disse Minn Lee. - Se voi mi aveste parlato così
ieri, avrei sofferto, ma oggi, nulla può turbarmi. Nulla. Che ore sono?
Si sentì un orologio battere le ore. Kelly guardò il suo orologio.
- Le undici. Perché?
Il viso di lei divenne estatico. Era solo un'impressione di Kelly, o il volto
di Minn Lee si fece più pallido? C'era qualcosa nei suoi occhi che nessuno
aveva mai visto prima. Kelly la fissò sbalordito. Minn Lee stava
guardando nel vuoto.
- Le undici!
Lui sentì appena quel bisbiglio.
- Come è bello...
- Minn Lee, cosa c'è che non va?
- Non parlate per un minuto.
Chiuse gli occhi e unì le mani davanti al petto ansimante. Sembrava una
divinità nel fervore della devozione.
- Minn Lee, sembrate la regina della Cina! - disse Kelly con
ammirazione. Lei gli porse la mano.
- Baciatemi la mano - disse con decisione. - In questo momento, io sono
una regina... la regina di me stessa! Sono padrona di me stessa, per la
prima volta nella mia vita!
Mentre Kelly le prendeva la mano, notò un anello con un diamante. Lo
guardò con curiosità, toccando la pietra.
- Avete un bellissimo anello, Minn Lee.
Lei annuì. La sua mente e il suo cuore erano altrove. Kelly sarebbe
rimasto sbalordito se avesse saputo dove.
- L'ho già visto - continuò. - Al dito di ogni ragazza che ha abitato qui.
Lei tornò alla realtà con un sospiro e un sorriso.
- Sì, penso di sì.
Edgar Wallace
104
1931 - Furia A Chicago
- Un giorno, Perelli vi dirà che lo rivuole indietro: voi glielo darete, e
non lo rivedrete più.
Lei guardò l'anello curiosamente, come se non l'avesse mai visto prima.
- Io non lo voglio... cos'è? Non significa nulla per me - disse.
- Un giorno, lui vi manderà da Cicero - aggiunse Kelly deliberatamente.
- E sapete cosa vi aspetta laggiù?
Lei scosse la testa.
- Dovrete prendervi carico di un'elegante casa, dove gli uomini di Perelli
vanno a divertirsi.
- No!
La negazione di lei fu passionale, veemente. Per un attimo, Kelly pensò
di averla sconvolta.
- E poi, anno dopo anno - continuò - andrete nella seconda casa, dove si
bevono birra e liquori scadenti e poi, vi ridurrete ad avere una stanzetta
nella terza casa, dove non c'è neppure un bar.
- No!
Lui la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo negli occhi.
- Così sono finite le altre, Minn Lee. Tutte quante. Ogni ragazza che è
stata la "signora" Perelli, è finita in quel modo.
Seguì una lunga pausa.
- Ho un modo per tirarvi fuori.
L'aveva anche lei, il modo migliore, ma Kelly non lo sapeva. La sua
mente era tesa solo a trovare un modo per incastrare Perelli.
- C'è una ricompensa di centomila dollari per chi denuncerà l'assassino
di Vinsetti. Il denaro è depositato alla Union Bank. È stato Perelli, e voi lo
sapete bene.
Lei fece un piccolo gesto di sconforto e si sedette su una delle sedie stile
rinascimento.
- Pensavo che mi avreste fatto una proposta interessante - disse - ma mi
sbagliavo. Siete tornato a essere un poliziotto, ma io vi preferivo quando
eravate un uomo.
Kelly si guardò intorno e abbassò la voce. Lui sapeva tutto quello che
succedeva in quella casa... tutto. Sapeva meglio di Minn Lee quanto Perelli
fosse compromesso con la donna di Con O'Hara. Aveva intercettato una
telefonata di Maria che aveva chiarito le cose definitivamente. Maria
aveva un'amica a Chicago con la quale si era vantata della fortuna che
stava per capitarle. Le donne parlano con le amiche, e queste parlano con
Edgar Wallace
105
1931 - Furia A Chicago
gli uomini. Il Quartier Generale della polizia aveva, naturalmente, i suoi
informatori.
Quello era il momento giusto: Minn Lee doveva sapere qualcosa di
Maria, e se era così...
- Non avete nulla da temere. Nessuno della banda vi farà del male. C'è
l'impiccagione per chi uccide una donna a Chicago. Le nostre giurie
saranno anche vigliacche, ma sono sentimentali! Io vi garantisco
l'incolumità.
- Siete Dio? - chiese lei, ironica.
- Non vi potrei garantire niente da Cicero - rispose Kelly.
Lei ammiccò.
- Caro amico! Io non ho paura di Cicero, del locale di lusso o di quello
di terz'ordine. Io non ci andrò mai, mai! Amo troppo me stessa per farlo.
- Voi non conoscete Perelli - disse Kelly e lei sorrise.
- Cosa importa? - chiese. - Voi volete portarmi dalla vostra parte, ma io
non voglio essere dalla parte di nessuno. Voglio andarmene con un
sentimento di armonia verso tutti.
Questa era una novità.
- Allora state andando via? - chiese con enfasi. Lei annuì.
- Tony lo sa? - Minn Lee scosse la testa. - Vorrei fare qualcosa per voi aggiunse.
Lei rise.
- Cosa può fare il grande capo dei detective?
- Niente - disse lui. - Proprio niente. Nemmeno per una brava ragazza
come voi.
- Pensate che io sia una brava ragazza? - chiese lei ironicamente.
Dimenticandosi per un attimo della vera ragione che l'aveva portato lì,
Kelly si rimise il cappello, per andarsene.
- Ho fatto una cosa gentile per voi: non vi ho chiesto con chi ve ne
andate.
- Sarebbe stata una perdita di tempo - disse lei.
Minn Lee guardò oltre le spalle di lui. Sulla soglia era comparso Tony,
che le sorrideva. Non era il Tony che aveva conosciuto quella mattina, ma
il vecchio Tony, tenero e gentile.
- Ah! Minn Lee vi intrattiene, capo? - disse. - Volevate vedermi? Prese il
ricamo dalle mani della ragazza.
- Come procede il lavoro, tesoro? Questo dragone cinese non fa molti
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1931 - Furia A Chicago
progressi. Guardate. - Mostrò orgoglioso il lavoro a Kelly. - Un lavoro
stupendo, fatto da dita così delicate! - Le baciò le mani. - Ora vai, mio
piccolo fiore cinese. Ti raggiungerò subito.
Kelly le tese la mano.
- Addio, Minn Lee.
Lei esitò un attimo, poi gli strinse la mano, con un piccolo inchino. Tony
era interessato.
- È la prima volta che vi vedo stringere le mani a qualcuno, signor Kelly.
- È la prima volta che nella tua casa incontro qualcuno a cui desidero
stringere la mano - tagliò corto Kelly.
Guardò la porta dalla quale era uscita Minn Lee e poi la chiuse.
- Sei una serpe velenosa, Perelli. Mi sono spesso chiesto cosa fossi, e ora
lo so. Hai del sangue giudeo nelle vene? No? Forse Giuda era per metà
siciliano. Siediti.
Per un attimo negli occhi di Perelli brillò una luce omicida. Poi si voltò
verso Angelo, con un falso sorriso.
- Mi ordina di sedermi in casa mia? Angelo, hai sentito?
Il fido servitore non rispose; Angelo era molto percettivo e capiva se
qualcosa nel rapporto tra un poliziotto e un gangster cambiava. Kelly
parlava come se sapesse qualcosa.
- Il mio ufficio al Quartier Generale non è così comodo. Gli ultimi otto
gangster che si sono seduti alla mia scrivania sono morti.
Tony Perelli si sforzò di sorridere con gentilezza.
- Avrebbero dovuto stare in piedi - disse. Si voltò verso Angelo in cerca
di supporto.
- Il signor Kelly ha una cattiva opinione di noi, Angelo. Se qualcosa va
storto... la colpa è di Tony Perelli; se il sindaco fa un discorso noioso...
andiamo da Tony Perelli; Vinsetti scompare?... Cerchiamo
nell'appartamento di Tony Perelli.
Angelo si trovò d'accordo con lui.
- Hai ragione, capo.
Cosa era venuto in mente a Perelli di tirare in ballo Vinsetti? L'audacità
della mossa tolse il fiato a Kelly.
- Vinsetti... hmmm! Ha ritirato trecentomila dollari dalla banca, è venuto
qui e non si è più visto.
Tony ridacchiò. In quell'occasione aveva vinto contro la polizia; una
vittoria decisa e definitiva; si gloriò del suo trionfo.
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1931 - Furia A Chicago
- Certo, e voi l'avevate torchiato tutto il giorno. Ha passato tutta la
mattina al Quartier Generale, raccontando tutto dei suoi amici, quella
lurida spia!
- È venuto nel tuo appartamento - insistette Kelly.
- E io l'ho cacciato fuori a calci - disse Tony. - Io non voglio guai con
quel genere di spie vigliacche.
Desiderò di non aver mai sollevato la questione e, in quel momento,
avrebbe volentieri cambiato argomento.
- È venuto in questo appartamento... e non ne è uscito vivo - disse Kelly.
Perelli guardò di nuovo il suo vice, che fece quello che Tony si aspettava.
- Sentite capo, non può essere così: voi siete venuto dieci minuti dopo.
- C'era forse del sangue sul pavimento? - chiese Tony con rabbia. - C'era
un cadavere? Qualcuno ha sentito degli spari?
Stava parlando troppo e stava perdendo il controllo. Quella sfida iniziata
per sbaglio stava prendendo una piega troppo seria.
- Nessuno avrebbe potuto sentire lo sparo - continuò Kelly. - Io conosco
le vostre pistole, fatte apposta per gli spazi chiusi.
Perelli scoppiò in una risata, simulata solo per metà.
- Non volete proprio essere ragionevole! Sono io che uccido tutti? Tony
Perelli! Se non fosse per me, non esisterebbero più i giornali... ma se non
esistesse un Tony Perelli, voi lo inventereste.
- Voi dovreste pensare meglio a quello che dite, capo - esclamò Angelo,
in tono offeso - e dare meno retta ai giornali!
- Non ce ne sarebbe neanche uno - ripeté Perelli con rabbia. Kelly
poteva capire il suo punto di vista.
- Se a Chicago non ci fossero giornali, non ci sarebbe nemmeno la
polizia - disse.
Angelo arricciò il naso.
- Allora io dico: "al diavolo i giornali!" - commentò, uscendo dalla
stanza.
19.
Perelli rimase in attesa. Aveva la sensazione che sarebbe successo
qualcosa. Kelly stava giocando con lui; era come se sapesse qualcosa, ma
cosa?
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1931 - Furia A Chicago
C'era solo un mistero che poteva aver scoperto, ma era troppo presto
perché Kelly potesse aver parlato con O'Hara. Tuttavia, pensando a tutte le
possibilità, non trovava nessun'altra spiegazione.
- Avete sentito qualcosa? - chiese Kelly con noncuranza, prendendo un
grosso sigaro dalla tasca e accendendolo, dopo averlo esaminato
accuratamente. Guardò Perelli con aria significativa.
Tony sorrise.
- No. A ovest è tutto tranquillo - disse.
- Bene! - disse Kelly con un tono così minaccioso che quel "bene" suonò
come il suo contrario.
Aveva delle notizie da comunicare; Tony se lo sentiva. Ma cosa? Kelly
stava giocando con lui come il gatto con il topo e l'esperienza non gli
piaceva affatto.
- È per questo che siete venuto? - chiese. - Per chiedermi se ho delle
novità?
Potete comprare il Tribune per tre centesimi. Sapete, capo, non avrei mai
pensato che sareste venuto da me per chiedermi cosa succede a Chicago.
Kelly si mise a passeggiare su e giù, con le mani in tasca, fumando
placidamente il sigaro. Osservò gli affreschi sulle pareti, i soffitti abbelliti
con delle copie di dipinti di Raffaello, del Tintoretto e dei maestri dell'arte
italiana e li trovò molto edificanti. Poi si voltò, fissando il proprietario di
questo splendore con degli occhi di ghiaccio.
- Perelli, cosa ricavi dai tuoi racket? - chiese. - Una bella somma,
immagino. Tony si strinse nelle spalle.
- Bene, ve lo dirò perché sono vostro amico - disse, con una punta di
sarcasmo. - Tra amici non dovrebbero esserci segreti, vero? Guadagno un
milione e mezzo, due milioni all'anno. Ma le spese sono pesanti. L'anno
scorso ho speso un milione, quasi tutto per la polizia. È davvero terribile
sapere che la polizia si lascia corrompere! Molti poliziotti sono sul mio
libro dei conti. È demoralizzante!
Kelly sorrise arcigno.
- Quanto ho accettato io? - chiese, e Tony ridacchiò.
Aveva avuto il coraggio di fare quel discorso, perché non aveva rispetto
per i poliziotti che rifiutavano di farsi corrompere, anche se disprezzava
chi accettava il suo denaro.
- Voi, se mi permettete, siete un pazzo! - disse. - Abbiamo poco tempo
per vivere... e dobbiamo passarlo bene. E non si può essere felici se si è
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poveri. Io non vedo un biglietto da dieci dollari da anni; questo è il modo
migliore di vivere, non sapere che esistono dei biglietti di così piccolo
taglio.
Kelly annuì.
- Le tue ragazze a Cicero, invece, conoscono bene i biglietti da dieci
dollari - disse in tono significativo e Tony Perelli assunse un'espressione
addolorata.
- Mio caro amico! - disse, in tono lamentoso. - Le mie ragazze a Cicero!
Io non ho ragazze a Cicero né in altri locali. Io non tratto con quelle case
tremende. Sarei incapace di maneggiare quel denaro... pensavo che mi
conosceste meglio, signor Kelly.
Sembrava davvero addolorato.
- Non ho mai investito un solo dollaro nel vizio. Tutti quelli che mi
conoscono potranno confermarglielo. Sono i miei nemici che mettono in
giro queste voci, ma non hanno le prove... voi lo sapete che non ci sono
prove.
Kelly era scettico.
- Non hai nulla a che farci, eh? Con il Lion Inn, per esempio? - suggerì.
Tony Perelli sorrise tristemente.
- Il Lion Inn! Conosco quel posto; mi ci hanno portato. Secondo me non
è vero quello che si dice del locale, ma non sono affari miei. Non è mio;
non conosco neppure chi lo manda avanti.
- Bene! - esclamò Kelly, mostrandosi sollevato. - Sono felice di saperlo.
È per questo che sono venuto. - Aspirò profondamente il suo sigaro e
mandò una nuvola di fumo contro il soffitto affrescato. - I Vigilanti hanno
attaccato il Lion Inn questa sera - disse. - Hanno fatto uscire le ragazze e
hanno distrutto completamente il locale.
Vide che il colore abbandonava il volto di Perelli. Riuscì a controllare i
suoi movimenti, ma non il fluire del sangue dal viso.
- Cosa? - Balzò in piedi, con la mano che gli tremava. - È una bugia! Era senza fiato per la rabbia repressa. - Sarei già stato avvertito... il Lion
Inn vale centomila dollari.
Poi, con uno scatto di rabbia:
- Vigilanti! Per Dio! Accidenti a loro. Vigilanti!
Si avvicinò a Kelly con il pugno alzato, avvicinandolo al viso del
poliziotto.
- Non c'è la polizia da Cicero? - gridò. Il commissario sorrise
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110
1931 - Furia A Chicago
compiaciuto.
- Dovresti saperlo. Hai detto che la maggior parte dei poliziotti si trova
sul tuo libro dei pagamenti. Non capisco cosa ti preoccupi, visto che il
locale non è tuo e visto che non hai soldi investiti. La cosa non ti tocca,
vero?
- Vigilanti! - La voce di Perelli era quasi stridula. - Non c'è una legge
allora? - Agitò le mani con un gesto disperato. - Centomila dollari, e
nemmeno un centesimo di assicurazione!
Non aveva più ritegno. C'erano in gioco centomila dollari e questa
terribile realtà gli stava proprio davanti. Il Lion Inn... fece dei rapidi
calcoli. Gli era costato circa duecentomila dollari.
Kelly aveva lanciato la sua freccia, ed era pronto ad andarsene.
- Vado - disse, ma poi, come colpito da un pensiero improvviso,
aggiunse. - Ho un'altra notizia: non ci sono stati morti! Visto che sei un
uomo sensibile, penso che ti faccia piacere saperlo.
Perelli era di nuovo freddo, padrone di sé; la sua mente spietata aveva
ripreso a funzionare. Poteva mancare di senso dell'umorismo, ma non certo
di logica. Mentre Kelly stava uscendo, lo afferrò per un braccio.
- Aspettate, signor Kelly. Parliamoci chiaro.
La sua voce era stridula e leggermente affannata.
- Siete un tipo in gamba, lo riconosco. Quando voi mi date il verde, io
proseguo, se fate scattare il rosso, io mi fermo. So come mi devo
comportare con voi. Ma c'è solo un modo in cui io posso guidare il mio
racket, ed è quello che uso. Se uno o due uomini vengono uccisi, cosa
importa? Sono forse innocenti? Sono forse degli onesti cittadini? Ditemelo
voi! Sono criminali, assassini, attentatori, uomini viziosi, senza regole!
Quanto costerebbe allo stato dell'Illinois doverli impiccare tutti?
Cinquantamila dollari! Cinquantamila bigliettoni! Avvocati, giurati,
giudici, processi, testimoni... passano anni prima che il boia se li trovi
davanti. I gangster hanno eliminato quattrocento uomini simili. Se volete,
lo riconosco, io sono un gangster, ma ricordate che noi abbiamo fatto
risparmiare allo stato sei milioni di dollari! Sei milioni, capito? È un
sistema molto più economico. Fuori dal Palazzo di Giustizia, dovreste fare
una statua in onore dei gangster. Noi siamo dei benefattori o, se preferite,
bestie nocive che mangiano altre bestie più nocive. Non potete negarlo.
Aveva fatto questa tirata senza riprendere fiato. Kelly ascoltava stupito e
divertito.
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
- Bene! - disse. - Ho sentito questo discorso così tante volte che
incomincio a saperlo a memoria. Jimmie McGrath sta per essere eliminato
da qualche bestia nociva?
Perelli lo fissò. Sapeva, o sospettava qualcosa?
- È un ragazzo in gamba - disse in tono soave. - Sono molto affezionato
a Jimmie. Non potrei esserlo di più se anche fosse mio fratello - disse.
Kelly era scettico.
- Con O'Hara? È come un fratello anche lui?
- È molto in gamba - esclamò Perelli.
- E dove sono questi due... signori? - chiese Kelly.
Perelli assunse un'aria misteriosa, si guardò intorno per scoprire
eventuali ascoltatori nascosti e abbassò la voce.
- Sono usciti con un paio di ragazze... ma non ditelo alla moglie di
O'Hara - disse.
- Tu e Mike Feeney siete grandi amici, allora?
Era un uomo sconcertante questo Kelly; cambiava argomento così in
fretta, che era quasi impossibile seguirlo. Forse era il suo modo per
confondere l'interrogato, almeno così si interpretava questa sua stranezza
nel mondo dei gangster.
- Certo, Mike Feeney e io siamo amici, anche se abbiamo avuto anche
noi dei momenti difficili - disse Tony.
- Shaun O'Donnell è stato uno di questi momenti? - chiese Kelly.
Tony allargò le braccia con un gesto sconsolato.
- So che ora tutto è sistemato - disse.
Kelly si morse il labbro, non distogliendo i suoi occhi di ghiaccio da
quelli di Perelli.
- Che prezzo hai pagato perché tutto si sistemasse? - domandò e lo
stupore di Perelli fu troppo elaborato per sembrare sincero.
- Signor Kelly, le vostre parole sono come un brano di musica tedesca
che io non riesco né a leggere né a suonare.
Kelly arrivò dritto al punto.
- Hai dovuto "consegnare" qualcuno? - chiese a bruciapelo. Tony lo
fissò sbalordito.
- Mio Dio, no! Non farei una cosa simile nemmeno a un cane!
Consegnare un uomo a un'altra banda! Questo è terribile, signor Kelly; è
una vigliaccata. Voi credete che io...
- Senza nessun dubbio - esclamò Kelly, giocherellando con il cappello. Edgar Wallace
112
1931 - Furia A Chicago
Tu sei un cane rognoso! Buonanotte.
Vide aprirsi una porta. Minn Lee entrò e si mise dietro il suo uomo. In
quel momento suonò il telefono. Kelly fece segno di rispondere.
- Rispondi - ordinò. - Ho lasciato detto che ero qui.
In quel momento Perelli si accorse di Minn Lee e riversò la sua furia su
di lei.
- Vattene - sibilò. - Mi hai sentito?... Portare un uomo in camera tua e
chiudere a chiave!
Il telefono squillò di nuovo e Kelly si avvicinò all'apparecchio.
- No, no, rispondo io. - Perelli afferrò la cornetta. - Pronto. - Poi,
cambiando completamente tono. - Il Quartier Generale della polizia? Sì, il
capo è qui - disse e passò il ricevitore al commissario.
Stranamente, in quel momento di estremo pericolo, con la polizia
divenuta minacciosa e che si permetteva di sfidarlo in casa sua e
ridicolizzarlo con la perdita del Lion Inn, la sua mente era completamente
ossessionata dall'offesa subita dalla persona che lui aveva già tradito e che
avrebbe continuato a tradire.
- Ti ha baciato sulla bocca! - gridò, con voce tremante. - L'ho visto
quando ti ha salutata...
Questa rabbia era forse un sussulto di coscienza, una giustificazione per
l'assassinio che aveva commesso?
Kelly stava parlando al telefono. Minn Lee ascoltava. Sapeva bene in
che cosa consisteva il messaggio.
- Oh!... Dove è successo?... McGrath? Morto?
Tony vide Minn Lee irrigidirsi e vide che il suo bel viso ovale diventava
radioso.
- ...all'angolo tra la Michigan e la Novantaquattresima? Ah! Nessun altro
è rimasto ucciso?... Nessuno, eh? Solo McGrath?... Sei sicuro?... O'Hara
non era con lui?
20.
Si udì un tonfo. Il tagliacarte d'avorio con il quale Perelli stava
giocherellando gli scivolò dalle mani e cadde su una piccola vaschetta per i
pesci. O'Hara non era con lui? Non poteva crederci.
- Manderò una macchina sul posto. Non toccate il corpo fino al mio
Edgar Wallace
113
1931 - Furia A Chicago
arrivo. Kelly riappese il ricevitore e, prima di andarsene, si voltò.
- Presentati per il rapporto domani mattina alle nove alla stazione di
polizia. Uscì sbattendo la porta. Perelli, livido per la rabbia, si voltò verso
la ragazza.
- Hai sentito? A me, Tony Perelli, come se fossi un cane.
Ma lei non lo ascoltava. Stava fissando qualcosa che lui non poteva né
vedere né immaginare. Socchiuse le labbra.
- Jimmie! Oh, Jimmie!
- Se ne è andato all'inferno - grugnì l'uomo.
- No. È in paradiso - sussurrò lei.
- Era il tuo amante, eh? - disse lui digrignando i denti.
Anche mentre lo diceva, non riusciva a crederci. Era inconcepibile che
Minn Lee... Prima che potesse finire la riflessione, lei gli diede la
conferma.
- Io amo te, non lui. Ma gli ho donato tutto quello che avevo... tutto! Oh,
Dio! Sono felice! Ho fatto qualcosa di bello! Non sono una persona inutile.
Lui la guardò come se fosse una lebbrosa.
- Voi avete... fatto qualcosa? Lei annuì.
- Sapeva che doveva morire, eppure era sereno - mormorò. Tony si
passò una mano sulla fronte.
- Sapeva che doveva morire? Chi glielo ha detto? - Io.
Non c'era un tono di sfida nella sua voce; lei gli stava semplicemente
dicendo come erano andate le cose. - Era sereno, dopo avermi amato...
- Ha fatto l'amore con te? - Le parole erano diventate un grido. - Con te,
la mia donna?
- La sua donna - lo corresse lei.
Lui non riuscì a dire una parola. Lei gli stava dicendo delle cose
inverosimili. All'improvviso le si avventò contro e, prendendola per la
gola, gridò: - Dov'è Con O'Hara?
La domanda lo riportò all'improvviso alla realtà. Con O'Hara non era
andato all'appuntamento; il suo corpo non era stato trovato. Se Jimmie
sapeva, allora doveva aver saputo anche lui... Era un pericolo, un vero
pericolo; O'Hara era un uomo senza paura e, a suo modo, astuto, un uomo
che univa alla vanità ferita anche la gelosia. E Con era scappato dalla
trappola.
- Vado in camera mia - disse Minn Lee. Lui alzò le braccia nella sua
direzione.
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1931 - Furia A Chicago
- Vai all'inferno, dannata cinese! Vai all'inferno.
Poi, come colpito da un pensiero, chiese: - Kelly... ha parlato con te? Lei
annuì.
- E tu gli hai detto qualcosa?
Lei si voltò verso l'organo ma le mani di lui la afferrarono con violenza.
- Gli hai detto qualcosa? Credevo che tu avessi due personalità, ma ne
hai sei. Ti sei chiusa a chiave, eh? E hai detto a Kelly...
Le sue dita si strinsero alla gola di lei e non la lasciarono neppure
quando lei negò.
- Sei una bugiarda, una piccola schifosa bugiarda!
Perelli era sconvolto; la malignità che aveva nell'anima compariva nel
suo sguardo.
- Tu sai tutto, vero? Tu sai tutto! Lei riuscì a liberarsi.
- So che hai ucciso Vinsetti.
- Lo sai, eh?
- Parli nel sonno - disse lei.
La gettò contro un tavolo e con una mano afferrò una pesante statuetta di
bronzo. Era demoniaco nella sua furia.
- Non uccidermi. Io non ho paura, ma Kelly ha detto che chi uccide una
donna viene impiccato. Voleva che io ti tradissi e prendessi una
ricompensa, ma io gli ho detto che... che ti amo.
In quel momento Perelli si rese conto che c'era uno spettatore. Angelo
era entrato nella stanza. Era impietrito sulla soglia, con una mano alla vita.
Perelli non si rese conto di quanto fosse stato vicino alla morte nel
momento in cui Angelo, vedendolo alzare la statuetta di bronzo, mise la
mano sulla sua automatica.
- Glielo hai detto, vero? - le chiese con enfasi. Guardò la ragazza, poi
Angelo.
- Va bene, Minn Lee. Va tutto bene. - Le fece segno di andarsene.
- Cosa c'è che non va?
C'era una nota metallica nella voce di Angelo e Perelli lo notò.
- Manda via le signore, anzi tutti gli ospiti; potranno scendere con
l'ascensore nord. - Diede rapidamente gli ordini. - Tomasino è qui? Sì? Chi
altro? - chiese impaziente.
- Toni Romano, Jake French, Al Mario...
- Convocali; dovranno prendere le macchine e setacciare la città e...
trovare Con O'Hara.
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1931 - Furia A Chicago
- Ma...
- Ha fatto il vigliacco. - Tony non gradiva essere interrotto. - Ha lasciato
che il ragazzo andasse solo. Jimmie è sistemato. Non voglio sparatorie qui
intorno - avvertì. - Hai capito? Metti un uomo al portone che mi avvisi in
caso Con venga di sua volontà. Se si presenterà qui, lo sistemerò io.
- Ma Con non sapeva che lo avevi consegnato a Feeney - esclamò
Angelo, sbalordito.
- Sei impazzito anche tu? Altrimenti perché non sarebbe tornato? Era
vero. Poi Tony, anche se furioso, riprese padronanza di sé.
- Vuoi che vadano via tutte le donne? - chiese Angelo - Sì - rispose
Tony. Poi, ricordandosi. - No, la moglie di Con O'Hara rimane.
- Devo andare con i ragazzi?
- No, resti anche tu. Trattieni un paio degli uomini. Quando ti sarai
sbarazzato di tutti, porta qui il divano. Ora vai, manda via quella gente. Di'
ai ragazzi che ci sono mille dollari per chi sistema O'Hara.
Angelo uscì rapidamente e Perelli cominciò i suoi preparativi. Nel caso
di Vinsetti, anche se l'omicidio sarebbe comunque avvenuto, l'occasione
era arrivata inaspettata ed era stata quasi sciupata per l'arrivo improvviso e
non autorizzato di Minn Lee. Allora lei lo aveva sempre saputo! Tony lo
aveva sempre sospettato, anche se non le aveva mai chiesto niente. Quel
segreto invece, era un particolare di vitale importanza.
Minn Lee era una donna forte, aveva un suo preciso codice di
comportamento. Certamente Kelly non avrebbe fatto nessun passo in
avanti nelle indagini se avesse aspettato le informazioni da lei. Jimmie era
morto; un altro problema risolto e concluso e anche Minn Lee se ne
sarebbe andata. Perelli non era del tutto dispiaciuto del fatto che lei avesse,
con il suo comportamento, eliminato anche il più piccolo rimpianto che lui
avrebbe potuto provare per la loro separazione.
Spense le luci e lasciò accesa solo una lampada. Prese una pistola e,
dopo averla esaminata, la caricò. Poi la nascose sotto il cappello che si
trovava sull'organo.
Quando Angelo tornò per dirgli che gli ospiti se ne erano andati,
restavano altri preparativi da fare. Bisognava sistemare Maria. Proprio
mentre Perelli stava pensando a lei, Maria arrivò. Non era dell'umore
migliore.
- Se ne sono andati tutti a casa... che razza di festa! - si lamentò con una
certa asprezza.
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1931 - Furia A Chicago
- Mia cara, angelo dolcissimo, noi siamo uomini d'affari - le spiegò lui
con calma.
Lei lo guardò maldisposta. C'era un tempo per gli affari e un tempo per
il divertimento, e a lei non piaceva confondere le due cose.
- Uomini d'affari? Mi sarebbe piaciuto incontrare persone più allegre disse. - Perché sono andati via?
- Loro se ne sono andati - disse lui - ma io ho voluto che tu rimanessi.
- Per quanto?
Lui le disse "per la notte" e lei arricciò il naso.
- Senza Con? Non pretendi altro? - chiese. - Cioè, non dimenticare
niente per paura di sembrare sfacciato.
- Voglio che tu rimanga - disse Tony con voce tagliente.
Non era in vena di schermaglie. Qualcosa nella voce di lui la spaventò e
la fece alzare dal divano.
- È successo qualcosa, vero? - chiese.
- Sì, è successo qualcosa di terribile - disse. - Jimmie è morto... gli
volevo bene.
- Jimmie è morto? - Maria riuscì a malapena a pronunciare queste
parole. Poi le venne in mente che se Jimmie era stato assassinato, Con non
poteva avere avuto sorte diversa.
- McGrath? - Esclamò senza fiato. - Ma era uscito insieme a Con! E poi
cosa diavolo significa "qualcosa di terribile"? Qualcuno l'ha assassinato?
Tony esitò.
- Sì - disse - è stato qualcuno della banda di Feeney.
Maria sentì che le gambe le tremavano. Questa non era la prima volta
che una sparatoria tra gangster veniva a turbare il corso della sua vita.
Aveva conosciuto uomini, e anche donne, che aveva salutato una sera e
che la mattina dopo erano stati ritrovati morti ai bordi di un qualche vicolo.
- Cosa è successo a Con? - Quasi non riconobbe il suono della sua voce.
- Cosa gli è successo? - strillò. - Hai perso la lingua?
Cercò di allontanarsi da lui, ma Perelli l'afferrò alla vita e la costrinse a
voltarsi.
- Lasciami andare, vigliacco.
Cercò disperatamente di colpirlo in viso.
- Va bene, te lo dico. Con è riuscito a scappare - disse con enfasi. - Kelly
era qui e l'ha saputo direttamente dal Quartier Generale della polizia.
- Dov'è Con? Lasciami andare!
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
Ma lui non voleva lasciarla. L'unica persona che lei non doveva
assolutamente incontrare era Con O'Hara. Avrebbe potuto parlare; le
donne come lei parlano molto. Se avesse aggiunto legna al fuoco, chi
poteva prevedere cosa sarebbe successo?
- Vorresti che tornasse ora, vero? - le chiese selvaggiamente. - Non la
pensavi così un'ora fa - disse. - Starà fuori tutta notte, ti avverto... deve
eludere la polizia. Loro pensano che sia stato lui a uccidere Jimmie.
Questa era una sua invenzione dell'ultimo momento, e si congratulò con
se stesso per la trovata.
- Andrò a casa ad aspettarlo - disse lei.
- È già tutto pronto qui per la notte... non c'è bisogno che tu vada a casa.
Starai qui. Se torni a casa, avrai i poliziotti alle calcagna per tutta la notte...
Starai qui.
- Vai all'inferno!
Cercò di lottare con lui, ma inutilmente. Le prese il viso tra le mani e la
costrinse a guardarlo; le sue labbra si posarono sulla bocca di lei...
- Con ti ucciderà - mormorò Maria.
- Rimarrai?
Lei si lasciò prendere tra le braccia.
- Fino a quando torna Con - mormorò.
21.
Tony tornò gentile, come al solito; le aprì la porta.
- Sai già dov'è la tua stanza; l'ho scelta io per te. Con è sulla strada per
l'Indiana a quest'ora - disse in tono rassicurante. Poi aggiunse. - Non
tornerà, per questa notte.
- Non gli accadrà nulla? - chiese lei. Lui scosse la testa.
- Assolutamente.
- Sei sicuro?
Lui rispose che era del tutto certo... troppo certo per restare tranquillo.
La accompagnò alla porta e aspettò che entrasse in camera. Il rumore
della chiave lo fece sorridere: come erano rispettabili queste persone così
poco rispettabili!
Angelo stava aspettando con altri due uomini. Tony tornò nel salone,
dove era comparso un nuovo pezzo di arredamento, un grosso divano rosso
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
e, davanti al divano, era disteso un panno dello stesso colore del tappeto.
Anche Vinsetti aveva visto quel divano e lo aveva notato, un po' perché
non era nuovo e perfetto come tutti gli altri mobili dell'appartamento e un
po' perché era un uomo che notava tutto e che non poteva trattenersi dal
commentare anche una cosa ovvia.
Stranamente, la mente di Perelli si soffermò su Vinsetti. Lo disse ad
Angelo che era rimasto solo con lui nel salone.
- Te la ricordi quella spia?
- Sì. - Ad Angelo non interessava il passato, ma l'immediato futuro. Romano lo prenderà - disse.
- Hai azionato l'allarme?
Angelo guardò la spia elettrica e annuì.
- Sì, ma non tornerà. Chi lo ha avvertito?
Era alla porta, attento al rumore dell'ascensore.
- Il ragazzo - disse Tony sorprendentemente e Angelo trasalì.
- Il ragazzo? Ma è stato ucciso... non sapeva che lo avevi consegnato a
Feeney, altrimenti non sarebbe andato.
Tony annuì.
- Lo sapeva.
Seguì un senso di tensione, di irritazione soffocata. Il più piccolo rumore
faceva trasalire i due.
- Lo sapeva ed è andato lo stesso? - chiese Angelo incredulo.
- Sì, sì, sì - esclamò Tony impaziente. - Non farmi altre domande
Angelo. È andata così... sapeva che lo avevo consegnato a Feeney ed è
andato all'appuntamento.
- Accidenti - mormorò Angelo. - Da non credere. Ma chi ha detto a
Jimmie cosa sarebbe successo?
- Minn Lee - esclamò Tony con durezza. - Ecco chi gliel'ha detto. L'ha
portato in camera sua e ha chiuso la porta a chiave, Angelo. - La sua voce
tremava. - L'ha portato in camera sua, capisci?... Mentre noi tutti eravamo
qui, lei lo ha portato in camera e ha chiuso a chiave la porta! Mio Dio,
deve sapere tutto di questa faccenda.
Era molto difficile interpretare lo strano sorriso di Angelo Verona.
- Penso che sappia abbastanza per tenere la mente occupata...
Suonò l'allarme; era il segnale che li avvertiva che Con O'Hara era stato
visto vicino alla casa. Angelo si asciugò la fronte con il suo fazzoletto di
seta.
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1931 - Furia A Chicago
- Accidenti, non pensavo che sarebbe tornato! Lo faranno entrare in
anticamera.
- Questo è affar mio - disse Tony con durezza. - Io non voglio scandali.
L'uomo che lo porterà in casa dovrà andarsene, chiaro?
Di nuovo l'allarme: Con O'Hara era entrato nel palazzo. Perelli fece un
segnale.
- Esci - bisbigliò. - Se io lo manco, sistemalo tu. Ma voglio un lavoretto
tranquillo.
L'uomo scivolò fuori dalla porta e Tony rimase accanto all'organo. Sentì
la porta principale aprirsi, dei rumori in anticamera; poi vide la porta del
salone socchiudersi e comparire la canna di una pistola. Puntava contro
Perelli. Poi la porta si aprì di più e Con O'Hara entrò nella stanza. Aveva il
cappello in testa e un viso cadaverico.
Anche Tony si stava mettendo il cappello.
- Ciao Con! - disse in tono colloquiale. - Sei di ritorno? Tutti gli invitati
sono andati a casa. Io vado a fare una passeggiata, vieni con me.
Si avvicinò senza paura al divano rosso.
- Uno di noi non andrà a fare nessuna passeggiata questa sera.
O'Hara parlava con l'affanno di un uomo che aveva corso lungo le scale.
Era livido dalla rabbia. L'unica cosa che lo tratteneva era un vago sospetto
che ci potesse essere qualcosa di diverso dalle apparenze. Ma Jimmie
doveva aver detto la verità, perché era morto per dimostrarlo.
- Uno di noi resterà inchiodato qui - proseguì - e quello sei tu, tu,
schifoso italiano traditore!
Tony sorrise.
- Sei ubriaco o cosa? - chiese. - Jimmie ha dato la lettera al poliziotto?
O'Hara respirava pesantemente. Dovette fare uno sforzo per controllarsi.
- Certo! - annuì lentamente. - Ed è morto... L'ho visto io... Non ci volevo
credere, pensavo che il ragazzo fosse impazzito, non ci credevo che ci
avevi consegnato a Feeney. Così sono rimasto a guardare e ho visto una
macchina avvicinarsi e mitragliarlo di colpi. Poi hanno aspettato un po'
prima di andarsene: cercavano qualcun'altra: me!
Sul viso di Perelli si leggevano sbalordimento e dolore.
- Io non ti capisco... cosa stai dicendo, Con? Tu pensi che io, Antonio
Perelli, abbia potuto consegnare...
- Sì, è quello che ho detto - disse l'altro con durezza.
- I miei uomini migliori? - disse Tony, addolorato. - E Jimmie, poi, il
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1931 - Furia A Chicago
mio migliore amico?
- Dov'è mia moglie?
- È andata a casa - disse Tony, togliendosi un granello di polvere dalla
giacca.
- Andata a casa eh? Lo so che è qui. Tony ridacchiò.
- Come sei sciocco, Con! Sii ragionevole. Se tua moglie fosse qui, pensi
che starei per uscire?
- Tu non vai da nessuna parte - mormorò O'Hara tra i denti. - Dammi
quel cappello.
Allungò la mano e strappò il cappello dalle mani di Perelli. In quel
preciso momento, la pistola che era nascosta nel cappello sparò. Non si
sentì alcun rumore: c'era il silenziatore e lo sparo non si sarebbe sentito
oltre la porta della stanza. La pistola di Con cadde sul pavimento; si portò
le mani al petto. Cercò di raccogliere le forze ma invano; cadde in
ginocchio. Perelli sparò di nuovo, questa volta più da vicino, alla nuca
dell'uomo che cadde riverso sul pavimento. La testa cadde al di fuori del
telo che ricopriva il tappeto.
- Non sporcarmi il tappeto, bastardo - mormorò Perelli.
22.
Maria sentì il suono dell'organo e tornò nel salone. Il divano rosso era
sparito. Prima non l'aveva visto e quindi non si accorse del cambiamento.
Si raccontano molte storie a proposito di quella notte, ma solo questo è
certo: quando lei si abbandonò nella braccia di Perelli, i resti mortali di
Con O'Hara erano a pochi metri da lei.
La mattina dopo tornò a casa sua per vedere se suo marito fosse tornato
a casa; ritornò nell'appartamento di Perelli più perplessa che mai.
Angelo Verona era seduto, in maniche di camicia, al grosso tavolo del
salone ed era molto occupato, perché quello era giorno di paga... Davanti a
lui c'erano tre voluminosi pacchi di corrispondenza dai quali Angelo
prendeva i conti da pagare.
Era al telefono quando Maria entrò.
- ...No, il signor Perelli non è in casa. Chi parla?... Il Chicago Daily
News? Bene, allora potete andare all'inferno! Non abbiamo niente da dire
ai giornali, niente, capito? Lui non sa niente. Riattaccò con rabbia il
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1931 - Furia A Chicago
ricevitore e si accorse della presenza di lei.
- Pensavamo che te ne fossi andata - disse, con sarcasmo.
- Dov'è Con? - chiese lei.
- Al telefono? No, baby, non era Con, a meno che non sia entrato a far
parte della redazione del Chicago Daily News, come esperto del crimine!
Lei non avvertì il pesante sarcasmo.
- Non è tornato?
- No - disse Angelo, facendo un cenno al suo lavoro. Lei scosse la testa e
sospirò.
- Sono stata ad aspettarlo a casa nostra fino alle nove e non ho avuto
notizie da lui.
In verità, era stata sollevata di non avere trovato Con nel loro
appartamento quando era arrivata; ben presto però, il sollievo era diventato
disagio. In ogni caso, non si era certo seduta ad aspettarlo, ma aveva
trascorso il tempo rispolverando il suo guardaroba, cercando di rendersi
più attraente possibile per affrontare questa avventura.
- Penso che abbia preso la strada per Detroit - disse Angelo, senza alzare
gli occhi dal suo lavoro. - L'altra sera disse che aveva intenzione di andare
a Detroit. Non so perché tutti vogliano andare laggiù...
- Non mi ha detto niente a proposito di Detroit - disse lei. - Ha
telefonato?
- No - rispose Angelo, stancamente - non ha telefonato. - Poi si ricordò. Hanno telefonato per te dal Quartier Generale della polizia - disse.
- Per me? - Maria era sbalordita. - Cosa volevano? Loro non sanno
niente di me.
- Non lo so - rispose Angelo. - Hanno solo chiesto se eri qui e io ho
detto: "che razza di domanda!". Non hanno chiesto altro.
Lei sospirò sollevata.
- Vorrei avere notizie di Con.
Angelo posò la penna. Non aveva senso cercare di lavorare con quella
donna che continuava a dire sciocchezze.
- Non capisco perché ti agiti. In questo lavoro uno può prendere e
assentarsi per delle settimane. Noi non vendiamo caramelle.
Ma Maria non era convinta.
- Non ci sono notizie sui giornali? - chiese.
Angelo si passò una mano tra i capelli e la guardò sconcertato. C'erano
molte cose che avrebbe potuto dire, ma conosceva l'importanza della
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1931 - Furia A Chicago
discrezione.
- No. È stata messa una bomba in casa del Procuratore di Stato, ma
questo non interessa a nessuno. E poi ci sono molti articoli su Jimmie.
- Li ho letti - disse Maria. Prese una sigaretta da una scatolina preziosa e
l'accese. - Povero ragazzo! - Era sincera.
- Sì - confermò Angelo. - Un evento molto, molto triste.
- Jimmie e Con erano usciti insieme - proseguì lei. - Te lo ricordi,
Angelo? Lui annuì.
- C'è qualcosa che non va - Maria era agitata, insistente.
La situazione richiedeva una bugia drammatica. Angelo si alzò e si
avvicinò alla donna.
- Ora ascolta, Maria, ti devo confessare una cosa. Con è venuto in questo
appartamento nel cuore di questa notte...
- Lei balzò in piedi, agitatissima.
- Cosa? Tu l'hai visto?
- Sì - rispose Angelo. - L'ho visto ed è stato molto, molto imbarazzante.
- È venuto qui - balbettò lei. - Ha chiesto dov'ero? - chiese, senza fiato. Era stato a casa nostra?
- Ecco, no. - Angelo era in grado di imbastire con facilità una bugia, ma
questa volta c'erano delle complicazioni. - Gli ho dovuto dire che tu stavi
dormendo con Minn Lee e che Tony era fuori a cercarlo.
- Non ha voluto salire al piano di sopra? - chiese lei debolmente. Angelo
sorrise.
- Non glielo avrei mai permesso.
Lei sorrise. Il suo profondo sospiro di sollievo fece capire ad Angelo che
la bugia aveva fatto il suo effetto.
- Sei stato molto gentile - disse. - Sarei morta di certo.
- Qualcuno ci avrebbe certo rimesso - disse Angelo seccamente - ma non
certo te.
- Parliamoci chiaro, Angelo - disse, raccogliendo da terra la sigaretta che
aveva lasciato cadere e coprendo con il piede un alone di bruciato che
aveva lasciato sul tappeto. - Parliamoci chiaro, dov'è andato Con?
- Dove ho detto prima - disse Angelo con durezza. - A Detroit. Gli
stavano dietro per un racket di New York. L'hanno visto per strada ed è
riuscito a cavarsela per un pelo.
Questa era davvero nuova! Maria ci pensò un po'.
- Era per Joe Lereski?
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- Joe chi?
- Lereski - ripeté lei. Angelo scosse la testa.
- Mai sentito nominare. Non me l'ha detto... Pare che sia stata una donna
a tradirlo...
Maria rimase a bocca aperta.
- Accidenti, scommetterei che era sua moglie.
- Non sapevo che fosse sposato - disse Angelo cinicamente; cinismo e
sarcasmo erano sprecati con quella donna.
- Questo è quello che mi detto - disse, con un'alzata di spalle - ma non si
può mai credere a quegli uomini. Non ha lasciato un messaggio per me?
- Sì. - Angelo si ricordò certe istruzioni che aveva ricevuto quella
mattina. - Ha detto che saresti dovuta restare qui... con Minn Lee, fino al
suo ritorno.
Lei rimase indecisa se crederci o no.
- Sì, ma non ha un soldo, Angelo.
- Gli ho dato io duemila dollari... e deve ringraziare Tony per questo disse. Le mise una mano sotto il mento e le sollevò il viso.
- Ti sei divertita, baby?
Questo gesto la riportò alla consapevolezza della posizione che doveva
occupare.
- Tieni giù le tue zampacce! - disse, allontanando la mano di lui. - Dov'è
il signor Perelli?
- Noi tutti lo chiamiamo Tony - sottolineò Angelo. - È alla polizia, con il
suo avvocato. Ti piacerà vivere qui; è l'appartamento più elegante di
Chicago.
Maria lo guardò sospettosa.
- Cosa vuol dire "vivere qui"?
- Tony organizza feste stupende - continuò Angelo. - Quest'anno pensa
di andare a Parigi. Sei mai stata a Parigi?
Lei scosse la testa.
- È in Francia - spiegò lui. - Una città elegantissima. Napoleone è nato lì.
Sai chi è? Io l'ho saputo solo ieri.
- Ma avrebbe potuto telefonare da Detroit. - Maria riprese la solita
litania.
- È morto da molti anni - disse Angelo. Poi aggiunse. - Oh, Con? Certo,
avrebbe potuto telefonare. E suppongo che non ci siano uomini della
polizia che controllano le nostre telefonate. Buon giorno, Minn Lee.
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124
1931 - Furia A Chicago
La ragazza apparve, fresca e radiosa; sembrava una donna che non
avesse un pensiero al mondo. Indossava un abito bianco con dei ricami in
verde. Aveva un libro e un lungo coltello in mano; si fermò davanti al
tavolo scorrendo le pagine con il coltello. Maria era imbarazzata.
- Buon giorno, signora Perelli, non vi ho visto questa mattina. Non so
cosa penserete di me, dormire qui sola, senza mio marito.
Minn Lee la guardò divertita.
- Sapevo che vi sareste fermata - disse.
- È spiacevole che mio marito non sia tornato. Minn Lee smise di
sorridere e scosse la testa.
- Povera ragazza! - disse.
- Come? - disse Maria, un po' a disagio, e pronta a risentirsi.
- Ho detto: "povera ragazza" - disse Minn Lee. - Proprio così. Tony non
ha ancora telefonato, Angelo?
Lui non rispose, ma si avvicinò a lei e le prese il coltello dalle mani.
- Minn Lee, non dovresti usare questo coltello - disse. - È molto affilato.
- Tony ha rotto il tagliacarte la notte scorsa - disse Minn Lee,
riprendendosi il coltello. Lo guardò e passò un dito sulla lama. - Pensi che
potrei uccidere qualcuno?
Maria non aveva nessuna intenzione di entrare in un argomento in cui
poteva essere la protagonista.
- Non è terribile che O'Hara non si sia fatto sentire? Quell'uomo mi fa
prendere certi spaventi!
- Tony sa dov'è - disse Minn Lee. - Perché non lo avete chiesto a lui?
Maria si irrigidì e alzò il mento.
- Non vedo il signor Perelli da quando ha bussato alla mia porta per
augurarmi la buona notte - disse con fermezza. - Non ho certo aperto la
porta, perché era chiusa a chiave. Io chiudo sempre a chiave la porta
quando sono in casa d'altri. Non capisco perché ridete, signora Perelli.
- Non volevo ridere... se l'ho fatto, mi scuso. Sono felice questa mattina,
e voi? Angelo, attento ascoltatore, osservò Minn Lee ma non c'era malizia
nel suo sguardo o nella sua voce. Così disposta alla critica, Maria non capì
l'ironia della domanda.
- Felice? Mio Dio! Ma non avete un cuore? Con quel povero ragazzo
assassinato per strada? Suppongo che siate così dura perché siete cinese!
Minn Lee rise gentilmente.
- È l'orientale che c'è in me - disse.
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1931 - Furia A Chicago
Prese in mano il libro e si avviò verso la terrazza. Maria aspettò che
fosse abbastanza lontana.
- Cosa vuol dire orientale? - chiese a bassa voce.
- Penso che voglia dire cinese - disse Angelo e Maria annuì.
- Me lo ricorderò... orientale. C'è sempre qualcosa da imparare. La
signora Perelli è una donna molto bella.
- Tony non potrebbe trovarne una migliore - disse Angelo. Non era stata
una frase adeguata e lei lo sapeva.
- Non avrei dovuto dirlo - disse, punta sul vivo.
- Certamente no. Non mi aspetto miracoli - disse Angelo.
Lei si mise una mano davanti alla bocca per reprimere uno sbadiglio e si
avvicinò al tavolo, toccando i soldi e leggendo i conti, gesto che irritò
moltissimo Angelo.
- Cosa fai? Sei il ragioniere di Tony? Santo cielo, guarda che bel
mucchio di soldi!
- Le radici di tutti i mali - disse Angelo, raccogliendo i dollari che lei
aveva messo in disordine. - Io sono quello che dice di non sapere mai
niente.
Minn Lee era rientrata e aveva appoggiato il suo libro sul divano.
Angelo notò preoccupato che il coltello faceva da segnalibro.
- Oh sì, Tony sa come spendere i soldi!
- Ha duecento camicie di seta - disse scherzando Minn Lee.
- Davvero? - Maria rimase impressionata. - Mi piacciono gli uomini che
si vestono bene. Con ha un gusto originale nei vestiti.
Angelo pensò che ormai i vestiti non avrebbero avuto più importanza
per Con. Si sentì sbattere la porta d'ingresso. Era Tony. Entrò, si tolse la
sciarpa e il cappello e le lanciò sgarbatamente al cameriere.
- Signor Perelli - disse Maria ad alta voce. - Non vi vedo da ieri sera.
Lui non la guardò neppure. Andò in terrazzo e guardò in strada. Poi
tornò e si lasciò cadere su una sedia.
- Sei stanco? - chiese Minn Lee.
- Ho avuto una mattinata d'inferno - grugnì lui. - Sono stato al Quartier
Generale della polizia dalle nove fino un'ora fa.
- Scommetto che l'intrattenimento era stato organizzato da Kelly! suggerì Angelo e il volto di Tony si trasformò in una maschera livida di
rabbia.
- Ti dirò come quel maiale mi ha intrattenuto! Telefona al giudice
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1931 - Furia A Chicago
supremo Raminski. Gliela farò pagare a quel maledetto poliziotto.
- Il giudice supremo Raminski! - balbettò Maria, giustamente sbalordita,
visto che Raminski era il capo dei politici di Chicago, un giudice e uno dei
padroni della città.
- Ci sono dentro fino al collo - disse Tony. - Mi hanno portato qua e là
fino a farmi impazzire. Dalla polizia al tribunale, dal tribunale alla polizia,
dalla polizia all'obitorio e poi sul posto dove hanno ammazzato il povero
Jimmie.
- Il giudice in linea.
Angelo gli passò il ricevitore e Tony, improvvisamente, recuperò tutte le
sue energie.
- Il giudice supremo Raminski?... Parla Perelli... Antonio Perelli. - Poi,
con durezza. - Cosa diavolo vuol dire permettere che Kelly mi portasse
qua e là tutta la mattina? Volete creare della confusione, eh?... Vi ho
portato i voti di due circoscrizioni comunali alle scorse elezioni, non è
vero?... Non vi ho dato forse cinquemila dollari per le spese elettorali?
Eh?... Lo so, lo so, parlerete a Kelly... gli farete un bel discorso. Siete il
pezzo più grosso del tribunale; siete un tipo in gamba e sarete senatore un
giorno!... Sì, sì, sì, sarete senatore, per Dio! Fate fuori Kelly... ecco cosa
dovete fare!
Riappese il ricevitore.
- Farò fuori quel maledetto!
A un giudice! Maria capì solo in quel momento la potenza di
quest'uomo. Parlare così a un giudice... a un uomo che decideva della vita
degli altri.
- Ma parlare a un giudice in quel modo... - cominciò.
- Dovresti sentirlo parlare con il Presidente! - disse Angelo e Tony lo
azzittì.
- Non essere stupido, Angelo. Portami da bere... del Chianti, qualsiasi
cosa. Minn Lee lo anticipò e corse fuori dalla stanza per prendere da bere.
- Sei andato da Cicero? Angelo annuì.
- Sì. Non si può far nulla per il Lion Inn... sono solo rovine e fumo.
- Aspetta un attimo. - A Maria piaceva intromettersi in ogni
conversazione. - L'ho letto. Era una casa di tolleranza, vero? Sono
dannatamente felice! Vorrei che i Vigilanti le avessero bruciate tutte! Gli
uomini che vivono su quelle case sono dei maiali!
Tony si trattenne a fatica.
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- Oh davvero? Non sai niente di queste cose. - La sua voce era diventata
quasi un urlo. - Centomila dollari... solo perché un gruppo di folli sta
cercando di sopprimere la natura umana.
- La malvagità umana! - sbottò Maria. - Non è nella natura umana
trattare le donne come bestie, solo per poter aggiungere qualche sporco
dollaro al conto in banca! Dovrebbero impiccarli tutti! Angelo stava
facendo dei cenni a Tony che però non se ne accorse.
- Oh, sì - disse Perelli con la voce tremante per la rabbia. - Perché siete
tutti degli ipocriti e non vedete che gli esseri umani sono esseri umani,
perché vi nascondete la verità, e cioè che quelle donne forse salvano delle
ragazze innocenti dalla rovina.
- Non ne salvano poi molte, credimi - disse Maria.
- Tu sai tutto eh?
- Certo, lei sa tutto - disse Angelo. - Ha ragione, Tony. Questa volta
Tony avvertì il messaggio e si sforzò di ridere.
- Penso di sì - disse. - Ma io stavo pensando a quelle povere ragazze:
hanno perso tutto quello che avevano.
In quel momento Minn Lee tornò con il vino e Maria si rivolse a lei.
- Dite, deve essere una vita orribile, vero, signora Perelli?
- Non ho ascoltato la vostra conversazione - disse Minn Lee.
- Quelle case a Cicero...
- Vuoi stare zitta? - disse Tony, arrabbiato. - Come puoi tu entrare nelle
menti di quelle ragazze e dire se la loro vita è bella o brutta? Per loro
potrebbe essere meravigliosa! - Guardò Minn Lee con un sorriso
incoraggiante. - Una ragazza che lavora in quelle case è come una
principessa, con una bella camera e dei mobili eleganti. Poi incontra tutti
gli amici che vuole...
All'improvviso prese la mano di Minn Lee.
- Siete tutti degli stupidi - disse. - Mia cara, non ti ho visto la scorsa
notte. Ero così depresso per il povero Jimmie che ho dormito nel mio
studio.
- Nello studio...? - cominciò Maria.
- Sì, è lì che dorme - disse Angelo, portando la cassetta dei soldi fuori
dalla stanza.
- Hai visto Jimmie? - chiese Minn Lee a voce talmente bassa che Maria
non riuscì a sentire.
Per un attimo la sua spavalda sicurezza gli venne meno e Tony Perelli
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non riuscì a guardarla negli occhi.
- Sì - rispose. - Era bellissimo. Sorrideva come se fosse contento.
Lei si accorse della smorfia di lui. La serenità di Jimmie aveva
impressionato Perelli.
- Lo sapevo - disse Minn Lee. - Non hai saputo altro... cioè di come è
morto? Tony scosse la testa.
- No, solo che era ancora vivo quando il poliziotto l'ha trovato.
- Povero ragazzo - disse Maria, usando una frase convenzionale.
- Perché?
Minn Lee si avvicinò a lei e la osservò intensamente. C'era uno strano
sorriso nei suoi occhi, una serenità che colpì la donna e che la azzittì fino a
quando quella figura vestita di bianco non lasciò la stanza.
- Quella donna mi sconcerta - disse irritata.
Sconcertava anche Tony. La sua principale preoccupazione era come
sarebbe stata la sua vita senza Minn Lee. Sarebbe riuscito a sopportare che
lei se ne andasse lontano da lui in una di quelle case?
Guardò la donna che stava per prendere il posto di Minn Lee. Non
c'erano muri intorno alla mente di Maria. Si sedette accanto a lei e le mise
un braccio intorno alle spalle.
- Mia stupenda ragazza, ti sono mancato?
Lei lo guardò con uno sguardo timido e intimo.
- Mi ami ancora?
Lui la strinse forte a sé, cercando le sue labbra... lei lo allontanò e si alzò
in piedi.
- Tony, onestamente, non mi va ora... Sono un fascio di nervi, tesa come
un gatto. Dov'è Con?
La sua sorpresa a questa domanda fu un po' esagerata.
- Con? - chiese. - Ma Angelo non te l'ha detto? Lei lo guardò sospettosa.
- Lui sì, ma tu no. A me sembra che tu trascorra il tuo tempo a pensare
che bugie raccontarmi. Perché Angelo doveva sapere...
- Angelo sa - la interruppe Tony - ma non si lascia sfuggire nemmeno
una parola.
Lei lo fissò in viso.
- Onestamente, è vero quello che mi ha detto, che Con è a Detroit? Tony
si mise una mano sul cuore e rise.
- Vuoi sapere quello che penso? Che l'hai mandato via apposta. Tony, tu
sei così intelligente! Penso che tu abbia architettato qualcosa per liberarti
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
di lui la scorsa notte. Hai un gran cervello.
Tony sorrise con compiacenza.
- Forse - disse.
- Senti - disse. - Quando Con tornerà, ho intenzione di dirgli tutto.
- Con? Per me va bene - disse Tony. Lei gli espose la sua filosofia.
- A me non piace ingannare un uomo... cioè, quando anche l'altro è
d'accordo. Perelli le fece un grosso sorriso.
- È un pensiero molto nobile - disse.
- L'ho fatto qualche volta - ammise Maria, facendosi più seria. Scatenerà un inferno. Con è fatto così, molto violento - lo avvertì.
Tony annuì.
- Ho già avuto modo di scoprirlo - disse.
- Comunque, con lui ho chiuso - disse Maria. - Non si può rispettare un
uomo che non ha i soldi per mantenerti decorosamente.
C'era un'altra questione, molto delicata, da discutere. Il codice morale di
Maria prevedeva che certi particolari andassero chiariti. Fece un cenno
verso la porta.
- Cosa hai intenzione di fare con...? - Non pronunciò il nome. - Questa è
una faccenda da sistemare, Tony.
Era una faccenda da sistemare, era vero, ma non era così semplice come
si era immaginato. Scrollò le spalle.
- Ho chiuso anch'io - disse. - Lei non mi ama più e - abbassò la voce - mi
ha anche tradito!
Maria era sinceramente sconvolta.
- Questo ti dimostri che non bisogna fidarsi di quegli ornamentali...
Tony non reagì. Lei tossì imbarazzata.
- Di quegli stranieri. Ma senti, Tony, non la farai andare via senza soldi,
vero? Io sostengo che le donne vanno trattate con onore. Quando mi sono
messa con O'Hara, ho insistito perché provvedesse a mantenere la ragazza
con la quale stava prima... certo!
Tony le strinse la mano con tenerezza.
- Che gentile! È proprio quello che volevo sentirti dire. Sei molto
gentile, Maria. Non ci sono molte donne che la pensano come te.
- È la mia debolezza - disse lei. - Dico sempre quello che penso.
Poi continuò a elencare le sue virtù, ma lui non l'ascoltava. Pensava alla
promessa di Kelly, o meglio, alla sua minaccia.
- Verrò a vedere la tua nuova donna - aveva detto Kelly con brutale
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1931 - Furia A Chicago
franchezza, dimostrando di conoscere tutti i particolari della sua vita
privata. Quando ne parlò a Maria, lei rimase turbata.
- Cosa vuole da me? Io non so niente dei tuoi affari - disse allarmata.
Tony le strinse la mano.
- Non è nulla, dolcezza. Forse ti vuole fare delle domande su Jimmie. Tu
l'hai incontrato.
Maria lo aveva incontrato, ma se ne ricordava a malapena.
- O forse ti vuole parlare di Con - aggiunse Tony con noncuranza. - Ma,
in ogni caso, lascia parlare lui.
Lei sorrise minacciosa.
- Bene, se pensa di potersi prendere gioco di me...
- Non è possibile mandarlo in confusione, ma far impazzire la gente è la
sua specialità - la avvertì Tony. - Mio Dio! Ti fa davvero impazzire e, se
impazzisci, va a finire che parli.
Ma lei aveva molta fiducia nelle sue capacità.
- Si sarà sciolto prima di aver finito con me... - cominciò, ma lui la
interruppe.
- Non fare come Con, per l'amor di Dio! Non pensare di essere più
intelligente di lui e di poterlo mandare in confusione con dei giochi da
parole per eludere i discorsi.
Questo discorso la allarmò. Lei non doveva eludere niente. Glielo disse.
In quel momento arrivò Angelo che fece un cenno a Tony. Perelli pensò
che fosse Kelly, ma si trattava invece di un altro tipo di visitatore.
- C'è Mike Feeney. Vuoi vederlo? Tony lo guardò incredulo.
- Mike Feeney... dove?
Angelo fece segno con la mano dietro le spalle.
- Ha portato i suoi uomini?
Un lieve sorriso apparve sulle labbra di Angelo.
- No, penso che li abbia lasciati fuori.
Tony deglutì. Shaun O'Donnell non avrebbe mai permesso una cosa
simile. Shaun aveva del cervello, non molto, ma quanto bastava.
- Perché pensi che sia venuto?
Tony Perelli ci pensò lungamente, mordicchiandosi il labbro inferiore e
seguendo con lo sguardo i disegni del tappeto. Poi, all'improvviso, cambiò
atteggiamento, e questo era un brutto segno.
- Copri tutte le uscite in caso di incidente - ordinò. - Devo sistemare le
cose con Feeney, prima o poi. Hai saputo che ha organizzato la sua festa di
Edgar Wallace
131
1931 - Furia A Chicago
compleanno da Bellini?
- Sì. Vedessi che menù: ha una banda di irlandesi da sfamare!
Contemplò a lungo le sue scarpe luccicanti e poi disse: - Va bene, fallo
entrare. Una volta solo, estrasse la sua automatica dal cassetto e la mise
nella fondina che portava sotto l'ascella e, quando Mike Feeney entrò,
stava camminando lungo la stanza, con le mani dietro la schiena,
apparentemente immerso nei suoi pensieri. Alzò gli occhi per salutare il
suo visitatore.
- Come va, Mike?
Feeney si guardò intorno con la più grande precauzione.
- Bene - rispose.
I due si guardavano sospettosi.
- Prendi il Libro - disse Tony solennemente.
Angelo aprì un altro cassetto e prese una grossa Bibbia decorata che
mise sul tavolo, aperta nel mezzo. Tony estrasse dalle due fondine che
aveva sotto le ascelle due grosse pistole e le mise sul libro aperto.
- Queste sono le mie - dichiarò.
Feeney esitò, poi estrasse una pistola dalla tasca, la mise sul libro, ma
all'improvviso, la riprese, ricordandosi di certi fatti accaduti a chi si era
fidato troppo di questa razza latina!
- Aspetta un attimo! - disse. - Quella Bibbia è italiana o irlandese?
- È americana al cento per cento - dichiarò Tony con solennità.
Feeney aspettò fino a quando Angelo non uscì. Non si era dimenticato
l'avvertimento di Shaun O'Donnell: "tieni sempre un occhio su Tony
Perelli, ma due su Angelo Verona". Poi si avvicinò al muro, da dove
poteva vedere la porta.
- Sei stato al Quartier Generale, vero Tony? Mentre parlava, non
guardava Perelli, ma la porta.
- Sì, ho tenuto un comizio sull'alto prezzo dei liquori - commentò Tony
con ironia.
Mike attraversò il salone e si diresse verso la luminosa porta-finestra che
portava in giardino; la aprì e guardò fuori. Tony lo guardò annoiato. Poi
Mike si avvicinò all'altra porta.
- C'è qualcuno lì? - chiese.
- Sì... una donna - rispose Perelli.
- Ti dispiace se controllo?
- Certamente - disse Perelli con sarcasmo. - Se non hai mai visto una
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
donna, ti farò vedere qualche fotografia. È terribile essere così sospettosi.
Feeney guardò e poi richiuse gentilmente la porta.
- Ho organizzato la mia festa di compleanno per la settimana prossima, e
mi piacerebbe poter partecipare - disse.
- Cento di questi giorni - gli augurò l'altro.
- Grazie, ma non voglio regali da te.
Tony gli mostrò i denti; questa volta era davvero seccato.
Sapeva perché Feeney era venuto e infatti, dopo un po', Mike cominciò.
- Tony, l'altra sera non sei stato di parola - disse. Perelli scosse la testa.
- Ti giuro di no... Con O'Hara ha saputo la cosa in qualche modo.
La banda di Feeney era dispiaciuta. Tony ebbe l'impressione che Mike
fosse venuto malvolentieri e che quella visita fosse stata forzata dalla sua
violenta sorella.
- Dicono che hai voluto salvare Con O'Hara.
- Figuriamoci! - sbottò Tony. - Perché mai avrei dovuto salvarlo, dopo
che ti avevo promesso che te l'avrei consegnato, eh?
Mike giocherellava con il suo cappello, cercando sempre qualche
pericolo nascosto.
- Non c'è nessuno qui, Mike, te lo giuro.
Sul viso di Feeney comparve un mezzo sorriso.
- Ah sì? Anche Vinsetti era passato qui per una visita, ed era un tiratore
più esperto di me. È entrato qui e nessuno l'ha più visto...
- È una vecchia storia, dimenticala! - disse Perelli. - Di che cosa hai
paura, Mike? Non ho la pistola.
Feeney allargò le braccia.
- E nemmeno io: vale anche per te: o ti fidi di una persona, oppure no!
Prese una sedia e si sedette davanti al gangster suo rivale.
- Io non sarei venuto a crearti problemi, Tony, ma c'è mia sorella. Sta
sollevando un polverone! A nessuna donna fa piacere che il marito venga
assassinato, soprattutto se il marito era l'unico uomo a trovare in lei un po'
di sex appeal.
- È un caso davvero sfortunato - mormorò Tony.
- Lei non è bella, Tony. - Feeney stava entrando nel personale. - Anzi, è
decisamente brutta. Io sono suo fratello e lo so. Questo le rende ancora più
difficile superare la perdita del marito.
Sospirò profondamente e poi passò agli affari.
- Allora, cosa è successo a Con O'Hara? Parla chiaro.
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
Perelli non rispose subito. Guardò pensieroso quell'uomo con gli occhi
spenti che c'era davanti a lui e si chiese quali strane combinazioni della
vita avessero portato Mike Feeney al comando di una banda di fuorilegge.
- Non devi preoccuparti di Con O'Hara - disse. - L'ho sistemato io stesso.
Una luce illuminò il volto di Feeney.
- Davvero?
- Certo - disse Perelli. - Io non permetto a nessuno di farmi certi scherzi.
- L'hai portato a fare un giro...?
- Senti, Mike. Io vengo forse a chiederti gli affari tuoi? Vengo forse a
chiederti il come e il perché di certe cose? Dobbiamo sventolare i nostri
affari a tutta Chicago?
Mike alzò la mano.
- Non voglio sentire altro, Tony - disse gentilmente. - Ho sempre saputo
che eri un uomo di parola.
Si sentì suonare l'allarme e un secondo dopo, Mike Feeney era balzato in
piedi, con una pistola spianata. Tony non riuscì a capire da dove l'avesse
tirata fuori, ma la velocità con la quale era comparsa quell'arma spiegò in
parte come mai Feeney si trovasse a capo di un racket.
- Cosa diavolo è questo rumore? - disse. - Fallo smettere. Tony era
visibilmente addolorato.
- Mike, avevi detto di non avere pistole!
- Che cos'era quel rumore? Tony sospirò profondamente.
- È Kelly. L'allarme mi avverte che è entrato in casa. Tutto qui.
- Cosa diavolo vuole Kelly? - chiese Feeney. Tony urlò.
- Vuole vedere la signora O'Hara. Perché la signora O'Hara è qui?
Perché è la mia donna. Perché è la mia donna? Pensa agli affaracci tuoi!
Feeney si rimise la pistola in tasca.
- Mi dispiace... - cominciò.
- Non ti sei fidato di me, Mike, questo mi ferisce. - C'era del dispiacere
nella voce di Perelli. - Avevi detto di non avere pistole e invece non era
vero.
L'allarme suonò di nuovo.
- Non voglio vedere Kelly - disse Feeney.
- Pensi che lui non sappia che sei qui? Vai in salotto. Quella laggiù è la
signora O'Hara. Non fare lo spiritoso con lei.
Aprì la porta che dava sul salotto.
- Mike, tu non saprai mai come hai ferito i miei sentimenti - disse e
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
Mike Feeney se ne andò, vergognoso, dalla donna del cui marito aveva
organizzato la morte.
23.
Il commissario Kelly non perdeva la pazienza con facilità. Doveva
affrontare una situazione più difficile di qualsiasi altra. Contro di lui c'era
la banda di gangster meglio organizzata degli ultimi trecento anni.
- Non c'è nessuna speranza... assolutamente nessuna - disse al suo
luogotenente mentre lasciavano l'ufficio. - Ha appena telefonato il giudice
Raminski, dicendomi come mi devo comportare e come devo trattare sua
altezza il duca Perelli! E dovrò fare come dice lui! Io posso andarmene o
posso continuare ad amministrare la legge, a patto che questa non
danneggi i sentimenti di quei gangster che sono amici di personalità
importanti! E ora ho deciso! - disse con durezza. - Io me ne vado. Questo
posto lo prenderà qualcun altro, che si lacererà il cuore come ho fatto io...
oppure vivrà in una casa dorata. Perelli ha vinto, per quello che mi
riguarda.
Kelly stava lasciando il Quartier Generale, quando un impiegato lo
richiamò per dargli delle interessanti notizie. Con il blocchetto degli
appunti nella sua tasca, Kelly salì sulla macchina della polizia e si diresse
verso l'appartamento di Perelli per un interrogatorio che sarebbe stato
l'ultimo.
Harrigan era con lui e Kelly gli espose la nera depressione che gli
appesantiva il cuore.
- L'unica nostra possibilità è che Angelo lo abbandoni - disse. - Quello è
un pezzo grosso, Harrigan. Perelli non si rende conto di quanto gli deve!
- La banda di Feeney non lo prenderà mai... - cominciò Harrigan e Kelly
rise amaramente.
- Non è la paura della banda di Feeney, ma è la prima legge della natura
che potrebbe indurre Angelo Verona a un cambiamento repentino! Il
ragazzo è molto intelligente e potrebbe metterli tutti nel sacco se non
corresse il rischio di diventare il protagonista di una bella fotografia sui
giornali, con una croce al posto del suo cadavere.
Quando arrivarono davanti al palazzo dove abitava Perelli, un uomo si
avvicinò alla macchina.
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
- C'è Mike Feeney da Perelli - disse. - Ci sono i suoi gorilla da quella
parte della strada; da quest'altra, ci sono gli uomini di Perelli, quindi non
penso che uno dei due abbia in mente qualcosa.
Kelly lasciò il suo luogotenente sul marciapiede e salì in ascensore.
Angelo gli aprì la porta, concedendogli uno dei suoi più cordiali sorrisi.
Gli piaceva, Angelo, e lo salutò con un ghigno.
Entrando nel salone, vide due sedie una di fronte all'altra e capì che c'era
stata una riunione tra capi. Vide anche la Bibbia aperta, ma non c'era
traccia di Feeney. Guardò il libro e, voltando alcune pagine, fissò Perelli.
- Non avrò interrotto le preghiere di famiglia o qualcosa del genere,
vero? - chiese sardonico.
Tony sorrise.
- No, avevamo già finito, capo - disse, con gentilezza elaborata. Gli
occhi di Kelly ispezionarono il salone.
- Ho visto i tuoi uomini sulla strada e ho ordinato ad Harrigan di
perquisirli, nel caso abbiano infranto la legge che vieta di portare armi.
Chiuse il libro e, appoggiandosi al tavolo, rimase a osservare Perelli che
metteva le sedie al loro posto. Angelo era insolitamente elegante nel suo
nuovo vestito di cashmere e la sua camicia di seta rosa.
- Sei davvero elegante, Angelo. Angelo lo guardò e scosse la testa.
- Detesto vedervi così di buon umore, capo: è un brutto segno. Il capo
ridacchiò.
- Davvero, Angelo? Dov'è la ragazza?
Non precisò il nome, ma tutti e due gli uomini capirono che intendeva
Maria.
- È nel salone - disse Tony. Kelly mostrò loro i denti.
- Salone, giardino... certo che voi sapete come vivere, almeno finché
dura. - Poi, con elaborata gentilezza, aggiunse: - Vorreste essere così
gentili da chiedere alla signora O'Hara di vedermi?
Tony si sentiva a disagio e a ragione.
- C'è un amico con la signora O'Hara... - cominciò, ma Kelly lo
interruppe.
- Lo so, il signor Michael Feeney. Mi piacerebbe incontrare anche lui.
- Cosa volete da lui? - chiese Tony.
- Il suo autografo - esclamò Kelly con ironia. - Faccio la raccolta. Sentì
un sospiro di Angelo e si voltò verso di lui.
- Diavolo, detesto vedervi così di buon umore - ripeté con enfasi. Edgar Wallace
136
1931 - Furia A Chicago
Preferirei che foste venuto per un'ispezione accurata.
Il signor Kelly era divertito.
- Farò anche quella - gridò ad Angelo che si stava allontanando.
Poi, dopo aver appoggiato il cappello sul tavolo, si accese un sigaro e
fissò Perelli con odio.
- Questa mattina non ti avremo per caso stancato troppo, Perelli, magari
dicendo qualcosa che abbia ferito i tuoi sentimenti e che ti abbia umiliato?
Questo stravagante discorso fece aumentare il disagio di Perelli. Non
possedendo senso dell'umorismo, il sarcasmo lo infastidiva e lo
spaventava.
- A pensarci bene - proseguì Kelly - avrei dovuto portare dei fiori.
Qualche garofano, o qualsiasi altro fiore che ti piaccia. In questo momento
non mi ricordo quali fiori sei abituato a mandare ai funerali, ma sono
sicuro che sono fiori molto costosi.
- Molto divertente - disse Perelli, mordicchiandosi le labbra.
- Ecco, voglio che tu la prenda sul ridere - disse Kelly. - È l'unica cosa
che chiedo. Sembra che io debba imparare a essere gentile con te, signor
Tony Perelli. Ecco come ti ha chiamato, "il mio amico Antonio Perelli".
Tony lo guardò con degli occhi così pieni di sorpresa, che avrebbero
potuto ingannare chiunque, tranne Kelly.
- Il mio amico? Non vi capisco. Di chi state parlando?
- Il giudice supremo Raminski mi ha telefonato - spiegò Kelly. - Pensa
che non ti abbiamo trattato abbastanza bene.
Perelli alzò le spalle. Capì che forse era stato troppo precipitoso nel
lamentarsi con il giudice. Angelo gli aveva già esposto lo stesso punto di
vista.
- Porteremo dei cuscini la prossima volta che verrai alla polizia proseguì Kelly.
- Se c'è una cosa che odio è che il Quartier Generale di polizia si faccia
la fama di non trattare cortesemente i suoi ospiti.
Si voltò verso Maria, che stava entrando decisa nella stanza seguita da
un timido Feeney.
- Guarda chi c'è - esclamò Kelly con finta sorpresa. - Buon giorno, Mike.
Feeney mormorò a disagio. - Buon giorno, signor Kelly.
- Non mi chiamare signore, Mike - disse Kelly. - Sono solo un poliziotto
che non vale niente. Posso chiederti cosa fai in questo... - si guardò in giro
- ...rispettabile bordello?
Edgar Wallace
137
1931 - Furia A Chicago
- Tony e io siamo amici - disse Feeney. Il capo era divertito.
- Oh, è per questo che a Michigan Avenue stanno sventolando le
bandiere di lutto!
Feeney lo guardò sospettoso e si avviò alla porta.
- Mi volevate, capo? Kelly annuì.
- Ti vorrei più di ogni altra cosa, ma non sarò io a prenderti, Mike. Batté una mano sulle spalle dell'irlandese. - Sarà lui a prenderti. - Fece
cenno a Tony. - E allora non mi servirai più, perché sarai all'obitorio. Hai
perso il povero Shaun, vero?
- Sì - disse Feeney tristemente.
- È molto triste. - Il dispiacere nella voce di Kelly era ben dissimilato. Un altro martire della scienza, eh? Voi avete fatto fuori uno degli uomini
che ha ammazzato Shaun e Tony ha fatto fuori l'altro.
Maria si voltò di scatto.
- Cosa? - disse, ma il sorriso rassicurante di Tony allontanò per un
attimo i suoi peggiori sospetti.
- Non far caso al capo: è abituato a parlare così - disse. - Tu cosa vuoi?
Minn Lee, che era entrata silenziosamente nella stanza, non rispose. Stava
guardando con curiosità Kelly.
- Tu hai ammazzato Jimmie McGrath e Tony ha fatto fuori Con O'Hara,
vero?
- continuò Kelly. Maria era indignata.
- È una maledetta bugia! Tony non è uscito per tutta la notte.
- Potete testimoniarlo?
- Certo che posso, signor Intelligenza - esclamò la ragazza in tono
minaccioso. - Se volete sapere dove si trova mio marito, dovreste chiedere
alla polizia di New York, che l'ha costretto a lasciare Chicago.
- La polizia di New York gli sta dando la caccia, eh? - disse Kelly
lentamente. - In città non c'è nessun investigatore di New York. Vogliono
arrestarlo per qualche reato commesso a New York? E per cosa? La polizia
di New York non lo cerca affatto. Chi vi ha detto una cosa simile?
Maria rimase in silenzio, con una maschera dignitosa in viso.
- Questo è tutto - dichiarò.
- Chi vi ha fatto credere che non torna perché sta scappando dalla
polizia? - chiese Kelly e, quando lei non rispose, aggiunse. - Io so chi ve
l'ha detto: l'uomo che l'ha ucciso.
Lei si voltò come una furia, con il viso in fiamme.
Edgar Wallace
138
1931 - Furia A Chicago
- È una dannata bugia... lui è a Detroit.
Kelly la guardò con durezza per un attimo, poi si avvicinò a lei.
- È nell'obitorio di Lake Side - disse. Maria impallidì e si accasciò sul
divano.
- È stato ritrovato questa notte sulla spiaggia - disse Kelly. - L'hanno
trovato dieci minuti prima che io lasciassi l'ufficio.
Angelo e Minn Lee portarono Maria fuori dalla sala, singhiozzante e in
preda a una crisi di nervi.
C'era uno spettatore interessato, che decise di mettersi in luce. Feeney
schioccò le dita.
- Va tutto bene? - disse Kelly. - Se è così, puoi andare.
- Io non ne so niente, capo - protestò Feeney.
- Lo so. Tu sapevi tutto di Jimmie McGrath - disse Kelly con severità.
- Non ho mai incontrato quell'uomo - protestò Feeney.
- Non l'hai mai incontrato, eh? - Kelly lo fissò negli occhi. - Certo, tu sei
un pezzo grosso ed è chiaro che paghi qualcuno per commettere gli
omicidi. Sei sempre stato un tipo ambizioso, Feeney. Eri in prigione per un
furtarello e già progettavi una rapina in banca.
Feeney cercò di cambiare argomento.
- Sentite, capo, vi piacerebbe venire alla festa che darò per il mio
compleanno? Sarà da Bellini. Ci sarà un sacco di bella gente, il giudice
Grichson, il giudice Rosencrantz, il giudice della corte suprema Aschen...
- No, grazie - tagliò corto Kelly. - Io non studio legge, la amministro.
Feeney si mantenne calmo davanti a questa frecciata sarcastica e, agitando
la mano in segno di saluto, si avviò verso il corridoio.
- Bene, vi saluto...
- Mike! - Kelly lo richiamò. - Io non farei la mia festa di compleanno da
Bellini, se fossi in te.
Tony e Angelo si scambiarono un'occhiata interrogativa.
- Eh? - esclamò Feeney meravigliato.
- Proprio così - disse Kelly. - Io non farei la mia festa di compleanno da
Bellini. Cerca un altro posto, e forse potrai festeggiare un altro
compleanno.
Il meravigliato irlandese guardò uno dopo l'altro i tre uomini, poi parve
capire.
- Grazie capo - disse.
- Non ringraziarmi. - Kelly gli mostrò uno dei suoi più larghi sorrisi.
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
Voglio vederti filare dritto. Hai grossi interessi in quel ristorante, vero,
Tony?
Perelli non rispose e Feeney trasse un profondo sospiro di sollievo.
- Posso essere stupido, ma certe cose le capisco - borbottò uscendo dalla
stanza.
- Non voglio perdere tempo con voi due per parlare di Con O'Hara. disse Kelly. - Parlerò direttamente con la ragazza.
- Non potete vederla, signor Kelly. - Minn Lee era arrivata giusto in
tempo per sentire le ultime parole. - È come impazzita.
- È come impazzita e l'hai lasciata sola? - gridò Perelli. - L'hai lasciata
là, da sola...? Chiama un'infermiera, un dottore, qualcuno.
Corse fuori dalla stanza. Sentirono un - Vengo subito da te, Maria dietro la porta che Perelli si era chiuso alle spalle.
- Questo è il guaio di Tony Perelli - commentò Kelly. - Ha il cuore di un
bambino. Mi sono spesso chiesto come mai non sia a capo di un asilo
d'infanzia, invece di...
Minn Lee sorrise.
- Per voi non può fare nulla di giusto, per me non può fare nulla di
sbagliato. Kelly scosse la testa.
- Se c'è una cosa che non si merita, è proprio questa. Vedo che siete
ancora qui. - Poi, quando lei annuì, aggiunse. - Non so se questo mi renda
felice o no.
Lei sorrise di nuovo.
- Siate felice o triste domani mattina - disse misteriosamente.
Kelly si avvicinò alla porta dalla quale era uscito Perelli, la aprì e guardò
fuori; poi la richiuse con gentilezza e tornò dalla ragazza.
- Quando il poliziotto ha trovato Jimmie, respirava ancora - le disse a
bassa voce - e ha avuto il tempo di pronunciare due parole: Minn Lee.
Il viso di lei si fece radioso.
- Sono felice di avervelo detto.
Quando lui si voltò per uscire, lei gli prese la mano e gliela baciò.
- Non fatelo, ragazza mia - borbottò lui.
- È un'antica tradizione cinese. - Minn Lee era senza fiato ma sorrideva.
- Pian piano allargo la mie conoscenze sull'oriente, signor Kelly.
Lui le strinse la mano che teneva tra le sue e uscì. Lei rimase immobile
nel punto in cui lui l'aveva lasciata, con le braccia conserte e con il viso
illuminato da un'espressione che nessuno aveva mai visto prima. Poi,
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
tornata alla realtà, prese da terra un cuscino e lo risistemò sul divano e,
uscita sulla terrazza, rimirò lungamente i tetti della case di Chicago. Poi
sentì dei rumori confusi; la porta si spalancò e Tony si precipitò dentro,
praticamente trascinandosi dietro Maria. La guidò verso una sedia e la
costrinse con gentilezza a sedersi, mormorando frasi incoerenti e
incomprensibili.
Lei continuava a singhiozzare. Tony non si accorse neppure della
piccola ragazza cinese; le sua mente e i suoi pensieri erano completamente
concentrati sul dolore di Maria, del quale era direttamente responsabile.
- Mia povera, cara, adorata... Poi vide Minn Lee.
- Portale del vino. Dov'è Angelo? Dov'è Kiki?
Lei non gli rispose, ma uscì in fretta dalla sala. Tony strinse il volto della
ragazza contro il suo petto.
- Oh mia cara, mia cara! - disse, baciandole i capelli. - Così disperata e
così bella!
- Quegli assassini! - balbettò lei tra le lacrime. - Uccidere così il mio
Con! Tony le sollevò il viso.
- Avrà un magnifico funerale, Maria - disse. - Mostrerò a Mike e ai suoi
killer cos'è un funerale. Ventimila dollari... non mi interessa quanto
spenderò, Maria.
- Prenderai il porco che l'ha ammazzato, vero? - piagnucolò lei. - Devi
farlo per me, Tony... ti darò tutto quello che una ragazza come me può
darti...
- Certo, certo - disse Tony. - Non ci sarà nessun Mike Feeney sul
prossimo elenco telefonico, te lo giuro. Ho intenzione di farla finita con
quell'uomo.
Minn Lee portò il vino e arrivò anche Angelo che la guardò interessato.
Maria bevve un sorso e fece una smorfia.
- Non è champagne - si lamentò.
- Bevilo - disse Tony e poi si voltò verso il suo secondo. - Angelo, pensa
tu al povero Con. Voglio il funerale più elegante. Spendi quello che
necessita... rose, lilium, orchidee, tutto. Angelo sollevò lo sguardo dal
blocco sul quale stava prendendo appunti.
- Ci converrebbe metterci a coltivare fiori - disse, non senza una certa
logica.
- La cassa deve essere d'argento - disse Tony, affascinato lui stesso dalla
magnificenza da lui proposta. - Falla venire da Filadelfia. Più bella di
Edgar Wallace
141
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quella di Shaun... molto più bella.
- Quella aveva degli angeli scolpiti - suggerì Angelo, con la penna
pronta a scrivere.
- Fai di meglio.
Angelo inclinò stancamente la testa.
- Cosa c'è di meglio degli angeli? - chiese.
- Gli arcangeli - grugnì Perelli. - Pensaci immediatamente.
24.
Maria si lasciò andare nelle sue braccia e lui la consolò. Poi se ne
andarono, con uno strano atteggiamento, un misto di passione e di rabbia.
Angelo rimase sulla soglia e li osservò fino a quando non sparirono dietro
la porta della camera di Maria.
Era in corso una crisi. L'atteggiamento di Tony era leggermente
cambiato, leggermente, ma abbastanza per far capire all'intelligente
italiano che il passaggio da Minn Lee a Maria sarebbe stato seguito da un
altro cambiamento, più radicale e drammatico.
Rimase così per molto tempo, con la mano sulla maniglia della porta,
fissando pensieroso il corridoio. C'era una macchina potente e veloce a
portata di mano, un terzo ascensore del quale la polizia ignorava l'esistenza
e perfino un fuoribordo velocissimo. Erano tutte possibilità di salvezza, di
vita.
Angelo non si faceva illusioni. Sapeva che, a meno che non avesse agito
in un certo modo, avrebbe presto riposato sotto il telo cerato dell'obitorio e
che tutto quello che sarebbe rimasto di lui sarebbero state delle fotografie
al dipartimento di polizia.
Con un sospiro, chiuse la porta ed entrò nella stanza.
- Il modo in cui si comporta per la perdita di Con è davvero orribile disse. Minn Lee sorrise debolmente.
- Tu non lo sai; forse lo amava. Angelo scosse la testa.
- Amare un uomo è sciocco, Minn Lee, e lei è tutto tranne questo. Ridacchiò mentre si sedeva davanti all'organo. - È davvero una vita
grandiosa.
- Dove finirai, Angelo?
- Me lo stavo proprio chiedendo - disse Angelo amaramente. - Finora
Edgar Wallace
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1931 - Furia A Chicago
non me l'ero mai chiesto. Probabilmente guiderò io questo racket un
giorno, a meno che qualcuno non mi faccia fuori prima. Le cose stanno
così... - Aprì le braccia in segno di rassegnazione.
Si avvicinò a Minn Lee che stava ricamando il suo dragone cinese.
- Tony dice che ci saranno dei cambiamenti da Cicero. Ci sarà una
nuova direttrice.
- Davvero? - chiese Minn Lee con indifferenza.
- Spero che non scelga qualcuno che conosco per coprire quell'incarico disse Angelo con noncuranza.
- Troverà una donna - mormorò Minn Lee a bassa voce.
- Spero che sceglierà la donna giusta - disse Angelo. Minn Lee scosse la
testa.
- Non sceglierà me - dichiarò con calma.
- Lo spero proprio, per il bene di tutti.
Lei lo guardò sorpresa.
- Angelo, non avrai intenzione di fare qualcosa nel caso in cui lui...
- Non farei nulla di cui mi dovrei poi pentire - disse Angelo, poi tornò a
sedersi davanti all'organo, facendo ondeggiare le gambe. - Abbiamo per le
mani dei grossi affari, Minn Lee. Sai, parlo di milioni di dollari, ma c'è la
presenza eccessiva di quella donna. Quando una donna ti chiede di fare
fuori uno e tu acconsenti... allora c'è qualcosa che non va.
- Ma a te piace Tony? - chiese Minn Lee. Angelo sorrise
innocentemente.
- Sicuro. È un tipo in gamba. Ma non sa trattare con Kelly e non tiene
legati a sé abbastanza politici per comportarsi come fa. Kelly è un tipo
duro.
Era la prima volta che le parlava così francamente.
- Devi avere molta fiducia in me per parlarmi così - disse lei. - Se Tony
sapesse come la pensi...
Lui sorrise di nuovo, stranamente.
- Sarebbe morto prima di poter tirare fuori la pistola - disse. Lei scosse
la testa.
- Io non vi capisco - disse e Angelo le spiegò.
- Questo è un grosso affare, Minn Lee. I normali negozianti non
vogliono concorrenza. Non permettono a nessuno di fare grossi affari,
altrimenti li fanno licenziare. Noi invece ammazziamo chi ci fa
concorrenza. Loro trattano con il denaro, noi con le pistole.
Edgar Wallace
143
1931 - Furia A Chicago
Tony entrò, aggrottando le sopracciglia e Angelo lo guardò criticamente.
- La mamma e il bimbo stanno bene? - chiese.
- Non fare lo spiritoso con me.
Se non si fosse trovato in quello stato di confusione sentimentale,
avrebbe capito che anche l'atteggiamento del suo secondo nei suoi
confronti era cambiato.
- Sei in gamba, ma c'è un tempo per tutto.
Bevve il vino avanzato da Maria e si asciugò il sudore.
- Cosa farà? - chiese Minn Lee.
- Resterà qui - tagliò corto Perelli.
- Non ha degli amici?
- Sì, me - esclamò lui. - Resterà qui.
Angelo non aveva intenzione di andarsene e Tony si voltò verso di lui.
- Voglio parlare con Minn Lee. E, Angelo, voglio la macchina di Minn
Lee parcheggiata qui davanti alle... - guardò l'orologio -... alle sei.
Ora che l'agitazione era un po' svanita, si rese conto del cambiamento
nell'atteggiamento di Angelo.
- Quel tipo è diventato un po' troppo spiritoso - disse. - Metterci a
coltivare dei fiori, eh? Uno di questi giorni...
Aveva un lavoro da compiere e, essendo un uomo sensibile, non era
facile. Si sedette a gambe incrociate su un grosso divano e fece un cenno
alla ragazza.
- Vieni qui, piccola Minn Lee. Mi sono ricordato proprio ora di una
cosa.
Le prese la mano e accarezzò con la punta delle dita il suo braccio
ingioiellato.
- Bella roba, vero?
Lei annuì. Sapeva esattamente cosa avrebbe detto poi e cosa sarebbe
successo.
- È roba bella - continuò lentamente - ma ormai fuori moda. Tutti questi
gioielli devono essere risistemati, Minn Lee. Conosco un tizio di Tiffany
che li rimette in sesto meravigliosamente. Dammeli, lo farò fare subito.
Non poteva dire niente. Molto lentamente, ma senza la riluttanza che lui
si sarebbe aspettato, Minn Lee si sfilò tutti i gioielli e li posò sul divano.
- Saranno favolosi quando saranno stati risistemati - proseguì Perelli. Li riavrai, Minn Lee, non preoccuparti. Li farò risistemare in modo che
valgano molto di più... mentre sarai via.
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1931 - Furia A Chicago
Mise dell'enfasi su queste ultime parole e lei lo guardò.
- Mentre sarò via? - ripeté.
Lui si fece scivolare in tasca i gioielli.
- Sì, per un po' di tempo. Quello che hai detto di te e di Jimmie mi ha
sconvolto. Ti amo troppo - disse tristemente. - Quando tornerai, io avrò
dimenticato.
Seguì un lungo silenzio. Minn Lee osservava il suo braccio nudo con il
suo solito imperscrutabile sorriso.
- Dove andrò? - chiese dolcemente.
- Te lo dirò. Vuoi aiutare Tony, vero, piccola cara? Ho avuto un sacco di
guai da Cicero. Quelle dannate ragazze mi hanno derubato e così ho
dovuto mandare via la direttrice. Non andava affatto bene.
Sentì il respiro di lei farsi più pesante e aspettò di vedere delle lacrime
che non vennero mai.
- Tu vuoi che io vada là a prendere il suo posto? - Minn Lee scosse la
testa.
- Solo per un po' - la implorò. - Tu sei una fantastica organizzatrice,
Minn Lee, e sistemerai tutto, per me. Avrai una camera elegantissima,
meglio che al Blackstone. Servitori, macchine, amici...
Lei scosse la testa e lui tornò a essere il padrone di sempre.
- Minn Lee, io sono stato molto generoso con te - disse con durezza.
- Sì. - Lo disse a voce così bassa che quasi lui non la sentì.
- Ora tu mi devi ricambiare, sii buona - disse. - Fallo per il tuo Tony.
Pronunciò queste parole con un tono di familiarità e, con uno dei suoi più
larghi sorrisi, si alzò, facendo tintinnare i gioielli che aveva in tasca.
- Ora ti suonerò qualcosa.
Le mise un braccio intorno alle spalle e si avviarono insieme verso
l'organo, ma lei si allontanò.
- Suona pure, Tony, io devo scrivere al mio sarto.
- Va bene. - Si sedette all'organo e incominciò a suonare una musichetta,
non smettendo di parlare. - Pagherò tutto io - disse. - Metti le fatture sul
tavolo di Angelo. Verrò a trovarti, Minn Lee, anche tutti i giorni.
Ma lei non lo ascoltava più. Aveva preso un foglio di carta e stava
scrivendo precipitosamente. La mente di lui tornò ad Angelo.
- Metterci a coltivare fiori, eh? Quel tipo è diventato troppo audace,
Minn Lee. Sai cosa mi ha detto ieri? Mi ha detto: "tu sai comandare, ma
sapresti farlo?" A me, Tony Perelli! È come dire che sono un vigliacco...
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1931 - Furia A Chicago
accidenti.
Sentì una mano sulle spalle e alzò lo sguardo verso il viso bianchissimo
di lei.
- Stai male? - chiese, costernato.
Il suo malessere in quel momento sarebbe stato straordinariamente
difficile da spiegare.
- No, no, non sto male.
- Sei una ragazza fantastica, Minn Lee. - Le strinse la mano. - Ma sei
così pallida...
- Ho mal di testa - disse lei.
- Sdraiati - le suggerì Perelli.
Con la coda dell'occhio, vide che si accasciava sul divano e riprese a
suonare.
- Stavo pensando ad Angelo. Si crede un pezzo grosso. Questo è il guaio
con i gangster da due soldi. Dai loro un dito e ti prendono la mano. Mi
ascolti Minn Lee?... Minn Lee, ti sei addormentata? La tua macchina sarà
qui alle sei.
Smise di suonare, si alzò e si stiracchiò. Poi vide la lettera che lei aveva
posato sull'organo. La prese, la lesse con noncuranza, ma poi si voltò di
scatto, con il volto pieno di orrore.
- Minn Lee! Minn Lee! - gridò senza fiato.
Lei giaceva immobile sul divano dal quale gocciolava del sangue; sul
suo prezioso tappeto c'era già una macchia rossa.
- Minn Lee, sciocca, dannata sciocca! - gridò. - Minn Lee!
Sentì la voce di Kelly fuori dalla porta e lo chiamò. Il commissario di
polizia entrò e capì tutto al primo sguardo: vide il salone, la ragazza morta,
che giaceva immobile e serena, il gangster paralizzato dall'orrore.
- Cosa diavolo...? O mio Dio!
Vide il coltello nelle mani di Perelli, il coltello che aveva raccolto da
terra.
- Lascialo.
Il coltello cadde sul tappeto.
- Non muoverti.
Perelli si vide puntare una pistola.
- No, no, non sono stato io! - balbettò. - Non sono stato io... è stato un
suicidio... qui c'è la lettera. Guardate... è la lettera. Qui... l'ha scritta lei...
Kelly prese la lettera e la lesse lentamente.
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1931 - Furia A Chicago
Addio Tony. Questo è meglio di Cicero. Dio ti benedica!
Portava la firma di Minn Lee. Kelly guardò la lettera poi fissò Perelli;
poi, accese un fiammifero e bruciò il foglio.
- Hai ucciso almeno venti uomini e l'hai passata liscia - disse, con la
voce tremante per l'odio che provava verso quell'uomo - e ora sarai
condannato per qualcosa che non hai commesso... non è divertente?
Le parole arrivarono come una doccia gelata sul gangster che aveva
quasi perso la ragione. Si precipitò al telefono e, mentre faceva il numero,
il cuore di Kelly sembrò venir meno. Era il numero di un avvocato, di uno
dei più famosi. Non c'era più speranza. Quella che era sembrata la fine di
Perelli, non lo sarebbe stata.
Kelly lo guardò, abbassò gli occhi verso la cenere della lettera e verso la
ragazza morta e sorrise amaramente. Perelli era al sicuro. Ci sarebbe stato
un arresto, un processo e l'assoluzione per mancanza di prove. A cosa
Serviva lottare? I gangster avevano le loro punizioni e le loro immunità.
Sentì la rapida parlata di Perelli e si avviò alla porta. Non vide entrare
Angelo che, dopo aver visto la ragazza morta, si ritrasse inorridito.
L'italiano stava lì, dietro alla porta, con un'espressione sconvolta,
guardando la donna che amava e l'uomo che odiava.
- È così capo, - La voce di Perelli era esultante. - La legge siamo noi.
Vedete, voi siete intelligente, ma non quanto Tony Perelli. Ho appena
detto al mio avvocato quello che è successo in questo momento. Angelo
aprì un po' di più la porta, prese una pistola dalla tasca e puntò.
- Vedete, signor Kelly... - proseguì Tony.
Dalla porta semichiusa, Angelo sparò due colpi, poi, sbattendola, la
chiuse a chiave prima di volare nell'ascensore che lo avrebbe portato verso
la libertà.
Kelly si voltò all'improvviso al rumore dello sparo. Harrigan aveva visto
la scintilla provocata dalla pistola e si era precipitato nella stanza. Kelly si
chinò verso l'uomo che giaceva sul pavimento.
- Alla fine la legge ti ha fermato, Perelli. Non la mia legge, ma la tua.
Così vanno le cose, a volte.
FINE
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1931 - Furia A Chicago
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