Il primo passo
dopo la fotografia
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Anche un elefante può essere mangiato, a piccoli morsi.
– Anonimo
Photoshop e il formato bitmap
Adobe Photoshop nasce per la manipolazione diretta delle immagini bitmap, documenti composti da un numero variabile e generalmente molto alto di pixel (contrazione delle parole inglesi picture element), punti video contraddistinti singolarmente da
un colore, pur consentendo la gestione e manipolazione base di oggetti di altra natura,
come vettoriali o ibridi. Ciononostante, prima di approfondire le tematiche relative al
programma ed ai suoi strumenti, è bene esaminare a fondo la natura stessa del formato bitmap, nonché le differenza e le interazioni con altri formati.
Il formato bitmap, chiamato anche comunemente raster o rasterizzato (raster deriva
dalla lingua inglese, come molti altri termini che troverete in questo libro, e significa
trama), è un formato di immagine costituito da una mappa di pixel di vari colori.
Se questi punti sono abbastanza piccoli oppure abbastanza lontani dal punto di vista
dell’osservatore, l’occhio umano non percepisce più la differenza tra i di essi ma li fonde in una forma unica che è l’immagine. Questa tecnica nasce dalla rappresentazione
televisiva, divenuta poi comune (con le dovute evoluzioni), a tutti i monitor e display.
Seguendo la logica di questa teoria, un’immagine aumenta proporzionalmente la definizione in base al numero di pixel (punti) che la compongono, in quanto, date per
costanti le dimensioni del riquadro dell’immagine, più alto è il numero dei punti, tanto più questi saranno piccoli e di conseguenza sarà più difficile distinguerne la forma
da parte dell’occhio.
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Figura 2.1 Un’immagine vista a dimensione reale, se ingrandita, mostra la mappa di pixel.
Ogni pixel dell’immagine è caratterizzato da un unico colore, che è proprio di un range stabilito dal documento. In alcuni casi (ad esempio quando il numero totale di colori è molto basso, generalmente sino a 256) il colore è localizzato in una palette, dalla
quale tutti i pixel prendono il riferimento. Nel caso di un numero maggiore (migliaia
o milioni), la descrizione del colore è diretta nel pixel. Ogni pixel possiede, oltre al colore, informazioni supplementari come il grado di opacità dello stesso, che determina
la sua capacità di mostrare eventuali colori sottostanti, oppure il tipo di fusione, che
determina l’influenza con la quale invece mostra il colore del pixel sottostante.
Le immagini bitmap sono il principio sopra il quale si basa la quasi totalità delle informazioni e della cultura moderna: grazie alla possibilità di variare la dimensione e
la densità dei punti, nonché colore, quantità e tipo di trasparenza con sistemi estremamente facili, veloci e molto potenti, non c’è limite alla tipologia di immagine rappresentabile, perché dato un numero sufficiente di punti, non c’è particolare che possa
sfuggire.
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Inoltre, un flusso interamente digitale permette la rapida conversione in formati più
adatti alla trasposizione su una superficie opaca (stampa) nonché la diffusione attraverso una vastità di media (non solo monitor dunque, ma anche cellulari, console,
televisori, sistemi di riproduzione audiovisiva per disabili e quant’altro).
Photoshop è da sempre il programma migliore (ma non unico) nelle operazioni di
creazione, editing e finalizzazione di questa tipologia di documenti, capace di sfruttare
strumenti più o meno avanzati.
Figura 2.2 La quasi totalità della cultura occidentale oggi si basa sul formato bitmap, a video o
in stampa (nell’immagine, una pagina di Wikipedia, con una foto del pianeta Venere).
Il mondo reale: formati video, vettoriali e
tridimensionali
Sin dagli inizi, le immagini bitmap si sono prestate alle rappresentazioni sia statiche
che multimediali, nelle quali più immagini leggermente diverse vengono proiettate
velocemente (tipicamente in un numero uguale o superiore a 24 al secondo) l’una
dopo l’altra, impedendo al nostro cervello di riconoscerle singolarmente e inducendolo a percepire un unico flusso.
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Ma benché un formato bitmap sia, come detto, in grado di rappresentare qualsiasi immagine, l’evoluzione digitale ha preso anche altre strade, parallele, che a fronte di una
minor capacità di rappresentazione offrono vantaggi alternativi di editing più facile e
diretto, oppure di minor peso delle informazioni a parità di qualità. In questa ottica
l’alternativa più importante è senza dubbio quella vettoriale, basata su di una rappresentazione cartesiana di alcuni elementi (chiamati oggetti) invece che su una mappa di
pixel. Un oggetto vettoriale presenta vantaggi non da poco rispetto ad una pari rappresentazione bitmap: la modifica prevede l’interattività di un punto solo, che a sua volta è
capace di muovere una forma intera. Oppure, nelle rappresentazioni più semplici, consente di usare un numero esiguo di punti anziché una griglia di pixel, fattore che rende
il documento sensibilmente più leggero ma soprattutto ridimensionabile a piacere.
Ma più di tutto, la grafica vettoriale è famosa per la sua indipendenza dal fattore di
risoluzione (che è in pratica il numero di pixel necessario per visualizzare correttamente l’immagine), permettendone così la visualizzazione in ogni tipologia di media,
dalla stampa ai display, dal monitor alla proiezione, mantenendo sempre inalterata la
qualità.
Ma non è tutto oro quello che luccica: il formato vettoriale non è adatto alla rappresentazione di immagini reali, data l’impossibilità di mostrare un livello di dettaglio
paragonabile a quello bitmap, senza contare che spesso la potenza necessaria per elaborare un formato vettoriale è molto alta, quando per lo stesso documento Photoshop
impiegherebbe molte meno risorse se utilizzate in ambito bitmap.
Proprio per questo, spesso le applicazioni moderne come Photoshop, ma specialmente i programmi di progettazione tridimensionale, usano un approccio misto: da un
prima fase in cui predispongono gli oggetti vettoriali e bitmap a seconda della loro
natura, gestendoli in modo alternativo, si passa ad una fase totalmente bitmap, nella
quale il processo di rasterizzazione provvede a convertire il flusso di dati vettoriale o
misto in un flusso totalmente bitmap.
Figura 2.3 Un’immagine vettoriale non è legata ad una mappa di pixel, da qui la piena libertà di
rappresentarla al livello di ingrandimento preferito.
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Il formato bitmap, che rappresenta ad oggi la via più semplice e completa nella maggior parte degli ambiti, non compete con il formato vettoriale (per la grafica bidimensionale o tridimensionale) offrendo una sinergia ottima nella maggior parte delle
applicazioni. Photoshop, che è un’applicazione per natura bitmap, integra elementi
vettoriali da diverse versioni, con un’implementazione via via sempre più completa,
arrivando anche a produrre tecniche miste (come nel caso degli oggetti avanzati, ne
parliamo nel capitolo 7).
Nel corso di questo manuale tratteremo per la maggior parte tecniche puramente bitmap, trattando in ogni caso tutti gli argomenti pertinenti agli oggetti vettoriali con
l’accento sul guadagno di tali oggetti rispetto a tecniche più classiche.
Figura 2.4 Un esempio di file ibrido in Photoshop: l’immagine è in bitmap, mentre la scritta è
in formato vettoriale.
Lo scheletro di un documento
Un documento di Photoshop è quasi sempre un’immagine. Ma anche se questo termine sembra scontato, un documento immagine prodotto o elaborato da Photoshop
contiene molti elementi al suo interno, alcuni modificabili, altri meno. Anche se in
alcuni casi non vi è possibilità di intervenire sugli stessi, è comunque utile conoscerli
per poter, nel caso, sopperire alla loro mancanza.
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Il primo elemento nonché il più importante è l’immagine stessa, che può presentare
vari elementi in base alla tipologia di formato salvato (PSD, TIFF, PNG, JPEG) come
livelli, canali alfa, livelli di regolazione e forme vettoriali.
Una seconda parte meno importante è rappresentata dai metadati, che altro non sono
se non tutte le informazioni accompagnatorie all’immagine che servono per la gestione del file da parte del sistema operativo (OS X oppure Windows) ma anche da parte
di altri applicativi esterni a Photoshop. Fanno parte dei metadati l’icona del documento (che ne mostra il contenuto anche a documento chiuso) e tutte le informazioni accessorie del file (data di creazione, data di modifica, classe e tipo di documento). Queste informazioni sono create e tenute aggiornate dal programma ogni volta che lo si
rende necessario e possono essere alterate manualmente solo con applicativi dedicati,
ricorrendo talvolta ad alcuni hack. Photoshop permette di salvare anche informazioni
ausiliarie rispetto a quelle canoniche di tutti i file, come ad esempio anteprime aggiuntive di dimensioni più grandi dell’icona oppure anche a dimensione reale. Solitamente
queste informazioni aggiuntive facilitano l’importazione dell’immagine in applicativi
esterni (che usano l’anteprima grande per visualizzarne il contenuto), ma contribuiscono a rendere il documento più pesante.
Figura 2.5 La finestra Preferenze di Photoshop, aperta nell’area di salvataggio, che permette
di determinare alcuni dei metadati da inserire nel documento: più metadati sono inseriti, più
l’immagine sarà grande, anche se in proporzione generalmente minore rispetto al totale del
documento; i dati mancanti possono essere ricreati dalle altre applicazioni in caso di necessità,
tuttavia l’operazione generalmente richiede tempo.
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Anche i dati EXIF sono parte integrante del documento, prodotti dalla fotocamera
che ha generato l’immagine (come ad esempio nome e marchio della fotocamera, tipo
di obiettivo, lunghezza focale dello scatto, tempi, presenza e tipo di flash, programma,
eccetera). Al pari dei metadati, questi dati sono difficilmente alterabili, in quanto impressi dalla fotocamera al momento della creazione del documento e trasportati con
esso nel corso della vita dell’immagine. Di solito questi dati sono conservati con i vari
salvataggi, ma rimangono ancorati al documento sorgente (quindi persi, nel caso di un
copia e incolla dell’immagine o parte di essa in un documento nuovo).
In alcuni casi anche Photoshop inserisce dati all’interno dei documenti per meglio
identificarli nelle successive fasi di apertura e salvataggio, come ad esempio il tipo e il
grado di compressione di un formato JPEG oppure la presenza dell’algoritmo LZW
nei file TIFF. Queste informazioni potrebbero perdersi se il documento viene elaborato (aperto e salvato) da altri applicativi, senza però compromettere l’immagine, che
rimane la parte integrante del documento.
Della stessa categoria fanno parte anche alcune informazioni ausiliarie al documento
stesso, necessarie per mantenere la compatibilità di Photoshop con le versioni precedenti: una finestra chiede se si desidera o meno mantenere tali informazioni di compatibilità al primo salvataggio in Photoshop.
Figura 2.6 La finestra Info file di Photoshop permette di scorrere moltissime informazioni inerenti il documento, come di alternarne alcune.
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Figura 2.7 La finestra di salvataggio di Photoshop in formato PSD chiede di mantenere le informazioni di compatibilità dell’applicativo con le versioni precedenti. Ne parliamo meglio nell’ultimo capitolo, ma sostanzialmente in questo caso Photoshop inserisce una versione piatta
dell’immagine per non generare conflitti con i nuovi strumenti.
Che cosa preferisce Photoshop?
Come ogni applicazione desktop, anche Photoshop possiede un pannello Preferenze
tramite il quale definire e personalizzare alcuni aspetti del funzionamento. Va sottolineato che questo pannello non introduce nessuna capacità all’applicativo, ma ne altera
solamente il funzionamento in base ad alcuni parametri, bloccando o attivando oppure definendo nei dettagli alcune caratteristiche. Una scorsa al pannello Preferenze è un
momento importante, che è quantomeno necessario eseguire almeno una volta, per
migliorare il funzionamento su alcuni aspetti o per capire quali caratteristiche si possono attivare oltre a quelle di default. Allo stesso modo, nessun parametro è definitivo
e tutte le voci possono essere attivate e disattivate ogni volta all’occorrenza (anche se
per alcune sarà necessario riavviare Photoshop per renderle attive).
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Figura 2.8 Il pannello Preferenze di Photoshop così come si presenta all’apertura nell’area Generali.
Ad ogni avvio, il programma esegue un controllo preventivo sulle informazioni salvate nel file PSPrefs (Windows) o Adobe Photoshop Prefs (OS X): nel caso questo file
manchi, l’applicativo provvede a ripristinarlo con uno standard. La rimozione di questo file manualmente è una delle procedure più semplici nel caso di problemi con
l’applicativo.
Il pannello Preferenze si divide in undici sezioni, ognuna richiamabile in modo diretto dall’apposita voce nel menu Preferenze (menu Modifica > Preferenze in Windows,
menu Photoshop > Preferenze in OS X), oppure selezionabile dal menu a tendina nella
parte sinistra del pannello stesso una volta aperto. Una voce supplementare è dedicata
alle preferenze del plug-in Camera Raw (questa voce è posizionata a parte ed è raggiungibile, oltre che dal sottomenu, anche dalla finestra del plug-in stesso).
La prima sezione, Generali, definisce il comportamento generale dell’applicativo, degli strumenti e degli oggetti: tra tutte le voci, molto importante è la voce Interpolazione immagine, che definisce il modo in cui Photoshop interviene negli ingrandimenti
di parti dell’immagine (anche da parte degli strumenti) che non utilizzano la finestra
Dimensione immagine. Sempre in questo pannello, la voce Zoom con animazione
permette di variare la visualizzazione dell’immagine in modo progressivo, tenendo
premuto il pulsante del mouse con lo strumento Zoom.
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La sezione successiva, Interfaccia, porta ad una delle novità della versione CS6, il colore dell’interfaccia: dopo anni di gradazioni di grigio chiaro, adesso il colore standard di
Photoshop è un grigio scuro, ma che proprio da questo pannello può essere mutato in
una delle quattro tinte presenti in alto alla voce Aspetto. Più in basso Dimensione font
interfaccia aumenta il corpo del font nei vari pannelli, utile ad esempio per monitor
piccoli o per utenti che fanno dimostrazioni in pubblico (chi scrive ne sa qualche cosa).
Da Gestione file è invece possibile scegliere la presenza ed il tipo di metadati da inserire nel documento, come l’anteprima, la miniatura e la presenza dell’estensione.
Sempre da qui è controllato il salvataggio in background e automatico dei documenti
(possibile ora grazie al nuovo motore Mercury).
Nella sezione Compatibilità file, più in basso, un pulsante apre il pannello preferenze
di Camera Raw (lo stesso apribile dall’interno della finestra del plug-in).
Prestazioni è invece molto importante come sezione, perché permette di definire la
quantità di memoria RAM assegnabile al programma (del totale del computer, il valore di default è 70%). Il valore della quantità di RAM è molto importante: più RAM si
assegna a Photoshop, più cicli di calcolo saranno possibili contemporaneamente (ogni
modifica richiede il riavvio dell’applicazione).
Più in basso un riquadro mostra la compatibilità con la scheda video installata (tutte le schede video recenti sono compatibili): l’abilitazione alle funzionalità OpenGL
permette una maggiore fluidità nei movimenti degli strumenti e una resa grafica maggiore nei dettagli di anteprima (ad esempio, lo strumento Timbro clone mostra l’anteprima dell’area prelevata prima di applicarla). L’area Dischi memoria virtuale assegna
uno spazio in ognuno dei dischi tracciati, utile quando, in presenza di calcoli molto
importanti, Photoshop utilizza lo spazio su disco temporaneamente sino alla liberazione di porzioni di RAM. Questo procedimento, invisibile per l’utente, migliora in
presenza di dischi molto veloci, come ad esempio i nuovi dischi a stato solido (SSD).
A destra, l’area Storia e Cache presenta altre numerose e importanti funzioni. La memoria cache di Photoshop è utilizzata per il ridisegno delle immagini ad alta risoluzione, operando con una versione più piccola ma aggiornata frequentemente. Abbassando il numero dei livelli di cache, l’apertura dei documenti sarà più veloce, ma
Photoshop diventerà più lento nell’eseguire compiti complessi, al contrario alzando
il numero dei livelli, tali operazioni saranno più veloci ma l’apertura dei documenti
richiederà un po’ più tempo. Indicando 1 come valore di cache, viene disabilitato il
ridisegno e Photoshop lavora sull’anteprima alle dimensioni reali dell’immagine.
La dimensione della cache proporzionale invece è determinata dalla tipologia del processore: i processori Intel multicore operano meglio con valori di 128 o 1024 K, mentre
con processori di tipo Pentium4 o AMD i valori migliori si ottengono con valori di
132 o 1032 K (altri tipi di processore, come la serie PowerPC di Apple non è più supportata).
I tre pulsanti superiori ottimizzano tutti questi valori in base all’utilizzo di immagini
relativamente piccole (Picc. molti liv.) oppure con immagini grandi o ad alta risoluzione (Gran. pochi liv.) oppure in un valore medio (Predefinito).
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Figura 2.9 Il pannello Prestazioni, che decide il comportamento di Photoshop, dal punto di vista
della fluidità e della prontezza di risposta.
Le successive sezioni Cursori e Trasparenza e gamma determinano l’aspetto dei vari
cursori nell’utilizzo dei pennelli (in tutti gli strumenti che ne fanno uso) e la forma e
il colore della griglia che indica le aree della trasparenza.
Seguono le altre sezioni Unità e righelli, Guide, Plug-in e Testo, dove è doveroso citare perlomeno la preferenza, all’interno di Plug-in, che permette di nascondere (flag
disattivato, posizione di default) o mostrare (flag attivo) tutti i filtri presenti nel comando Galleria filtri, all’interno del menu Filtri, come nelle versioni CS5 e precedenti.
Molto importante, perlomeno per Photoshop Extended, è 3D, l’ultimo pannello, che
permette di gestire le caratteristiche delle guide e del rendering tridimensionale: in
particolare, la quantità di Video RAM utilizzabile, qui descritta in percentuale. Il valore di default, che è 100%, va modificato solamente in caso di altri applicativi che svolgono funzioni particolari come rendering parallelamente all’utilizzo di Photoshop.
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Figura 2.10 Il pannello Plug-in mostra una preferenza, disattivata di default, che nasconde nel
menu Filtri tutte le voci presenti all’interno di Galleria filtri (ne parliamo meglio nel capitolo 10).
Definiti i parametri delle preferenze che permettono di personalizzare l’andamento
del software, è utile una considerazione sui diversi aspetti hardware che permettono
di migliorare le performance e l’esperienza di utilizzo del programma, anche considerando un possibile acquisto futuro. Detto che non esiste nessuna differenza tecnica
tra la versione per OS X e quella per Windows (al di là delle considerazioni personali), esistono diversi parametri che permettono di velocizzare, anche di molto, alcune
operazioni con l’applicazione. Glissando sui classici consigli delle riviste di settore che
parlano di un processore più veloce, di un disco più capiente e di una quantità di memoria RAM più alta, valuteremo di seguito alcuni parametri oggettivi specificamente
pensati per Photoshop.
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Figura 2.11 L’area 3D delle preferenze permette di definire alcuni parametri dell’utilizzo degli
oggetti 3D nonché la quantità di potenza video utilizzabile nella gestione del rendering e della
visualizzazione.
La quantità di RAM è ovviamente importante: ogni volta che Photoshop esaurisce la
quantità di RAM assegnata, utilizza uno o più dischi fissi presenti nel computer come
memoria virtuale. I dischi sono elencati in basso nel pannello Prestazioni delle preferenze di Photoshop come dischi di scratch. La velocità (più che la quantità) di questi
dischi può variare di molto la velocità delle operazioni più gravose, quando la quantità
di RAM si rivela insufficiente. A fronte di questo, l’utilizzo di un disco a stato solido
(SSD) è vivamente consigliato, anche a fronte di un investimento di certo più importante di un disco meccanico. Per prevenire forti rallentamenti a causa dell’esaurimento
del disco di scratch, è possibile utilizzare più dischi, anche esterni, sebbene in questo
caso consigliamo collegamenti veloci, come USB 3 o FireWire800 oppure il nuovo
Thunderbird (costoso, ma estremamente efficace).
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Figura 2.12 Un esempio di un pannello prestazioni per un computer non molto potente, pensato per l’utilizzo con immagini piccole. Un altro, per un computer più performante, per l’elaborazione di diverse immagini molto grandi e con molti livelli.
La quantità di memoria RAM assegnata di default è del 70%: questo valore non si riferisce alla quantità di memoria assoluta, ma a quella utilizzabile (al netto delle risorse
del sistema operativo). Movimenti del 5% possono mostrare importanti incrementi di
prestazioni, movimenti più ampi potrebbero essere fuorvianti oppure inutili se non
eseguiti in modo mirato.
Infine, per quanto riguarda gli stati della storia, il valore di 20 consente un utilizzo
più che buono per tutti gli ambienti lavorativi: aumentare gli stati di storia consente
un più ampio respiro nel recupero di comandi, ma potrebbe consumare più RAM di
quanto ci si aspetti.
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Bridge, sempre al vostro servizio
Installata di default assieme a Photoshop (e a qualsiasi altro applicativo parte delle
varie Suite), l’applicazione Adobe Bridge può essere considerata come l’anello di congiunzione tra tutti gli applicativi Adobe (e non solo). Lo scopo principale di questa utility è quello di fornire un database dinamico delle risorse presenti nel computer locale
e di quelle accessibili nei diversi server collegati, analizzandone le diverse caratteristiche in modo dettagliato e approfondito in completa autonomia. Più semplicemente,
Bridge può fornire diverse informazioni su immagini, disegni vettoriali, filmati, PDF e
altri tipi di documenti (anche con formati nativi) semplicemente selezionandoli dalla
finestra principale: ovviamente per certi versi Bridge è un’alternativa a Gestione risorse (Windows) e Finder (OS X), tuttavia l’alta integrazione con le applicazioni Adobe
ne permette un maggiore approfondimento, con alcune possibilità di intervento che le
funzioni standard dei sistemi operativi non riescono ad operare.
Figura 2.13 La finestra di Bridge, il vero maggiordomo di Photoshop.
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NOTA
Gli utenti Windows troveranno Bridge senza dubbio più utile rispetto agli utenti Mac, per i quali le capacità di renderizzazione delle anteprime dei fi le sono decisamente più ampie: ad esempio, la funzione QuickView di OS X è in grado di mostrare l’anteprima anche dei fi le PSD a livelli (se questi sono stati salvati con l’opzione Mantieni compatibilità), oppure dei vari fi le Raw, ma tentenna ancora con qualche documento DNG. Gli utenti Windows, specie quanti sono ancora rimasti alla versione XP, non benefi ciano affatto di funzioni così avanzate di trattamento dei documenti: per questi ultimi, Bridge è davvero indispensabile, dato che offre la possibilità di gestire i documenti in modo più chiaro grazie proprio alle anteprime e alla possibilità di fi ltraggio avanzato. Per tutti, restano molto comode le possibilità di automazione garantite da Bridge verso i vari Photoshop, Illustrator e altri.
Figura 2.14 Una fi nestra del Finder di Mac OS X, in grado di renderizzare in tempo reale le anteprime di vari tipi di documenti (riconoscibili dalle estensioni nel nome): nonostante ciò, Bridge offre anche alcune opzioni di automazione molto più comode di Finder (e di Gestione risorse), nonché la possibilità di leggere ed editare le parole chiave.
Figura 2.15 In Windows, alcuni tipi di fi le, come ad esempio i fi le Raw, non sono naturalmente riconoscibili, per cui Bridge ricopre un ruolo fondamentale nella gestione.
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La finestra di Bridge si divide inizialmente in diverse parti: a sinistra trovano posto i
moduli per navigare all’interno dell’hard disk (cartelle e file), anche in modo facilitato
tramite Preferiti (per segnare una cartella come preferita, basta trascinarla dentro
l’apposito modulo in alto a sinistra), i metodi di filtraggio dei documenti all’interno
della cartella selezionata, le liste selezionate e le azioni di esportazione, molto utili per
trovare un documento in base ad alcuni criteri testuali all’interno di una cartella molto
popolata. In questa sezione trovano posto le parole chiave, termini associati ad un’immagine o ad altre tipologie di file, i criteri di valutazione (in base a stelline). La sezione
mostra inizialmente il riassunto di tutti i metadati presenti nella cartella selezionata
(e mostrata a destra) ma con un clic su di un dato tale visualizzazione viene filtrata in
base al criterio selezionato.
Figura 2.16 Il modulo Bridge permette un filtraggio dei vari documenti molto accurato, utilissimo in archivi di grandi dimensioni.
La parte centrale mostra l’anteprima dei file contenuti in una cartella: l’anteprima è
dimensionabile a piacere tramite il cursore posto nella parte in basso a destra nella
finestra: un doppio clic sul documento lo apre nell’applicazione designata. In alcuni
casi, come per esempio le immagini, è possibile forzare l’apertura di queste in Photoshop tramite il plug-in Camera Raw (che vedremo più avanti nel capitolo 10), anche
se si tratta di immagini in formato JPEG o TIFF (menu File > Apri in camera Raw)
La visualizzazione centrale è modificabile a piacere agendo su uno dei pulsanti in basso a destra, che permettono di passare da due diverse viste a griglia ad altre due viste
a lista più dettagliate. In alto nella finestra è presente l’albero che riporta la posizione
della cartella aperta: tale albero è cliccabile in ogni sua parte per saltare direttamente
da una cartella all’altra.
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Figura 2.17 Bridge qui in modalità lista.
La parte destra mostra invece l’anteprima del file (o dei file) selezionati, con tutti i metadati elencati in basso. Questo aspetto, in particolare, rende Bridge superiore a Scelta
risorse o al Finder, in quanto alcuni metadati possono essere modificati, aggiunti o
rimossi (negli altri casi sono disponibili solo in lettura).
I vari moduli possono essere ingranditi a piacere, per una consultazione che offra più
importanza ad una parte o all’altra dell’intera collezione aperta: selezionato un file, è
sempre possibile visualizzarlo a pieno schermo premendo la Barra spazio.
Bridge offre anche un’interessante modalità Revisione (menu Vista): qui le immagini
selezionate sono mostrate a pieno schermo, in una visualizzazione tridimensionale. È
possibile scorrere le varie anteprime verso destra o verso sinistra tramite i tasti freccia
della tastiera, mentre un doppio clic in un punto qualsiasi di una di queste mostra un
lentino per ingrandimenti localizzati. La freccia verso il basso elimina il documento
dalla collezione (il file originale non viene alterato ne spostato), che può essere salvata
al pari di una selezione personale di alcuni scatti all’interno di una cartella. La collezione rimarrà a disposizione nel modulo omonimo.
Bridge è disponibile non solo come applicazione autonoma, ma anche come pannello
all’interno di Photoshop, il pannello Mini Bridge (una volta richiamato il pannello dal
menu Finestra, Bridge si attiva in background). Il pannello si divide sostanzialmente
in due parti e mostra nella sezione più alta (Navigazione) la possibilità di navigare tra
le cartelle, le collezioni oppure tra i preferiti, mentre nella parte in basso (Contenuto),
tutti i file all’interno della cartella selezionata: anche questa visualizzazione è personalizzabile nelle dimensioni dell’anteprima.
Il pannello Mini Bridge permette il lancio di molte funzioni tipiche di Bridge, come la
modalità Revisione, ed è molto comodo per navigare all’interno dell’hard disk senza
lasciare Photoshop.
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Figura 2.18 La modalità Revisione in Bridge, per la selezione dei vari scatti.
Figura 2.19 Il pannello Mini Bridge, all’interno di Photoshop.
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