Il contributo dell’epigrafia alla cronotassi dei vescovi di Siracusa (secc. IV-VII).
Vittorio Giovanni Rizzone
Nell’ambito di un progetto che prende in considerazione gli stati e delle funzioni dei cristiani di Sicilia e delle isole adiacenti, così
come si evincono dai documenti epigrafici databili tra il IV ed il VI secolo, e di imminente pubblicazione, si presentano i primi risultati
relativi ai vescovi della chiesa Siracusana.
La chiesa di Siracusa è certamente una delle più antiche di Sicilia, e quella più ricca di documenti: otto epigrafi di cui sei iscrizioni
funerarie (nn. 1-6) e due iscrizioni su sigilli (nn. 7-8). In esse sono cinque i vescovi di cui si fa esplicita menzione: Auxentius (n. 1),
Cheperion (n. 2), Syrakosios (nn. 3-4) , noti da iscrizioni funerarie rinvenute nella grande catacomba comunitaria di San Giovanni, e
Iohannes e Mauricius, dei quali sono pervenuti i sigilli. Altre due iscrizioni frammentarie tramandano, senza fornirne il nome,
semplicemente la presenza di vescovi (nn. 5-6). C’è da rilevare che le attestazioni epigrafiche che riguardano i vescovi talora non sono
pertinenti agli stessi vescovi, ma in esse si fa riferimento ai responsabili della comunità cristiana in obliquo, nel contesto di documenti che
riguardano alcuni fedeli.
Auxentius (n. 1) è propriamente uno spagnolo, Hispanus… ep(iscopus) Rotdon(ensis ?), cioè, probabilmente dell’antica Rhode,
centro dell’Hispania Tarraconensis (corrispondente all’attuale Roses sulla Costa Azzurra), non altrimenti attestata, tuttavia, come sede
episcopale. In subordine si potrebbe pensare all’integrazione più remota di ep(iscopus) Rotdom(agensis), cioè vescovo di Rotomagus,
l’attuale Rouen, antichissima sede episcopale della Gallia Belgica, ipotesi che renderebbe in una certa misura ragione della presenza della
vocale “o” e della consonante nasale in un aggettivo che correttamente dovrebbe essere stato piuttosto scritto “Rhodensis”. En passant si
ricorda che anche una tale Scholastica Ro[tomagensis] sepolta nello stesso cimitero (CIL x, 7181) è stata ipotizzata la medesima
provenienza.
Auxentius sarebbe giunto - come sembra da intendere - in Sicilia, dove sarebbe stato accolto dalla comunità cristiana e poi morto e
sepolto in un arcosolio polisomo della catacomba della chiesa siracusana. Caso non insolito, questo, che in Sicilia trova riscontro in quello
del vescovo di Roma Eusebio mandato al confino nell’Isola e morto in litore trinacrio (a Siracusa ?).
L’epitaffio di Auxentius, rubricato, però, è stato danneggiato da iscrizioni successive (di Alypios) nonché coperto da uno strato di
intonaco, segno che la tomba, per quanto appartenente ad un vescovo, non doveva essere tenuta in particolare cura dalla chiesa locale, alla
quale il vescovo non aveva fatto mai da capo. È, pertanto, possibile anche che vi sia stata la violazione ed il conseguente riutilizzo del
sepolcro di questo straniero in un momento in cui nessuno ormai più lo ricordava. Si è così perduta quasi del tutto la seconda parte
dell’epigrafe, scritta in caratteri minori, che doveva contenere una formula di scongiuro con una preghiera (“adiuro vos qui legites […] petite
quod acceptum”) che sembra parafrasare concetti espressi in Jc 4,3, Mt 7,7-8, ed in J 16,24.
Quanto al vescovo Cheperion, il suo nome compare in un’iscrizione (n. 2) nella quale si menziona il relativo sepolcro quale punto di
riferimento per quello di tali Alexandros e Rhodope, che lo avrebbero acquistato da Hermione, figlia di Kaisarios: Cheperion, insomma,
doveva avere, nella regione settentrionale della catacomba di San Giovanni, un sepolcro, oggetto di particolare rispetto, se appunto viene
menzionato dai due defunti che gli stanno accanto, in una sorta di sepoltura privilegiata. O. Garana ha osservato che questi, giacché, a
differenza di Auxentius, non se ne segnala la provenienza, debba essere siracusano.
Il nome costituirebbe un hapax: P. Orsi e poi K. Wessel pensarono ad una corruttela del nome
. V. Strazzulla, d’altro
canto, avanzò l’ipotesi che Cheperion avesse origine da Caeparius. I tentativi, sia dello stesso Wessel di emendare il testo dell’epigrafe in
« »
, sia di A. Ferrua, il quale suggerì, invece,
, si risolvono in improbabili lectiones faciliores, che si oppongono
all’affermazione dell’Orsi, secondo cui «la lezione del testo è certissima». C’è da chiedersi anche se il nome, che non sembra affatto
storpiato, non tradisca piuttosto un’origine orientale - opportunamente grecizzata con il suffisso
- da ricondurre alla radice semitica
KPR (“villaggio”), diffusa in ambito siriano e fino all’Egitto, radice che, traslitterata in greco dà esiti in
e
per i
toponimi (oggi Kefr, El-Kefr) e Kafar-, Kipar- e Kbar- per gli antroponimi. La presenza di orientali, e in particolare di siriani, è largamente
attestata per questo periodo sulla base di iscrizioni funerarie non soltanto a Siracusa, ma anche nell’ambito della sua diocesi; un vescovo
siracusano con questo nome potrebbe rivelare, o, meglio, confermare quelle tangenze siriache nella chiesa siracusana, che traspaiono, fra
l’altro, dalla tardiva agiografia sul “protovescovo” Marciano, che l’apostolo Pietro avrebbe inviato da Antiochia in Sicilia.
Il terzo vescovo è Syrakosios attestato nel contesto del titolo funerario di Polychronios e Serapia; la seconda avrebbe acquistato il
sepolcro per il primo “
!
"
!
” (n. 3). Si è dato alla preposizione
con il dativo solitamente un senso
spaziale e non temporale così da far pensare ad una sorta di sepoltura “privilegiata” come quella di Alexandros e Rhodope, e si è fatto
ipoteticamente riferimento all’arcosolio (ma polisomo !) la cui guancia è decorata con lo staurogramma tra lettere apocalittiche inscritto in un
clipeo e con due barche conformate a pesce con tondelli (forme di pane eucaristico ?) in bocca, per il sepolcro del vescovo. Ma occorre dire
che il riferimento al vescovo di Siracusa sembra essere piuttosto una precisazione temporale ulteriore - la prima è l’occasione della morte di
Polychronios - della circostanza dell’acquisto del sepolcro: del resto, il valore cronologico della preposizione
– anche quando nella tarda
antichità si trova a volte seguita dal dativo piuttosto che dal genitivo - è riconosciuto in casi relativi non soltanto a membri del clero (un
vescovo, un presbitero e perfino diaconi), ma pure a consoli e ad altri eponimi.
Il significato temporale di
risulta più chiaro in un altro titolo (n. 4) che registra l’acquisto di un sepolcro da parte di Nikon e di
Aboundantia
(= al tempo di) un Syrakosios “che verrà ricordato”, e che molto probabilmente è da riferire allo stesso Syrakosios del titolo
precedente. Certamente in questo caso è da escludere l’ipotesi secondo cui si dovrebbe attribuire ad
il valore di “per” e dunque tradurre
“in memoria di Syrakosios”, formula questa inusitata. Si è in presenza, invece della registrazione dell’acquisto del sepolcro da parte di due
fedeli (verosimilmente due coniugi), che vi sarebbero stati seppelliti, “al tempo di Syrakosios (il vescovo) che sarà (sempre) ricordato”, una
registrazione con la quale i due acquirenti intendevano ancorare la propria sepoltura alla figura di un vescovo ( # ! ), cui la comunità
siracusana era evidentemente affezionata.
Il quarto vescovo, di cui è conosciuto il nome è Iohannes, un sigillo del quale si trova ora a Roma (n. 7): si tratterebbe del vescovo
che, già arcidiacono della chiesa di Catania, era stato voluto nel 595 da Gregorio Magno alla cattedra siracusana, e vi era rimasto almeno fino
all’anno 603 (PCBE Italie, 1112-1120, Iohannes 89). Iohannes è stato anche identificato con Iohannes, venerabilis episcopus syracusanus, di
cui si parla nella Vita Zosimi I,8, II,9-10 (PIB II, 179, Iohannes 186).
Il latino dell’iscrizione stessa si addice a tali circostanze di età gregoriana. Il latino, tuttavia, rimane a lungo in uso, nonostante il
processo di bizantinizzazione, certamente accelerato dal soggiorno siracusano dell’imperatore Costante II (663-668): V. Laurent, a proposito
del sigillo del vescovo Mauricius (n. 8), da datare verso la fine del VII secolo, ha osservato che «l’hellénisation n’était pas ancore à ce point
complète que le grec eut remplacé le latin dans la pratique de la cancellerie épiscopale».
Se si passa in rassegna la cronotassi episcopale di Siracusa, che nel suo nucleo più antico si fonda su di una lista fornita dal canonico
Cristoforo Eschobar sulla base di un antico manoscritto non più esistente, si rileva che due vescovi, per i quali possono riconoscersi i
corrispondenti nelle attestazioni epigrafiche sono il trentatreesimo (Iohannes), ed il quarantreesimo (Mauritius) della sequenza: questi molto
probabilmente sono appunto i vescovi conosciuti dai sopramenzionati sigilli (nn. 7-8). Degli altri due, cioè Cheperion e Syrakosios – si
esclude naturalmente Auxentius perché straniero – non esiste alcun riferimento. Difficile è invece integrare il nome mutilo di
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! ! (n. 5) con uno dei nomi della lista. A giudizio del Ferrua
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starebbe per
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Eustorius, presunto nono vescovo della cronotassi, il cui nome rimanda al
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siracusana, attestato in un’iscrizione di San Giovanni ' ( )! * +,! &!
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Nel catalogo di Eschobar dovrà piuttosto essere preso in considerazione il presunto settimo vescovo, che portando il nome di
Venantius Syracusius, può fare pensare al Syrakosios attestato epigraficamente e di cui si è già detto. Questa sarebbe certo un’ipotesi da
preferire a quella proposta da L. Narciso, la quale pensa al vescovo Siracusius, menzionato nell’epistolario (fr. 43) di Gelasio I (492-496), e
che invece è quasi sicuramente un vescovo dell’Italia centro-meridionale (PCBE Italie, 2138, Svrakosios). Il nome, peraltro, conosce una
certa diffusione anche a Roma (cfr. ICVR VIII, 21279; 22121; ILCV 4093).
Naturalmente per queste identificazioni il problema principale è dato dal fondamento storico da attribuire alla Cronotassi. Il Lanzoni
ha osservato che la parte più antica è una composizione letteraria messa insieme con nomi fittizi o ripresi da quelli di età posteriore. Ciò fino
all’anno 314, per il quale si ha il sicuro riferimento a Chrestus, che elencato al diciannovesimo posto, può bene essere identificato con
vescovo invitato da Costantino al Concilio di Arles (Eus., HE X, 5, 21-24). Dopo di lui, secondo il Lanzoni, la lista dovrebbe dipendere dai
dittici della Chiesa siracusana. Occorre però osservare che proprio per il periodo successivo al 314 la lista si dimostra lacunosa e
frammentaria: da Cresto del primo periodo della pace della Chiesa a Stefano dell’età di Giustiniano sono registrati soltanto due vescovi
(Germano per il quarto ed Eulalio per la seconda metà del secolo successivo), troppo pochi per un periodo di circa due secoli!
D’altro canto, la ricerca archeologica sta contribuendo a gettare luce sulla attendibilità della Cronotassi siracusana, puntando
l’attenzione sulle notizie relative a certi vescovi che avrebbero promosso opere edilizie: così a Germano, che occupa il ventesimo posto nella
serie e che sarebbe vissuto nel IV secolo, andrebbe attribuita la commissione delle chiese “gemelle” di San Pietro i.m. a Siracusa e quella di
San Focà a Priolo Gargallo; a Stefano, ventiduesimo vescovo della lista, vissuto al tempo di Belisario, è stata ricondotta la chiesa di San
Pietro de Tremilio, caratteristica per il suo presbiterio triconco, molto probabilmente chiesa di un complesso monastico; allo stesso Stefano,
che edificò la chiesa “Sancti Archangeli in Motokis” - e l’archetipo aggiunge che in essa sarebbe stato pure sepolto - si è pensato di poter
riferire anche la chiesa recentemente scoperta a Cozzo Sant’Angelo presso Modica.
A partire dall’età bizantina, comunque, la lista presenta una certa attendibilità. Certamente, il nome di alcuni vescovi, dei quali non
si dispone di altri riferimenti storici, come nel caso di Mauricius (n. 8), giunge la conferma della loro esistenza dai sigilli. Quanto al periodo
più antico, deve presumersi che alcune sequenze siano state inventate per colmare i vuoti della tradizione fededegna. È anche possibile, in
questo quadro, che lacerti di sequenze di memorie, magari del periodo IV-V secolo, siano state utilizzate per colmare i vuoti dei primi tre
secoli. Un’osservazione particolare deve essere fatta a riguardo del presunto settimo vescovo della cronotassi, quel Venantius Syracusius del
quale si è detto e per il quale, benché non siano indicate date precise, si dovrebbe teoricamente ipotizzare sulla base della cronotassi una
collocazione cronologica nel II secolo d.C. Il suo doppio nome sembra proprio nascondere in realtà due vescovi: Venantius appunto e
Syracusius; riuscirebbe pleonastico quest’ultimo termine se si dovesse intendere in senso etnico, che peraltro in latino sarebbe stato reso con
“syracusanus”; Syracusius sarebbe piuttosto la latinizzazione del nome Syrakosios, diffuso in ambito siracusano sia nella forma maschile che
in quella femminile.
Ma non si potrebbe riconoscere in questo Syracusius, collocato dalla Cronotassi a prima del 314, l’omonimo delle iscrizioni A2-3,
che non possono essere datate a prima della metà del IV secolo, considerata, fra l’altro, la più recente escavazione del cimitero di San
Giovanni in cui è stato rinvenuto il titolo di Polychronios e Serapia (n. 2). Altrimenti si dovrebbe ricorrere alla assai improbabile ipotesi di
una ricollocazione delle reliquie, o quanto meno all’ipotesi cui si è fatto cenno, secondo la quale la Cronotassi avrebbe anticipato nomi
realmente esistiti dopo la Pax al fine di colmare vuoti successivi alla menzione di San Marciano, collocato in età apostolica. Se poi, per il
“protovescovo” siracusano si volesse recuperare la cronologia che ne pone il martirio al tempo di Valeriano e Gallieno (tra il 254 ed il 259),
allora sarebbe possibile riconoscere l’attendibilità almeno di alcuni dei nomi che nella lista lo seguono – tra i quali si potrebbero annoverare
anche Venantius e Syracusius - da collocare, pertanto, tra il III e soprattutto tra il IV ed il v secolo, periodo al quale sembrano essere stati
sottratti.
C. Eschobar, Episcoporum Syracusanorum numerus, in De rebus praeclaris
syracusanis, Venetiis 1520, riportato da Pirro, Sicilia sacra, i, 123-144. Ora il
testo è stato parzialmente riportato da F.P. Rizzo, Sicilia Cristiana, II/2, Roma
2006, 242-244, con varianti.
i. Martianus primus syracusanus praesul a Beato Petro Apostolo de Antiochia
Syracusas missus […]
ii. Chrestus secundus pontifex Syracusarum Martiani discipulus
iii. Chrestus alter […]. iv. Eulalius. v. Euspius. vi. Ethimoteus.
vii. Venantius syracusius
viii. Proesius graecus, qui Romae obit dum summum pontificem viseret. Haec ex
Schobare antiquissimo catalogo episcoporum syracusanorum ms. quem saepe idem
Schobar appellat Archetypum et ego vidi illum […]
ix. Eustorius nonus qui adulescentulus admodum ad Episcopatum fuit assumptus
x. Euxius decimus, qui ecclesiam consecravit syracusanam, ut Archetypum narrat,
quam nominee Sanctae Dei genitricis appellavit, eam vero ecclesiam fabricavit
Bellisarius
xi. Theophanator […]
xii. Nestorius, qui ecclesiam sanctae Agathae […] aedificare fecit
xiii. Theochistus. xiv. Tullianus. xv. Habrahamus
xvi. Eutichius fuit sextus decimus. Hic aedificavit vasorum receptorium, et
oratorium sancti Andreae, apostoli. Moriturque Panhormi, ibique positus fuit […]
xvii. Arthemius
xviii. Eutichius alter. Qui tradidit ecclesiam S.Luciae in tempore martirii eius
positum est autem corpus illius sacratissimum in eiusdem virginis templo […]
xix. Chrestus III ((314))
xx. Germanus fuit decimus nonus praesul, qui aedificavit ecclesiam sancti Pauli
apostolic, et sancti Petri apostolic, et ecclesiam sancti Phoce, positus est in eodem
templo.
xxi. Eulalius alter […] ((499))
xxii. Stephanus. Patria romanus, quem syracusani non susceperunt, aedificavit
ecclesiam sancti Petri de Trimilio, atque ecclesiam sancti Iohannis hospitalis
Catanae, et ecclesiam Sancti Archangeli in loco, quem vocant Motokas et ecclesiam
sancti Andreae, maiorem ecclesiam. Mortuus est autem, et sepultus est in ecclesia
sancti Archangeli in Motokis […]. ((532))
xxiii. Agathon. xxiv. Iulianus. xxv. Eutichius alius. xxvi. Ianuarius
xxvii. Synexius […]. xxviii. Germanus alter. xxix. Petrus. xxx. Chalcedonius.
xxxi. Agathon alter
xxxii. Maximianus fuit trigesimus primus miraculis maximis conspicuous, atque
sanctissimus. De qui Beatus Gregorius in dialogis libro tertio cap xxxv […] ((590))
xxxiii. Iohannes [….] ((596))
xxxiv. Germanus iii. Qui S. Calixti ecclesiam aedificavit. ((610))
xxxv. Is Pontifex aedificavit ecclesiam S. Eliae ad Pontem […]
xxxvi. Zosimus […] ((640))
xxxvii. Elias […] ((656))
xxxviii Theodorus ((661))
xxxix. Georgius. Sepultus est in ecclesia S. Anastasii de Ollis ((663))
xl. Theodosius ((670))
xli. Theodosius ii […]
xlii. Iohannes.
xliii. Mauritius.
xliv. Theodosius iii. xlv. Martianus ii. xlvi. Theodosius iv.
xlvii. Stephanus ii. ((787))
xlviii. Gregorius Asbestas ((845))
xlix. Theodorus ii ((866-))
xl. Sophronius […] ((876-))
Nota bibliografica
S.L. Agnello, Silloge delle iscrizioni paleocristiane della Sicilia, Roma 1953.
K. Wessel, Inscriptiones Graecae Christianae Veteres Occidentis (ms del 1940 ca), a cura di
A. Ferrua e C. Carletti, Bari 1989.
A. Ferrua, Note e giunte alle iscrizioni cristiane antiche della Sicilia, Città del Vaticano 1989.
F. Lanzoni, Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604), Faenza 1927,
rist. Modena 1980, II, 632-639;
V. Laurent, Les corpus des sceaux de l’empire byzantin. v. l’Église, Paris 1963.
F.P. Rizzo, Sicilia Cristiana, I-II, Roma, 2006-2007.
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